Achille e la tartaruga: il paradosso di Zenone

Achille e la tartaruga: il paradosso di Zenone
Uno dei paradossi più celebri della storia del pensiero umano è certamente
quello proposto da Zenone di Elea nel V secolo a.C. per supportare la tesi del
suo maestro Parmenide, il quale sosteneva che il movimento è illusione.
Secondo Parmenide, infatti, molte cose che diamo per scontate (come la
pluralità ed il movimento) non sono altro che illusione: ci sembra che Achille
raggiunga la tartaruga, ma entrambi non sono altro che parti di un unico
essere immutabile ed il loro movimento è illusorio.
Il paradosso, nella forma in cui lo conosciamo, ci è pervenuto dalla
descrizione fattane da Aristotele (384-322 a.C.) nel suo libro “Φυσικฮฎς
Ακροฮฌσεως” (Fisica):
“Un mobile più lento non può essere raggiunto da uno più rapido; giacché
quello che segue deve arrivare al punto che occupava quello che è seguìto e
dove questo non è più (quando il secondo arriva); in tal modo il primo
conserva sempre un vantaggio sul secondo”.
Un lettore attento noterebbe subito che non vi è menzione del Pelide (piè
veloce) e della testuggine: il paradosso, infatti, fu presentato nella versione,
che spesso accettiamo come originale, solamente nel ‘900 ad opera di Jorge
Luis Borges. L’argomento si può esprime, ad esempio, in questi termini:
Supponiamo che si disputi una singolare gara di corsa tra Achille ed una
tartaruga. Achille corre con una velocità tale, diciamo, da coprire 4 metri in un
secondo, mentre il rettile è capace di percorrere soltanto un metro ogni
secondo (velocità irrealistica!). La sfida è palesemente impari: pertanto, alla
tartaruga viene assegnato un vantaggio di 4 metri.
Analizziamo fisicamente il problema: Achille ha velocità v A = 4 m/s; la
tartaruga si muove con velocità v T = 1 m/s; la distanza iniziale tra i due
contendenti è d 0 = 4m. Alla partenza, Achille copre una distanza pari a d 0 in
un tempo t 0 = 1s; la tartaruga in questo lasso di tempo si è, però, spostata di
un tratto d1 = 1m; Achille copre questa distanza in t 1 = 1/4s; tuttavia, la
tartaruga ancora gli sfugge, dato che in questo tempo essa avanza ancora di
un tratto d2 = 1/4m; Achille non demorde e avanza di un quarto di metro in un
tempo t 2 = 1/16s; eppure, la tartaruga è già avanzata del tratto d3 = 1/16m…
Achille, al tempo
๐‘ก๐‘ก = ๐‘ก๐‘ก0 + ๐‘ก๐‘ก1 + ๐‘ก๐‘ก2 + โ‹ฏ + ๐‘ก๐‘ก๐‘›๐‘› = ๏ฟฝ1 +
è separato dalla tartaruga da una distanza
๐‘‘๐‘‘๐‘›๐‘› =
1
๐‘š๐‘š,
4๐‘›๐‘›
1 1
1
+ 2 + โ‹ฏ + ๐‘›๐‘› ๏ฟฝ ๐‘ ๐‘ ,
4 4
4
la quale, seppure diventa estremamente piccola al crescere di ๐‘›๐‘›, non è mai
nulla! Dunque, dovremmo dar ragione a Zenone, poiché, rebus sic stantibus,
Achille non raggiungerebbe mai la tartaruga, se non in un tempo infinito (in
virtù della somma infinita di tempuscoli che caratterizza ๐‘ก๐‘ก).
Le argomentazioni di Zenone appaiono ineccepibili, all’infuori dell’argomento
finale: “dato che il tempo di incontro si presenta come somma di in๏ฌniti tempi,
si deduce che esso avverrà in un tempo infinito”.
La fallacia è presto dimostrata, se si fa ricorso ad un concetto matematico
assolutamente sconosciuto a Zenone: quello di serie (somma infinita). Tale
concetto ebbe una definizione di un certo rigore soltanto verso il 1700 e per la
definizione odierna bisognerà attendere addirittura fino al 1800!
Come si vede, la somma di infiniti tempi (ovvero la serie ๐‘ ๐‘ ๐‘ก๐‘ก ) da un risultato
finito che si può facilmente calcolare, tenendo conto, innanzitutto, che essa
può essere scritta in una maniera più compatta come
+∞
+∞
๐‘–๐‘–=0
๐‘–๐‘–=0
1
1
1 ๐‘–๐‘–
๐‘ ๐‘ ๐‘ก๐‘ก = ๐‘ก๐‘ก0 + ๐‘ก๐‘ก1 + โ‹ฏ + ๐‘ก๐‘ก๐‘›๐‘› + โ‹ฏ = ๏ฟฝ ๐‘ก๐‘ก๐‘–๐‘– = ๏ฟฝ1 + + โ‹ฏ + ๐‘›๐‘› + โ‹ฏ ๏ฟฝ ๐‘ ๐‘  = ๏ฟฝ ๏ฟฝ ๏ฟฝ ๐‘ ๐‘ ,
4
4
4
ovvero in termini di una serie geometrica di ragione 1/4 (ciò significa che il
rapporto di ogni termine della somma rispetto a quello precedente è
costantemente uguale a 1/4). Tale serie, come si dice in termini matematici,
converge: esiste, dunque, un numero finito ๐‘™๐‘™ a cui tende la successione delle
somme parziali della serie. Ovvero, si ha
๐‘™๐‘™๐‘™๐‘™๐‘™๐‘™ ๐‘ ๐‘ ๐‘ก๐‘ก = ๐‘™๐‘™ ∈ โ„
๐‘–๐‘–→+∞
Come possiamo conoscere, nel caso del paradosso, a cosa tende la nostra
somma? In altre parole, come possiamo sapere quanto vale ๐‘™๐‘™ (detto anche
somma della serie)? Facciamo qualche considerazione.
Ammettiamo di voler calcolare, innanzitutto, la somma (finita)
๐‘›๐‘›
1 ๐‘–๐‘–
๏ฟฝ๏ฟฝ ๏ฟฝ
4
๐‘–๐‘–=0
Notiamo che vale la relazione
1
1 1
1
1 ๐‘›๐‘›+1
๏ฟฝ1 − ๏ฟฝ ๏ฟฝ1 + + 2 + โ‹ฏ + ๐‘›๐‘› ๏ฟฝ = 1 − ๏ฟฝ ๏ฟฝ ,
4
4 4
4
4
che si ricava semplicemente svolgendo le moltiplicazioni tra i polinomi al
primo membro. Scrivendo quest’ultima relazione in maniera compatta, si ha
๐‘›๐‘›
1
1 ๐‘–๐‘–
1 ๐‘›๐‘›+1
๏ฟฝ1 − ๏ฟฝ ๏ฟฝ ๏ฟฝ ๏ฟฝ = 1 − ๏ฟฝ ๏ฟฝ ,
4
4
4
๐‘–๐‘–=0
da cui è immediato ricavare la somma. Ovvero
1 ๐‘›๐‘›+1
1
−
๏ฟฝ4๏ฟฝ
1
๏ฟฝ๏ฟฝ ๏ฟฝ =
1
4
1−
๐‘–๐‘–=0
4
๐‘›๐‘›
Però, considerando che
๐‘–๐‘–
1 ๐‘›๐‘›+1
๐‘™๐‘™๐‘™๐‘™๐‘™๐‘™ ๏ฟฝ ๏ฟฝ
= 0,
๐‘›๐‘›→+∞ 4
1
(essendo ๏ฟฝ ๏ฟฝ < 1)
4
si trova che la somma infinita, che noi ricercavamo, vale proprio
+∞
1 ๐‘–๐‘–
1
4
๐‘ ๐‘ ๐‘ก๐‘ก = ๏ฟฝ ๏ฟฝ ๏ฟฝ ๐‘ ๐‘  =
๐‘ ๐‘  = ๐‘ ๐‘  ≅ 1,3๐‘ ๐‘ 
1
4
3
1−
๐‘–๐‘–=0
4
Tornando al paradosso, questo significa univocamente che Achille raggiunge
la tartaruga. Ma ciò non avviene (come pensava Zenone) in un tempo infinito:
in realtà, il tempo che occorre ad Achille è finito e (per come sono stati
arbitrariamente scelti i valori numerici) tale tempo è anche molto piccolo!
Per capire ancora meglio il senso di questo paradosso e confutarlo in
maniera ancor più precisa e completa, è necessario possedere qualche
conoscenza della meccanica quantistica: il Principio di indeterminazione di
Heisenberg e la lunghezza di Planck.
Spesso si pensa che la meccanica quantistica sia una teoria fisica che abbia
senso esclusivamente nel mondo microscopico, a livello, cioè, fondamentale:
eppure, nulla vieta che essa possa essere applicata ad oggetti “quotidiani”.
Il principio di indeterminazione (in una delle sue formulazioni) afferma che
โˆ†๐‘‹๐‘‹โˆ†๐‘ƒ๐‘ƒ ≥
โ„Ž
,
4๐œ‹๐œ‹
ovvero, che il prodotto dell’incertezza โˆ†๐‘‹๐‘‹ sulla posizione di un oggetto (di
massa ๐‘š๐‘š e velocità ๐‘ฃ๐‘ฃ ) e dell’incertezza โˆ†๐‘ƒ๐‘ƒ sulla sua quantità di moto ๐‘ƒ๐‘ƒ = ๐‘š๐‘š๐‘š๐‘š
non può mai essere minore di una certa quantità (dove โ„Ž ≅ 6,63 โˆ™ 10−3 ๐ฝ๐ฝ๐ฝ๐ฝ è la
costante fondamentale di Planck).
Applicare tale principio a corpi di dimensioni ordinarie (๐‘š๐‘š โ‰ซ 1) non ha,
tuttavia, un significato numericamente apprezzabile: infatti, supponendo di
avere un corpo di massa unitaria, ad una indeterminazione della posizione di
un milionesimo di miliardesimo di millimetro corrisponderebbe una
indeterminazione della velocità dell'ordine del milionesimo di miliardesimo di
millimetro al secondo!
Ma, se pensiamo alle distanze tra Achille e la tartaruga che abbiamo prima
valutato, troviamo che dopo poche decine di intervalli ci ritroviamo ad avere a
che fare con dimensioni in cui la meccanica quantistica entra decisamente in
gioco. Su questa scala, evidentemente, i due mobili non sono più oggetti che
possiamo rappresentarci con esattezza: piuttosto, sono semplicemente delle
entità sulle quali facciamo delle misurazioni.
Portando sufficientemente avanti questo ragionamento, ad un certo punto ci
troviamo a considerare distanze talmente piccole che non ha più alcun senso
effettuare qualsiasi misura (poiché, oltre una certa distanza, il concetto di
dimensione perde ogni significato fisico): siamo giunti alla cosiddetta
lunghezza di Planck (๐‘™๐‘™๐‘ƒ๐‘ƒ ≅ 1,62 โˆ™ 10−35 ๐‘š๐‘š). Il problema, infatti, non è circa
l’effettiva fattibilità della misura, ma è puramente teorico: non ha senso!
Dal momento che ogni teoria scientifica serve soltanto ad incrementare la
nostra conoscenza e non a darci un’immagine “sensibile” dell’universo,
affermare che un’entità, ad esempio un intervallo, non può essere misurata
neppure da un punto di vista teorico vuol dire che dobbiamo evitare di
ostinarci a comprenderla nella nostra visione del mondo: vuol dire che essa
non esiste. Dobbiamo concludere che, dopo breve tempo, la distanza tra
Achille e la tartaruga non esiste più: si può affermare, a questo punto, che
alla fine l’inseguitore ha raggiunto il suo obbiettivo!
Tutte le considerazioni fatte (in maniera esemplificata) ci indicano che
Zenone con questo paradosso aveva “messo il dito nella piaga", segnalando
la difficoltà di essere rigorosi nei ragionamenti riguardanti l'infinito, mostrando
come anche nozioni di uso comune (principalmente quelle riguardanti il
movimento) potessero, quando analizzate da vicino, racchiudere una grande
complessità e come la loro “matematizzazione” fosse un'opera molto ardua, il
cui percorso teorico sarebbe stato lungo svariati secoli.
Vincenzo Ventriglia