CLASSE Vª CH A.S. 2002 - 2003 AREA DI PROGETTO M ME EL LA ASSSSO OE EF FE ER RM ME EN NT TA AZ ZIIO ON NE EA AL LC CO OL LIIC CA A 1 MELASSO E FERMENTAZIONE ALCOLICA Il melasso è un sottoprodotto del processo di produzione del saccarosio dalla barbabietola o dalla canna da zucchero. La nostra classe, nell’ambito dell’area di progetto, ha visitato gli impianti dello zuccherifico da barbabietole SADAM di Jesi e ottenuto un fusto da 10 litri di melasso, che sono stati utilizzati per esperimenti di chimica delle fermentazioni. IL PROCESSO PRODUTTIVO DELLO ZUCCHERO DA BARBABIETOLA Preparazione delle cariche Il saccarosio viene estratto dalle radici della barbabietola. Al momento della raccolta, la bietola subisce l’operazione di scollettatura, che consiste nell’eliminazione delle foglie, del picciolo e del colletto. Ora si effettua una prepulitura delle bietole, che poi vengono lavate in vasche di lavaggio. Successivamente vengono fatte passare in un magnete, per asportare le possibili parte meccaniche, e infine vengono tagliate per essere ridotte in fettucce. Estrazione L’estrazione avviene per diffusione tra l’acqua calda che entra in un diffusore, e le fettucce. L’operazione viene fatta in controcorrente, perché è l’unico modo per avere una concentrazione finale adeguata, assicurando sempre un’adeguata velocità di diffusione. L’estrazione è condotta a temperature di 60-70 °C, perché a questa temperatura si riesce a denaturare le pareti cellulari della barbabietola, questo avviene perché il saccarosio è contenuto nel liquido cellulare e le pareti cellulari agiscono come membrane semipermeabili, impedendo la fuoriuscita del saccarosio. Il diffusore più usato è il diffusore inclinato DdS. È costituito da un corpo inclinato molto lungo (25 m). All’interno sono presenti due coclee controrotanti che assicurano il movimento delle fettucce. Le fettucce fredde entrano dal basso ed escono dall’alto per passare al pressapolpe. Il riscaldamento è assicurato da camicie di vapore. La depurazione La depurazione ha lo scopo di eliminare il non-zucchero. Viene effettuata con un trattamento di Ca(OH)2 e CO2. la calce serve sia per precipitare le impurezze presenti, sia per mantenere un pH elevato per evitare l’idrolisi. La CO2 elimina l’eccesso di calce. Il sugo viene fatto passare preventivamente attraverso le griglie fermapolpe, che trattengono le parti più grossolane. La prima operazione vera e propria è la defecazione, che consiste nell’eliminazione dei sali degli acidi organici, tramite precipitazione con un eccesso di Ca(OH)2. La defecazione avviene in due defecatori. Ora la soluzione viene mandata in due saturatori che elimina la calce con CO2 riportando il pH ai valori desiderati. Il liquido di processo, uscente dal primo defecatore viene inviato a un decantatore, che sere per separare i precipitati formati,mentre il liquido uscente dal secondo saturatore viene riciclato al defecatore. Dal decantatore, la torbida passa ad una prima filtrazione, il sugo viene mandato ad un polmone e successivamente preriscaldata e ulteriormente saturato con CO2. Il liquido in uscita viene sottoposto a filtropressa, che separa completamente i fanghi. Il sugo depurato (sugo leggero) passa ad operazioni successive. La concentrazione del sugo leggero La concentrazione serve per concentrare il sugo leggero a sugo denso. Viene effettuata in evaporatori di tipo a tubi verticali corti con tubo centrale di ritorno. Si usa il sistema a multiplo effetto in equicorrente, per la natura tremolabile del prodotto. Il numero di evaporatori è compreso tra 4 e 6.La pressione si abbassa gradualmente negli effetti successivi al primo (2 atm). Bisogna, anche qui, controllare che il pH non scendi al di sotto di 8,8. Durante il processo si verifica il fenomeno della retrogradazione alcalina, cioè un abbassamento del pH (necessaria correzione con Na2CO3), nonché l’inscurimento del liquido zuccherino (caramellazione dovuta all’alta temperatura) e la formazione di precipitato. 2 La cottura Il sugo denso, eventualmente depurato, viene fatto cristallizzare per evaporazione. L’operazione viene condotta in discontinuo in evaporatori sotto vuoto a circolazione forzata, detti bolle di cottura. La sospensione di cristalli di saccarosio che si ottiene a fine cottura è detta massacotta. Al fine di ottenere cristalli grossi, facilmente lavabili e separabili dalla acque madri, è necessario operare con una soluzione debolmente sovrassatura, per favorire solo la crescita dei cristalli già presenti. Inizialmente si evapora il sugo denso fino a debole sovrassaturazione (<120%), quindi si in semina la soluzione per aggiunta di una sospensione di piccoli cristalli. Ultimata la cottura la massacotta viene trasferita per gravità nei cristallizzatori/miscelatori dove si completa la crescita dei cristalli. Da qui la massacotta passa in una centrifuga filtrante in cui si separano le acqua madri (scolo verde) e si esegue un lavaggio con acqua calda o vapore per ottener il cosiddetto scolo bianco, contenente molto saccarosio ridisciolto. Nel secondo stadio dell’operazione lo scolo verde è inviato in una seconda bolla, mentre lo scolo bianco viene riciclato alla prima. Dalla seconda bolla si ottiene una seconda massacotta che va ad una seconda da centrifuga. Lo zucchero di II cottura viene ridisciolto con acqua o sugo leggero e inviato alla I cottura, eventualmente previa filtrazione o depurazione. Condizionamento finale e stoccaggio Lo zucchero bianco in uscita dalla centrifuga contiene ormai poca umidità che deve essere eliminata prima dello stoccaggio. Si usano apparecchiature a tamburo rotante in cui lo zucchero viene prima essiccato con aria calda e poi raffreddato. Segue la vagliatura con riciclo del grosso e del fino alla rifondita e lo stoccaggio. Sottoprodotti Polpe esauste: essiccate per essere inviate ai mangimifici. Melasso: contiene molto zucchero in cristallizzabile, tutto il non zucchero e altre sostanze derivanti dal lavaggio delle bietole, da eliminare se lo si vuole destinare all’alimentazione animale o alla fermentazione (terreno di coltura per processi biologici). Non può essere usato tal quale nell’alimentazione animale perché lassativo. Può essere addizionato alle polpe esauste. Dal melasso si può recuperare buona parte del saccarosio mediante reazione con CaO. Il precipitato viene filtrato e aggiunto ai sughi leggeri in fase di depurazione. Il melasso ha all’incirca la seguente composizione 26% acqua; 46% zuccheri, di cui riducenti 20%, 5,6% di azoto come proteine-amminoacidi, 0,07% fosforo. La componente organca è lievemente diversa tra melasso di barbabietola e di canna. Componente organica Saccarosio Glucosio Fruttosio Betaina Amminoacidi Altre sostanze Barbabietola 66 1 1 6 8 18 Canna da Zucchero 44 10 13 0 3 30 La betaina è la trimetilglicina, dotata di un gruppo trimetilammonio e di un carbossile legati al CH 2. Un cardioprotettivo che si rinviene anche nei vini francesi scadenti, dato che in Francia si usa addizionare zucchero di barbabietola grezzo all’uva nella fermentazione del vino. Questo spiegherebbe il “paradosso francese” del basso tasso di malattie cardiache nonostante la dieta ricca di grassi e colesterolo. La betaina è, come l’acido folico e le vitamine B6 e B12, un antagonista dell’omocisteina, un amminoacido naturale che provoca rigidità ai vasi sanguigni. Il melasso, in quanto prodotto secondario a basso costo, è dunque un substrato ideale della fermentazione alcolica. 3 FERMENTAZIONE ALCOLICA Il primo stadio della fermentazione alcolica è il percorso biochimico noto come glicolisi. Le diverse cellule adottano diversi percorsi per trasformare il glucosio in acido piruvico, ATP e nucleotidi ridotti (NADH), ma il più diffuso è il percorso EMP, dalle iniziali dei tre scienziati, Embden, Meyerhoff e Parnas che delucidarono la natura degli intermedi e degli enzimi coinvolti nel processo. I microrganismi che operano la fermentazione alcolica sono inoltre capaci di operare in condizioni anaerobiche e sono dotati degli enzimi piruvato decarbossilasi e alcol deidrogenasi, grazie ai quali possono prima decarbossilare e poi ridurre il piruvato ad acetaledeide e ad etanolo, consumando il NADH prodotto nel percorso glicolitico. Un’interessante animazione del percorso glicolitico è reperibile alla web page http://www.people.virginia.edu/~rjh9u/glycol.html . Le reazioni parziali sono le seguenti: 1. Percorso glicolitico EMP Glicolisi C6H12O6 + 2 NAD+ 2 C3H4O3 + 2 NADH + 2 H+ Accoppiata a 2 ADP3- + 2 HPO42- + 2 H+ 2 ATP4- + 2 H2O ________________________________________________________________________________ C6H12O6 + 2 NAD++ 2 ADP3- + 2 HPO42- 2 C3H4O3 + 2 NADH + 2 ATP4- + 2 H2O 2. Fermentazione alcolica 2 C3H4O3 + 2 NADH + 2 H+ 2 CO2 + 2 C2H5OH +2 NAD+ ________________________________________________________________________________ C6H12O6 + 2 ADP3- + 2 HPO42- + 2 H+ 2 CO2 + 2 C2H5OH + 2 ATP4-+ 2 H2O La caduta di energia libera della reazione è trasformata nell’energia biochimica di due moli di ATP per mole di glucosio, cioè 2 × 30,5 kJ/mol = 61 kJ/mol glucosio. Considerando che il ΔG°’ della reazione C6H12O6 2 CO2 + 2 C2H5OH vale –193 kJ/mol (-46 kcal/mol, come il peso molecolare dell’etanolo) si ha una resa energetica del 32 % circa. L’energia biochimica generata tramite il processo fermentativo è dunque molto bassa, sufficiente appena per il metabolismo di base della cellula che, in queste condizioni, si riproduce con estrema lentezza. Il confronto è d’obbligo con le condizioni aerobiche in cui il glucosio, trasformato in CO 2 e H2O, libera 686 kcal/mol, ovvero 2870 kJ/mol, che possono generare fino a 38 moli di ATP, con una resa fino al 40%. 1. Glicolisi in dettaglio 1. Il glucosio, trasformato in glucosio 6-fosfato (G-6-P), diventa trasportabile all’interno della cellula. 4 Il bilancio energetico esoergonico deriva dall’idrolisi molto esoergonica di un’ATP, che dà una caduta di energia libera pari a 30,5 kJ/mole, mentre la reazione tra fosfato e glucosio, in cui si forma G-6-P, è endoergonica per 13,8 kJ/mol, pertanto richiede l’accoppiamento con l’idrolisi dell’ATP. L’enzima esocinasi richiede ioni Mg2+ perché riconosce MgATP2- come substrato. Il seguente grafico mostra come l’energia libera standard ricavabile dall’idrolisi dell’ATP sia minima alla concentrazione [Mg2+] = 15 mM. . 2. Isomerizzazione da glucosio 6-P a -D-fruttofuranosio 6-P, con aumento della tensione d’anello In questa trasformazione all’equilibrio, perché appena endoergonica, si forma solo l’anomero per ragioni che diverranno chiare alla tappa successiva. 1 3. Seconda fosforilazione dello zucchero, per aumentarne l’instabilità. Nel fruttosio 1,6-difosfato, prodotto con meccanismo accoppiato simile alla reazione 1, ci sono ora 4 cariche negative, rivolte dallo stesso lato, che portano la molecola a un livello energetico elevato. Questo è il passaggio di controllo più importante di tutto il processo: la fosfofruttocinasi è un enzima allosterico i cui inibitori sono lo stesso ATP, l'acido citrico e gli acidi grassi. Ciò significa Una struttura ciclica è quando l'OH formato dalla chiusura dell'anello emichetalico (per i chetosi, come il fruttosio) o emiacetalico (per gli aldosi, come il glucosio) cioè quello sul carbonio-2 del fruttosio, si trova dallo stesso lato del gruppo –OH asimmetrico più distante dal gruppo carbonilico, cioè quello usato per stabilire l’appartenenza alla serie D (o L), cioè l’OH in C5 nella struttura aperta e in proiezione di Fischer, che si trova a destra o “sotto” nella proiezione Haworth. 1 5 che la sua attività viene rallentata o addirittura bloccata se la concentrazione di queste molecole è in eccesso; al contrario, un'abbondante presenza di ADP o AMP lo attivano; in altre parole una carenza nella produzione di ATP, comporta la stimolazione della glicolisi. 4-5. Il fruttosio-1,6-difosfato viene scisso in due zuccheri fosforilati a tre atomi di carbonio: la gliceraldeide-3-fosfato e il didrossiacetone fosfato. La scissione del fruttosio-1,6-difosfato (reazione corrispondente a una condensazione alcolica inversa) e la formazione della gliceraldeide 3-fosfato (GA3P) da diidrossiacetonfosfato (DAP) sono termodinamicamente sfavorite, ma i due equilibri sono costretti a generare GA3P perché solo per questo metabolita esiste un enzima che gli consente di reagire e lo sottrae dall’equilibrio che lo rigenera continuamente. Quindi l’effetto complessivo è equivalente alla trasformazione del F 1,6DP in due molecole di GA3P. 6. Nella reazione avviene una fosforilazione (endoergonica) accoppiata all’ossidazione (esoergonica) dell’aldeide ad acido carbossilico, da parte di un coenzima, il NAD+. L’equilibrio rifornisce un agente fosforilante più energetico dello stesso ATP: l’1,3 difosfoglicerato (1,3 DPG). Esso contiene un legame fosfoanidridico più facilmente idrolizzabile dei legami fosfoesterei visti finora nel G-6-P, nel F-1,6-DP e nei triosi GA3P e DAP. 6 7. Fosforilazione dell’ATP da parte dell’1,3-DPG; si ottiene il 3-fosfoglicerato (3-PG) Questa reazione è energeticamente accoppiata con la precedente, in modo da dare un percorso complessivo esoergonico. 8. Isomerizzazione da 3-fosfoglicerato a 2-fosfoglicerato Il ΔG°’ è leggermente positivo perché la trasformazione comporta un avvicinamento delle cariche negative e quindi una destabilizzazione della molecola. 9. Disidratazione del 2-PG a fosfoenolpiruvato 10. Fosforilazione dell’ADP e formazione del piruvato. 7 Il fosfoenolpiruvato, PEP, è un forte fosforilante, instabile sia per la presenza di un ene-olo sia per la vicinanza delle cariche elettriche negative. Pertanto, il carattere fortemente esoergonico di questa reazione irreversibile si accoppia e “traina” le due precedenti trasformazioni endoergoniche. L'enzima, oltre allo ione magnesio, necessita di un attivatore quale lo ione potassio (oppure cesio, rubidio). Come le altre cinasi presenti nel ciclo litico del glucosio, anche la piruvato cinasi è inibita da un eccesso nella produzione di ATP, mentre si riattiva ogni qual volta si manifesta un aumento della concentrazione degli intermedi della glicolisi fruttosio-1,6-difosfato e acido fosfoenolpiruvico. Il bilancio energetico della glicolisi è il seguente: C6H12O6 + 2 NAD+ 2 C3H4O4 + 2 NADH + 2H+ ; ΔG°’ = -146 kJ/mol 61 kJ sono utilizzati per fosforilare due molecole di ADP, pertanto il bilancio netto è fin qui di –85 kJ/mol. Il piruvato è un importante intermedio metabolico. Può essere ridotto in diversi tipi di fermentazione anaerobica o entrare nel ciclo di Krebs. Per esempio, nella fermentazione omolattica si ha la formazione diretta di acido lattico: A noi interessa la trasformazione, in due stadi, del piruvato in etanolo, detta fermentazione alcolica Fermentazione alcolica in dettaglio 1. Decarbossilazione del piruvato Il piruvato prodotto dalla glicolisi deve innanzitutto perdere un cabonio prima di essere convertito ad etanolo. Questa operazione è catalizzata dalla piruvato decarbossilasi che elimina il gruppo carbossilico, sottoforma di anidride carbonica, e porta ad una molecola di acetaldeide. Questo enzima necessita, per svolgere la sua azione catalitica, dello ione Magnesio. 8 L’anidride carbonica qui prodotta proviene dai carboni 3 e 4 del glucosio, come può essere dimostrato usando un glucosio marcato con isotopi radioattivi. L’enzima piruvato decarbossilasi richiede il coenzima tiamina pirofosfato (vitamina B1 con legame estere al gruppo pirofosfato). La funzione e la posizione di tale coenzima (TPP) nel sito attivo dell’enzima sono illustrate dalla seguenti immagini: 2. Riduzione dell’acetaldeide a etanolo L’alcol deidrogenasi è l’enzima chiave, posseduto esclusivamente dai microrganismi capaci di dare la fermentazione alcolica.La struttura dell’enzima mostra che esso è costituito da 4 subunità, qui disposte in modo da mostrare il sito attivo al centro, dove è collocato uno ione Zn2+: 9 L’immagine di destra mostra il sito attivo ospitante il coenzima NADH e il substrato, meglio evidenziati nella seguente immagine. Lo ione zinco è coordinato da due cisterne, un’istidina e dall’ossigeno carbonilico dell’aldeide, il quale forma un legame a idrogeno con un OH della serina. Il doppio legame carbonilico è indebolito e reso elettrofilo dall’intorno creato dall’enzima. Il coenzima NADH, nella parte bassa, è pronto a cedere un H:all’acetaldeide, per trasformarla in etanolo. Il protone mancante proviene dall’OH della serina, che ridiventa neutra da una serie di trasferimenti protonici attraverso la superficie dell’enzima. 10 LA SPERIMENTAZIONE Abbiamo condotto la sperimentazione in due fasi: nel mese di dicembre 2002 e a fine anno scolastico, esclusivamente durante le ore di chimica delle fermentazioni. Per verificare la possibilità di utilizzare il melasso come fonte di zuccheri fermentabili abbiamo realizzato dei mini-fermentatori costituiti da una serie di beute da vuoto da 500 mL, chiuse con tappi di gomma, e collegate lateralmente con dei manometri con mercurio ad U, con portata 400 mmHg. All’interno di dette beute, immerse nel termostato a circolazione d’acqua, abbiamo messo un volume noto di soluzione di melasso in acqua di rubinetto, insufflato anidride carbonica (ricavata da HCl + NaHCO3) tramite un palloncino e un tubo, aggiunto un volume noto di sospensione di lieviti e chiuso il tappo per iniziare la misura della CO2 prodotta dalla fermentazione attraverso gli incrementi di pressione. Infatti a temperatura e a volume costante la pressione è direttamente proporzionale alle moli di CO2 generate, (da P·V = n·R·T si ricava P = R·T/V · n = K·n) stante che la soluzione sia stata previamente saturata di anidride carbonica (e così non possa scioglierne altra) e che la beuta e l’aria al suo interno abbiano già raggiunto la temperatura costante del termostato (altrimenti avremmo registrato aumenti di pressione aggiuntivi, dovuti all’incremento di temperatura, secondo la legge P = K·T). Le beute erano sottoposte ad agitazione costante, tramite ancorette magnetiche e agitatori posti sotto al termostato. In queste condizioni abbiamo potuto osservare in modo significativo, durante il poco tempo disponibile per il lab di biotecnologia, la fermentazione che altrimenti richiederebbe un lungo monitoraggio. Con l’eccezione delle prime prove preliminari, abbiamo sempre preparato l’inoculo facendo riprodurre i lieviti dal giorno precedente, in condizioni aerobiche e con un mosto sintetico. I prelievi della sospensione di lieviti sono stati fatti in condizioni di agitazione per garantire l’uniformità della coltura nelle diverse prove in parallelo. Abbiamo cercato di registrare solo le velocità di fermentazione iniziali, per poter assumere la costanza della concentrazione di substrato. Tale assunzione può essere così verificata: sopra-pressione massima: 400 mmHg = 0,53 atm temperatura = 300 K volume = 400 mL si ricava nCO2 = 0,0085 mol equivalenti a glucosio 0,0043 mol = 0,77 g = 0,77 % Per far sì che solo una parte trascurabile dello zucchero si consumasse, durante l’intervallo di tempo delle misurazioni (circa 2 ore), abbiamo usato concentrazioni di melasso superiori al 5 %. Dipendenza dal pH Velocità di fermentazione melasso a due pH iniziali diversi Pressione (mm Hg) pH 6,5 pH 7,5 200 180 160 140 120 100 80 60 40 20 0 0 20 40 60 80 100 120 tempo dall'inoculo (min) 11 Gli esperimenti sono stati condotti in beuta codata da 500 mL, a 26,5 °C ±2 °C, su 100 mL di una soluzione di melasso al 20% (circa il 10% di zuccheri), inizialmente areati e tamponati con ammoniaca e acido fosforico, inoculati con l’1 % di lieviti lasciati in aerazione per 24 h. Il pH della soluzione di melasso a 200 g/L, non tamponata, è di 7,45. Dopo le due ore del test il pH era sceso a 5,5. L’altra soluzione, pur tamponata, ha visto passare il pH da 6,0 a 5,3, da cui si deduce che il sistema tampone non è risultato sufficiente. Il brodo a pH iniziale 6,0 ha fermentato a una velocità leggermente inferiore (1,84 mmHg/min) rispetto alla soluzione a pH iniziale 7,5 (2,18 mmHg/min). Le velocità sono state ricavate dall’analisi bivariata delle zone più lineari di ogni grafico. Le leggere oscillazioni nel tasso d’incremento della pressione, riscontrabili nel grafico a pH 6 e nei successivi sono dovute alle variazioni di temperatura, dato che il controllo del termostato ha un margine di tolleranza di 2 gradi e le variazioni di temperatura provocano oscillazioni di pressione. Dipendenza dalla concentrazione di substrato Una volta messa a punto la tecnica in modo abbastanza riproducibile, nei successivi esperimenti abbiamo tentato di verificare la dipendenza della velocità di fermentazione dalla concentrazione di substrato, diluendo il melasso e aggiungendo altro glucosio a dosi crescenti alla coltura liquida. velocità di fermentazione a diverse concentrazioni di zuccheri (4 dic) 120 pressione (mmHg) 100 80 melasso 150 g/L + 20 g/L glu 60 melasso 150 g/L + 40 g/L glu 40 melasso 150 g/L + 60 g/L glu 20 0 0 10 20 30 40 50 tempo di fermentazione (min) Il nostro obiettivo era di individuare una zona di proporzionalità tra concentrazione di substrato e velocità di fermentazione, allo scopo di valutare, tramite il metodo delle aggiunte, la concentrazione di zuccheri fermentabili presenti nel melasso. Come si nota dal grafico del 4 dicembre (110 mL di brodo a pH 7,5 in beute da 500 mL, temp. = 30 °C, 2% di inoculo, pre-areato 24 ore), le curve alle tre diverse aggiunte sono praticamente parallele (in particolare quelle con +20 e +60 g/L), il che significa che la velocità di fermentazione è risultata praticamente identica nei tre casi. Abbiamo perciò pensato che il fattore limitante non fosse lo zucchero, ma qualche altro nutriente. In ogni caso, dall’andamento rettilineo dei grafici si può confortare la nostra ipotesi che la velocità di fermentazione iniziale sia costante. Pertanto abbiamo sostituito l’acqua con un mosto sintetico (modificato dall’appendice A del testo Fornari, Gando, Evangelisti: “Microbiologia e Chimica delle Fermentazioni”, Zanichelli ed. pag. 291) per diluire il melasso e i lieviti. K2HPO4 1g (NH4)2SO4 0,5 g MgSO4 0,1 g FeSO4 0,1 g Glucosio sostituito dal melasso Acido tartarico 4g Tartrato acido di potassio 2 g Estratto di lievito 3g Acqua di rubinetto q.b. per 1 L Portare a pH 6 12 Il melasso, come nella prova del 4 dicembre, era diluito a 150 g/L. e le altre condizioni erano identiche, eccetto il pH, portato a 6 e rimasto a 6 fino alla fine dell’esperienza. senza aggiunta +20 g/L glu + 40 g/L glu +60 g/L glu velocità di fermentazione pH 6 con integratori 11 dic. 120 pressione (mmHg 100 80 60 40 20 0 0 20 40 60 80 tempo di fermentazione (min) P (mmHg) La curva di fermentazione del campione senza aggiunta (solo melasso a 150 g/L) è stata interrotta dalla fuoriuscita del tappo di gomma, ma sostanzialmente ha mantenuto la stessa velocità di fermentazione delle colture con aggiunte di glucosio. In particolare si noti l’andamento pressoché parallelo delle aggiunte +20 g/L +60 g/L. La velocità di fermentazione in questo caso, a pH 6 con l’aggiunta di nutrienti, è risultata più bassa (circa 2,2 mmHg/min) rispetto alla situazione del 4 dicembre, a pH 7,5 e senza nutrienti, con circa 2,7 mmHg/min. Questa constatazione rispecchia quella riscontrata nelle prove Pressione CO 2 fermentazione a diverse concentrazioni preliminari in parallelo, di glucosio su mosto sintetico(18 dic) effettuate ai due pH. 120 Abbiamo concluso che le concentrazioni di zuccheri 100 potevano essere eccessive e superassero il limite di 3% glu 80 saturazione. Pertanto abbiamo 6% glu ri-progettato l’esperi-ento in 60 9% glu assenza di melasso e con 40 12% glu glucosio a concentra-zioni più basse: 30, 60, 90, 120 g/L, 20 sempre con mosto sintetico e condizioni di temperatura, 0 inoculo e pH identiche 0 10 20 30 40 50 tempo (min) all’esperienza dell’11 dicembre. I risultati sono stai ancora una volta poco confortanti. In particolare le curve a 3 e a 12 % di glucosio procedono in parallelo. Abbiamo ripetuto un altro esperimento a concentrazioni ancora più basse di glucosio (0,5 – 3 %) che però si è interrotto a causa di una fuoriuscita di mercurio, per cui non abbiamo potuto elaborare i dati. 13 La seguente mappa concettuale è stata redatta per riassumere i possibili fattori che influenzano la velocità di fermentazione, che necessiteranno di ulteriore sperimentazione. 14 Esistono diverse applicazioni del melasso nelle fementazioni industriali, facilmente reperibili in internet. Al sito http://perso.wanadoo.fr/interis/efermentation.html abbiamo trovato anche diversi schemi d’impianto. Nell’impianto le melasse da canna e da barbabietola sono miscelate, per completare il corredo vitaminico, e unite agli zuccheri prodotti dalla linea di saccarificazione di residui di cereali. In questo impianto l’alcol è prodotto in continuo, concentrato al 96% (conc. azeotropica) tramite impianto di rettifica e poi disidratato tramite setacci molecolari di zeoliti, un processo che richiede molta meno energia rispetto alla tradizionale distillazione della miscela azeotropica ternaria che, utilizzando benzene, ha anche un elevato rischio per la sicurezza e l’ambiente 15 Impianto di rettifica dell’etanolo. Si produce l’azeotropo al 95-96 % di EtOH. Produzione di alcol disidratato (H2O < 0,1%) tramite setacci molecolari. FERMENTAZIONE CONTINUA IN CHEMOSTATO CON LIEVITO IMMOBILIZZATO SU ALGINATO DI SODIO Nel nostro laboratorio abbiamo sperimentato anche la fermentazione continua del melasso immobilizzato in sferette di arginato di calcio. 1. Preparazione della sospensione di lieviti in alginato di calcio Si preparano 250 mL di una soluzione al 2% di alginato di sodio, portandola all’ebollizione, come si farebbe con l’agar per renderla limpida. Una volta raffreddata (rimane liquida) la soluzione è addizionata a 100 mL di sospensione di lieviti ottenuti da un cubetto per panificazione di 25 g e mantenuta in agitazione finché non diviene omogenea. 2. Preparazione delle sferette di alginato di calcio al lievito Preparare un ampio cristallizzatore con 200 – 300 mL di cloruro di calcio al 2%, con un’ancoretta magnetica, posto su un agitatore magnetico. 16 Si distribuisce la sospensione all’interno di una o più siringhe di plastica da 25 mL. Se la torbida non è troppo viscosa si lascia l’ago alle siringhe (per ottenere gocce più piccole). Se invece è troppo fluida e non cadono gocce ben separate, occorre mettere gli aghi. Le siringhe sono sospese a 5 cm dalla superficie della sospensione di cloruro di calcio in lenta rotazione, facendo in modo che le gocce non cadano né al centro né troppo vicine al bordo del cristallizzatore. Nel cadere l’alginato i sodio si trasforma in alginato di calcio, che reticola formando una parete di gel polimerico elastico, all’interno delle cui maglie possono passare le molecole di etanolo, oligosaccaridi, H2O e CO2, ma non le cellule di lievito, ben più grandi. Ogni sferetta è perciò un fermentatore in miniatura (2-3 mm) nel quale entra zucchero ed escono alcol e CO2, perfettamente separati dal catalizzatore biologico. Tutta la sospensione di lieviti in alginato viene trasformata in sferette, da conservare in un becher con poca acqua posto in frigo. Struttura polisaccaridica dell’alginato, con un alternanza casuale di molecole di acido galatturonico e mannuronico, legate da legami O-glicosidici o 1-4, salificate con lo ione Na+. 17 Le sferette così ottenute sono state trasferite nel reattore di fermentazione in vetro, dopo averne misurato il volume (150 mL) per spostamento dell’acqua in un cilindro. Il fermentatore è un cilindro di vetro da 600 mL con tre ingressi sulla sommità. Quello centrale serve per la sonda termometrica; quello di destra (in foto) per l’ingresso della soluzione di melasso; quello di sinistra per il troppo pieno d’uscita, regolabile in altezza, con un puntale forato che impedisce la fuoriuscita delle sferette. Il brodo con le sferette di alginato è sottoposto alla minima agitazione (magnetica) sufficiente per tenere in moto le sferette. La temperatura è stata impostata inizialmente a 28 °C nel controller ma, data l’elevata temperatura delle giornate di fine maggio, per garantire che non fossero superati i 30 °C, l’impostazione doveva essere a 26 °C. In posizione sopraelevata rispetto al fermentatore abbiamo caricato il serbatoio con il terreno zuccherino agitato e alimentante in continuo il fermentatore, introducendo in esso 3 kg di melasso e 2 kg d’acqua di rubinetto. Una volta ottenuta una soluzione omogenea (e non è stato facile) si sono aggiunti 100 mL di soluzione di acido fosforico, solforico e cloridrico 2 M, con l’aggiunta di 5 grammi di solfato ferroso e 10 g di fosfato d’ammonio. In queste condizioni il pH ottenuto era quello considerato ottimale per iniziare la fermentazione alcolica, cioè 5,5. Da una ricerca in internet abbiamo rintracciato un sito, che descrive in dettaglio un impianto di fermentazione continua 18 di materiali zuccherini a basso costo (derivati della saccarificazione di scarti cellulosici e melasse). Tale impianto, su http://www.fao.org/docrep/w7241e/w7241e0a.htm per produrre etanolo, utilizza proprio sferette di alginato in un processo continuo con riciclo, anche se con un diverso lievito immobilizzato: il Kluyveromyces cellobiovorus, capace di idrolizzare i legami -glicosidici del cellobiosio (il disaccaride formato dall’idrolisi della cellulosa), utile per materiali zuccherini ricchi di derivati cellulosici. Il processo continuo illustrato è in grado di mantenersi per parecchi mesi in uno stato stazionario a concentrazione di etanolo poco inferiore al 5 % (che non causa forte inibizione e mantiene un buon livello di attività fermentante ai lieviti), con concentrazioni elevate di zuccheri (intorno al 35 %), per avere meno liquami da depurare, il tutto con produzioni di 35 g etanolo all’ora per litro di coltura. Considerato un fattore di trasformazione da zucchero ad alcol di 0,5, si ricava un tasso di trasformazione di 70 g·L-1·h-1. Da questi dati si ricava una velocità di diluizione D = 0,7 h-1. Riportando tale valore al nostro volume di fermentazione (425 mL) si ha un flusso F = D · V = 0,7 h-1 · 0,425 L = 0,3 L/h, che avrebbero esaurito le nostre riserve di melasso in meno di 17 ore. Pertanto abbiamo impostato un flusso più basso, regolando il rubinetto, pari a 133 mL/h, ovvero a D = F/V = 133/425 = 0,31 h-1, che ci garantiva una durata di circa 37 ore, sufficienti a osservare la formazione in continuo di alcol e il raggiungimento dello stato stazionario. La fermentazione in atto si manifestava con la produzione di una schiuma ben controllabile sulla superficie del brodo. Per monitorare questa esperienza, avente carattere preliminare, non abbiamo effettuato analisi, anche se la formazione di alcol era ben distinguibile dall’odore, ma abbiamo piuttosto risolto problemi tecnici e messo a punto un chemostato che potrà essere utilizzato per esperienze future. 19