“Nel teatro dei testi con le ruote”. Il lavoro del dramaturg secondo

“Nel teatro dei testi con le ruote”. Il lavoro del dramaturg secondo
Claudio Meldolesi e Renata Molinari
di Armando Petrini
Pochi anni prima di morire, Walter Chiari raccontava a uno stupito
Masolino d’Amico delle sue improvvisazioni in scena insieme a Renato
Rascel durante una tournée nei teatri stabili. “Ma il regista non vi
diceva niente?” gli domanda Masolino. “Beh, sai com’è, era un registaenzima”,
risponde
Chiari.
Aggiungendo,
per
spiegarsi
meglio:
“Hai
presente gli enzimi? Sono quei cosetti che assistono al metabolismo”.
Una battuta folgorante, sottile e pungente come è nello stile del
miglior Walter Chiari, utile a sottolineare in modo implicito come il
teatro coincida con l’evento che di sera in sera si origina di fronte
agli spettatori, e non con la replica di ciò che è stato provato e
riprovato durante la preparazione dello spettacolo sotto la direzione
vigile del regista.
Carlo Cecchi direbbe che il tempo del teatro è “il presente”, e cioè
il tempo di quello che accade ciascuna sera sulla scena -e ciascuna
sera in modo diverso. Non il tempo “futuro” (il tempo della “prova”,
che prova quel che diventerà poi la “prima”), né quello “passato” (il
tempo
della
“replica”
che
replica
quel
che
è
avvenuto
durante
la
“prima”).
La pubblicazione di un libro importante e stimolante come quello di
Claudio Meldolesi e Renata M. Molinari (Il lavoro del dramaturg. Nel
teatro dei testi con le ruote, Ubulibri) ci aiuta a indagare questa
propensione
al
“metabolismo”
dell’evento
teatrale
sotto
una
prospettiva diversa e inconsueta, quella del dramaturg.
Chi è il dramaturg? Il dramaturg è una figura nata in Germania nel
corso del Settecento che collabora con il capocomico (e poi con il
regista o con l’attore-regista) nell’elaborazione del testo o della
partitura
da
recitare
attraverso
un
lavoro
molto
stretto
con
gli
attori e con la scena. Nel metterne a fuoco il ruolo e la funzione,
Claudio
Meldolesi
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e
Renata
Molinari
muovono
dall’idea
che
il
suo
lavoro coincida con quello di chi costruisce testi “con le ruote”
(come il libro suggerisce sin dal sottotitolo): il dramaturg, scrive
Meldolesi, è un “addetto al buon funzionamento delle ruote teatrali
ovvero a favorire la loro disposizione a connettere la scena, il testo
o
partitura
e
gli
spettatori”
(p.14).
Qualcuno
che
sa
pensare
al
teatro come a un accadimento il cui protagonista è la scena, e non un
testo
scritto,
semplicemente
da
rappresentare
e
da
replicare.
Il
dramaturg perciò è –o dovrebbe essere- in grado di mettere le ruote ai
testi,
contribuendo
a
restituire
al
teatro
il
suo
effettivo
linguaggio, che è quello della scena e non quello della letteratura.
Non è un caso che nella definizione stessa offertaci da Meldolesi il
dramaturg diventi un “attore ombra”: colui cioè che lavora al testo –e
attraverso di esso allo spettacolo nel suo complesso- dal punto di
vista
dell’attore,
facendo
propria
perciò
un’idea
“attoriale”
del
testo e dello spettacolo. Qualcuno, scrive ancora Meldolesi, “disposto
all’arte dall’umiltà e partecipe con un sentire di base attoriale”
(p.93).
Tutto ciò naturalmente a voler considerare la figura del dramaturg
all’interno di un orizzonte artistico e non in una prospettiva di
razionalizzazione della scena, stante l’“incolmabile distanza creatasi
fra dramaturg artisti e burocratici” (p.11). L’incipit del libro è da
questo
punto
collaborazione
sovranazionali,
romanzi”
di
vista
teatrale
come
(p.23).
Non
molto
di
quelle
chiaro:
adeguamento
che
oggi
interessa
cioè
“Non
alle
parliamo
esigenze
‘valorizzano’
agli
autori
di
dei
tanti
il
una
mercati
film
e
dramaturg
professionista della confezione teatrale, dello spettacolo ben fatto.
Interessa piuttosto la figura, il ruolo e le prospettive del dramaturg
che collabora a progetti che muovono da ambizioni artistiche.
Da questo punto di vista quell’attore-ombra che è il dramaturg non
impone né dirige alcunché. E’ piuttosto colui che durante il lavoro di
preparazione dello spettacolo raccoglie e offre stimoli alla e dalla
scena. Il “vero dramaturg”, scrive ancora Meldolesi, “non agisce né in
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nome
di
presunte
superiorità
intellettuali
né
da
realizzatore
di
servizi o specialista in occasionali adeguamenti del testo al lavoro
di scena; piuttosto, ricerca umilmente nuovi stimoli, anche originari”
(p.24).
Il suo compito non coincide perciò con quello di chi “riduce” i testi,
come osserva ancora molto acutamente Meldolesi, ma con quello di chi
li “riattiva”: di chi li restituisce a una prospettiva di autentica
vita
scenica
contribuendo
dunque
a
creare
le
condizioni
migliori
perché avvenga sul palcoscenico quel “metabolismo” cui si riferiva
Walter Chiari.
Il lavoro del dramaturg, come si è detto, è un libro scritto a quattro
mani.
Ma
il
approcci
volume
non
diversi.
si
limita
ad
Piuttosto
accostare
presenta
semplicemente
due
due
prospettive
significativamente distinte, quella dello storico-critico e quella del
dramaturg. Mentre infatti nella seconda parte il volume offre una
riflessione
critica
problematica-
sulla
di
Renata
propria
Molinari
esperienza
-utile
concreta
e
sul
utilmente
campo,
nella
prima, scritta da Claudio Meldolesi, il libro affronta con respiro
singolarmente ampio e ricco i nodi problematici che pone lo studio del
dramaturg dal Settecento a oggi. Di grandissimo interesse, in questa
prima parte, l’abbozzo implicito di una sorta di “storia e geografia”
del dramaturg, attraverso un ragionamento che muove dalla centralità
dell’area tedesca (sin da Lessing), provando però poi a individuare
identità e specificità di altre “aree teatrali” (come le definisce
Meldolesi), quali per esempio quella italofrancese o quella spagnola.
Per questa via Meldolesi giunge anche a sottolineare la crucialità per
l’area “italofrancese” della figura del grandissimo Gustavo Modena,
cui si deve il “primo, articolato approdo della dramaturgie italiana”
(“cui seguì -aggiunge Meldolesi- quello che sembra essere stato il
primo
[approdo]
“raccomandava
di
francese”,
non
muovere
p.79).
dai
Modena,
testi,
ma
da
osserva
come
la
Meldolesi,
scena
può
incontrarli in vista del suo spettacolo” (p.11). Per questo Modena
ebbe
rapporti
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stretti
con
alcuni
“letterati
in
sintonia”,
che
seguivano
e
assecondavano
la
sua
riforma
teatrale:
“Sul
loro
riattivare [...] egli riteneva di aver piena voce in capitolo: perché
spiazzassero
le
attese
del
pubblico
sul
divenire
dell’azione
e
favorissero così le sfasature recitative del dettato proprie alla sua
arte” (p.81). E qui si porrebbe forse un problema, che ci limitiamo a
segnalare. Così come la regia dell’attore-regista, sin dai precedenti
della “protoregia” di Modena appunto, si muove in modo diverso dalla
regia del Regista, allo stesso modo la dramaturgie propria al teatro
dell’attore-regista potrebbe non coincidere del tutto con quella del
teatro del Regista. Ma questo è solo uno dei molti spunti che le
riflessioni di Meldolesi consegnano al lettore, a partire dalle quali
nuove
ricerche
potranno
eventualmente
condurre
a
ulteriori
approfondimenti.
Un
libro
importante,
dunque,
e
anche
impegnativo.
Perché
suscita
interrogativi, suggerisce angolature inconsuete, si pone nei confronti
del lettore in una prospettiva consapevolmente e correttamente “di
parte”, non sottraendosi così a quella che ci pare dovrebbe essere una
pulsione fondamentale della critica: usare questa particolare forma di
partigianeria come un’arma. Una partigianeria perciò che non si riduce
ad affermare semplicemente se stessa, ma che ambisce a stimolare,
attraverso
la
proposta
di
un
punto
di
vista
volutamente
imparziale, le ragioni di un pensiero critico e complesso.
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