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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE
SUDARESUD
di Lucio Lussi
L‘AVVELENATA
ECCE RIOMA
di Romina Ciuffa
Periodico di informazione, attualità e cultura musicale a cura del Saint Louis College of Music
NUMERO 19
di Romina Ciuffa
Est. Dove l’Italia diventa tacco e la terra è
stretta tra due mari - l’Adriatico e lo Ionio placidi o impetuosi come divinità comanda.
I salentini lo sanno bene: lu sule, lu mare, lu ientu,
sono impressi a fuoco nel dna. Tramontana o scirocco, gli ulivi secolari sono a ricordare che tutto
cambia con insolita immobilità. Il Sud Sound
System è impastato di tutto questo, usa il linguaggio del reggae ma parla di muretti a secco e spiagge incontaminate, che rischiano di scomparire per
un turismo becero. Era il 1991, il Salento rischiava di essere annientato dalla criminalità organizzata, intanto diventava «lamerica» per gli
albanesi e arrivavano i turisti. E i Sud. (...)
a prima che mi viene
in mente, per dare
conto del progetto
Rioma, è Brenda, trans
trovata morta il 20
novembre 2009 soffocata dal fumo sprigionatosi nell’incendio del
suo monolocale in Via
Due Ponti a Roma, nel quale riceveva per favori
sessuali anche l’ex governatore della Regione
Lazio Piero Marrazzo. China, Natalie, Giosy e
tutte le transessuali di Due Ponti, il clamore, gli
scoop, le carte false, i soldi, le menzogne: dalle
coperte alle copertine il caso Marrazzo ha portato il Brasile a letto. Non bastavano i luoghi
comuni, testosterone che conosce solo un brasili-ano. Carnevale senza repinique, caixa, surdo,
pandeiro, berimbau, tamborim, agôgô, cavaquinho, chocalho, cuica, reco-reco. Brasiliano
senza Brasil. Il fondo della schiena. Il fondo.
Rioma prende atto dell’assenza di informazione,
e mette il Brasile a portata di riomano. (...)
oi critici, voi personaggi austeri, militanti
severi, chiedo scusa a vossìa, però non ho
mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni
o si possa far poesia», cantava il Guccini anarchico de L’avvelenata, deluso dalla strumentalizzazione politica della musica. Se De André veniva
sospettato di simpatizzare per le Brigate Rosse
dopo il suo Bombarolo («C’è chi lo vide ridere
davanti al Parlamento aspettando l’esplosione
che provasse il suo talento»), una passeggiata di
salute è quella di Paola Turci, la cui Devi andartene esce in piena crisi di Governo. Ma cos’altro
c’è da dire dopo Battiato? «Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni!» (Povera Patria) (...)
¢ CONTINUA NELLA PAGINA VISTAMARE
¢ CONTINUA NELLA PAGINA RIOMA
¢ CONTINUA NELLA PAGINA SPECIAL
L
Nel n. 19 anche:
l’Ambasciatore
italiano in Brasile
Gherardo La
Francesca, il MIB
(RIOMA);
Brunori Sas,
BalconyTv,
A Toys Orchestra
(BEYOND);
l’Antitrust sulla
musica, Adriano
Mazzoletti
(JAZZBLUES);
Lou Reed &
Metallica, Rolling
Stones, Sonic
Youth, il digitale
(ROCKOFF);
Electric Self
Anthology, Sigur
Ros, Uomini che
odiano le donne
(SOUNDTRACK);
Mino de Santis
(VISTAMARE);
Bud Spencer
Blues Explosion,
Roberto Taufic,
Mat, Collettivo
del Ponte, Maria
Pia de Vito
(FEEDBACK);
libri (FEEDBOOK)
A
JAZZ
& blues
«V
STEFANO BOLLANI
YAMANDÚ COSTA
[email protected]
MUSIC IN SPECIAL
SORA
Direttore
ROMINA CIUFFA
CE
SIRA
Direttore Responsabile
Salvatore MASTRUZZI
Music In Channel
Videointerviste
Reportages, Live
Romina CIUFFA
www.youtube.com/musicinchannel
www.musicin.eu
Caporedattori
ROSSELLA GAUDENZI
FLAVIO FABBRI web
Redazione
Flavio FABBRI
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Rossella GAUDENZI
[email protected]
Roberta MASTRUZZI
[email protected]
Contributi
Giuseppe Arnesano
Nicola Cirillo
Lorenzo Fiorillo
Lucio Lussi
Alessia Panunzi
Filomena Rubino
Livia Zanichelli
Music In Radio
Romina Ciuffa
Michele Falanga
Tipografia
Litografica Iride Srl
V. Bufalotta, 224 - Roma
Photoedit Daniele DENCS
Anno IV n. 19
Reg. Tribunale di Roma n. 349 del 20/7/2007
STEFANO
MASTRUZZI
EDITORE
FEED
back
COLLETTIVO DEL PONTE
BEYOND
&further
JANG SENATO
LE NOSTRE CONGRATUL-AZIONI
11 novembre 2011 il Ministero
dell’Istruzione, Università e Ricerca
ha emanato il decreto di riconoscimento per la Fondazione Siena Jazz,
che autorizza la storica scuola senese al
rilascio di lauree di primo livello in
musica jazz, finalmente parificate alle
lauree dei Conservatori. È la prima
Scuola non pubblica in Italia a conseguire tale riconoscimento, superando
ostacoli normativi, burocratici e l’ostruzione da parte dei baroni della musica
accademica che avrebbero preferito fosse
solo il Conservatorio a rilasciare titoli dal
valore legale.
Fortunatamente non è più così, e ci si sta di
fatto allineando alle direttive europee che richiedono che l’educazione musicale d’eccellenza sia
aperta anche alle Istituzioni private. E non vi sarebbe
alcun motivo serio per non farlo.
Una manciata di sana concorrenza non potrà che far del
bene anche alle strutture statali, appesantite dalla
comoda situazione di sostanziale monopolio finora
goduta, da assunzioni non trasparenti e da docenti
che insegnano musica senza aver mai fatto concerti.
L’
Si tratta di una buona notizia anche per questa sponda del Tevere, appurato che il Saint Louis è l’unico Istituto ad aver presentato analoga
domanda, poco dopo la Fondazione Siena Jazz, ed è insieme alla stessa
che da anni si batte al fine di ottenere il riconoscimento, dando anche un
significativo segnale di collaborazione fra strutture di alto livello. L’iter
della domanda di accreditamento del Saint Louis è all’ultimo passaggio,
avendo già superato positivamente la verifica dei contenuti e dei programmi didattici da parte dello Cnam (Comitato nazionale per l’Alta formazione musicale e artistica), cui compete il rilascio delle autorizzazioni
anche per i Conservatori, e mancando solo un parere, quello dell’Anvur
(Commissione per la valutazione del sistema universitario). Il Saint Louis
sarà a tutto titolo la prima Istituzione in Italia a rilasciare lauree di primo
e di secondo livello in musica moderna.
Eppur mi preme precisare come nel mondo della musica non sia propedeutico possedere un titolo avente valore legale per esercitare la relativa professione, bensì sia necessaria una adeguata e solida preparazione e una
distinta capacità professionale. La prova è data proprio dai 35 anni di attività del Saint Louis, durante i quali la nostra scuola ha formato migliaia di
professionisti che oggi suonano, compongono, arrangiano e insegnano in
tutta Italia, finanche nei Conservatori. Purtuttavia, il riconoscimento legale rappresenta un’ulteriore conferma della qualità dell’insegnamento e,
insieme al meritato prestigio, garantisce la possibilità di offrire una «carta
qualità» in più ai presenti e futuri diplomati e laureati in questi centri di
eccellenza di livello europeo.
¢ CONTINUA NELLA PAGINA JAZZBLUES - L’APPROFONDIMENTO: INTERVIENE L’ANTITRUST
Stefano Mastruzzi
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JAZZ
& blues
a cura di ROSSELLA GAUDENZI
Music In ¢ NUMERO 19
ANTITRUST L’Autorità Garante per la Concorrenza ed il
Mercato condanna È scorretta la pratica commerciale di diffusione di messaggi ingannevoli sul titolo di diploma musicale
BOLLANI CARIOCA Compie il secondo viaggio musicale a Rio
de Janeiro: dopo Bollani Carioca, un Dialogo con il brasiliano
Hamilton De Holanda, inventore del mandolino a 5 doppie corde
di Romina Ciuffa
BOLLANI
NELLE
RIOMANI
ANTIDOTO
L’
Antitrust ha condannato la scuola Music Academy per pratica commerciale scorretta: la diffusione di messaggi ingannevoli (tra cui «rivoluzionaria certificazione» o «triennio di laurea»)
volti a promuovere i propri servizi di formazione come diretti al conseguimento di titoli parificati a diplomi di laurea, così potenzialmente fuorviando un bacino di studenti interessato ad
un percorso accademico completo e fondato su aspettative occupazionali
è un antidoto agli abusi del mercato: l’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato. Che oggi
firma - relatore il presidente Antonio Catricalà, ora
nuovo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - la
condanna avverso la s.r.l. Music Academy Italy, attiva nel
settore dei corsi di musica e danza, per una pratica commerciale scorretta con riferimento al prospettato rilascio di titoli accademici. Nonostante non risulti essere Università
riconosciuta in Italia, la scuola promuoveva da tempo i propri servizi formativi come «triennio di laurea» e «diploma
di laurea in musica contemporanea (I livello)», omettendo
di fornire le informazioni adeguate circa le caratteristiche
dei servizi offerti, il valore dei titoli rilasciati e le relative
opportunità in termini di sbocchi professionali.
Nella home page del sito internet, fino alla condanna
del Garante, dalla sezione Corsi era possibile accedere ad
una pagina web che riportava: «Triennio di laurea. Corso
riconosciuto in tutti i Paesi dell’Unione Europea». Quindi
spiegava: «Dalla collaborazione tra Music Academy 2000
(Bo), Los Angeles Music Academy, Acm e Middlesex
University di Londra, nasce la prima certificazione in
Italia che consente ai nostri corsi del Triennio di Laurea il
riconoscimento a livello europeo in qualità di Laurea di
primo livello: Bachelor of Art in Contemporary Pop
Music. Studiare per un diploma di laurea. triennio di laurea di I livello valido in tutti i Paesi dell’Unione Europea,
creato in collaborazione con Acm ed il Network
Internazionale Music Academy e rilasciato da Middlesex
University». In altre parti del sito era possibile leggere:
«Le rivoluzionarie certificazioni, unitamente ad altre iniziative didattiche, offrono finalmente anche ai musicisti
italiani l’opportunità di veder riconosciute le proprie
conoscenze e di poterle finalizzare ad una carriera professionale. Sarà possibile accedere alla scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS) come da
qualsiasi laurea o conservatorio (...)».
Music Academy ad oggi non è riconosciuta dal Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca né come ateneo né come istituto superiore di studi musicali mentre, nell’elenco degli «International Academic Partners» riportato
sul sito internet della Middlesex University, la scuola bolognese non è tra i soggetti con i quali ha in atto accordi di
collaborazione didattica. Anzi, viene espressamente escluso qualsiasi tipo di collegamento con la stessa. Con riferimento ai rapporti esistenti con la Los Angeles Music
Academy, era in corso solo una partnership verbale per
l’applicazione di trattamenti agevolati a favore degli studenti italiani provenienti dal circuito Music Academy, pur
non essendovi esempio di uso di dette facilitazioni presso
la scuola americana. Quanto alla Acm (Academy of
Contemporary Music), non risulta alcun collegamento.
Secondo la vigente disciplina, i titoli di studio universitari e le qualifiche accademiche sono soltanto quelli previsti dalla legge ai sensi dell’articolo 1 della legge 19
novembre 1990, n. 341. La legge 21 dicembre 1999, n.
508 ha introdotto la riforma delle istituzioni artistiche e
musicali italiane e ha innovato i contenuti dell’offerta formativa di queste istituzioni mediante la previsione, accan-
C’
to alla formazione di base, della sperimentazione, della
ricerca e delle correlate attività di produzione, armonizzandola a quella proposta dalle istituzioni del sistema universitario. Le Accademie di belle arti, l’Accademia nazionale di arte drammatica e gli Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA), nonché i Conservatori di musica,
l’Accademia nazionale di danza e gli Istituti musicali
pareggiati realizzano il sistema nazionale dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale. Stop.
L’Antitrust, al termine del procedimento in contraddittorio, ha sentenziato: la pratica commerciale condotta
dalla Music Academy risulta scorretta ai sensi degli artt.
20, 21 e 22 del Codice del Consumo, sulla base di varie
considerazioni. Il comportamento del professionista - l’aver diffuso, attraverso internet, un messaggio pubblicitario volto a promuovere i propri servizi di formazione e il
conseguimento di titoli esteri senza fornire chiare e trasparenti precisazioni circa le modalità di conseguimento e
la reale natura dei titoli rilasciati - è risultato scorretto. Le
modalità con cui è stata promossa l’offerta formativa
infatti, con espressioni che evocano nella comune percezione l’organizzazione e il funzionamento di istituzioni
universitarie abilitate al rilascio di titoli aventi valore
legale in Italia, richiamano nei destinatari fattispecie assimilabili a quelle dell’ordinamento universitario nazionale. Inoltre, la prospettazione della facoltà di utilizzare il
titolo straniero conseguito, omettendo di rappresentare
con chiarezza le reali condizioni di diritto che prevedono
specifici requisiti di riconoscibilità in Italia del diploma di
laurea promosso, rende il messaggio ingannevole e conseguentemente idoneo ad indurre il consumatore medio ad
assumere una decisione di carattere commerciale che
altrimenti non avrebbe preso. Il messaggio nel suo complesso omette informazioni rilevanti in merito all’effettiva spendibilità del titolo rilasciato, con particolare riferimento ai possibili sbocchi professionali, informazioni di
cui il consumatore medio ha bisogno per assumere una
decisione consapevole di natura commerciale.
«Il comportamento posto in essere da Music Academy
risulta in maniera evidente non conforme alla diligenza
professionale ragionevolmente esigibile, tenuto anche
conto dell’asimmetria informativa esistente tra consumatori e professionista in tale ambito. Il rispetto dei principi
di correttezza e buona fede avrebbe, infatti, richiesto a
Music Academy di astenersi dal comunicare ai consumatori informazioni non veritiere, o comunque dal presentare in modo ambiguo e non chiaro informazioni rilevanti ai
fini di una consapevole determinazione, da parte del consumatore, del proprio comportamento economico in relazione ai corsi professionali proposti».
L’Antitrust ha così disposto l’applicazione di una sanzione pecuniaria nella misura di 15.000 euro, anche considerando l’entità complessiva del pregiudizio potenziale
per i destinatari del messaggio, costituito dal bacino di
studenti che scelgono un percorso di formazione alla luce
delle aspettative occupazionali, da apprezzarsi anche in
funzione della diffusione e capacità di penetrazione del
messaggio a mezzo internet.
■
di Nicola Cirillo
D
a sempre il jazz ha rappresentato in
musica l’idea della libertà espressiva nel rigore tecnico, della via di
fuga nella contaminazione di generi e di storie, della sperimentazione
del nuovo nel rispetto di ciò che è
stato. E Stefano Bollani, uno dei
musicisti jazz più premiati nel
mondo, ne è il perfetto interprete,
avendo coniugato sin dai suoi
esordi, incursioni in mondi musicali differenti, per generi e ispirazioni, raccontando la vita così
com’è, con le sue intrinseche contraddizioni.
La naturale espressività e quell’inclinazione all’ironia, così toscana,
ne hanno fatto anche un’icona
della musica italiana moderna, trasformando il pianoforte in un vero
strumento di «comunicazione» di
massa. La personalità di Bollani è
cresciuta negli incontri - non solo e
non necessariamente musicali con il mondo culturale italiano.
Tra incursioni nel pop (Irene
Grandi, Raf e Jovanotti a inizio
carriera, poi Bobo Rondelli, Petra
Magoni, e una recentissima collaborazione con Daniele Silvestri) e
nella musica classica (il prossimo
cd con incisioni di Maurice Ravel),
Bollani si è confrontato con i più
grandi jazzisti, quali Enrico Rava,
Gato Barbieri, Pat Metheny,
Michel Portal, Paolo Fresu,
Richard Galliano, Lee Konitz, Han
Bennink, Phil Woods.
Ma il Brasile è una delle sue ispirazioni più frequenti. Non a caso,
negli ultimi anni ha collaborato
con diversi artisti della nuova
scena brasiliana - fino al grande
Caetano Veloso - e uno dei suoi
progetti più fortunati è Bollani
Carioca, un disco e una tournée in
cui affronta il repertorio meno
conosciuto della musica brasiliana,
rileggendo autori storici del choro
e del samba, come Pixinginuha,
Edu Lobo, Ismael Silva, Nelson
Cavaquinho, Chico Buarque e
affrontando anche brani della
ISCRIZIONE GRATUITA
SCADENZA 18 MARZO
www.jazzcontest.it
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in collaborazione con
Fondazione Siena Jazz
e Musica Oggi
nuova generazione di autori come
Monica Salmaso e Zè Renato.
L’idea del progetto nasce nel 2006
quando Stefano Bollani veniva
invitato con il suo quintetto, I
visionari, a suonare al Tim Festival
di Rio de Janeiro. Da anni Alberto
Riva, esperto di musica, immaginava con lui un disco di rilettura
del repertorio carioca più raro mettendo il pianoforte di Bollani al
centro del progetto, al posto del
cantante. Contattato il sassofonista
Zè Nogueira, ecco partire la nuova
avventura. In 3 giorni a Rio veniva
realizzato un disco di profonda
commistione «riomana».
Lo presentava l’Auditorium, così
come oggi presenta l’incontro tra il
pianista ed Hamilton De Holanda,
uno dei musicisti più carismatici
della nuova generazione di interpreti e compositori della musica
contemporanea brasiliana; il suo
percorso artistico, in parte simile a
quello di Bollani, si muove dallo
studio della musica tradizionale
brasiliana per svilupparsi grazie a
importanti incontri interculturali e
incursioni nella musica classica,
fino a trovare nel jazz un naturale
luogo di svolgimento. A lui - giovane: è del 1976 - si deve la rivoluzione del mandolino, al quale ha
aggiunto una quinta doppia corda,
portando il loro numero da 8 a 10,
e sul quale ha sviluppato una
polifonia completa.
Insieme, i due musicisti danno vita
a Dialogo, concerto eccezionale in
cui un pianoforte dal suono caldo,
impetuoso e avvolgente si fonde
con un bandolim dall’incredibile
espressività sonora e percussiva,
suono potente e preciso. Questo
spirito, secondo gli organizzatori
del Roma Jazz Festival, costituisce
l’appeal del jazz; e proprio con
Bollani e De Holanda, oggi, trova
una nuova declinazione. Dalla
voce il pianoforte, dall’Italia il
Brasile, Bollani è non solo nelle
mani oggi: anche «no pè».
■
V edizione
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JAZZ
& blues
Music In ¢ NUMERO 19
L’ITALIA DEL JAZZ di Adriano Mazzoletti, Stefano Mastruzzi Editore A quattro anni dall’uscita di Jazz Moment, la nostra casa editrice pubblica oltre 300 pagine, 3 kg e 600 fotografie, quasi tutte inedite e provenienti dall’archivio personale dell’autore, un volume che ha l’onere di costituire il salvataggio, reale backup, di materiale unico che andrebbe ad estinguersi trascinando con sé la nostra memoria storico-musicale. Didascalie comprese
a cura di ROSSELLA GAUDENZI
L’ITALIA DEL
Ho avuto contatti con numerosissimi musicisti, giovani e
non. Ho chiesto loro materiale di varia natura, da dischi
a foto. Così si è creato questo archivio consistente che ho.
d ecco che il be bop, lo swing, la tradizione e l’avanguardia, le grandi orchestre, i crooner e le trombe ci appaiono come familiari personaggi di una favola d’altri tempi.
Tornano a vivere i primi avventurieri del jazz, volti e nomi
sconosciuti o dimenticati, proprio come molti impavidi
personaggi del Risorgimento italiano, veri e propri pionieri di una
nuova frontiera musicale che hanno inconsapevolmente lastricato un
cammino per le generazioni successive.
Dapprima un timido sentiero, poi uno sterrato, ora una strada
moderna con tutte le sue diramazioni, una via consolare del jazz che
ha delineato in cent’anni una propria identità, muovendo dai grandi
percorsi del ragtime e dello swing americano, fondendone i ritmi, le
armonie e il feeling con la naturale pulsazione melodica mediterranea nostrana in una maniera del tutto nuova e originale, un’Italian
way apprezzata in tutto il mondo.
(Stefano Mastruzzi)
«A
Se si dovesse cercare un solo aggettivo che possa accomunare la personalità di Adriano Mazzoletti e quella di Stefano
Mastruzzi proporrei senza esitazione l’aggettivo «inarrestabile». Entrambi non fanno in tempo a portare a termine un progetto, a goderne dei risultati, che già si sono lanciati in altre - e
volutamente ribadisco «altre» al plurale - avventure. Spesso
mettono in comune estro, capacità e professionalità e danno vita
a qualcosa di bello, sempre qualcosa di bello; stavolta però, più
di ogni altra fino ad oggi, affermerei che il risultato ha fortemente a che fare con la sfera della Bellezza. Il risultato in questione è un meraviglioso e voluminoso libro fotografico, dal
titolo L’Italia del jazz (Stefano Mastruzzi Editore) di oltre 300
pagine e 600 fotografie e immagini, quasi tutte inedite e provenienti dall’archivio personale dell’autore.
Tanto per iniziare, bellezza del formato, della carta, del carattere, della raffinata copertina, della qualità di stampa dei neri,
per parlare di forma. Bellezza che, simmetricamente, si rispecchia nei contenuti: scelta e preziosità delle foto, dei documenti
proposti, dei testi appositamente sintetici.
La genesi del libro fotografico L’Italia del jazz non muove da
una romantica suggestione o da un poetico impulso: poche battute nell’ufficio dell’editore Stefano Mastruzzi per sollecitare ad
Adriano Mazzoletti l’idea di un libro fotografico, a quattro anni
dalla pubblicazione di Jazz Moment. Nel giro di un paio di mesi,
Adriano aveva portato a compimento il proprio lavoro.
Ho proposto l’unica idea di realizzare un libro fotografico sul
jazz italiano, e per due motivi: innanzitutto perché nel corso
della mia vita, avendo scritto due libri sul jazz italiano (Il Jazz
in Italia. Dalle origini alle grandi orchestre e Il Jazz in Italia.
Dallo Swing agli anni Sessanta) ho avuto contatti con numerosissimi musicisti, giovani e non, durante interviste, incontri,
concerti. Ho chiesto loro materiale di varia natura, da dischi a
foto, e mi è sempre stato dato con gioia. Quindi si è creato un
nuovo archivio consistente, mio personale e molto ricco, dagli
archivi dei singoli artisti. Conseguentemente, ho constatato
come vi fosse la volontà diffusa, da parte degli stessi musicisti,
che questa documentazione finisse nelle mani giuste, di chi realmente se ne interessasse, affinché non fosse destinata nell’oblio
dopo anni e dopo la sua scomparsa.
L’interesse per la fotografia di Adriano Mazzoletti è interesse per la foto in quanto espressione artistica o è legato soltanto alla passione per il jazz? Quali sono i migliori fotografi di jazz degli ultimi vent’anni?
Mi considero interessato alla fotografia, non un vero appassionato né un esperto, e direi che apprezzo questa tra le arti per
la sua natura documentaristica. Amo la foto in quanto documento. Tra i fotografi che apprezzo degli ultimi vent’anni citerei Giuseppe Pino, Roberto Polillo, William Claxton, autore
delle foto dei dischi Blue Note. È interessante osservare che
negli anni Venti e Trenta il concetto di fotografia era totalmente diverso rispetto ad oggi, esisteva soltanto il fotografo professionista, al quale ci si rivolgeva e al quale si commissionavano
E
driano non è mai stato uno spettatore del
jazz. Infatti, come nelle moderne teorie
quantistiche non è possibile osservare un
evento senza interferire con esso modificandolo, così
il jazz italiano deve a lui il merito di non averlo osservato passivamente, ma di averlo vissuto, cambiato,
sostenuto, diffuso, radicalizzato. E ora ne abbiamo le
Stefano Mastruzzi
prove, tutte fotografiche.»
Apre la
BIBLIOTECA GOFFREDO MAMELI
LA CULTURA,
QUANDO È SENZA BARRIERE,
AIUTA A CRESCERE.
JAZZ È SALVA
le opere, quando occorreva immortalare i musicisti per pubblicizzarli.
A quando risale l’inizio della raccolta di fotografie che ha
preceduto il nuovo volume?
Raccolgo materiale sul jazz da sempre, sin da quando ero
ragazzo, e la volontà di scrivere qualcosa sul jazz italiano risale alla fine degli anni Cinquanta, inizio dei Sessanta. L’ho
avvertita in parte come un’urgenza: i miei colleghi trattano fondamentalmente di jazz americano, e poiché il jazz italiano non
è in nulla inferiore al jazz straniero, ecco che nasce l’esigenza
di documentarlo con un particolare appiglio alla storia, come
nei miei precedenti libri, dunque con la fotografia, come in questo volume, con i dischi, come nella discografia della mia etichetta Riviera Jazz Record, Jazz in Italy, con ristampe in ordine cronologico.
L’opera avrebbe un’utilità se entrasse a far parte di
biblioteche «scolastiche» di istituti superiori quali
Conservatori e Università?
In Italia non esistono archivi sul jazz italiano a livello istituzionale, ma a dire il vero di nessun tipo, né pubblici né privati.
E intendo archivi in senso ampio, globale. Registrazioni, partiture dei musicisti (le loro cartelle di lavoro musicali), arrangiamenti, fotografie e documenti di vario genere. Questo è materiale che, se non debitamente raccolto e custodito, va perduto, sia
perché deperibile, sia perché viviamo e lavoriamo in spazi sempre più angusti che ci obbligano a liberarci del superfluo, o non
essenziale. Anche internet contribuisce alla tendenza di far sparire materiale di questo tipo, il cartaceo, i dischi. Inoltre, parliamo di un patrimonio che, se fortunatamente ancora non lo possiamo definire morto e sepolto, rischia di venire dimenticato. Ho
avuto la fortuna di conoscere dal vivo molti musicisti che oggi
non sono più tra noi, di ascoltarli, intervistarli, confrontarmi
con essi; oggi per un giovane sarebbe impossibile fare un lavoro del genere, per quanto possa essere motivato e appassionato.
C’è la reale necessità di un’istituzione pubblica che tuteli questo patrimonio a rischio estinzione da un punto di vista storico,
artistico, documentaristico. L’Italia del Jazz non è un libro da
raccontare, bensì da sfogliare con cura e senza fretta. Così ci troviamo a commentare alcune fotografie. Ogni foto ha la sua storia, ne scegliamo insieme tre particolarmente rappresentative.
a) La prima batteria propriamente detta arrivata in Italia nel
1919, ad opera del batterista impresario Arturo Agazzi, in arte
Mirador, scopritore, a Londra, di eccellenti musicisti di colore
negli anni Venti (pag. 20).
b) L’orchestra di Pippo Barzizza, in uno scatto del 1928, ci
mostra strumenti tipici della tradizione classica caduti in disuso
nel jazz alla fine degli anni Venti: oboe, clarinetto basso, mellophone.Torneranno in auge nuovamente negli anni Quaranta in
America e più tardi, per breve tempo, nel nostro Paese (pag. 53).
c) Nel 1919 esce come supplemento al Corriere della Sera una
Caricatura dell’Orchestra italiana di Jazz del Teatro Pace di
Nuova Orleans: trattasi in assoluto del primo articolo uscito in
Europa che parli di jazz (pag. 19).
■
Stefano Mastruzzi
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Music In ¢ NUMERO 19
[email protected]
a cura di
ROMINA CIUFFA
MIB
F
DI
ITÀLIA
BRASILE
ROMINA CIUFFA
orrò tra Italia e Brasile: è il momento del MIB, umanizzazione dei rapporti tra i due
Paesi e rassegna inaugurata a Rio che durerà fino a giugno, per la quale Gilberto
Gil scrive un samba. Ne parla l’Ambasciatore in Brasile, Gherardo La Francesca.
‘
E
AMBASCIATA D’ITALIA IN BRASILE Mib, RIOMA Il Brasile a portata di riomano
Momento Itàlia-Brasile L’Ambasciatore Gherardo Come trasformare Due Ponti ed il luogo comuLa Francesca spiega: il Brasile invita l’Italia a ballare ne in due ponti ed un luogo fuori dal comune
il momento di un forrò: il Brasile prende
per mano l’Italia, seduta in sala ad attendere l’invito come una signora d’altri
tempi, e la fa ballare. Non sarà un caso che il
termine «forrò» sia associato alla locuzione
inglese «for all», per tutti, frase di invito al
ballo usata nelle feste degli immigrati: si tratta
della più diffusa danza popolare del nord-est
del Brasile, e si balla in coppia. L’Italia accetta
l’invito e scende in pista con un Paese che sa
condurre meglio di qualunque altro una danza
acrobatica: il forrò universitario, fatto di salti e
piroette, ma anche le acrobazie che da qualche
anno compie, attraverso le quali non solo si è
inserito tra i Paesi del Bric (dando all’acronimo
l’iniziale), ma ha raccolto una sfida globale che
lo porterà a ricevere milioni di ospiti per i
Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016,
eventi che costituiscono il traino di uno sviluppo annunciato. Non solo: il Pontefice ha scelto
Rio de Janeiro come scenografia per la
Giornata Mondiale dei Giovani, che si svolgerà
dal 23 al 28 luglio 2013.
È innegabile: questo è il Momento ItaliaBrasile. Lo sottolinea l’Ambasciata italiana in
Brasile, guidata dall’Ambasciatore Gherardo La
Francesca, che chiama «Momento Itàlia-Brasil»
una rassegna multisettoriale di oltre 500 eventi
legati all’Italia e alla sua presenza - antica e
moderna - in quel Paese, con architettura, arte,
cultura, teatro, danza, enogastronomia, moda,
scienza, tecnologia, inaugurata il 15 ottobre a
Rio de Janeiro e destinata a protrarsi fino a giugno 2012. Il MIB è l’essenza di quella danza che
Italia e Brasile stanno ballando insieme.
Il 2011 è stato dichiarato l’Anno dell’Italia
in Brasile. Cosa significa in termini reali?
Siamo in fervido movimento: prima la
Conferenza Italia-America Latina svoltasi in
ottobre a Roma, dedicata alla collaborazione
industriale soprattutto della piccola e media
impresa, nella quale Italia e Brasile hanno
avuto una parte rilevante; quindi il grande
incontro organizzato dalla Lide, associazione
che raggruppa quasi mille imprenditori, 150
presidenti e dirigenti di imprese italiane e brasiliane operanti in Brasile, nel quale si è parlato di investimenti degli italiani in Brasile e dei
brasiliani in Italia. Il messaggio si può riassumere in poche battute: nessun Paese oggi può
permettersi di affrontare da solo le grandi sfide
del mondo globalizzato. L’Italia e il Brasile, per
una storia pluricentenaria che si sta rinnovando
e sta trovando nuovo alimento, hanno molto in
comune da sviluppare ed altrettante possibilità
di aiutarsi reciprocamente.
Cos’è «Momento Itàlia-Brasil?
Un vero e proprio viaggio, che si propone di
consolidare i sentimenti di simpatia e affinità
fra i due popoli, rafforzare i legami economici,
sociali e culturali tra i due Paesi e sviluppare i
flussi turistici bilaterali. Per fare ciò saranno
organizzati eventi di alto livello, ma con ampia
diffusione popolare, che contribuiranno a sviluppare i punti di contatto e i legami tra Italia e
Brasile. Grazie a Momento Itália-Brasil gli italiani, i brasiliani e 30 milioni di oriundi si sentiranno creatori, protagonisti e spettatori di
questi nove mesi di celebrazioni. Il 15 ottobre, a
Rio de Janeiro, abbiamo dato ufficialmente il
via al progetto con un grande spettacolo intitolato «Ensaio sobre a belleza», ideato da Valerio
Festi, artista italiano che ha aperto un’officina
creativa a San Paolo. Abbiamo cominciato così
questa grande avventura che porterà noi italiani in Brasile a riscoprire gli infiniti collegamenti che vi sono fra i due Paesi.
Dal punto di vista economico, in che modo
gli italiani possono attivarsi in Brasile?
In occasione della V Conferenza ItaliaAmerica Latina abbiamo presentato un lavoro
come esempio di «best practices», che può esser
imitato anche da altri Paesi. Abbiamo tracciato
una mappatura per sapere dove poggiamo i
piedi, censendo quasi 600 filiali produttive di
¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > ECCE RIOMA
imprese italiane attive in Brasile, afferenti a settori di un certo spessore: meccanica, energie
rinnovabili, ambiente, telecomunicazioni, in
uno scenario articolato e complesso che riguarda tutto il Paese. È vero che è negli Stati del
Centro-Sud, di San Paolo in particolare, che si
concentrano tutte le attività; ma è anche vero
che Stati relativamente meno avanzati si sviluppano ad una velocità maggiore di altri.
Abbiamo quindi individuato alcuni settori particolarmente sani - l’automotive, marmi e graniti
e la nautica - e steso un progetto per il primo. A
marzo torneremo con un nuovo documento per
indicare le nuove prospettive.
Quest’analisi può essere collegata anche al
progetto del MIB?
«Momento Itàlia-Brasil» è una rassegna che
parte da una base di tipo culturale, ma ha in sé
una componente economico-industriale significativa che ci è stata consigliata dagli stessi brasiliani, i quali hanno insistito per parlare con
noi di cooperazione industriale. L’interesse per
ciò che la creatività italiana è in grado di esprimere anche nel settore industriale è forte.
L’Italia è il Paese con la maggiore densità di
imprese - circa 5 milioni su 60 milioni di abitanti, ossia un’impresa ogni 12 abitanti, senza considerare regioni in cui la densità è ancora più
elevata - ed è matura la coscienza del fatto che
le piccole e medie imprese sono la vera forza
trainante della nostra economia e costituiscono
un esempio interessante e potenzialmente molto
proficuo per un Paese come il Brasile, che sta
crescendo a ritmi molto alti.
Il Brasile è, prima di altro, musicale: in che
modo la musica entra nel MIB?
Gilberto Gil ha scritto una canzone che è un
atto d’amore per l’Italia, un samba intitolato
«Sampa-Milano» dove Sampa sta per San
Paolo, e nel ritornello sono menzionati Sampa,
Milano, Napoli, Salvador, Roma e Rio: è la contaminazione reciproca tra Italia e Brasile.
L’inedito è cantato dal grande artista brasiliano
a due voci, rispettivamente in brasiliano e in italiano, con Sabina Molinari, giovane talento che
vive in Italia e che ho conosciuto solo in questa
occasione. Si era pensato di dare ad una cantante affermata il compito di affiancare Gil, ma
abbiamo preferito dare spazio a una nuova
voce. Gil, inoltre, ha espressamente richiesto
che della traduzione della parte in italiano non
se ne occupasse un interprete, bensì qualcuno
che avesse, oltre alla comprensione del senso,
anche una sensibilità spiccata: mia moglie.
Raramente ho incontrato persone della finezza
intellettuale di Gilberto Gil. Il fatto che abbia
deciso di dedicare una canzone all’Italia non è
stato legato a motivi economici, poiché non ha
ricevuto nulla in cambio.
Il gemellaggio di creatività tra Italia e
Brasile non è solo con Gilberto Gil, peraltro.
Il logo del MIB è stato creato da un altro personaggio straordinario, Washington Olivetto,
tra i più grandi creativi brasiliani e internazionali. Così anche in esso avviene quella contaminazione delle nostre culture di cui ci facciamo
portavoce come hanno fatto anche nomi quali
Mina, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, in un
flusso di andata e ritorno. C’è un terzo regalo e
proviene sempre da Olivetto: il titolo del progetto. Gli dissi che ritenevo limitativo il riferimento ad «anno», per quella pesantezza intrinseca
che lo lega a una serie di eventi concatenati. Per
dare un senso di maggior forza e freschezza
Olivetto ha fatto riferimento al concetto di
«momento». Sono nate altre idee collegate,
come il «MIB-gelato», il «MIB-panettone» di
Balducco, i «MIB-lucchetti» della Papaiz, le
«MIB-creazioni» di Francesca Romana Diana
che, trasferitasi qui quando era piccola, ha sviluppato una significativa produzione di monili e
gioielli non preziosi in Brasile. A Carnevale una
scuola di samba di Florianopolis ci dedicherà
la sua sfilata, e persino Andrea Bocelli ha
cantato per noi a Belo Horizonte.
■
RIOMA
B
renda, China, Natalie e le trans di Due Ponti, esattamente come Chiquinha
Gonzaga, Tarsila de Amaral, Bertha Lutz, Anita Garibaldi, la Marquesa de
Santos: Rioma restituisce il Brasile al «riomano» e crea una roda di intenti.
(...) R
ioma è questo: è la schiena,
la risposta alla morte di
Brenda e di tutte le brasiliane. Con lei sono morte cultura, indipendenza,
intraprendenza, energia rinnovabile, letteratura,
musica; sono morte le brasiliane colte. Maria
Quitéria (1792-1853), che si travestì da uomo
per combattere nella guerra di indipendenza
brasiliana, nominata guardamarina da D. Pedro
I, primo imperatore del Brasile, considerata la
Giovanna d’Arco brasiliana. La Marquesa de
Santos (1797-1867), amante dell’imperatore,
votata agli aiuti umanitari. Ana Néri (18141880), pioniera dell’infermieristica in Brasile,
che accompagnò i suoi figli-soldati a combattere in Paraguay, prestandovi servizio medico.
Anita Garibaldi (1821-1849), compagna di
Giuseppe ed eroina dei due mondi, che partecipò alla Rivoluzione di Farroupilha e all’unificazione dell’Italia. La principessa Isabel
(1846-1921), prima senatrice della nazione, che
abolì la schiavitù e difese il voto delle donne e
la riforma agraria.
L’incendio a Due Ponti ha ucciso Chiquinha
Gonzaga (1847-1935), autrice della prima marcia carnevalesca, Ô Abre Alas del 1899, prima
pianista di chorinho e prima donna a dirigere
un’orchestra in Brasile; Tarsila de Amaral
(1886-1973), una delle più grandi pittrici brasiliane (il suo quadro Abaporu, del 1928, valutato 1,5 milioni di dollari, inaugurava il movimento antropofagico); Bertha Lutz (18941976), pioniera del femminismo; Aracy de
Carvalho Guimarães Rosa (1908), unica brasiliana ricordata nel Museo dell’Olocausto, che
salvò più di 100 ebrei nella Seconda Guerra
Mondiale emettendo passaporti d’entrata illegale in Brasile; Patrícia «Pagu» Galvão (19101962), scrittrice, giornalista e militante comunista; Rachel de Queiroz (1910-2003), prima
donna ad essere ammessa all’Academia
Brasileira de Letras, nel 1993 Premio Camões
per la letteratura (equiparabile al Nobel); Irmã
Dulce (1914-1992), religiosa caritatevole nella
zona nordestina di Bahia; Ruth Cardoso
(1930-2008), fondatrice di un programma di
aiuti alla povertà; Leila Diniz (1945-1972),
scandalosa quando incinta comparse in spiaggia
negli anni 60, emancipata.
Il Brasile è tutto questo, e molto altro: Rioma
lo mette letteralmente a portata di «riomano»,
costituendo la presa d’atto del fatto che manchi,
in Italia, un organo informativo di divulgazione
della reale essenza brasiliana, sinergia concreta
tra Italia e Brasile che trasformi il Colosseo in un
grande forrozão a porte aperte, interazione culturale e imprenditoriale tra i nostri «riomani».
Il riferimento terminologico a Rio e Roma,
lungi dall’essere limitativo, abbraccia le espressioni simboliche dei due Paesi, il Cristo
Redentor ed il Colosseo - una faccia religiosa,
l’altra laica - per sintetizzare l’insintetizzabile.
Il «riomano» è brasiliano o italiano e brasiliano
e italiano insieme, legato alla «brasilianidade»
propagandata da Heitor Villa-Lobos a inizio
secolo; è chiunque operi in sinergia e scelga un
binario comune per colmare la saudade.
Rioma divulga la programmazione culturale eventi, rodas, concerti, corsi, stages, batterie di
samba e quant’altro - con articoli, video, live,
radio, incontri, approfondendo ciò che è lasciato in superficie. Spiega. Fornisce un servizio di
reperimento di musicisti brasiliani secondo le
esigenze. Richiama artisti dal Brasile per portare in Italia una conoscenza non mediata nella
musica, nell’insegnamento, nell’educazione.
Nondimeno supporta le migliori attività
imprenditoriali e culturali svolte in Italia e in
Brasile dai «riomani», attraverso servizi giornalistici completi di differente portata e a vari
livelli mediatici. Sulla testata nazionale
Specchio Economico approfondisce l’aspetto
istituzionale ed economico delle relazioni fra i
due Paesi, invitando i principali operatori di
questa sinergia ad una virtuale tavola rotonda.
Promuove, attraverso la testata Rioma, distribuita a Roma, Rio de Janeiro, San Paolo e
Salvador da Bahia, le attività più significative
di intercambio culturale tra i due Paesi.
Senza lucro compie azioni di volontariato
nelle favelas brasiliane, anche stringendo accordi di intercambio con il Saint Louis College of
Music. Vi dedica un intero capitolo editoriale.
Ma soprattutto, promuove l’integrità del concetto di «due ponti», che non sia sinonimo di
prostituzione, bensì di un passaggio di energia a
doppio senso. In tal caso Brenda entra a pieno
titolo tra i nostri «riomani». E ad honorem. ■
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Music In ¢ NUMERO 19
YAMANDÙ COSTA Il più grande chitarrista delle 7 corde, quelle del suo Dna. Fronterista di una regione brasiliana di
confine. Ha uno dei repertori più vasti che un musicista possa immaginare. Ha improvvisato Nuovo Cinema Paradiso al
Beba do Samba con un 7 corde in grado di tenergli testa, Massimo Aureli. È un riomano doc: sua madre fa la polenta
ILLUSTRAZIONE:
QUINT BUCHOLZ
A CURA DI
ROMINA CIUFFA
YAMANDÙ DALLE SETTE CORDE
Videoreportage
www.youtube.com/musicinchannel
È
consumato un rito improvvisatorio, presente in corde non
di chitarra: quelle del dna di Yamandù, nome che in tupiguarani significa «precursore delle acque». Se a soli 6 anni
in un bar di Maceió, lasciato da un familiare sul palco della cantante brasiliana Marina de Dorival Caymmi, cominciò ad improvvisare, oggi come ieri Yamandù Costa, dopo un volo Rio de
Janeiro-Roma e un concerto esclusivo per l’Ambasciata brasiliana,
prende in mano la prima chitarra che trova al Beba do Samba - la
6 corde di Giulia Salsone - per suonare con il pluricordista
Massimo Aureli; quindi ritrova la propria 7 corde e suona a locale
chiuso. È quasi mattina e, dopo un duetto con il brasiliano Zè
Galia, rientra a Rio.
Rioma presenta il più versatile delle 11-dita, che nasce a Passo
Fundo il 24 gennaio 1980, nel Rio Grande do Sur, Stato brasiliano confinante a sud con l’Uruguay e ad ovest con l’Argentina,
dettaglio geografico necessario per spiegarne il «fronterismo». È
nella sua casa di Botafogo, a Rio de Janeiro, che mi si spiega.
Provengo da una famglia di musicisti: mia madre, la cantante
Clari Maarson, e mio padre, Algacir Costa, leader del gruppo Os
Fronteiriços. Ricevetti un’educazione musicale di tale portata
che, quando mi accorsi di suonare, stavo già suonando. Fu tutto
naturale per me: a 7 anni mio padre mi aveva già iniziato agli
studi, poi fui affidato a Lúcio Yanel, virtuoso argentino trapiantato in Brasile che influenzò molto la mia formazione musicale, di
frontiera per l’appunto.
Ti definisci un «fronterista». Cosa intendi?
Sono gaucho, provengo da una regione che subisce il fascino
e l’influenza di molte culture. Sin da piccolo ho suonato musica
uruguaiana, argentina, latino-americana, senza tralasciare la
musica tradizionale brasiliana di choro, chorinho, samba, in
genere tutta la musica popolare. Incantato dal grande mestre
Radamés Gnattali poi, ho intrapreso lo studio di brasiliani del
calibro di Baden Powell de Aquino, Tom Jobim e Raphael
Rabello. Ma il mio repertorio non si ferma a loro.
Dal sud del Brasile, come sei giunto a Rio de Janeiro?
A 17 anni dal Rio Grande do Sur mi spostai a nord per esibirmi a San Paolo, nel Circuito culturale del Banco do Brasil, e fu
lì che cominciò a tutti gli effetti la mia carriera: nel 2001 vinsi il
premio Visa Edição Instrumental, uno dei più prestigiosi riconoscimenti in Brasile, che anche portò all’incisione di un album ad
esso collegato. Mi trasferii dopo poco a Rio de Janeiro, dove
sposai una carioca e decisi di fermarmi. Ebbi la possibilità di
registrare molti album, anche con etichette indipendenti, continuando a suonare musica gaucha, del sud, molto simile alla
musica argentina, milongas e tanghi di frontiera: buona musica.
Nel periodo del Rinascimento le chitarre erano costruite con 4
paia di corde, chiamate «cori»; col Barocco le coppie arrivarono
a 5, durante l’VIII secolo a 6, fin quando non si impiegarono
corde singole. Da qui partì il desiderio di costruire chitarre a più
corde, aggiunte per estendere la capacità dei bassi delle chitarre.
Cominciai a suonare una chitarra a 6 corde, e conobbi la 7
corde solo a 17 anni, nel 1997. Mi appassionai immediatamente. La 7 corde è uno strumento molto complesso, di origine russa,
utilizzato solo da una minoranza di chitarristi.
Brasile è un Paese molto allegro e giovane,
ma ha ancora difficoltà ad ascoltare musica
strumentale. Eppure lo noto: sta cambiando
molto e cresce in continuazione».
Yamandù Costa
«IL
Che la suona da soli 150 anni. L’invenzione è attribuita ad
Andrei Sychra, per questo la chitarra era definita «russa», prima di
giungere in Brasile, all’inizio del XX secolo, come chitarra con le
corde d’acciaio. Lo stile della «baixaria» si sviluppò nel XX secolo con Dino 7 Cordas e Raphael Rabello. Negli anni 80 Luiz
Otavio Braga aveva una versione con corde di nylon, poi divenuta lo standard dello choro. La 7 corde brasiliana è accordata come
una chitarra classica, ma con un Do in più sopra il Mi basso (DoMi-La-Re-Sol-Si-Mi); alcuni accordano la settima in Si o in La per
avere maggiore estensione verso il basso, utile nel samba.
Quando è iniziata la tua carriera internazionale?
Iniziai a suonare fuori dal Brasile sin dall’inizio, perché
immediatamente andai a suonare in Europa. La mia famiglia è
IL FORRÒ È TUTTI I MARTEDÌ @ TOPFIVE, ROMA
INFO LARA BALBI +39 329 407 3212
rimasta sempre nel sud del Brasile, mentre io ho viaggiato moltissimo. Non solo: 4 anni e mezzo fa mi sono sposato una seconda volta con una francese che conobbi mentre suonavo a Parigi,
negli Champs-Élysées, in una festa che si tenne proprio in mio
onore. Lei stessa è una violinista e mi sta facendo conoscere la
musica classica, propria della sua formazione.
Noti differenze tra il pubblico sudamericano e quello europeo, spostandoti nel mondo?
Noto soprattutto una cosa: il pubblico europeo è un pubblico
culturalmente preparato. Il Brasile è un Paese molto allegro e giovane, ma che ancora ha difficoltà ad ascoltare musica strumentale. Eppure sta cambiando molto e crescendo in continuazione, e
sono molto ottimista del fatto che presto le cose saranno diverse e
la stessa musica strumentale potrà essere compresa in maniera più
completa. Indubbiamente è Internet il volano di questo mutamento: la rete sta aiutando con forza questo processo che, sebbene non
si verifichi con velocità visibile, procede senza interruzione.
Nel 2012 sei atteso a New York e in molte altre città del
Nord America. Hai già maturato una tua percezione del pubblico statunitense?
Non posso dare una definizione soggettiva degli ascoltatori
americani perché è la mia prima esperienza negli Stati Uniti.
Perciò non so ancora dare un giudizio, ne ho assai poca esperienza ma certamente avrò modo di esprimermi attraverso il mio
tour che mi porterà, l’ultima settimana di aprile, da New York a
Baltimore, Minneapolis, Austin e San Francisco.
Non sei un musicista solitario, anzi, ti accompagni sempre
con grandi artisti. Di quali progetti sei partecipe?
Ne ho molti. La Tocada a amizade ad esempio, è un progetto
molto provocante ed animato, dinamico, in cui ho invitato
Alessandro Kramer, Rogério Caetano e Luis Barcelos a suonare
con me, un omaggio alla nostra amicizia e a parlare d’amore.
Con il bassista Guto Wirtti è, invece, un incontro tra gaúchos:
abbiamo le medesime influenze regionali, siamo amici e suoniamo milongas, tanghi, chamamés e choros. Ho suonato anche con
Renato Borghetti, ha rivisitato il folclore brasiliano utilizzando
la Gaita Ponto, strumento simile alla fisarmonica diatonica ma
che ha la caratteristica di avere «bottoni» al posto dei consueti
tasti. Altri progetti sono quelli con Dominginhos, Rogerio
Caetano, Hamilton de Holanda.
Prima del tuo recente passaggio a Roma su chiamata
dell’Ambasciata brasiliana, avevi già suonato in Italia?
Ho suonato molte volte in Italia, e in lungo e in largo, isole
comprese. È un Paese che amo molto, che rientra nelle mie origini perché mia madre è figlia di veneti. Provengo dalla famiglia
dei Revelato Marcun e sono cresciuto mangiando polenta e piatti tipici del Nord Italia. Entrambi i miei nonni materni sono italiani, mentre da parte paterna sono portoghese e dal Portogallo
arriva il mio cognome Costa. Adoro il pubblico italiano ed è il
Paese che preferisco in quanto ad arte culinaria. È molto diverso dagli alti Stati europei, molto latino e animato.
Quali sono gli artisti italiani che scegli?
Dei musicisti italiani amo Gabriele Tirabassi, un caro amico,
e Stefano Bollani che ritengo un grande musicista. Cito anche il
sardo Antonello Valli e il trombettista Fabrizio Bosso.
Ultimamente ho avuto occasione di suonare con un altro chitarrista delle 7 corde, Massimo Aureli, un bravissimo musicista.
Ti ho visto improvvisare Nuovo Cinema Paradiso alla fine
di una lunga notte di musica. Accanto a questa, se dovessi
scegliere altri due brani italiani, quali sarebbero?
Amo suonare Nuovo Cinema Paradiso, più in generale adoro
il repertorio di Ennio Morricone. Poi suonerei un classico,
Estate (lo canticchia). Inoltre, grazie a mia moglie, mi sono avvicinato anche ai grandi della musica classica, pertanto aggiungerei indubbiamente anche una composizione di Giuseppe Verdi.
Io l’ho rinominato così: Yamandù Vale.
■
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ROCK
OFF
a cura di FLAVIO FABBRI
Music In ¢ NUMERO 19
LOU REED & METALLICA Figure retoriche
struggenti, riflessioni e riverberi tragicomici, e una
track di 19.29 minuti per un finale reed-metallico
ROLLING STONES So che pensi di essere la regina del sottosuolo e che puoi spedirmi fiori morti ogni mattino. Mandami fiori morti per posta, mandami fiori morti al mio
matrimonio e non dimenticherò di portare delle rose sulla tua tomba. (Dead Flowers)
TRICKORTREAT ROLLEDSTONES
DI VALENTINA GIOSA
L
ou Reed e i Metallica
insieme cantano Lulù.
Ma chi è? Lo spirito della
terra o il vaso di Pandora?
È una giovane ballerina vittima
di se stessa, è la forza distruttrice,
il serpente traditore, la perdita
costernante di qualsiasi freno
inibitore. Sessualità, femme
fatale e bordello
DI
DI
C
F ILOMENA R UBINO
D
ue personalità leggendarie del
panorama musicale s’incontrano durante una performance
al Rock and Roll of Fame di
New York, nell’ottobre del
2009, e decidono di fare un
album insieme: Lou Reed e i Metallica. Così
nasce l’idea e si fa strada il progetto. Il primo
aveva già scritto i testi per lo spettacolo di
Robert Wilson, dall’omonimo album, in scena a
Berlino, quindi il lavoro in sala registrazione è
stato piuttosto semplice. Fa un effetto strano
l’immagine di Lou Reed che guarda negli occhi
Kirk Hammet e dà il via ai lavori, occhi che
hanno vissuto percorsi musicali differenti e che
hanno lasciato, in maniera diversa, segni indelebili nell’eterna favola del rock. «Un matrimonio in paradiso», definisce così Reed questo
progetto partorito in brevissimo tempo, che
porta il nome (reggetevi forte) di Lulú.
Ma chi è?
È lo spirito della terra o il vaso di Pandora?
Ispirato dallo scrittore tedesco Frank
Wedding e dal compositore viennese Alben
Berg, Lou Reed redige i testi e i Metallica scrivono le musiche concentrandosi sulla figura
misteriosa di Lulù, una giovane ballerina di cui
non si conoscono le origini: decadente e sospesa, nello stesso tempo conquistatrice e vittima
di se stessa. È la forza distruttrice, il serpente
tentatore, la perdita totale e costernante di qualsiasi freno inibitore, sessualità, femme fatale e
bordello, ma soprattutto autodistruzione.
Figure retoriche struggenti, riflessioni e
riverberi tragicomici sono messi a nudo nei testi
di questo nuovo lavoro. Dieci tracce come le
dieci parti dell’opera di Berg composte da tre
atti e sette scene, per un finale che ci regala ben
19,29 minuti di Junior Daddy, ultima tracklist
del secondo disco in collaborazione con John
Zorn al sax, Laurie Anderson al violino e Rob
Wasserman al basso. Energie differenti amalgamate in un’ampolla magica che potrebbero
esplodere o implodere da un momento all’altro,
trascendendo così la curiosità e lasciandoci un
po’ scettici di fronte a questa pseudo sovversione azzardata.
Azzardata come una «ricetta sonora» che
fonde il sound di due grandi album come Berlin
e Master of Puppets e che ci lascia soli nel labi-
L IVIA Z ANICHELLI
inquant’anni di Rolling Stones il 12 luglio 2012 ma nessuna candelina.
L’ultima esibizione risale al lontano 26 agosto 2007. È un tradimento?
Come sentirli intonare: «Prego, lasciate che mi presenti: sono un uomo
ricco e di gusto, sono stato in giro per molto tempo, rubai molte anime
e sottrassi molta fede agli uomini.» (Sympathy For The Devil)
issolte in una nuvola di fumo
le attese di un concerto per i
50 anni di attività dei Rolling
Stones. Mick Jagger dissipa
ogni dubbio dei suoi fan sulla
questione. Ma forse non è
ancora detta l’ultimissima parola. Come non
sperare? Come non pensarci? Come non attendere con il fiato sospeso quel fatidico 12 luglio?
Impossibile. Almeno per i milioni di fan della
linguaccia più famosa del mondo che già pregustavano sognanti i festeggiamenti per le nozze
d’oro dei Rolling Stones.
Il 12 luglio del 1962 «l’alternativa brutta,
sporca e cattiva dei Beatles» esordisce ufficialmente sul palcoscenico del Marquee Club di
Londra. Il prossimo 12 luglio 2012 si attendeva
il concerto anniversario per i 50 anni della band
britannica, a Londra. Narrare qui le gesta di
questi eroi del rock sarebbe a dir poco prolisso:
si rischierebbe tra l’altro un eccesso di lacune,
un peccato di ingenerosità nei confronti di coloro che hanno dato un contributo prezioso alla
storia della musica.
Ci basti dunque ricordare che l’ultima esibizione dei Rolling Stones risale al 26 agosto del
2007, al termine del Bigger Bang Tour. Più di
quattro anni di attesa per ricevere la notizia che,
D
rinto sconfinato dell’immaginazione. E non
basta. Lou Reed ha detto, riferendosi al disco:
«Lulú è forse la miglior cosa mai fatta (e non
solo da me)». Un’asserzione che implica delle
dovute responsabilità e non gli lascia la possibilità di poter lanciar il sasso per poi nascondere
la mano. Forse è una frase di buon auspicio, ma
sicuramente la band di Hammet assieme all’ex
Velvet Underground sanno il fatto proprio e si
possono permettere, dopo anni e anni di successi, anche una dichiarazione del genere, anche
una provocazione tesa ad enfatizzare la libidine
di possesso. Stranezze che si riflettono nell’art
work curata dal fotografo e regista Anton
Corbijn (al cinema con Control, biopic su Ian
Curtis dei Joy Division), nelle foto scattate nell’estate 2011 a Gothenburg, in Svezia, presenti
all’interno delle due versioni deluxe dell’album: la book edition e la tube edition in edizione limitata.
La cover principale è, invece, rappresentata
da un inquietante manichino di cera, perfetto
per il concept, e da un book contenente i testi
delle tracce. I capi della Transport for London
hanno vietato l’affissione dei relativi poster
promozionali perché turbano il decoro urbano e
d’impatto potrebbero sembrare un graffito o un
murale (a volte vengono prese decisioni più
bizzarre delle cause che le hanno determinate).
Una fusione artistica che riesce comunque ad
amalgamarsi bene, anche perché le sonorità
veementi dei Metallica sono sempre state
accessibili ad un pubblico più vasto, nonostante la loro «difficile» etichetta speed/trash/metal,
facilitando così l’accostamento al rock più classico di Lewis Allan Reed.
Una specie di rottura del «vaso», avvenuta
per la notte di Halloween 2011, che libera nell’aria i sette peccati capitali contemplati nella
carriera delle star, rotture che cercano un cambiamento e un rinnovo musicale, una sfida o
forse solamente un rilancio. Una cosa è certa:
possiamo definitivamente chiamarli Loutallica.
E non suona per niente male.
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probabilmente, di un concerto per i 50 anni di
attività non se ne vedrà nemmeno l’ombra.
«Cari fan, non trattenete il respiro, non ci sono
programmi al momento»: questo il laconico
commento di Mick Jagger ai microfoni del Sun,
che spezza i cuori pulsanti d’amore degli ammiratori dello storico gruppo rock. Eppure tutti vi
speravano, soprattutto dopo le rassicuranti
parole con cui mesi fa, Keith Richards, aveva
auspicato una possibile performance per festeggiare questo mezzo secolo di successi: «Sì, c’è
qualcosa che bolle in pentola. L’idea è lì, ma
per ora non c’è alcun impegno ufficiale».
Dunque aspettative deluse, speranze tradite
per i fan che speravano in un 12 luglio esplosivo immersi nel verde di Hyde Park e nelle note
dei più grandi successi della band. E tanto più è
grande la delusione quanto più si pensa che
l’occasione per soffiare su queste 50 candeline
costituirebbe un vantaggio non solo per gli
appassionati, ma anche per le casse della capitale d’Albione. Nell’estate del 2012 Londra
ospiterà le Olimpiadi e v’è da chiedersi: quanta
folla possono attirare due eventi così importanti, l’uno di seguito all’altro? Quanti soldi in
più? Per questo forse c’è ancora speranza. Ma,
stavolta, saranno i fan traditi a rivolgere la loro
stizzita linguaccia ai Rolling Stones.
■
THE JOHNNY CASH PROJECT
N
DI
on c’è alcuna tomba che può
raccogliere il mio corpo: be’,
guardate giù nel fiume, cosa
credete che io veda? Una banda
di angeli che stanno venendo a
prendermi. Tra questi c’è di certo
tutta la community che ha creato
il video di Ain’t No Grave
A LESSIA P ANUNZI
«A
portrait of a living and walking contradiction, partly truth and partly fiction». Ancora in veste di precursore,
Johnny Cash, the Man in Black, il by-stander
per eccellenza, il Viandante, il Caronte senza
tempo, oltrepassa la vita, la tecnica, la tradizione, per approdare e traghettare a sua volta gli
ascoltatori in una dimensione «outlaw» consona ai suoi testi, dove paradiso e inferno si contrastano e congiungono costantemente.
A testimonianza (postuma) del suo intento,
ovvero la grande narrazione in musica del
nostro tempo, Johnny Cash scolpisce un suo
ultimo epitaffio, o per meglio dire lascia che gli
altri lo facciano per lui, attraverso questo progetto d’arte collettiva commemorativa: The
Johnny Cash Project.
Inizialmente il regista Chris Milk, una delle
menti del progetto, ha chiamato a raccolta
numerosi video-artisti ed illustratori a cui ha
assegnato il compito di digitalizzare e animare
alcune delle foto più belle di Cash; dopodiché,
abbandonandosi al fascino della community, si
è proposto di coinvolgere il maggior numero di
persone nella realizzazione online del videoclip
della canzone Ain’t No Grave, ultimo brano
inciso in studio (Cash muore nel settembre del
2003), attraverso un insieme di immagini elaborate liberamente dai singoli utenti.
Ciò che ne emerge è un suggestivo progetto
audiovisivo che va considerato un work in progress, a unique communal work, visualizzabile
in migliaia di versioni differenti attraverso la
piattaforma web, un’idea innovativa dal punto di
vista musicale che, seppur sociologicamente già
affermata, evidenzia la fusione tra «producer» e
«consumer» creando il «prosumer», una nuova
figura alla base del processo creativo chiamato
«crowdsourcing», ovvero affidare al pubblico
(«crowd») parte delle proprie attività.
Il risultato in questo caso è assolutamente
sorprendente, poiché non stona con la tradizione musicale di questo gigante di vecchia data, al
contrario ne ricalca i chiaroscuri, le lacerazioni,
la sofferta non linearità esistenziale. Ne consegue un’emozione fortissima nell’osservare le
impressioni, le interpretazioni nel tratto, nei
disegni più o meno astratti dei fan, che vanno a
modulare, confondere o risaltare l’immagine di
quest’uomo che appare nel videoclip, solo, nell’ombra, incedere stanco e rassegnato come un
guerriero che continua a lottare anche quando la
canzone finisce, mentre pronuncia l’immortale
verso: Ain’t No Grave Can Hold My Body
Down.
■
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ROCK
OFF
Music In ¢ NUMERO 19
MERCATO DIGITALE Indagine Fimi La rete sta catturando il negozio sotto casa:
un rapporto annuncia che da ora le classifiche ufficiali dei dischi più venduti sono stilate anche in base ai dati di vendita degli store online. Ci va davvero di arrivare a tanto?
SONIC YOUTH C’è uno Starbucks in America che ha trasformato l’underground del gruppo in un espediente commerciale e una raccolta, uscita nel 2008 ed oggi in Italia, in un bicchierone di plastica
SOTTOCASA
DI FLAVIO FABBRI
Il mercato si sposta in rete, chiude il negozio sotto casa
s o n i c a p ro v o c a z i o n e o re s a ?
DI
vendite di album in rete sono aumentare del 37 per cento negli ultimi sei
mesi del 2011. La musica digitale rappresenta oggi il 21 per cento del mercato italiano. È per questo motivo che dal 14 ottobre 2011
le classifiche ufficiali dei dischi più venduti nel
nostro Paese sono stilate anche in base ai dati di
vendita degli album digitali provenienti dagli
store online, che quindi si sommano a quelli
relativi ai canali di vendita tradizionali, come
negozi, catene e supermercati.
Lo ha annunciato la Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana), sottolineando in un rapporto come, nel primo semestre 2011 (dati
Deloitte), il fatturato totale del mercato digitale
sia stato di 12,4 milioni di euro, con una crescita
del 10 per cento rispetto al 2010. Il digital download di album cresce del 13 per cento (di singoli
del 6 per cento), così come i ricavi basati sulla
pubblicità, ovvero YouTube, che fanno registrare un salto in avanti del 39 per cento. Dati più che
positivi che hanno autorizzato la Fimi, in collaborazione con la Gfk, società che avrà il compito
di raccogliere informazioni sul mercato, a rivoluzionare la composizione delle classifiche nazionali di vendita degli album. Nel 2004 il mercato
Le
della musica digitale era di fatto inesistente, con
incassi pari allo zero, ma dal 2005 (11,6 milioni
di euro di fatturato) e ancora più dal 2006 (16,7
milioni di euro) le cose sono cambiate e il trend
è andato aumentando quasi costantemente. Nel
2010 si è arrivati a circa 22,5 milioni di euro, con
una crescita del 10 per cento trainata in gran parte
dal successo del download da web, cresciuto del
14 per cento rispetto al 2009.
A livello globale lo scenario non cambia e nel
2010 i ricavi derivanti dalla musica digitale
sono stati pari a 4,6 miliardi di dollari, con una
crescita del 6 per cento. Negli store digitali
sono disponibili da tempo, negli Usa e in Gran
Bretagna, oltre 13 milioni di brani, per un giro
d’affari che in 6 anni è cresciuto del 1000 per
cento. Dai canali digitali, aspro terreno di battaglia contro i pirati informatici, le case discografiche ricavano già il 29 per cento delle entrate.
Un dato incontrovertibile, con i negozi di
musica considerati tradizionali, quelli sotto casa
per intenderci, che non riescono più a vendere cd
e dvd di musica come una volta. La domanda di
supporti fisici è crollata (a parte un revival del
vinile per pochi estimatori), il mercato si è spostato su internet e la rete mobile.
■
E
F LAVIO F ABBRI
sce dopo 4 anni in Italia la raccolta di cui lo star system scelse i 16 brani. Ma qualcosa non quadra: quali Sonic Youth si consegnerebbero allo Starbucks system?
L
a copertina dell’album (fotografia di
Stefano Giovaninni) ritrae un giovane
in giacca e cravatta, in uno Starbucks
store, che siede ad un tavolo ascoltando musica
dal suo lettore Mp3, davanti a un caffè ed un
cellulare. Probabilmente gli auricolari bianchi
che scendono dalle sue orecchie sono di un
iPod, quello sul tavolino è uno smartphone e il
completo che indossa un costoso Armani.
Simboli di un business system più immaginato
(a livello televisivo) che vissuto dal pubblico.
Non si tratta di una pubblicità, ma della copertina di Hits are for Squares dei Sonic Youth,
band alternative rock tra le più radicali e sperimentali degli anni Novanta.
L’album usciva nel 2008 e solo oggi viene consegnato al pubblico italiano. È una semplice raccolta di loro pezzi storici - salvo l’inedito Slow
Revolution - con la particolarità di essere stati
scelti da celebrità del mondo del rock e del cinema. Tra le 16 tracce: Sugar Kane, Rain on Tin’ e
Kool Thing’ scelte da Beck, Flea (Red Hot Chili
Peppers) e Radiohead; Tuff Gnarl e Teenage Riot
selezionate da Mike Watt (The Stooges) ed Eddie
Vedder (Pearl Jam); Expressway to yr Skul
segnalata dai Flaming Lips e 100% da Mike D
(Beastie Boys). Dopo i musicisti, le preferenze di
attori e registi: Catherine Keener ha indicato Bull
in the Heather, Diablo Cody Superstar, Gus Van
Sant Tom Violence, e così via. Ma viene da chiedersi se ai fan del gruppo newyorkese interessi
davvero quale canzone dei Sonic Youth sia piaciuta a Michelle Williams (che ha scelto
Shadow of a Doubt) o a Chloe Sevigny (che ha
voluto World looks Red). Finché sono musicisti
(alcuni sicuramente di rilievo nel panorama
internazionale) passi pure, ma per attrici o
pseudo tali come le ultime due citate davvero la
perplessità si fa totale. Che cosa vogliono
comunicarci i ragazzi sonici? Perché
Starbucks? Perché lo star system?
I Sonic Youth, band icona dell’underground
americano, anticonvenzionali principi del noise
poco interessati ai giudizi della critica e fortemente ancorati alla subcultura indie, non hanno
mai cavalcato le classifiche americane o estere,
pur riuscendo a conquistare un vasto pubblico
attraverso numerose tournée e una produzione
vivace (19 album in tutto); eppure i simboli rappresentati nella copertina dell’album sono dei
codici estranei alla loro storia, la scelta di far
presentare la loro musica a dei personaggi
famosi ancora meno. Una provocazione o una
resa? Che la risposta non sia nell’inedito? ■
abbonamenti
arretrati
cose…
…
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BEYOND
&further
Music In ¢ NUMERO 19
JANG SENATO Un imprinting è serio. Succede spesso in
musica, l’imprinting, la trasformazione di un musicista in
papera. E quel desiderio di salire su una giostra per respirare
a cura di ROMINA CIUFFA
...A TOYS ORCHESTRA L’immagine di copertina è reale e
ritrae una manifestante ferita dalla polizia solo per aver retto uno
striscione che rivendicava la mercificazione del corpo femminile.
a cura di ROMINA CIUFFA
JANG SENATO
E RESPIRARE
Io mi tappo la bocca e ingoio parole che nascono come
fiori dal petto, per paura che Dio ci scopra prima o poi
e ci porti via tutto. Non grido perché son scaramantico
o perché ho visto guerre per un bacio, ma dentro me
divampo tutto e solo danzo il ballo degli amanti nuovi.
Di chi è il sedere? L’Americano è un cocktail che noi beviamo
con continuità. Era quello peraltro un periodo in cui uscivamo
molto e bevevamo, buon biglietto da visita per tutto. Ma è andata
così: dovevamo registrare il pezzo alle 8 di mattina, le parole le
abbiamo fatte dalle 6 alle 8. La signora in questione è una matrona cinese che abita nella Riviera adriatica, a Cesenatico, dalle
nostre parti, serve Americano e ha un bel sedere nonostante le
cinesi lo abbiano minuto. Una «cinesona», si può dire.
Respirare. Di cosa parla? È difficile spiegare. Il testo lo
abbiamo scritto insieme in un momento particolare. Quando ci
fanno questa domanda rispondiamo sempre alla De Gregori,
«non c’è niente da capire». Era un momento particolare in cui,
invece di parlare delle fidanzate che avevamo, ci eravamo quasi
fidanzati noi due (Titano e Portone, ndr): abbiamo trascorso un
mese intero insieme e questo pezzo è diventato un successo.
Accade questo in Italia: proprio le canzoni che hanno meno
significato ottengono il maggiore successo. Stesso motivo per cui
molte canzoni di Tiziano Ferro sono divenute famose prima del
suo outing. Anche la stessa Niente da capire è una canzone dove
tutti capiscono delle cose. Respirare è un testo nato a caso.
Ciascun ascoltatore si fa il proprio viaggio. È molto più importante essere veggenti che essere autori.
State facendo «carriera»? Non chiamerei «carriera» quella
di un disco solo. Ce lo siamo autoprodotti e dopo abbiamo trovato un’etichetta, la Pippola Music, per farlo uscire nei negozi,
la stessa che ha già prodotto Brunori Sas, i Dimartino, Dilaila.
Pare che stia anche vendendo, sono rimasti gli ultimi due milioni di copie invendute...
Scialpi è un pescatore: qual’è la migliore esca per il bollentino d’altura? Dipende dalle temperature, il mio preferito rimane il granchio con le gambe tagliate.
Che mercato c’è nel Cesenatico? Frutta, pesce e prostituzione... E liscio, musica alla Raul Casadei, con cui Gulma è anche
«imparentato» a dire il vero perché la sua fidanzata è la sorella
del marito di una figlia... Però ci invita alle feste perché ha un’idea di famiglia molto allargata, e un giorno ha detto: «Quelli
che tocco io sono fortunati, e voi secondo me avete stoffa».
Aspirate ad un Festival? Di base aspiriamo al cash, ovvero
vivere di musica che è molto difficile oggi. Quando potremo dire
che stiamo vivendo di musica, anche a livello misero, e che la
fase faccio cose-vedo gente è finita, allora saremo soddisfatti del
nostro mestiere. Ciò che viene è tutto buono, basta vedere una
crescita, ma ci vuole la mano di qualcuno. Siamo stanchi di fare
gli spacciatori comuni.
Chi ascoltate? Ramones, Tung, De Gregori, ascoltiamo tutti
tranne la Leva cantautoriale degli anni Zero, iniziativa voluta
dal Mei e dal Premio Tenco che ha messo in mezzo tutte le nuove
esperienze cantautoriali di oggi. Noi l’abbiamo risoprannominata la Leva cantautoriale degli zero, perché non è proprio quel
che si dice una casta di eletti: ci sono i bravi, ma su centinaia se
ne salvano in una mano.
Siete ribelli? Noi siamo dei buoni in borghese che vogliono
bene alle mamme, cioè non siamo come quelle rockstar degli
anni 70 che si stimavano a fare le porcate, siamo come quelle
degli anni 50 che facevano le porcate ma dovevano nascondersi,
infatti nessuno sa che fumiamo.
Quindi non fumate? No.
■
Videointervista
www.youtube.com/musicinchannel
M
i dicono: «Vi chiamate Music In come il negozio a San
Marino, paraculi». L’erre moscia, i testi, il senso. Il loro
modo di fare. La sincerità. Sono tra i punk più smielati di
tutto il cantautoriato italiano: serve più dolcezza o follia ad un
artista? «Andrebbe capito che i veri punk della nostra epoca sono
i cantautori. Una volta c’erano i rockettari che si drogavano, il
no-future è il nuovo cantautorato». Li incontro per quella mia
ormai irrefrenabile voglia di salire sulla giostra di Respirare, il
mio insano desiderio di ballare un liscio, avere 85 anni ed invitare chi gli Jang Senato me li ha fatti conoscere.
Io e Te (specificano: scritta perché «tutti hanno un pezzo che si
chiama Io e Te»), Tempi buoni («Non vedi che non ho bisogno
delle tue parole, dei pregiudizi che hanno le persone, faccio cose
che tu forse neanche t’aspetti o perlomeno amo i tuoi difetti»), Un
anno fa («Oggi non ho tempo, ma ci pensavo più spesso un anno
fa»), le ballate d’amore in levare e tutto l’album Lei ama me lui
ama te, tutto Vendesi, i vari autoprodotti, i brani fuori album, gli
inediti, quelli inseriti in compilation random, le improvvisazioni
da concerto. Un imprinting è serio. Succede spesso in musica,
l’imprinting, la trasformazione di un musicista in papera.
Con la sua erre moscia mi risponde Titano-Davide Gulmanelli
(voce e concetti), insieme a Portone-Alfredo Nuti (chitarre e dialettica). Siamo su una giostra anche con gli altri: Higgins (bassi e
igiene), Scialpi-Lorenzo Santolini (tastiere e psicofarmaci),
Mocambo-Fabio Tozzi (batterie e dimensioni, per l’altezza), Gian
Filippo Guidi (management, art direction e psicoterapia), Corky
Veggiani (power dispencer). Propedeutico, sapere dalla fonte
come si pronuncia Jang. «La J si poteva pronunciare g oppure i,
abbiamo optato per Iang. Quelli che ci chiamano Giang sono portati a complicare le cose.»
Chi siete? Scriviamo le canzoni degli Jang Senato e siamo
disoccupati. Siamo anche poveri, lo ammettiamo. Proveniamo
dai Daunbailò, con cui è uscito un disco nel 2003, quindi ci
siamo sciolti per proseguire questa nuova avventura. Stiamo
costruendo dei castelli in aria ma ci piace.
C’entra Tom Waits con i Daunbailò? Come guitar band ci
sentivamo dio in terra e, a differenza degli Jang Senato, eravamo un gruppo basato proprio sui chitarristi e consideravamo
Waits l’ultimo uomo che ha salvato la chitarra.
«S
iamo dei buoni in borghese che vogliono
bene alle mamme, non siamo come quelle rockstar anni 70 che facevano porcate.
Infatti nessuno sa che fumiamo.»
Come vi definite? Siamo troppo pop per essere apprezzati
nell’underground, e troppo underground per essere apprezzati
nel pop, ma in medio stat virtus. Ed anche cave canem.
Fingo di non cadere davanti a questo stupidissimo sedere,
ma poi mi riprendo e vedo il fondo di questa dama disegnata
a tutto tondo (Lamericano). Da dove escono i vostri testi? I
testi degli Jang Senato nascono tutti dal bagno di casa mia,
famoso per la presenza di mattonelle che fanno un riverbero
naturale e permette di sentire già qualcosa. Nascono da storie
vere, spesso tristi sebbene arrangiate in maniera allegra per fare
contrasto, come accadeva per Domenico Modugno in Piove.
Se sono allegre le arrangiamo tristi. Nascono sempre da storie vere. Il tema di base è un allegro disamore, che si può superare con la positività, gli accordi in maggiore. Dicono che gli
Jang Senato siano allegri, ma in realtà sotto c’è molta sofferenza che è la nostra miccia. Il dolore può esser sottocutaneo ma
tutto ciò che si vede dev’esser positivo.
...A TOYS ORCHESTRA
I tre puntini davanti al nome portano ad Agropoli senza percorrere la Salerno-Reggio Calabria
13
anni di entusiasmante attività con alle spalle
numerosi concerti e quattro album gli ...A
Toys Orchestra (Enzo Moretto per voce,
chitarre e piano-synth; Ilaria D’Angelis per voce,
synth, piano e chitarra; Raffaele Benevento per
basso e chitarre; Andrea Perillo alla batteria) presentano il quinto progetto, che è sempre e comunque di
mezzanotte: Midnight (R)evolution. Pubblicato con
l’etichetta fiorentina Ala Bianca/Urtovox, il nuovo
disco esce quasi ad un anno e mezzo di distanza dal
precedente lavoro, Midnight Talks. La notte è piccola per loro, è il caso di dirlo.
Gli affascinanti undici brani dalle melodiche
sonorità accattivanti, eseguiti dalla band di Agropoli
(Salerno), infiammano la coscienza civile di quanti
condividono quel senso di disagio che si respira in
Italia e nel mondo. Enzo Moretto, storico leader del
gruppo, ci ha raccontato in che modo è nato il quinto album e di come «un forte rumore di fondo vibra
nell’Italia di oggi». Palpabile dentro quesa ultima
Midnight(R)evolution, cui è accluso anche un dvd,
Midnight Stories, contenente la video storia della
band, i backstage, i racconti, le interviste ed i contenuti speciali dai primi anni ad oggi.
Music In intervista Enzo Moretto, frontman di un
gruppo non ordinario che è riuscito ad uscir fuori
dalla Salerno-Reggio Calabria.
Qual’è la vostra origine musicale?
Probabilmente ogni sorta di cosa è confluita nella
nostra musica. Non parlo per forza di altra musica,
che è ovvio che venga metabolizzata. Gli ...A Toys
Orchestra sono la trasposizione di tutto ciò che
accade dentro e fuori di noi.
Come nasce il quinto album, Midnight (R)evolution?
Rispetto ai dischi precedenti quest’ultimo ha
avuto una gestazione differente, in quanto è stato
scritto in movimento. Infatti, se per gli altri è stato
sempre necessario un periodo di full immersion ed
isolamento per comporre e registrare, con Midnight
(R)evolution i tempi, i modi e i luoghi di realizzazione sono stati diversi e si sono protratti in un continuum nel tempo. La dinamica del disco rispecchia
la sua natura fluttuante. Ed è quello che volevamo
che fosse.
Chi è la ragazza sulla copertina?
L’immagine di copertina non è uno scatto artistico creato ad hoc, bensì la foto reale scattata dal
reporter Alessandro Tricarico avente ad oggetto
una manifestante ferita dalla polizia, la cui unica
colpa è stata quella di aver retto uno striscione che
si opponeva alla mercificazione del corpo della
donna. Una notizia fin troppo frequente nel nostro
Belpaese. Abbastanza eloquenti le scritte «democra-
A CURA DI
GIUSEPPE ARNESANO
zia» sui cerotti: la foto si spiega da sé.
Che l’Italia non sia un Paese di rivoluzioni si
sa: pensi realmente che questa volta le cose
potrebbero andare in maniera dfferente?
Non so che piega prenderemo. Ma è evidente che
qualcosa sta accadendo: è vero, il nostro è un Paese
senza la cultura storica della rivoluzione. C’è però
un forte «rumore di fondo» che vibra nell’Italia di
oggi, un fiume di malcontento finora arginato dalla
propaganda effimera del benessere e camuffato
dalla manipolazione mediatica. Questa diga comincia a scricchiolare e la tensione è molto alta anche
rispetto a solo qualche mese fa.
In Italia, come sono visti i cantanti che esprimono i propri testi in inglese?
C’è una parte del pubblico che è pronta all’europeizzazione, la accoglie e la incentiva. Probabilmente qualcuno si chiede perché i Deus in Belgio,
Bjork in Islanda, gli Air in Francia, gli Hives in
Svezia, i Motorpsycho in Norvegia o i Notwist in
Germania siano credibili, mentre qui in Italia le
band anglofone sono tacciate di scimmiottamento.
Una domanda più politica, se è vero che siamo
tutti giocattoli di un’orchestra: cosa direbbe Joe
Strummer al nostro «Pinocchio»?
E chi lo sa? Forse che ormai il legno è marcio e
noi siamo tante tarme affamate.
■
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BEYOND
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Music In ¢ NUMERO 19
BRUNORI SAS Pensi veramente che il dolore sia funzione del tempo? (eh già) | Quindi tra BALCONY TV L’intervista a Stephen O’Regan, il fonun mesetto mi dovrei sentire già un poco meglio... (già già) | Spero che tu non lo dica solo datore. Un’idea semplicemente troppo geniale per morire almeno finché ci siano terrazze, anche senza condono
perché io sto morendo. | Ora tu piangi, mi sembri deluso, ma sono vittima del suo sorriso
A CURA DI
LUCIO LUSSI
MUSICACONVISTA
IL CIELO SOPRA BALCONYTV
BRUNORI SAS
«I
nsomma devo scappare che qui in Calabria non c’è niente, proprio niente
da fare. C’è chi canta e chi conta e chi continua a pregare, San Francesco
sopra il letto e sul cruscotto, c’è la Madonna di Pompei sopra la 126.»
D
ario Brunori è cresciuto, ha messo su
qualche capello grigio. In fondo lo
aveva già ammesso, che «tutto è
cominciato perché io vivo in un paesino molto piccolo, che d’estate fa
migliaia di abitanti, e d’inverno è una noia mortale, quindi mi sono avvicinato alla musica proprio per necessità, per fare qualcosa». Originario
di Cosenza, ha abbandonato la Calabria per studiare Economia a Firenze. Dopo la laurea è tornato a casa per lavorare nell’azienda di famiglia,
la Brunori sas, appunto. In fretta, però, ha capito che le sue aspirazioni erano altre e ha deciso
di cimentarsi con la musica. Dopo il primo
album, Vol. 1, la scorsa primavera è uscito Vol.
2 - Poveri Cristi, un lavoro intelligente e variegato che lo ha lanciato ufficialmente nel firmamento della scena indie nazionale. Ne è seguita
una scia di recensioni controverse e un’estate
ricca di concerti, che vanno avanti fino a dicembre, ed ora il premio per il miglior live al
Medimex di Bari, il Meeting mediterraneo delle
etichette indipendenti.
Un bravo paroliere. Da Lei, Lui, Firenze: Eh
che cosa vuoi che ti dica, con te sto bene anche
se ormai è finita, e lo so che non basta un bicchiere per sorridere e dimenticare, ho le mie
solite bugie e le mie sciocche fantasie, ma stasera ho voglia di brindare a un’altra storia d’amore per noi che non ci amiamo più. Da Il Pugile:
La devi smettere di darmi pugni, non sono mica
un pugile ma tu non capisci la poesia, sei solamente un tecnico. Dopo tutto questo clamore ne
siamo certi: il Mezzogiorno ha un cantautore,
merce rara al di sotto della Capitale (lo dice uno
scrivente pugliese). Dario lo conferma, ma a
bassa voce: «Ho ancora molta strada da fare».
Chi sono i «poveri cristi» del nuovo album?
Sono i protagonisti delle storie narrate nelle
mie canzoni ed i personaggi che hanno collaborato alla stesura dell’album, tutti immortalati
nella copertina. Volevo un titolo che richiamasse un concetto drammatico ed ironico. Quando
si parla di poveri cristi si cerca la compassione
e uno sguardo bonario sulle sventure altrui. Ed
è questa una delle idee alla base del disco.
Sei sulla copertina: sei un povero cristo?
Probabilmente sì. Il mio concetto di «povero
cristo» rientra nei sentimenti e nelle sensazioni
che fanno smuovere e nascere le mie canzoni.
Com’è nato l’album?
Velocemente. La stesura e la registrazione
sono avvenute nel giro di 4 o 5 mesi. C’erano
alcune idee e bozze di canzoni appuntate negli
ultimi 2 anni, in cui ho suonato con continuità,
e ciò, per chi fa il mio mestiere, è indispensabile e utile a trarre risorse per la creatività.
L’evoluzione e il successo si sono verificati
troppo in fretta?
Risparmiare del tempo prezioso rispetto a
una gavetta più lunga è un evento positivo, e lo
rifarei. È tutto avvenuto rapidamente solo
rispetto alle mie aspettative.
Quali sono i personaggi dei tuoi brani?
In questo disco utilizzo strumentalmente la
storia. Non ho provato a dipingere un personaggio in particolare, ma ho inserito i miei figuranti all’interno di una storia. E nella narrazione ho
illustrato la mia visione generale del mondo e
delle cose. A volte si tratta di un personaggio
incontrato personalmente, in altri casi sono i
protagonisti di un libro che ho letto. A mio avviso, la creazione di un brano o di un personaggio
avviene in maniera abbastanza istintiva, e questi
tentativi di spiegare sono soltanto una ricostruzione successiva per rispondere alla domanda.
Alcuni processi creativi avvengono per
caso, senza troppe spiegazioni?
Una genuina ispirazione iniziale non manca.
Nel mio caso, il processo di ispirazione avviene
casualmente, senza alcun controllo. Con l’esperienza e il mestiere, poi, sono riuscito a trovare un metodo per dare una forma precisa
all’ispirazione iniziale.
Con chi vorresti duettare?
Con tutti. Sto vivendo situazioni molto interessanti, mi sto confrontando con artisti validi
su terreni differenti dal mio. Le collaborazioni
vanno sempre bene, purché dall’altra parte ci
siano persone con le attitudini giuste.
Sarcasmo, ironia, rassegnazione e realismo. Attraverso quali parametri racconti
l’Italia dei nostri giorni?
Non ho alcuna intenzione di creare un manualino del mio modo di intendere il Belpaese,
anche perché non credo di avere ancora uno
stile ben definito. Senza dubbio nei miei brani si
alternano sarcasmo, ironia, rassegnazione e
realismo, ma non seguo una regola né penso di
dovermi muovere in un ambito particolare. Nel
prossimo disco potrei anche occuparmi di una
storia d’amore ambientata in Amazzonia. Mi
occupo di cose che mi emozionano. E devo fare
molta strada prima di raccontare il mio Paese.
È così in Come stai: Che cosa vuoi che dica?
Di cosa vuoi che parli? È il mutuo il pensiero
peggiore del mondo che ho intorno. Che cosa
vuoi che scriva? Di cosa vuoi che canti?
■
a cura di
Romina
Ciuffa
B
alconyTv fa suonare sui tetti. È venuta in mente ai coinquilini di un
appartamento di Dublino un pomeriggio in cui il tè bolliva e il balcone della casa sembrava più sprecato del solito. Mente con vista
A
mante delle terrazze e delle idee
inconfutabili, non posso non dar conto
di questa Balcony Tv. Non appena mi
affaccio da un attico danese, ho questa vista:
musicisti nord-europei che fanno concerti sui
tetti del mondo. La mente con vista è di
Stephen O’Regan, che da Copenhagen mi
spiega: «BalconyTV fa suonare sui balconi.
Sembra una cosa semplice, un concetto bizzarro forse, eppure è divenuto un franchise con
volontari in tutte le città del mondo che filmano
le performances e le condividono attraverso il
nostro sito. È così che abbiamo raggiunto 20
milioni di visite e caricato oltre 5000 video».
Com’è nata l’idea di una tv sui balconi?
L’idea è nata 5 anni fa in un appartamento a
Dublino. Io e i miei coinquilini stavamo scherzando sul fatto che avremmo dovuto utilizzare
di più il nostro balcone. Dopo moltissime tazze
di tè, abbiamo deciso di creare un Internet Tv
show proprio lì. Inizialmente voleva essere più
uno spettacolo artistico, cose tipo filmare la
pioggia o il traffico giù per strada, e caricare in
rete brevi video da un paio di minuti. Per quanto oggi non lo abbia più, nel 2006, nell’epoca
primordiale di YouTube, questo aveva ancora
un senso, poiché la gente cominciava a sperimentare la condivisione di immagini online.
Subito cominciò la nostra programmazione, e
invitammo una band locale a suonare sul balcone. La clip divenne subito un successo, e
fummo inondati di richieste dagli altri gruppi.
Dal balcone, tutt’altro che intenti suicidi:
molti dei musicisti che si sono esibiti per voi
sono divenuti famosi. Qualche esempio?
Iniziammo anche ad aiutare alcuni dei musicisti che si erano esibiti sulla terrazza ad emergere. Fu il caso degli Script, che suonarono per
BalconyTv nel giugno del 2007, quella performance costituì il primo videoclip e nei successivi 4 anni il gruppo uscì con 2 dischi di platino. Il video di We Cry ha ricevuto circa 2
milioni di clic. Ma non solo: hanno suonato sui
nostri balconi i Mumford & Sons, i Temper
Trap, i Jessie J, i Buzzcocks.
L’idea di BalconyTv cominciò ad avere
una eco globale, e ad Amburgo venne ospitata la prima performance fuori Dublino.
Come siete riusciti ad espandervi tanto, partendo da un appartamento irlandese?
Il nostro franchise copre 22 città in tutto il
monto, dagli Usa al Messico, alla Nuova
Zelanda, alla Polonia. Ci contattano e ci dicono, semplicemente: «Perché qui da noi non c’è
BalconyTv?», e tutto inizia con dei volontari
che realizzano video musicali nelle terrazze.
Inviamo loro delle linee guida e un template.
Non devono essere «fantastici», devono solo
avere il potenziale giusto.
BalconyTv è obiettivamente un’idea di
successo., tanto che il sito entrò nella shortliCORSO
APERTE
LE
st di Viral per i Webby Awards 2008. Ma,
per quanto grande l’idea, è necessaria un’anima commerciale. C’è guadagno?
Nonostante il nostro successo, il sito non fa
soldi. Non ci costa nulla, in effetti, solo tempo,
domain name e spese di hosting. Finora il
nostro unico obiettivo è stato quello di rompere
i limiti culturali della musica, offrendo una
scelta differente.
Sia pure costituisca un hobby, BalconyTv
è di certo un business per la sua proprietà di
catturare l’immaginazione di tutti; inoltre tu
non sei un «pivello», perché hai studiato
Film e Broadcasting.
È per questo che stiamo partecipiamo allo
Startup Bootcamp program, grazie all’intervento di alcuni imprenditori della rete irlandese. Ho la mia esperienza in materia di film, ma
se mi chiedessero di tirar fuori un’idea commerciale ad alto livello, non sarebbe questa.
Eppure hai lasciato il tuo day-job a
Dublino e ti sei trasferito a Copenhagen.
Lavorare ogni giorno con la tecnologia mi ha
dato un valore aggiunto, senza che me ne rendessi conto. È un mix salutare: credo che anche
il più complesso business deve avere a che fare
con la tecnologia basica e un livello di startup
e di pensiero creativo.
Questa accelerazione ti ha dato l’opportunità di sviluppare un modello di business per
il piccolo impero mediatico che hai creato.
Non voglio ancora entrare nello specifico di
applicazioni, vendita di biglietti, marketing,
merchandising etc., che sto esplorando sebbene
siano sempre le buone intenzioni ed una forte
volontà a governare il mio operato. La vera
forza di BalconyTv è proprio questa, e spero
che gli investitori che vorranno entrare nel progetto saranno in grado di valorizzare il nostro
marchio e di incrementare la nostra produzione con il medesimo entusiasmo che ha portato
BalconyTv in tutto il mondo.
Da una terrazza alla rete il passaggio reale,
però, è immenso. Si va da un giardino nei
tetti del mondo alla virtualità di un computer, proprio la rovina del tetto in un certo
senso.
Balcony è prima di tutto una televisione.
L’unica particolarità è che essa viene messa
alla portata di tutti da Internet, che ha la possibilità di trasformare tutti i tipi e le varietà di
prodotti che noi consumiamo in un grande
schermo da salotto. Non escludo che BalconyTv
possa essere capitalizzata e condotta su uno
sviluppo di tal fatta. Intanto i video continuano
ad essere caricati sul server ed il franchise ad
espandersi nel mondo.
Sia o meno trasformata in un affare «profit-making», la tv sui tetti è un’idea semplicemente troppo geniale per morire, almeno finché ci siano case, anche non condonate. ■
MASTERING - SAINT LOUIS
ISCRIZIONI - IL CORSO INIZIA A FEBBRAIO 2012
DI
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SOUND
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a cura di ROBERTA MASTRUZZI
Music In ¢ NUMERO 19
ELECTRIC SELF ANTHOLOGY Intervista al regista Alessandro
Amaducci Il digitale crea, come la donna. Il suo corpo è in perenne mutamento ed ha in sé il germe del cambiamento, della vita, della creatività
VIDEOCLIP Eva Mon Amour - La tua rivoluzione Eva non passò tempo alla toletta né a cambiare le opzioni di privacy prima di amare chi voleva
ELECTRIC SELF
Videoclip
di Roberta Mastruzzi
R
LA TUA RIVOLUZIONE
obot, corpi bionici, scontri tra umani e macchine,
immagini sottotraccia sono emerse con la tecnologia,
che ha riportato alla luce il desiderio profondo di un
corpo meccanico, un corpo perfetto reso tale anche dalla
tecnologia stessa. La mia scelta di rappresentare figure femminili è legata alla creatività: il digitale crea, come la donna.
A
nche i computer sognano. A riflettere su quanto la tecnologia si stia
facendo spazio nel nostro inconscio
è un videomaker, Alessandro
Amaducci: la sua Electric Self
Anthology sta facendo il giro del
mondo. Durante l’Athens Dance Video Project
ne sono stati proiettati tre episodi in uno spettacolo live, in cui immagini, musica e tecnologia
hanno improvvisato nuovi scenari di conoscenza. Ne abbiamo parlato con l’autore, docente di
Estetica del video presso il Dams di Torino, per
scoprire, tra le altre cose, che un cuore trafitto
diventa più potente di ogni altra cosa.
Cos’è Electric Self Anthology?
È un’antologia di video dedicata al sé elettronico, quello che io definisco l’inconscio tecnologico. Il computer riesce a creare un proprio linguaggio: i programmi sono solo in
parte calcolati dal programmatore, in realtà
possono anche andare avanti da soli. Grazie a
questa creatività di linguaggio, il computer
può sviluppare una propria visione del mondo
e creare propri punti di vista, diversi dal
nostro.
I computer sognano?
Secondo me sì. C’è una sorta di inconscio
dentro il linguaggio del digitale, che viene a
contatto con il nostro nel momento in cui usiamo i computer e quindi utilizziamo immagini e
icone come strumento. Il nostro immaginario
incontra quello della macchina, creando mondi
che in parte appartengono a noi e in parte alla
macchina. Questi video tentano di rappresentare questa nuova dimensione.
Il corpo è l’elemento centrale dei tuoi lavori, perché?
La comunicazione avviene sempre più spesso a distanza e attraverso immagini, il corpo
diventa un’icona sempre più usata e presente:
più ci smaterializziamo dal punto di vista
sociale, più, di fatto, abbiamo bisogno di un
corpo.
Sembra un paradosso…
Lo è, ma è un paradosso interessante.
Usiamo le nuove tecnologie - ne sono un esempio i cellulari di ultima generazione - come uno
specchio, con un atteggiamento quasi adolescenziale. Ci rappresentiamo attraverso le foto
e i video, utilizzando la webcam e le videochat,
perché sentiamo la necessità di attestare con il
corpo la nostra presenza. Ogni video di questa
antologia ha un tema che affronta un aspetto di
questo incontro/scontro di immaginari: si creano e si ritrovano archetipi legati al corpo, a
volte molto antichi come la danza macabra, che
riemergono dal nostro inconscio. Il computer
lavora con il concetto di memoria, per questo a
volte spuntano personaggi mitologici come la
Medusa o rappresentazioni che fanno parte del
nostro patrimonio culturale visivo, e quasi non
ce ne rendiamo conto perché tornano sotto
altra forma, trasformati dalla tecnologia.
Le figure presenti in questi video hanno
due caratteristiche: possiedono un aspetto
quasi bionico e sono tutti corpi femminili.
Robot, corpi bionici, scontri tra umani e macchine: immagini che stavano sottotraccia sono
tornate in modo più evidente da quando la tecnologia ha chiarito e portato alla luce il nostro
profondo desiderio di avere un corpo meccanico. Il progredire della tecnologia ci spinge ad
inseguire l’idea di un corpo perfetto, che diventa tale anche grazie ad essa. La scelta di rappresentare figure femminili è legata alla creatività:
il digitale crea, come la donna. Il suo corpo è in
perenne mutamento e ha in sé il germe del cambiamento, della vita, della creatività. È più
disponibile all’incontro con altri germi più tecnologici, non necessariamente negativi.
E in tutto questo che ruolo ha la musica?
Questi video sono come haiku. In ognuno
viene sviluppato un tema e la musica ne supporta l’atmosfera, scandendo i tempi e
costruendo il mood intorno alle immagini.
Spesso le due cose viaggiano insieme: scrivo la
colonna sonora contemporaneamente alla
costruzione del video; a volte, invece, scrivo
prima la musica, ma avendo già in mente l’utilizzo che ne farò. La scelta di realizzare video
musicali è stata dettata da un’esigenza di universalità, non volevo ci fosse la parola usata
come linguaggio per spiegare. Spesso ci sono
citazioni tratte da film. In Not With a Bang,
video dedicato all’immaginario della guerra,
sono presenti dialoghi presi da Apocalypse
Now, quasi impercettibili in quanto impastati
nella musica.
Nei video prevale un’atmosfera cupa,
quasi gotica e un profondo senso di morte.
Nell’incontro/scontro tra uomo e tecnologia,
chi ha la meglio?
La cultura digitale ha introdotto la fine del
concetto di limite: il computer ha una memoria
illimitata, il profilo su un social network ci
sopravvive, tutti devono essere giovani, la vec-
chiaia non esiste più e alla fine si muore da soli
in un ospedale. Pagan Inner, video dedicato alla
danza macabra, parla di questo: non possiamo
allontanare l’idea della morte ma possiamo
danzare con essa affinché non sia un cosa spaventosa. La protagonista balla con uno scheletro e gli scheletri si moltiplicano, partoriti dalla
donna stessa. Questi sono fatti in 3D: c’è sempre il digitale che ci fa intuire una possibilità in
più, lo scheletro si muove perché ha una propria vita. Il digitale ci mette di fronte a tante
possibilità: se lo si impiega come strumento si
vince, se invece ci si fa usare, si perde.
In uno dei tuoi video, Bloodstream, un
cuore trafitto da coltelli sanguina e le gocce
si trasformano in donne. Guardandolo, ho
avuto la sensazione che un coltello trapassasse anche il mio di cuore.
I miei video non vogliono imporre un’interpretazione, non ci sono discorsi precisi e lineari, ma vanno «sentiti», lasciando affiorare sensazioni. Si tratta di un video autobiografico,
fatto di getto proprio mentre il mio cuore veniva trafitto da una serie di spade (è innegabile
che si parli sempre di se stessi, pur mascherandosi dietro i simboli) ed è quindi la descrizione
di uno stato d’animo. La donna, minacciata da
tre visi, sembra sul punto di morire. È in quel
momento che i tre si allontanano, impauriti dai
coltelli conficcati nel cuore: quando un cuore é
trafitto diventa ancora più potente, passanso
attraverso soglie di dolore che sembrano
insopportabili, si diventa più forti.
Ora che grazie al digitale molte tecnologie
sono facilmente accessibili a tutti, qual è il
ruolo dell’artista?
Il digitale è un vantaggio che porta sconquasso: in giro c’è tanta roba inutile, ma in
mezzo ci sono anche persone che fanno cose
interessanti. Io stesso, che ho sempre lavorato
in questo settore, non riuscirei a fare questi
video tranquillamente a casa mia con tre computer se avessi a disposizione solo le tecnologie
analogiche di una volta, molto diverse, più
costose e più pesanti. Per me l’artista è colui
che sente e ascolta il mezzo che usa e lo trasforma in un tessuto emotivo, fatto di immagini
e simboli. La capacità alchemica rimane invariata, a prescindere dalla tecnologia. Non
importa che tu sia un talento riconosciuto o
meno: artista è colui che conosce a fondo il
proprio strumento e lo usa come una bacchetta
magica per creare un nuovo mondo.
■
DI ROMINA CIUFFA
M
i piace. Per recensire questo
video, al tempo dei social
network, potrei semplicemente cliccare «lì». Ma è questa la mia rivoluzione: insistere con le parole. Lo dicevo
già anni fa: un giorno non venirmi a chiedere com’era l’espressione per
«ahahah» o come si arrossiva senza
emoticon. Questo video parla anche di
altro. Parla di ogni rivoluzione che si fa in
un click deresponsabile, le scelte, la
verità offline. L’avanguardia della cassa
da morto nella cancellazione dagli Amici;
il futuro della bomba atomica negli strumenti della privacy; la magia nera del
«sono invisibile». Mi dispiace se la tua
rivoluzione è cancellarmi dal tuo Space.
Gli Eva Mon Amour sono una protesta sin dal nome: Eva rappresenta la
prima persona ad aver fatto una scelta
indipendente e, compiendola, ad averne
accettato le conseguenze. La rivoluzione è quella narrata nel nuovo ep di questa band di Velletri. Il videoclip La tua
rivoluzione è scritto e diretto da Stefano
Poletti, i colori sono seppia, l’ambientazione uno scalo, murales, nello sfondo lo
«sbaglio più normale».
Una rade a zero i capelli dell’altra,
complicità non velata in questo rito rivoluzionario. Sono intrinsecamente legate
ma c’è un muro - i pregiudizi, gli altri, se
stesse - prima che una crolli. Ci sono a
dire il vero molte rivoluzioni dentro queste immagini, ognuno scelga la propria.
Radersi a zero non è, semplicemente,
sufficiente; Eva non passò il tempo alla
toletta prima di amare chi voleva.
il giornale della musica festeggia i suoi primi 25 anni dalla parte della musica e costa la metà in edicola e la metà in abbonamento
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b b o n a m e n t i @ e d t .ii t
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SOUND
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Music In ¢ NUMERO 19
SIGUR ROS Eccomi di nuovo | dentro te | ci sto così bene | ma non posso UOMINI CHE ODIANO LE DONNE Il sesso non ha niente a che fare con
più tardare | galleggio tutto intorno in ibernazione liquida | in un hotel col- l’amicizia. È vero che gli amici possono fare sesso, ma Lisbeth, se devo sceglielegato alla corrente | ma l’attesa non mi lascia a mio agio. (Sonnambuli) re fra sesso e amicizia quando si tratta di te, non ho dubbi su che cosa sceglierei
sigurròs MILLENNIUM
di Roberta Mastruzzi
DI ROBERTA MASTRUZZI
IL
nome Sigur Ros fu preso in prestito dalla sorellina di Jónsi Birgisson, Sigurrós,
nata il 4 dicembre 1994, giorno in cui il gruppo fu fondato. Il primo singolo,
registrato in 6 ore, fece innamorare Björk: ed oggi l’Islanda è in bianco e nero.
S
i tratta dei Sigur Ros e della celebrazione di un inno alla musica: Inni è il
concert movie presentato in anteprima
al Festival di Venezia e portato in giro per il
mondo fino alla sua uscita in dvd insieme al
doppio cd live, avvenuta lo scorso 7 novembre.
Prima però, un’altra rappresentazione per il
Museo del Cinema di Torino, dove il film della
band islandese ha sprigionato tutta la propria
magia in 75 minuti di pellicola. Un’esperienza
di meraviglia: estetica, musicale, cinematografica.
Non è la prima volta che la band di Jonsi e
compagni si concede un film che riprende un
proprio concerto; se Heima ha documentato il
tour in patria del 2006, proiettando l’immaginario musicale Sigur Ros in un mondo ricco di
colori, questo Inni punta dritto alla sostanza,
mostrando il live di una sola sera, all’Alexandra
Palace di Londra nel 2008, e concentrandosi
unicamente sulla performance. Niente backstage, interviste, dichiarazioni. Solo pura e sana
musica. In bianco e nero per giunta.
Un approccio minimalista che si sposa con
l’atmosfera rarefatta dei loro suoni, ma che
nasconde una profonda ricerca estetica. Il regista Vincent Morisset, autore di Miroir Noir,
docu-film sugli Arcade Fire, ha rivelato di aver
usato una tecnica particolare in post-produzione: le riprese del concerto sono state fatte in
digitale, tutto il girato è stato poi filmato di
nuovo con una pellicola 16 mm e ancora trasportato in digitale, dopo aver usato filtri molto
particolari come prismi e altri oggetti di uso
comune. Il risultato è meraviglioso.
Il bianco e nero ha un alto contrasto, le
immagini sono dolcemente sgranate, il montaggio segue alla perfezione la musica, tutto gira
intorno al potere evocativo del suono del gruppo che viene dal profondo nord. Ma non è solo
questo. Inni riesce a rendere una performance
davanti a un pubblico di migliaia di spettatori
un momento intimo.
Loro sono là. Sembra di toccarli, i colori
sgargianti del trucco di Jonsi e degli abiti di
scena completamente desaturati tolgono il
disturbo e lasciano emergere le sensazioni più
profonde dei musicisti, i dettagli sono talmente
ingranditi che sembra di sentire la consistenza
degli strumenti sotto le mani; tu, spettatore, sei
lì ma sei anche in un altro mondo. Perfetta aderenza tra suono e immagine e nello stesso
tempo una magica astrazione che trascina fuori
dallo schermo: Inni è una pellicola che indubbiamente va vista nel buio avvolgente di una
sala cinematografica.
Il connubio tra i Sigur Ros e il cinema, così
celebrato, sembra procedere senza soste. Molti
i brani che il gruppo ha prestato alla settima
arte, da ultimo il brano Festival inserito da
Danny Boyle nella scena finale di 127 ore.
Cameron Crowe, regista di Vanilla Sky, in cui
Njosnavelin accompagna anche qui il finale
della pellicola, li ha voluti sul set del suo ultimo
film We Bought a Zoo, da fine dicembre negli
Usa. Il regista, che viene dal mondo del giornalismo musicale, è solito infatti preparare personalmente una playlist per creare la giusta atmosfera sul set. Molti di questi brani sono dei
Sigur Ros che, in quest’occasione, hanno scritto anche parte dello score del film.
■
opo il successo di The Social
Network, Trent Reznor torna a
collaborare con il regista David
Fincher, questa volta per la colonna sonora del remake americano
di Uomini che odiano le donne. Il
leader dei Nine Inch Nails, insieme ad Atticus
Ross, suo collaboratore dai tempi di With Teeth,
album del 2005, dopo aver portato a casa l’Oscar
per la miglior colonna sonora l’anno scorso grazie al film sulla storia di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, sembra ormai trovarsi a suo
agio tra le pellicole di Hollywood e a gennaio la
sua musica diviene il sottofondo musicale sul
quale si muovono i protagonisti del thriller tratto
dalla trilogia Millennium dello scrittore svedese
Stieg Larsson.
Non è mai facile trasportare sullo schermo un
romanzo di successo, un thriller per giunta di cui
ormai tutti conoscono trama e segreti, grazie a
una recente serie tv e dopo il discreto successo
della versione svedese che ebbe il merito di lanciare Noomi Rapace nei panni cyberpunk di
Lisbeth Salander, vera eroina della saga. La giovane hacker determinata, eccentrica e un po’
contorta, sfuggita ad un passato di violenze subi-
DIPLOMA
Fonia e Music Technology
Attestato di Qualifica Professionale Riconosciuto
CORSI PROFESSIONALI
Pro Tools
Hard Disk Recording
D
te, è indubbiamente il personaggio più affascinante della storia, divenuta simbolo di quelle
donne che non si arrendono agli uomini che le
odiano, tanto da far pensare che il romanzo fosse
stato scritto in realtà dalla compagna dello scrittore, Eva Gabrielsson. Voci mai smentite:
Larsson morì poco prima della sua pubblicazione, ignaro di tanto clamore che avrebbe suscitato la sua opera e lasciando un branco di parenti
serpenti a litigare per spartirsi l’eredità.
Fincher prova dunque a dare una nuova veste
alla storia, chiamando a sé attori come Daniel
Craig, Rooney Mara e Christopher Plummer e
puntando sicuro sulla capacità di Reznor di dare
un valore aggiunto alla pellicola. Elettrizzante,
cupa, misteriosa, la musica di Reznor ha la missione di calarci in una torbida ed inquietante storia di segreti di famiglia.
Tra le tracce, troviamo anche una strepitosa
cover di Immigrant song dei Led Zeppelin, realizzata in collaborazione con Karen O. L’ormai
consolidato duo Reznor/Ross sforna un’altra
colonna sonora trascinante, dimostrando una
straordinaria capacità di costruire un sonoro perfettamente aderente alle immagini cinematografiche.
■
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Vista
MARE
a cura di LUSSI-ARNESANO
Music In ¢ NUMERO 19
SUD SOUND SYSTEM Se nu te scierri mai delle radici ca
tieni | rispetti puru quiddre delli paisi lontani! | Se nu te scierri mai de du ede ca ieni | dai chiu valore alla cultura ca tieni
MINO DE SANTIS Uso il dialetto perché descrive meglio certe
situazioni e perché è più immediato, musicale e sintetico dell’italiano. Penso in dialetto anche quando scrivo in italiano
diLADRI
A CURA DI LUCIO
USSI
¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > SUDARESUD
SUD SOUND SYSTEM, SUD-ARE-SUD
(...)
20
anni e non dimostrarli. Era il lontano 1991
quando, in un Salento incontaminato ma infestato dalla Sacra Corona Unita, venivano organizzate le prime dance hall e il Sud Sound System si affacciava
sulla scena reggae locale. All’epoca erano feste per pochi intimi e
con strumenti di fortuna, in mezzo agli ulivi o sulla spiaggia delle
«due sorelle» a Torre dell’Orso. Ne è passato di tempo, sono arrivati gli albanesi e il Salento è diventato l’Eldorado del turismo italiano. Il Sound System più famoso di Italia è cresciuto, è cambiato «e non sempre in meglio», dichiara sorridendo Nandu Popu,
convinto che la purezza originaria della nostra terra sia stata corrotta dal cemento e da una certa «salentinità» omologante. Ma una
cosa non è cambiata: lo spirito originario del gruppo e l’importanza della solidarietà sociale. Lunga vita al Sud Sound System.
Come sono cambiati il Sud Sound System e il Salento in
questi anni?
Qualcosa è cambiato in meglio, qualcosa no. Nel 1991 il
Salento era una terra difficile e abbiamo iniziato a fare reggae
perché ci piaceva sì, ma anche per fuggire da una realtà che non
lasciava spazio ai ragazzi di strada. Imperversava la Sacra
Corona Unita e nelle strade si sparava. La musica ci convinse a
conservare una certa dignità e un’utile lontananza dalle mentalità criminose. Nelle feste cercavamo di diffondere i principi dell’unione e della solidarietà, e il gruppo di amici che ci seguiva
si è ampliato a dismisura con il passare del tempo. In un secondo momento la nostra musica è diventata popolare e purtroppo
sono subentrati numerosi luoghi comuni che è giusto abbattere.
Quali luoghi comuni?
Si fa un gran parlare di salentinità, ma è un concetto vuoto e
non serve a niente sventolarlo come un vessillo pensando di
essere migliori degli altri. La salentinità è un’altra cosa. Ne «La
terra del rimorso» dell’etnografo Ernesto De Martino la salentinità è la sommatoria di dolore e pulsioni represse, dal feudalesimo fino ai giorni nostri. Un tempo, questi dolori venivano fuori
con la taranta, ora con diverse espressioni della cultura.
Un altro luogo comune?
Il turismo di massa. Non mi riconosco in un turismo così stupido, che trasforma i luoghi più belli della nostra terra in luoghi privati e inaccessibili. Sarebbe stato più utile fare del Salento un
grande parco naturale, preservando le bellezze naturali della
nostra terra. Il turismo deve giovare a tutta la popolazione salentina e non ai pochi privati che hanno soldi da investire e spesso
vengono da fuori, mentre alla popolazione locale rimangono solo
briciole. Dobbiamo frenare queste tendenze se non vogliamo che
«N
el 1991 il Salento era una terra difficile.
Iniziammo a fare reggae perché ci piaceva sì, ma anche per fuggire da una
realtà che non lasciava spazio ai ragazzi di strada.
Imperversava la Sacra Corona Unita e nelle strade si
sparava. La musica ci convinse a conservare una
certa dignità e un’utile lontananza dalle mentalità
criminose.»
NANDU POPU, SUD SOUND SYSTEM
Le origini del Sud Sound
System risalgono al movimento italiano delle «posse»,
letteralmente gruppo o milizia, fenomeno musicale che
in Italia si è sviluppato e concluso tra la fine degli anni 80
e i primi anni 90. Le posse
nascono in sintonia con lo
sviluppo dei movimenti dei
centri sociali, e gli artisti prediligono i temi di attualità
politica, impegno sociale e
controinformazione.
PN
il Salento sia invaso dal cemento. Con una salentinità che ci
vuole simili alla California abbiamo trasfigurato la bellezza della
nostra terra. Tra i miei coetanei c’è malessere verso questa omologazione turistico-culturale. C’è una sorta di isteria collettiva
che tende a considerare «buono» tutto ciò che è Salento, così la
cultura salentina sta subendo un’evoluzione che mi fa paura.
Qual era il messaggio del Sud Sound System nel 1991 e
quale quello attuale?
È sempre lo stesso, perché fa parte di quella società nella
quale viviamo e che cerchiamo di amplificare grazie alla musica. Qualcosa è cambiato, ma in peggio. Nel 1991 assistevamo al
tramonto del craxismo, che si limitava a influenzare la vita politica. Ora, invece, il berlusconismo è diventato un modello sociale di vita quotidiana, diffuso anche attraverso le tv. Con le nostre
canzoni continuiamo a difenderci da questa omologazione di
massa imposta dall’alto. Siamo tantissimi, ma spesso ognuno va
per la propria strada ignorando gli altri. La nostra forza è l’unione, da vent’anni, soprattutto durante i concerti.
Quali sono i vostri programmi per i prossimi mesi?
Abbiamo prodotto il primo LP dei Ghetto Eden e ora ci sarà
un tour di promozione, senza dimenticare la commemorazione a
Bari di Domenico Modugno, il primo a cantare in dialetto salentino nonostante i produttori gli imponessero il siciliano.
Come mai ogni estate dopo i vostri concerti in Salento
dichiarate che si tratta dell’ultimo concerto «a casa»?
Non è tanto il proibizionismo, che è una legge e le forze dell’ordine si impegnano per farla rispettare. Ci lamentiamo perché
i quotidiani locali tralasciano la cronaca sociale e musicale del
concerto per evidenziare gli arresti di decine di ragazzi beccati
con modiche quantità addosso. Durante i live accogliamo associazioni di ogni tipo, come No al carbone, Legambiente, Wwf,
che cercano di migliorare il Salento. Ma questo non arriva sui
giornali e ad ogni concerto si fa il copia e incolla della cronaca
degli anni precedenti.
Hai visto «Rockman», il documentario su Militant P, uno
dei fondatori del Sud Sound System?
Qualche spezzone su internet. Mi ha fatto una grande nostalgia vederegli amici di una volta e sono felice che la salute di
Piero (alias Piero Longo, Militant P) sta migliorando.
Un altro fondatore del Sound System, Treble, ha preso
altre strade.
Non mi sento di aggiungere altro. Rispetto Antonio.
L’importante è che il nostro impegno musicale punti sempre ad
un bene comune e condivisibile. Il resto sono inezie.
■
OPNONOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPN
CONCERTO di NATALE
Saint Louis College of Music
con docenti, allievi e jam session finale
ROMA
19 dicembre 2011
Irish Village - ore 20
BRINDI
SI
15 dicembre 2011
Auditorium Saint Louis - ore 20
via Santa Chiara, 2
via Ostiense, 182
Ingresso libero...
di Giuseppe Arnesano
SCARCAGNIZZU
Lo
Mino de Santis
LeStorie
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Roma, Via Giulio Rocco, 37/39
tel. 06.64420211 [email protected] www.lestorie.it
abbiamo conosciuto così, teatralmente seduto al centro su di un
palco illuminato da luci soffuse,
un’armonica al collo, un leggio,
un microfono, intento ad accordare la propria chitarra; pochi istanti dopo,
la musica di Mino De Santis aveva contagiato il composto pubblico. Con il suo
primo disco dal titolo Scarcagnizzu - Vento
dal basso edito da Fondo Verri, Mino De
Santis, verace cantautore salentino, narra
con fare satirico, colto e ritmicamente
accattivante le numerose sfaccettature di
un Salento idealmente sospeso tra passato
e presente.
Nelle 11 tracce la seducente voce baritonale del paroliere di Tuglie, accompagnato
da Valerio Daniele, Emanuele Coluccia e
Dario Muci, armonizza versi e musica, vizi
e virtù di una terra che, nonostante tutte le
sue contraddizioni, ieri come oggi affascina, cresce ed incuriosisce. Con noi coglie
l’occasione per rafforzare l’antico e vero
significato della cultura popolare salentina,
che non è fatto di lustrini, grandi eventi e
quant’altro, ma di lavoro, fatica e ideali.
Chi era Mino De Santis prima d’essere cantautore?
Esattamente quello che è adesso, con lo
stesso spirito e la stessa passione; facevo il
cantautore anche prima, ma per pochi
amici o per me stesso; non è cambiato
nulla se non il fatto che adesso sono un po’
più conosciuto in giro.
Come è nato il primo progetto disco-
grafico e con quali musicisti collabori?
Non avrei mai pensato di realizzare un
cd se non mi fossi imbattuto negli amici
dell’associazione culturale Fondo Verri.
Tutto è nato per caso, a una festa di compleanno. Nel disco mi accompagnano
Valerio Daniele, Emanuele Coluccia e
Dario Muci, i quali hanno apportato un
preziosissimo contributo al mio lavoro.
Puoi spiegarci la scelta del dialetto
salentino?
Il dialetto salentino non è una scelta in
quanto non l’ho sentito in contrapposizione con un altro linguaggio. Uso prevalentemente il «dialetto» perché descrive
meglio certe situazioni e perché è più
immediato, musicale e sintetico dell’italiano. Penso in dialetto anche quando scrivo
in italiano.
Hai mai pensato di incidere il disco in
italiano?
Probabilmente in futuro, anche perché
ho già diversi testi in italiano che mi piacerebbe proporre. Ma sicuramente non
sarà il prossimo lavoro, forse il successivo.
Come nascono i tuoi testi?
I miei testi nascono spontaneamente,
guardandomi attorno o dentro o nel passato e in ciò che è stato. Non c’è un metodo
preciso, a volte arriva l’ispirazione quando meno te lo aspetti, altre volte hai l’argomento di cui vuoi parlare ma non trovi
le parole giuste o ti manca un qualcosa.
Pensi che la «pizzica salentina» abbia
esaurito la sua carica propositiva?
La pizzica salentina, insieme alla musica popolare, ha una carica propositiva
indiscutibile e inesauribile poiché entrambe hanno il compito di tramandare alle
nuove generazioni la memoria di ciò che è
stato, dunque sia una situazione fatta di
miseria, sopraffazione e sfruttamento vissuta dai contadini e sia un’altra fatta di
continue lotte e rivendicazioni sociali.
Guai a vedere la musica popolare e la pizzica salentina solo come momento di divertimento fine a se stesso, guai a estrapolarle dai contesti reali in cui sono nate per
farle diventare solo un motivo di ballo e di
sballo nelle sagre di paese, allora sì che
perderebbero la loro carica e il loro significato reale. Questo è forse ciò che vorrebbe qualcuno che fino a ieri la denigrava e
sminuiva e che oggi la esalta e la propone
nelle piazze come evento culturale.
Che genere di musica ascolti?
La musica che ascolto spazia molto, dal
cantautorato italiano e francese alla bossa
nova, il blues, lo swing e la musica popolare: amo De André, Brassen, Paolo
Conte, Piero Ciampi, Ivan Graziani,
Pierangelo Bertoli, Stefano Rosso, Pino
Daniele e poi tutto il Prog italiano anni
‘70, anche il Rock, perché no.
Progetti per il futuro?
Scrivere ancora canzoni e suonare, ma
si sa, i progetti restano progetti fino a
quando non si realizzano e non mi piace
parlare del futuro, non fosse altro che
per scaramanzia.
■
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SORA
CESIRA
Music In ¢ NUMERO 19
DA CESIRA Racconta in diretta tutta la storia italiana rivisitando i più grandi video A CENSURA Prima Guccini, De
musicali dei nostri tempi, per descrivere con uno spiccato senso dell’humour i proble- André, Venditti, poi la Turci e Apicella.
mi reali delle Olgettine e della manovra finanziaria di Monti: dalla Cesira alla censura La musica cessa di essere poesia politica
A CURA DI
ROMINA CIUFFA
SPECIALE
C CENSURA
E
S
I
R
A
a cura di ROMINA CIUFFA
¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > L’AVVELENATA
di Romina Ciuffa
(...)
B
erlushka | He said to the Italians: «I don’t see crisi in Italy» | Brulicant restaurants, disoccupation is a fantasy |
but with the gnokka in testa he maybe was a pizzikin distract | so he went to G20 but security refused entrate
and all the premiers said «Ma’ndovai?» | He had a second of lucidity and finalmente... bye bye Berlushka.
introduceva così, con estrema semplicità, quella propria
di una casalinga romana di poca cultura: «Ciao, sono la
Sora Cesira e poiché ho scoperto che su internet si possono dire cazzate a più non posso senza andare in castigo o in galera, ho deciso di approfittarne. Siccome però
non sono così sicura che non succeda niente, proverò a scrivere
qualche insulto: se entro domani nessuno mi verrà ad arrestare,
anch’io sarò blogger (che fa tanto chic). Scarico film pirata. li
masterizzo agli amici. Ne faccio tante copie. Scarico pure i cd con
tutte le copertine. Berlusconi è un ultracorpo nano e il Papa c’ha le
calze a rete coi buchi. Con il bollettino del canone Rai mi ci rollo i
bomboni. Ecco. Stiamo a vedere cosa succede». Nessuno la andò
ad arrestare: anche lei è incarcerabile come Silvio Berlusconi nella
sua reinterpretazione di Incancellabile di Laura Pausini.
Oggi descrive la manovra finanziaria di Mario Monti lasciando
a Elis Regina e a Tom Jobin e a un grande classico della musica
brasiliana, Aguas de Março, questo onore: E mo’ te spiegu com se
feche a manovra, com ‘u fisco te aguanta com abrazo de piovra |
e o Guvernu me dize com grande fiereza | que é um po’ tosta ma
sarà a salveza | salveza da Italia e poi de li italiani | que non sanno
jà ora che se magna domani. Ma il boom lo fece con Arcore’s
Nights, parodia tutta berlusconiana di Summer Nights (Grease):
She rikatts me, I’m into guai | I accontent of millions five, what
rapin for a sveltin! | Pay the cont sennò rakkont what combin Nico
Ghedins to nascond all the Arcore’s nights! Poi le berlusconiane
Olgettine sulle note di Aserejé delle tre sorelle spagnole Las
Ketchup (Che casino! Tanto ce ne dobbiamo andare | Guarda se
quell’imbecille viene a pulire con noi: a’ principessa! | Imbecille!
Uff! Adesso ci tocca pure smontare e pulire tutto | Mo’ che pure il
papi è processado, e siam disoccupate e se stamo desperando!
Mammannaggiammè!); l’invito al voto referendario dei 4 sì sulle
note di Madonna (da Strike the pope a Strike the nano: All you need
is to alz your culo mosciow and have five minutes to go | Don’t be
stronz, try to find your motivation and give this nation a hope | We
drink the water, but we pay like it’s wine, we pay to do the bidet!).
C’è New Law New Law cantata da Liza Minnelli e Luciano Pavarotti
su New York New York; niente di meno che Michael Jackson in We Are
the World a cantare «Non dimentichiamo che Silvio è sempre là»;
Aggiungi un posto all’Atac in omaggio al sindaco di Roma Gianni
Alemanno («Aggiungi un posto all’Atac che c’è un parente in più |
sistemalo in ufficio dai e non pensarci su | se c’hai un’amica zoccola
puoi fare la magia | di vender più biglietti e con la sua simpatia | ti
sana anche il bilancio e trionfa la democrazia»); per il «dimettitti» ci
sono la storica That’s What Friends Are For (Il senso di Silvio per la
patonza) e Kate Bush con la sua Babooshka (Berlushka Bye Bye); la
nuovissima Statt’n là con cui i Bee Gees (Staying Alive) danno consigli agli immigrati: «We have monnezz everywhere and second me non
fai un affair | if you come from Libia, from Sudan, from Tunisia, just
statt’n là»; e il recente duetto con Lady D per dire «Bleah!» ai politici
italiani. Oltre a un pezzo indimenticabile, Italian Rhapsody («I see the
silhouette of a battòn») in cui uno dei Muppets (già storica rivisitazione dell’originale Bohemian Rhapsody dei Queen) grida, per la disperazione di vivere in Italia: «Mammmaaaaa!». Ma chi è la Sora Cesira?
Com’è nato il tuo personaggio? In realtà non direttamente
dalla musica, ma dalla mia passione per lo scrivere; non lo avrei
fatto ufficialmente, solo per me e per poche persone, così ho aperto un blog che potevano leggere tutti ma senza impegno.
Chi è la Sora Cesira? La Sora Cesira è la classica «sora»,
signora romana un po’ «buzzicona», un po’ alla buona. È capitato
che proprio nei giorni di apertura del mio blog ci fosse il pasticcio
dello stop alla lista della Polverini nelle elezioni regionali, così mi
venne in mente di fare un video, prendere We Are the World e fare
un appello affinché la Polverini fosse riammessa. Ebbe un successo incredibile: lo misi in rete solo perché mi accorsi che per pubblicarlo sul mio blog dovevo passare per youTube. E una volta
postato, non so come, è successo un casino: in pochi giorni ha
avuto qualcosa come 500 mila condivisioni, ne hanno scritto i giornali, è andato su Striscia la Notizia. A quel punto ci ho preso gusto...
Da dove esce tutto il tuo humour? Ho sempre amato fare
parodie, ne avevo fatte molte già per le amiche. Alcuni di quelli
che sono divenuti successi li cantavo già da prima, come Sputa
pe’ tera (Smooth Operator di Sade); poi, man mano che si presentava un’occasione, politica o sociale, facevo un video. Arrivai
senza accorgermene al boom di Arcore’s Night, che da solo ha
fatto circa 3 milioni di condivisioni, una cosa spropositata.
S’
Un successo di tali dimensioni ti ha portato un lavoro? Sì. È
da Arcore’s Nights che mi hanno chiamato a collaborare con gli
Sgommati, show satirico di Sky. Questa è già la seconda stagione
che lavoro con loro e scrivo canzoni per i loro pupazzi politici.
Non guadagni dai tuoi video, c’è un lato commerciale in tutto
questo? Non guadagno perché il blog è nato sotto il segno del noprofit e rimarrà sempre così. Pure avendo moltissime richieste per
gli inserimenti pubblicitari, non aderisco mai a campagne di alcun
genere. No-profit sì, ma fino a un certo punto: Sky mi paga, ovviamente, per il lavoro che faccio. Anche il mio libro, appena uscito,
è «profit». Altrimenti, a furia di fare così, finisco sul marciapiede.
Tutti dobbiamo campare.
Fresco di stampa il tuo primo libro, «Nel bene, nel male e nel
così così», ha un trailer di tutto rispetto trasmesso dal canale Al
Sora Ceezera... È una raccolta dei post a mio parere più carini del
blog, oltre ad articoli brevi che parlano delle magagne dell’Italia e
di noi italiani, tutto visto dagli occhi della Sora Cesira, una casalinga con un marito asessuato e due figli cerebrominorati.
Esce con il libro anche un dvd con gli storici videoed un brano
inedito, U Tormentone. Poi la Sora Cesira si accorge di un errore, e
sul blog scrive: «Per uno strano gioco di coincidenze, malasorte,
buchi nell’ozono, mezze stagioni che non esistono più, uccelli del
malaugurio, servizi segreti deviati e massoneria... avete preso una
piccola sòla. Nel cd allegato al libro ci doveva essere un inedito.
Non che non ci sia (sia chiaro), solo che manca la voce. Come
manca la voce? E vabbè, ci siamo sbagliati e abbiamo messo solo
la base. E che ci volete fare... le cose non vengono mai precise precise...». L’inedito è cantato da una brasiliana che rimpiazza con la
voce la cuica mancante in sala registrazione e, lamentandosi di
vivere in Italia, vuole scrivere il classico Tormentone per sfondare
e non lavorare più, così: «Purtroppo sou parecchio bona ma non è
qualidade (...) e adesso fate basta com a legenda de favela | sennò
io ve rispondo pizza, mafia e mammà | Yo prima de venir aqui tenevo a cameriera | invez adesso manco tengo uma comodità | Basta
mo’ me so’ svegliata e provo a mette un punto a questa vita qui, |
u Tormentone che se funziona me ce faccio u silicone»...
Perché hai scelto l’anonimato e, soprattutto, come riesci a
mantenerlo? Non voglio essere un personaggio pubblico, sono
una persona molto riservata. Non vuol dire che io mi muova segretamente: mi presento con la mia faccia, non ne ho un’altra; non
amo però venire fotografata e che ci sia il mio volto in giro.
Non temi che qualcuno faccia il tuo nome? Sarebbe un infame.
Per il resto se ho un’occasione pubblica indosso il cappellone della
Cesira, e per me è anche un gioco. Ho fatto varie interviste video
coprendo il volto e mostrando il cappello. Tendo solo a preservare
la mia vita privata.
Voci femminili, maschili, cori, montaggio: chi lavora con te?
Ho un piccolo studio a casa, sono totalmente autosufficiente, e ho
un assistente che è un tecnico del suono ed anche un bravo cantante, per cui è lui ad occuparsi di tutte le voci maschili mentre io
penso a quelle femminili. Ma siamo solo in due, fine dello staff.
Il tuo preferito è Silvio Berlusconi. In «Incarcerabile» canti:
«A volte mi domando se sarà lo stesso senza te quando fagotto
dovrai fare, e non vorrei avvenisse che portassi via la
Santanché, irrinunciabile oramai»... Quel momento è arrivato?
Berlusconi è uno dei soggetti che più utilizzo per un semplice motivo: chi meglio di lui si presta ad essere oggetto di parodia? Le sue
dimissioni: la cosa non mi preoccupa molto per due ordini di ragioni. Ritengo innanzitutto che in Italia ci siano sempre molte questioni e persone su cui esercitare tutta la mia fantasia e creatività.
Inoltre Berlusconi, sebbene non sia più presidente del Consiglio,
continuerà ad essere un grande stimolo per ancora molto, molto
tempo. Lui «veglia sempre su di noi». Ma ho già fatto un pezzo sul
nuovo presidente tecnico, Mario Monti, Gente di Mario, la parodia
di un classico, Gente di Mare. La Sora Cesira non si fa spaventare
da un’ipotetica uscita di scena del suo «muso», Berlusconi.
La Cesira è solo politica? Ho scritto anche parodie non politiche. Il pezzo di Bebe, Malo, parla di una donna con un marito «pulciaro», e nel ritornello canto Mario Mario Mario: potrebbe essere
riadattato a Monti. Ho fatto anche Essere una donna della
Tatangelo, sul ciclo; ho fatto due «pausinate», ossia la recente
parodia di Benvenuto per la trasmissione di Chiambretti e
Incarcerabile. Ho anche reinterpretato Amy Winehouse, ma per
ovvi motivi ho ritenuto di non pubblicare: non mi è parso di gusto.
Date retta alla Sora Cesira.
■
La protesta in musica fa parte della storia, se solo si
pensa che i movimenti del ’68 sono sorti anche e soprattutto grazie all’ausilio degli artisti che li appoggiavano e
che simbolo di quell’epoca è un concerto, quello di
Woodstock. La canzone degli italiani impegnati è stata
poesia pura, alla stregua del saggio di uno storico.
Antonello Venditti fondeva amore e politica in una parola sola, Qui, dove «Paola prende la mia mano», ossia
davanti alla facoltà di Architettura, a Valle Giulia; sullo
sfondo le occupazioni, gli scontri delle «albe cinesi di
seta indiana», quella indossata dalle hippies nei foulard e
nelle lunghe gonne, metafora complessa per descrivere
una generazione sessantottina nata «sotto il segno dei
Pesci» che già guardava ai Paesi dell’Est. (Tutto Venditti
era politica, anche la sua Roma, Capoccia der monno’nfame; il futuro borghese di una stupida e lurida storia
d’amore; una gattara che muore e li ponti so’ soli).
Francesco De Gregori, pur dichiarando «Voto a sinistra
ogni volta da uomo libero», scriveva Generale e pubblicava un intero album, Il fischio del vapore, dalla copertina
tutta rossa, per parlare di fabbriche, risaie e treni.
Francesco Guccini è vera e propria colonna sonora storica. Io chiesa, nobili e terzo stato sempre ho fregato
solo per me (in Il 3 dicembre del ‘39); Odio il gusto del
retorico, il miracolo economico, il valore permanente e
duraturo (in Il sociale e l’antisociale) e, una tra tutte: È
bello ritornar normalità. È facile tornare con le tante
stanche pecore bianche. Scusate, non mi lego a questa
schiera: morrò pecora nera (in Canzone di notte). Per
amareggiarsi, infine, proprio per la strumentalizzazione
politica della musica (L’Avvelenata).
Fabrizio De André, diffidato per essere ricollegato
all’eccidio di Milano, trasformato in fiancheggiatore
delle BR è colpito dal potere: dalla traduzione delle ballate di Georges Brassens fino alla ribellione de Il testamento di Tito, ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù.
È di Roberto Vecchioni l’unica canzone politica di tutto
il Festival di Sanremo 2011: E per tutti i ragazzi e le
ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli
a gridare nelle piazze perché stanno uccidendo il pensiero (Chiamami ancora amore).
La destra musicale: l’eterna dimenticata. Hobbit, Ddt e
270bis (È dovere degli uomini liberi uccidere i tiranni!
(...) e gli spezzarono tutte le dita perché non scrivesse
canzoni, e gli spezzarono i denti perché non potesse cantare, ma restavano gli occhi e li potevamo vedere, da Il
Poeta). Leo Valeriano, Massimo Morsello (il De Gregori
di destra), poi la Compagnia dell’Anello, Sköll, Legittima
Offesa e tutti gli altri, non hanno trovato spazio negli iPod
comuni per un pericoloso avvicinamento al neofascismo
che rischia di travalicare la canzonetta. Questa è censura.
Persino Lucio Battisti negava, pur cantando mare nero;
ne La collina dei ciliegi il planando sopra boschi di braccia tese fu interpretato come un riferimento al saluto
romano; Il mio canto libero era ritenuta una metafora dell’ideologia di destra confermata dalle braccia della copertina, ne Il veliero si odono a voce bassa le parole avvicinatevi alla patria.
Nel 1924 era diffusa una circolare fascista che imponeva
alla stampa di tradurre in italiano tutti i termini stranieri
delle canzoni, compresi i nomi. Louis Armstrong diventava, così, Luigi Braccioforte; Un’ora sola ti vorrei veniva vietata perché molti furoo sorpresi a cantarla guardando il ritratto di Mussolini; nel 1965 la Rai censurava la
gucciniana Dio è morto, incisa dai Nomadi, per un equivoco riguardo al titolo che rimanda a Nietzsche (ma
venne trasmessa da Radio Vaticana); così il menefreghismo per la chiamata alle armi del Coscritto di Gaber.
Oggi che il rock è impoverito dal pop (cit. Flavio Fabbri)
- Vasco Rossi, Ligabue, Jovanotti, Subsonica non incidono nelle vite dei fan per quanto si atteggino a grandi
uomini della ribellione da palco - e che i riff non si fanno
più per gridare ma solo per commercializzare gli effetti
sonori di una canzone senza censura; quando Woodstock
è divenuto solo una eco che sa di trasgressioni senza base
intellettuale; mentre Mariano Apicella è la prima immagine che ogni motore di ricerca fornisce alle parole chiave musica e politica, non posso non avere, con Guccini,
in mente questa: Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato
con la fede, nei miti eterni della patria o dell’eroe, perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è
falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che
è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità
fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. E un dio che è morto.
■
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ILLUSTRAZIONE:
QUINT BUCHOLZ
FEED
BOOK
BOOK
a cura di ROMINA CIUFFA
Music In ¢ NUMERO 19
L’INCANTESIMO DEI TANTI MONDI ROBERT JOHNSON. CROSIl volo e gli orizzonti di un Generale che SROADS Quelle litanie rural blues
allega una colonna sonora all’incantesimo e le roadhouse liberate di un nero
APATHY
L’INCANTESIMO DEI TANTI MONDI
BEYOND
Dall’Aeronautica un libro che parla di orizzonti introdotto da un passagdi Bruce Chatwin: «Mi svegliai una mattina mazzo cieco. L’oculista
&further gio
disse che guasti organici non c’erano. Forse mi ero sforzato troppo a
guardare quadri? E se avessi provato orizzonti più vasti?» (1977). Gli orizzonti sono
quelli di Vincenzo Parma, Generale di Brigata aerea, Comandante delle Forze di Mobilità
e Supporto, una trentina di viaggi con qualifiche prestigiose quali Comandante del velivolo del presidente della Repubblica e del premier, aiutante di volo del ministro della Difesa, Comandante del 31° Stormo di Ciampino.
Questo è un dialogo con la giornalista Ornella Rota, ma è anche una canzone se per canzone si intende parole che accompagnano una musica: al
libro è allegato un cd con pezzi di Giacinto Scelsi, Mario Berlinguer,
Roberto Fabbriciani, Adel Karanov, Francesco Lotoro, Maribel Orozco
Hurtado e Nicola Sani, non facili, a riconferma che il viaggio, che il volo,
sono attitudini da sperimentare con attenzione, non con leggerezza come
si vorrebbe credere ad un primo acchitto. La prefazione è di Rania
Hammad, intellettuale palestinese, i disegni di Hernan Vahranian, artista
armeno-iraniano-italiano e teorico delle culture non dominanti. Le conversazioni si sono svolte nello studio dell’Aeroporto militare F. Baracca di
Centocelle a Roma.
Ma in effetti tutto inizia alla fine degli anni 20 sulla spiaggia di Touros, in
Brasile, quando uno dei primi aeroplani che atterrarono nella zona, un S64, fu circondato da un gruppo di pescatori terrorizzati, che credevano fosse il demonio. Poi arrivò un
prete, sentì quelle persone parlare dell’Italia, pensò che in Italia c’è Roma e che a Roma
c’è il Papa: dunque, non poteva trattarsi di niente di demoniaco. La storia di Vincenzo
Parma, invece, comincia in Cina, prosegue per 9 mila ore di volo, e poi l’incontro con
Angelo d’Arrigo che sorvolò l’Everest in
deltaplano, del quale condivideva l’innata attitudine al volo. Nella mente una
«L’incantesimo dei tanti mondi»
cultura illuminista, positivista, una preConversazioni di Ornella Rota
parazione tecnico-scientifica; le scelte
con Vincenzo Parma
in solitudine.
VariEDeventuali - 15 euro
Quant’è durato tutto il lavoro? «Il
tempo di una migrazione e ritorno di
qualche milione di storni».
FOR
Memorie dagli anni 70. Sono quelle che il giornalista inglese Nick
O F F Kent mette nero su bianco, frugando tra i burrascosi ricordi personali di quegli anni. Con uno stile scorrevole e diretto,
Kent dipinge il ritratto di un decennio: pennellate secche e decise per descrivere la sua
esperienza personale di giornalista musicale
che ha avuto non solo la fortuna di conoscere
da vicino artisti che hanno segnato un’epoca
musicale, Iggy Pop, David Bowie, Mick Jagger,
i Led Zeppelin, tanto per fare qualche nome,
ma anche quella di sopravvivere all’eroina.
Tanto che viene spontaneo chiedersi quanto di
questi ricordi sia stato inquinato dalla droga e
quanto invece ci sia di reale. Ma in fondo non
importa veramente saperlo. Quello che Kent
offre al lettore _ un
personalissimo
buco della serratura attraverso cui
spiare un mondo
che non esiste pi_.
E non perch_ siano
passati trent’anni,
ma perch_ gli stessi attori che hanno
dato vita a un
decennio musicale
ricco di fermenti
come pochi altri,
hanno scelto la via
O
N
T
R
ROMINA CIUFFA
I L
R E G N O
«Il regno animale»
di Francesco Bianconi
e Fabio Schiavo
Mondadori Editore - 17,50 euro
ALT
ER
NATIVE
Sicuramente lo avete ascoltato.
Almeno una volta vi sarete
imbattuti nella sua poesia fatta
di note, accordi e parole. Francesco Bianconi è
il leader dei Baustelle, uno dei gruppi italiani
«indie» più promettenti e acclamati da pubblico
e critica. La cui l’originalità impulsiva dei
testi e la stridente onda sonora degli
accordi riescono a destabilizzare briosamente l’orecchio dell’ascoltatore.
Trasportandolo in un’orgia di immagini in
note dall’effetto quasi psichedelico. Dove
la musica s’impasta a spirale su rime
tanto eccentriche quanto inusuali.
Lo avete sentito cantare dunque. E adesso
lo potete anche leggere. Francesco
Bianconi passa dal vinile alla carta stampata. E lo fa pubblicando il suo primo roman-
A N I M A L E
zo. Il regno animale, opera prima di Bianconi, è
certamente una sorpresa per il panorama letterario, ma è soprattutto una conferma per chi
conosceva già le sue doti.
Immaginifico e spietato, il romanzo narra del
trentenne Alberto, giornalista precario, che arriva a Milano in cerca di lavoro. La città feroce
però l’investe di difficoltà, di personaggi doloranti e di donne. Gli presenta ostacoli reali ed etici.
Ed è proprio in questo marasma che puzza di
vita vera, in questo dolore onirico che sa di contemporaneo, che il protagonista dovrà farsi strada e continuare a vivere. Con tutte le sue fragili
forze Alberto racconta il cinismo perdendosi in esso.
È la storia di un ragazzo e di
una generazione, di un pezzo
di società moderna. Il già celebrato poeta della canzone e
leader dei Baustelle esordisce
con un’opera potente e originale. Un omaggio duro e critico alla nostra epoca.
Lorenzo Fiorillo
THE
ROCK
C
«Controsole. Fabrizio
De André e Crêuza de Mä»
di F. Molteni e A. Amodio
Arcana Editore - 12,50 euro
Forse tornare a parlare di
Fabrizio De André è più una
necessità che una moda.
Come se nulla si volesse lasciare di non svelato:
tutto ciò che possiamo conoscere e
aggiungere sull’artista e sull’uomo
Fabrizio De André va restituito in qualità di patrimonio dell’umanità. Su questo indirizzo la scorsa primavera è
stato presentato un libro, che si concentra sul rapporto tra Fabrizio De
André e Crêuza de Mä.
Stavolta l’occasione nasce dalla riscoperta di un’intervista radiofonica inedita dell’11 agosto 1984, prima data
ligure del tour dell’album Crêuza de
Mä, ed è volta alla valorizzazione dell’apporto del musicista Mauro Pagani a quello
che è considerato il miglior album dell’artista
genovese.
La breve opera, di un centinaio di pagine, è scritta a quattro mani da Ferdinando Molteni, giornalista, musicista e musicologo e da Alfonso
PO
PCK
pop&rock
IL REGNO ANIMALE
La voce dei Baustelle, il brio,
la ferocia immaginifica
DEVIL
«Apathy for the Devil»
di Nick Kent
Arcana Editore
19,50 euro
della decomposizione, distruggendo insieme al
conformismo di chi li ha preceduti anche se
stessi. Kent ricompone insieme quegli anni,
dedicando a ognuno di essi un capitolo e raccontando con estrema sincerit_ la sua vita
trascorsa fianco a fianco con i musicisti pi_
importanti, lasciandosi coinvolgere sia nel
bene che nel male in un mondo di dissoluzione,
da cui _ miracolosamente uscito come un
superstite da una lunga guerra.
L’autore dimostra una straordinaria capacit_
di condensare in poche frasi le personalit_
complesse di artisti maledetti (non a caso, _
dalla sua penna che nel ‘74 usc_ un magnifico ritratto di Syd Barrett, pubblicato sulle
pagine della storica rivista musicale «NME»,
un pezzo da manuale che consigliamo vivamente di rispolverare) e trasforma la sua
autobiografia in un album fotografico, sfogliando il quale si trovano immagini private e
scatti rubati delle star dell’epoca, quasi un bside degli anni 70.
Roberta Mastruzzi
O
S
O
L
E
Amodio, giornalista e scrittore. Si parte dall’incontro tra la musica di Pagani, ispirata ai suoni
del bacino del Mediterraneo, e le parole di De
André, in lingua (e non dialetto) genovese:
«Obliqua, aerea e imprendibile, eppure così tellurica. Turgida e disseccata al tempo stesso
una lingua anomala: un azzardo poetico» (Guido
Festinese). Veniamo a scoprire quali commenti
lusinghieri e colmi di stima siano stati espressi
da icone del mondo culturale internazionale,
come David Byrne dei Talking Heads e Wim
Wenders.
Possiamo ripercorrere la storia delle
singole tracce dell’album, seguire le
tappe del tour dell’84, perderci nei
capitoli che studiano la fortuna di
Crêuza de Mä dopo Crêuza de Mä e
dopo De André. La parte finale dell’opera è lasciata alle vive testimonianze
di chi ha fatto i conti con questo album
o con l’autore, quindi parole talvolta
composte, talvolta commosse, di
musicisti italiani tra cui Teresa De Sio,
Eugenio Bennato, Beppe Gambetta. A
testimoniare la grandezza di un’opera
estremamente coraggiosa: «Siamo bambini,
noi: abbiamo fatto una scelta da bambini innamorati, pensando che ci fossero tanti altri come
noi disposti a stupirsi». (Fabrizio De André).
Rossella Gaudenzi
R O B E R T J O H N S O N. C R O S S R O A D S ( I L B L U E S , I L M I T O )
JAZZ
& blues
«Johnson è stato il più importante bluesman di sempre»,
Eric Clapton.
Davanti all’ennesima biografia su Robert
Johnson, una diffidenza iniziale e velatamente
ironica sarebbe pur comprensibile considerati
i numerosi scritti a lui dedicati; basti pensare
alle precedenti biografie di Peter Guralnick e
Elijah Wald, ma anche ai racconti, estremamente fantasiosi, che circolano sul suo conto.
La verità è che non solo il fraseggio puro e
tagliente dei suoi accordi lo hanno reso un artista tra i più amati, ma soprattutto il mistero e
l’oscurità delle leggende che aleggiano intorno
all’uomo hanno concorso alla nascita del bluesman mito del Delta del Mississipi.
Un vero e proprio archetipo della figura del
musicista maledetto, ispiratore di Jimi
Hendrix, Eric Clapton, Keith Richards, Robert
Plant e decine di altri. Malessere e senso di
vuoto esistenziale, maledizioni e segni tragicamente sinistri (tipico della religiosità del blues
afroamericano) riempiono l’intero corpus
musicale johnsoniano, costituito in realtà soltanto di una trentina di brani registrati nel
corso della sua breve vita (1911-1938).
In quest’ottica s’inscrive l’innovazione narrativa di Tom Graves, redattore della rivista Rock
& Roll Disc e collaboratore di RollingStone,
Musician, The New York Times Book Review e
The
Washington
Post Book World, il
quale realizza un
quadro completo e
preciso della vita del
bluesman. Il titolo di
questa
biografia
(Robert Johnson.
Crossroads. Il blues,
il mito) ne delinea l’orientamento narrativo. Lo spunto è il
capolavoro musicale Crossroads, che
narra la leggenda
del patto con il diavolo scambiato dal
musicista ad un crocevia (l’anima in cambio di
una strepitosa maestria con la chitarra) e si
sviluppa progressivamente in uno studio sulle
origini e le contaminazioni della musica folkblues degli anni 60.
Tom Graves evidenzia gli aspetti storico-sociali delle litanie rural blues. così intrise di tematiche spirituali e catartiche, espressioni di un’interiorità repressa al cospetto delle codificazioni della società civile, che accomuna i rockers
degli anni 50 e i non più isolati bluesmen neri
che escono per la prima volta dalle roadhouse
per ispirare i nuovi cantautori folk bianchi di
quegli anni. Il Dopoguerra segna, infatti, la fine
dell’autarchia del blues che, a seguito della
Grande Migrazione del Mississipi, approda
nelle brulicanti metropoli industrializzate con
determinanti innovazioni strumentali.
È indiscusso l’errore del tutto arbitrario dei
critici nel voler ricondurre a tutti i costi il blues
a forma di protesta politica, ma di fatto è innegabile - sottolinea Graves - l’importanza delle
contaminazioni musicali nei suoi aspetti sociologici sullo sfondo degli anni 60, laddove il leitmotif della nuova generazione americana
diviene quello che George Vidal definisce fuggire «dall’inferno dell’American Way of Life».
In un tale contesto Graves fornisce una nuova
e più ampia valenza della recezione della produzione artistica di Robert Johnson, peraltro
a più di un decennio dalla sua scomparsa. Nel
‘61 King of the Delta Blues, un LP di 16 brani
«Robert Johnson. Crossroads
(Il blues, il mito)»
di Tom Graves
ShaKe Edizioni - 14 euro
rispolverati personalmente del musicista,
costituisce fonte d’ispirazione per Bob Dylan, il
quale ne rimane assolutamente stregato,
tanto da riproporne alcune tracce dal vivo, e
John Paul Hammond nel ‘63 sarà il primo a
registrare Crossroads, prima di Clapton, riproponendo al pubblico la produzione musicale
dello storico bluesman per oltre 40 anni.
Altri artisti di fama mondiale ne seguiranno il
trend: Led Zeppelin, Canned Heat, i Rolling
Stones, Steve Miller e molti altri resusciteranno e divulgheranno la musica di questo oscuro e misconosciuto artista, facendolo approdare nell’olimpo della musica americana e,
immancabilmente, di iTunes, rendendolo così
eternamente e commercialmente «cool» e
«trendy», perché, come afferma Graves, «la
cosa che non dovrebbe mai essere sottovalutata è il fascino del cool».
Johnson e i bluesman suoi contemporanei ne
rimarrebbero sbalorditi.
Alessia Panunzi
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Music In ¢ NUMERO 19
ROBERTO TAUFIC Eles & Eu C’è
ti-amo. Si provi a recensire un ti-amo. E
c’è Taufic. Si provi a recensire Taufic
COLLETTIVO DEL PONTE DJail/Voci dal
carcere Poter scorgere il futuro è un momento d’estasi - lo scrive un detenuto. Dalla cella in streaming
BUD SPENCER BLUES EXPLOSION
«Do It» Il do è una nota, It è il rapporto tra
la dose di un farmaco e la sua efficacia
FEED
back
a cura di ROMINA CIUFFA
BUD SPENCER BLUES EXPLOSION - DO IT
ROBERTO TAUFIC - ELES & EU
BEYOND
Il Do è la prima nota musicale
della scala e praticamente ce
la ritroviamo sempre un po’
da per tutto, mentre l’IT in un farmaco esprime
il rapporto che sussiste tra la dose letale dello
stesso e la sua efficacia. Il nuovo album dei Bud
Spencer Blues Explosion, Do It, è un lavoro che
straborda di energia musicale e la tradizionale
malinconia delle blue notes lascia il posto alla
forza di un rock-blues mediterraneo dove il sole
arroventa gli strumenti e il sale del mare brucia la gola del cantato. La chitarra di Adriano
Viterbini (anche voce e tastiera) accompagnata dalla batteria di Cesare Petulicchio riescono
ad infiammare l’ascoltatore come sa fare solo
chi è cresciuto a pane e Rock & Blues.
Do It, uscito il 4 novembre per la Yorpikus
Sound, è un invito al fare, al fare bene però;
all’agire senza troppo stare a pensare, all’impegno totale che ogni musicista deve al suo strumento. 12 brani inediti e una cover per un
sound davvero vitale, a tratti volutamente grezzo e sensuale. Le composizioni richiamano qua
e là suggestioni di celebri sonorità alla Led
Zeppelin, Foo Fighters e Jimi Hendrix, ma è
riduttivo cercare nomi celebri per descrivere
l’origine artistica di questi due giovani musicisti
romani. Il pezzo cover è Jesus is on the mainline, un suonato considerato tradizionale e por-
Scrivere certe recensioni è come parlare d’amore: inutile.
Scrivere del cd di Taufic è uccidere Taufic, ammazzare il
sesso, tornare a casa nella quotidianità e parlare del
tempo. Di questo lavoro musicale non si può parlare, io
non lo farò perlomeno. Lo lascio a chi non teme di rovinare un rapporto, a chi chiede
sempre «mi ami?» e ripete anche dal bagno «ti amo», a chi lo fa a chiusura di ogni
telefonata, a chi s’ammala di omissis. Chi sa di me sa anche di quanto io taccia ma faccia. Così non starò qui a ciarlare su Taufic, recensitelo voi mentre
dite «ti amo» e fate l’amore, perché verrà meglio e vi accorgerete di
non stare recensendo, alla fine, una certa chitarra brasiliana originale («Eu», cd n. 2) né Gilberto Gil, Guinga, Chico Buarque, Edu Lobo Tom
Jobim, Newton Mendonça, Theolonius Monk, Pat Metheny, Chopin
(«Eles», cd n. 1), bensì il vostro «ti amo», che, grazie a questa colonna sonora, è venuto diverso oggi, più dolce e più amaro, salendo su
dallo stomaco che è il cuore profondo, da dove un «ti amo» va pronunciato. Di stare recensendo questa notte d’amore che non è stato per
le luci che è venuta meglio, non vi illudete. Il merito non è vostro.
Ringraziate Roberto Taufic. Honduras 1966, palestinese da parte di
madre, in Brasile dall’età di 5 anni, a 19 anni già apriva i concerti di
Geraldo Azevedo, Boca Livre, Joyce e Luiz Melodia; italiano d’adozione (4 anni a Roma,
ora piemontese) con questo doppio album ormeggia in un «porto di accordi e dissonanze, paure e sfide, lacrime e felicità». Per la prima parte della notte sceglierete il cd n.
2, «Eu», l’io narrante, Taufic in prima persona - Enigmàtico - che si racconta in un
Retrato de um dia, una Real Picture, una Reflexão e, senza parole, dice Parliamoci.
Silenzioso, non disturba il can che dorme: il suo violão non è fatto per schitarrate in
spiaggia o sotto una finestra, ma per accompagnare la monogamia. L’acqua bolle ora,
c’è odore per casa di umido-pentola e quell’ansia da padelle sul fuoco. In altri tempi le
avreste detto «ti amo» adesso, per quella insostituibile sensazione di monotonia tornasole che vi fa sentir pieni a tal punto da «doverlo» dire. Ma c’è Taufic.
Cambiate cd, «Eles», n. 1, è questo il momento dei grandi classici rivisitati. Imparate a
non recensire emozioni, non mentre scolate i fusilli. È tutto così chiaro, i tempi di cottura in una notte di chitarra e «ti amo», toglier le parole a Desafinado e consegnarla allo
strumentale non rende «anti-musical» il cuore di uno stonato. Certe emozioni sono strumentali. È il sesso degli angeli, ma adesso sono arrivata da qualcuno che mi aspettava.
E ancora per una volta, non dirò «ti amo»: certe emozioni non si uccidono parlandone.
&further
tato al successo
da Ry Cooder e poi
anche
dagli
Aerosmith. Più del
minimo, Rottami e
‘Giocattoli sono le
prime tracce del
disco e già all’ascolto di queste se
ne percepisce la
forza strumentale
ed espressiva. Di solito i BSBE danno il meglio
di sé nei live, considerati da molti - giustamente
- veri e propri animali da palco, ma questa volta
Do It rende giustizia anche del lavoro svolto in
studio e pezzi come L’onda e Hamburger testimoniano tale crescita,
Per il resto c’è tanta ironia, soprattutto nei
testi, voglia di giocare e di prendersi un po’ in
giro, a partire dal nome della band che ha origine dal mix tra l’attore Bud Spencer e il gruppo
punk-blues Jon Spencer Blues Explosion. Una
vena leggera che però pulsa netta anche nelle
tracce Scratch Explosion (feat. DJ Myke)’ e Dio
odia i tristi e che completa un album ricco di
sorprese e di talento nostrano. Che esploderà
a breve come in ogni film Bud Spencer.
Flavio Fabbri
ROMINA CIUFFA
MAT (MARCELLO ALULLI TRIO) - HERMANOS
acronimo di Marcello Allulli
JAZZ Mat,
& blues Trio. Mat come il jazz, che non
& blues
conosce regole e scavalca confini. Il primo progetto discografico del sax tenore
sfida le convenzioni: inserendo
un coro, cosa insolita per il jazz,
e trasformando il suo trio in un
quartetto. Sì, perché i tre componenti del gruppo, lo stesso
Allulli, il chitarrista Francesco
Diodati e il batterisa Ermanno
Baron, hanno ospitato un quarto componente, che doveva
essere una special guest e
invece si è lasciato coinvolgere
nelle registrazioni e alla fine ha
suonato in tutti i brani: stiamo
parlando di Fabrizio Bosso.
Quindici tracce registrate in 3 giorni, ognuna di
esse ripresa dal vivo, senza editing e tagli in
post produzione. I brani, scritti e arrangiati dal
sassofonista, sono separati l’uno dall’altro da
CORSO
DA
quattro intro, una per ogni strumento. Ad
accompagnare il trio, nell’elegante percorso
musicale immaginato da Allulli, durante il quale
si ascolta anche un’intensa cover di un brano di
Tom Waits (Time) e un
canto popolare irlandese
(Inno), ci sono il piano di
Glauco Venier e la chitarra
di Antonio Jasevoli.
Infine, il coro Hermanos,
ovvero ragazzi che da tutta
Italia sono giunti per intonare il brano che dà il titolo
all’album. Raffinata ricerca
del suono e melodie limpide,
sostengono la grande sintonia tra i musicisti e il clima di
libertà, condivisione, immaginazione in cui il
disco è stato registrato contagia fin dal primo
ascolto.
JAZZ
& blues
Come una pioggia del XXI secolava, purifica e risolve, arriva
& blues lo
‘O pata pata, secondo disco del
duo De Vito-Warren impreziosito dalla collaborazione del chitarrista Ralph Towner. In napoletano l’espressione «‘o pata pata e ll’acqua» sta
ad indicare l’attesa di un temporale.
Vena artistica napoletana, gallese e statunitense
a dar vita a 12 nuove tracce ricercate, sanguigne e fresche al contempo, con testi in dialetto
partenopeo della De Vito e musiche di una rosa
di eccellenze: Warren, Marcotulli, Towner, José
Miguel Soares, Wisnik Hermeto Pascoal, Bojan
Zulfikarpasic, Chico Buarque de Hollanda,
Vinicius De Moraes, Antonio Carlos Jobim
Angelo Nelson, Lacerda Benedito, Alfredo da
Rocha Vianna Junior.
Non manca il vezzo letterario, nel brano Si fosse
Roberta Mastruzzi
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MERCOLEDÌ 25 GENNAIO 2012 A FINE MAGGIO
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DI
C O L L E T T I V O
BEYOND
MARIA PIA DE VITO - ‘O PATA PATA
Scrissi la mia tesi di laurea in
Psicologia proprio sulla ricer&further ca-intervento in ambito penitenziario, in particolare sul Trattamento in carcere, fondato sull’art. 27 della Costituzione e
sulla funzione rieducativa della pena di cui al
terzo comma. Il fatto di ricevere questo cd,
DJail, da parte di Maurizio Catania, che conosco
come fondatore e frontman degli Unnaddarè,
mi dà il primo pensiero: il nome di quella formazione significa, in siciliano, «ovunque», mentre in
questa - il Collettivo del Ponte - il riferimento è
tutto alla galera. Studiavo (per la mia laurea in
Giurisprudenza) il concetto del «ponte d’oro»
nell’ambito di una teoria genelpreventiva della
sanzione, che favorisce chi desiste dall’azione
delittuosa - secondo pensiero: c’è uno strano
legame tra prevenzione ed esecuzione, libertà e
carcerazione, tra l’ovunque e il metro quadro.
Tra i due lati di un ponte.
E mi risale tutto il terzo capitolo della tesi, che
concentrai sull’educazione non formale negli
D E L
P O N T E
istituti penitenziari, percorso
carico di metafore applicabili in
ogni campo della conoscenza:
non da ultima la musica come
elemento di trattamento distinto dall'obbligazione lavorativa o
educativa richiesta al detenuto.
Recente caso di ricerca-intervento in carcere è stato quello di
Rock in Rebibbia, trasmissione
che ha coinvolto in un reality
show i detenuti del Nuovo
Complesso dell’istituto romano,
ma vi sono molti esempi di rock carcerario nella
storia della musica: il 13 gennaio del 1968,
Johnny Cash incise presso il Folsom, carcere
californiano di massima sicurezza, l’album At
Folsom Prison; John Lennon dedicò Attic State
al penitenziario che poi imprigionerà il suo stesso assassino; Elvis Presley scrisse un classico,
Jailhouse Rock; i Blues Brothers aprirono due
film improvvisando una jam session dietro le
-
D J
A I L
/ V
O C I
D
A L
sbarre; Bob Dylan scrisse
Hurricane per difendere il pugile Robin Hurricane Carter, condannato per un triplice omicidio
avvenuto a seguito di una sparatoria al Lafayett Bar nel New
Jersey: il verdetto finale scagionò Hurricane, che uscì di prigione il 26 febbraio 1988 (ma
da quel giorno Dylan non ha più
suonato il pezzo in pubblico).
Oggi l’Associazione Il Ponte
Magico entra nelle Case Circondariali della Provincia di Roma: negli istituti di
pena di Velletri e di Regina Coeli otto detenuti
scrivono parole a cui è data forma libera in questo sorprendente album metropolitano - hip hop
e trip hop, elettronica e rock - fatto dei testi selezionati e adattati da Federico Carra, Maurizio
Catania, Guglielmo Fulvi, Rita Gisi, Terry Gisi, ed
eseguiti con vigore e intellegibilità dal loro
Collettivo del Ponte. Il progetto si inserisce nel-
fatto foco ispirato a
Cecco Angiolieri;
non è risparmiato lo
struggimento amoroso in Vucella o ‘A
sposa riluttante: «Si
nun è fuoco che
m’abbruciasse a
vocca/Nun ce sta
na ragione ca me
farrà cagnà/ Si nun sì tu l’ammore/ nun te
voglio spusá». Un disco dedicato alla terra napoletana e alla gente del Brasile tanto affine a
quella di Napoli; e che finalmente «venga ‘o pata
pata a ripulirci il cuore, a emendarci la reputazione e a salvare la vita dei nostri figli».
Rossella Gaudenzi
C
A R C E R E
l’ambito del più ampio intervento di re-inclusione sociale degli ex detenuti che il Ponte
Magico persegue attraverso diversi strumenti. Non è affatto un caso che il cd non sia stato
messo in commercio bensì distribuito gratuitamente ad associazioni, enti, produzioni ed
emittenti radiofoniche e televisive, perché
possa circolare «liberamente» e trasmettere
un messaggio di integrazione degli ex detenuti. I brani sono resi disponibili per tutti su youtube.com/ilpontemagico, e in mp3 in download sul sito ilpontemagico.it.
La funzione rieducativa della pena non può trovare effettiva realizzazione se non è data, all’ex
carcerato, possibilità di redimersi. Perciò con
questo album si tenta di rieducare, insieme,
anche la società, che non è pronta ad accogliere carcerati se non provenienti dal Grande
Fratello. Ma poter scorgere il futuro è un
momento d'estasi - lo scrive un detenuto.
Romina Ciuffa
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