MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 1 PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE SUDARESUD di Lucio Lussi L‘AVVELENATA ECCE RIOMA di Romina Ciuffa Periodico di informazione, attualità e cultura musicale a cura del Saint Louis College of Music NUMERO 19 di Romina Ciuffa Est. Dove l’Italia diventa tacco e la terra è stretta tra due mari - l’Adriatico e lo Ionio placidi o impetuosi come divinità comanda. I salentini lo sanno bene: lu sule, lu mare, lu ientu, sono impressi a fuoco nel dna. Tramontana o scirocco, gli ulivi secolari sono a ricordare che tutto cambia con insolita immobilità. Il Sud Sound System è impastato di tutto questo, usa il linguaggio del reggae ma parla di muretti a secco e spiagge incontaminate, che rischiano di scomparire per un turismo becero. Era il 1991, il Salento rischiava di essere annientato dalla criminalità organizzata, intanto diventava «lamerica» per gli albanesi e arrivavano i turisti. E i Sud. (...) a prima che mi viene in mente, per dare conto del progetto Rioma, è Brenda, trans trovata morta il 20 novembre 2009 soffocata dal fumo sprigionatosi nell’incendio del suo monolocale in Via Due Ponti a Roma, nel quale riceveva per favori sessuali anche l’ex governatore della Regione Lazio Piero Marrazzo. China, Natalie, Giosy e tutte le transessuali di Due Ponti, il clamore, gli scoop, le carte false, i soldi, le menzogne: dalle coperte alle copertine il caso Marrazzo ha portato il Brasile a letto. Non bastavano i luoghi comuni, testosterone che conosce solo un brasili-ano. Carnevale senza repinique, caixa, surdo, pandeiro, berimbau, tamborim, agôgô, cavaquinho, chocalho, cuica, reco-reco. Brasiliano senza Brasil. Il fondo della schiena. Il fondo. Rioma prende atto dell’assenza di informazione, e mette il Brasile a portata di riomano. (...) oi critici, voi personaggi austeri, militanti severi, chiedo scusa a vossìa, però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni o si possa far poesia», cantava il Guccini anarchico de L’avvelenata, deluso dalla strumentalizzazione politica della musica. Se De André veniva sospettato di simpatizzare per le Brigate Rosse dopo il suo Bombarolo («C’è chi lo vide ridere davanti al Parlamento aspettando l’esplosione che provasse il suo talento»), una passeggiata di salute è quella di Paola Turci, la cui Devi andartene esce in piena crisi di Governo. Ma cos’altro c’è da dire dopo Battiato? «Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni!» (Povera Patria) (...) ¢ CONTINUA NELLA PAGINA VISTAMARE ¢ CONTINUA NELLA PAGINA RIOMA ¢ CONTINUA NELLA PAGINA SPECIAL L Nel n. 19 anche: l’Ambasciatore italiano in Brasile Gherardo La Francesca, il MIB (RIOMA); Brunori Sas, BalconyTv, A Toys Orchestra (BEYOND); l’Antitrust sulla musica, Adriano Mazzoletti (JAZZBLUES); Lou Reed & Metallica, Rolling Stones, Sonic Youth, il digitale (ROCKOFF); Electric Self Anthology, Sigur Ros, Uomini che odiano le donne (SOUNDTRACK); Mino de Santis (VISTAMARE); Bud Spencer Blues Explosion, Roberto Taufic, Mat, Collettivo del Ponte, Maria Pia de Vito (FEEDBACK); libri (FEEDBOOK) A JAZZ & blues «V STEFANO BOLLANI YAMANDÚ COSTA [email protected] MUSIC IN SPECIAL SORA Direttore ROMINA CIUFFA CE SIRA Direttore Responsabile Salvatore MASTRUZZI Music In Channel Videointerviste Reportages, Live Romina CIUFFA www.youtube.com/musicinchannel www.musicin.eu Caporedattori ROSSELLA GAUDENZI FLAVIO FABBRI web Redazione Flavio FABBRI [email protected] Rossella GAUDENZI [email protected] Roberta MASTRUZZI [email protected] Contributi Giuseppe Arnesano Nicola Cirillo Lorenzo Fiorillo Lucio Lussi Alessia Panunzi Filomena Rubino Livia Zanichelli Music In Radio Romina Ciuffa Michele Falanga Tipografia Litografica Iride Srl V. Bufalotta, 224 - Roma Photoedit Daniele DENCS Anno IV n. 19 Reg. Tribunale di Roma n. 349 del 20/7/2007 STEFANO MASTRUZZI EDITORE FEED back COLLETTIVO DEL PONTE BEYOND &further JANG SENATO LE NOSTRE CONGRATUL-AZIONI 11 novembre 2011 il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha emanato il decreto di riconoscimento per la Fondazione Siena Jazz, che autorizza la storica scuola senese al rilascio di lauree di primo livello in musica jazz, finalmente parificate alle lauree dei Conservatori. È la prima Scuola non pubblica in Italia a conseguire tale riconoscimento, superando ostacoli normativi, burocratici e l’ostruzione da parte dei baroni della musica accademica che avrebbero preferito fosse solo il Conservatorio a rilasciare titoli dal valore legale. Fortunatamente non è più così, e ci si sta di fatto allineando alle direttive europee che richiedono che l’educazione musicale d’eccellenza sia aperta anche alle Istituzioni private. E non vi sarebbe alcun motivo serio per non farlo. Una manciata di sana concorrenza non potrà che far del bene anche alle strutture statali, appesantite dalla comoda situazione di sostanziale monopolio finora goduta, da assunzioni non trasparenti e da docenti che insegnano musica senza aver mai fatto concerti. L’ Si tratta di una buona notizia anche per questa sponda del Tevere, appurato che il Saint Louis è l’unico Istituto ad aver presentato analoga domanda, poco dopo la Fondazione Siena Jazz, ed è insieme alla stessa che da anni si batte al fine di ottenere il riconoscimento, dando anche un significativo segnale di collaborazione fra strutture di alto livello. L’iter della domanda di accreditamento del Saint Louis è all’ultimo passaggio, avendo già superato positivamente la verifica dei contenuti e dei programmi didattici da parte dello Cnam (Comitato nazionale per l’Alta formazione musicale e artistica), cui compete il rilascio delle autorizzazioni anche per i Conservatori, e mancando solo un parere, quello dell’Anvur (Commissione per la valutazione del sistema universitario). Il Saint Louis sarà a tutto titolo la prima Istituzione in Italia a rilasciare lauree di primo e di secondo livello in musica moderna. Eppur mi preme precisare come nel mondo della musica non sia propedeutico possedere un titolo avente valore legale per esercitare la relativa professione, bensì sia necessaria una adeguata e solida preparazione e una distinta capacità professionale. La prova è data proprio dai 35 anni di attività del Saint Louis, durante i quali la nostra scuola ha formato migliaia di professionisti che oggi suonano, compongono, arrangiano e insegnano in tutta Italia, finanche nei Conservatori. Purtuttavia, il riconoscimento legale rappresenta un’ulteriore conferma della qualità dell’insegnamento e, insieme al meritato prestigio, garantisce la possibilità di offrire una «carta qualità» in più ai presenti e futuri diplomati e laureati in questi centri di eccellenza di livello europeo. ¢ CONTINUA NELLA PAGINA JAZZBLUES - L’APPROFONDIMENTO: INTERVIENE L’ANTITRUST Stefano Mastruzzi MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 2 JAZZ & blues a cura di ROSSELLA GAUDENZI Music In ¢ NUMERO 19 ANTITRUST L’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato condanna È scorretta la pratica commerciale di diffusione di messaggi ingannevoli sul titolo di diploma musicale BOLLANI CARIOCA Compie il secondo viaggio musicale a Rio de Janeiro: dopo Bollani Carioca, un Dialogo con il brasiliano Hamilton De Holanda, inventore del mandolino a 5 doppie corde di Romina Ciuffa BOLLANI NELLE RIOMANI ANTIDOTO L’ Antitrust ha condannato la scuola Music Academy per pratica commerciale scorretta: la diffusione di messaggi ingannevoli (tra cui «rivoluzionaria certificazione» o «triennio di laurea») volti a promuovere i propri servizi di formazione come diretti al conseguimento di titoli parificati a diplomi di laurea, così potenzialmente fuorviando un bacino di studenti interessato ad un percorso accademico completo e fondato su aspettative occupazionali è un antidoto agli abusi del mercato: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Che oggi firma - relatore il presidente Antonio Catricalà, ora nuovo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - la condanna avverso la s.r.l. Music Academy Italy, attiva nel settore dei corsi di musica e danza, per una pratica commerciale scorretta con riferimento al prospettato rilascio di titoli accademici. Nonostante non risulti essere Università riconosciuta in Italia, la scuola promuoveva da tempo i propri servizi formativi come «triennio di laurea» e «diploma di laurea in musica contemporanea (I livello)», omettendo di fornire le informazioni adeguate circa le caratteristiche dei servizi offerti, il valore dei titoli rilasciati e le relative opportunità in termini di sbocchi professionali. Nella home page del sito internet, fino alla condanna del Garante, dalla sezione Corsi era possibile accedere ad una pagina web che riportava: «Triennio di laurea. Corso riconosciuto in tutti i Paesi dell’Unione Europea». Quindi spiegava: «Dalla collaborazione tra Music Academy 2000 (Bo), Los Angeles Music Academy, Acm e Middlesex University di Londra, nasce la prima certificazione in Italia che consente ai nostri corsi del Triennio di Laurea il riconoscimento a livello europeo in qualità di Laurea di primo livello: Bachelor of Art in Contemporary Pop Music. Studiare per un diploma di laurea. triennio di laurea di I livello valido in tutti i Paesi dell’Unione Europea, creato in collaborazione con Acm ed il Network Internazionale Music Academy e rilasciato da Middlesex University». In altre parti del sito era possibile leggere: «Le rivoluzionarie certificazioni, unitamente ad altre iniziative didattiche, offrono finalmente anche ai musicisti italiani l’opportunità di veder riconosciute le proprie conoscenze e di poterle finalizzare ad una carriera professionale. Sarà possibile accedere alla scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS) come da qualsiasi laurea o conservatorio (...)». Music Academy ad oggi non è riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca né come ateneo né come istituto superiore di studi musicali mentre, nell’elenco degli «International Academic Partners» riportato sul sito internet della Middlesex University, la scuola bolognese non è tra i soggetti con i quali ha in atto accordi di collaborazione didattica. Anzi, viene espressamente escluso qualsiasi tipo di collegamento con la stessa. Con riferimento ai rapporti esistenti con la Los Angeles Music Academy, era in corso solo una partnership verbale per l’applicazione di trattamenti agevolati a favore degli studenti italiani provenienti dal circuito Music Academy, pur non essendovi esempio di uso di dette facilitazioni presso la scuola americana. Quanto alla Acm (Academy of Contemporary Music), non risulta alcun collegamento. Secondo la vigente disciplina, i titoli di studio universitari e le qualifiche accademiche sono soltanto quelli previsti dalla legge ai sensi dell’articolo 1 della legge 19 novembre 1990, n. 341. La legge 21 dicembre 1999, n. 508 ha introdotto la riforma delle istituzioni artistiche e musicali italiane e ha innovato i contenuti dell’offerta formativa di queste istituzioni mediante la previsione, accan- C’ to alla formazione di base, della sperimentazione, della ricerca e delle correlate attività di produzione, armonizzandola a quella proposta dalle istituzioni del sistema universitario. Le Accademie di belle arti, l’Accademia nazionale di arte drammatica e gli Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA), nonché i Conservatori di musica, l’Accademia nazionale di danza e gli Istituti musicali pareggiati realizzano il sistema nazionale dell’alta formazione e specializzazione artistica e musicale. Stop. L’Antitrust, al termine del procedimento in contraddittorio, ha sentenziato: la pratica commerciale condotta dalla Music Academy risulta scorretta ai sensi degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo, sulla base di varie considerazioni. Il comportamento del professionista - l’aver diffuso, attraverso internet, un messaggio pubblicitario volto a promuovere i propri servizi di formazione e il conseguimento di titoli esteri senza fornire chiare e trasparenti precisazioni circa le modalità di conseguimento e la reale natura dei titoli rilasciati - è risultato scorretto. Le modalità con cui è stata promossa l’offerta formativa infatti, con espressioni che evocano nella comune percezione l’organizzazione e il funzionamento di istituzioni universitarie abilitate al rilascio di titoli aventi valore legale in Italia, richiamano nei destinatari fattispecie assimilabili a quelle dell’ordinamento universitario nazionale. Inoltre, la prospettazione della facoltà di utilizzare il titolo straniero conseguito, omettendo di rappresentare con chiarezza le reali condizioni di diritto che prevedono specifici requisiti di riconoscibilità in Italia del diploma di laurea promosso, rende il messaggio ingannevole e conseguentemente idoneo ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di carattere commerciale che altrimenti non avrebbe preso. Il messaggio nel suo complesso omette informazioni rilevanti in merito all’effettiva spendibilità del titolo rilasciato, con particolare riferimento ai possibili sbocchi professionali, informazioni di cui il consumatore medio ha bisogno per assumere una decisione consapevole di natura commerciale. «Il comportamento posto in essere da Music Academy risulta in maniera evidente non conforme alla diligenza professionale ragionevolmente esigibile, tenuto anche conto dell’asimmetria informativa esistente tra consumatori e professionista in tale ambito. Il rispetto dei principi di correttezza e buona fede avrebbe, infatti, richiesto a Music Academy di astenersi dal comunicare ai consumatori informazioni non veritiere, o comunque dal presentare in modo ambiguo e non chiaro informazioni rilevanti ai fini di una consapevole determinazione, da parte del consumatore, del proprio comportamento economico in relazione ai corsi professionali proposti». L’Antitrust ha così disposto l’applicazione di una sanzione pecuniaria nella misura di 15.000 euro, anche considerando l’entità complessiva del pregiudizio potenziale per i destinatari del messaggio, costituito dal bacino di studenti che scelgono un percorso di formazione alla luce delle aspettative occupazionali, da apprezzarsi anche in funzione della diffusione e capacità di penetrazione del messaggio a mezzo internet. ■ di Nicola Cirillo D a sempre il jazz ha rappresentato in musica l’idea della libertà espressiva nel rigore tecnico, della via di fuga nella contaminazione di generi e di storie, della sperimentazione del nuovo nel rispetto di ciò che è stato. E Stefano Bollani, uno dei musicisti jazz più premiati nel mondo, ne è il perfetto interprete, avendo coniugato sin dai suoi esordi, incursioni in mondi musicali differenti, per generi e ispirazioni, raccontando la vita così com’è, con le sue intrinseche contraddizioni. La naturale espressività e quell’inclinazione all’ironia, così toscana, ne hanno fatto anche un’icona della musica italiana moderna, trasformando il pianoforte in un vero strumento di «comunicazione» di massa. La personalità di Bollani è cresciuta negli incontri - non solo e non necessariamente musicali con il mondo culturale italiano. Tra incursioni nel pop (Irene Grandi, Raf e Jovanotti a inizio carriera, poi Bobo Rondelli, Petra Magoni, e una recentissima collaborazione con Daniele Silvestri) e nella musica classica (il prossimo cd con incisioni di Maurice Ravel), Bollani si è confrontato con i più grandi jazzisti, quali Enrico Rava, Gato Barbieri, Pat Metheny, Michel Portal, Paolo Fresu, Richard Galliano, Lee Konitz, Han Bennink, Phil Woods. Ma il Brasile è una delle sue ispirazioni più frequenti. Non a caso, negli ultimi anni ha collaborato con diversi artisti della nuova scena brasiliana - fino al grande Caetano Veloso - e uno dei suoi progetti più fortunati è Bollani Carioca, un disco e una tournée in cui affronta il repertorio meno conosciuto della musica brasiliana, rileggendo autori storici del choro e del samba, come Pixinginuha, Edu Lobo, Ismael Silva, Nelson Cavaquinho, Chico Buarque e affrontando anche brani della ISCRIZIONE GRATUITA SCADENZA 18 MARZO www.jazzcontest.it powered by in collaborazione con Fondazione Siena Jazz e Musica Oggi nuova generazione di autori come Monica Salmaso e Zè Renato. L’idea del progetto nasce nel 2006 quando Stefano Bollani veniva invitato con il suo quintetto, I visionari, a suonare al Tim Festival di Rio de Janeiro. Da anni Alberto Riva, esperto di musica, immaginava con lui un disco di rilettura del repertorio carioca più raro mettendo il pianoforte di Bollani al centro del progetto, al posto del cantante. Contattato il sassofonista Zè Nogueira, ecco partire la nuova avventura. In 3 giorni a Rio veniva realizzato un disco di profonda commistione «riomana». Lo presentava l’Auditorium, così come oggi presenta l’incontro tra il pianista ed Hamilton De Holanda, uno dei musicisti più carismatici della nuova generazione di interpreti e compositori della musica contemporanea brasiliana; il suo percorso artistico, in parte simile a quello di Bollani, si muove dallo studio della musica tradizionale brasiliana per svilupparsi grazie a importanti incontri interculturali e incursioni nella musica classica, fino a trovare nel jazz un naturale luogo di svolgimento. A lui - giovane: è del 1976 - si deve la rivoluzione del mandolino, al quale ha aggiunto una quinta doppia corda, portando il loro numero da 8 a 10, e sul quale ha sviluppato una polifonia completa. Insieme, i due musicisti danno vita a Dialogo, concerto eccezionale in cui un pianoforte dal suono caldo, impetuoso e avvolgente si fonde con un bandolim dall’incredibile espressività sonora e percussiva, suono potente e preciso. Questo spirito, secondo gli organizzatori del Roma Jazz Festival, costituisce l’appeal del jazz; e proprio con Bollani e De Holanda, oggi, trova una nuova declinazione. Dalla voce il pianoforte, dall’Italia il Brasile, Bollani è non solo nelle mani oggi: anche «no pè». ■ V edizione MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 3 JAZZ & blues Music In ¢ NUMERO 19 L’ITALIA DEL JAZZ di Adriano Mazzoletti, Stefano Mastruzzi Editore A quattro anni dall’uscita di Jazz Moment, la nostra casa editrice pubblica oltre 300 pagine, 3 kg e 600 fotografie, quasi tutte inedite e provenienti dall’archivio personale dell’autore, un volume che ha l’onere di costituire il salvataggio, reale backup, di materiale unico che andrebbe ad estinguersi trascinando con sé la nostra memoria storico-musicale. Didascalie comprese a cura di ROSSELLA GAUDENZI L’ITALIA DEL Ho avuto contatti con numerosissimi musicisti, giovani e non. Ho chiesto loro materiale di varia natura, da dischi a foto. Così si è creato questo archivio consistente che ho. d ecco che il be bop, lo swing, la tradizione e l’avanguardia, le grandi orchestre, i crooner e le trombe ci appaiono come familiari personaggi di una favola d’altri tempi. Tornano a vivere i primi avventurieri del jazz, volti e nomi sconosciuti o dimenticati, proprio come molti impavidi personaggi del Risorgimento italiano, veri e propri pionieri di una nuova frontiera musicale che hanno inconsapevolmente lastricato un cammino per le generazioni successive. Dapprima un timido sentiero, poi uno sterrato, ora una strada moderna con tutte le sue diramazioni, una via consolare del jazz che ha delineato in cent’anni una propria identità, muovendo dai grandi percorsi del ragtime e dello swing americano, fondendone i ritmi, le armonie e il feeling con la naturale pulsazione melodica mediterranea nostrana in una maniera del tutto nuova e originale, un’Italian way apprezzata in tutto il mondo. (Stefano Mastruzzi) «A Se si dovesse cercare un solo aggettivo che possa accomunare la personalità di Adriano Mazzoletti e quella di Stefano Mastruzzi proporrei senza esitazione l’aggettivo «inarrestabile». Entrambi non fanno in tempo a portare a termine un progetto, a goderne dei risultati, che già si sono lanciati in altre - e volutamente ribadisco «altre» al plurale - avventure. Spesso mettono in comune estro, capacità e professionalità e danno vita a qualcosa di bello, sempre qualcosa di bello; stavolta però, più di ogni altra fino ad oggi, affermerei che il risultato ha fortemente a che fare con la sfera della Bellezza. Il risultato in questione è un meraviglioso e voluminoso libro fotografico, dal titolo L’Italia del jazz (Stefano Mastruzzi Editore) di oltre 300 pagine e 600 fotografie e immagini, quasi tutte inedite e provenienti dall’archivio personale dell’autore. Tanto per iniziare, bellezza del formato, della carta, del carattere, della raffinata copertina, della qualità di stampa dei neri, per parlare di forma. Bellezza che, simmetricamente, si rispecchia nei contenuti: scelta e preziosità delle foto, dei documenti proposti, dei testi appositamente sintetici. La genesi del libro fotografico L’Italia del jazz non muove da una romantica suggestione o da un poetico impulso: poche battute nell’ufficio dell’editore Stefano Mastruzzi per sollecitare ad Adriano Mazzoletti l’idea di un libro fotografico, a quattro anni dalla pubblicazione di Jazz Moment. Nel giro di un paio di mesi, Adriano aveva portato a compimento il proprio lavoro. Ho proposto l’unica idea di realizzare un libro fotografico sul jazz italiano, e per due motivi: innanzitutto perché nel corso della mia vita, avendo scritto due libri sul jazz italiano (Il Jazz in Italia. Dalle origini alle grandi orchestre e Il Jazz in Italia. Dallo Swing agli anni Sessanta) ho avuto contatti con numerosissimi musicisti, giovani e non, durante interviste, incontri, concerti. Ho chiesto loro materiale di varia natura, da dischi a foto, e mi è sempre stato dato con gioia. Quindi si è creato un nuovo archivio consistente, mio personale e molto ricco, dagli archivi dei singoli artisti. Conseguentemente, ho constatato come vi fosse la volontà diffusa, da parte degli stessi musicisti, che questa documentazione finisse nelle mani giuste, di chi realmente se ne interessasse, affinché non fosse destinata nell’oblio dopo anni e dopo la sua scomparsa. L’interesse per la fotografia di Adriano Mazzoletti è interesse per la foto in quanto espressione artistica o è legato soltanto alla passione per il jazz? Quali sono i migliori fotografi di jazz degli ultimi vent’anni? Mi considero interessato alla fotografia, non un vero appassionato né un esperto, e direi che apprezzo questa tra le arti per la sua natura documentaristica. Amo la foto in quanto documento. Tra i fotografi che apprezzo degli ultimi vent’anni citerei Giuseppe Pino, Roberto Polillo, William Claxton, autore delle foto dei dischi Blue Note. È interessante osservare che negli anni Venti e Trenta il concetto di fotografia era totalmente diverso rispetto ad oggi, esisteva soltanto il fotografo professionista, al quale ci si rivolgeva e al quale si commissionavano E driano non è mai stato uno spettatore del jazz. Infatti, come nelle moderne teorie quantistiche non è possibile osservare un evento senza interferire con esso modificandolo, così il jazz italiano deve a lui il merito di non averlo osservato passivamente, ma di averlo vissuto, cambiato, sostenuto, diffuso, radicalizzato. E ora ne abbiamo le Stefano Mastruzzi prove, tutte fotografiche.» Apre la BIBLIOTECA GOFFREDO MAMELI LA CULTURA, QUANDO È SENZA BARRIERE, AIUTA A CRESCERE. JAZZ È SALVA le opere, quando occorreva immortalare i musicisti per pubblicizzarli. A quando risale l’inizio della raccolta di fotografie che ha preceduto il nuovo volume? Raccolgo materiale sul jazz da sempre, sin da quando ero ragazzo, e la volontà di scrivere qualcosa sul jazz italiano risale alla fine degli anni Cinquanta, inizio dei Sessanta. L’ho avvertita in parte come un’urgenza: i miei colleghi trattano fondamentalmente di jazz americano, e poiché il jazz italiano non è in nulla inferiore al jazz straniero, ecco che nasce l’esigenza di documentarlo con un particolare appiglio alla storia, come nei miei precedenti libri, dunque con la fotografia, come in questo volume, con i dischi, come nella discografia della mia etichetta Riviera Jazz Record, Jazz in Italy, con ristampe in ordine cronologico. L’opera avrebbe un’utilità se entrasse a far parte di biblioteche «scolastiche» di istituti superiori quali Conservatori e Università? In Italia non esistono archivi sul jazz italiano a livello istituzionale, ma a dire il vero di nessun tipo, né pubblici né privati. E intendo archivi in senso ampio, globale. Registrazioni, partiture dei musicisti (le loro cartelle di lavoro musicali), arrangiamenti, fotografie e documenti di vario genere. Questo è materiale che, se non debitamente raccolto e custodito, va perduto, sia perché deperibile, sia perché viviamo e lavoriamo in spazi sempre più angusti che ci obbligano a liberarci del superfluo, o non essenziale. Anche internet contribuisce alla tendenza di far sparire materiale di questo tipo, il cartaceo, i dischi. Inoltre, parliamo di un patrimonio che, se fortunatamente ancora non lo possiamo definire morto e sepolto, rischia di venire dimenticato. Ho avuto la fortuna di conoscere dal vivo molti musicisti che oggi non sono più tra noi, di ascoltarli, intervistarli, confrontarmi con essi; oggi per un giovane sarebbe impossibile fare un lavoro del genere, per quanto possa essere motivato e appassionato. C’è la reale necessità di un’istituzione pubblica che tuteli questo patrimonio a rischio estinzione da un punto di vista storico, artistico, documentaristico. L’Italia del Jazz non è un libro da raccontare, bensì da sfogliare con cura e senza fretta. Così ci troviamo a commentare alcune fotografie. Ogni foto ha la sua storia, ne scegliamo insieme tre particolarmente rappresentative. a) La prima batteria propriamente detta arrivata in Italia nel 1919, ad opera del batterista impresario Arturo Agazzi, in arte Mirador, scopritore, a Londra, di eccellenti musicisti di colore negli anni Venti (pag. 20). b) L’orchestra di Pippo Barzizza, in uno scatto del 1928, ci mostra strumenti tipici della tradizione classica caduti in disuso nel jazz alla fine degli anni Venti: oboe, clarinetto basso, mellophone.Torneranno in auge nuovamente negli anni Quaranta in America e più tardi, per breve tempo, nel nostro Paese (pag. 53). c) Nel 1919 esce come supplemento al Corriere della Sera una Caricatura dell’Orchestra italiana di Jazz del Teatro Pace di Nuova Orleans: trattasi in assoluto del primo articolo uscito in Europa che parli di jazz (pag. 19). ■ Stefano Mastruzzi MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 4 Music In ¢ NUMERO 19 [email protected] a cura di ROMINA CIUFFA MIB F DI ITÀLIA BRASILE ROMINA CIUFFA orrò tra Italia e Brasile: è il momento del MIB, umanizzazione dei rapporti tra i due Paesi e rassegna inaugurata a Rio che durerà fino a giugno, per la quale Gilberto Gil scrive un samba. Ne parla l’Ambasciatore in Brasile, Gherardo La Francesca. ‘ E AMBASCIATA D’ITALIA IN BRASILE Mib, RIOMA Il Brasile a portata di riomano Momento Itàlia-Brasile L’Ambasciatore Gherardo Come trasformare Due Ponti ed il luogo comuLa Francesca spiega: il Brasile invita l’Italia a ballare ne in due ponti ed un luogo fuori dal comune il momento di un forrò: il Brasile prende per mano l’Italia, seduta in sala ad attendere l’invito come una signora d’altri tempi, e la fa ballare. Non sarà un caso che il termine «forrò» sia associato alla locuzione inglese «for all», per tutti, frase di invito al ballo usata nelle feste degli immigrati: si tratta della più diffusa danza popolare del nord-est del Brasile, e si balla in coppia. L’Italia accetta l’invito e scende in pista con un Paese che sa condurre meglio di qualunque altro una danza acrobatica: il forrò universitario, fatto di salti e piroette, ma anche le acrobazie che da qualche anno compie, attraverso le quali non solo si è inserito tra i Paesi del Bric (dando all’acronimo l’iniziale), ma ha raccolto una sfida globale che lo porterà a ricevere milioni di ospiti per i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016, eventi che costituiscono il traino di uno sviluppo annunciato. Non solo: il Pontefice ha scelto Rio de Janeiro come scenografia per la Giornata Mondiale dei Giovani, che si svolgerà dal 23 al 28 luglio 2013. È innegabile: questo è il Momento ItaliaBrasile. Lo sottolinea l’Ambasciata italiana in Brasile, guidata dall’Ambasciatore Gherardo La Francesca, che chiama «Momento Itàlia-Brasil» una rassegna multisettoriale di oltre 500 eventi legati all’Italia e alla sua presenza - antica e moderna - in quel Paese, con architettura, arte, cultura, teatro, danza, enogastronomia, moda, scienza, tecnologia, inaugurata il 15 ottobre a Rio de Janeiro e destinata a protrarsi fino a giugno 2012. Il MIB è l’essenza di quella danza che Italia e Brasile stanno ballando insieme. Il 2011 è stato dichiarato l’Anno dell’Italia in Brasile. Cosa significa in termini reali? Siamo in fervido movimento: prima la Conferenza Italia-America Latina svoltasi in ottobre a Roma, dedicata alla collaborazione industriale soprattutto della piccola e media impresa, nella quale Italia e Brasile hanno avuto una parte rilevante; quindi il grande incontro organizzato dalla Lide, associazione che raggruppa quasi mille imprenditori, 150 presidenti e dirigenti di imprese italiane e brasiliane operanti in Brasile, nel quale si è parlato di investimenti degli italiani in Brasile e dei brasiliani in Italia. Il messaggio si può riassumere in poche battute: nessun Paese oggi può permettersi di affrontare da solo le grandi sfide del mondo globalizzato. L’Italia e il Brasile, per una storia pluricentenaria che si sta rinnovando e sta trovando nuovo alimento, hanno molto in comune da sviluppare ed altrettante possibilità di aiutarsi reciprocamente. Cos’è «Momento Itàlia-Brasil? Un vero e proprio viaggio, che si propone di consolidare i sentimenti di simpatia e affinità fra i due popoli, rafforzare i legami economici, sociali e culturali tra i due Paesi e sviluppare i flussi turistici bilaterali. Per fare ciò saranno organizzati eventi di alto livello, ma con ampia diffusione popolare, che contribuiranno a sviluppare i punti di contatto e i legami tra Italia e Brasile. Grazie a Momento Itália-Brasil gli italiani, i brasiliani e 30 milioni di oriundi si sentiranno creatori, protagonisti e spettatori di questi nove mesi di celebrazioni. Il 15 ottobre, a Rio de Janeiro, abbiamo dato ufficialmente il via al progetto con un grande spettacolo intitolato «Ensaio sobre a belleza», ideato da Valerio Festi, artista italiano che ha aperto un’officina creativa a San Paolo. Abbiamo cominciato così questa grande avventura che porterà noi italiani in Brasile a riscoprire gli infiniti collegamenti che vi sono fra i due Paesi. Dal punto di vista economico, in che modo gli italiani possono attivarsi in Brasile? In occasione della V Conferenza ItaliaAmerica Latina abbiamo presentato un lavoro come esempio di «best practices», che può esser imitato anche da altri Paesi. Abbiamo tracciato una mappatura per sapere dove poggiamo i piedi, censendo quasi 600 filiali produttive di ¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > ECCE RIOMA imprese italiane attive in Brasile, afferenti a settori di un certo spessore: meccanica, energie rinnovabili, ambiente, telecomunicazioni, in uno scenario articolato e complesso che riguarda tutto il Paese. È vero che è negli Stati del Centro-Sud, di San Paolo in particolare, che si concentrano tutte le attività; ma è anche vero che Stati relativamente meno avanzati si sviluppano ad una velocità maggiore di altri. Abbiamo quindi individuato alcuni settori particolarmente sani - l’automotive, marmi e graniti e la nautica - e steso un progetto per il primo. A marzo torneremo con un nuovo documento per indicare le nuove prospettive. Quest’analisi può essere collegata anche al progetto del MIB? «Momento Itàlia-Brasil» è una rassegna che parte da una base di tipo culturale, ma ha in sé una componente economico-industriale significativa che ci è stata consigliata dagli stessi brasiliani, i quali hanno insistito per parlare con noi di cooperazione industriale. L’interesse per ciò che la creatività italiana è in grado di esprimere anche nel settore industriale è forte. L’Italia è il Paese con la maggiore densità di imprese - circa 5 milioni su 60 milioni di abitanti, ossia un’impresa ogni 12 abitanti, senza considerare regioni in cui la densità è ancora più elevata - ed è matura la coscienza del fatto che le piccole e medie imprese sono la vera forza trainante della nostra economia e costituiscono un esempio interessante e potenzialmente molto proficuo per un Paese come il Brasile, che sta crescendo a ritmi molto alti. Il Brasile è, prima di altro, musicale: in che modo la musica entra nel MIB? Gilberto Gil ha scritto una canzone che è un atto d’amore per l’Italia, un samba intitolato «Sampa-Milano» dove Sampa sta per San Paolo, e nel ritornello sono menzionati Sampa, Milano, Napoli, Salvador, Roma e Rio: è la contaminazione reciproca tra Italia e Brasile. L’inedito è cantato dal grande artista brasiliano a due voci, rispettivamente in brasiliano e in italiano, con Sabina Molinari, giovane talento che vive in Italia e che ho conosciuto solo in questa occasione. Si era pensato di dare ad una cantante affermata il compito di affiancare Gil, ma abbiamo preferito dare spazio a una nuova voce. Gil, inoltre, ha espressamente richiesto che della traduzione della parte in italiano non se ne occupasse un interprete, bensì qualcuno che avesse, oltre alla comprensione del senso, anche una sensibilità spiccata: mia moglie. Raramente ho incontrato persone della finezza intellettuale di Gilberto Gil. Il fatto che abbia deciso di dedicare una canzone all’Italia non è stato legato a motivi economici, poiché non ha ricevuto nulla in cambio. Il gemellaggio di creatività tra Italia e Brasile non è solo con Gilberto Gil, peraltro. Il logo del MIB è stato creato da un altro personaggio straordinario, Washington Olivetto, tra i più grandi creativi brasiliani e internazionali. Così anche in esso avviene quella contaminazione delle nostre culture di cui ci facciamo portavoce come hanno fatto anche nomi quali Mina, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, in un flusso di andata e ritorno. C’è un terzo regalo e proviene sempre da Olivetto: il titolo del progetto. Gli dissi che ritenevo limitativo il riferimento ad «anno», per quella pesantezza intrinseca che lo lega a una serie di eventi concatenati. Per dare un senso di maggior forza e freschezza Olivetto ha fatto riferimento al concetto di «momento». Sono nate altre idee collegate, come il «MIB-gelato», il «MIB-panettone» di Balducco, i «MIB-lucchetti» della Papaiz, le «MIB-creazioni» di Francesca Romana Diana che, trasferitasi qui quando era piccola, ha sviluppato una significativa produzione di monili e gioielli non preziosi in Brasile. A Carnevale una scuola di samba di Florianopolis ci dedicherà la sua sfilata, e persino Andrea Bocelli ha cantato per noi a Belo Horizonte. ■ RIOMA B renda, China, Natalie e le trans di Due Ponti, esattamente come Chiquinha Gonzaga, Tarsila de Amaral, Bertha Lutz, Anita Garibaldi, la Marquesa de Santos: Rioma restituisce il Brasile al «riomano» e crea una roda di intenti. (...) R ioma è questo: è la schiena, la risposta alla morte di Brenda e di tutte le brasiliane. Con lei sono morte cultura, indipendenza, intraprendenza, energia rinnovabile, letteratura, musica; sono morte le brasiliane colte. Maria Quitéria (1792-1853), che si travestì da uomo per combattere nella guerra di indipendenza brasiliana, nominata guardamarina da D. Pedro I, primo imperatore del Brasile, considerata la Giovanna d’Arco brasiliana. La Marquesa de Santos (1797-1867), amante dell’imperatore, votata agli aiuti umanitari. Ana Néri (18141880), pioniera dell’infermieristica in Brasile, che accompagnò i suoi figli-soldati a combattere in Paraguay, prestandovi servizio medico. Anita Garibaldi (1821-1849), compagna di Giuseppe ed eroina dei due mondi, che partecipò alla Rivoluzione di Farroupilha e all’unificazione dell’Italia. La principessa Isabel (1846-1921), prima senatrice della nazione, che abolì la schiavitù e difese il voto delle donne e la riforma agraria. L’incendio a Due Ponti ha ucciso Chiquinha Gonzaga (1847-1935), autrice della prima marcia carnevalesca, Ô Abre Alas del 1899, prima pianista di chorinho e prima donna a dirigere un’orchestra in Brasile; Tarsila de Amaral (1886-1973), una delle più grandi pittrici brasiliane (il suo quadro Abaporu, del 1928, valutato 1,5 milioni di dollari, inaugurava il movimento antropofagico); Bertha Lutz (18941976), pioniera del femminismo; Aracy de Carvalho Guimarães Rosa (1908), unica brasiliana ricordata nel Museo dell’Olocausto, che salvò più di 100 ebrei nella Seconda Guerra Mondiale emettendo passaporti d’entrata illegale in Brasile; Patrícia «Pagu» Galvão (19101962), scrittrice, giornalista e militante comunista; Rachel de Queiroz (1910-2003), prima donna ad essere ammessa all’Academia Brasileira de Letras, nel 1993 Premio Camões per la letteratura (equiparabile al Nobel); Irmã Dulce (1914-1992), religiosa caritatevole nella zona nordestina di Bahia; Ruth Cardoso (1930-2008), fondatrice di un programma di aiuti alla povertà; Leila Diniz (1945-1972), scandalosa quando incinta comparse in spiaggia negli anni 60, emancipata. Il Brasile è tutto questo, e molto altro: Rioma lo mette letteralmente a portata di «riomano», costituendo la presa d’atto del fatto che manchi, in Italia, un organo informativo di divulgazione della reale essenza brasiliana, sinergia concreta tra Italia e Brasile che trasformi il Colosseo in un grande forrozão a porte aperte, interazione culturale e imprenditoriale tra i nostri «riomani». Il riferimento terminologico a Rio e Roma, lungi dall’essere limitativo, abbraccia le espressioni simboliche dei due Paesi, il Cristo Redentor ed il Colosseo - una faccia religiosa, l’altra laica - per sintetizzare l’insintetizzabile. Il «riomano» è brasiliano o italiano e brasiliano e italiano insieme, legato alla «brasilianidade» propagandata da Heitor Villa-Lobos a inizio secolo; è chiunque operi in sinergia e scelga un binario comune per colmare la saudade. Rioma divulga la programmazione culturale eventi, rodas, concerti, corsi, stages, batterie di samba e quant’altro - con articoli, video, live, radio, incontri, approfondendo ciò che è lasciato in superficie. Spiega. Fornisce un servizio di reperimento di musicisti brasiliani secondo le esigenze. Richiama artisti dal Brasile per portare in Italia una conoscenza non mediata nella musica, nell’insegnamento, nell’educazione. Nondimeno supporta le migliori attività imprenditoriali e culturali svolte in Italia e in Brasile dai «riomani», attraverso servizi giornalistici completi di differente portata e a vari livelli mediatici. Sulla testata nazionale Specchio Economico approfondisce l’aspetto istituzionale ed economico delle relazioni fra i due Paesi, invitando i principali operatori di questa sinergia ad una virtuale tavola rotonda. Promuove, attraverso la testata Rioma, distribuita a Roma, Rio de Janeiro, San Paolo e Salvador da Bahia, le attività più significative di intercambio culturale tra i due Paesi. Senza lucro compie azioni di volontariato nelle favelas brasiliane, anche stringendo accordi di intercambio con il Saint Louis College of Music. Vi dedica un intero capitolo editoriale. Ma soprattutto, promuove l’integrità del concetto di «due ponti», che non sia sinonimo di prostituzione, bensì di un passaggio di energia a doppio senso. In tal caso Brenda entra a pieno titolo tra i nostri «riomani». E ad honorem. ■ MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 5 Music In ¢ NUMERO 19 YAMANDÙ COSTA Il più grande chitarrista delle 7 corde, quelle del suo Dna. Fronterista di una regione brasiliana di confine. Ha uno dei repertori più vasti che un musicista possa immaginare. Ha improvvisato Nuovo Cinema Paradiso al Beba do Samba con un 7 corde in grado di tenergli testa, Massimo Aureli. È un riomano doc: sua madre fa la polenta ILLUSTRAZIONE: QUINT BUCHOLZ A CURA DI ROMINA CIUFFA YAMANDÙ DALLE SETTE CORDE Videoreportage www.youtube.com/musicinchannel È consumato un rito improvvisatorio, presente in corde non di chitarra: quelle del dna di Yamandù, nome che in tupiguarani significa «precursore delle acque». Se a soli 6 anni in un bar di Maceió, lasciato da un familiare sul palco della cantante brasiliana Marina de Dorival Caymmi, cominciò ad improvvisare, oggi come ieri Yamandù Costa, dopo un volo Rio de Janeiro-Roma e un concerto esclusivo per l’Ambasciata brasiliana, prende in mano la prima chitarra che trova al Beba do Samba - la 6 corde di Giulia Salsone - per suonare con il pluricordista Massimo Aureli; quindi ritrova la propria 7 corde e suona a locale chiuso. È quasi mattina e, dopo un duetto con il brasiliano Zè Galia, rientra a Rio. Rioma presenta il più versatile delle 11-dita, che nasce a Passo Fundo il 24 gennaio 1980, nel Rio Grande do Sur, Stato brasiliano confinante a sud con l’Uruguay e ad ovest con l’Argentina, dettaglio geografico necessario per spiegarne il «fronterismo». È nella sua casa di Botafogo, a Rio de Janeiro, che mi si spiega. Provengo da una famglia di musicisti: mia madre, la cantante Clari Maarson, e mio padre, Algacir Costa, leader del gruppo Os Fronteiriços. Ricevetti un’educazione musicale di tale portata che, quando mi accorsi di suonare, stavo già suonando. Fu tutto naturale per me: a 7 anni mio padre mi aveva già iniziato agli studi, poi fui affidato a Lúcio Yanel, virtuoso argentino trapiantato in Brasile che influenzò molto la mia formazione musicale, di frontiera per l’appunto. Ti definisci un «fronterista». Cosa intendi? Sono gaucho, provengo da una regione che subisce il fascino e l’influenza di molte culture. Sin da piccolo ho suonato musica uruguaiana, argentina, latino-americana, senza tralasciare la musica tradizionale brasiliana di choro, chorinho, samba, in genere tutta la musica popolare. Incantato dal grande mestre Radamés Gnattali poi, ho intrapreso lo studio di brasiliani del calibro di Baden Powell de Aquino, Tom Jobim e Raphael Rabello. Ma il mio repertorio non si ferma a loro. Dal sud del Brasile, come sei giunto a Rio de Janeiro? A 17 anni dal Rio Grande do Sur mi spostai a nord per esibirmi a San Paolo, nel Circuito culturale del Banco do Brasil, e fu lì che cominciò a tutti gli effetti la mia carriera: nel 2001 vinsi il premio Visa Edição Instrumental, uno dei più prestigiosi riconoscimenti in Brasile, che anche portò all’incisione di un album ad esso collegato. Mi trasferii dopo poco a Rio de Janeiro, dove sposai una carioca e decisi di fermarmi. Ebbi la possibilità di registrare molti album, anche con etichette indipendenti, continuando a suonare musica gaucha, del sud, molto simile alla musica argentina, milongas e tanghi di frontiera: buona musica. Nel periodo del Rinascimento le chitarre erano costruite con 4 paia di corde, chiamate «cori»; col Barocco le coppie arrivarono a 5, durante l’VIII secolo a 6, fin quando non si impiegarono corde singole. Da qui partì il desiderio di costruire chitarre a più corde, aggiunte per estendere la capacità dei bassi delle chitarre. Cominciai a suonare una chitarra a 6 corde, e conobbi la 7 corde solo a 17 anni, nel 1997. Mi appassionai immediatamente. La 7 corde è uno strumento molto complesso, di origine russa, utilizzato solo da una minoranza di chitarristi. Brasile è un Paese molto allegro e giovane, ma ha ancora difficoltà ad ascoltare musica strumentale. Eppure lo noto: sta cambiando molto e cresce in continuazione». Yamandù Costa «IL Che la suona da soli 150 anni. L’invenzione è attribuita ad Andrei Sychra, per questo la chitarra era definita «russa», prima di giungere in Brasile, all’inizio del XX secolo, come chitarra con le corde d’acciaio. Lo stile della «baixaria» si sviluppò nel XX secolo con Dino 7 Cordas e Raphael Rabello. Negli anni 80 Luiz Otavio Braga aveva una versione con corde di nylon, poi divenuta lo standard dello choro. La 7 corde brasiliana è accordata come una chitarra classica, ma con un Do in più sopra il Mi basso (DoMi-La-Re-Sol-Si-Mi); alcuni accordano la settima in Si o in La per avere maggiore estensione verso il basso, utile nel samba. Quando è iniziata la tua carriera internazionale? Iniziai a suonare fuori dal Brasile sin dall’inizio, perché immediatamente andai a suonare in Europa. La mia famiglia è IL FORRÒ È TUTTI I MARTEDÌ @ TOPFIVE, ROMA INFO LARA BALBI +39 329 407 3212 rimasta sempre nel sud del Brasile, mentre io ho viaggiato moltissimo. Non solo: 4 anni e mezzo fa mi sono sposato una seconda volta con una francese che conobbi mentre suonavo a Parigi, negli Champs-Élysées, in una festa che si tenne proprio in mio onore. Lei stessa è una violinista e mi sta facendo conoscere la musica classica, propria della sua formazione. Noti differenze tra il pubblico sudamericano e quello europeo, spostandoti nel mondo? Noto soprattutto una cosa: il pubblico europeo è un pubblico culturalmente preparato. Il Brasile è un Paese molto allegro e giovane, ma che ancora ha difficoltà ad ascoltare musica strumentale. Eppure sta cambiando molto e crescendo in continuazione, e sono molto ottimista del fatto che presto le cose saranno diverse e la stessa musica strumentale potrà essere compresa in maniera più completa. Indubbiamente è Internet il volano di questo mutamento: la rete sta aiutando con forza questo processo che, sebbene non si verifichi con velocità visibile, procede senza interruzione. Nel 2012 sei atteso a New York e in molte altre città del Nord America. Hai già maturato una tua percezione del pubblico statunitense? Non posso dare una definizione soggettiva degli ascoltatori americani perché è la mia prima esperienza negli Stati Uniti. Perciò non so ancora dare un giudizio, ne ho assai poca esperienza ma certamente avrò modo di esprimermi attraverso il mio tour che mi porterà, l’ultima settimana di aprile, da New York a Baltimore, Minneapolis, Austin e San Francisco. Non sei un musicista solitario, anzi, ti accompagni sempre con grandi artisti. Di quali progetti sei partecipe? Ne ho molti. La Tocada a amizade ad esempio, è un progetto molto provocante ed animato, dinamico, in cui ho invitato Alessandro Kramer, Rogério Caetano e Luis Barcelos a suonare con me, un omaggio alla nostra amicizia e a parlare d’amore. Con il bassista Guto Wirtti è, invece, un incontro tra gaúchos: abbiamo le medesime influenze regionali, siamo amici e suoniamo milongas, tanghi, chamamés e choros. Ho suonato anche con Renato Borghetti, ha rivisitato il folclore brasiliano utilizzando la Gaita Ponto, strumento simile alla fisarmonica diatonica ma che ha la caratteristica di avere «bottoni» al posto dei consueti tasti. Altri progetti sono quelli con Dominginhos, Rogerio Caetano, Hamilton de Holanda. Prima del tuo recente passaggio a Roma su chiamata dell’Ambasciata brasiliana, avevi già suonato in Italia? Ho suonato molte volte in Italia, e in lungo e in largo, isole comprese. È un Paese che amo molto, che rientra nelle mie origini perché mia madre è figlia di veneti. Provengo dalla famiglia dei Revelato Marcun e sono cresciuto mangiando polenta e piatti tipici del Nord Italia. Entrambi i miei nonni materni sono italiani, mentre da parte paterna sono portoghese e dal Portogallo arriva il mio cognome Costa. Adoro il pubblico italiano ed è il Paese che preferisco in quanto ad arte culinaria. È molto diverso dagli alti Stati europei, molto latino e animato. Quali sono gli artisti italiani che scegli? Dei musicisti italiani amo Gabriele Tirabassi, un caro amico, e Stefano Bollani che ritengo un grande musicista. Cito anche il sardo Antonello Valli e il trombettista Fabrizio Bosso. Ultimamente ho avuto occasione di suonare con un altro chitarrista delle 7 corde, Massimo Aureli, un bravissimo musicista. Ti ho visto improvvisare Nuovo Cinema Paradiso alla fine di una lunga notte di musica. Accanto a questa, se dovessi scegliere altri due brani italiani, quali sarebbero? Amo suonare Nuovo Cinema Paradiso, più in generale adoro il repertorio di Ennio Morricone. Poi suonerei un classico, Estate (lo canticchia). Inoltre, grazie a mia moglie, mi sono avvicinato anche ai grandi della musica classica, pertanto aggiungerei indubbiamente anche una composizione di Giuseppe Verdi. Io l’ho rinominato così: Yamandù Vale. ■ MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 6 ROCK OFF a cura di FLAVIO FABBRI Music In ¢ NUMERO 19 LOU REED & METALLICA Figure retoriche struggenti, riflessioni e riverberi tragicomici, e una track di 19.29 minuti per un finale reed-metallico ROLLING STONES So che pensi di essere la regina del sottosuolo e che puoi spedirmi fiori morti ogni mattino. Mandami fiori morti per posta, mandami fiori morti al mio matrimonio e non dimenticherò di portare delle rose sulla tua tomba. (Dead Flowers) TRICKORTREAT ROLLEDSTONES DI VALENTINA GIOSA L ou Reed e i Metallica insieme cantano Lulù. Ma chi è? Lo spirito della terra o il vaso di Pandora? È una giovane ballerina vittima di se stessa, è la forza distruttrice, il serpente traditore, la perdita costernante di qualsiasi freno inibitore. Sessualità, femme fatale e bordello DI DI C F ILOMENA R UBINO D ue personalità leggendarie del panorama musicale s’incontrano durante una performance al Rock and Roll of Fame di New York, nell’ottobre del 2009, e decidono di fare un album insieme: Lou Reed e i Metallica. Così nasce l’idea e si fa strada il progetto. Il primo aveva già scritto i testi per lo spettacolo di Robert Wilson, dall’omonimo album, in scena a Berlino, quindi il lavoro in sala registrazione è stato piuttosto semplice. Fa un effetto strano l’immagine di Lou Reed che guarda negli occhi Kirk Hammet e dà il via ai lavori, occhi che hanno vissuto percorsi musicali differenti e che hanno lasciato, in maniera diversa, segni indelebili nell’eterna favola del rock. «Un matrimonio in paradiso», definisce così Reed questo progetto partorito in brevissimo tempo, che porta il nome (reggetevi forte) di Lulú. Ma chi è? È lo spirito della terra o il vaso di Pandora? Ispirato dallo scrittore tedesco Frank Wedding e dal compositore viennese Alben Berg, Lou Reed redige i testi e i Metallica scrivono le musiche concentrandosi sulla figura misteriosa di Lulù, una giovane ballerina di cui non si conoscono le origini: decadente e sospesa, nello stesso tempo conquistatrice e vittima di se stessa. È la forza distruttrice, il serpente tentatore, la perdita totale e costernante di qualsiasi freno inibitore, sessualità, femme fatale e bordello, ma soprattutto autodistruzione. Figure retoriche struggenti, riflessioni e riverberi tragicomici sono messi a nudo nei testi di questo nuovo lavoro. Dieci tracce come le dieci parti dell’opera di Berg composte da tre atti e sette scene, per un finale che ci regala ben 19,29 minuti di Junior Daddy, ultima tracklist del secondo disco in collaborazione con John Zorn al sax, Laurie Anderson al violino e Rob Wasserman al basso. Energie differenti amalgamate in un’ampolla magica che potrebbero esplodere o implodere da un momento all’altro, trascendendo così la curiosità e lasciandoci un po’ scettici di fronte a questa pseudo sovversione azzardata. Azzardata come una «ricetta sonora» che fonde il sound di due grandi album come Berlin e Master of Puppets e che ci lascia soli nel labi- L IVIA Z ANICHELLI inquant’anni di Rolling Stones il 12 luglio 2012 ma nessuna candelina. L’ultima esibizione risale al lontano 26 agosto 2007. È un tradimento? Come sentirli intonare: «Prego, lasciate che mi presenti: sono un uomo ricco e di gusto, sono stato in giro per molto tempo, rubai molte anime e sottrassi molta fede agli uomini.» (Sympathy For The Devil) issolte in una nuvola di fumo le attese di un concerto per i 50 anni di attività dei Rolling Stones. Mick Jagger dissipa ogni dubbio dei suoi fan sulla questione. Ma forse non è ancora detta l’ultimissima parola. Come non sperare? Come non pensarci? Come non attendere con il fiato sospeso quel fatidico 12 luglio? Impossibile. Almeno per i milioni di fan della linguaccia più famosa del mondo che già pregustavano sognanti i festeggiamenti per le nozze d’oro dei Rolling Stones. Il 12 luglio del 1962 «l’alternativa brutta, sporca e cattiva dei Beatles» esordisce ufficialmente sul palcoscenico del Marquee Club di Londra. Il prossimo 12 luglio 2012 si attendeva il concerto anniversario per i 50 anni della band britannica, a Londra. Narrare qui le gesta di questi eroi del rock sarebbe a dir poco prolisso: si rischierebbe tra l’altro un eccesso di lacune, un peccato di ingenerosità nei confronti di coloro che hanno dato un contributo prezioso alla storia della musica. Ci basti dunque ricordare che l’ultima esibizione dei Rolling Stones risale al 26 agosto del 2007, al termine del Bigger Bang Tour. Più di quattro anni di attesa per ricevere la notizia che, D rinto sconfinato dell’immaginazione. E non basta. Lou Reed ha detto, riferendosi al disco: «Lulú è forse la miglior cosa mai fatta (e non solo da me)». Un’asserzione che implica delle dovute responsabilità e non gli lascia la possibilità di poter lanciar il sasso per poi nascondere la mano. Forse è una frase di buon auspicio, ma sicuramente la band di Hammet assieme all’ex Velvet Underground sanno il fatto proprio e si possono permettere, dopo anni e anni di successi, anche una dichiarazione del genere, anche una provocazione tesa ad enfatizzare la libidine di possesso. Stranezze che si riflettono nell’art work curata dal fotografo e regista Anton Corbijn (al cinema con Control, biopic su Ian Curtis dei Joy Division), nelle foto scattate nell’estate 2011 a Gothenburg, in Svezia, presenti all’interno delle due versioni deluxe dell’album: la book edition e la tube edition in edizione limitata. La cover principale è, invece, rappresentata da un inquietante manichino di cera, perfetto per il concept, e da un book contenente i testi delle tracce. I capi della Transport for London hanno vietato l’affissione dei relativi poster promozionali perché turbano il decoro urbano e d’impatto potrebbero sembrare un graffito o un murale (a volte vengono prese decisioni più bizzarre delle cause che le hanno determinate). Una fusione artistica che riesce comunque ad amalgamarsi bene, anche perché le sonorità veementi dei Metallica sono sempre state accessibili ad un pubblico più vasto, nonostante la loro «difficile» etichetta speed/trash/metal, facilitando così l’accostamento al rock più classico di Lewis Allan Reed. Una specie di rottura del «vaso», avvenuta per la notte di Halloween 2011, che libera nell’aria i sette peccati capitali contemplati nella carriera delle star, rotture che cercano un cambiamento e un rinnovo musicale, una sfida o forse solamente un rilancio. Una cosa è certa: possiamo definitivamente chiamarli Loutallica. E non suona per niente male. ■ cconcerti oncert rti masterclass m aste sterrcla las asss eemergenti meerrge rgeent nt i sspecial pecia ial a gue guest ueest s iill nuovo nuov uoovo canale canale ale yyoutube outube www.youtube.com/SAINTLOUISMOV w w ww w.y .yo youtube. be..ccoom/SA m/ /SSAINT NTTLOUIS ISSMOV probabilmente, di un concerto per i 50 anni di attività non se ne vedrà nemmeno l’ombra. «Cari fan, non trattenete il respiro, non ci sono programmi al momento»: questo il laconico commento di Mick Jagger ai microfoni del Sun, che spezza i cuori pulsanti d’amore degli ammiratori dello storico gruppo rock. Eppure tutti vi speravano, soprattutto dopo le rassicuranti parole con cui mesi fa, Keith Richards, aveva auspicato una possibile performance per festeggiare questo mezzo secolo di successi: «Sì, c’è qualcosa che bolle in pentola. L’idea è lì, ma per ora non c’è alcun impegno ufficiale». Dunque aspettative deluse, speranze tradite per i fan che speravano in un 12 luglio esplosivo immersi nel verde di Hyde Park e nelle note dei più grandi successi della band. E tanto più è grande la delusione quanto più si pensa che l’occasione per soffiare su queste 50 candeline costituirebbe un vantaggio non solo per gli appassionati, ma anche per le casse della capitale d’Albione. Nell’estate del 2012 Londra ospiterà le Olimpiadi e v’è da chiedersi: quanta folla possono attirare due eventi così importanti, l’uno di seguito all’altro? Quanti soldi in più? Per questo forse c’è ancora speranza. Ma, stavolta, saranno i fan traditi a rivolgere la loro stizzita linguaccia ai Rolling Stones. ■ THE JOHNNY CASH PROJECT N DI on c’è alcuna tomba che può raccogliere il mio corpo: be’, guardate giù nel fiume, cosa credete che io veda? Una banda di angeli che stanno venendo a prendermi. Tra questi c’è di certo tutta la community che ha creato il video di Ain’t No Grave A LESSIA P ANUNZI «A portrait of a living and walking contradiction, partly truth and partly fiction». Ancora in veste di precursore, Johnny Cash, the Man in Black, il by-stander per eccellenza, il Viandante, il Caronte senza tempo, oltrepassa la vita, la tecnica, la tradizione, per approdare e traghettare a sua volta gli ascoltatori in una dimensione «outlaw» consona ai suoi testi, dove paradiso e inferno si contrastano e congiungono costantemente. A testimonianza (postuma) del suo intento, ovvero la grande narrazione in musica del nostro tempo, Johnny Cash scolpisce un suo ultimo epitaffio, o per meglio dire lascia che gli altri lo facciano per lui, attraverso questo progetto d’arte collettiva commemorativa: The Johnny Cash Project. Inizialmente il regista Chris Milk, una delle menti del progetto, ha chiamato a raccolta numerosi video-artisti ed illustratori a cui ha assegnato il compito di digitalizzare e animare alcune delle foto più belle di Cash; dopodiché, abbandonandosi al fascino della community, si è proposto di coinvolgere il maggior numero di persone nella realizzazione online del videoclip della canzone Ain’t No Grave, ultimo brano inciso in studio (Cash muore nel settembre del 2003), attraverso un insieme di immagini elaborate liberamente dai singoli utenti. Ciò che ne emerge è un suggestivo progetto audiovisivo che va considerato un work in progress, a unique communal work, visualizzabile in migliaia di versioni differenti attraverso la piattaforma web, un’idea innovativa dal punto di vista musicale che, seppur sociologicamente già affermata, evidenzia la fusione tra «producer» e «consumer» creando il «prosumer», una nuova figura alla base del processo creativo chiamato «crowdsourcing», ovvero affidare al pubblico («crowd») parte delle proprie attività. Il risultato in questo caso è assolutamente sorprendente, poiché non stona con la tradizione musicale di questo gigante di vecchia data, al contrario ne ricalca i chiaroscuri, le lacerazioni, la sofferta non linearità esistenziale. Ne consegue un’emozione fortissima nell’osservare le impressioni, le interpretazioni nel tratto, nei disegni più o meno astratti dei fan, che vanno a modulare, confondere o risaltare l’immagine di quest’uomo che appare nel videoclip, solo, nell’ombra, incedere stanco e rassegnato come un guerriero che continua a lottare anche quando la canzone finisce, mentre pronuncia l’immortale verso: Ain’t No Grave Can Hold My Body Down. ■ MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 7 ROCK OFF Music In ¢ NUMERO 19 MERCATO DIGITALE Indagine Fimi La rete sta catturando il negozio sotto casa: un rapporto annuncia che da ora le classifiche ufficiali dei dischi più venduti sono stilate anche in base ai dati di vendita degli store online. Ci va davvero di arrivare a tanto? SONIC YOUTH C’è uno Starbucks in America che ha trasformato l’underground del gruppo in un espediente commerciale e una raccolta, uscita nel 2008 ed oggi in Italia, in un bicchierone di plastica SOTTOCASA DI FLAVIO FABBRI Il mercato si sposta in rete, chiude il negozio sotto casa s o n i c a p ro v o c a z i o n e o re s a ? DI vendite di album in rete sono aumentare del 37 per cento negli ultimi sei mesi del 2011. La musica digitale rappresenta oggi il 21 per cento del mercato italiano. È per questo motivo che dal 14 ottobre 2011 le classifiche ufficiali dei dischi più venduti nel nostro Paese sono stilate anche in base ai dati di vendita degli album digitali provenienti dagli store online, che quindi si sommano a quelli relativi ai canali di vendita tradizionali, come negozi, catene e supermercati. Lo ha annunciato la Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana), sottolineando in un rapporto come, nel primo semestre 2011 (dati Deloitte), il fatturato totale del mercato digitale sia stato di 12,4 milioni di euro, con una crescita del 10 per cento rispetto al 2010. Il digital download di album cresce del 13 per cento (di singoli del 6 per cento), così come i ricavi basati sulla pubblicità, ovvero YouTube, che fanno registrare un salto in avanti del 39 per cento. Dati più che positivi che hanno autorizzato la Fimi, in collaborazione con la Gfk, società che avrà il compito di raccogliere informazioni sul mercato, a rivoluzionare la composizione delle classifiche nazionali di vendita degli album. Nel 2004 il mercato Le della musica digitale era di fatto inesistente, con incassi pari allo zero, ma dal 2005 (11,6 milioni di euro di fatturato) e ancora più dal 2006 (16,7 milioni di euro) le cose sono cambiate e il trend è andato aumentando quasi costantemente. Nel 2010 si è arrivati a circa 22,5 milioni di euro, con una crescita del 10 per cento trainata in gran parte dal successo del download da web, cresciuto del 14 per cento rispetto al 2009. A livello globale lo scenario non cambia e nel 2010 i ricavi derivanti dalla musica digitale sono stati pari a 4,6 miliardi di dollari, con una crescita del 6 per cento. Negli store digitali sono disponibili da tempo, negli Usa e in Gran Bretagna, oltre 13 milioni di brani, per un giro d’affari che in 6 anni è cresciuto del 1000 per cento. Dai canali digitali, aspro terreno di battaglia contro i pirati informatici, le case discografiche ricavano già il 29 per cento delle entrate. Un dato incontrovertibile, con i negozi di musica considerati tradizionali, quelli sotto casa per intenderci, che non riescono più a vendere cd e dvd di musica come una volta. La domanda di supporti fisici è crollata (a parte un revival del vinile per pochi estimatori), il mercato si è spostato su internet e la rete mobile. ■ E F LAVIO F ABBRI sce dopo 4 anni in Italia la raccolta di cui lo star system scelse i 16 brani. Ma qualcosa non quadra: quali Sonic Youth si consegnerebbero allo Starbucks system? L a copertina dell’album (fotografia di Stefano Giovaninni) ritrae un giovane in giacca e cravatta, in uno Starbucks store, che siede ad un tavolo ascoltando musica dal suo lettore Mp3, davanti a un caffè ed un cellulare. Probabilmente gli auricolari bianchi che scendono dalle sue orecchie sono di un iPod, quello sul tavolino è uno smartphone e il completo che indossa un costoso Armani. Simboli di un business system più immaginato (a livello televisivo) che vissuto dal pubblico. Non si tratta di una pubblicità, ma della copertina di Hits are for Squares dei Sonic Youth, band alternative rock tra le più radicali e sperimentali degli anni Novanta. L’album usciva nel 2008 e solo oggi viene consegnato al pubblico italiano. È una semplice raccolta di loro pezzi storici - salvo l’inedito Slow Revolution - con la particolarità di essere stati scelti da celebrità del mondo del rock e del cinema. Tra le 16 tracce: Sugar Kane, Rain on Tin’ e Kool Thing’ scelte da Beck, Flea (Red Hot Chili Peppers) e Radiohead; Tuff Gnarl e Teenage Riot selezionate da Mike Watt (The Stooges) ed Eddie Vedder (Pearl Jam); Expressway to yr Skul segnalata dai Flaming Lips e 100% da Mike D (Beastie Boys). Dopo i musicisti, le preferenze di attori e registi: Catherine Keener ha indicato Bull in the Heather, Diablo Cody Superstar, Gus Van Sant Tom Violence, e così via. Ma viene da chiedersi se ai fan del gruppo newyorkese interessi davvero quale canzone dei Sonic Youth sia piaciuta a Michelle Williams (che ha scelto Shadow of a Doubt) o a Chloe Sevigny (che ha voluto World looks Red). Finché sono musicisti (alcuni sicuramente di rilievo nel panorama internazionale) passi pure, ma per attrici o pseudo tali come le ultime due citate davvero la perplessità si fa totale. Che cosa vogliono comunicarci i ragazzi sonici? Perché Starbucks? Perché lo star system? I Sonic Youth, band icona dell’underground americano, anticonvenzionali principi del noise poco interessati ai giudizi della critica e fortemente ancorati alla subcultura indie, non hanno mai cavalcato le classifiche americane o estere, pur riuscendo a conquistare un vasto pubblico attraverso numerose tournée e una produzione vivace (19 album in tutto); eppure i simboli rappresentati nella copertina dell’album sono dei codici estranei alla loro storia, la scelta di far presentare la loro musica a dei personaggi famosi ancora meno. Una provocazione o una resa? Che la risposta non sia nell’inedito? ■ abbonamenti arretrati cose… … MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 8 BEYOND &further Music In ¢ NUMERO 19 JANG SENATO Un imprinting è serio. Succede spesso in musica, l’imprinting, la trasformazione di un musicista in papera. E quel desiderio di salire su una giostra per respirare a cura di ROMINA CIUFFA ...A TOYS ORCHESTRA L’immagine di copertina è reale e ritrae una manifestante ferita dalla polizia solo per aver retto uno striscione che rivendicava la mercificazione del corpo femminile. a cura di ROMINA CIUFFA JANG SENATO E RESPIRARE Io mi tappo la bocca e ingoio parole che nascono come fiori dal petto, per paura che Dio ci scopra prima o poi e ci porti via tutto. Non grido perché son scaramantico o perché ho visto guerre per un bacio, ma dentro me divampo tutto e solo danzo il ballo degli amanti nuovi. Di chi è il sedere? L’Americano è un cocktail che noi beviamo con continuità. Era quello peraltro un periodo in cui uscivamo molto e bevevamo, buon biglietto da visita per tutto. Ma è andata così: dovevamo registrare il pezzo alle 8 di mattina, le parole le abbiamo fatte dalle 6 alle 8. La signora in questione è una matrona cinese che abita nella Riviera adriatica, a Cesenatico, dalle nostre parti, serve Americano e ha un bel sedere nonostante le cinesi lo abbiano minuto. Una «cinesona», si può dire. Respirare. Di cosa parla? È difficile spiegare. Il testo lo abbiamo scritto insieme in un momento particolare. Quando ci fanno questa domanda rispondiamo sempre alla De Gregori, «non c’è niente da capire». Era un momento particolare in cui, invece di parlare delle fidanzate che avevamo, ci eravamo quasi fidanzati noi due (Titano e Portone, ndr): abbiamo trascorso un mese intero insieme e questo pezzo è diventato un successo. Accade questo in Italia: proprio le canzoni che hanno meno significato ottengono il maggiore successo. Stesso motivo per cui molte canzoni di Tiziano Ferro sono divenute famose prima del suo outing. Anche la stessa Niente da capire è una canzone dove tutti capiscono delle cose. Respirare è un testo nato a caso. Ciascun ascoltatore si fa il proprio viaggio. È molto più importante essere veggenti che essere autori. State facendo «carriera»? Non chiamerei «carriera» quella di un disco solo. Ce lo siamo autoprodotti e dopo abbiamo trovato un’etichetta, la Pippola Music, per farlo uscire nei negozi, la stessa che ha già prodotto Brunori Sas, i Dimartino, Dilaila. Pare che stia anche vendendo, sono rimasti gli ultimi due milioni di copie invendute... Scialpi è un pescatore: qual’è la migliore esca per il bollentino d’altura? Dipende dalle temperature, il mio preferito rimane il granchio con le gambe tagliate. Che mercato c’è nel Cesenatico? Frutta, pesce e prostituzione... E liscio, musica alla Raul Casadei, con cui Gulma è anche «imparentato» a dire il vero perché la sua fidanzata è la sorella del marito di una figlia... Però ci invita alle feste perché ha un’idea di famiglia molto allargata, e un giorno ha detto: «Quelli che tocco io sono fortunati, e voi secondo me avete stoffa». Aspirate ad un Festival? Di base aspiriamo al cash, ovvero vivere di musica che è molto difficile oggi. Quando potremo dire che stiamo vivendo di musica, anche a livello misero, e che la fase faccio cose-vedo gente è finita, allora saremo soddisfatti del nostro mestiere. Ciò che viene è tutto buono, basta vedere una crescita, ma ci vuole la mano di qualcuno. Siamo stanchi di fare gli spacciatori comuni. Chi ascoltate? Ramones, Tung, De Gregori, ascoltiamo tutti tranne la Leva cantautoriale degli anni Zero, iniziativa voluta dal Mei e dal Premio Tenco che ha messo in mezzo tutte le nuove esperienze cantautoriali di oggi. Noi l’abbiamo risoprannominata la Leva cantautoriale degli zero, perché non è proprio quel che si dice una casta di eletti: ci sono i bravi, ma su centinaia se ne salvano in una mano. Siete ribelli? Noi siamo dei buoni in borghese che vogliono bene alle mamme, cioè non siamo come quelle rockstar degli anni 70 che si stimavano a fare le porcate, siamo come quelle degli anni 50 che facevano le porcate ma dovevano nascondersi, infatti nessuno sa che fumiamo. Quindi non fumate? No. ■ Videointervista www.youtube.com/musicinchannel M i dicono: «Vi chiamate Music In come il negozio a San Marino, paraculi». L’erre moscia, i testi, il senso. Il loro modo di fare. La sincerità. Sono tra i punk più smielati di tutto il cantautoriato italiano: serve più dolcezza o follia ad un artista? «Andrebbe capito che i veri punk della nostra epoca sono i cantautori. Una volta c’erano i rockettari che si drogavano, il no-future è il nuovo cantautorato». Li incontro per quella mia ormai irrefrenabile voglia di salire sulla giostra di Respirare, il mio insano desiderio di ballare un liscio, avere 85 anni ed invitare chi gli Jang Senato me li ha fatti conoscere. Io e Te (specificano: scritta perché «tutti hanno un pezzo che si chiama Io e Te»), Tempi buoni («Non vedi che non ho bisogno delle tue parole, dei pregiudizi che hanno le persone, faccio cose che tu forse neanche t’aspetti o perlomeno amo i tuoi difetti»), Un anno fa («Oggi non ho tempo, ma ci pensavo più spesso un anno fa»), le ballate d’amore in levare e tutto l’album Lei ama me lui ama te, tutto Vendesi, i vari autoprodotti, i brani fuori album, gli inediti, quelli inseriti in compilation random, le improvvisazioni da concerto. Un imprinting è serio. Succede spesso in musica, l’imprinting, la trasformazione di un musicista in papera. Con la sua erre moscia mi risponde Titano-Davide Gulmanelli (voce e concetti), insieme a Portone-Alfredo Nuti (chitarre e dialettica). Siamo su una giostra anche con gli altri: Higgins (bassi e igiene), Scialpi-Lorenzo Santolini (tastiere e psicofarmaci), Mocambo-Fabio Tozzi (batterie e dimensioni, per l’altezza), Gian Filippo Guidi (management, art direction e psicoterapia), Corky Veggiani (power dispencer). Propedeutico, sapere dalla fonte come si pronuncia Jang. «La J si poteva pronunciare g oppure i, abbiamo optato per Iang. Quelli che ci chiamano Giang sono portati a complicare le cose.» Chi siete? Scriviamo le canzoni degli Jang Senato e siamo disoccupati. Siamo anche poveri, lo ammettiamo. Proveniamo dai Daunbailò, con cui è uscito un disco nel 2003, quindi ci siamo sciolti per proseguire questa nuova avventura. Stiamo costruendo dei castelli in aria ma ci piace. C’entra Tom Waits con i Daunbailò? Come guitar band ci sentivamo dio in terra e, a differenza degli Jang Senato, eravamo un gruppo basato proprio sui chitarristi e consideravamo Waits l’ultimo uomo che ha salvato la chitarra. «S iamo dei buoni in borghese che vogliono bene alle mamme, non siamo come quelle rockstar anni 70 che facevano porcate. Infatti nessuno sa che fumiamo.» Come vi definite? Siamo troppo pop per essere apprezzati nell’underground, e troppo underground per essere apprezzati nel pop, ma in medio stat virtus. Ed anche cave canem. Fingo di non cadere davanti a questo stupidissimo sedere, ma poi mi riprendo e vedo il fondo di questa dama disegnata a tutto tondo (Lamericano). Da dove escono i vostri testi? I testi degli Jang Senato nascono tutti dal bagno di casa mia, famoso per la presenza di mattonelle che fanno un riverbero naturale e permette di sentire già qualcosa. Nascono da storie vere, spesso tristi sebbene arrangiate in maniera allegra per fare contrasto, come accadeva per Domenico Modugno in Piove. Se sono allegre le arrangiamo tristi. Nascono sempre da storie vere. Il tema di base è un allegro disamore, che si può superare con la positività, gli accordi in maggiore. Dicono che gli Jang Senato siano allegri, ma in realtà sotto c’è molta sofferenza che è la nostra miccia. Il dolore può esser sottocutaneo ma tutto ciò che si vede dev’esser positivo. ...A TOYS ORCHESTRA I tre puntini davanti al nome portano ad Agropoli senza percorrere la Salerno-Reggio Calabria 13 anni di entusiasmante attività con alle spalle numerosi concerti e quattro album gli ...A Toys Orchestra (Enzo Moretto per voce, chitarre e piano-synth; Ilaria D’Angelis per voce, synth, piano e chitarra; Raffaele Benevento per basso e chitarre; Andrea Perillo alla batteria) presentano il quinto progetto, che è sempre e comunque di mezzanotte: Midnight (R)evolution. Pubblicato con l’etichetta fiorentina Ala Bianca/Urtovox, il nuovo disco esce quasi ad un anno e mezzo di distanza dal precedente lavoro, Midnight Talks. La notte è piccola per loro, è il caso di dirlo. Gli affascinanti undici brani dalle melodiche sonorità accattivanti, eseguiti dalla band di Agropoli (Salerno), infiammano la coscienza civile di quanti condividono quel senso di disagio che si respira in Italia e nel mondo. Enzo Moretto, storico leader del gruppo, ci ha raccontato in che modo è nato il quinto album e di come «un forte rumore di fondo vibra nell’Italia di oggi». Palpabile dentro quesa ultima Midnight(R)evolution, cui è accluso anche un dvd, Midnight Stories, contenente la video storia della band, i backstage, i racconti, le interviste ed i contenuti speciali dai primi anni ad oggi. Music In intervista Enzo Moretto, frontman di un gruppo non ordinario che è riuscito ad uscir fuori dalla Salerno-Reggio Calabria. Qual’è la vostra origine musicale? Probabilmente ogni sorta di cosa è confluita nella nostra musica. Non parlo per forza di altra musica, che è ovvio che venga metabolizzata. Gli ...A Toys Orchestra sono la trasposizione di tutto ciò che accade dentro e fuori di noi. Come nasce il quinto album, Midnight (R)evolution? Rispetto ai dischi precedenti quest’ultimo ha avuto una gestazione differente, in quanto è stato scritto in movimento. Infatti, se per gli altri è stato sempre necessario un periodo di full immersion ed isolamento per comporre e registrare, con Midnight (R)evolution i tempi, i modi e i luoghi di realizzazione sono stati diversi e si sono protratti in un continuum nel tempo. La dinamica del disco rispecchia la sua natura fluttuante. Ed è quello che volevamo che fosse. Chi è la ragazza sulla copertina? L’immagine di copertina non è uno scatto artistico creato ad hoc, bensì la foto reale scattata dal reporter Alessandro Tricarico avente ad oggetto una manifestante ferita dalla polizia, la cui unica colpa è stata quella di aver retto uno striscione che si opponeva alla mercificazione del corpo della donna. Una notizia fin troppo frequente nel nostro Belpaese. Abbastanza eloquenti le scritte «democra- A CURA DI GIUSEPPE ARNESANO zia» sui cerotti: la foto si spiega da sé. Che l’Italia non sia un Paese di rivoluzioni si sa: pensi realmente che questa volta le cose potrebbero andare in maniera dfferente? Non so che piega prenderemo. Ma è evidente che qualcosa sta accadendo: è vero, il nostro è un Paese senza la cultura storica della rivoluzione. C’è però un forte «rumore di fondo» che vibra nell’Italia di oggi, un fiume di malcontento finora arginato dalla propaganda effimera del benessere e camuffato dalla manipolazione mediatica. Questa diga comincia a scricchiolare e la tensione è molto alta anche rispetto a solo qualche mese fa. In Italia, come sono visti i cantanti che esprimono i propri testi in inglese? C’è una parte del pubblico che è pronta all’europeizzazione, la accoglie e la incentiva. Probabilmente qualcuno si chiede perché i Deus in Belgio, Bjork in Islanda, gli Air in Francia, gli Hives in Svezia, i Motorpsycho in Norvegia o i Notwist in Germania siano credibili, mentre qui in Italia le band anglofone sono tacciate di scimmiottamento. Una domanda più politica, se è vero che siamo tutti giocattoli di un’orchestra: cosa direbbe Joe Strummer al nostro «Pinocchio»? E chi lo sa? Forse che ormai il legno è marcio e noi siamo tante tarme affamate. ■ MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 9 BEYOND &further Music In ¢ NUMERO 19 BRUNORI SAS Pensi veramente che il dolore sia funzione del tempo? (eh già) | Quindi tra BALCONY TV L’intervista a Stephen O’Regan, il fonun mesetto mi dovrei sentire già un poco meglio... (già già) | Spero che tu non lo dica solo datore. Un’idea semplicemente troppo geniale per morire almeno finché ci siano terrazze, anche senza condono perché io sto morendo. | Ora tu piangi, mi sembri deluso, ma sono vittima del suo sorriso A CURA DI LUCIO LUSSI MUSICACONVISTA IL CIELO SOPRA BALCONYTV BRUNORI SAS «I nsomma devo scappare che qui in Calabria non c’è niente, proprio niente da fare. C’è chi canta e chi conta e chi continua a pregare, San Francesco sopra il letto e sul cruscotto, c’è la Madonna di Pompei sopra la 126.» D ario Brunori è cresciuto, ha messo su qualche capello grigio. In fondo lo aveva già ammesso, che «tutto è cominciato perché io vivo in un paesino molto piccolo, che d’estate fa migliaia di abitanti, e d’inverno è una noia mortale, quindi mi sono avvicinato alla musica proprio per necessità, per fare qualcosa». Originario di Cosenza, ha abbandonato la Calabria per studiare Economia a Firenze. Dopo la laurea è tornato a casa per lavorare nell’azienda di famiglia, la Brunori sas, appunto. In fretta, però, ha capito che le sue aspirazioni erano altre e ha deciso di cimentarsi con la musica. Dopo il primo album, Vol. 1, la scorsa primavera è uscito Vol. 2 - Poveri Cristi, un lavoro intelligente e variegato che lo ha lanciato ufficialmente nel firmamento della scena indie nazionale. Ne è seguita una scia di recensioni controverse e un’estate ricca di concerti, che vanno avanti fino a dicembre, ed ora il premio per il miglior live al Medimex di Bari, il Meeting mediterraneo delle etichette indipendenti. Un bravo paroliere. Da Lei, Lui, Firenze: Eh che cosa vuoi che ti dica, con te sto bene anche se ormai è finita, e lo so che non basta un bicchiere per sorridere e dimenticare, ho le mie solite bugie e le mie sciocche fantasie, ma stasera ho voglia di brindare a un’altra storia d’amore per noi che non ci amiamo più. Da Il Pugile: La devi smettere di darmi pugni, non sono mica un pugile ma tu non capisci la poesia, sei solamente un tecnico. Dopo tutto questo clamore ne siamo certi: il Mezzogiorno ha un cantautore, merce rara al di sotto della Capitale (lo dice uno scrivente pugliese). Dario lo conferma, ma a bassa voce: «Ho ancora molta strada da fare». Chi sono i «poveri cristi» del nuovo album? Sono i protagonisti delle storie narrate nelle mie canzoni ed i personaggi che hanno collaborato alla stesura dell’album, tutti immortalati nella copertina. Volevo un titolo che richiamasse un concetto drammatico ed ironico. Quando si parla di poveri cristi si cerca la compassione e uno sguardo bonario sulle sventure altrui. Ed è questa una delle idee alla base del disco. Sei sulla copertina: sei un povero cristo? Probabilmente sì. Il mio concetto di «povero cristo» rientra nei sentimenti e nelle sensazioni che fanno smuovere e nascere le mie canzoni. Com’è nato l’album? Velocemente. La stesura e la registrazione sono avvenute nel giro di 4 o 5 mesi. C’erano alcune idee e bozze di canzoni appuntate negli ultimi 2 anni, in cui ho suonato con continuità, e ciò, per chi fa il mio mestiere, è indispensabile e utile a trarre risorse per la creatività. L’evoluzione e il successo si sono verificati troppo in fretta? Risparmiare del tempo prezioso rispetto a una gavetta più lunga è un evento positivo, e lo rifarei. È tutto avvenuto rapidamente solo rispetto alle mie aspettative. Quali sono i personaggi dei tuoi brani? In questo disco utilizzo strumentalmente la storia. Non ho provato a dipingere un personaggio in particolare, ma ho inserito i miei figuranti all’interno di una storia. E nella narrazione ho illustrato la mia visione generale del mondo e delle cose. A volte si tratta di un personaggio incontrato personalmente, in altri casi sono i protagonisti di un libro che ho letto. A mio avviso, la creazione di un brano o di un personaggio avviene in maniera abbastanza istintiva, e questi tentativi di spiegare sono soltanto una ricostruzione successiva per rispondere alla domanda. Alcuni processi creativi avvengono per caso, senza troppe spiegazioni? Una genuina ispirazione iniziale non manca. Nel mio caso, il processo di ispirazione avviene casualmente, senza alcun controllo. Con l’esperienza e il mestiere, poi, sono riuscito a trovare un metodo per dare una forma precisa all’ispirazione iniziale. Con chi vorresti duettare? Con tutti. Sto vivendo situazioni molto interessanti, mi sto confrontando con artisti validi su terreni differenti dal mio. Le collaborazioni vanno sempre bene, purché dall’altra parte ci siano persone con le attitudini giuste. Sarcasmo, ironia, rassegnazione e realismo. Attraverso quali parametri racconti l’Italia dei nostri giorni? Non ho alcuna intenzione di creare un manualino del mio modo di intendere il Belpaese, anche perché non credo di avere ancora uno stile ben definito. Senza dubbio nei miei brani si alternano sarcasmo, ironia, rassegnazione e realismo, ma non seguo una regola né penso di dovermi muovere in un ambito particolare. Nel prossimo disco potrei anche occuparmi di una storia d’amore ambientata in Amazzonia. Mi occupo di cose che mi emozionano. E devo fare molta strada prima di raccontare il mio Paese. È così in Come stai: Che cosa vuoi che dica? Di cosa vuoi che parli? È il mutuo il pensiero peggiore del mondo che ho intorno. Che cosa vuoi che scriva? Di cosa vuoi che canti? ■ a cura di Romina Ciuffa B alconyTv fa suonare sui tetti. È venuta in mente ai coinquilini di un appartamento di Dublino un pomeriggio in cui il tè bolliva e il balcone della casa sembrava più sprecato del solito. Mente con vista A mante delle terrazze e delle idee inconfutabili, non posso non dar conto di questa Balcony Tv. Non appena mi affaccio da un attico danese, ho questa vista: musicisti nord-europei che fanno concerti sui tetti del mondo. La mente con vista è di Stephen O’Regan, che da Copenhagen mi spiega: «BalconyTV fa suonare sui balconi. Sembra una cosa semplice, un concetto bizzarro forse, eppure è divenuto un franchise con volontari in tutte le città del mondo che filmano le performances e le condividono attraverso il nostro sito. È così che abbiamo raggiunto 20 milioni di visite e caricato oltre 5000 video». Com’è nata l’idea di una tv sui balconi? L’idea è nata 5 anni fa in un appartamento a Dublino. Io e i miei coinquilini stavamo scherzando sul fatto che avremmo dovuto utilizzare di più il nostro balcone. Dopo moltissime tazze di tè, abbiamo deciso di creare un Internet Tv show proprio lì. Inizialmente voleva essere più uno spettacolo artistico, cose tipo filmare la pioggia o il traffico giù per strada, e caricare in rete brevi video da un paio di minuti. Per quanto oggi non lo abbia più, nel 2006, nell’epoca primordiale di YouTube, questo aveva ancora un senso, poiché la gente cominciava a sperimentare la condivisione di immagini online. Subito cominciò la nostra programmazione, e invitammo una band locale a suonare sul balcone. La clip divenne subito un successo, e fummo inondati di richieste dagli altri gruppi. Dal balcone, tutt’altro che intenti suicidi: molti dei musicisti che si sono esibiti per voi sono divenuti famosi. Qualche esempio? Iniziammo anche ad aiutare alcuni dei musicisti che si erano esibiti sulla terrazza ad emergere. Fu il caso degli Script, che suonarono per BalconyTv nel giugno del 2007, quella performance costituì il primo videoclip e nei successivi 4 anni il gruppo uscì con 2 dischi di platino. Il video di We Cry ha ricevuto circa 2 milioni di clic. Ma non solo: hanno suonato sui nostri balconi i Mumford & Sons, i Temper Trap, i Jessie J, i Buzzcocks. L’idea di BalconyTv cominciò ad avere una eco globale, e ad Amburgo venne ospitata la prima performance fuori Dublino. Come siete riusciti ad espandervi tanto, partendo da un appartamento irlandese? Il nostro franchise copre 22 città in tutto il monto, dagli Usa al Messico, alla Nuova Zelanda, alla Polonia. Ci contattano e ci dicono, semplicemente: «Perché qui da noi non c’è BalconyTv?», e tutto inizia con dei volontari che realizzano video musicali nelle terrazze. Inviamo loro delle linee guida e un template. Non devono essere «fantastici», devono solo avere il potenziale giusto. BalconyTv è obiettivamente un’idea di successo., tanto che il sito entrò nella shortliCORSO APERTE LE st di Viral per i Webby Awards 2008. Ma, per quanto grande l’idea, è necessaria un’anima commerciale. C’è guadagno? Nonostante il nostro successo, il sito non fa soldi. Non ci costa nulla, in effetti, solo tempo, domain name e spese di hosting. Finora il nostro unico obiettivo è stato quello di rompere i limiti culturali della musica, offrendo una scelta differente. Sia pure costituisca un hobby, BalconyTv è di certo un business per la sua proprietà di catturare l’immaginazione di tutti; inoltre tu non sei un «pivello», perché hai studiato Film e Broadcasting. È per questo che stiamo partecipiamo allo Startup Bootcamp program, grazie all’intervento di alcuni imprenditori della rete irlandese. Ho la mia esperienza in materia di film, ma se mi chiedessero di tirar fuori un’idea commerciale ad alto livello, non sarebbe questa. Eppure hai lasciato il tuo day-job a Dublino e ti sei trasferito a Copenhagen. Lavorare ogni giorno con la tecnologia mi ha dato un valore aggiunto, senza che me ne rendessi conto. È un mix salutare: credo che anche il più complesso business deve avere a che fare con la tecnologia basica e un livello di startup e di pensiero creativo. Questa accelerazione ti ha dato l’opportunità di sviluppare un modello di business per il piccolo impero mediatico che hai creato. Non voglio ancora entrare nello specifico di applicazioni, vendita di biglietti, marketing, merchandising etc., che sto esplorando sebbene siano sempre le buone intenzioni ed una forte volontà a governare il mio operato. La vera forza di BalconyTv è proprio questa, e spero che gli investitori che vorranno entrare nel progetto saranno in grado di valorizzare il nostro marchio e di incrementare la nostra produzione con il medesimo entusiasmo che ha portato BalconyTv in tutto il mondo. Da una terrazza alla rete il passaggio reale, però, è immenso. Si va da un giardino nei tetti del mondo alla virtualità di un computer, proprio la rovina del tetto in un certo senso. Balcony è prima di tutto una televisione. L’unica particolarità è che essa viene messa alla portata di tutti da Internet, che ha la possibilità di trasformare tutti i tipi e le varietà di prodotti che noi consumiamo in un grande schermo da salotto. Non escludo che BalconyTv possa essere capitalizzata e condotta su uno sviluppo di tal fatta. Intanto i video continuano ad essere caricati sul server ed il franchise ad espandersi nel mondo. Sia o meno trasformata in un affare «profit-making», la tv sui tetti è un’idea semplicemente troppo geniale per morire, almeno finché ci siano case, anche non condonate. ■ MASTERING - SAINT LOUIS ISCRIZIONI - IL CORSO INIZIA A FEBBRAIO 2012 DI MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 10 SOUND tracking a cura di ROBERTA MASTRUZZI Music In ¢ NUMERO 19 ELECTRIC SELF ANTHOLOGY Intervista al regista Alessandro Amaducci Il digitale crea, come la donna. Il suo corpo è in perenne mutamento ed ha in sé il germe del cambiamento, della vita, della creatività VIDEOCLIP Eva Mon Amour - La tua rivoluzione Eva non passò tempo alla toletta né a cambiare le opzioni di privacy prima di amare chi voleva ELECTRIC SELF Videoclip di Roberta Mastruzzi R LA TUA RIVOLUZIONE obot, corpi bionici, scontri tra umani e macchine, immagini sottotraccia sono emerse con la tecnologia, che ha riportato alla luce il desiderio profondo di un corpo meccanico, un corpo perfetto reso tale anche dalla tecnologia stessa. La mia scelta di rappresentare figure femminili è legata alla creatività: il digitale crea, come la donna. A nche i computer sognano. A riflettere su quanto la tecnologia si stia facendo spazio nel nostro inconscio è un videomaker, Alessandro Amaducci: la sua Electric Self Anthology sta facendo il giro del mondo. Durante l’Athens Dance Video Project ne sono stati proiettati tre episodi in uno spettacolo live, in cui immagini, musica e tecnologia hanno improvvisato nuovi scenari di conoscenza. Ne abbiamo parlato con l’autore, docente di Estetica del video presso il Dams di Torino, per scoprire, tra le altre cose, che un cuore trafitto diventa più potente di ogni altra cosa. Cos’è Electric Self Anthology? È un’antologia di video dedicata al sé elettronico, quello che io definisco l’inconscio tecnologico. Il computer riesce a creare un proprio linguaggio: i programmi sono solo in parte calcolati dal programmatore, in realtà possono anche andare avanti da soli. Grazie a questa creatività di linguaggio, il computer può sviluppare una propria visione del mondo e creare propri punti di vista, diversi dal nostro. I computer sognano? Secondo me sì. C’è una sorta di inconscio dentro il linguaggio del digitale, che viene a contatto con il nostro nel momento in cui usiamo i computer e quindi utilizziamo immagini e icone come strumento. Il nostro immaginario incontra quello della macchina, creando mondi che in parte appartengono a noi e in parte alla macchina. Questi video tentano di rappresentare questa nuova dimensione. Il corpo è l’elemento centrale dei tuoi lavori, perché? La comunicazione avviene sempre più spesso a distanza e attraverso immagini, il corpo diventa un’icona sempre più usata e presente: più ci smaterializziamo dal punto di vista sociale, più, di fatto, abbiamo bisogno di un corpo. Sembra un paradosso… Lo è, ma è un paradosso interessante. Usiamo le nuove tecnologie - ne sono un esempio i cellulari di ultima generazione - come uno specchio, con un atteggiamento quasi adolescenziale. Ci rappresentiamo attraverso le foto e i video, utilizzando la webcam e le videochat, perché sentiamo la necessità di attestare con il corpo la nostra presenza. Ogni video di questa antologia ha un tema che affronta un aspetto di questo incontro/scontro di immaginari: si creano e si ritrovano archetipi legati al corpo, a volte molto antichi come la danza macabra, che riemergono dal nostro inconscio. Il computer lavora con il concetto di memoria, per questo a volte spuntano personaggi mitologici come la Medusa o rappresentazioni che fanno parte del nostro patrimonio culturale visivo, e quasi non ce ne rendiamo conto perché tornano sotto altra forma, trasformati dalla tecnologia. Le figure presenti in questi video hanno due caratteristiche: possiedono un aspetto quasi bionico e sono tutti corpi femminili. Robot, corpi bionici, scontri tra umani e macchine: immagini che stavano sottotraccia sono tornate in modo più evidente da quando la tecnologia ha chiarito e portato alla luce il nostro profondo desiderio di avere un corpo meccanico. Il progredire della tecnologia ci spinge ad inseguire l’idea di un corpo perfetto, che diventa tale anche grazie ad essa. La scelta di rappresentare figure femminili è legata alla creatività: il digitale crea, come la donna. Il suo corpo è in perenne mutamento e ha in sé il germe del cambiamento, della vita, della creatività. È più disponibile all’incontro con altri germi più tecnologici, non necessariamente negativi. E in tutto questo che ruolo ha la musica? Questi video sono come haiku. In ognuno viene sviluppato un tema e la musica ne supporta l’atmosfera, scandendo i tempi e costruendo il mood intorno alle immagini. Spesso le due cose viaggiano insieme: scrivo la colonna sonora contemporaneamente alla costruzione del video; a volte, invece, scrivo prima la musica, ma avendo già in mente l’utilizzo che ne farò. La scelta di realizzare video musicali è stata dettata da un’esigenza di universalità, non volevo ci fosse la parola usata come linguaggio per spiegare. Spesso ci sono citazioni tratte da film. In Not With a Bang, video dedicato all’immaginario della guerra, sono presenti dialoghi presi da Apocalypse Now, quasi impercettibili in quanto impastati nella musica. Nei video prevale un’atmosfera cupa, quasi gotica e un profondo senso di morte. Nell’incontro/scontro tra uomo e tecnologia, chi ha la meglio? La cultura digitale ha introdotto la fine del concetto di limite: il computer ha una memoria illimitata, il profilo su un social network ci sopravvive, tutti devono essere giovani, la vec- chiaia non esiste più e alla fine si muore da soli in un ospedale. Pagan Inner, video dedicato alla danza macabra, parla di questo: non possiamo allontanare l’idea della morte ma possiamo danzare con essa affinché non sia un cosa spaventosa. La protagonista balla con uno scheletro e gli scheletri si moltiplicano, partoriti dalla donna stessa. Questi sono fatti in 3D: c’è sempre il digitale che ci fa intuire una possibilità in più, lo scheletro si muove perché ha una propria vita. Il digitale ci mette di fronte a tante possibilità: se lo si impiega come strumento si vince, se invece ci si fa usare, si perde. In uno dei tuoi video, Bloodstream, un cuore trafitto da coltelli sanguina e le gocce si trasformano in donne. Guardandolo, ho avuto la sensazione che un coltello trapassasse anche il mio di cuore. I miei video non vogliono imporre un’interpretazione, non ci sono discorsi precisi e lineari, ma vanno «sentiti», lasciando affiorare sensazioni. Si tratta di un video autobiografico, fatto di getto proprio mentre il mio cuore veniva trafitto da una serie di spade (è innegabile che si parli sempre di se stessi, pur mascherandosi dietro i simboli) ed è quindi la descrizione di uno stato d’animo. La donna, minacciata da tre visi, sembra sul punto di morire. È in quel momento che i tre si allontanano, impauriti dai coltelli conficcati nel cuore: quando un cuore é trafitto diventa ancora più potente, passanso attraverso soglie di dolore che sembrano insopportabili, si diventa più forti. Ora che grazie al digitale molte tecnologie sono facilmente accessibili a tutti, qual è il ruolo dell’artista? Il digitale è un vantaggio che porta sconquasso: in giro c’è tanta roba inutile, ma in mezzo ci sono anche persone che fanno cose interessanti. Io stesso, che ho sempre lavorato in questo settore, non riuscirei a fare questi video tranquillamente a casa mia con tre computer se avessi a disposizione solo le tecnologie analogiche di una volta, molto diverse, più costose e più pesanti. Per me l’artista è colui che sente e ascolta il mezzo che usa e lo trasforma in un tessuto emotivo, fatto di immagini e simboli. La capacità alchemica rimane invariata, a prescindere dalla tecnologia. Non importa che tu sia un talento riconosciuto o meno: artista è colui che conosce a fondo il proprio strumento e lo usa come una bacchetta magica per creare un nuovo mondo. ■ DI ROMINA CIUFFA M i piace. Per recensire questo video, al tempo dei social network, potrei semplicemente cliccare «lì». Ma è questa la mia rivoluzione: insistere con le parole. Lo dicevo già anni fa: un giorno non venirmi a chiedere com’era l’espressione per «ahahah» o come si arrossiva senza emoticon. Questo video parla anche di altro. Parla di ogni rivoluzione che si fa in un click deresponsabile, le scelte, la verità offline. L’avanguardia della cassa da morto nella cancellazione dagli Amici; il futuro della bomba atomica negli strumenti della privacy; la magia nera del «sono invisibile». Mi dispiace se la tua rivoluzione è cancellarmi dal tuo Space. Gli Eva Mon Amour sono una protesta sin dal nome: Eva rappresenta la prima persona ad aver fatto una scelta indipendente e, compiendola, ad averne accettato le conseguenze. La rivoluzione è quella narrata nel nuovo ep di questa band di Velletri. Il videoclip La tua rivoluzione è scritto e diretto da Stefano Poletti, i colori sono seppia, l’ambientazione uno scalo, murales, nello sfondo lo «sbaglio più normale». Una rade a zero i capelli dell’altra, complicità non velata in questo rito rivoluzionario. Sono intrinsecamente legate ma c’è un muro - i pregiudizi, gli altri, se stesse - prima che una crolli. Ci sono a dire il vero molte rivoluzioni dentro queste immagini, ognuno scelga la propria. Radersi a zero non è, semplicemente, sufficiente; Eva non passò il tempo alla toletta prima di amare chi voleva. il giornale della musica festeggia i suoi primi 25 anni dalla parte della musica e costa la metà in edicola e la metà in abbonamento le tue musiche ogni giorno EDICOLA 2,50 € campagna promozionale valida fino al 31 dicembre 2011 ABBONAMENTO (CARTA+PDF) 14 € info > www.giornaledellamusica.it/abbonamenti nti [email protected] b b o n a m e n t i @ e d t .ii t MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 11 SOUND tracking Music In ¢ NUMERO 19 SIGUR ROS Eccomi di nuovo | dentro te | ci sto così bene | ma non posso UOMINI CHE ODIANO LE DONNE Il sesso non ha niente a che fare con più tardare | galleggio tutto intorno in ibernazione liquida | in un hotel col- l’amicizia. È vero che gli amici possono fare sesso, ma Lisbeth, se devo sceglielegato alla corrente | ma l’attesa non mi lascia a mio agio. (Sonnambuli) re fra sesso e amicizia quando si tratta di te, non ho dubbi su che cosa sceglierei sigurròs MILLENNIUM di Roberta Mastruzzi DI ROBERTA MASTRUZZI IL nome Sigur Ros fu preso in prestito dalla sorellina di Jónsi Birgisson, Sigurrós, nata il 4 dicembre 1994, giorno in cui il gruppo fu fondato. Il primo singolo, registrato in 6 ore, fece innamorare Björk: ed oggi l’Islanda è in bianco e nero. S i tratta dei Sigur Ros e della celebrazione di un inno alla musica: Inni è il concert movie presentato in anteprima al Festival di Venezia e portato in giro per il mondo fino alla sua uscita in dvd insieme al doppio cd live, avvenuta lo scorso 7 novembre. Prima però, un’altra rappresentazione per il Museo del Cinema di Torino, dove il film della band islandese ha sprigionato tutta la propria magia in 75 minuti di pellicola. Un’esperienza di meraviglia: estetica, musicale, cinematografica. Non è la prima volta che la band di Jonsi e compagni si concede un film che riprende un proprio concerto; se Heima ha documentato il tour in patria del 2006, proiettando l’immaginario musicale Sigur Ros in un mondo ricco di colori, questo Inni punta dritto alla sostanza, mostrando il live di una sola sera, all’Alexandra Palace di Londra nel 2008, e concentrandosi unicamente sulla performance. Niente backstage, interviste, dichiarazioni. Solo pura e sana musica. In bianco e nero per giunta. Un approccio minimalista che si sposa con l’atmosfera rarefatta dei loro suoni, ma che nasconde una profonda ricerca estetica. Il regista Vincent Morisset, autore di Miroir Noir, docu-film sugli Arcade Fire, ha rivelato di aver usato una tecnica particolare in post-produzione: le riprese del concerto sono state fatte in digitale, tutto il girato è stato poi filmato di nuovo con una pellicola 16 mm e ancora trasportato in digitale, dopo aver usato filtri molto particolari come prismi e altri oggetti di uso comune. Il risultato è meraviglioso. Il bianco e nero ha un alto contrasto, le immagini sono dolcemente sgranate, il montaggio segue alla perfezione la musica, tutto gira intorno al potere evocativo del suono del gruppo che viene dal profondo nord. Ma non è solo questo. Inni riesce a rendere una performance davanti a un pubblico di migliaia di spettatori un momento intimo. Loro sono là. Sembra di toccarli, i colori sgargianti del trucco di Jonsi e degli abiti di scena completamente desaturati tolgono il disturbo e lasciano emergere le sensazioni più profonde dei musicisti, i dettagli sono talmente ingranditi che sembra di sentire la consistenza degli strumenti sotto le mani; tu, spettatore, sei lì ma sei anche in un altro mondo. Perfetta aderenza tra suono e immagine e nello stesso tempo una magica astrazione che trascina fuori dallo schermo: Inni è una pellicola che indubbiamente va vista nel buio avvolgente di una sala cinematografica. Il connubio tra i Sigur Ros e il cinema, così celebrato, sembra procedere senza soste. Molti i brani che il gruppo ha prestato alla settima arte, da ultimo il brano Festival inserito da Danny Boyle nella scena finale di 127 ore. Cameron Crowe, regista di Vanilla Sky, in cui Njosnavelin accompagna anche qui il finale della pellicola, li ha voluti sul set del suo ultimo film We Bought a Zoo, da fine dicembre negli Usa. Il regista, che viene dal mondo del giornalismo musicale, è solito infatti preparare personalmente una playlist per creare la giusta atmosfera sul set. Molti di questi brani sono dei Sigur Ros che, in quest’occasione, hanno scritto anche parte dello score del film. ■ opo il successo di The Social Network, Trent Reznor torna a collaborare con il regista David Fincher, questa volta per la colonna sonora del remake americano di Uomini che odiano le donne. Il leader dei Nine Inch Nails, insieme ad Atticus Ross, suo collaboratore dai tempi di With Teeth, album del 2005, dopo aver portato a casa l’Oscar per la miglior colonna sonora l’anno scorso grazie al film sulla storia di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, sembra ormai trovarsi a suo agio tra le pellicole di Hollywood e a gennaio la sua musica diviene il sottofondo musicale sul quale si muovono i protagonisti del thriller tratto dalla trilogia Millennium dello scrittore svedese Stieg Larsson. Non è mai facile trasportare sullo schermo un romanzo di successo, un thriller per giunta di cui ormai tutti conoscono trama e segreti, grazie a una recente serie tv e dopo il discreto successo della versione svedese che ebbe il merito di lanciare Noomi Rapace nei panni cyberpunk di Lisbeth Salander, vera eroina della saga. La giovane hacker determinata, eccentrica e un po’ contorta, sfuggita ad un passato di violenze subi- DIPLOMA Fonia e Music Technology Attestato di Qualifica Professionale Riconosciuto CORSI PROFESSIONALI Pro Tools Hard Disk Recording D te, è indubbiamente il personaggio più affascinante della storia, divenuta simbolo di quelle donne che non si arrendono agli uomini che le odiano, tanto da far pensare che il romanzo fosse stato scritto in realtà dalla compagna dello scrittore, Eva Gabrielsson. Voci mai smentite: Larsson morì poco prima della sua pubblicazione, ignaro di tanto clamore che avrebbe suscitato la sua opera e lasciando un branco di parenti serpenti a litigare per spartirsi l’eredità. Fincher prova dunque a dare una nuova veste alla storia, chiamando a sé attori come Daniel Craig, Rooney Mara e Christopher Plummer e puntando sicuro sulla capacità di Reznor di dare un valore aggiunto alla pellicola. Elettrizzante, cupa, misteriosa, la musica di Reznor ha la missione di calarci in una torbida ed inquietante storia di segreti di famiglia. Tra le tracce, troviamo anche una strepitosa cover di Immigrant song dei Led Zeppelin, realizzata in collaborazione con Karen O. L’ormai consolidato duo Reznor/Ross sforna un’altra colonna sonora trascinante, dimostrando una straordinaria capacità di costruire un sonoro perfettamente aderente alle immagini cinematografiche. ■ MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 12 Vista MARE a cura di LUSSI-ARNESANO Music In ¢ NUMERO 19 SUD SOUND SYSTEM Se nu te scierri mai delle radici ca tieni | rispetti puru quiddre delli paisi lontani! | Se nu te scierri mai de du ede ca ieni | dai chiu valore alla cultura ca tieni MINO DE SANTIS Uso il dialetto perché descrive meglio certe situazioni e perché è più immediato, musicale e sintetico dell’italiano. Penso in dialetto anche quando scrivo in italiano diLADRI A CURA DI LUCIO USSI ¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > SUDARESUD SUD SOUND SYSTEM, SUD-ARE-SUD (...) 20 anni e non dimostrarli. Era il lontano 1991 quando, in un Salento incontaminato ma infestato dalla Sacra Corona Unita, venivano organizzate le prime dance hall e il Sud Sound System si affacciava sulla scena reggae locale. All’epoca erano feste per pochi intimi e con strumenti di fortuna, in mezzo agli ulivi o sulla spiaggia delle «due sorelle» a Torre dell’Orso. Ne è passato di tempo, sono arrivati gli albanesi e il Salento è diventato l’Eldorado del turismo italiano. Il Sound System più famoso di Italia è cresciuto, è cambiato «e non sempre in meglio», dichiara sorridendo Nandu Popu, convinto che la purezza originaria della nostra terra sia stata corrotta dal cemento e da una certa «salentinità» omologante. Ma una cosa non è cambiata: lo spirito originario del gruppo e l’importanza della solidarietà sociale. Lunga vita al Sud Sound System. Come sono cambiati il Sud Sound System e il Salento in questi anni? Qualcosa è cambiato in meglio, qualcosa no. Nel 1991 il Salento era una terra difficile e abbiamo iniziato a fare reggae perché ci piaceva sì, ma anche per fuggire da una realtà che non lasciava spazio ai ragazzi di strada. Imperversava la Sacra Corona Unita e nelle strade si sparava. La musica ci convinse a conservare una certa dignità e un’utile lontananza dalle mentalità criminose. Nelle feste cercavamo di diffondere i principi dell’unione e della solidarietà, e il gruppo di amici che ci seguiva si è ampliato a dismisura con il passare del tempo. In un secondo momento la nostra musica è diventata popolare e purtroppo sono subentrati numerosi luoghi comuni che è giusto abbattere. Quali luoghi comuni? Si fa un gran parlare di salentinità, ma è un concetto vuoto e non serve a niente sventolarlo come un vessillo pensando di essere migliori degli altri. La salentinità è un’altra cosa. Ne «La terra del rimorso» dell’etnografo Ernesto De Martino la salentinità è la sommatoria di dolore e pulsioni represse, dal feudalesimo fino ai giorni nostri. Un tempo, questi dolori venivano fuori con la taranta, ora con diverse espressioni della cultura. Un altro luogo comune? Il turismo di massa. Non mi riconosco in un turismo così stupido, che trasforma i luoghi più belli della nostra terra in luoghi privati e inaccessibili. Sarebbe stato più utile fare del Salento un grande parco naturale, preservando le bellezze naturali della nostra terra. Il turismo deve giovare a tutta la popolazione salentina e non ai pochi privati che hanno soldi da investire e spesso vengono da fuori, mentre alla popolazione locale rimangono solo briciole. Dobbiamo frenare queste tendenze se non vogliamo che «N el 1991 il Salento era una terra difficile. Iniziammo a fare reggae perché ci piaceva sì, ma anche per fuggire da una realtà che non lasciava spazio ai ragazzi di strada. Imperversava la Sacra Corona Unita e nelle strade si sparava. La musica ci convinse a conservare una certa dignità e un’utile lontananza dalle mentalità criminose.» NANDU POPU, SUD SOUND SYSTEM Le origini del Sud Sound System risalgono al movimento italiano delle «posse», letteralmente gruppo o milizia, fenomeno musicale che in Italia si è sviluppato e concluso tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90. Le posse nascono in sintonia con lo sviluppo dei movimenti dei centri sociali, e gli artisti prediligono i temi di attualità politica, impegno sociale e controinformazione. PN il Salento sia invaso dal cemento. Con una salentinità che ci vuole simili alla California abbiamo trasfigurato la bellezza della nostra terra. Tra i miei coetanei c’è malessere verso questa omologazione turistico-culturale. C’è una sorta di isteria collettiva che tende a considerare «buono» tutto ciò che è Salento, così la cultura salentina sta subendo un’evoluzione che mi fa paura. Qual era il messaggio del Sud Sound System nel 1991 e quale quello attuale? È sempre lo stesso, perché fa parte di quella società nella quale viviamo e che cerchiamo di amplificare grazie alla musica. Qualcosa è cambiato, ma in peggio. Nel 1991 assistevamo al tramonto del craxismo, che si limitava a influenzare la vita politica. Ora, invece, il berlusconismo è diventato un modello sociale di vita quotidiana, diffuso anche attraverso le tv. Con le nostre canzoni continuiamo a difenderci da questa omologazione di massa imposta dall’alto. Siamo tantissimi, ma spesso ognuno va per la propria strada ignorando gli altri. La nostra forza è l’unione, da vent’anni, soprattutto durante i concerti. Quali sono i vostri programmi per i prossimi mesi? Abbiamo prodotto il primo LP dei Ghetto Eden e ora ci sarà un tour di promozione, senza dimenticare la commemorazione a Bari di Domenico Modugno, il primo a cantare in dialetto salentino nonostante i produttori gli imponessero il siciliano. Come mai ogni estate dopo i vostri concerti in Salento dichiarate che si tratta dell’ultimo concerto «a casa»? Non è tanto il proibizionismo, che è una legge e le forze dell’ordine si impegnano per farla rispettare. Ci lamentiamo perché i quotidiani locali tralasciano la cronaca sociale e musicale del concerto per evidenziare gli arresti di decine di ragazzi beccati con modiche quantità addosso. Durante i live accogliamo associazioni di ogni tipo, come No al carbone, Legambiente, Wwf, che cercano di migliorare il Salento. Ma questo non arriva sui giornali e ad ogni concerto si fa il copia e incolla della cronaca degli anni precedenti. Hai visto «Rockman», il documentario su Militant P, uno dei fondatori del Sud Sound System? Qualche spezzone su internet. Mi ha fatto una grande nostalgia vederegli amici di una volta e sono felice che la salute di Piero (alias Piero Longo, Militant P) sta migliorando. Un altro fondatore del Sound System, Treble, ha preso altre strade. Non mi sento di aggiungere altro. Rispetto Antonio. L’importante è che il nostro impegno musicale punti sempre ad un bene comune e condivisibile. Il resto sono inezie. ■ OPNONOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPNOPN CONCERTO di NATALE Saint Louis College of Music con docenti, allievi e jam session finale ROMA 19 dicembre 2011 Irish Village - ore 20 BRINDI SI 15 dicembre 2011 Auditorium Saint Louis - ore 20 via Santa Chiara, 2 via Ostiense, 182 Ingresso libero... di Giuseppe Arnesano SCARCAGNIZZU Lo Mino de Santis LeStorie LIBRERIA BIS TROT Roma, Via Giulio Rocco, 37/39 tel. 06.64420211 [email protected] www.lestorie.it abbiamo conosciuto così, teatralmente seduto al centro su di un palco illuminato da luci soffuse, un’armonica al collo, un leggio, un microfono, intento ad accordare la propria chitarra; pochi istanti dopo, la musica di Mino De Santis aveva contagiato il composto pubblico. Con il suo primo disco dal titolo Scarcagnizzu - Vento dal basso edito da Fondo Verri, Mino De Santis, verace cantautore salentino, narra con fare satirico, colto e ritmicamente accattivante le numerose sfaccettature di un Salento idealmente sospeso tra passato e presente. Nelle 11 tracce la seducente voce baritonale del paroliere di Tuglie, accompagnato da Valerio Daniele, Emanuele Coluccia e Dario Muci, armonizza versi e musica, vizi e virtù di una terra che, nonostante tutte le sue contraddizioni, ieri come oggi affascina, cresce ed incuriosisce. Con noi coglie l’occasione per rafforzare l’antico e vero significato della cultura popolare salentina, che non è fatto di lustrini, grandi eventi e quant’altro, ma di lavoro, fatica e ideali. Chi era Mino De Santis prima d’essere cantautore? Esattamente quello che è adesso, con lo stesso spirito e la stessa passione; facevo il cantautore anche prima, ma per pochi amici o per me stesso; non è cambiato nulla se non il fatto che adesso sono un po’ più conosciuto in giro. Come è nato il primo progetto disco- grafico e con quali musicisti collabori? Non avrei mai pensato di realizzare un cd se non mi fossi imbattuto negli amici dell’associazione culturale Fondo Verri. Tutto è nato per caso, a una festa di compleanno. Nel disco mi accompagnano Valerio Daniele, Emanuele Coluccia e Dario Muci, i quali hanno apportato un preziosissimo contributo al mio lavoro. Puoi spiegarci la scelta del dialetto salentino? Il dialetto salentino non è una scelta in quanto non l’ho sentito in contrapposizione con un altro linguaggio. Uso prevalentemente il «dialetto» perché descrive meglio certe situazioni e perché è più immediato, musicale e sintetico dell’italiano. Penso in dialetto anche quando scrivo in italiano. Hai mai pensato di incidere il disco in italiano? Probabilmente in futuro, anche perché ho già diversi testi in italiano che mi piacerebbe proporre. Ma sicuramente non sarà il prossimo lavoro, forse il successivo. Come nascono i tuoi testi? I miei testi nascono spontaneamente, guardandomi attorno o dentro o nel passato e in ciò che è stato. Non c’è un metodo preciso, a volte arriva l’ispirazione quando meno te lo aspetti, altre volte hai l’argomento di cui vuoi parlare ma non trovi le parole giuste o ti manca un qualcosa. Pensi che la «pizzica salentina» abbia esaurito la sua carica propositiva? La pizzica salentina, insieme alla musica popolare, ha una carica propositiva indiscutibile e inesauribile poiché entrambe hanno il compito di tramandare alle nuove generazioni la memoria di ciò che è stato, dunque sia una situazione fatta di miseria, sopraffazione e sfruttamento vissuta dai contadini e sia un’altra fatta di continue lotte e rivendicazioni sociali. Guai a vedere la musica popolare e la pizzica salentina solo come momento di divertimento fine a se stesso, guai a estrapolarle dai contesti reali in cui sono nate per farle diventare solo un motivo di ballo e di sballo nelle sagre di paese, allora sì che perderebbero la loro carica e il loro significato reale. Questo è forse ciò che vorrebbe qualcuno che fino a ieri la denigrava e sminuiva e che oggi la esalta e la propone nelle piazze come evento culturale. Che genere di musica ascolti? La musica che ascolto spazia molto, dal cantautorato italiano e francese alla bossa nova, il blues, lo swing e la musica popolare: amo De André, Brassen, Paolo Conte, Piero Ciampi, Ivan Graziani, Pierangelo Bertoli, Stefano Rosso, Pino Daniele e poi tutto il Prog italiano anni ‘70, anche il Rock, perché no. Progetti per il futuro? Scrivere ancora canzoni e suonare, ma si sa, i progetti restano progetti fino a quando non si realizzano e non mi piace parlare del futuro, non fosse altro che per scaramanzia. ■ MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.07 Pagina 13 SORA CESIRA Music In ¢ NUMERO 19 DA CESIRA Racconta in diretta tutta la storia italiana rivisitando i più grandi video A CENSURA Prima Guccini, De musicali dei nostri tempi, per descrivere con uno spiccato senso dell’humour i proble- André, Venditti, poi la Turci e Apicella. mi reali delle Olgettine e della manovra finanziaria di Monti: dalla Cesira alla censura La musica cessa di essere poesia politica A CURA DI ROMINA CIUFFA SPECIALE C CENSURA E S I R A a cura di ROMINA CIUFFA ¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > L’AVVELENATA di Romina Ciuffa (...) B erlushka | He said to the Italians: «I don’t see crisi in Italy» | Brulicant restaurants, disoccupation is a fantasy | but with the gnokka in testa he maybe was a pizzikin distract | so he went to G20 but security refused entrate and all the premiers said «Ma’ndovai?» | He had a second of lucidity and finalmente... bye bye Berlushka. introduceva così, con estrema semplicità, quella propria di una casalinga romana di poca cultura: «Ciao, sono la Sora Cesira e poiché ho scoperto che su internet si possono dire cazzate a più non posso senza andare in castigo o in galera, ho deciso di approfittarne. Siccome però non sono così sicura che non succeda niente, proverò a scrivere qualche insulto: se entro domani nessuno mi verrà ad arrestare, anch’io sarò blogger (che fa tanto chic). Scarico film pirata. li masterizzo agli amici. Ne faccio tante copie. Scarico pure i cd con tutte le copertine. Berlusconi è un ultracorpo nano e il Papa c’ha le calze a rete coi buchi. Con il bollettino del canone Rai mi ci rollo i bomboni. Ecco. Stiamo a vedere cosa succede». Nessuno la andò ad arrestare: anche lei è incarcerabile come Silvio Berlusconi nella sua reinterpretazione di Incancellabile di Laura Pausini. Oggi descrive la manovra finanziaria di Mario Monti lasciando a Elis Regina e a Tom Jobin e a un grande classico della musica brasiliana, Aguas de Março, questo onore: E mo’ te spiegu com se feche a manovra, com ‘u fisco te aguanta com abrazo de piovra | e o Guvernu me dize com grande fiereza | que é um po’ tosta ma sarà a salveza | salveza da Italia e poi de li italiani | que non sanno jà ora che se magna domani. Ma il boom lo fece con Arcore’s Nights, parodia tutta berlusconiana di Summer Nights (Grease): She rikatts me, I’m into guai | I accontent of millions five, what rapin for a sveltin! | Pay the cont sennò rakkont what combin Nico Ghedins to nascond all the Arcore’s nights! Poi le berlusconiane Olgettine sulle note di Aserejé delle tre sorelle spagnole Las Ketchup (Che casino! Tanto ce ne dobbiamo andare | Guarda se quell’imbecille viene a pulire con noi: a’ principessa! | Imbecille! Uff! Adesso ci tocca pure smontare e pulire tutto | Mo’ che pure il papi è processado, e siam disoccupate e se stamo desperando! Mammannaggiammè!); l’invito al voto referendario dei 4 sì sulle note di Madonna (da Strike the pope a Strike the nano: All you need is to alz your culo mosciow and have five minutes to go | Don’t be stronz, try to find your motivation and give this nation a hope | We drink the water, but we pay like it’s wine, we pay to do the bidet!). C’è New Law New Law cantata da Liza Minnelli e Luciano Pavarotti su New York New York; niente di meno che Michael Jackson in We Are the World a cantare «Non dimentichiamo che Silvio è sempre là»; Aggiungi un posto all’Atac in omaggio al sindaco di Roma Gianni Alemanno («Aggiungi un posto all’Atac che c’è un parente in più | sistemalo in ufficio dai e non pensarci su | se c’hai un’amica zoccola puoi fare la magia | di vender più biglietti e con la sua simpatia | ti sana anche il bilancio e trionfa la democrazia»); per il «dimettitti» ci sono la storica That’s What Friends Are For (Il senso di Silvio per la patonza) e Kate Bush con la sua Babooshka (Berlushka Bye Bye); la nuovissima Statt’n là con cui i Bee Gees (Staying Alive) danno consigli agli immigrati: «We have monnezz everywhere and second me non fai un affair | if you come from Libia, from Sudan, from Tunisia, just statt’n là»; e il recente duetto con Lady D per dire «Bleah!» ai politici italiani. Oltre a un pezzo indimenticabile, Italian Rhapsody («I see the silhouette of a battòn») in cui uno dei Muppets (già storica rivisitazione dell’originale Bohemian Rhapsody dei Queen) grida, per la disperazione di vivere in Italia: «Mammmaaaaa!». Ma chi è la Sora Cesira? Com’è nato il tuo personaggio? In realtà non direttamente dalla musica, ma dalla mia passione per lo scrivere; non lo avrei fatto ufficialmente, solo per me e per poche persone, così ho aperto un blog che potevano leggere tutti ma senza impegno. Chi è la Sora Cesira? La Sora Cesira è la classica «sora», signora romana un po’ «buzzicona», un po’ alla buona. È capitato che proprio nei giorni di apertura del mio blog ci fosse il pasticcio dello stop alla lista della Polverini nelle elezioni regionali, così mi venne in mente di fare un video, prendere We Are the World e fare un appello affinché la Polverini fosse riammessa. Ebbe un successo incredibile: lo misi in rete solo perché mi accorsi che per pubblicarlo sul mio blog dovevo passare per youTube. E una volta postato, non so come, è successo un casino: in pochi giorni ha avuto qualcosa come 500 mila condivisioni, ne hanno scritto i giornali, è andato su Striscia la Notizia. A quel punto ci ho preso gusto... Da dove esce tutto il tuo humour? Ho sempre amato fare parodie, ne avevo fatte molte già per le amiche. Alcuni di quelli che sono divenuti successi li cantavo già da prima, come Sputa pe’ tera (Smooth Operator di Sade); poi, man mano che si presentava un’occasione, politica o sociale, facevo un video. Arrivai senza accorgermene al boom di Arcore’s Night, che da solo ha fatto circa 3 milioni di condivisioni, una cosa spropositata. S’ Un successo di tali dimensioni ti ha portato un lavoro? Sì. È da Arcore’s Nights che mi hanno chiamato a collaborare con gli Sgommati, show satirico di Sky. Questa è già la seconda stagione che lavoro con loro e scrivo canzoni per i loro pupazzi politici. Non guadagni dai tuoi video, c’è un lato commerciale in tutto questo? Non guadagno perché il blog è nato sotto il segno del noprofit e rimarrà sempre così. Pure avendo moltissime richieste per gli inserimenti pubblicitari, non aderisco mai a campagne di alcun genere. No-profit sì, ma fino a un certo punto: Sky mi paga, ovviamente, per il lavoro che faccio. Anche il mio libro, appena uscito, è «profit». Altrimenti, a furia di fare così, finisco sul marciapiede. Tutti dobbiamo campare. Fresco di stampa il tuo primo libro, «Nel bene, nel male e nel così così», ha un trailer di tutto rispetto trasmesso dal canale Al Sora Ceezera... È una raccolta dei post a mio parere più carini del blog, oltre ad articoli brevi che parlano delle magagne dell’Italia e di noi italiani, tutto visto dagli occhi della Sora Cesira, una casalinga con un marito asessuato e due figli cerebrominorati. Esce con il libro anche un dvd con gli storici videoed un brano inedito, U Tormentone. Poi la Sora Cesira si accorge di un errore, e sul blog scrive: «Per uno strano gioco di coincidenze, malasorte, buchi nell’ozono, mezze stagioni che non esistono più, uccelli del malaugurio, servizi segreti deviati e massoneria... avete preso una piccola sòla. Nel cd allegato al libro ci doveva essere un inedito. Non che non ci sia (sia chiaro), solo che manca la voce. Come manca la voce? E vabbè, ci siamo sbagliati e abbiamo messo solo la base. E che ci volete fare... le cose non vengono mai precise precise...». L’inedito è cantato da una brasiliana che rimpiazza con la voce la cuica mancante in sala registrazione e, lamentandosi di vivere in Italia, vuole scrivere il classico Tormentone per sfondare e non lavorare più, così: «Purtroppo sou parecchio bona ma non è qualidade (...) e adesso fate basta com a legenda de favela | sennò io ve rispondo pizza, mafia e mammà | Yo prima de venir aqui tenevo a cameriera | invez adesso manco tengo uma comodità | Basta mo’ me so’ svegliata e provo a mette un punto a questa vita qui, | u Tormentone che se funziona me ce faccio u silicone»... Perché hai scelto l’anonimato e, soprattutto, come riesci a mantenerlo? Non voglio essere un personaggio pubblico, sono una persona molto riservata. Non vuol dire che io mi muova segretamente: mi presento con la mia faccia, non ne ho un’altra; non amo però venire fotografata e che ci sia il mio volto in giro. Non temi che qualcuno faccia il tuo nome? Sarebbe un infame. Per il resto se ho un’occasione pubblica indosso il cappellone della Cesira, e per me è anche un gioco. Ho fatto varie interviste video coprendo il volto e mostrando il cappello. Tendo solo a preservare la mia vita privata. Voci femminili, maschili, cori, montaggio: chi lavora con te? Ho un piccolo studio a casa, sono totalmente autosufficiente, e ho un assistente che è un tecnico del suono ed anche un bravo cantante, per cui è lui ad occuparsi di tutte le voci maschili mentre io penso a quelle femminili. Ma siamo solo in due, fine dello staff. Il tuo preferito è Silvio Berlusconi. In «Incarcerabile» canti: «A volte mi domando se sarà lo stesso senza te quando fagotto dovrai fare, e non vorrei avvenisse che portassi via la Santanché, irrinunciabile oramai»... Quel momento è arrivato? Berlusconi è uno dei soggetti che più utilizzo per un semplice motivo: chi meglio di lui si presta ad essere oggetto di parodia? Le sue dimissioni: la cosa non mi preoccupa molto per due ordini di ragioni. Ritengo innanzitutto che in Italia ci siano sempre molte questioni e persone su cui esercitare tutta la mia fantasia e creatività. Inoltre Berlusconi, sebbene non sia più presidente del Consiglio, continuerà ad essere un grande stimolo per ancora molto, molto tempo. Lui «veglia sempre su di noi». Ma ho già fatto un pezzo sul nuovo presidente tecnico, Mario Monti, Gente di Mario, la parodia di un classico, Gente di Mare. La Sora Cesira non si fa spaventare da un’ipotetica uscita di scena del suo «muso», Berlusconi. La Cesira è solo politica? Ho scritto anche parodie non politiche. Il pezzo di Bebe, Malo, parla di una donna con un marito «pulciaro», e nel ritornello canto Mario Mario Mario: potrebbe essere riadattato a Monti. Ho fatto anche Essere una donna della Tatangelo, sul ciclo; ho fatto due «pausinate», ossia la recente parodia di Benvenuto per la trasmissione di Chiambretti e Incarcerabile. Ho anche reinterpretato Amy Winehouse, ma per ovvi motivi ho ritenuto di non pubblicare: non mi è parso di gusto. Date retta alla Sora Cesira. ■ La protesta in musica fa parte della storia, se solo si pensa che i movimenti del ’68 sono sorti anche e soprattutto grazie all’ausilio degli artisti che li appoggiavano e che simbolo di quell’epoca è un concerto, quello di Woodstock. La canzone degli italiani impegnati è stata poesia pura, alla stregua del saggio di uno storico. Antonello Venditti fondeva amore e politica in una parola sola, Qui, dove «Paola prende la mia mano», ossia davanti alla facoltà di Architettura, a Valle Giulia; sullo sfondo le occupazioni, gli scontri delle «albe cinesi di seta indiana», quella indossata dalle hippies nei foulard e nelle lunghe gonne, metafora complessa per descrivere una generazione sessantottina nata «sotto il segno dei Pesci» che già guardava ai Paesi dell’Est. (Tutto Venditti era politica, anche la sua Roma, Capoccia der monno’nfame; il futuro borghese di una stupida e lurida storia d’amore; una gattara che muore e li ponti so’ soli). Francesco De Gregori, pur dichiarando «Voto a sinistra ogni volta da uomo libero», scriveva Generale e pubblicava un intero album, Il fischio del vapore, dalla copertina tutta rossa, per parlare di fabbriche, risaie e treni. Francesco Guccini è vera e propria colonna sonora storica. Io chiesa, nobili e terzo stato sempre ho fregato solo per me (in Il 3 dicembre del ‘39); Odio il gusto del retorico, il miracolo economico, il valore permanente e duraturo (in Il sociale e l’antisociale) e, una tra tutte: È bello ritornar normalità. È facile tornare con le tante stanche pecore bianche. Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera (in Canzone di notte). Per amareggiarsi, infine, proprio per la strumentalizzazione politica della musica (L’Avvelenata). Fabrizio De André, diffidato per essere ricollegato all’eccidio di Milano, trasformato in fiancheggiatore delle BR è colpito dal potere: dalla traduzione delle ballate di Georges Brassens fino alla ribellione de Il testamento di Tito, ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù. È di Roberto Vecchioni l’unica canzone politica di tutto il Festival di Sanremo 2011: E per tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli a gridare nelle piazze perché stanno uccidendo il pensiero (Chiamami ancora amore). La destra musicale: l’eterna dimenticata. Hobbit, Ddt e 270bis (È dovere degli uomini liberi uccidere i tiranni! (...) e gli spezzarono tutte le dita perché non scrivesse canzoni, e gli spezzarono i denti perché non potesse cantare, ma restavano gli occhi e li potevamo vedere, da Il Poeta). Leo Valeriano, Massimo Morsello (il De Gregori di destra), poi la Compagnia dell’Anello, Sköll, Legittima Offesa e tutti gli altri, non hanno trovato spazio negli iPod comuni per un pericoloso avvicinamento al neofascismo che rischia di travalicare la canzonetta. Questa è censura. Persino Lucio Battisti negava, pur cantando mare nero; ne La collina dei ciliegi il planando sopra boschi di braccia tese fu interpretato come un riferimento al saluto romano; Il mio canto libero era ritenuta una metafora dell’ideologia di destra confermata dalle braccia della copertina, ne Il veliero si odono a voce bassa le parole avvicinatevi alla patria. Nel 1924 era diffusa una circolare fascista che imponeva alla stampa di tradurre in italiano tutti i termini stranieri delle canzoni, compresi i nomi. Louis Armstrong diventava, così, Luigi Braccioforte; Un’ora sola ti vorrei veniva vietata perché molti furoo sorpresi a cantarla guardando il ritratto di Mussolini; nel 1965 la Rai censurava la gucciniana Dio è morto, incisa dai Nomadi, per un equivoco riguardo al titolo che rimanda a Nietzsche (ma venne trasmessa da Radio Vaticana); così il menefreghismo per la chiamata alle armi del Coscritto di Gaber. Oggi che il rock è impoverito dal pop (cit. Flavio Fabbri) - Vasco Rossi, Ligabue, Jovanotti, Subsonica non incidono nelle vite dei fan per quanto si atteggino a grandi uomini della ribellione da palco - e che i riff non si fanno più per gridare ma solo per commercializzare gli effetti sonori di una canzone senza censura; quando Woodstock è divenuto solo una eco che sa di trasgressioni senza base intellettuale; mentre Mariano Apicella è la prima immagine che ogni motore di ricerca fornisce alle parole chiave musica e politica, non posso non avere, con Guccini, in mente questa: Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede, nei miti eterni della patria o dell’eroe, perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. E un dio che è morto. ■ MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.08 Pagina 14 ILLUSTRAZIONE: QUINT BUCHOLZ FEED BOOK BOOK a cura di ROMINA CIUFFA Music In ¢ NUMERO 19 L’INCANTESIMO DEI TANTI MONDI ROBERT JOHNSON. CROSIl volo e gli orizzonti di un Generale che SROADS Quelle litanie rural blues allega una colonna sonora all’incantesimo e le roadhouse liberate di un nero APATHY L’INCANTESIMO DEI TANTI MONDI BEYOND Dall’Aeronautica un libro che parla di orizzonti introdotto da un passagdi Bruce Chatwin: «Mi svegliai una mattina mazzo cieco. L’oculista &further gio disse che guasti organici non c’erano. Forse mi ero sforzato troppo a guardare quadri? E se avessi provato orizzonti più vasti?» (1977). Gli orizzonti sono quelli di Vincenzo Parma, Generale di Brigata aerea, Comandante delle Forze di Mobilità e Supporto, una trentina di viaggi con qualifiche prestigiose quali Comandante del velivolo del presidente della Repubblica e del premier, aiutante di volo del ministro della Difesa, Comandante del 31° Stormo di Ciampino. Questo è un dialogo con la giornalista Ornella Rota, ma è anche una canzone se per canzone si intende parole che accompagnano una musica: al libro è allegato un cd con pezzi di Giacinto Scelsi, Mario Berlinguer, Roberto Fabbriciani, Adel Karanov, Francesco Lotoro, Maribel Orozco Hurtado e Nicola Sani, non facili, a riconferma che il viaggio, che il volo, sono attitudini da sperimentare con attenzione, non con leggerezza come si vorrebbe credere ad un primo acchitto. La prefazione è di Rania Hammad, intellettuale palestinese, i disegni di Hernan Vahranian, artista armeno-iraniano-italiano e teorico delle culture non dominanti. Le conversazioni si sono svolte nello studio dell’Aeroporto militare F. Baracca di Centocelle a Roma. Ma in effetti tutto inizia alla fine degli anni 20 sulla spiaggia di Touros, in Brasile, quando uno dei primi aeroplani che atterrarono nella zona, un S64, fu circondato da un gruppo di pescatori terrorizzati, che credevano fosse il demonio. Poi arrivò un prete, sentì quelle persone parlare dell’Italia, pensò che in Italia c’è Roma e che a Roma c’è il Papa: dunque, non poteva trattarsi di niente di demoniaco. La storia di Vincenzo Parma, invece, comincia in Cina, prosegue per 9 mila ore di volo, e poi l’incontro con Angelo d’Arrigo che sorvolò l’Everest in deltaplano, del quale condivideva l’innata attitudine al volo. Nella mente una «L’incantesimo dei tanti mondi» cultura illuminista, positivista, una preConversazioni di Ornella Rota parazione tecnico-scientifica; le scelte con Vincenzo Parma in solitudine. VariEDeventuali - 15 euro Quant’è durato tutto il lavoro? «Il tempo di una migrazione e ritorno di qualche milione di storni». FOR Memorie dagli anni 70. Sono quelle che il giornalista inglese Nick O F F Kent mette nero su bianco, frugando tra i burrascosi ricordi personali di quegli anni. Con uno stile scorrevole e diretto, Kent dipinge il ritratto di un decennio: pennellate secche e decise per descrivere la sua esperienza personale di giornalista musicale che ha avuto non solo la fortuna di conoscere da vicino artisti che hanno segnato un’epoca musicale, Iggy Pop, David Bowie, Mick Jagger, i Led Zeppelin, tanto per fare qualche nome, ma anche quella di sopravvivere all’eroina. Tanto che viene spontaneo chiedersi quanto di questi ricordi sia stato inquinato dalla droga e quanto invece ci sia di reale. Ma in fondo non importa veramente saperlo. Quello che Kent offre al lettore _ un personalissimo buco della serratura attraverso cui spiare un mondo che non esiste pi_. E non perch_ siano passati trent’anni, ma perch_ gli stessi attori che hanno dato vita a un decennio musicale ricco di fermenti come pochi altri, hanno scelto la via O N T R ROMINA CIUFFA I L R E G N O «Il regno animale» di Francesco Bianconi e Fabio Schiavo Mondadori Editore - 17,50 euro ALT ER NATIVE Sicuramente lo avete ascoltato. Almeno una volta vi sarete imbattuti nella sua poesia fatta di note, accordi e parole. Francesco Bianconi è il leader dei Baustelle, uno dei gruppi italiani «indie» più promettenti e acclamati da pubblico e critica. La cui l’originalità impulsiva dei testi e la stridente onda sonora degli accordi riescono a destabilizzare briosamente l’orecchio dell’ascoltatore. Trasportandolo in un’orgia di immagini in note dall’effetto quasi psichedelico. Dove la musica s’impasta a spirale su rime tanto eccentriche quanto inusuali. Lo avete sentito cantare dunque. E adesso lo potete anche leggere. Francesco Bianconi passa dal vinile alla carta stampata. E lo fa pubblicando il suo primo roman- A N I M A L E zo. Il regno animale, opera prima di Bianconi, è certamente una sorpresa per il panorama letterario, ma è soprattutto una conferma per chi conosceva già le sue doti. Immaginifico e spietato, il romanzo narra del trentenne Alberto, giornalista precario, che arriva a Milano in cerca di lavoro. La città feroce però l’investe di difficoltà, di personaggi doloranti e di donne. Gli presenta ostacoli reali ed etici. Ed è proprio in questo marasma che puzza di vita vera, in questo dolore onirico che sa di contemporaneo, che il protagonista dovrà farsi strada e continuare a vivere. Con tutte le sue fragili forze Alberto racconta il cinismo perdendosi in esso. È la storia di un ragazzo e di una generazione, di un pezzo di società moderna. Il già celebrato poeta della canzone e leader dei Baustelle esordisce con un’opera potente e originale. Un omaggio duro e critico alla nostra epoca. Lorenzo Fiorillo THE ROCK C «Controsole. Fabrizio De André e Crêuza de Mä» di F. Molteni e A. Amodio Arcana Editore - 12,50 euro Forse tornare a parlare di Fabrizio De André è più una necessità che una moda. Come se nulla si volesse lasciare di non svelato: tutto ciò che possiamo conoscere e aggiungere sull’artista e sull’uomo Fabrizio De André va restituito in qualità di patrimonio dell’umanità. Su questo indirizzo la scorsa primavera è stato presentato un libro, che si concentra sul rapporto tra Fabrizio De André e Crêuza de Mä. Stavolta l’occasione nasce dalla riscoperta di un’intervista radiofonica inedita dell’11 agosto 1984, prima data ligure del tour dell’album Crêuza de Mä, ed è volta alla valorizzazione dell’apporto del musicista Mauro Pagani a quello che è considerato il miglior album dell’artista genovese. La breve opera, di un centinaio di pagine, è scritta a quattro mani da Ferdinando Molteni, giornalista, musicista e musicologo e da Alfonso PO PCK pop&rock IL REGNO ANIMALE La voce dei Baustelle, il brio, la ferocia immaginifica DEVIL «Apathy for the Devil» di Nick Kent Arcana Editore 19,50 euro della decomposizione, distruggendo insieme al conformismo di chi li ha preceduti anche se stessi. Kent ricompone insieme quegli anni, dedicando a ognuno di essi un capitolo e raccontando con estrema sincerit_ la sua vita trascorsa fianco a fianco con i musicisti pi_ importanti, lasciandosi coinvolgere sia nel bene che nel male in un mondo di dissoluzione, da cui _ miracolosamente uscito come un superstite da una lunga guerra. L’autore dimostra una straordinaria capacit_ di condensare in poche frasi le personalit_ complesse di artisti maledetti (non a caso, _ dalla sua penna che nel ‘74 usc_ un magnifico ritratto di Syd Barrett, pubblicato sulle pagine della storica rivista musicale «NME», un pezzo da manuale che consigliamo vivamente di rispolverare) e trasforma la sua autobiografia in un album fotografico, sfogliando il quale si trovano immagini private e scatti rubati delle star dell’epoca, quasi un bside degli anni 70. Roberta Mastruzzi O S O L E Amodio, giornalista e scrittore. Si parte dall’incontro tra la musica di Pagani, ispirata ai suoni del bacino del Mediterraneo, e le parole di De André, in lingua (e non dialetto) genovese: «Obliqua, aerea e imprendibile, eppure così tellurica. Turgida e disseccata al tempo stesso una lingua anomala: un azzardo poetico» (Guido Festinese). Veniamo a scoprire quali commenti lusinghieri e colmi di stima siano stati espressi da icone del mondo culturale internazionale, come David Byrne dei Talking Heads e Wim Wenders. Possiamo ripercorrere la storia delle singole tracce dell’album, seguire le tappe del tour dell’84, perderci nei capitoli che studiano la fortuna di Crêuza de Mä dopo Crêuza de Mä e dopo De André. La parte finale dell’opera è lasciata alle vive testimonianze di chi ha fatto i conti con questo album o con l’autore, quindi parole talvolta composte, talvolta commosse, di musicisti italiani tra cui Teresa De Sio, Eugenio Bennato, Beppe Gambetta. A testimoniare la grandezza di un’opera estremamente coraggiosa: «Siamo bambini, noi: abbiamo fatto una scelta da bambini innamorati, pensando che ci fossero tanti altri come noi disposti a stupirsi». (Fabrizio De André). Rossella Gaudenzi R O B E R T J O H N S O N. C R O S S R O A D S ( I L B L U E S , I L M I T O ) JAZZ & blues «Johnson è stato il più importante bluesman di sempre», Eric Clapton. Davanti all’ennesima biografia su Robert Johnson, una diffidenza iniziale e velatamente ironica sarebbe pur comprensibile considerati i numerosi scritti a lui dedicati; basti pensare alle precedenti biografie di Peter Guralnick e Elijah Wald, ma anche ai racconti, estremamente fantasiosi, che circolano sul suo conto. La verità è che non solo il fraseggio puro e tagliente dei suoi accordi lo hanno reso un artista tra i più amati, ma soprattutto il mistero e l’oscurità delle leggende che aleggiano intorno all’uomo hanno concorso alla nascita del bluesman mito del Delta del Mississipi. Un vero e proprio archetipo della figura del musicista maledetto, ispiratore di Jimi Hendrix, Eric Clapton, Keith Richards, Robert Plant e decine di altri. Malessere e senso di vuoto esistenziale, maledizioni e segni tragicamente sinistri (tipico della religiosità del blues afroamericano) riempiono l’intero corpus musicale johnsoniano, costituito in realtà soltanto di una trentina di brani registrati nel corso della sua breve vita (1911-1938). In quest’ottica s’inscrive l’innovazione narrativa di Tom Graves, redattore della rivista Rock & Roll Disc e collaboratore di RollingStone, Musician, The New York Times Book Review e The Washington Post Book World, il quale realizza un quadro completo e preciso della vita del bluesman. Il titolo di questa biografia (Robert Johnson. Crossroads. Il blues, il mito) ne delinea l’orientamento narrativo. Lo spunto è il capolavoro musicale Crossroads, che narra la leggenda del patto con il diavolo scambiato dal musicista ad un crocevia (l’anima in cambio di una strepitosa maestria con la chitarra) e si sviluppa progressivamente in uno studio sulle origini e le contaminazioni della musica folkblues degli anni 60. Tom Graves evidenzia gli aspetti storico-sociali delle litanie rural blues. così intrise di tematiche spirituali e catartiche, espressioni di un’interiorità repressa al cospetto delle codificazioni della società civile, che accomuna i rockers degli anni 50 e i non più isolati bluesmen neri che escono per la prima volta dalle roadhouse per ispirare i nuovi cantautori folk bianchi di quegli anni. Il Dopoguerra segna, infatti, la fine dell’autarchia del blues che, a seguito della Grande Migrazione del Mississipi, approda nelle brulicanti metropoli industrializzate con determinanti innovazioni strumentali. È indiscusso l’errore del tutto arbitrario dei critici nel voler ricondurre a tutti i costi il blues a forma di protesta politica, ma di fatto è innegabile - sottolinea Graves - l’importanza delle contaminazioni musicali nei suoi aspetti sociologici sullo sfondo degli anni 60, laddove il leitmotif della nuova generazione americana diviene quello che George Vidal definisce fuggire «dall’inferno dell’American Way of Life». In un tale contesto Graves fornisce una nuova e più ampia valenza della recezione della produzione artistica di Robert Johnson, peraltro a più di un decennio dalla sua scomparsa. Nel ‘61 King of the Delta Blues, un LP di 16 brani «Robert Johnson. Crossroads (Il blues, il mito)» di Tom Graves ShaKe Edizioni - 14 euro rispolverati personalmente del musicista, costituisce fonte d’ispirazione per Bob Dylan, il quale ne rimane assolutamente stregato, tanto da riproporne alcune tracce dal vivo, e John Paul Hammond nel ‘63 sarà il primo a registrare Crossroads, prima di Clapton, riproponendo al pubblico la produzione musicale dello storico bluesman per oltre 40 anni. Altri artisti di fama mondiale ne seguiranno il trend: Led Zeppelin, Canned Heat, i Rolling Stones, Steve Miller e molti altri resusciteranno e divulgheranno la musica di questo oscuro e misconosciuto artista, facendolo approdare nell’olimpo della musica americana e, immancabilmente, di iTunes, rendendolo così eternamente e commercialmente «cool» e «trendy», perché, come afferma Graves, «la cosa che non dovrebbe mai essere sottovalutata è il fascino del cool». Johnson e i bluesman suoi contemporanei ne rimarrebbero sbalorditi. Alessia Panunzi MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.08 Pagina 15 Music In ¢ NUMERO 19 ROBERTO TAUFIC Eles & Eu C’è ti-amo. Si provi a recensire un ti-amo. E c’è Taufic. Si provi a recensire Taufic COLLETTIVO DEL PONTE DJail/Voci dal carcere Poter scorgere il futuro è un momento d’estasi - lo scrive un detenuto. Dalla cella in streaming BUD SPENCER BLUES EXPLOSION «Do It» Il do è una nota, It è il rapporto tra la dose di un farmaco e la sua efficacia FEED back a cura di ROMINA CIUFFA BUD SPENCER BLUES EXPLOSION - DO IT ROBERTO TAUFIC - ELES & EU BEYOND Il Do è la prima nota musicale della scala e praticamente ce la ritroviamo sempre un po’ da per tutto, mentre l’IT in un farmaco esprime il rapporto che sussiste tra la dose letale dello stesso e la sua efficacia. Il nuovo album dei Bud Spencer Blues Explosion, Do It, è un lavoro che straborda di energia musicale e la tradizionale malinconia delle blue notes lascia il posto alla forza di un rock-blues mediterraneo dove il sole arroventa gli strumenti e il sale del mare brucia la gola del cantato. La chitarra di Adriano Viterbini (anche voce e tastiera) accompagnata dalla batteria di Cesare Petulicchio riescono ad infiammare l’ascoltatore come sa fare solo chi è cresciuto a pane e Rock & Blues. Do It, uscito il 4 novembre per la Yorpikus Sound, è un invito al fare, al fare bene però; all’agire senza troppo stare a pensare, all’impegno totale che ogni musicista deve al suo strumento. 12 brani inediti e una cover per un sound davvero vitale, a tratti volutamente grezzo e sensuale. Le composizioni richiamano qua e là suggestioni di celebri sonorità alla Led Zeppelin, Foo Fighters e Jimi Hendrix, ma è riduttivo cercare nomi celebri per descrivere l’origine artistica di questi due giovani musicisti romani. Il pezzo cover è Jesus is on the mainline, un suonato considerato tradizionale e por- Scrivere certe recensioni è come parlare d’amore: inutile. Scrivere del cd di Taufic è uccidere Taufic, ammazzare il sesso, tornare a casa nella quotidianità e parlare del tempo. Di questo lavoro musicale non si può parlare, io non lo farò perlomeno. Lo lascio a chi non teme di rovinare un rapporto, a chi chiede sempre «mi ami?» e ripete anche dal bagno «ti amo», a chi lo fa a chiusura di ogni telefonata, a chi s’ammala di omissis. Chi sa di me sa anche di quanto io taccia ma faccia. Così non starò qui a ciarlare su Taufic, recensitelo voi mentre dite «ti amo» e fate l’amore, perché verrà meglio e vi accorgerete di non stare recensendo, alla fine, una certa chitarra brasiliana originale («Eu», cd n. 2) né Gilberto Gil, Guinga, Chico Buarque, Edu Lobo Tom Jobim, Newton Mendonça, Theolonius Monk, Pat Metheny, Chopin («Eles», cd n. 1), bensì il vostro «ti amo», che, grazie a questa colonna sonora, è venuto diverso oggi, più dolce e più amaro, salendo su dallo stomaco che è il cuore profondo, da dove un «ti amo» va pronunciato. Di stare recensendo questa notte d’amore che non è stato per le luci che è venuta meglio, non vi illudete. Il merito non è vostro. Ringraziate Roberto Taufic. Honduras 1966, palestinese da parte di madre, in Brasile dall’età di 5 anni, a 19 anni già apriva i concerti di Geraldo Azevedo, Boca Livre, Joyce e Luiz Melodia; italiano d’adozione (4 anni a Roma, ora piemontese) con questo doppio album ormeggia in un «porto di accordi e dissonanze, paure e sfide, lacrime e felicità». Per la prima parte della notte sceglierete il cd n. 2, «Eu», l’io narrante, Taufic in prima persona - Enigmàtico - che si racconta in un Retrato de um dia, una Real Picture, una Reflexão e, senza parole, dice Parliamoci. Silenzioso, non disturba il can che dorme: il suo violão non è fatto per schitarrate in spiaggia o sotto una finestra, ma per accompagnare la monogamia. L’acqua bolle ora, c’è odore per casa di umido-pentola e quell’ansia da padelle sul fuoco. In altri tempi le avreste detto «ti amo» adesso, per quella insostituibile sensazione di monotonia tornasole che vi fa sentir pieni a tal punto da «doverlo» dire. Ma c’è Taufic. Cambiate cd, «Eles», n. 1, è questo il momento dei grandi classici rivisitati. Imparate a non recensire emozioni, non mentre scolate i fusilli. È tutto così chiaro, i tempi di cottura in una notte di chitarra e «ti amo», toglier le parole a Desafinado e consegnarla allo strumentale non rende «anti-musical» il cuore di uno stonato. Certe emozioni sono strumentali. È il sesso degli angeli, ma adesso sono arrivata da qualcuno che mi aspettava. E ancora per una volta, non dirò «ti amo»: certe emozioni non si uccidono parlandone. &further tato al successo da Ry Cooder e poi anche dagli Aerosmith. Più del minimo, Rottami e ‘Giocattoli sono le prime tracce del disco e già all’ascolto di queste se ne percepisce la forza strumentale ed espressiva. Di solito i BSBE danno il meglio di sé nei live, considerati da molti - giustamente - veri e propri animali da palco, ma questa volta Do It rende giustizia anche del lavoro svolto in studio e pezzi come L’onda e Hamburger testimoniano tale crescita, Per il resto c’è tanta ironia, soprattutto nei testi, voglia di giocare e di prendersi un po’ in giro, a partire dal nome della band che ha origine dal mix tra l’attore Bud Spencer e il gruppo punk-blues Jon Spencer Blues Explosion. Una vena leggera che però pulsa netta anche nelle tracce Scratch Explosion (feat. DJ Myke)’ e Dio odia i tristi e che completa un album ricco di sorprese e di talento nostrano. Che esploderà a breve come in ogni film Bud Spencer. Flavio Fabbri ROMINA CIUFFA MAT (MARCELLO ALULLI TRIO) - HERMANOS acronimo di Marcello Allulli JAZZ Mat, & blues Trio. Mat come il jazz, che non & blues conosce regole e scavalca confini. Il primo progetto discografico del sax tenore sfida le convenzioni: inserendo un coro, cosa insolita per il jazz, e trasformando il suo trio in un quartetto. Sì, perché i tre componenti del gruppo, lo stesso Allulli, il chitarrista Francesco Diodati e il batterisa Ermanno Baron, hanno ospitato un quarto componente, che doveva essere una special guest e invece si è lasciato coinvolgere nelle registrazioni e alla fine ha suonato in tutti i brani: stiamo parlando di Fabrizio Bosso. Quindici tracce registrate in 3 giorni, ognuna di esse ripresa dal vivo, senza editing e tagli in post produzione. I brani, scritti e arrangiati dal sassofonista, sono separati l’uno dall’altro da CORSO DA quattro intro, una per ogni strumento. Ad accompagnare il trio, nell’elegante percorso musicale immaginato da Allulli, durante il quale si ascolta anche un’intensa cover di un brano di Tom Waits (Time) e un canto popolare irlandese (Inno), ci sono il piano di Glauco Venier e la chitarra di Antonio Jasevoli. Infine, il coro Hermanos, ovvero ragazzi che da tutta Italia sono giunti per intonare il brano che dà il titolo all’album. Raffinata ricerca del suono e melodie limpide, sostengono la grande sintonia tra i musicisti e il clima di libertà, condivisione, immaginazione in cui il disco è stato registrato contagia fin dal primo ascolto. JAZZ & blues Come una pioggia del XXI secolava, purifica e risolve, arriva & blues lo ‘O pata pata, secondo disco del duo De Vito-Warren impreziosito dalla collaborazione del chitarrista Ralph Towner. In napoletano l’espressione «‘o pata pata e ll’acqua» sta ad indicare l’attesa di un temporale. Vena artistica napoletana, gallese e statunitense a dar vita a 12 nuove tracce ricercate, sanguigne e fresche al contempo, con testi in dialetto partenopeo della De Vito e musiche di una rosa di eccellenze: Warren, Marcotulli, Towner, José Miguel Soares, Wisnik Hermeto Pascoal, Bojan Zulfikarpasic, Chico Buarque de Hollanda, Vinicius De Moraes, Antonio Carlos Jobim Angelo Nelson, Lacerda Benedito, Alfredo da Rocha Vianna Junior. Non manca il vezzo letterario, nel brano Si fosse Roberta Mastruzzi MUSIC MANAGEMENT - SAINT LOUIS MERCOLEDÌ 25 GENNAIO 2012 A FINE MAGGIO € 90 PER INTERNI €190 PER ESTERNI DI C O L L E T T I V O BEYOND MARIA PIA DE VITO - ‘O PATA PATA Scrissi la mia tesi di laurea in Psicologia proprio sulla ricer&further ca-intervento in ambito penitenziario, in particolare sul Trattamento in carcere, fondato sull’art. 27 della Costituzione e sulla funzione rieducativa della pena di cui al terzo comma. Il fatto di ricevere questo cd, DJail, da parte di Maurizio Catania, che conosco come fondatore e frontman degli Unnaddarè, mi dà il primo pensiero: il nome di quella formazione significa, in siciliano, «ovunque», mentre in questa - il Collettivo del Ponte - il riferimento è tutto alla galera. Studiavo (per la mia laurea in Giurisprudenza) il concetto del «ponte d’oro» nell’ambito di una teoria genelpreventiva della sanzione, che favorisce chi desiste dall’azione delittuosa - secondo pensiero: c’è uno strano legame tra prevenzione ed esecuzione, libertà e carcerazione, tra l’ovunque e il metro quadro. Tra i due lati di un ponte. E mi risale tutto il terzo capitolo della tesi, che concentrai sull’educazione non formale negli D E L P O N T E istituti penitenziari, percorso carico di metafore applicabili in ogni campo della conoscenza: non da ultima la musica come elemento di trattamento distinto dall'obbligazione lavorativa o educativa richiesta al detenuto. Recente caso di ricerca-intervento in carcere è stato quello di Rock in Rebibbia, trasmissione che ha coinvolto in un reality show i detenuti del Nuovo Complesso dell’istituto romano, ma vi sono molti esempi di rock carcerario nella storia della musica: il 13 gennaio del 1968, Johnny Cash incise presso il Folsom, carcere californiano di massima sicurezza, l’album At Folsom Prison; John Lennon dedicò Attic State al penitenziario che poi imprigionerà il suo stesso assassino; Elvis Presley scrisse un classico, Jailhouse Rock; i Blues Brothers aprirono due film improvvisando una jam session dietro le - D J A I L / V O C I D A L sbarre; Bob Dylan scrisse Hurricane per difendere il pugile Robin Hurricane Carter, condannato per un triplice omicidio avvenuto a seguito di una sparatoria al Lafayett Bar nel New Jersey: il verdetto finale scagionò Hurricane, che uscì di prigione il 26 febbraio 1988 (ma da quel giorno Dylan non ha più suonato il pezzo in pubblico). Oggi l’Associazione Il Ponte Magico entra nelle Case Circondariali della Provincia di Roma: negli istituti di pena di Velletri e di Regina Coeli otto detenuti scrivono parole a cui è data forma libera in questo sorprendente album metropolitano - hip hop e trip hop, elettronica e rock - fatto dei testi selezionati e adattati da Federico Carra, Maurizio Catania, Guglielmo Fulvi, Rita Gisi, Terry Gisi, ed eseguiti con vigore e intellegibilità dal loro Collettivo del Ponte. Il progetto si inserisce nel- fatto foco ispirato a Cecco Angiolieri; non è risparmiato lo struggimento amoroso in Vucella o ‘A sposa riluttante: «Si nun è fuoco che m’abbruciasse a vocca/Nun ce sta na ragione ca me farrà cagnà/ Si nun sì tu l’ammore/ nun te voglio spusá». Un disco dedicato alla terra napoletana e alla gente del Brasile tanto affine a quella di Napoli; e che finalmente «venga ‘o pata pata a ripulirci il cuore, a emendarci la reputazione e a salvare la vita dei nostri figli». Rossella Gaudenzi C A R C E R E l’ambito del più ampio intervento di re-inclusione sociale degli ex detenuti che il Ponte Magico persegue attraverso diversi strumenti. Non è affatto un caso che il cd non sia stato messo in commercio bensì distribuito gratuitamente ad associazioni, enti, produzioni ed emittenti radiofoniche e televisive, perché possa circolare «liberamente» e trasmettere un messaggio di integrazione degli ex detenuti. I brani sono resi disponibili per tutti su youtube.com/ilpontemagico, e in mp3 in download sul sito ilpontemagico.it. La funzione rieducativa della pena non può trovare effettiva realizzazione se non è data, all’ex carcerato, possibilità di redimersi. Perciò con questo album si tenta di rieducare, insieme, anche la società, che non è pronta ad accogliere carcerati se non provenienti dal Grande Fratello. Ma poter scorgere il futuro è un momento d'estasi - lo scrive un detenuto. Romina Ciuffa MUSICIN19BN_F_Layout 1 19/12/11 15.08 Pagina 16 IlI l talento ta lento è lla a ccapacità a pacità d dii iimparare. m pa ra re. IIll g genio enio è lla a ccapacità a pacità d dii e evolversi. volversi. A A.. S Schoenberg choen berg