Paolo Giannitrapani1
Cosa posso sapere ... oggi?
Appunti su complementi della teoria della conoscenza da Russell (1948) ai giorni nostri
«Ogni interesse della mia ragione si concentra nelle domande che
seguono: 1. Che cosa posso sapere? 2. Che cosa debbo fare? 3. Che
cosa mi è lecito sperare?»
[Immanuel Kant, Critica della ragion pura]
«Tanto per cominciare nessuna definizione che introduca la parola
‘conoscenza’ può essere soddisfacente, sia perché questa parola è
estremamente ambigua, sia perché ciascuno dei suoi possibili
significati può essere reso chiaro solamente dopo molta discussione
epistemologica»
[Bertrand Russell, Teoria della conoscenza. The 1913 Manuscript]
Premesse
Sappiamo per vero che i russi hanno influenzato la nomina di Trump o ci sono solo opinioni
contrastanti sul fatto che sia successo? Sono sicuro che domani il treno per la Bovisa parte alle 7.37
da Varese Nord? Cosa si richiede da una teoria della conoscenza? Direi soprattutto cosa si richiede
oggi, partendo dalla constatazione che questo argomento è ritenuto attualmente in filosofia tra i più
prolifici, un fiume in piena per i contributi che si sono infittiti negli ultimi decenni. Non poteva
essere altrimenti: il conoscere contraddistingue l’essere umano. Le conoscenze scientifiche si
1 Insegnante di Filosofia e Storia presso il Liceo Scientifico Ferraris, Varese (negli anni 2002-2012). Ora ricercatore e
collaboratore presso CII - Centro Insubrico Internazionale Carlo Cattaneo e Giulio Preti (direttore Fabio Minazzi),
Universitas Studiorum Insubriae,Varese.
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accumulano e nella vita quotidiana siamo alle prese costantemente con ammassi di cose da
apprendere, ricordare etc.. Si osserva che la teoria della conoscenza o analisi della conoscenza ha
una grande tradizione storica di pensiero: da Parmenide, Platone a Hume, Kant e al Novecento. Fa
anche parte dell’educazione scolastica liceale ma, dato certo strabismo culturale dei docenti, ci si
sofferma di solito su Kant ignorando un puntuale riferimento al tempo d’oggi. Ciò non toglie che il
pensiero degli antichi possa sempre offrire oggetto di meditazione, (cfr. il Thaetetus di Platone).
Con il suo scritto del 1948: Human Knowledge, vedremo come Russell tracci il quadro dello stato
dell’arte sulla conoscenza a metà secolo ventesimo. Passando al giorno d’oggi si possono fare
almeno i nomi di Giulio Preti, Evandro Agazzi, Nicla Vassallo per gli italiani ma è soprattutto,
secondo le osservazioni degli stessi accademici italiani, in lingua inglese che viene espresso con
maggior intensità lo studio dell’analisi della conoscenza, di costoro parleremo nella parte finale.
L’avvento della logica moderna applicata agli enti e agli oggetti della conoscenza, la rivoluzione nel
modo di vedere la realtà (id est dopo le rivoluzioni novecentesche intervenute nella fisica, nella
psicologia e in tutte le scienze), la vastità del materiale dei saperi, scientifici o ordinari, sono fattori
che hanno determinato la mutazione della teoria della conoscenza (o epistemologia o gnoseologia),
quale essa venne formulata da Hume, Kant, Hegel. Seguiremo pertanto questo percorso negli
appunti che seguono: dopo il riferimento alla presentazione di Giulio Preti del problema della
conoscenza umana come è stata vista teoreticamente e storicamente attraverso i secoli (n.1),
indicheremo nelle teorie sulla conoscenza espresse da Russell il punto di vista di metà Novecento su
problema di cosa sappiamo e di come lo sappiamo, che ha comportato l’introduzione di due
elementi significativi: la logica e la funzione giocata dal singolo individuo nella formazione dei
concetti scientifici (n. 2); si considera poi un ulteriore (e prolifico) sviluppo in atto da qualche
decennio a questa parte, si tratta di teorie sulla conoscenza che sviluppano ampiamente alcune
indicazioni già in Russell: l’analisi logica della giustificazione della credenza, il considerare
basilare il singolo individuo alle prese con il frenetico modo attuale, e non più l’uomo inesistente
delineato da Kant (3); all’interno di queste tendenze risulta centrale per la ricerca della verità (la
verità o il vero che è uno degli aspetti onnipresenti della conoscenza) lo strumento logicomatematico: dalla trattazione empirica del conoscere fino alle teorie sulla conoscenza è impiegata la
logica (proposizionale, induttiva, probabilistica, modale); senza trascurare la domanda filosofica
d’eccellenza e il suo trattamento logico: ma possiamo sapere tutto? (n. 4); la bibliografia ragionata
su testi necessari per un aggiornamento o integrazione di quanto comunemente si sa sulla
conoscenza conclude gli appunti (n. 5).
1. La sintesi di Giulio Preti
Il filosofo razionalista pavese Giulio Preti (1966) traccia una sintesi lucida e rigorosa (pur nei
limiti imposti dalla natura di una voce enciclopedica) della teoria della conoscenza sia in chiave di
storia delle soluzioni al problema, dagli antichi al Novecento,sia nei termini di un’analisi oggettiva
delle caratteristiche o costanti possedute dal problema della conoscenza. Preti sottolinea l’antichità
2
del problema: da Platone, Aristotele, al medioevo, alle correnti dell’empirismo e dell’apriorismo
(razionalismo), si è dibattuto il problema se la conoscenza fosse empirica o razionale o se quella
razionale derivasse dal quella empirica. Centrali in questo excursus storico permangono le posizioni
di Platone che pone la distinzione tra opinione e verità e di Kant che addita tre gradi di conoscenza:
la conoscenza empirica, il conoscere intellettuale come elaborazione della conoscenza empirica e la
conoscenza delle idee e del totale. Della conoscenza possibile del totale si occupano poi Hegel e
Marx che risolvono dialetticamente il singolo o la parte nel tutto. Un’altra chiave di lettura del
problema della conoscenza consiste nelfatto che sono stati posti due piani di indagine: da un lato il
metodo logico-analitico dai sofisti a Russell, a Wittgenstein e alla filosofia analitica, con la scoperta
della valenza del linguaggio; dall’altro l’analisi dell’atto conoscitivo, espressa da Hume, Berkely,
Locke fino ad Husserl. Una costante è il presentarsi della relazione soggetto-oggetto e di una
conseguente alternativa tra oggettivismo o realismo (secondo cui è il pensiero cioè la struttura
logica della frase che riflette lo stato di cose) e soggettivismo (secondo il quale è l’atto del
conoscere che pone o produce l’oggetto). La considerazione atemporale delle costanti rinvenibili
nel problema del conoscere richiama però subito la storia: Kant è il fautore di un soggettivismo
trascendentale, posso parlare non del tavolo che mi sta davanti ma del tavolo come lo sto vedendo;
nel Novecento la polarità soggetto-oggetto è vista secondo varie modalità: o sono riducibili l’uno
all’altro o non si possono isolare o l’uno si correla all’altro, quest’ultima sarebbe la posizione
assunta dal correlazionismo di Natorp, Hartmann, Banfi. Il correlazionismo di Husserl consiste
nell’attribuire ad ogni atto del conoscere un carattere intenzionale. Preti dunque esamina dapprima
la storia della gnoseologia, poi la struttura della gnoseologia; successivamente quel problema
connesso con il conoscere che consiste nel discriminare le conoscenze vere da quelle false, vale a
dire esamina il problema dello scopo del conoscere: la ricerca del vero. Ciò che è vero, la verità, è
per i soggettivisti, funzione del criterio di conoscenza assunto dal soggetto; ma per gli oggettivisti o
realisti, è la verità che determina il modello del conoscere, secondo il principio dell’adequatio rei et
intellectus, come già dicevano gli antichi. La posizione odierna assegna alla verità il tratto di essere
funzione del processo stesso del conoscere, funzione delle strutture concettuali in gioco, funzione
del tipo di oggetto che si viene ricostruendo; in tal modo rinasce un’altra alternativa se la verità sia
funzione delle forme trascendentali dialettiche della ragione o si debba accettare solo la verità
scientifica (e, al suo interno, quella logica o fattuale?). Ma è poi possibile la verità?. Una nuova
polarità si associa al concetto di verità, quella tra dogmatismo e scetticismo. Nel testo di Preti che
stiamo considerando l’ultimo argomento è l’oggetto del conoscere: per il realismo la conoscenza
considera la res come sussistente indipendentemente dal conoscere stesso, ma per le correnti
idealistiche l’oggetto del conoscere non è la res ma l’idea che ho della res. Questa idea a sua volta si
concepisce come indipendente in senso platonista o in senso soggettivistico per cui l’oggetto del
conoscere è in sostanza creato dal soggetto.
La conclusione di tutto il discorso pretiano della voce enciclopedica è dedicato alla filosofia
contemporanea: due anime sembrano agitare l’universo gnoseologico odierno, il soggettivismo
idealistico (ma trasformato in senso analitico cui si possono ascrivere le filosofie dell’atomismo
logico, il costruttivismo logico di Russell e il neopositivismo) e la fenomenologia husserliana
3
(secondo cui l’oggetto del conoscere non è né costruito né posto dal soggetto). «Su queste due
posizioni si incardina oggi la problematica dell’oggetto del conoscere, nella quale si riassume tutta
la tradizionale problematica della gnoseologia».
2. Cosa potevamo sapere a metà sec. XX? La teoria della conoscenza di Russell
Perché Russell? Questo filosofo britannico viene anche denominato il Voltaire dell’epoca
moderna. Figura simbolo di certa filosofia novecentesca, pensatore in grado di attraversare tutte le
scienze con competenza e che considera impossibile una filosofia che ignori l’avanzamento dei
saperi del secolo XX; alla luce di ciò Russell introduce in filosofia il metodo scientifico che tende
alla critica logica della filosofia e alla ricostruzione dei concetti spesso lasciati indeterminati o
ambigui o erronei dal pensatore (un esempio: tutti i filosofi della tradizione hanno sempre ritenuto
che la realtà fosse esprimibile soltanto con frasi del tipo soggetto-predicato inibendo di
conseguenza irrimediabilmente un’analisi di relazioni della realtà più complesse). Perché abbiamo
scelto Russell e non un altro filosofo della conoscenza per indicare il cosa sappiamo a metà del sec.
XX? La risposta è sia teoretica che polemica (o connessa con l’educazione dei giovani liceali).
Perché Russell ritiene che, in relazione a determinati ambiti del sapere e dell’indagine filosofica (la
teoria della conoscenza ad es.), è impossibile non tenere conto degli avanzamenti e delle
acquisizioni della logica, della fisica, della biologia e delle altre scienze che si sono sviluppate nel
corso del secolo XX. Alla conoscenza ha dedicato studi che si sono snodati per mezzo secolo.
Inoltre è l’esemplare filosofo combattente per la libertà e per i diritti, che partecipa alle
dimostrazioni anche da vecchissimo, figura di sicura attrazione che scrive per tutti e non solo per i
dotti, accattivante per i giovani assetati di contemporaneità; viene incontro insomma, il suo studio a
livello liceale, alla soluzione del problema di un eccesso di kantismo (al quinto anno di scuola
superiore ben pochi studenti hanno la ventura di conoscere teorie gnoseologiche del giorno d’oggi)
e di idealismo tuttora imperversante2.
Vediamo i punti salienti della teoria della conoscenza quale si affaccia alla mente di Russell dopo
aver terminato di scrivere, assieme a N. Whitehead nel 1910, i Principia Mathematica, «isto opere
grandioso», come ebbe a dire Giuseppe Peano, nella sua recensione, con cui nasce la logica
moderna o, in altri termini, l’espressione formale simbolica con cui è possibile descrivere le
illimitate relazioni poste dal pensiero. Alla costruzione della sua teoria della conoscenza si
dedicherà per quasi mezzo secolo dai Principles of Philosophy, 1912, al 1948 anno di pubblicazione
2 Fabio Minazzi ha di recente delineato lo stato della scuola italiana da Gentile alla Gelmini in un saggio che
comparirà su Il Protagora, sesta serie, n. 21, dal titolo “Riflessioni critiche sulla prassi scolastica quotidiana”. L’autore
descrive un quadro dal contenuto a dir poco tragico dove la filosofia gentiliana sottostante alla riforma del 1923 appare
tuttora viva e vegeta e coincidente financo con la prassi scolastica, col modo “normale”, comune di vedere le cose e di
far filosofia. Filosofie come quella russelliana sono benemerite come reazione a questo stato di cose ponendosi come
correttivo all’idea sottintesa nei Licei che l’attitudine logico-matematico, scientifica per la formazione filosofico-critica
dei giovani, sia inferiore.
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di The Human Knowlewdge. Trascuriamo le vicissitudini di varia natura che hanno portato Russell a
mutare opinione nel suo cammino verso la teoria della conoscenza assumendo come tesi definitiva,
in campo gnoseologico, quella appunto del 1948, l’ultima posizione a carattere teoretico della sua
vasta produzione. Russell aveva assunto la logica come fondamento della matematica ora essa
diventa la base dello studio della conoscenza e dei fatti cognitivi. Non sarà più possibile,
percependo qualcosa, guardando ad es. un tavolo, considerato come punto iniziale della catena
cognitiva, dire: “questo è un tavolo grande, di color marrone” (esprimibile in altre lingue
ovviamente), dato che sarà necessario individuarne la forma logica corretta:
“x è un tavolo”: (Ex) Tx . Gx . Mx
(1)
“C’è un qualcosa x che è un tavolo e questa cosa x è grande e questa cosa x è di color marrone”.
La descrizione della realtà si risolve in uno schema logico che però non chiarisce a cosa si riferisce
la x, ed è pertanto una funzionale proposizionale. x risulta soddisfacibile da un qualche valore o
oggetto. Se x = “tavolo” la (1) da funzione proposizionale diventa proposizione vera. Abbiamo con
(1) un’espressione significante senza essere referenziale. Possiamo analizzare i contenuti senza
risolvere il problema se al momento la x è o non è soddisfacibile, cioè se esiste la possibilità di
sostituzione della x con qualcosa.
Russell su questa base (id est l’aver impiegato il metodo logico-matematico-scientifico nella
descrizione e nella valutazione della conoscenza) perviene ad una sintesi nuova sui concetti
filosofici portanti della tradizione, assumendo alcune premesse: anzitutto la conoscenza umana va
inserita in un quadro più ampio, l’uomo va visto nell’universo, nell’ambiente dato che la
conoscenza costituisce il movente del suo adattamento. Un altro tratto fondamentale è
l’accettazione del buon senso: è sicuro che quel tavolo che vedo davanti a me ci sia veramente e che
continui a esserci anche se mi volto un istante? Sicuramente sì, lo confermerebbe anche un
bambino. La conoscenza non va però sopravvalutata, la conoscenza ha sempre con sé qualcosa di
indefinito, sappiamo cosa cantavano con precisione le sirene di Ulisse? L’uomo nell’universo è ben
poca cosa; è un essere animale in cui il conoscere si lega alla sopravvivenza e alle abitudini animali
di previsione per cui: odore di cibo significa c’è cibo nei paraggi, anche se non ne siamo del tutto
sicuri.
Nella nuova teoria della conoscenza concetti tradizionali cadono: la materia è descrizioni
matematiche di onde elettromagnetiche che emanano da un centro, ma la fisica non ci dice cos’è
questo centro; la materia ha perso la sua sostanzialità divenendo «un puro spettro che erra sulle
scene dei suoi passati splendori»; mente e materia, anima e corpo, sono distinzioni che si possono
superare alla luce di un monismo neutrale vale a dire assumendo una sostanza più primitiva che non
è né mentale né materiale, con la distinzione fisico-mentale che trae sviluppo solo in momenti
successivi; spazio e tempo mutano alla luce delle teorie fisiche recenti; la percezione, porta
d’ingresso della conoscenza, è spiegabile in termini di leggi fisiche di causazione per cui nella
percezione di un oggetto va distinto uno sciame di particelle o onde elettromagnetiche o
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emanazione di movimenti quantistici che colpiscono il nervo ottico generando un percetto o una
forma che non si sa con precisione se corrisponde o meno alla realtà. La causazione probabilistica
sostituisce la vecchia categoria causa/effetto. La scienza si basa sull’osservazione e su probabili
inferenze, ma per evitare lo scetticismo humeano si richiede di integrare l’induzione con postulati
ad hoc: senza postulati aggiuntivi non ce la faremo mai a dimostrare che tutti i corvi sono neri.
Questi postulati necessari all’empirismo sono elencati nelle parti finali di Human Knowledge
Cosa sappiamo? L’autore presenta le principali conquiste in campo astronomico, fisico,
biologico, psicologico della prima metà del sec. XX, con l’inquietante ombra della bomba atomica
di cui c’è la menzione in Human Knowledge, che, ricordiamo, è pubblicato tre anni dopo la fine
della II guerra mondiale. Ma è l’individuo singolo la base di partenza che attua le prime
generalizzazioni che poi porteranno alla più avanzata sintesi scientifica quale si trova formulata
nelle leggi. La connessione tra il singolo e la conoscenza umana è l’elemento originale della
conoscenza come è descritta Russell. Si descrive il cammino, all’interno del singolo, che parte
dall’orientarsi nel mondo, dalle percezione, dalle credenze, dai ricordi, dalla formulazione di
inferenze, per poi arrivare a credenze vere, al vero, alla verità, al concetto, al concetto prescientifico. Nella filosofia novecentesca emerge la funzione del linguaggio, lucida ne è la
consapevolezza da parte di Russell; quali i suoi tratti fondamentali in connessione con la
conoscenza umana? Il fattore basilare è che il linguaggio denota la realtà, ma, a differenza di quanto
si può credere, non sempre in modo corretto, nonostante la forma fisica esattamente posseduta dalle
parole; il linguaggio comune non svela le relazioni della realtà. Un lungo studio è dedicato alle
parole logiche, elemento essenziale del conoscere, come tutti o alcuni.
Conclusione: Russell apre una strada, ponendo l’esigenza di: a) un’analisi logica necessaria per
costruire o ricostruire la conoscenza e i dati cognitivi; b) il riferimento al ruolo basilare giocato dal
singolo uomo, che percepisce, vive, crede, ricorda, immagina, sa, deduce, ipotizza arrivando alle
soglie di ciò che saranno saperi scientifici codificati.
3. Cosa possiamo sapere oggi?
Un tratto fondamentale dell’epistemologia di oggi è l’impostazione logico-analitica, il
riferimento alla realtà cognitiva del singolo individuo, l’uso di esempi concreti, l’applicabilità al
quotidiano, l’esigenza di comprovare che è vera una data opinione, come arrivare alla verità.
Grandiose le pagine di Hume o Kant sul sapere umano ma tenere il Trattato o la Critica aperti sul
tavolo, sembrano dire gli analisti di oggi, sarebbe di scarso aiuto per l’uomo d’oggi alle prese con
selve di credenze, di saperi da giustificare, di continui messaggi. Il discorso epistemico si sposta
sull’individuo, sulla propria conoscenza, sulle proprie credenze più che non essere centrato sulla
conoscenza in generale o sull’uomo in generale. «La teoria classica della conoscenza si riferisce a
un soggetto cognitivo che sebbene teoricamente neutrale e universale, di fatto ha assunto nel corso
dei secoli le caratteristiche dell’uomo bianco, occidentale, eterosessuale, di cultura elevata, di
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buona posizione sociale» (Vassallo 2003). Le correnti attuali sono fortemente a carattere logico e
pragmatico, astoriche , chiaramente derivate dalla filosofia analitica nel senso del II Wittgenstein
ma interpreti del sentire e dei dati cognitivi a disposizione del singolo che deve fare i conti su come
giustificare le credenza per arrivare ad asserire qualcosa di vero. I curatori di Teorie della
conoscenza. Il dibattito contemporaneo (2015) sono consapevoli del fatto che i problemi della
conoscenza nascono da interessi che affondano le radici già nel Teeteto, nella tradizione della
filosofia occidentale, da Cartesio a Husserl, ma l’accostamento è nuovo, come si è detto;
considerare la conoscenza, come è vista dagli analitici, significa colmare una lacuna, dato che
queste teorie sono scarsamente note nel panorama culturale italiano e men che mai note all’ultimo
anno delle superiori cui gli autori espressamente si riferiscono; i temi centrali dell’epistemologia
sono trattati secondo un modo di fare filosofia che «si basa più che sulla promozione di immagini
del mondo di vasta portata e ambizioni profetiche, sulla formulazione di tesi chiare e sul tentativo di
mostrare che esse seguono da premesse vere o razionalmente giustificate». La domanda
fondamentale è pertanto: (non come l‘uomo conosce) ma come io giustifico come vera una mia
credenza? Nelle correnti attuali di pensiero non si indaga sulla conoscenza e sulla verità in generale
ma seguendo la forma logica dell’analisi della conoscenza che è la seguente:
S sa p (conosce come vera) se e solo se:
(1) p è vera
(2) S crede che p è vera
(3) S giustifica come vera la sua credenza in p
Nota: S = soggetto conoscente; p = proposizione in cui si esprime il dato cognitivo; (1) è la condizione oggettiva
della conoscenza; (2) è la condizione soggettiva della conoscenza; (3) è la condizione oggettiva della conoscenza o
giustificazione di una data credenza come vera. Si richiede che vengano soddisfatte tutte e tre le condizioni per potere
includere una credenza nella conoscenza o verità.
Richiamiamo le attuali discussioni sulla giustificazione della verità (Nicla Vassallo (2003)). 4
premesse:
1. la tradizione ha posto tre concezioni che definiscono la verità: a) la verità come
corrispondenza che si basa sull’isomorfismo che si postula tra realtà e linguaggio, ma
con i problemi generati dal fatto se questo isomorfismo sia completo o meno si
potrebbe meglio parlare di gradi di adeguatezza tra il linguaggio e il mondo; b)
coerentismo; anche una semplice percezione o protocollo richiama altre necessarie
proposizioni per completare la corrispondenza proposizione-dato, si genera un
sistema di proposizioni, e la necessità di spostare il problema verso la coerenza tra le
proposizioni; meglio ammettere con Quine la conoscenza come rete con ai bordi
l’esperienza empirica e la connessione con un sistema di altre proposizioni più
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all’interno; c) per la posizione pragmatista p è vera se utile; la teoria pragmatista non
è esente da critiche: voglio sapere subito se p è vera e non aspettare i tempi
dell’osservazione delle conseguenze o del successo di p;
2. i tipi della conoscenza sono: a) diretta; la percezione diretta personale di persone e
oggetti, è riconosciuta come elemento importate ai fini del formarsi di ogni
conoscenza; b) competenziale (o dell’abilità); come quando si dice, so fare un tavolo,
il fare si può intendere a sua volta come fare acquisito o fare automatico; c)
proposizionale, tratto tipico dell’essere umano, il bagaglio di proposizioni in ciascuno
di noi è pressoché infinito; vedere un tavolo è un‘esperienza ma sono fuori dal mondo
se non acquisisco il piano logico-linguistico di formulare la proposizione p = “vedo
un tavolo”; si parla in questo senso del sapere come sapere proposizionale. Non tutto
il sapere proposizionale di ciascuno si basa su esperienze dirette;
3. le fonti di conoscenza sono: percezione diretta, memoria o ricordo, inferenza in un
ragionamento, introspettivamente per consapevolezza, testimonianza altrui.
4. la testimonianza: Nicla Vassallo evidenzia il ruolo giocato dalla testimonianza in
gnoseologia, spesso trascurato, ruolo che oggi appare in incremento con i saperi di
oggi sempre più di tipo più sociale che individuale; questa la forma logica:
S crede che p riferitagli dal testimone T se e solo se:
(i) S comprende p
(ii) S non dubita della serietà di T
(iii) S non può confutare p, non pone ~ p
(iv) S accetta la credenza che T crede che p
Analisi della giustificazione. Come si comprova che una credenza p è vera? Almeno 7 correnti
principali:
1. una credenza è giustificata come vera se è coerente con altre credenze richiamate
necessariamente (coerentismo); se devo comprovare come vera la mia opinione
soggettiva: ”questo è un tavolo”, devo inserire la proposizione in un sistema complesso:
“ci vedo bene”, “non sto sognando”, “non sono un cervello in una vasca che mi
condiziona”, “il sistema ottico ha trasmesso l’immagine tavolo”, “l’immagine nella
visione corrisponde alla realtà”, “sciame di particelle subatomiche (tavolo) cioè onde
elettromagnetiche colpiscono il mio sistema” etc..; queste proposizioni devono essere
coerenti;
2. una credenza è giustificata come vera se è fondata su una credenza di base che per
sua natura non sia implicata da nessun’altra ulteriore, non necessita di nessun’altra
giustificazione (fondazionismo); “vedo un tavolo” o “c’è un tavolo” è vera dato che non
posso andare a trovare una percezione più fondante di questa, essendo una credenza di
base e la percezione è affidabile (salvo casi particolari); a differenza dei coerentisti posso
porre un limite al possibile regressus ad infinitum;
3. una credenza è giustificata come vera se dipende da fonti di credenze affidabili.
Percezione, memoria, inferenze vere sono ritenuti, ma non in modo assoluto, affidabili
(affidabilismo). “vedo un tavolo” è vera, perché affidabile è la percezione, qui e ora; la
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teoria affidabilista ha la difficoltà rappresentata dalle generalizzazioni: una percezione ad
es. è valida adesso e non sempre;
4. una credenza è giustificata come vera se è funzione propriamente di un sistema
cognitivo accreditato e se è funzione di un progetto cognitivo o di facoltà predisposte per
la produzione di credenze vere (funzionalismo); “vedo un tavolo” è vera poiché dipende
da un sistema quale quello razionale di cui dispongo, deputato a funzionare a determinati
scopi.
Analisi della giustificazione. Come si comprova che una credenza p è vera? Teorie più recenti
5. Una credenza è giustificata come vera se impiegando il metodo scientifico (delle
scienze cognitive) e trattandola come asserto scientifico la considero vera come la
potrebbe dimostrare la scienza che descrive e non valuta (naturalismo); “questo è un
tavolo” è un asserto vero perché per la psicologia, se sono seduto ad un tavolo, io vedo un
tavolo senza dubbio; le discussioni epistemologiche vanno rimpiazzate con quelle
scientifiche.
6. Una credenza è giustificata come vera se valutando e precisando il contesto cui si
connette sono in grado di passare ad una conseguente giustificazione (contestualismo);
”questo è un tavolo” presuppone che si chiarisca in che contesto ci troviamo, sono in un
negozio di mobili, a casa mia, o dallo psicanalista? Differenti contesti possono
comportare differenti standard epistemici;
7. Una credenza è giustificata come vera se si esamina prima che il conoscere riflette il
punto di vista maschile che è poi attraverso i secoli diventato il punto di vista dell’uomo
bianco, eterosessuale, di buona posizione sociale, istruito (femminismo); “questo è una
tavolo” implica un S con punto di vista maschile o femminile? Esistono pregi epistemici
femminili; «non esiste un soggetto conoscitivo neutro, privo di storia, genere, razza,
classe sociale, preferenza sessuale, cultura, età».
4. Logica e matematica nella teoria della conoscenza
Quale logica, quale matematica nelle ricerche delle scienze empiriche, nell’accertamento della
verità, nel controllo della conoscenza, nella formulazione stessa delle teorie sulla conoscenza, fino
ai massimi problemi sui limiti del conoscere? Un domandone cui è impossibile rispondere in modo
esaustivo. Nelle sue linee essenziale l’epistemologia traccia un quadro dei principali tools logicoformali impiegati nella ricerca. Il testo Formal Epistemology (SEP), vedi bibliografia, indica la
logica deduttiva, il calcolo delle probabilità, l’induzione, la logica modale epistemica, la teoria della
decisione, come i principali strumenti. Interessante il ruolo svolto dalla logica.
Le scienze empiriche poggiano sul ragionamento non deduttivo, ma gli strumenti della logica
deduttiva possono rivelarsi interessanti. Il criterio di Nicod impiega logica e ricerca empirica:
Una generalizzazione universale è confermata dai suoi esempi positivi (finché non si incontrano
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contro-esempi):
(x) (Fx → Gx) è confermata da Fa . Ga, da Fb . Gb, etc.
Probabilità e ipotesi sono connessi, più un evento è probabile più l’ipotesi tende ad essere
confermata. Il testo presenta diversi teoremi che mostrano come la probabilità interagisca con la
logica deduttiva, ad es. la contraddizione logica ha probabilità 0; nel caso dell’implicazione se A
implica B allora: p (B│A) = 1; etc..
Al filosofo interessa discutere il limite delle ricerche. Se già è problematica la dimostrazione di
“Tutti i corvi sono neri”, niente di paragonabile con il paradosso di Fitch che verte sulla domanda:
possiamo conoscere tutto? Si può sapere tutto ciò che è vero o c’è del vero che non può mai essere
conosciuto? La conclusione cui arriva il teorema è la seguente: la conoscibilità implica
l’onniscienza (paradosso). Bisogna porre un limite alla conoscibilità, c’è qualcosa che non sapremo
mai. Infatti ammettendo la potenziale conoscibilità o potenziale avanzamento che tende al saper
tutto, il che si chiama onniscienza, si ammette la potenziale onniscienza, il che è assurdo. In altri
termini (logici): se tutti i veri fossero conoscibili in via di principio, noi potremmo derivare che tutti
i veri sono in effetti conoscibili, che è assurdo. Il paradosso della conoscibilità di Friedrich Fitch è
del 1963 e si trova esposto a livello divulgativo nel sito Wikipedia, da cui sono tratte queste note. Il
teorema impiega operatori di logica modale che diventano in tal modo operatori modali epistemici,
sulla base di due assunzioni: I) il principio di conoscibilità; II) il principio di non onniscienza.
Parlandone un po’ a beneficio dello studente qualche richiamo può essere utile per rendersi almeno
conto della relazione tra l’espressione ordinaria e quella in simboli o come si esprime in simboli il
principio di conoscibilità o il principio di non onniscienza. Il teorema dimostra che la possibilità di
sapere le cose implica l’onniscienza (paradosso, assurdo).
La dimostrazione è tediosa e esula da questi appunti. Logica modale impiega due operatori: con i
simboli caratteristici del diamond e del quadrato:
□ p, ◊p
□ p = è necessario che p, ◊p = è possibile che p. Ora, il principio secondo cui tutto è conoscibile o il
principio della potenziale conoscibilità di tutto si esprime:
I.
principio di conoscibilità
(p) (p → ◊Kp)
per ogni cosa espressa dalla proposizione p, essa è potenzialmente conoscibile; Kp = so (conosco
per vero) che p; K da Kripke non da Know
II.
principio di non onniscienza
(Ep) (p . ⌐ Kp)
c’è almeno qualcosa che non so.
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5. Un po’ di bibliografia ragionata
AA.VV.,Teorie della conoscenza. Il dibattito contemporaneo (2015), a cura di Clotilde Calabi,
Annalisa Coliva, Andrea Sereni, Giorgio Volpe, Raffaello Cortina Editore, Milano.Volume
antologico dedicato all’analisi della conoscenza umana sviluppatasi negli ultimi 30-40 anni;
essendo prevalentemente l’attuale dibattito in lingua inglese, nel volume noncompaionosaggi di
autori italiani. Non manca però il riferimento a Evandro Agazzi e Nicla Vassallo. Si tratta di 15
saggi divisi in tre sezioni da 5 saggi l’uno con un ‘introduzione dei curatori: sono trattati in ordine i
problemi della conoscenza, della giustificazione di quel che sappiamo come vero e infine dello
scetticismo. Viene trattato in forma nuova l’eterno problema dello scetticismo: vivendo e
percependo e conoscendo siamo sicuri che non stiamo sognando o che un genio maligno non ci
faccia vedere tutto falso o che non siamo cervelli in una vasca alimentati chimicamente costretti a
vedere una realtà sulla programmata da un extraterrestre o da un neuroscienziato?
Preti Giulio (1966, 1970), “Gnoseologia” in Filosofia, a cura di Giulio Preti, traduzioni dal
tedesco di Gian Antonio De Toni e di Carlo Ascheri, Feltrinelli Editore, Milano. Titolo originale
dell’opera a carattere enciclopedico Philosophie, 1958. Il filosofo pavese è anche autore della voce
“Filosofia analitica”. Preti traccia coordinate generali sul problema della conoscenza nella filosofia
occidentale considerando alcuni tratti fondamentali: la sotoria del problema della conoscenza, le
costanti prenti come la coppia soggetto/oggetto o soggettivismo/realismo e la situazione attuale
divisa tra soggettivismo analitico e fenomenologia.
Ramsden Eames Elizabeth (1969), Bertrand Russell’s Theory of Knowledge; traduzione di Maria
Giulia Minetti (1971), La teoria della conoscenza di Bertrand Russell, Longanesi, Milano. La
ricerca sulla conoscenza di Russell, attraverso un esame delle sue opere a carattere gnoseologico,
porta alla conclusione che centrale è nell’autore inglese a) il metodo logico-analitico scientifico, b)
la base realistica ed empirica, c) la necessità di superare lo scetticismo humeano con opportuni
postulati.
Russell Bertrand (1912), The Problems of Philosophy; traduzione italiana di Elena Spagnol,
(1959), 1970, I problemi della filosofia, Feltrinelli, Milano; anche: Sonzogno, Milano 1922. [Con i
saggi: Apparenza e realtà, L’esistenza della materia, La natura della materia, L’idealismo,
Conoscenza per esperienza diretta e conoscenza per descrizione, L’induzione, Come è possibile la
conoscenza a priori, Il mondo degli universali, Ciò che sappiamo degli universali, Vero e falso,
Conoscenza, errore e opinione probabile, I limiti della conoscenza filosofica, Il valore della
filosofia]
Russell Bertrand (1913),Theory of Knowledge. The 1913 Manuscript, vol 7, The Collected
Papers of Bertrand Russell, London 1983; traduzione di Sara Marconi (1996), Teoria della
conoscenza, Newton Compton, Roma; a cura di Elizabeth Ramsden Eames in collaborazione con
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Kenneth Blackwell; saggio introduttivo: Michele Di Francesco, Logica e conoscenza: Russell la
teoria del giudizio del ’13. Troviamo quel materiale sulla conoscenza che attraverso una ricerca di
mezzo secolo porterà alla sintesi di Human Knowledge del 1948.
Russell, Bertrand (1914), Our Knowledge of the External World, as a Field for Scientific Method
in Philosophy; traduzione di Maurizio Destro (1971), La conoscenza del mondo esterno, Newton
Compton, Roma; introduzione di Bruno Widmar. La ricostruzione della forma logica della realtà,
dei fatti, delle percezioni,dei contenuti, etc. è essenziale per la teoria della conoscenza. I problemi
filosofici vanno sottoposti ad un necessario processo di purificazione logica ricostruendo su basi
logiche il pensero. La teoria della conscenza implica la sua ricostruzione logica.
Russell, Bertrand (1918), Mysticism and Logic and Other Essays; traduzione di Luca Pavolini
(1964), Misticismo e logica,Longanesi,Milano. Qui il lettore troverà la famosa definizione della
matematica di Russell: «la matematica può essere definita come quella materia nella quale non
sappiamo mai di che cosa stiamo parlando, né se ciò che stiamo dicendo è vero», quella stessa
matematica che «giustamente considerata, non contiene soltanto la verità ma la bellezza suprema».
Tra i dieci saggi: Sul metodo scientifico in filosofia. È l’avvento in campo teoretico della logica,
dell’analisi logica, della ricostruzione logica della conoscenza.
Russell, Bertrand (1927), An Outline of Philosophy; traduzione di Aldo Visalberghi e Annke
Visser’t Hooft Musacchio (1966), presentazione di Mario Dal Pra, Sintesi filosofica, Firenze, la
Nuova Italia Editrice.Opera in XXVII capitoli. Il volume rappresenta il punto di vista logicoscientifico(di Russell) sui massimi problemi filosofici e nello stesso tempo è uguagliabile ad un
manuale di filosofia moderna. Distinzioni tradizionali della filosofia subiscono mutamenti,
integrazioni o scompaiono.
Russell Bertrand (1948), Human Knowledge; Its Scope and Limits; traduzione di Camillo
Pellizzi (1963), La conoscenza umana.Le sua possibilità e i suoi limiti, Longanesi, Milano. Lo stato
dell’arte sulla conoscenza umana, relativa alla prima metà del sec. XX., cosa sappiamo, come
funziona, che ruolo vi svolgono gli atti conoscitivi del singolo, i limiti dell’empirismo.
SEP - Stanford Encyclopedia of Philosophy, voci consultabili al sito: http://plato.stanford.edu
(“The Analysis of Knowledge”; “Epistemology”; “Fitch’s Paradox of Knowability“; “Formal
Epistemology“; “Internalist vs. Externalist Conceptions in Epistemic Justification“; “Reliabilist
Epistemology“; “Social Epistemology“).
Vassallo Nicla (2003), Teoria della conoscenza, Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari. Il volumetto
illustra le teorie più accreditate sulla conoscenza degli ultimi decenni. Come si comprova o si
giustifica come vera una data credenza? Si esaminano le varie teorie più accreditate. Par. 3 di questi
appunti si basa su questo testo.
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