Prof. Monti – a.s. 2016/2017 – Filosofia III – I cosiddetti "Sofisti minori"
BREVI CENNI SU ALCUNI COSIDDETTI
“SOFISTI MINORI”
PRODICO di Ceo
Nato a Ceo nella seconda metà del V secolo ac, si recò più volte ad Atene come
ambasciatore. Anch’egli praticò l’arte dell’insegnamento. Pare che agissero nel suo
pensiero importanti influenze di Protagora. In particolare, Prodico faceva suo il
principio dell’utile.
Nel suo famoso apologo di Ercole al bivio, Prodico sostiene che la morale non è mai
disgiunta da ciò che è giovevole: essa è utile a chi la pratica. È un tema che si trova
anche in Socrate e, in effetti, alcuni ritengono che il filosofo di Ceo sia stato proprio il
maestro di Socrate.
Superando l’agnosticismo di Protagora, Prodico elaborò una sua teoria sulla
nascita delle credenze e delle religioni. Egli sostenne infatti che gli uomini hanno
divinizzato quelle entità – il sole, i fiumi, la terra, ecc. – che si rivelavano
particolarmente importanti per la loro vita.
La fama di Prodico nel mondo antico è però dovuta soprattutto alle sue ricerche
riguardo le parole. Egli si dichiarava esperto nella cosiddetta sinonimica, ovvero
nell’arte di definire con precisione somiglianze e differenze di significato dei vari
vocaboli. Molti testimoni ci hanno conservato saggi della sua abilità.
La sinonimica, come risulta evidente, è collegata alla retorica, di cui abbiamo già
discusso. Questo procedimento, d’altra parte, pare indicare una concezione della
retorica più vicina a quella di Protagora che a quella di Gorgia. Esso presuppone infatti
che le parole possano più o meno avvicinarsi al significato reale di una cosa.
IPPIA di Elide
Nato a Elide, nel Peloponneso, condusse la propria vita secondo il modello
classico dei sofisti. Compì frequenti viaggi, spesso in qualità di ambasciatore, ed
esercitò il pubblico insegnamento in molte città della Grecia. Anch’egli dovette essere
abbastanza famoso, ma le uniche notizie certe che abbiamo su di lui ci derivano dai
due dialoghi che Platone gli dedicò.
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Contrariamente agli altri sofisti, egli dichiarava di possedere una sapienza
enciclopedica, cioè non solo di conoscere l’arte della parola, della retorica, ma di
saper applicare alla perfezione anche le più svariate tecniche artigianali.
Per poter immagazzinare le nozioni, Ippia aveva creato una particolare arte, la
mnemotecnica, che consentiva di sviluppare al massimo il potere della memoria. Egli
era in grado, ad esempio, di ripetere una lunghissima lista di nomi dopo averla udita
una sola volta.
Ippia è però importante soprattutto per aver introdotto nel dibattito filosofico
una problematica di grande rilievo: quali rapporti esistono fra la “natura”
(physis) e la “legge” (nomos)?
Compiendo una scelta tipica anche di altri sofisti, egli mette l’accento sulla
cogenza (nel senso di “obbligatorietà”) dei vincoli naturali, quelli che noi oggi
chiamiamo “leggi di natura”, in contrapposizione all’arbitrarietà delle leggi
umane.
La legge, che tradizionalmente era immaginata come qualcosa di origine non umana,
ma divina, è invece a parere di Ippia una creazione degli uomini compiuta per fini e
usi particolari, fini che spesso mettono gli uomini in condizione di comportarsi contro
natura.
Compare per la prima volta anche l’idea che le regole della civiltà e le sue
convenzioni corrompano le disposizioni naturali.
Ippia dice che la physìs vuole che gli uomini siano uguali, al di là di ogni distinzione.
Ad Ippia sono forse attribuibili due opere: il cosiddetto Anonimo di Giamblico, dove si
espone una dottrina politica moderata, nella quale l’utile comune viene esaltato
rispetto all’utile di parte, e i Ragionamenti duplici, che contiene alcune applicazioni
del detto protagoreo secondo cui su qualunque cosa si possono fare discorsi opposti.
ANTIFONTE di Ramnute
Come Ippia, anche Antifonte prende le mosse dal fondamentale contrasto fra
physis e nomos.
Il suo discorso però è assai più articolato e giunge a conclusioni più radicali.
Innanzitutto, il concetto di nomos non va riferito alle sole leggi, scritte o orali, ma
a qualunque tipo di costrizione, costume o convenzione, prescrizione religiosa.
Antifonte, inoltre, evidenzia la discriminante, cioè la distinzione, fra legge e
natura: si tratterebbe a suo avviso dell’utile.
Spieghiamo in che senso.
Mentre Protagora intendeva l’utile come possibile in termini universali (l’utile, cioè,
inteso come “utile per tutti”), secondo Antifonte l’utile ha invece solo una dimensione
individuale.
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A suo avviso esisterebbe infatti solo e soltanto un “utile personale” – cioè un utile per
qualcuno, mai per tutti – e sarebbe proprio l’utile a spingere l’uomo a seguire la natura
e non la legge: dall’infrangere un precetto della natura deriva infatti un sicuro danno,
mentre se trasgrediamo una legge dello Stato solo da essa può giungere un qualche
danno.
La legge, cioè, può essere disattesa, non rispettata, ogni qualvolta si riesce ad evitare di
essere scoperti.
Antifonte non voleva, dicendo questo, esortare gli uomini a disobbedire le leggi, ma
sottolineava il fatto che la sola legge di natura è veramente tale, cioè obbligatoria.
La legge dell’uomo invece, per farsi rispettare, possiede solo mezzi esteriori: il
tribunale, le prigioni, la polizia, ecc.
In un frammento Antifonte, d’accordo con Ippia, ammette l’uguaglianza naturale fra
gli uomini. Tale uguaglianza deriva dalla comune base biologica, condivisa da tutti gli
uomini.
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I "SOFISTI POLITICI": TRASIMACO, CRIZIA, CALLICLE; GLI ERISTI
“Politici” sono chiamati quei sofisti, o quanti si ispiravano alla sofistica, che tentarono
di applicare direttamente alla politica i dettami del movimento.
TRASIMACO DI CALCEDONIA
Anch’egli attivo ad Atene sullo scorcio del V secolo, fu noto soprattutto per le
conoscenze di tecnica retorica. I suoi interessi erano rivolti principalmente all’oratoria
civile e allo studio della politica.
L’unica affermazione filosoficamente rilevante che di lui si tramanda è la seguente:
“Io affermo dunque essere giusto non altro che l’utile del più forte.”
Così, in maniera “brutale”, egli risolve il dilemma emerso con Protagora: chi stabilisce
cosa è utile e cosa non lo è? Semplice: il più forte!
Notiamo, ancora una volta, come la sofistica – la quale conteneva in sé un elemento di
contestazione nei confronti dell’aristocrazia tradizionale, basata sulla nascita e
sull’eredità – getta le basi per una nuova aristocrazia: quella formata dalle genti capaci
di usare con maggiore spregiudicatezza ed abilità il logos.
CRIZIA DI ATENE
Appartenente ad una delle più importanti famiglie di Atene, egli non è propriamente
definibile un sofista, infatti non praticava l’insegnamento.
La sua abilità retorica era soprattutto finalizzata alla politica. In questo campo
egli svolse, negli ultimi anni del V secolo, un ruolo di rilievo. Partecipò al governo dei
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Quattrocento e fu molto vicino a quello dei Trenta Tiranni, che ottenne il potere
dopo la sconfitta subita contro Sparta nel 404 ac.
Varie testimonianze ci permettono di vedere in lui un tipico rappresentante di quella
nuova aristocrazia inaugurata dai sofisti. Conosciamo le sue opinioni soprattutto sul
divino. Egli sostenne (come, lo abbiamo visto prima, anche Prodico) che il culto
degli déi è stato stabilito con finalità precise.
Visto che la legge e la paura di una punizione solo umana non sono sufficienti a
scoraggiare i trasgressori, i primi legislatori decisero di introdurre le divinità, onde
proporre la possibilità di una punizione certa, inevitabile.
CALLICLE
Di lui possediamo solo il ritratto che Platone ne fa nel Gorgia: la sua stessa esistenza è
stata spesso messa in dubbio.
Anch’egli sostiene la superiorità della natura sulla legge. Secondo lui, però, gli
uomini non sono uguali per natura. Sono, invece, divisi tra forti e deboli e proprio
in virtù della legge di natura ed è giusto che i forti diano sfogo agli istinti e, se lo
vogliono, possano opprimere i deboli.
Le leggi, a suo parere, non sono altro che la vendetta dei miseri. Questi sono infatti
troppo vili per compiere ciò che vorrebbero, cioè l’ingiustizia, e dunque si sforzano di
spacciare le loro pavide norme etiche per valori universali.
L’uomo ideale di Callicle è il tiranno.
I cosiddetti eristi furono gli ultimi, stanchi epigoni della sofistica.
La parola significa “dire”, “parlare”. Conosciamo pochi autori: Licofrone, i fratelli
Eutidemo e Dionisoro.
Essi partivano dal presupposto gorgiano che nulla è vero, inventando così
bizzarri giochi linguistici con i quali cercavano di mettere in contraddizione
l’interlocutore.
Platone e Aristotele si impegnarono a fondo per confutare due delle loro tesi: gli eristi
negavano che fosse possibile apprendere (dato che non si può imparare né ciò che si
conosce, né ciò di cui non si sa nulla) e che fosse impossibile dire il falso (cioè ciò che
non è).
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