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MUSICA
7 febbraio 2010 – Pagina 11
Quelle sinfonie di Brahms
suonate su un pianoforte
S
Il romanzo sonoro
di Anton Bruckner
Un compositore njkfesò
austriaco schivo e mite
Andrea Bedetti
L
a storia della sinfonia, nel corso dell’Ottocento, è il lento procedere simbolico di un
romanzo che si trasforma in esistenza. Se i
capolavori sinfonici di Beethoven rappresentano altrettanti romanzi sonori che raccontano una
storia, vissuta con passione e dolore, le prime
sinfonie di Mahler, che chiudono il secolo, smisurate e apparentemente caotiche, simboleggiano un’intera vita. Nel mezzo, tra questi due colossi, si erge l’opera di Anton Bruckner, le cui
sinfonie possono essere considerate a metà strada tra un romanzo e una vita: sono i capitoli di
un’esistenza.
Bruckner, poi, è uno di quei musicisti che, per
via di scelte radicali da lui operate nel suo modo di comporre, spesso fraintese e fuorviate, si
tende ad accettare o a rifiutare d’acchito: d’altronde, all’interno del suo corpus sinfonico, si
cela un universo sonoro
che per certi versi resta
tuttora misterioso, visto
che la critica e la musicologia attuali ancora dibattono sull’effettiva grandezza di questo mite,
umile, schivo compositore austriaco, contrassegnato da una profonda
spiritualità. Strana personalità quella di Bruckner:
nei primi quarant’anni di
vita accettò con passiva e
masochistica rassegnazione ogni genere di accusa e d’insulto proveniente dall’accademismo
musicale del tempo, poi
nei restanti trenta sfornò
nove sinfonie dalle dimensioni titaniche, crocevia di un pulsare di stili che affondavano le radici nel magma infinito
del contrappunto, studiato dapprima con passione e poi insegnato per più di vent’anni dal compositore al conservatorio di Vienna.
Da ciò, si può ben intuire il fatto come ogni volta che si affronta l’ascolto delle sue sinfonie (al
di là della bellezza e della profondità delle sue
opere sacre, a cominciare dalle tre messe), ci si
pone davanti a una porta socchiusa dalla quale
cerchiamo d’intravvedere ciò che si trova oltre.
E ciò che riusciamo a vedere dipende da quanto
sia illuminato quello spiraglio, una luce data dalla capacità del direttore nel dipanare la problematica matassa timbrica e armonica delle sinfonie. Dirigere Bruckner, insomma, è una sfida avvincente, un compito impegnativo nei quali si
sono cimentati colossi del podio come Karajan
e Furtwängler, Klemperer e Knappertbusch, e
specialisti bruckneriani come il sommo Jochum,
Kabasta, Celibidache e Wand.
Ora, l’etichetta discografica tedesca Glor ha
pubblicato tre dischi che contengono altrettante
sinfonie di Bruckner, la Quarta, la Sesta e la Nona, dirette dal direttore francese Sylvain Cambreling, alla testa della SWR Sinfonieorchester
Baden-Baden und Freiburg, in quello che sem-
bra l’avvio di una nuova integrale sinfonica. La
quarta sinfonia, detta “Romantica”, è sicuramente la più famosa, conosciuta anche da coloro che
non amano particolarmente la musica bruckneriana. Composta tra il 1873 e l’anno successivo,
quest’opera, un vero e proprio inno alla natura,
intesa quale meraviglioso dono di Dio, permise
al suo autore di ottenere il primo, grande successo di pubblico e di parte della critica, presentandosi quale diretto contraltare rispetto alle partiture sinfoniche di Brahms e dando inizio a una
celebre querelle tra gli epigoni del compositore
austriaco e quello amburghese trapiantato da
tempo a Vienna.
La sesta sinfonia, considerata dallo stesso Bruckner la più “irriverente” dell’intero corpus, scritta
nel 1881, al contrario sfata in un certo senso l’immagine unicamente sacrale e misticheggiante del
suo autore, votato esclusivamente, secondo alcuni critici, a comporre opere dedicate a Dio. Quest’opera, infatti, erompe
con tutta la sua lussureggiante sensualità, impregnata di violenti scarti timbrici e percorsa da squarci
di sorprendente modernità, soprattutto nel tempo
conclusivo, il dirompente
“Finale” dal profetico sapore dissonantico. La nona sinfonia (rimasta incompiuta per il sopraggiungere della morte di
Bruckner), straordinaria
opera dedicata al “Grande
Dio”, rappresenta l’estrema propaggine sinfonica
del Tardoromanticismo,
una partitura di proporzioni mastodontiche, nella
quale l’operazione di progressiva dissoluzione del
sistema tonale si accentua
all’inverosimile, al punto che, come afferma giustamente Rainer Peters in sede di presentazione
nel booklet, i serialisti della Scuola di Vienna
(Schönberg, Berg e Webern) videro in essa un
chiaro rimando alla ormai impellente modernità
del primo Novecento.
Cambreling e la SWR Sinfonieorchester BadenBaden und Freiburg (specializzati soprattutto nel
repertorio di musica contemporanea) danno vita a un’interpretazione di queste tre sinfonie in
nome di una più che evidente oggettività che
permette di evidenziare al meglio la dimensione di un Bruckner “moderno”, senza per questo
dare vita a un’esecuzione “asciutta”, ma capace
di manifestare un notevole lirismo, grazie a una
sezione di archi straordinariamente serici, e
un’impronta debitamente drammatica attraverso i lucenti e bruniti ottoni.
Anton Bruckner, “Sinfonie n. 4-6-9”, Sylvain Cambreling - SWR Sinfonieorchester Baden-Baden und
Freiburg, Glor, 3 cd, tempo totale: 62.12 - 52.19 59.46 (distribuiti in Italia da Codaex Italia)
i è detto della diatriba scatenata dai paladini di Brahms
contro la musica di Bruckner, nonostante che i due diretti protagonisti di tale querelle non avessero mai attizzato direttamente il fuoco della polemica. Per diverso tempo s’ignorarono o, tutt’al più, si mantennero a debita distanza, annusandosi con circospezione, come fanno i cani quando s’incontrano per strada. E se nel 1885, il laico Brahms,
in una lettera all’amico Hallmesberger, scrisse che «[Bruckner] è un pover’uomo privo di senno che i preti di Sankt Florian hanno sulla coscienza», è anche vero che i due compositori, nel febbraio di quattro anni dopo, ebbero modo di cenare insieme a Vienna e di diventare, malgré soi, amici. Solo ascoltando le loro opere sinfoniche, si può comprendere appieno i motivi
che causarono il lungo periodo di diffidenza tra Brahms e
Bruckner: il primo
votato a perpetuare un
ideale classico sull’onda del lascito beethoveniano, il secondo
figlio, nolente o volente, della nuova scuola
tedesca, quella propagandata dalle opere e
dalle teorie di Liszt e
Wagner. Brahms, il rigoroso, forgiatore di una
forma capace d’imprigionare esemplarmente
contenuti titanici; Bruckner, il mistico, esploratore di nuove dimensioni timbriche e di telluriche visioni armoniche, votate a innalzarsi fino al “suo” Dio.
Chi vuole farsi un’idea di come Brahms costruì le sue quattro sinfonie attraverso un uso sapiente, metodico, perfettamente equilibrato delle leggi armoniche, sfruttando al massimo l’ormai vetusto sistema tonale, prossimo ormai ad alzare bandiera bianca all’irrompere del primo Novecento,
può farlo attraverso l’ascolto nell’esecuzione che due giovani e valenti pianisti italiani, Matteo Fossi e Marco Gaggini, hanno realizzato nella trascrizione per due pianoforti, in
un doppio cd pubblicato dall’etichetta Universal Classics &
Jazz. Quello della trascrizione è stato un mezzo, uno strumento indispensabile, nel passato, per divulgare e far conoscere i capolavori musicali in epoche nelle quali non esistevano ancora i sistemi di riproduzione audio. Con l’avvento
del pianoforte, nella prima metà dell’Ottocento, in ogni abitazione che si rispettasse della classe borghese in Germania
e in Austria ci fu questo strumento, con almeno un componente o più del nucleo familiare in grado di suonarlo. Ecco
come si ascoltava la musica una volta: eseguendola. Da qui,
la necessità di arrangiare, attraverso la trascrizione, numerose composizioni (concerti, sinfonie, musica da camera),
in modo che potessero essere suonate al pianoforte.
Anche le sinfonie di Brahms furono fatte conoscere attraverso una serie di trascrizioni, principalmente per pianoforte a quattro mani, pubblicate dallo storico editore del compositore amburghese, Fritz Simrock. Anzi, prima che venisse pubblicata la partitura orchestrale, spesso e volentieri furono messe a disposizione, per il pubblico degli appassionati, le versione trascritte per pianoforte di queste sinfonie,
sotto l’occhio attento dello stesso Brahms, alquanto esigente nel vedere le proprie pagine sinfoniche arrangiate per essere eseguite alla tastiera. Se la Terza e la meravigliosa
Quarta sinfonia furono trascritte da Brahms nella versione
per due pianoforti, la Prima e la Seconda furono arrangiate,
sempre per due pianoforti, dal collaboratore Robert Keller
e approvate dallo stesso compositore.
Proprio le trascrizioni delle sinfonie di Brahms per due pianoforti sono alla base della registrazione, in prima mondiale, da parte dei due giovani Matteo Fossi e Marco Gaggini,
che ne hanno fornito un’adeguata lettura che mette in evidenza l’intelaiatura armonica, come se si dovesse osservare un edificio attraverso la sua struttura di sostegno. Il rischio di ogni interpretazione che affronta una trascrizione
è di trasformarla in un’esecuzione puramente didascalica,
didattica, priva di mordente e di emozione. Cosa che non
succede, invece, nella registrazione in questione, con Fossi e Gaggini capaci di coinvolgere l’ascoltatore, introducendolo intimamente alla ricchezza e alla complessità di questi perenni capolavori sinfonici.
Johannes Brahms, “Sinfonie per due pianoforti”, Matteo
Fossi & Marco Gaggini, Universal Classics & Jazz, 2 cd,
tempo totale: 153.16 (distribuito in Italia da Universal Music Italia)
A. B.
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