dinamiche - IRRE Toscana

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PROGETTO ELEGìA
Educazione alla Legalità: un metodo per la ricerca di Autonomia
SEMINARI TENUTI DAL DOTT. CALAMANDREI
"Assetto mentale dell'insegnante vittima o protagonista di fronte alle dinamiche
comportamentali e relazionali del gruppo classe"
Stefano Calamandrei: cenni biografici
Nato a Firenze nel 1956, dove risiede e lavora, e dove ha compiuto gli studi. Si è laureato in
Medicina e Chirurgia nel 1981 e si è specializzato in Psichiatria nel 1985. Dal 1989 lavora
come Medico-Psichiatra nel SSN, nella ASL di Firenze. In seguito è divenuto Psicoanalista
Membro Associato della Società Psicoanalitica Italiana, affiliata della International
Psychoanalitical Association. Da qualche anno l’attività clinica lo ha indirizzato verso il
mondo della scuola effettuando interventi non solo mirati ai casi clinici, ma soprattutto nello
studio delle dinamiche istituzionali. Questo attraverso l’osservazione della Unità Scuola in
un’ottica psicoanalitica di Gruppo, con particolare attenzione al disagio degli insegnanti,
alle dinamiche psicologiche spesso inconsapevoli che animano ed a volte ostacolano il
gruppo dei docenti. Il lavoro di supervisione dei casi clinici diventa così un’occasione di
crescita del gruppo, di manifestazione e stemperamento delle tensioni accumulate, di
ripristino dell’unità del gruppo verso uno stesso compito operativo.
Il lavoro che abbiamo svolto durante i seminari, è stata una ricerca ed un approfondimento,
attraverso l’analisi dei casi clinici e delle esperienze didattiche dei partecipanti, del rapporto
psicologico che si viene ad instaurare tra un insegnante e la sua classe.
La nostra attenzione si è concentrata soprattutto su quella particolare situazione dinamica e
relazionale che è l’apprendimento. Per ogni essere umano le norme, le abitudini di lavoro diventano
facilmente delle regole di condotta, dei ruoli istituzionali da ricoprire, da cui siamo spesso
inconsapevolmente condizionati. Il fatto di mantenere e ripetere gli stessi comportamenti e le stesse
norme, in modo rituale, permette di lavorare al livello di minor dispendio “energetico” (nel senso
psicologico del temine) possibile.
Ogni cambiamento, eccezione, rottura delle regole e delle abitudini genera ansia. Il prezzo
che si paga per questa tranquillità e sicurezza è la riduzione, se non la paralisi, delle capacità di
apprendimento e la trasformazione di questi strumenti nell’esatto contrario di ciò che dovrebbero
essere, ossia in un mezzo di alienazione dell’essere umano.
Abbiamo perciò analizzato l’assetto mentale dell’insegnante, inserito nella rete dei rapporti
istituzionali che lo condizionano, e cioè riferendoci sia alla sua partecipazione al gruppo degli altri
insegnanti, sia all’appartenenza “all’istituzione” scuola.
Quando ci si trova all’interno di un gruppo, di qualsiasi genere, si è coinvolti in una rete di
emozioni, difficilmente comprensibile, che è data dall’insieme dell’emotività di ogni singolo
partecipante. Possono prevalere vari sentimenti all’interno di un gruppo ed è naturale adeguarvisi,
pena l’esclusione.
Gli insegnanti in una scuola formano un gruppo quasi mai riconosciuto che, al di là delle
riunioni formali, non ha una sua vita organizzata. Si riunisce come collegio dei docenti, come
consiglio di classe o commissione, ma mai come gruppo di lavoro, che riflette su se stesso, che si
incontra in un determinato luogo o tempo.
Questo inevitabilmente crea degli ostacoli al lavoro della scuola. L’accumulo dei sentimenti
nel gruppo porta, prima o poi, alla loro manifestazione incontrollata, se non hanno un posto dove
potersi esprimere e venire elaborati .
Avviene qualcosa di simile a quanto si verifica nei paesi privi di democrazia parlamentare.
Se non si dà voce ad un’opinione attraverso modalità democratiche che garantiscono la libera
espressione, come nella democrazia parlamentare, c’è il rischio che il dissenso trovi altre strade per
farsi ascoltare, che possono arrivare fino al sabotaggio.
Ritornando ai docenti, le tensioni emotive che si creano nel gruppo e che non possono essere
elaborate, finiscono per ostacolare il lavoro dei singoli insegnanti ed in generale il clima della
scuola.
Sono le stesse tensioni che appaiono sotto forma di screzi individuali, rivalità, la
costituzione di sottogruppi, mobbing. Tutte queste difficoltà si indirizzano automaticamente verso
la situazione paralizzante per eccellenza, innescando il meccanismo primitivo ed incontrollabile del
“capro espiatorio”.
Ma a scuola non esiste solo il gruppo dei docenti; c’è tutta una istituzione intorno, che
dovrebbe essere a sostegno ed a protezione dell’attività didattica.
La scuola di per sé, come istituzione, ha regole, norme, vita sua propria, altrettanto
condizionanti, derivanti dalla struttura, dai rapporti di lavoro improntati in stile gerarchico e dalla
presenza di diverse professionalità ( dirigente, docenti, personale ATA), che partecipano della sua
vita e la determinano.
Accogliendo in sé il gruppo degli insegnanti, questo insieme più grande (edificio, struttura,
organizzazione scuola), funziona come “contenitore” dell’azione educativa. Non è infrequente che
tra i gruppi (degli insegnanti e dell’altro personale) ci siano degli attriti o altri tipi di tensione
oppure che non si verifichi quella ottimale sinergia necessaria a sostenere il suo buon
funzionamento.
In posizione diversa, in parte interna ed in parte esterna alla scuola, si trova il gruppo dei
genitori degli alunni che ha un grosso carico emotivo e di fronte al quale spesso l’insegnante si
trova solo.
Non esiste solamente la singola famiglia, con i suoi problemi, esiste anche il gruppo dei
genitori, che è una fetta particolare di società. Non solo comunica come ogni gruppo il proprio
disagio sociale, ma proietta particolarmente sulla scuola le ansie e le preoccupazioni per il futuro
dei figli. E’ una pressione che mira a controllare la professionalità dell’insegnante e che può essere
vissuta come particolarmente intrusiva. L’ansia dei genitori ha una qualità ed una richiesta di
attenzione particolare, che non va sottovalutata, o peggio negata, con un atteggiamento di
sufficienza. Vuol dire che già quest’ansia si è insinuata nella scuola e viene vissuta sul versante dei
docenti come una critica alla propria professionalità, e può manifestarsi come un senso di
svalutazione di sé, di disistima per il proprio lavoro.
Finalmente si può, ma solo ora, entrare in classe, e tutto quello che si è detto e tanto altro ( le
condizioni del contratto di lavoro, lo stipendio percepito, i problemi familiari, la propria storia
individuale, le motivazioni che hanno spinto a scegliere questo lavoro) non rimane fuori dalla porta,
ma occupa, anche se non lo vogliamo percepire una parte cospicua della nostra mente, e ne
condiziona l’umore.
Siamo in classe e l’insegnante si deve confrontare con il gruppo alunni , che, proprio perché
formato da menti giovani, è più immaturo ed istintivo degli altri. Ma ha una qualità che agli altri
gruppi manca (se escludiamo la particolare dinamica tra il gruppo docenti ed il proprio preside),
quella cioè di cercare la persona che sta dentro ad ogni docente. E viene cercata da queste emozioni
primitive ed intense perché ha bisogno di una risposta qualitativamente specifica. E solo quella può
interrompere la richiesta.
Ogni altra risposta, soprattutto se nega la specificità emotiva, come la risposta autoritaria,
genera solo ripetizioni del problema infinite e fini a se stesse. Da qui la necessità d’essere
consapevoli di queste dinamiche, per non trovarsi ad agire risposte senza capire il senso più
profondo del problema, e contando solo sull’intuito e l’esperienza. Può capitare allora che
l’insegnante venga a trovarsi sempre più in difficoltà e non riesca, col solo strumento disciplinare, a
risolvere la dinamica emotiva. In questo caso la persona insegnante è esposta ad una intensa
sofferenza personale, con il rischio di scivolare nella utilizzazione unicamente della punizione,
come unico strumento capace di ripristinare il buon lavoro. E cadere così, senza rendersene conto,
poiché sono in gioco le emozioni più profonde, in uno scontro di volontà, una lotta di potere.
Dopo una riflessione su questo assetto, e proprio partendo da questo, abbiamo potuto più
facilmente vedere come un docente interagisce con la singola mente dell’allievo, analizzata
anch’essa come l’emergente d’un gruppo classe estremamente condizionante. Ma quante
considerazioni abbiamo fatto prima di arrivare a questo attimo cruciale!
Nel momento dell’apprendimento, così delicato, le due menti dovrebbero trovarsi in un
particolare stato di apertura reciproca, mentre i vari condizionamenti istituzionali, che ho cercato
qui brevemente di esplicitare, silenziosamente agiscono d’ostacolo al buon lavoro.
Per meglio riflettere sulle dinamiche psicologiche in cui è immersa e condizionata la mente
infantile dell’allievo abbiamo osservato il classico mito greco di Edipo. Questo si presta molto bene
per poter studiare l’intersezione tra l’asse orizzontale dell’inserimento in un contesto relazionale (il
rapporto tra il singolo e la classe, e l’inserimento nel gruppo dei pari) e l’asse verticale della crescita
psicologica del bambino che, come nel mito, si trova ad affrontare gli enigmi della Sfinge.
L’insegnante spesso ricorda al ragazzo questa figura minacciosa, non ancora ben elaborata
nel suo percorso individuale, così che l' allievo è costretto a chiedere più attenzione ed in un modo
magari particolare, a volte molto difficile da capire. L’intensità del disturbo causato è correlata alla
capacità di attenzione ed alla flessibilità della mente dell’insegnante. Questa è tanto meno libera
quanto più è imbrigliata nei meccanismi istituzionali, e perciò ha minori capacità di recupero, e di
poter capire quale sia la migliore risposta qualitativa.
La replica quantitativa, come ho già detto, è il ricorso alla disciplina, all’autorità, ma in
queste situazioni, dove il ragazzo cerca una particolare risposta psicologica, e solo quella specifica
per lui, rischia di apparire più che altro come rappresaglia di un gioco di potere. E questo purtroppo
può causare, come spesso capita, l’instaurazione di un circolo vizioso, se osservato dal lato
dell’allievo, sempre più drammatico, che può portare fino alla sua esclusione e, prima o poi, al suo
abbandono scolastico.
Come è emerso nel seminario, una delle più difficili “ricerche emotive” da gestire per gli
insegnanti, nel rapporto educativo con gli allievi, è la reazione, più tipica dell’età dell’adolescenza,
e sempre più frequente, del disinteresse. Questi giovani chiedono qualcosa ma in modo passivo,
silenzioso: una protesta sorda. Spesso la interpretiamo come mancanza di interesse, di impegno, di
stimoli, anche come scarsa intelligenza, ed invece è la forma attualmente più comune di richiesta
d’attenzioni. Una delle più difficili e dolorose da affrontare.
Abbiamo analizzato come questo fosse dovuto ad una serie di fattori complessi, non tutti a
carico esclusivamente della scuola. Ma con cui la scuola si trova costretta a confrontarsi.
Proprio per questo e per capire meglio la struttura della personalità Borderline, in parallelo
all’analisi dei miti, si è anche confrontato questi con la “mitologia” scientifica contemporanea.
Ovvero le tabelle diagnostiche del DSM 4°, il manuale statistico diagnostico, messo a punto dalla
American Psychiatric Association che fa testo in tutto il mondo per l’individuazione e
classificazione dei disturbi psicologici e psichiatrici di bambini ed adulti. Abbiamo osservato
soprattutto quella parte che riguardava i disturbi del comportamento infantile non francamente
patologici. (Vedi le Tabelle Allegate in Appendice).
Bibliografia essenziale:
A proposito della tragedia e del mito di Edipo:
Vernant e Vidal-Naquet “Mito e tragedia nell’antica Grecia” – Einaudi.
J-P Vernant “Tra mito e politica” – Raffaello Cortina.
J-P Vernant “Le origini del pensiero greco” – Editori Riuniti.
Sul capro espiatorio ed i movimenti gruppali d’esclusione del diverso:
R. Girard – “La violenza ed il sacro” – Adelphi.
Sulla psicologia dell’apprendimento:
K. Lewin – “Teoria dinamica della personalità” – Giunti.
DSM-IV - “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali” – Masson
J. Bleger – “Psicoigiene e Psicologia istituzionale” – Libreria Editrice Lauretana.
C. Chiland – “Quando e come punire i bambini” – Cortina.
APPENDICE - TABELLE DIAGNOSTICHE DEL DSM IV
CRITERI DIAGNOSTICI PER IL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE /
IPERATTIVITA’
A. 1. Sei (o più) dei seguenti sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi con una
intensità che provoca disadattamento, e che contrasta con il livello di sviluppo:
Disattenzione
(a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei
compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività
(b) spesso ha difficoltà a mantenere l'attenzione sui compiti o sulle attività dì gioco
(c) spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente
(d) spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i
doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire
le istruzioni)
(e) spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività
(f) spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo
mentale protratto ( come compiti a scuola o a casa)
(g) spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di
scuola, matite, libri, o strumenti)
(h) spesso è facilmente distratto da stimoli estranei
(i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane
2. Sei (o più) dei seguenti sintomi dì iperattività-impulsività sono persistiti per almeno 6 mesi con
una intensità che causa disadattamento e contrasta con il livello di sviluppo:
Iperattività
(a) spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia
(b) spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni ci si aspetta che resti
seduto
(c) spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo
(negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza)
(d) spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo
(e) è spesso "sotto pressione" o agisce come se fosse "motorizzato"
(f) spesso parla troppo
Impulsività
(g) spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate
(h) spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno
(i) spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es. si intromette
conversazioni o nei giochi)
nelle
B Alcuni dei sintomi di iperattività-impulsività o di disattenzione che causano compromissione
erano presenti prima dei 7 anni di età
C. Una certa menomazione a seguito dei sintomi è presente in uno o più contesti (per es. a scuola - o
al lavoro - e a casa)
D. Deve esservi una evidente compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale,
scolastico, o lavorativo.
Criteri diagnostici per Disturbo della Condotta
A.
Una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli
altri o le principali norme o regole societarie appropriate per l'età vengono violati, come
manifestato dalla presenza di tre (o più) del seguenti criteri nei 12 mesi precedenti,
con almeno un criterio presente negli ultimi 6 mesi:
Aggressioni a persone o animali
(a) spesso fa il prepotente, minaccia, o intimorisce gli altri
(b) spesso dà inizio a colluttazioni fisiche, ha usato un'arma che può causare seri danni fisici ad
altri (per es. un bastone, una barra, una bottiglia rotta, un coltello, una pistola)
(c) è stato fisicamente crudele con le persone
(d) è stato fisicamente crudele con gli animali
(e) ha rubato affrontando la vittima (per es., aggressione, scippo, estorsione, rapina a mano
armata)
(f) ha forzato qualcuno ad attività sessuali.
Distruzione della proprietà
(a) ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri danni
(b) ha deliberatamente distrutto proprietà altrui (in modo diverso dall’appiccare il fuoco).
Frode o furto
(a)è penetrato in un edificio, un domicilio, o una automobile altrui
(b)spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare obblighi (cioè, raggira gli altri)
(c)ha rubato articoli di valore senza affrontare la vittima (per es. furto nei negozi,
ma
senza scasso; falsificazioni).
Gravi violazioni di regole
(a) spesso trascorre fuori la notte nonostante le proibizioni dei genitori, con inizio prima dei 13
anni di età
(b) è fuggito da casa dì notte almeno due volte mentre viveva a casa dei genitori o di chi ne
faceva le veci (o una volta senza ritornare per un lungo periodo)
(c) marina spesso la scuola, con inizio prima dei 13 anni di età.
B.
L'anomalia del comportamento causa compromissione clinicamente significativa del
funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
Criteri diagnostici per Disturbo Oppositivo Provocatorio
A. Una modalità dì comportamento negativistico, ostile, e provocatorio che dura da almeno 6
mesi, durante i quali sono stati presenti 4 (o più) dei seguenti:
1) spesso va in collera
2) spesso litiga con gli adulti
3) spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare la/le richieste o regole degli adulti
4) spesso irrita deliberatamente le persone
5) spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento
6) è spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri
7) è spesso arrabbiato e rancoroso
8) è spesso dispettoso e vendicativo
B. L’anomalia del comportamento causa compromissione clinicamente significativa del
funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
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