Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (Bologna) - Bimestrale n.1/2014 – anno XXIII/BO - € 2,00 gennaio/febbraio 2014 Un nuovo anno con il piano di Lewis e Colli, gli archi del Belcea e la Franz Liszt Chamber Orchestra Musica Insieme vara le rassegne dedicate all’Ateneo e alla contemporanea The Peasant Girl: Viktoria Mullova e l’anima gitana della musica SOMMARIO n. 1 gennaio - febbraio 2014 Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme Editoriale 13 Imprenditoria e cultura Universal Music Group - Mirko Gratton 16 Musica Insieme in Ateneo Note di viaggio di Elisabetta Collina 18 MICO - Musica Insieme COntemporanea 20 Save the date di Fabrizio Festa Serenate e paesaggi vocali di Anastasia Miro Interviste 22 24 26 28 Il profilo 30 I luoghi della musica 32 I viaggi di Musica Insieme 34 Il calendario 35 Per leggere 56 Gabor Boldoczki di Bianca Ricciardi Federico Colli - Paul Lewis di Cristina Fossati Belcea Quartet di Alessandro Di Marco Viktoria Mullova di Fulvia de Colle Modest Musorgskij di Giordano Montecchi Capolavori in città di Maria Pace Marzocchi Bruxelles - Bruges - Gand 27-30 marzo 2014 I concerti gennaio / febbraio 2014 Le pagine multicolori di Bortolotto, Werfel, Bonacchi di Chiara Sirk Da ascoltare Incontri sonori: Mullova, Meneses-Pires, Blechacz di Lucio Mazzi 10 MI MUSICA INSIEME 58 In copertina: Viktoria Mullova e The Matthew Barley Ensemble (foto Nick White) EDITORIALE SAVE THE DATE 23 e 28 gennaio, due date da ricordare. Il perché è semplice: prendono il via due iniziative che per Musica Insieme rappresentano da sempre la testimonianza del nostro modo d’intendere l’attività di operatore culturale. Stiamo parlando di Musica Insieme in Ateneo e di Musica Insieme COntemporanea, giunte rispettivamente alla diciassettesima e alla nona edizione. Sono numeri che contano. Vogliono dire, infatti, che non si è trattato di eventi sporadici, di rassegne nate per seguire magari la moda del momento o un’intuizione, oppure sull’onda di un malinteso senso del marketing. Al contrario, fin dalla loro progettazione sono state immaginate come il naturale corollario ad un’attività concertistica, I Concerti di Musica Insieme appunto, che già di per sé non volevano essere un mero contenitore, solo un palcoscenico su cui ospitare artisti di chiara fama. E con uno scopo preciso: dare maggior vigore a quell’idea di formazione del pubblico, che riteniamo debba essere uno dei L’Oratorio di San Filippo Neri gremito durante un concerto di MICO 2013 motori dell’azione culturale, tanto più se questa va ad inserirsi in un’idea ampia ed evoluta di cittadinanza. Di conseguenza, proprio gli studenti universitari, in una collaborazione che ci vede ormai partner consolidato dell’Università di Bologna, abbiamo sempre pensato dovessero essere al centro dell’attenzione di chi fa della cultura la propria impresa, guardando peraltro al futuro. Lo studente di ieri è il pubblico di oggi; lo studente di oggi sarà il pubblico di domani. Ed un pubblico formato, consapevole, un pubblico che abbia maturato una sua coscienza critica è un pubblico che passerà nel tempo il suo testimone, generazione dopo generazione. D’altronde, la cultura e l’arte non possono essere trattate come fossero prodotti usa e getta, da consumare senza neppur leggere l’etichetta, e poi dimenticare. Anzi, parlare di “consumo culturale”, come si fa troppo spesso in questi nostri anni, già implica una nozione transeunte e inconsistente dell’arte e della cultura stesse. Musica Insieme non ha mai immaginato di proporsi ad un pubblico di meri consumatori. Come invece dimostra l’apprezzamento degli artisti che si alternano sul nostro palcoscenico, abbiamo sempre pensato che far musica significasse condividere un’esperienza, condivisione che si sarebbe allargata ad una consapevolezza sempre più matura ed ampia persino del proprio essere membri di una comunità. Quindi, gli studenti da un lato, la musica dei nostri giorni dall’altro, sono itinerari necessari per arricchire tale esperienza e magari farla diventare, anno dopo anno, un piccolo, ma significativo, pezzo di storia della nostra città, sempre guardando al futuro. Fabrizio Festa MI MUSICA INSIEME 13 IMPRENDITORIA E CULTURA UNIVERSAL MUSIC GROUP Novità e tradizione Grandi nomi, spazio ai giovani e al panorama italiano: Mirko Gratton, Direttore della Divisione Classica e Jazz di Universal Music Italia, ci svela le sue carte vincenti U niversal Music Group riunisce oggi le principali case discografiche dedicate alla musica classica, raccogliendo l’eredità di etichette che hanno collaborato con interpreti leggendari, da Karajan a Michelangeli, da Del Monaco alla Tebaldi, e con grandissimi compositori del secolo scorso, come Bernstein e Britten. Con il 40% di share del mercato mondiale, lavora con artisti del calibro di Pierre Boulez, Alfred Brendel, Cecilia Bartoli, Riccardo Chailly, Maria João Pires, Stefano Bollani, Lang Lang, solo per citarne alcuni. Attraverso la costante attenzione alla qualità, l’ampio spazio lasciato a nuovi grandi talenti e il recupero di incisioni storiche, Universal Music Italia (ramo italiano, appunto, del gruppo) affronta la crisi, registrando addirittura un ampliamento del mercato nel settore ‘classico’, come ci racconta il Direttore della Divisione Classica e Jazz, Mirko Gratton. Mirko Gratton 16 MI MUSICA INSIEME Universal Music rappresenta etichette importantissime, spesso leggendarie per la storia della discografia, da Archiv a Deutsche Grammophon o Decca, fondate peraltro con grande ‘fiuto’ da inventori, imprenditori e costruttori di strumenti: oggi che i download e Youtube imperversano, quali sono secondo lei le nuove strade da percorrere, o viceversa i ‘ritorni all’antico’ che premiano? a ritmi importanti, ed è presumibile che entro un paio di anni rappresenterà una percentuale rilevante nel cosiddetto ‘mercato classico’. Inoltre c’è ancora una grandissima fetta di appassionati legata al cd cosiddetto ‘fisico’, anche grazie al fatto che i prezzi dei cd di catalogo sono scesi notevolmente. Oggi si possono trovare cofanetti con incisioni anche importanti, che arrivano a costare anche intorno ai due euro a cd, e sono molto apprezzati». «La musica classica fatica ancora a trovare la sua strada nel mercato del download digitale per tante ragioni. Innanzitutto i portali non sono quasi mai studiati appositamente per l’appassionato di musica classica e presentano spesso problemi di tracciabilità dei brani ricercati; infine c’è un problema di qualità e di velocità del download e di necessità di materiale esplicativo di accompagnamento che non è stato ancora completamente superato. Ciò detto, lo scarico digitale sta aumentando Come descriverebbe la situazione della discografia oggi, in particolare in Italia, e quali sono, nel vostro ambito, le strategie messe in campo per arginare la crisi economica? «La strada scelta da Decca e Deutsche Grammophon è da sempre quella di ‘insistere’: firmare gli artisti migliori, senza compromessi nella qualità, e sviluppare nuovi talenti, investendo risorse notevoli per metterli nelle condizioni di esprimere al meglio il loro talento. A questo, in molti paesi, ed in particolare in Italia, abbiamo affiancato una intensa produzione locale, sia creando un vero e proprio roster (in Italia abbiamo contratti con una trentina di artisti, ed abbiamo realizzato, con grande soddisfazione, numerose incisioni, fra cui quelle con Abbado, Chailly, Bollani, Bahrami, Prosseda, Cascioli, Baglini, Dego, e tanti altri), sia assemblando cofanetti con incisioni internazionali a prezzi competitivi, che stanno incontrando un notevole gradimento da parte del pubblico. Quello appena trascorso è stato un anno particolarmente importante per noi, tanto che alla fine di ottobre 2013 il repertorio classico è cresciuto dell’80% e oltre rispetto all’anno precedente. Una grande soddisfazione, in tempi di grande crisi generale, che ci spinge a fare sempre di più e a migliorarci». Dal suo punto di vista ‘privilegiato’, qual è a suo avviso il profilo del- l’ascoltatore medio della classica, ovvero quali gli orientamenti principali nell’acquisto di musica in Italia? avuto l’onore di ospitare il suo debutto discografico con un recital chopiniano per l’etichetta Decca)». «È difficile dirlo, e gli studi sono molto lacunosi in proposito. Sicuramente non c’è un unico profilo: c’è uno ‘zoccolo duro’ importante, formato da grandi e piccoli collezionisti, a cui va il nostro ringraziamento, e che cerchiamo sempre di soddisfare con produzioni di alta qualità, ma anche una fetta notevole di giovani, e meno giovani, che con piacere scoprono quanto la musica classica in realtà possa essere bella, e addirittura ‘trendy’. L’importante è indirizzare questo nuovo pubblico ed aiutarlo a distinguere la qualità. Il cd non è un pezzo di metallo, ma è ciò che contiene: è come una tela, che ha poco valore in sé, ma che assume valori diversi se dipinta da Tiziano o da un pittore dilettante. Non è molto diverso da quello che succede per una Stagione concertistica, credo». Quali sono invece gli artisti ‘storici’ di Universal? Ha qualche ricordo particolare? Com’è nata e come si caratterizza la sezione “Crossover”, un ambito a cui anche Musica Insieme sta dando spazio nelle ultime Stagioni? «Crossover è un termine che non amo molto, anche perché è stato svuotato del suo significato originario per metterci di tutto. Di fatto dovrebbe essere un progetto che travalica il suo target tipico, o il suo ambito di riferimento originale, andando in territori diversi: quindi il classico che deborda nel pop, o viceversa, per fare un esempio, creando commistioni il più possibile geniali. Trovo invece che molto spesso sia solo una scorciatoia per integrare nell’ambito classico progetti astrusi, o addirittura di pessimo gusto. Bisogna stare attenti. Ci sono senz’altro esempi di grandissima qualità: ad esempio Ludovico Einaudi, un antesignano nella ricerca di nuovi percorsi, ed è a questi che dobbiamo guardare». Quanto spazio dà oggi Universal ai talenti emergenti? «Tantissimo spazio. È importante però mantenere una medietas, senza correre dietro a meteore. Per fortuna Universal ha saputo mantenere un equilibrio fra nuovo e antico, e i giovani che lanciamo hanno sempre cose importanti da dire: mi vengono in mente, per fare due recenti esempi, i pianisti Jan Lisiecki o Daniil Trifonov (quest’ultimo di fatto scoperto proprio da noi in Italia, visto che abbiamo «Quando si parla di una casa discografica storica come la nostra ci sono centinaia di artisti da citare, e davvero farei torto ricordando qualche nome singolo. Lavoro da ventotto anni per questa azienda e ho avuto la fortuna di incontrarne tanti: forse questo è il lato più bello del mio lavoro. Mi permetto di citare il solo Georg Solti, avendolo incontrato per la prima volta a Bologna, la vostra città, nel 1986, quando fu invitato per i festeggiamenti dell’Università. Grande uomo: la sua è stata una generazione con storie drammatiche alle spalle, che mi ha fatto riflettere tantissimo su concetti come libertà, ricchezza, intelligenza, e che aveva avuto la fortuna di conoscere di persona compositori come Strauss, Rachmaninov, Bartók. Come dimenticare i racconti di Bolet su Rachmaninov, o di Solti su Strauss, ad esempio? Di recente mi sono impegnato personalmente a mantenere vivo il ricordo dell’arte di questi personaggi storici, inaugurando una linea di cofanetti antologici a prezzi accessibili, che sta ottenendo un grandissimo successo: sembra incredibile, ma nomi come Solti, Davis, Bolet, Mengelberg, Arrau, Ozawa, rischiano di sparire dagli scaffali dei negozi di dischi. Sarebbe una perdita incolmabile per le giovani generazioni. Abbiamo appena inaugurato una pagina su Facebook, “Classical Collections”, che promuoverà proprio queste raccolte storiche». Quali sono i progetti più importanti a cui sta lavorando in questo periodo? «Le novità nel periodo natalizio sono tante. Se proprio devo fare una scelta, direi le Sinfonie di Brahms dirette da Chailly, le Invenzioni e Sinfonie bachiane, interpretate da Bahrami, Tu scendi dalle stelle, il disco natalizio interpretato da un tenore molto particolare come Frate Alessandro, il concerto di Dvořák con la Mutter ed il recital di debutto su Deutsche Grammophon di Daniil Trifonov. Ci stanno dando enormi soddisfazioni anche due mega-progetti italiani: la serie di cd sulla musica sinfonica di Nino Rota, diretta da Grazioli, e l’integrale dei concerti per violino di Viotti – davvero bellissimi – con Rimonda». CARTA D’IDENTITÀ UNIVERSAL MUSIC GROUP Presidente Lucian Grainge Universal Music Group è storicamente leader nel mercato discografico classico con le sue etichette Deutsche Grammophon e Decca (nella quale è confluito da alcuni anni l’importante catalogo Philips Classics), a cui vanno aggiunti marchi ad esse collegati, come Archiv Produktion, L’OiseauLyre, Argo, London, Mercury Living Presence, fino ai recentissimi Panorama e Mercury Classics. È impossibile elencare in maniera esaustiva il roster artistico di queste etichette: praticamente tutti gli artisti più celebri hanno registrato o registrano per le etichette Universal. Così Deutsche Grammophon è la ‘casa’ di nomi indimenticabili del passato come Karajan, Boehm, Fricsay, Kleiber, Bernstein, Michelangeli, Kempff, ma anche di Abbado, Pollini, Zimerman, Pires, Netrebko, Accardo e tantissimi altri, mentre Decca, a fianco di nomi storici come Pavarotti, Del Monaco, Tebaldi, Bergonzi, Simionato, Solti, Bolet, Britten, Richter, Szeryng, Arrau e Carreras, vanta la presenza nelle sue file di artisti come Chailly, Ozawa, Ashkenazy, Hogwood, Bartoli, Fleming, Florez. Fra i talenti recentemente lanciati dalle due etichette si segnalano Trifonov, Lisiecki, Beczala, Nezet-Seguin, Karadaglic, Dudamel e Yuja Wang. Attente ai giovani artisti, oltre che alle grandi star, Decca e Deutsche Grammophon recentemente hanno dedicato particolare attenzione al panorama italiano (sia ad artisti nati in Italia, che a giovani stranieri che hanno eletto il nostro paese come luogo principale per la loro attività): sono stati siglati importanti contratti con Prosseda, Romanovsky, Dego, Baglini, Cascioli, Ashkar, De Maria, Lifits, Dindo, Tchakerian, Carbonare, Griminelli e tanti altri. Da segnalare a questo proposito il particolare successo delle incisioni di Ramin Bahrami, che per 4 volte si è affacciato nella classifica pop dei dischi più venduti, e della coppia ChaillyBollani, che con Rapsodia in blue ha stabilito un record di vendite e di permanenza nelle classifiche, conseguendo l’ambitissimo Disco di platino. MI MUSICA INSIEME 17 MUSICA INSIEME IN ATENEO Note di viaggio La XVII edizione della rassegna che Musica Insieme, in collaborazione con l’Università, dedica agli studenti dell’Ateneo bolognese, visiterà idealmente cinque paesi in cinque concerti, affidati a straordinari talenti del panorama odierno di Elisabetta Collina Andrea Massimo Grassi 18 MI MUSICA INSIEME certo, rivolgendosi per così dire ad un pubblico del futuro, ossia a quegli studenti la cui preparazione musicale è sempre più affidata all’impegno autodidattico, ad una felice casualità familiare, o alla propria passione individuale. La longevità di questo progetto dimostra quanto fu giusta quell’intuizione. Nel 2014 Musica Insieme in Ateneo giunge infatti alla sua diciassettesima edizione: i cinque concerti che avranno luogo da gennaio ad aprile (offerti come sempre agli studenti ed al personale dell’Università di Bologna) all’Auditorium del Laboratorio delle Arti di Piazzetta Pasolini (ovvero in uno dei molti cuori pulsanti del mondo universitario bolognese) hanno tutti una parola chiave. Se la scorsa edizione era stata dedicata ai migliori frutti dell’alta formazione italiana, il viaggio, geografico quanto temporale, reggerà le fila dei concerti in programma per il 2014, portandoci dalla Francia all’Ungheria, dalla Russia all’Inghilterra, alla Germania, ed esplorando quei repertori che hanno caratterizzato dal Seicento ad oggi l’evoluzione della musica e del suo strumentario (dalla viola da gamba al clarinetto, dal piano solo al quartetto d’archi, all’ensemble da camera). Ecco quindi l’apertura, giovedì 23 gennaio, con un programma tutto francese, affidato all’Ensemble Sezione Aurea, compagine che riunisce artisti dediti all’esecuzione del repertorio europeo del XVII e XVIII secolo, utilizzando strumenti musicali e relative messe a punto per quanto più possibili vicini – non solo per età ma anche per territorialità – alla genesi del repertorio indagato. A guidarlo, uno straordinario violinista come Luca Giardini, perfezionatosi nella prassi esecutiva storica e spesso ospite di ensemble di rilievo, tra cui Accademia Bizantina, la Venexiana, The Orchestra of the Age of Enlightenment. Accanto al CALENDARIO 2014 Laboratori delle Arti /Auditorium (Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b) ore 20,30 2014 giovedì 23 gennaio Ensemble Sezione Aurea Musiche di Rameau, Royer, Couperin, Marais, Leclaire 2014 martedì 4 febbraio Orchestra da Camera del Collegium Musicum Almae Matris Carlo Tenan direttore Musiche di Ferrabosco I e II, Vaughan Williams, Finzi, Warlock, Jacob 2014 giovedì 20 febbraio Quartetto Lyskamm Foto Marco Borggreve O rmai diciassette anni fa, Musica Insieme varava uno dei primi accordi in Italia tra una fondazione privata e un’istituzione accademica: di concerto, letteralmente in questo caso, con l’Università degli Studi di Bologna, nasceva così Musica Insieme in Ateneo, con il preciso scopo di avvicinare all’arte dei suoni il pubblico studentesco attraverso appuntamenti dai programmi vari e stimolanti, introdotti da conversazioni a carattere divulgativo. Il tutto era mosso dall’intento di offrire un ulteriore momento formativo che andasse ad affiancare e arricchire l’esperienza del con- 2014 giovedì 20 marzo Leonardo Colafelice pianoforte Musiche di Kurtág, Bartók 2014 lunedì 7 aprile Andrea Massimo Grassi clarinetto Musiche di Rachmaninov, Prokof’ev, Stravinskij Michael Flaksman violoncello Anna Quaranta pianoforte Musiche di Schumann, Brahms in collaborazione con Centro La Soffitta – Dipartimento delle Arti violino, il clavicembalo di Federica Bianchi, perfezionatasi con Gordon Murray e premiata in numerosi concorsi nazionali ed internazionali, ed uno strumento L’ingresso a tutte le manifestazioni della rassegna è gratuito per gli studenti ed il personale docente e tecnico amministrativo dell’Università di Bologna; gli inviti possono essere ritirati presso la sede dell’URP in Largo Trombetti n. 1 la settimana precedente ciascun concerto (Lunedì, Martedì, Mercoledì e Venerdì dalle 9 alle 12,30; Martedì e Giovedì dalle 14,30 alle16,30). Il giorno del concerto, tutti i cittadini potranno ritirare gli inviti ancora disponibili, recandosi all’URP negli orari di apertura. Orchestra da Camera del Collegium Musicum Almae Matris affascinante la cui storia è strettamente legata alla letteratura musicale francese (ed i cui fasti si sono rinnovati nell’ultimo ventennio anche grazie a star come Jordi Savall ed a pellicole come Tutte le mattine del mondo di Alain Corneau): la viola da gamba, affidata a Rosita Ippolito, a sua volta ospite di importanti formazioni specializzate nell’esecuzione della musica antica. Martedì 4 febbraio si riconfermerà la tradizionale presenza in cartellone della compagine del Collegium Musicum Almae Matris, diretta per quest’occasione da Carlo Tenan, con un programma che ci porterà invece in Inghilterra, un’Inghilterra che sembra riflettere su se stessa, dal Seicento delle pavans o delle variazioni sull’In nomine della liturgia, al Novecento che a sua volta riprende e rilegge con sguardo moderno le antiche forme e melodie (come Alman, o l’intramontabile Greensleeves). Uno sguardo ben riassunto dalle parole di uno degli autori in programma, Peter Warlock: «La musica non è né moderna né antica: c’è tuttavia della buona o della cattiva musica, ma la data nella quale fu scritta non ha nessun significato. Le date ed i periodi storici hanno senso solo per gli studenti di storia della musica... tutta la musica antica è stata moderna al tempo in cui fu scritta… E tutta la buona musica, di qualsiasi periodo, è senza tempo». Continuiamo a scorrere il cartellone, ed ecco che il viaggio di Musica Insieme in Ateneo prosegue alla volta dell’Ungheria e della Russia, chiamando a renderne testimonianza altri straordinari talenti, al loro debutto a Bologna. In Ungheria ci porterà infatti (il 20 febbraio) il Quartetto Lyskamm, formatosi sotto la guida dell’Artemis Quartett presso l’Università delle Arti di Berlino, vincitore di numerosi premi, tra cui il Concorso Internazionale di musica da camera “Guido Papini” 2009, ed ospite del Festival Mito come della Società del Quartetto di Milano. Nel suo impaginato, due autori fondamentali per il loro paese, e per il Novecento musicale tout court: Béla Bartók e György Kurtág. In Russia ci guiderà invece (il 20 marzo) uno strabiliante artista appena diciottenne, quel Leonardo Colafelice che nel 2012 ha portato a casa il Primo Premio al Concorso “Chopin” di Szafarnia, e che nella stagione in corso è già invitato ad esibirsi in Europa e Stati Uniti, con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano e con la Aarhus Symphony Orchestra danese. Per lui pagine di grande impegno tecnico, come le Variazioni Corelli di Rachmaninov, le Visions fugitives di Prokof ’ev, e la potenza bruitistica dei Tre Movimenti da Petruška di Stravinskij. Il concerto conclusivo, lunedì 7 aprile, sancisce a sua volta una collaborazione ormai consolidata com’è quella con il Centro La Soffitta – Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, e lo fa ospitando un ensemble raro quanto affascinante come il trio di clarinetto, violoncello e pianoforte, rispettivamente con Andrea Massimo Grassi, Michael Flaksman e Anna Quaranta, che si alterneranno in pagine di Schumann e Brahms, per concludere il concerto con il Trio di quest’ultimo per l’insolito organico appunto di clarinetto, violoncello e pianoforte. Tutti i concerti saranno aperti, com’è ormai tradizione, da conversazioni introduttive tenute dai docenti e dagli stessi artisti sul palco, nello spirito di divulgazione e formazione del pubblico che da sempre contraddistingue l’impegno di Musica Insieme. Musica Insieme in Ateneo si realizza grazie al fondamentale contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, cui si aggiunge la partnership tecnica di SOS Graphics. Leonardo Colafelice MICO - Musica Insieme COntemporanea 2014 Da gennaio a maggio, la nona edizione di Musica Insieme COntemporanea presenta i ritratti di Grisey e Maderna, e un trittico dedicato alla voce d’oggi di Anastasia Miro Serenate e paesaggi vocali U n percorso, dal titolo davvero suggestivo di “Paesaggio voce”, articolato in tre concerti e dedicato alla vocalità moderna e contemporanea, e due concerti-ritratto, due omaggi che ci guideranno negli universi sonori di altrettanti compositori, certo molto diversi tra loro sia nella personalità sia nella produzione, ma entrambi pietre miliari nel cammino della musica del secondo Novecento. Stiamo parlando di Gérard Grisey (scomparso proprio al limitare del secolo scorso, nel 1998, cui dedicheremo il concerto d’apertura, il 28 gennaio) e Bruno Maderna, di cui ricorrevano nel 2013 i quarant’anni dalla morte (e che ricorderemo nella serata conclusiva del 16 maggio). Queste le chiavi d’ascolto della nona edizione di Musica Insieme COntemporanea. La sede quella già rodata dell’Oratorio di San Filippo Neri, sotto i riflettori quello che ormai è a tutti gli effetti l’ensemble residente della rassegna: il FontanaMIX. Dunque, è con “Ritratto Grisey” che s’inaugurerà MICO 2014, con ciò proseguendo nella serie di “Ritratti” che l’ensemble realizza da ormai diversi anni intorno ad importanti composi- Ensemble Accroche Note 20 MI MUSICA INSIEME Monica Bacelli tori del panorama internazionale (ricordiamo fra gli altri Wolfgang Rihm, George Crumb, Ivan Fedele, sino a Sofia Gubaidulina e George Aperghis, protagonisti della scorsa edizione 2013). Quest’anno la scelta (che rientra nell’ambito del progetto “Suona Francese”) è caduta dunque su Gérard Grisey. Al centro del concerto, interamente costituito da sue partiture, una delle più impegnative composizioni del musicista francese: Vortex Temporum, portato a termine nel 1996. In- torno a questa, tre pagine particolarmente idonee a dar testimonianza della sua poetica: il Prologue per viola sola (1976), Charme per clarinetto (1969) ed infine la sua rilettura dei Lieder di Hugo Wolf per voce ed ensemble, ultimata nel 1997. Solisti il mezzosoprano Marie Luce Erard, Valentino Corvino alla viola e Marco Ignoti al clarinetto. A dirigere il FontanaMIX uno dei suoi fondatori: Francesco La Licata. “Maderna Sérénade” il titolo, poi, dell’ultimo concerto, un progetto presentato lo scorso dicembre alla Cité de la Musique di Strasburgo e che, grazie all’incontro (voluto e sostenuto dal Festival “Suona Francese/Italiano”) fra l’Ensemble Accroche Note e il FontanaMIX, vuol mettere in luce il più autentico spirito maderniano: gioia di fare musica insieme, insaziabile curiosità per i differenti linguaggi musicali e autentica passione per tutte quelle istanze innovative di cui infine è fatta la tradizione. Attorno alle tre Serenate di Bruno Maderna che costituiscono il fulcro del programma, i due ensemble presenteranno quattro nuovi lavori di Paolo Aralla, Igor Ballerau, Gilberto Cappelli e Marco Antonio Perez Ramirez, dedicati alla figura del maestro veneziano. I tre appuntamenti centrali hanno invece, come accennavamo più sopra, il titolo suggestivo di “Paesaggio Voce”. La voce, infatti, è al centro dei programmi di queste serate. La voce impegnata in pagine che hanno segnato la storia della musica moderna e contemporanea, come nel concerto del 13 febbraio, quando ascolteremo le esperte Monica Bacelli e Valentina Coladonato impegnate nelle celeber- rime Folk Songs di Luciano Berio, ma anche nella più rara Kantrimusik di Mauricio Kagel, in un impaginato dov’è messa in primo piano la relazione fra le nuove espressioni della vocalità e il patrimonio delle tradizioni vocali del folklore. Se infatti le undici Folk Songs di Berio rappresentano una vera e propria ‘traduzione’, ora lirica ora vivace e divertita, di melodie genuinamente popolari, Kantrimusik, eseguita per la prima volta durante le Donaueschinger Musiktage nel 1975, «intreccia due soggetti: musica ‘dalla campagna’ e musica ‘sulla campagna’, ovvero musica folklorica e sinfonia pastorale. Ma non è un montaggio di citazioni da entrambe, né si tratta di quadri idilliaci», racconta lo stesso Kagel. Gli otto movimenti e sette intermezzi di questa pastorale attinta a diversi paesi rifuggono infatti ogni facile montaggio di citazioni popolari o quadro idilliaco, come conclude Kagel: «Ogni volta che i compositori hanno steso le loro ‘memorie della vita in campagna’, l’aspetto aneddotico e illustrativo del linguaggio musicale ha avuto il sopravvento. Ora che possiamo inserire materiale sonoro concreto, abbiamo l’opportunità di fare sintesi diverse fra naturalismo, impressionismo ed espressionismo veristico». Il 25 marzo, poi, affidato al soprano Livia Rado e sotto la direzione di Marco Angius, ecco proposto per “Paesaggio Voce II” quel Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg, rapida- Musica Insieme COntemporanea CALENDARIO 2014 Oratorio di San Filippo Neri (Via Manzoni 5) ore 20,30 2014 martedì 28 gennaio FONTANAMIX ENSEMBLE Marie-Luce Erard mezzosoprano Valentino Corvino viola Marco Ignoti clarinetto Francesco La Licata direttore RITRATTO GRISEY Musiche di Gérard Grisey 13 FONTANAMIX ENSEMBLE febbraio 2014 giovedì Monica Bacelli voce Valentina Coladonato voce Francesco La Licata direttore PAESAGGIO VOCE I Musiche di Kagel, Berio 25 FONTANAMIX ENSEMBLE marzo 2014 martedì Livia Rado soprano Valentino Corvino violino Marco Angius direttore PAESAGGIO VOCE II Musiche di Ghisi, Maderna, Schoenberg 16 FONTANAMIX ENSEMBLE aprile 2014 mercoledì Iris Lichtinger voce e flauti dolci Chiara Telleri oboe Eva Zahn violoncello Walter Zanetti chitarra Marco Angius direttore PAESAGGIO VOCE III Musiche di Evangelisti, Maderna, Sarto, Gervasoni, La Licata 16 ENSEMBLE ACCROCHE NOTE maggio 2014 venerdì FONTANAMIX ENSEMBLE Françoise Kubler voce Giovanni Hoffer corno Francesco La Licata direttore MADERNA SÉRÉNADE Musiche di Maderna, Aralla, Perez Ramirez, Cappelli, Ballereau Eva Zahn e Sofia Gubaidulina durante le prove del concerto del 7 aprile 2013 di MICO Valentino Corvino mente assurto a pagina simbolo della trasformazione di un mondo, e non solo in senso musicale. Il Pierrot, stravolgente capolavoro della vocalità da camera del Novecento, verrà qui proposto accanto alla prima esecuzione italiana di Abroad (per voce, strumenti ed elettronica, su testi di Pessoa) del giovane compositore Daniele Ghisi, il cui lavoro si è peraltro già fatto strada nei teatri di tutta Europa. Terzo appuntamento dell’itinerario “Paesaggio Voce”, il 16 aprile: un appuntamento nel quale verranno proposte le prime esecuzioni assolute di opere di Nicola Evangelisti e Andrea Sarto, mentre in prima italiana saranno presentate pagine di Stefano Gervasoni e Francesco La Licata, tutti brani caratterizzati dal rapporto fra la voce (in questo caso quella di Iris Lichtinger) e un particolare strumento solista. ACQUISTO BIGLIETTI I biglietti saranno in vendita presso l’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI (Via Manzoni, 5 Bologna), il giorno del concerto a partire dalle ore 19. PREZZI: Posto unico € 10. Abbonati Musica Insieme, studenti Università e Conservatorio € 7. MI MUSICA INSIEME 21 L’INTERVISTA GABOR BOLDOCZKI Il canto degli ottoni F Considerato l’erede ideale del grande Maurice André, il trombettista ungherese si esibirà il 13 gennaio in un capolavoro assoluto di Šostakovič, al fianco dei connazionali della Franz Liszt Chamber Orchestra di Bianca Ricciardi ra i più brillanti artisti della sua generazione, Gabor Boldoczki si è imposto a livello nazionale giovanissimo, aggiudicandosi a 14 anni il Primo Premio del Concorso Ungherese di tromba, e poco più tardi ha ricevuto la propria consacrazione internazionale, con la vittoria al “Grand Prix de la Ville de Paris”, la più importante competizione in assoluto per il suo strumento. Esibitosi insieme alle più prestigiose orchestre nei teatri di tutta Europa, nel 2013 è stato insignito del “Franz Liszt Honor Prize”, la più alta onorificenza del Ministero della Cultura Ungherese. Come è nata la sua passione per la musica e in particolare per il suo strumento? «La mia passione per la musica è iniziata davvero molto presto. Mio padre era un insegnante di strumenti a fiato, e quindi mi ha incoraggiato fin da piccolo ad imparare a mia volta a suonare uno strumento. Così ho iniziato a studiare il pianoforte a otto anni, e un anno dopo mio padre mi ha regalato una tromba. Mi sono subito trovato a mio agio con questo strumento, e ho studiato molto insieme a lui. Il giorno del mio ventesimo compleanno, ho vinto il terzo premio al Concorso Internazionale di tromba di Ginevra, ed è stato in quel momento che ho deciso di diventare un musicista di professione». Quali sono stati i suoi maestri più importanti, non solo dal punto di vista musicale? «Sicuramente mio padre ha esercitato una grande ispirazione su di me nel mio processo di crescita, oltre ad influenzare la mia carriera come musicista. Un altro importante maestro è stato Reinhold Friedrich, professore di tromba al Conservatorio di Karlsruhe. Era nella giuria dell’“ARD Music Competition” di Monaco e del Concorso Internazionale “Maurice André” di Parigi, quindi in seguito ho deciso di studiare con lui; è un musicista fantastico, un bravo maestro e una persona davvero affettuosa». Foto Marco Borggreve La sua attività concertistica la porta ad esibirsi in tutto il mondo; come descriverebbe il suo rapporto con il pubblico nei tanti paesi in cui è invitato a suonare? «Tenere concerti in tutto il mondo mi riempie davvero di grande soddisfazione. Il posto in cui preferisco in assoluto esibirmi è sempre il teatro dove ancora mi devo esibire – che sia il Musikverein di Vienna o una piccola sala. Il mio rapporto con il pubblico è sempre la cosa più importante, mi piace comunicare con le persone che frequentano i concerti e condividere con loro la mia esperienza musicale». Quale potrebbe essere secondo lei un compositore del passato o del presente da riscoprire? «Amo molto la musica di Fazil Say, specialmente il suo Concerto per tromba che ho avuto l’onore di suonare in prima assoluta nel 2010 al Festival di Mecklenburg Vorpommern; è un musicista eccezionale e un grande amico. Sono anche molto emozionato perché Krzysztof Penderecki comporrà un’opera per me. Credo che sia molto importante incoraggiare i compositori contemporanei a scrivere nuove opere per tromba, in modo che il repertorio vada via via espandendosi». Come descriverebbe i suoi partner nel concerto per Musica Insieme? «Suonerò a Musica Insieme con i miei connazionali della Franz Liszt Chamber Orchestra; è un ensemble eccezionale, che proprio quest’anno celebra il cinquantesimo anniversario dalla sua fondazione. A noi si unirà uno straordinario solista come Alexander Romanovsky, ed insieme suoneremo il Concerto di Šostakovič in do minore per pianoforte, tromba e archi». Vuole descriverci questo Concerto di Šostakovič , che peraltro rappresenta un unicum nel repertorio? «Secondo me è semplicemente un capolavoro. In origine era stato composto per essere un concerto per tromba e orchestra, mentre il pianoforte venne aggiunto durante il processo di composizione per farne un doppio concerto. Si tratta di un’opera ricca di sentimento e di momenti di contrasto fra l’atteggiamento satirico dell’autore e la sua profonda malinconia; è un’opera che amo davvero molto suonare». La tromba è uno strumento che nella classica possiede un repertorio non sterminato, ma ricco di capolavori: quali sono a suo avviso i ‘must’ per tromba solista? «Non ci sono così tante opere per tromba, come ce ne sono per il pianoforte, ma ci sono molte possibilità di ampliare il repertorio grazie alle trascrizioni e alla musica dei compositori contemporanei. Il mio ultimo cd, Tromba Veneziana, è un album di trascrizioni di Vivaldi che ho registrato con l’ensemble Cappella Gavetta; Vivaldi ha scritto solo un concerto per tromba, così ho arrangiato una selezione dei suoi lavori per altri strumenti. Questa esperienza mi ha dato la possibilità di ‘cantare’ con il mio strumento. Amo suonare queste opere accanto al repertorio classico per tromba, e non vedo l’ora di condividere questi pezzi con il pubblico durante il mio prossimo tour». INTERVISTA DOPPIA FEDERICO COLLI - PAUL LEWIS Al di là del suono I Dall’Italia all’Inghilterra, due raffinati interpreti ci presentano il loro programma per Musica Insieme, raccontandoci anche, con profondità e passione, la loro filosofia artistica di Cristina Fossati l primo, inglese, ha calcato i palcoscenici delle più prestigiose sale da concerto d’Europa e d’oltreoceano, sebbene il suo nome resti particolarmente legato alla Wigmore Hall di Londra dove è apparso in più di 40 occasioni, suonando con le principali compagini, dalla London Symphony Orchestra alla Los Angeles Philharmonic, dai Wiener Symphoniker alla Australian Chamber Orchestra. Il pubblico bolognese lo ricorderà di certo per le sue apprezzatissime interpretazioni schubertiane, che lo hanno visto protagonista fra l’altro della rassegna dedicata al compositore viennese per Musica in Santa Cristina 2011/12. Il secondo è bresciano, ma in Inghilterra ha avuto la sua grande consacrazione, aggiudicandosi il 1° Premio con Medaglia d’oro “Daw Aung Sun Suu Kyi” al Leeds International Piano Competition nel 2012: nella Town Hall di Leeds, registrato dal vivo da BBC Radio 3 e BBC Four, ha suonato il Quinto Concerto di Beethoven con l’Orchestra Sinfonica Hallé di Manchester diretta da Sir M. Elder. Dall’Italia all’Inghilterra, Paul Lewis e Federico Colli si raccontano in questa intervista in cui emergono due personalità diverse per formazione e sensibilità, ma con una caratteristica comune: un sincero, spontaneo legame con il pubblico che li ascolta. Nei vostri ricordi, qual è stato il più bel concerto (suonato o ascoltato)? Paul Lewis: «Questa è una domanda troppo difficile! Un concerto che mi ha impressionato davvero molto è stato quello di Benedetti Michelangeli che andai a sentire alla Barbican Hall di Londra quando avevo 14 anni. Quella fu davvero una grande occasione per me». Federico Colli: «Sono spiritualmente molto legato ai concerti tenuti da Sokolov nel Teatro della mia città. Ricordo, quasi sei anni fa, una sua interpretazione della Sonata in do minore di Schubert: ero seduto sulle scale del teatro, entrato di soppiatto, ogni antro era zeppo di pubblico. Ricordo l’impressione che mi rese incapace di alzarmi, l’incredulità di fronte a tale chiarezza di libertà e di idee. È stato un concerto che mi ha trasfigurato e rivelato». Foto Sarah Ferrara Qual è a vostro avviso un compositore del passato o del presente da riscoprire? Paul Lewis: «Nell’ultimo periodo ho lavorato sulla Sonata per pianoforte di Julius Reubke, e credo che sia un lavoro che meriterebbe una maggiore noto24 MI MUSICA INSIEME rietà. Questo compositore non ha scritto molte opere e morì molto giovane, ma quello che ci ha lasciato è straordinario». Federico Colli: «La musica contemporanea è come un enorme calderone nel quale è necessario (necessario perché possibile) far luce, portando a galla le opere più meritevoli. Scrivere musica oggi è l’impresa più ardua – e paradossalmente più banale – mai immaginata. Rifuggendo ogni accademismo, ogni preconcetto, sono le libere idee a dover inverarsi nella musica, i pensieri di ordine filosofico e storico a dover parlare, pensieri che trovano nell’arte – oggi più che mai – il loro più grande accomunamento. Ritrovo questi temi fondamentali nella musica di un mio caro amico e mentore: Alberto Bonera». Quali sono stati i vostri più importanti punti di riferimento (non solo dal punto di vista musicale)? Paul Lewis: «La mia famiglia; mi ha sempre aiutato a rimanere con i piedi per terra». Federico Colli: «Sono molto legato ai miei amici defunti, che purtroppo non ho mai conosciuto: Bach mi insegna il timore dell’Assoluto, Mozart la semplicità mai frivola, Beethoven la bramata disfida nei confronti del Cielo, Liszt la vacuità delle troppe parole, Schumann la fortunata meraviglia con cui interpretare il magma che ci muove. Insomma, sono gli amici con cui condivido la mia quotidianità. A volte rispondono, a volte mi consigliano. Sono pieno di gratitudine per ogni persona che ha saputo darmi qualcosa di buono, donarmi qualche seme che nella mia anima, col tempo, è germogliato. La mia prima insegnante, Anita Battioni, che ha fatto della musica un gioco infantile mai noioso; il mio primo Maestro, Sergio Marengoni, che mi ha traghettato dalla fanciullezza alle porte della maturità; Konstantin Bogino che mi insegna la sofferenza, la solitudine e la stremante abnegazione quotidiana sullo strumento; Boris Petrushansky, che mi insegna le idee; Enzo Restagno, che come una lanterna dalla luce mai fioca mi consiglia e mi sprona in ogni ambito della mia vita professionale; Franco Scala, che mi insegna la saggezza del saper vedere lontano; Marian Rybicki, che ha creduto in me in un momento difficile della mia vita musicale; Pavel Gililov, che mi insegna l’arte della diplomazia». Federico Colli Foto Harmonia Mundi - Eric Manas Fra i premi e i riconoscimenti (anche verbali) che avete ottenuto nella vostra carriera, qual è il più importante? Paul Lewis: «Parlare con qualcuno che ha assistito a un tuo concerto e vedere che è stato trasportato dalla tua musica in maniera totalmente sincera. Questo è il premio più grande». Federico Colli: «Siamo perennemente insoddisfatti di noi stessi: per questo, troviamo nella nostra volontà la forza di voler sempre essere migliori di quel che già siamo. I premi sono segni che confermano di essere sulla giusta strada. Le parole si conservano sempre nel cuore: in Polonia, lo scorso giugno, dopo un concerto molto raffinato con musiche di Mozart e Schubert, un ragazzo non vedente si avvicina a me dicendomi: “Grazie Maestro, ascoltandola mi è parso di poter vedere nuovamente davanti ai miei occhi immagini colorate”». C’è un’opera pianistica a cui siete particolarmente legati, e se sì per quali motivi? Paul Lewis: «Tutto quello che suono, non sono in grado di scegliere un’opera sola». Federico Colli: «Sicuramente Gaspard de la Nuit di Ravel. Lo studio di quest’opera è stato per me formativo e totalizzante: ho imparato che le opere non sono creazioni esterne alla nostra anima, ma diventano parte integrante del nostro destino; ho imparato a dialogare e accettare le inquietudini e i demoni che abitano dentro il cuore di un artista; ho imparato che, per fare di questi capolavori un’opera d’arte, è necessario che la propria vita sia essa stessa un’opera d’arte». Maestro Lewis, il programma che presenta per Musica Insieme traccia una storia del pianoforte da Beethoven a Busoni, con opere che hanno rivoluzionato sia l’uso dello strumento che la concezione formale: quali sono gli aspetti più interessanti che ha voluto mostrare in questa antologia musicale? Paul Lewis: «Ho voluto mettere in evidenza l’incredibile originalità delle opere nella seconda metà del XIX secolo e il contrasto tra realtà e fantasia che passa attraverso tutto il programma». C’è un motivo per cui ha deciso di alternare le due Sonate op. 27 di Beethoven ad altrettante elaborazioni di Busoni dei Corali bachiani? Paul Lewis: «Sì, certo: i Corali di Bach sono opere che si percepiscono come molto connesse alla terra, ma che tuttavia cercano di stabilire un legame con un luogo che è al di là. Entrambe le due Sonate di Beethoven op. 27 – quasi una fantasia – cominciano come se si fosse in un luogo al di là. Per questo ho voluto ricreare questa sensazione di connessione correndo attraverso le opere senza neanche una pausa». In che modo secondo lei la rilettura di Busoni arricchisce i preludi bachiani? Paul Lewis: «Il modo di suonare è sicuramente di Busoni, ma la musica è ancora di Bach. La ricchezza della sonorità del pianoforte è una meravigliosa aggiunta ai Preludi-Corali, pur mantenendone il senso originale». Due anni fa ha eseguito i capolavori di Schubert per la rassegna Musica in Santa Cristina. Che ricordo ha del pubblico bolognese? Paul Lewis: «Un pubblico molto attento, informato e preparato». Maestro Colli, nel 2012 ha vinto il Primo Premio al “Leeds International Piano Competition”; trova sensibili diffe- Paul Lewis renze fra il pubblico anglosassone e quello italiano? Federico Colli: «Ogni pubblico, dal Brasile al Giappone, dal Messico alla Russia, ascolta ed apprezza in modo diverso, perché diversi sono il mondo culturale e le categorie di pensiero a cui appartiene. Comunque, tra anglosassoni e italiani non ho notato sostanziali differenze». Il suo programma sembra mostrare le evoluzioni e rivoluzioni della sonata in appena mezzo secolo di storia: quali sono a suo avviso i ‘punti cruciali’ dei tre lavori? Federico Colli: «Il mio programma, una sorta di pacco preconfezionato, vuole essere una proposta che lascia all’ascoltatore un senso di unità e coerenza. Esso mostra il concetto di sonata così come era al comincio (Mozart), nella sua apoteosi di profondità e grandiosità (Beethoven) e nel suo lento ma rovinoso disfacimento, nella decomposizione della forma vincolata a favore di una vitalità libera, di una freschezza irrefrenabile del sentire (Schumann)». Un paio di anni fa ha partecipato insieme al suo collega Casadei a un noto programma televisivo di Canale 5, Italia’s Got Talent. Cosa ricorda di questa esperienza? Crede che l’utilizzo dei nuovi media possa aiutare ad avvicinare i giovani al mondo della musica classica? Federico Colli: «Ci siamo divertiti tanto, ma abbiamo anche capito quali regole e quali dogmi governano il mondo della televisione. Il proponimento di demitizzare il rito del concerto, la voglia di svestire il frac e di avvicinarsi in modo non convenzionale al pubblico dei non addetti ai lavori, insomma il desiderio di portare la musica colta a chiunque – principii che ci avevano indotto a partecipare alla trasmissione – sono risultati mere illusioni giovanili. Soprattutto, abbiamo purtroppo capito che viviamo in un’epoca in cui il culto della bellezza, nella sua essenza più vera, non esiste più. Ma non sarà la bellezza a salvare il mondo, bensì la verità». Progetti futuri? Paul Lewis: «Una combinazione di varie cose: Brahms, Haydn, Liszt, Schoenberg e molto altro!». Federico Colli: «Studiare. Tutto il resto viene di conseguenza». MI MUSICA INSIEME 25 L’INTERVISTA BELCEA QUARTET Omaggi inglesi I Debutta a Bologna il Quartetto formatosi a Londra, ma composto da musicisti di tre nazionalità diverse, uniti da una forte amicizia che li ha fatti sentire “una cosa sola fin dal primo momento” di Alessandro Di Marco l Belcea ben rappresenta lo stato attuale dell’arte nell’aristocratico contesto del quartetto d’archi. Oggi, infatti, l’intersecarsi delle diverse scuole, e di conseguenza dei differenti stilemi interpretativi che avevano caratterizzato le vicende di questo ensemble per tutto il secolo scorso, è il dato di maggior interesse. Così non sorprende che il Belcea sia nato – correva l’anno 1994 – nel fecondo ambiente londinese del Royal College of Music, ma a fondarlo siano stati una violinista rumena – Corina Belcea appunto – ed un violista polacco, Krzysztof Chorzelski. A loro volta, sommandosi così alla formazione londinese, eccoli portatori di un’esperienza formativa che li aveva visti seguire il magistero di due grandissimi quartetti, quali l’Alban Berg e l’Amadeus. A tutto questo s’aggiunge l’esperienza ancora diversa, maturata in terra di Francia, dei loro due compagni di viaggio: il violinista Axel Schacher ed il violoncellista Antoine Lederlin. Altro elemento che caratterizza la nouvelle vague del quartetto d’archi nel terzo millennio è l’interesse per la musica moderna e contemporanea da un lato, che sembra sempre più unirsi – vero e proprio segno dei tempi – a quello per il sostegno alle attività musicali di formazione destinate alle nuove generazioni. Lo sguardo sul contemporaneo, peraltro, come dimostra il programma che presenteranno nel loro debutto a Bologna, si estende spesso a quello verso il repertorio antico, in un ulteriore stratificarsi di suggestioni e suggerimenti. Lasciamo che sia proprio la violinista Corina Belcea a raccontarci la vicenda artistica di quello che oggi è uno dei quartetti protagonisti della scena internazionale. Il Quartetto Belcea è nato nel 1994 è lei ne è stata la fondatrice. Com’è 26 MI MUSICA INSIEME avvenuto il vostro primo incontro e quali sono stati i vostri primi passi sulla scena musicale? «È vero, siamo nati nel 1994. Al di là del comune amore per la musica da camera e per il repertorio quartettistico, ad unirci è stata l’amicizia fra tre di noi (il violista, il violoncellista ed io eravamo già amici ai tempi in cui frequentavamo la Yehudi Menuhin School, dove sono stata per tre anni prima di passare al Royal College of Music). Inoltre, last but not least, ci ha unito il profondo rispetto e l’ammirazione per il Quartetto Chilingirian, che allora insegnava al Royal College. Personalmente, ho sempre amato il modo di suonare e di insegnare del primo violino, Levon Chilingirian, e fremevo nell’attesa di poter andare a lezione da lui. Così il nostro primo incontro è stato particolarmente emozionante, tanto più che Laura, l’elemento che ancora non conoscevamo, ha dimostrato la stessa acuta curiosità nell’esplorare il repertorio quartettistico. Insomma, ci siamo sentiti una sola cosa fin dal primo momento. Il primo pezzo che abbiamo affrontato è stata l’op. 18 n. 1 di Beethoven, davvero una grande sfida per noi. Poi, più tardi, è cominciata la carriera vera e propria. In quel momento ci siamo resi conto di quanto sarebbe stata dura la nostra vita, poiché l’attività quartettistica richiede molto lavoro e sacrifici. Tra di noi – eravamo tutti più giovani – c’è stato anche chi ha sentito come troppo restrittiva quella scelta, che lo allontanava da ogni altra (come la composizione, oppure semplicemente la vita da studente), ed è stata la maturità di Krzysztof, di pochi anni più vecchio di noi, a tenerci uniti. Sulla scena internazionale ci siamo arrivati cominciando con le masterclass con il Quartetto Amadeus in Austria e Francia, e poi con l’Alban Berg, che abbiamo incontrato regolarmente nel perfezionamento per la Hochschule di Colonia. Un grandissimo aiuto è arrivato quando abbiamo ottenuto il sostegno dallo “Young Concert Artist Trust”, che ci ha permesso di realizzare concerti sia in Gran Bretagna sia all’estero». Parlando del programma che presenterete a Bologna, ritiene possibile tracciare una linea che unisca Purcell a Britten in una sorta di “via inglese” alla musica per archi? Ovvero, ritiene che esista una possibile relazione nella produzione musicale britannica tra l’antico e il moderno? «Come Britten stesso ebbe a dire: “Uno dei miei scopi è cercare di restaurare la struttura del linguaggio musicale inglese, quella brillantezza, libertà e vitalità che sono divenute stranamente rare dalla morte di Purcell”. Britten è stato un grande ammiratore di Purcell, e riportò alla ribalta numerose sue composizioni, anche incorporandole all’interno delle proprie, come nel caso di The Young Person’s Guide to the Orchestra, che ha appunto per sottotitolo Variazioni e Fuga su un tema di Purcell: ed ancora, eccolo modellare i suoi Five Canticles sui Divine Hymns di Purcell; ed avvicinandoci al nostro repertorio, non possiamo non ricordare che il suo Secondo Quartetto per archi, realizzato nel 1945, fu composto come un omaggio a Purcell». Il Quartetto Belcea ha registrato l’integrale dei Quartetti di Britten. Il Terzo, e ultimo, è una composizione davvero speciale, scritto com’è un anno prima della morte, e con esplicite citazioni dalla sua ultima opera Morte a Venezia. Quale via interpre- «È davvero una composizione fuori dall’ordinario ed è uno dei brani che sentiamo più vicini ai nostri cuori. All’inizio non è stato facile per chi di noi veniva da una cultura più sanguigna, quella dell’Europa Orientale, afferrare l’arte tutta britannica dell’understatement, ma alla fine, con l’aiuto dei nostri colleghi, con il magistero dell’Amadeus, un po’ alla volta ci siamo avvicinati a quel modo davvero elusivo, delicato, ma commovente, di scrivere per archi. L’aver potuto ascoltare i componenti dell’Amadeus, che ci parlavano di quella musica in maniera tanto intima, ci ha permesso di conoscere sempre più a fondo questo suo lavoro. Del resto, l’Amadeus aveva eseguito il Terzo Quartetto davanti a Britten a casa sua, ed è stata questa l’unica volta che il compositore lo ha ascoltato prima di morire. Inoltre siamo stati invitati molte volte al Festival di Aldeburgh, dove abbiamo registrato l’integrale di Britten e molti dei nostri cd: così siamo venuti a contatto con il mondo che Britten amava. Ecco il frusciare del vento alle spalle della sala da concerto dello Snape Maltings, quella speciale solitudine, con la quale a volte vieni in contatto visitando quell’affascinante parte dell’Inghilterra, il canto degli uccelli che ritrovi nel terzo movimento ed infine, ovviamente, l’unicità della bellezza di Venezia, che ha ispirato il finale. Abbiamo cercato di trasferire tutto questo nella nostra interpretazione e di farlo sentire al pubblico. Spesso ho avuto la sensazione che il pubblico, infatti, percepisse il senso della morte incombente provato dal compositore e da lui descritto nel finale: l’ultimo accordo, che Britten stesso aveva definito come “una domanda”, e l’ultima nota tenuta del violoncello solo, che suona un po’ come il rallentare ed il fermarsi del battito cardiaco attraverso il monitor in una stanza d’ospedale. Del resto, con la consueta modestia, Britten, dopo aver ascoltato l’esecuzione dell’Amadeus, rivolgendosi al suo amico Hans Keller, che lo aveva convinto a scrivere quel Terzo Quartetto, disse semplicemente: “It works” (“funziona”)». Perché un’opera di Mozart in chiusura di programma? «Le Fantasie di Purcell possono essere Foto Ronald Knapp tativa avete scelto per affrontare un’opera così particolare? suonate, a nostro avviso, solo all’inizio. Per noi rappresentano l’equivalente moderno di un’introduzione di un gruppo di viole, che poi inviti ad ascoltare una musica più intima, qual è quella del Terzo di Britten. L’ovvio legame tra Purcell e Britten ci porta a chiudere la prima parte. Mozart serve forse a risollevare lo spirito, dopo l’atmosfera meditativa e non proprio ottimistica della Passacaglia di Britten». seguirli regolarmente, con la stessa passione e attenzione che noi, da studenti, abbiamo ricevuto. L’altro aspetto importante dell’attività del Trust sono le commissioni di nuovi lavori, commissioni che possiamo realizzare grazie ai nostri sostenitori e cercando di lavorare con compositori che sentiamo affini. Un giorno riusciremo a convincere anche Thomas Adès a scrivere un lavoro per noi…». Vorrebbe dirci qualcosa a proposito del “Belcea Quartet Trust”? Questo sarà il vostro debutto a Bologna, ma avete già suonato in Italia. Cosa pensate del pubblico italiano? «Il “Belcea Quartet Trust” nasce dalla necessità di avere una maggiore autonomia in alcune aree della nostra attività. L’insegnamento è una parte rilevante del nostro impegno. Ciò che per noi fa la differenza è la motivazione in chi studia. Così abbiamo potuto in tutta autonomia scegliere tre Quartetti per noi promettenti e «Sì, abbiamo suonato in Italia molte volte. La più recente a Genova, dove abbiamo realizzato l’integrale dei quartetti di Beethoven. Abbiamo trovato il pubblico italiano non solo attento e caloroso, ma soprattutto capace di ascoltare in silenzio e di reagire in maniera davvero positiva». MI MUSICA INSIEME 27 L’INTERVISTA VIKTORIA MULLOVA Nel cuore della musica La violinista russa, presenza costante dei nostri cartelloni, torna a Bologna con uno dei suoi eccentrici progetti insieme al violoncellista e arrangiatore Matthew Barley, puntando dritto all’anima gitana della musica di Fulvia de Colle «L ei è il cuore pulsante intorno al quale ruota tutto». Così ha definito Viktoria Mullova il pianista Julian Joseph, che ascolteremo insieme a lei a Bologna in The Peasant Girl. Per il pubblico di Musica Insieme, ogni incontro con la violinista russa è anche l’occasione per superare le tradizionali definizioni di genere, incontrare nuovi repertori e organici inediti (nel 2009 l’abbiamo ascoltata insieme a Giuliano Carmignola in un programma per duo di violini, nel 2011 ha riletto le sonate di Beethoven accompagnata dal fortepiano): esplorazioni musicali, insomma, rese possibili da una tecnica impeccabile, ma anche dalla curiosità di un’artista ‘colta’ dal cuore di paesana, come ci racconta in questa intervista. In The Peasant Girl, che unirà Viktoria Mullova alla band capitanata dal violoncellista e arrangiatore (nonché suo consorte) Matthew Barley, si riuniranno anche l’Europa dell’Est, la Russia e l’America, il Mediterraneo e i Balcani, il gypsy e il jazz. Il programma allinea infatti, accanto ai due compositori-etnomusicologi Bartók e Kodály, nomi come John Lewis del Modern Jazz Quartet, o i Weather Report, band americana animata da leggende quali Jaco Pastorius, Joe Zawinul, Wayne Shorter. E poi le tradizioni russe, come in Yura, che s’intrecciano al Mediterraneo del DuOud, ossia un duo di autori e virtuosi di oud tunisini. Ci racconterebbe innanzitutto come è nato questo originale progetto? “ «Nel 2000, con Matthew Barley abbiamo realizzato un progetto dal titolo Through the Looking Glass, che è approdato anche a Bologna per Musica Insieme: si trattava del nostro primo progetto in assoluto in cui uscivamo dalla musica ‘classica’ in senso stretto, ed era un’operazione molto difficile perché ancora nessuno sapeva esattamente che cosa fosse, cosa ne sarebbe nato... Quando abbiamo cominciato invece a preparare The Peasant Girl l’idea era molto più chiara: avevamo scoperto che tantissima musica è influenzata dalle tradizioni est-europee e gitane. Non solo la classica, ma anche molte canzoni jazz sono piene di queste influenze: abbiamo deciso quindi di dividere idealmente il programma a metà, con una parte classica che comprenderà i Duetti di Bartók e una Sonata di Kodály, entrambi compositori che hanno raccolto un gran numero di melodie popolari magiare ‘sul campo’, usandole, o comunque rifacendosi ad esse nelle loro composizioni. Poi ci sarà la musica jazz, con gli arrangiamenti di brani che hanno risentito molto di queste influenze gitane, da Django di John Lewis a Pursuit of the Woman with the Feathered Hat dei Weather Report, e molto altro». Anche il titolo The Peasant Girl proviene da una canzone dei Weather Report... «Fino ad un certo momento non sapevamo proprio come intitolare questo progetto, poi parlando del mio passato, mentre preparavamo un libro autobio- grafico che ho scritto con la collaborazione di un’amica, Eva Maria Chapman, lei rideva e diceva, “Tu suoni Bach e Beethoven, ma provieni pur sempre da una famiglia di contadini!”; è assolutamente vero, e mi ha fatto pensare che io sono davvero ‘contadina’, pur suonando musica molto raffinata... Mentre parlavamo di questo insieme a mio marito, stavamo ascoltando in sottofondo un brano dei Weather Report che Matthew aveva già intenzione di arrangiare, ma del quale non conoscevamo ancora il titolo: quando abbiamo scoperto che quel brano si intitolava proprio The Peasant, ci è venuta l’idea di dare il nome The Peasant Girl all’intero progetto». From Russia To Love – The Life and Music of Viktoria Mullova è il titolo della sua biografia, scritta appunto dalla Chapman con la sua collaborazione. Che cosa le ha dato il ‘la’? «Con Eva Maria abbiamo parlato a lungo delle mie origini, dei miei avi. La mia famiglia (che viveva in un villaggio ucraino) era molto povera, ed i miei hanno sofferto tantissimo durante la guerra e la rivoluzione sovietica. Quello che volevo fare era proprio raccontare delle mie origini contadine, e poi di come andavano le cose nell’Unione Sovietica al tempo in cui sono cresciuta, sino alla storia della mia rocambolesca fuga negli Stati Uniti attraverso Finlandia e Svezia, nel 1983 [quando Viktoria Mullova e il suo compagno dovettero attendere tutto il fine settimana nascosti in una camera d’albergo di Stoccolma poiché Adoro la musica brasiliana, e fra qualche mese pubblicherò un nuovo cd, Stradivarius in Rio, interamente ideato e prodotto da me 28 MI MUSICA INSIEME “ l’Ambasciata americana era chiusa per le celebrazioni dell’Independence Day, ndr]. Tutto il resto è venuto dopo. Ho semplicemente pensato che sapere come andavano le cose in un certo periodo storico fosse molto importante, e potesse interessare tutti». Oltre agli arrangiamenti originali dei brani classici e non, Matthew Barley ha composto per lei anche un altro pezzo in programma: Yura, dedicato a suo padre, ed ispirato alla visione del Lago Bajkal in Siberia. «Sì, e proprio il giorno dopo che l’abbiamo eseguito per la prima volta, mio padre è morto. Matthew l’aveva scritto due mesi prima pensando a lui, che peraltro era già molto malato». Ritiene che accostare molti generi musicali, anche più ‘leggeri’, possa aiutare la causa della divulgazione, specie fra i giovani che non sempre frequentano le sale da concerto? «Credo di sì, il punto è che si tratta semplicemente di musica molto bella e interessante, inoltre c’è tanta improvvisazione (io stessa ho imparato ad improvvisare dopo una vita intenta ad eseguire le note ‘scritte’!), di modo che ogni concerto è diverso dagli altri. Con questo programma abbiamo tenuto oltre 50 concerti in tre anni, un tour che si coronerà praticamente a Bologna, prima di dedicarci ad un nuovo repertorio...». Dai concerti di Bach (che presentiamo più avanti in questo numero, nella rubrica Da ascoltare) al jazz, sembrerebbe che lei volesse esplorare l’intero universo violinistico: ha già in cantiere un nuovo progetto? «Sì, si chiamerà Stradivarius in Rio: uscirà fra pochi mesi – il montaggio è già ultimato – un cd con arrangiamenti di canzoni brasiliane da me realizzato insieme a una chitarra, due percussioni, e Matthew Barley al basso. Adoro questo repertorio, e tengo particolarmente a questo progetto, che ho ideato io in prima persona, mentre per gli altri miei incontri musicali al di fuori della classica il ‘colpevole’ è stato sempre mio marito. Credo che quella brasiliana sia una musica bellissima, chi la ascolta non può non provare gioia». Tornando a The Peasant Girl, il violino è tradizionalmente un protago- nista della musica est-europea e zigana: come cambia il modo di suonarlo, e quale strumento usa per questo particolare repertorio? «Ho due strumenti, un Guadagnini del 1750 che uso per la musica barocca e classica, come i concerti di Bach, Vivaldi, o Beethoven, mentre il mio Stradivari “Julius Falk” (del 1723) lo uso per tutto il resto, come nel caso di The Peasant Girl, o del disco che abbiamo registrato a Rio. Ovviamente cambia tutto, sia a seconda dello strumento che del repertorio; quando sono impegnata nei miei progetti crossover, tutto è molto più rilassato, e considero una mia grande fortuna poter eseguire molti generi musicali diversi». In un repertorio come questo, molto contano anche creativamente gli interpreti e, come dicevamo, l’improvvisazione. «Sì, anche grazie ad artisti provenienti da un ambiente non classico, come il pianista Julian Joseph che mi ha dato molto supporto, ho potuto imparare ad improvvisare: la mia ‘prima volta’ come improvvisatrice è stata praticamente solo un anno fa, e lo ritengo molto liberatorio e importante per eseguire un repertorio come quello di The Peasant Girl o Stradivarius in Rio. Suonare con mio marito Matthew Barley, poi, è una bella esperienza e ci permette di non separarci troppo a lungo, viaggiando insieme per le nostre tournée. Il fatto poi che entrambi adoriamo il repertorio che eseguiamo aggiunge gioia alla gioia. Per The Peasant Girl in particolare, Matthew ha scritto tutti gli arrangiamenti, me li ha per così dire cuciti addosso, mentre Stradivarius in Rio è un progetto interamente mio: per la prima volta sono stata io ad occuparmi di tutto, dalla scelta delle musiche alla loro produzione». The Peasant Girl insomma è anche un incontro fra due mondi, il classico e il ‘popolare’... «Infatti: oltre a me, il percussionista Sam Walton proviene dal repertorio classico, mentre Paul Clarvis, che suona con noi anche in Stradivarius in Rio, proviene da un ambito meno accademico. Ma a me piace particolarmente suonare con colleghi che provengono dagli ambienti musicali più vari, è stimolante». MI MUSICA INSIEME 29 IL PROFILO MODEST MUSORGSKIJ Natura e verità Ritratto di un compositore il cui genio fu riconosciuto solo postumo: un anti-accademico che amava il linguaggio della natura e della propria terra, come nei Quadri di un’esposizione in programma per Musica Insieme di Giordano Montecchi Q ualche mese fa, su questa pagina, scrivendo di Dvořák, abbiamo citato una frase di Debussy riferita a Musorgskij: «egli ha numerosi diritti alla nostra devozione». Obbligatorio ricuperarla, ora che questa paginetta è dedicata proprio a lui: Modest Petrovič Musorgskij. La gratitudine che Debussy gli riserva, scrivendo nel 1901 sulla Revue Blanche, sarebbe stata certamente ricambiata da parte di Musorgskij, se solo questi fosse vissuto più a lungo, anziché finire tristemente la sua esistenza nel 1881, a soli 42 anni, distrutto dall’alcool. È infatti anche grazie alla sconfinata ammirazione che Debussy nutrì per la sua musica, che l’autore del Boris Godunov avviò finalmente la sua carriera postuma nei panni del genio, quale egli era, anziché del naïf di talento quale fu considerato durante la sua vita, e specialmente dai suoi compagni e amici pietroburghesi che compativano la sua testardaggine e si credevano musicalmente più ferrati di lui. Tutto sommato è abbastanza facile riassumere Musorgskij in due parole: un sov- versivo radicale e intransigente della dottrina compositiva classico-romantica, in particolare di matrice tedesca. A questo proposito, tanto citata quanto eloquente è la celebre lettera spedita a Nikolaj RimskijKorsakov il 15 agosto 1868: «Il mio parere è che tanto più si è semplici e sinceri, tanto più si è convincenti... Perché volete imitare i tedeschi? ... Oh che effetti inutili! Quanto rovinate la buona musica!». Ancora a proposito dello sviluppo sinfonico: «Sembra che abbiate paura di scrivere alla Korsakov e non alla Schumann... Basta con lo sviluppo sinfonico... Quando l’artista si mette a rielaborare, resta insoddisfatto e quando essendo già soddisfatto si mette a rifare o, ancor peggio, a far delle aggiunte, allora tedescheggia e rimastica quanto ha già detto. Noi non siamo ruminanti ma onnivori. – Contraddizioni! – Seguiamo la natura». La “natura” era il chiodo fisso di Musorgskij, animato com’era da un’incrollabile fede nel realismo estetico. Egli fece di tutto per travasarla nella propria musica – e non di rado vi riuscì lasciando sconcertati i suoi contemporanei e noi: ma se i primi scuotevano la testa, Debussy e anche noi restiamo a bocca aperta per certe intuizioni di libertà e originalità tali da scavalcare a pie’ pari il suo tempo, offrendo modelli che sono tuttora da godere e approfondire. Musorgskij voleva un canto che riproducesse come un sismografo l’espressione della lingua russa. Rifiutava l’idea dello sviluppo perché ammirava la costruzione formulaica, le ripetizioni variate della musica contadina. Rifiutava i precetti dell’armonia con una nettezza degna di certi mavericks americani alla Ives o alla Zappa. E cercava suoni ‘altri’: neri e Modest Musorgskij (1839-1881) in un ritratto di Il'ja Repin eseguito pochi giorni prima della sua morte 30 MI MUSICA INSIEME pesanti come la terra, taglienti come il ferro, limpidi come l’acqua. Oppure che riportassero amorevolmente alla memoria i dipinti di Viktor Aleksandrovič Hartmann, uno dei suoi migliori amici, deceduto a 39 anni. Dopo la sua morte, nel 1874, a Pietroburgo gli dedicarono una grande esposizione i cui quadri si sono trasformati in una pietra miliare della letteratura pianistica ottocentesca. Ci vollero però decenni prima di riuscire a cogliere la grandezza di Musorgskij, anziché liquidarla come dilettantismo tanto geniale quanto maldestro. Ma leggiamo ancora Debussy: «Nessuno ha parlato alla parte migliore di noi con accento più tenero e profondo: egli è unico e lo resterà per la sua arte senza schemi e senza formule disseccanti. Mai una sensibilità più raffinata si è tradotta con mezzi così semplici; [...] tutto vi si regge e si compone per piccoli tocchi successivi, connessi da un legame misterioso e da un dono di luminosa chiaroveggenza». Ma Debussy non era l’unico innamorato di Musorgskij. La partitura del Boris gliel’aveva fatta conoscere un amico compositore, Jules de Brayer, «la cui fronte di veggente – scrive Debussy – si direbbe mandi lampi fatidici quando parla di Musorgskij, che egli pone molto al di sopra di Wagner». Nella cerchia debussysta anche Pierre Louÿs era convintissimo di questa superiorità: non una boutade, ma un giudizio di portata storica. Poiché è proprio tramite Musorgskij che si crea quella sorta di “asse” franco-russo che avrà in Stravinskij il suo campione e che imprimerà alla storia quella svolta che sappiamo, le cui decisive implicazioni, alternative al mainstream austro-tedesco, sono oggi ancora in corso di elaborazione, sia sul piano storiografico, sia, ciò che forse più conta, sul piano della composizione. I LUOGHI DELLA MUSICA Capolavori in città In occasione della mostra a Palazzo Fava che porterà a Bologna il più celebre dipinto di Vermeer, scopriamo le altre opere con soggetto musicale del maestro fiammingo D di Maria Pace Marzocchi al fondo buio e senza tempo, la Ragazza con l’orecchino di perla ci guarda. Giunse alle collezioni del Mauritshuis all’Aia nel 1902, dopo più di due secoli di ‘latitanza’. Era il 1696 quando ad Amsterdam fu battuta all’asta e dispersa la collezione del tipografo di Delft Jacob Dissius, che contava una ventina di dipinti di Jan Vermeer. Appena venne collocata in una delle sale del museo (la dimora seicentesca del conte di Nassau-Siegen Johan Maurits, affacciata su uno specchio d’acqua), di questa “Monna Lisa olandese” si disse che “più di qualsiasi altro Vermeer sia dipinto con polvere di perle”. Dall’8 febbraio prossimo, la celebre tela sarà esposta a Bologna in Palazzo Fava, ultima tappa, ed unica in Europa, di un tour mondiale consentito dalla chiusura del Mauritshuis per restauri ed ampliamenti, prima del ritorno alla sua sede nell’estate 2014, insieme agli altri quaranta dipinti del Seicento olandese che l’hanno accompagnata e che saranno in mostra: ritratti di Rembrandt e Franz Hals, scene di interni e di vita popolare, paesaggi, nature morte, scene di genere ed una di musica, la Suonatrice di violino dipinta nel 1626 da Gerrit van Honthorst (Gherardo delle notti in Italia), donata al museo dell’Aia nel 1995. Anche nella produzione di Vermeer – trentasette le tele concordemente riconosciute dalla critica – compaiono alcuni dipinti di soggetto musicale: giovani donne intente a suonare una spinetta o una chitarra nelle tranquille stanze di ricche case borghesi. Le si potrebbe accomunare alla copiosa produzione di scene di genere realizzata da tanti maestri olandesi, se non fosse per quell’arcana atmosfera sospesa nella trama di uno spazio prospettico vero e metafisico ad un tempo, per quella luce che viene dalla finestra vetrata sulla sinistra della tela, e insieme dall’occhio lucido e poetico del pittore, per quei colori di luce, gialli e azzurri sempre imitati e mai più raggiunti. Una luce bianca e dorata invade la stanza che accoglie La lezione di musica (firmata nel 1665 “I V Meer”) di proprietà di Sua In alto: Jan Vermeer (1632-75), La lezione di musica (1665). A sinistra: Jan Vermeer, Ragazza con l’orecchino di perla (1665-66) 32 MI MUSICA INSIEME Maestà la Regina Elisabetta II [non esposta a Palazzo Fava, ndr], che nel 1762 approdò alle collezioni reali inglesi con il nome di Van Mieris, pittore allora ammiratissimo, quando invece nome e fama di Vermeer erano cancellate dalla memoria della pittura, pur nel fascino intatto dei suoi dipinti, sempre ammirati magari sotto un nome diverso (anche Rembrandt, l’unico pari a Vermeer per vertici di assoluto). La giovane “suonatrice di spinetta” è ritratta di schiena (ma ne scorgiamo il volto riflesso nello specchio), assorta nel cogliere l’ultima vibrazione della nota che si acquieta, appena emanata dal prezioso strumento, che dal fregio del pannello anteriore con arabeschi e cavallucci marini si direbbe del famoso artigiano di Anversa Andreas Ruckers. Accanto a lei, in piedi, nel nero abito della moda del tempo, è ritratto il maestro di musica (o forse un giovane amante?). Ma dentro al quadro c’è anche Vermeer, presenza elusa eppur restituita dal cavalletto nello specchio, al modo di Jan Van Eyck nel Ritratto dei coniugi Arnolfini, al modo di Velazquez ne Las Meninas. Seminascosto dal tavolo coperto da un tappeto, un violoncello è posato sul pavimento a riquadri di marmo che arretrano verso il fondo secondo un’impeccabile prospettiva. Il quadro è stato letto come armonia dell’amore, sottesa al ruolo metaforico della musica, come si legge nel motto scritto sul coperchio della spinetta: “MUSICA LETITIAE COMES MEDICINA DOLORUM”. La musica compagna della gioia e balsamo per i dolori… La ragazza con l’orecchino di perla. Il mito della Golden Age. Da Vermeer a Rembrandt Capolavori dal Mauritshuis Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni Bologna, via Manzoni 2 8 febbraio - 25 maggio 2014 I VIAGGI DI MUSICA INSIEME Bruxelles - Bruges - Gand 27-30 marzo 2014 B Musica Insieme, che da 20 anni propone viaggi culturali che affiancano la visita delle principali capitali europee all’ascolto di concerti nelle sale più prestigiose, organizza un nuovo viaggio alla scoperta del Belgio ruxelles, Bruges e Gand saranno le mete del viaggio che Musica Insieme organizzerà il prossimo marzo, proseguendo una consolidata tradizione che ci ha visto accompagnare i nostri abbonati nelle principali capitali europee – e non solo – della musica: San Pietroburgo e Mosca, Parigi, Londra, Madrid, Amsterdam, Berlino, Copenhagen, Oslo, Istanbul, sono alcune delle mete raggiunte in quasi un ventennio di viaggi, nati con il preciso obiettivo di conoscere realtà musicali e culturali – dagli artisti ai siti più importanti – di altri Paesi. La partenza è prevista nel pomeriggio di giovedì 27 marzo con volo diretto Lufthansa per Bruxelles. La sistemazione dei nostri ospiti avverrà presso l’Hotel Royal Windsor (5 stelle), situato nel centro storico di Bruxelles, a due passi dalla Grand Place e dai principali monumenti cittadini. La mattina di venerdì 28 marzo sarà dedicata a una visita guidata di Bruxelles, che rivelerà le principali bellezze architettoniche ed i centri più importanti della vita della capitale belga: dal quartiere Art Nouveau con le sue case in stile Liberty, al Parlamento, al quartiere reale con la residenza ufficiale del Sovrano, ed ancora all’Atomium (vero e proprio simbolo di Bruxelles, costruito per l’Esposizione Universale del 1958, che raffigura una molecola di ferro ingrandita 165 miliardi di volte), fino alla Grand Place, con il suo splendido Municipio gotico e le Case delle Corporazioni. 34 MI MUSICA INSIEME Nella foto sopra: Bruxelles, la Grand Place (foto di Eric Danhier). Sotto: una veduta della città di Bruges. In basso: Julian Rachlin, protagonista del concerto del 28 marzo Alla sera di venerdì 28 marzo – la grande musica sempre al centro dei nostri progetti culturali – assisteremo, presso il Teatro Palais des Beaux Arts (sipario alle 20), al concerto che vedrà protagonisti l’Orchestre National de Belgique diretta da Andrey Boreyko, solista lo straordinario violinista Julian Rachlin, artista ben noto al pubblico di Musica Insieme per i suoi applauditissimi recital nel cartellone dei nostri Concerti. Il programma prevede il celebre Concerto n. 3 KV 216 per violino e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart, e nella seconda parte l’intensa Ottava Sinfonia in do minore op. 65 di Dmitrij Šostakovič. Sabato 29 marzo, la giornata sarà dedicata alla visita di Bruges e Gand, rispettivamente capoluoghi delle Fiandre Orientali e Occidentali. Bruges, la “Venezia del Nord”, rappresenta com’è noto una delle città medievali più suggestive d’Europa, mentre Gand, città d’arte e di storiche tradizioni, dalla pittoresca posizione che si snoda lungo numerosi canali e isolette, conserva i maggiori capolavori dell’arte fiamminga. Dopo la visita è previsto il rientro a Bruxelles, per trascorrere la serata nella capitale. Infine, domenica 30 marzo sarà dedicata alle visite individuali, ma sarà come sempre possibile scegliere anche ulteriori escursioni guidate per la città, a seconda degli interessi dei nostri ospiti. Nel pomeriggio raggiungeremo l’aeroporto di Bruxelles, dove un volo Lufthansa (via Francoforte) ci riporterà a Bologna in serata. Per tutte le informazioni relative al viaggio è possibile rivolgersi direttamente alla segreteria di Musica Insieme (tel. 051 271932) oppure all’agenzia Uvet Pomodoro Viaggi di via Farini, 3 (tel. 051 6102611). I CONCERTI gennaio/febbraio 2014 Lunedì 13 gennaio 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 FRANZ LISZT CHAMBER ORCHESTRA GABOR BOLDOCZKI..................................tromba ALEXANDER ROMANOVSKY...........pianoforte Musiche di Stravinskij, Šostakovič, Britten, Liszt Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 20 gennaio 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 PAUL LEWIS.....................................................pianoforte Musiche di Bach/Busoni, Beethoven, Liszt, Musorgskij Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 3 febbraio 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 BELCEA QUARTET CORINA BELCEA-FISHER........................violino AXEL SCHACHER............................................. violino KRZYSZTOF CHORZELSKI.........................viola ANTOINE LEDERLIN.......................................violoncello Musiche di Purcell, Britten, Mozart Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Lunedì 10 febbraio 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 THE PEASANT GIRL THE MATTHEW BARLEY ENSEMBLE MATTHEW BARLEY........................................violoncello JULIAN JOSEPH................................................pianoforte SAM WALTON.....................................................percussioni PAUL CLARVIS...................................................percussioni VIKTORIA MULLOVA...............................violino Musiche di Bratsch, Lewis/Bratsch, Bartók, Kodály, Weather Report, Barley, DuOud Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 24 febbraio 2014 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 FEDERICO COLLI.........................................pianoforte Musiche di Mozart, Beethoven, Schumann Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 [email protected] - www.musicainsiemebologna.it Lunedì 13 gennaio 2014 La leggendaria compagine ungherese celebra a Musica Insieme il suo cinquantesimo anniversario, accompagnata da due straordinari solisti Foto Marco Borggreve di Mariateresa Storino Variazioni neoclassiche LUNEDÌ 13 GENNAIO 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 FRANZ LISZT CHAMBER ORCHESTRA GABOR BOLDOCZKI tromba ALEXANDER ROMANOVSKY pianoforte Igor Stravinskij Concerto in re Dmitrij Šostakovič Concerto in do minore per pianoforte, tromba e archi Benjamin Britten Variazioni su un tema di Frank Bridge op.10 Franz Liszt Rapsodia Ungherese in do diesis minore n. 2 R 106 – trascrizione per orchestra dÊarchi di Peter Wolf Introduce Fabrizio Festa, compositore, docente di Conservatorio e saggista 36 MI MUSICA INSIEME C oncerto, variazione: sono termini che, a livelli diversi, rinviano ad un passato più o meno lontano. La distanza da queste forme, che oggi appare platealmente evidente non tanto all’ascoltatore quanto al compositore, non inficia il groviglio di riferimenti in esse contenuti. Sono vocaboli sopravvissuti a cambiamenti epocali, con riformulazione e rifusione dei propri elementi costitutivi. Come definire tali forme? Quali esempi analizzare per delineare una struttura generale? Quali cautele deve prendere il compositore moderno al fine di non rimanere solo un emule del passato? Quale inevitabile raffronto l’ascoltatore deve mettere in atto nel momento della ricezione per comprendere la specificità delle singole opere rispetto ad una norma? L’etimologia dei termini è cristallina, ma non è ad essa che possiamo aggrapparci volendo avvicinarci a quella nutrita schiera di compositori che, stanchi di ogni retorica romantica, spenta la fiamma dell’“espressionismo”, restii momentaneamente alla corrente avanguardistica, nel corso del Novecento cercano una nuova via maestra su cui dirigere le proprie energie creative. Dagli anni Venti, e in modo più consistente nel decennio successivo, molti musicisti guardano al passato vagliandone la ricchezza stilistica e formale con sensibilità moderna. Accanto alla pluralità di esperienze musicali si allinea una nuova corrente: il “neoclassicismo”. Nel 1920 Ferruccio Busoni definisce i principii della nascente corrente: «Per nuovo classicismo intendo il dominio, il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste di esperienze precedenti: il racchiuderle in forme solide e belle». L’approccio al passato deve essere di tipo intellettualistico; nessun reflusso di sensualità e soggettivismo di matrice romantica o decadentista; solo musica, solo l’opera nella sua oggettività. Tra i fautori di un approccio a principii stilistici di matrice barocca e classica, mediato dalla lente dell’intelletto, si staglia la figura di Igor Stravinskij. Dopo aver portato il “colore russo” alle estreme conseguenze nelle Noces (1917), con Pulcinella il compositore si richiama al Settecento di Pergolesi: una «virata neoclassica», scrive Roman Vlad. La ricostruzione tuttavia prende corpo nello «specchio del proprio stile»; Stravinskij «conquista» l’Occidente musicale, se ne appropria; non si può parlare di imitazione, né di passiva ricreazione. Il passato musicale è innervato delle componenti specificamente stravinskiane, quelle stesse componenti che si rintracciano ancora a distanza di più di un ventennio in una forma tradizionale – almeno nell’intitolazione – quale il Concerto in re per orchestra d’archi. Stravinskij compone il Concerto nel 1946 su richiesta del direttore d’orchestra e filantropo Paul Sacher, per celebrare i vent’anni dell’Orchestra da Camera di Basilea. Strutturato nei classici tre movimenti, il Concerto si distende in un discorso di «spigliata leggerezza», di puro intrattenimento, privo di qualsiasi vena polemica o intento satirico. Dai colori luminosi e vivaci del primo movimento (Vivace), al cantabile e danzante Arioso, fino al ritmico Rondò finale, il brano è interamente dominato dall’intervallo di seconda minore. Questa cellula dissonante viene pressantemente ripetuta: trasportata su gradi diversi della scala cromatica, accresce la tensione armonica senza mai, tuttavia, negare la tonalità d’impianto (re maggiore). Con prescrizioni precise del tocco, Stravinskij indica ogni particolare dell’esecuzione, quasi con maniacale accuratezza; ogni dettaglio contribuisce all’effetto complessivo. Se nell’architettura il richiamo alle forme di stampo settecentesco può essere adombrato dai caratteristici elementi del linguaggio stravinskiano (disposizione ‘anomala’ di accenti, commistioni di funzioni armoniche, reiterazione di frammenti, frequenti cambiamenti di tempo), nell’orchestrazione diventa esplicito con la ripartizione tipicamente barocca dell’orchestra tra un ristretto gruppo di solisti (il concertino) e l’insieme degli archi con effetto di ripieno (il concerto grosso). Composto tra il marzo e l’aprile del 1933, con l’intento di ampliare il repertorio strumentale sovietico, il Concerto per pianoforte con accompagnamento di orchestra d’archi e tromba di Dmitrij Šostakovič fu eseguito lo stesso anno nella Sala I protagonisti La Franz Liszt Chamber Orchestra, formatasi presso l’Accademia “Franz Liszt” di Budapest, ha debuttato nel 1963, intraprendendo un’intensa attività concertistica, che la vede esibirsi sui palcoscenici più prestigiosi d’Europa, America, Australia e Giappone. Nei suoi 50 anni di attività ha collaborato con i più importanti solisti, tra cui Argerich, Ojstrakh, Richter, Rostropovič, Menuhin, Stern, e, più recentemente, con Repin e Perahia. Ha all’attivo più di duecento registrazioni discografiche, per le quali è stata premiata per ben tre volte al “Grand Prix de l’Academie Française du Disque” di Parigi. Il trombettista ungherese Gabor Boldoczki, considerato dalla critica come l’erede del grande Maurice André, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti internazionali, tra cui il “Grand Prix de la Ville de Paris” e il “Prix Davidoff”. Si esibisce con compagini di primo piano come l’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo, l’Orchestra Sinfonica del Teatro Mariinskij e la Kremerata Baltica. Vincitore, appena diciassettenne, del Concorso internazionale “F. Busoni” di Bolzano, Alexander Romanovsky calca oggi i palcoscenici più rinomati al mondo, esibendosi con orchestre quali Royal Philharmonic Orchestra, Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, Filarmonica della Scala, New York Philharmonic e Chicago Symphony Orchestra, collaborando con direttori come Pletnev e Gergiev. MI MUSICA INSIEME 37 Lunedì 13 gennaio 2014 Filarmonica di Leningrado; il compositore sedeva al pianoforte, l’orchestra locale era diretta da Fritz Stiedry. Il Concerto si esprime in toni scherzosi, con una vivida gestualità, un vigore forte e a tratti caricaturale, a partire dall’attacco iniziale, giocato su un’improvvisazione tra pianoforte e tromba che coglie di sorpresa l’ascoltatore al punto da lasciarlo interdetto: il Concerto è già iniziato? Certo l’effetto doveva esser ben presente al giovane Šostakovič, se, qualche mese dopo l’esecuzione, dichiarava di voler «difendere il diritto di ridere all’interno della cosiddetta musica seria», di «non essere turbato quando gli ascoltatori ridono ad un concerto» con sue musiche, anzi, di esserne compiaciuto. Il compositore si era saldamente formato nella tradizione dei classici viennesi, tradizione le cui forme e melodie potevano diventare materiale per nuove opere. Il Concerto è un esempio tangibile del neoclassicismo di Šostakovič, della sua volontà «di essere vecchio in un nuovo modo», delle possibilità di filtrare il passato con la sensibilità novecentesca senza apparire demodé. Šostakovič non si limita a riprendere formule compositive (compreso il contrappunto canonico), ma inserisce citazioni di musiche proprie e altrui: da Haydn all’Appassionata di Beethoven, dai canti popolari ebraici ad un tema tratto dalle sue stesse musiche composte per il testo teatrale Il povero Colombo del drammaturgo Erwin Dressel. Nel quadro di una chiarezza classica, il Concerto si articola in quattro movimenti: ad un Allegro moderato in cui si annidano immagini ironiche e deformate, segue un tempo Lento che mitiga la temperie compositiva del movimento introduttivo con un lirismo quasi crepuscolare. Qui la tromba e il pianoforte duettano alla pari; la scrittura è elegante, misurata; sullo sfondo il caldo tono dei violoncelli e la voce solitaria dei violini. DA ASCOLTARE Impresa improba quella di sintetizzare il lunghissimo percorso discografico del celebre complesso ungherese. Dal 1976 ad oggi si contano in catalogo oltre duecento incisioni, il cui repertorio spazia dal barocco al moderno, senza mancare nessuno dei passaggi intermedi. Certo domina il primo, con una predilezione spiccata per le opere di Antonio Vivaldi e quelle di Johann Sebastian Bach: questi i compositori registrati nei primi tre lavori discografici, del 1976 appunto, per la Hungaroton. La casa discografica ungherese avrà l’esclusiva sino alla fine del secolo scorso, poi la Franz Liszt Chamber Orchestra troverà accoglienza in diverse etichette, tra le quali le prestigiose Teldec (per i suoi tipi nel 2000 inciderà le Sonate di Rossini) e Harmonia Mundi. È per quest’ultima che la FLCO realizza ben due versioni della Musica per percussioni, archi e celesta di Bartók (1992). L’attività discografica si dirada in questi ultimi anni, ma il catalogo si arricchisce di tessere importanti, quali la registrazione della Passione secondo Matteo di Bach (Red Bus Classical – 2011) e un’antologia di Concerti per tromba, solista Edward Tarr (Christophorus – 2012). Il Moderato successivo è solo un momento di passaggio che, senza soluzione di continuità, porta ad un Allegro con brio dal piglio militaresco con squilli di tromba a mo’ di fanfara. Come in Stravinskij e in Šostakovič, anche in Benjamin Britten il rapporto con il passato è privo di pathos: nessuna nostalgia, nessun rammarico. Il passato è la linfa vitale di cui nutrirsi per poter procedere nel nuovo secolo, ma allo stesso tempo è la gabbia da cui liberarsi per affermare la propria identità. Con le Variations on a Theme of Frank Bridge op. 10, Britten rende omaggio al suo maestro. Siamo nel 1937, Britten inizia ad affermarsi in campo internazionale con un proprio linguaggio. Le Variations si configurano come una sintesi degli stili del passato in cui le risorse timbriche degli strumenti ad arco sono esplorate con eleganza e profondità. Dopo un Lento maestoso, introdotto il tema di Bridge (tratto dai Tre Idilli per quartetto del 1906), il compositore sfrutta le risorse formali ed espressive acquisite nel periodo di studio: dal recitativo dell’Adagio della prima variazione al procedere elegante della March; a seguire una leggiadra Romance a cui ribatte un’Aria italiana, parodia di co- loratura rossiniana. Il Settecento fa capolino con una Bourrée classique, seguita da un Wiener Walzer. Non manca il virtuosismo in Moto perpetuo, né il lamento di una Funeral March. Ancora un Chant e poi la dotta scrittura contrappuntistica in una Fugue and Finale. Se ciascuna delle dieci variazioni di cui si compone il brano presenta tratti della tradizione fortemente connotati, che rendono inevitabile una lettura sullo sfondo di epoche passate, questi non impediscono al compositore di vivificare il noto con un linguaggio armonico pieno di ambiguità, riccamente cromatico e deliberatamente dissonante. L’effetto all’ascolto è di straniamento, come nei due Concerti di Stravinskij e Šostakovič. Abbiamo forme cariche di espressività, di rinvii ad altro da sé già nei titoli, che costringono a mediare tra fascinazione sonora e percezione consapevole. Perfino la trascrizione per archi di Peter Wolf della Rapsodia Ungherese n. 2 di Liszt richiede una doppia lettura. La Rapsodia non subisce alcuna metamorfosi, solo un cambiamento timbrico; gli archi intensificano il carattere magiaro ed accentuano alcuni tratti popolareggianti sfruttando abilmente sia la varietà di registri che il tocco; ma è realmente possibile ascoltarla prescindendo dall’originale per pianoforte? Lo sapevate che... La Franz Liszt Chamber Orchestra, fondata nel 1963 nell’ambito dell’omonima Accademia di Budapest, nel 1992 è stata insignita dal Governo Ungherese del titolo di Cavaliere della Cultura Foto Harmonia Mundi - Eric Manas Lunedì 20 gennaio 2014 Un’antologia Il pianista inglese, oggi tra i più apprezzati a livello internazionale, per la prima volta ospite di Musica Insieme, ci condurrà in un affascinante viaggio nella storia del repertorio di Valentina De Ieso 40 MI MUSICA INSIEME N el 1802, lo stesso anno in cui, meditando il suicidio, scriveva il suo famoso “Testamento di Heiligenstadt”, Beethoven consegnò alle stampe uno dei suoi massimi capolavori: la Sonata op. 27 n. 2, più nota con il titolo apocrifo di Chiaro di luna. Paradossalmente, quella che è divenuta forse la sonata più celebre della storia non è una vera e propria sonata: Beethoven infatti ha intitolato entrambe le composizioni dell’op. 27 “Sonata quasi una fantasia”, dichiarando così di aver voluto deliberatamente interpretare gli schemi formali con una certa elasticità. La Sonata in mi bemolle maggiore op. 27 n. 1, composta nel 1801 e dedicata alla principessa Josephine von Liechtenstein, è introdotta dall’Andante. Allegro. Andante, in forma di fantasia, costruito su un tema malinconico di note ribattute, una sorta di lamento in pianissimo, che si ripropone costantemente. Dopo un pacato Allegro molto e vivace, si presenta l’Adagio con espressione. Qui i due delicatissimi temi si susseguono con pensosa leggerezza, portando senza soluzione di continuità (le due Sonate prevedono l’esecuzione dei movimenti senza pause) all’Allegro vivace, condotto con grandissima libertà formale. Più nota è la Sonata in do diesis minore op. 27 n. 2, dedicata alla contessa Giulietta Guicciardi, della quale Beethoven scriveva all’amico Wegeler il 16 novembre 1801: «La mia vita è diventata ora più piacevole […]. Questo mutamento lo ha prodotto una cara, incantevole ragazza, che mi ama e che io amo, in due anni sono questi i soli momenti beati ed è la prima volta che sento che il matrimonio potrebbe rendere felici, ma purtroppo essa non è del mio ceto sociale». L’Adagio sostenuto è quanto di più distante si possa immaginare all’epoca per un primo tempo di sonata. Beethoven scrive in partitura “Si deve suonare tutto questo pezzo dolcissimamente e senza sordini” per sottolineare la necessità di un’intimità adatta alla confessione dei più riservati sentimenti, affidata al tema “puntato”, che riecheggia per tutto il movimento, fino all’ultima enunciazione nel registro grave, una sorta di desolato addio. L’Allegretto, definito da Liszt “un fiore tra due abissi” conduce al Presto agitato finale, un movimento di rara tragicità in cui quattro temi si intrecciano e si oppongono con esasperazione crescente, fino al brusco finale. LUNEDÌ 20 GENNAIO 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 PAUL LEWIS pianoforte J.S. Bach / F. Busoni Preludio-Corale „Nun komm der Heiden Heiland‰ BWV 659 Ludwig van Beethoven Sonata quasi una fantasia in si bemolle maggiore op. 27 n.1 J.S. Bach / F. Busoni Preludio-Corale „Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ‰ BWV 639 Ludwig van Beethoven Sonata quasi una fantasia in do diesis minore op. 27 n. 2 Franz Liszt Schlaflos! Frage und Antwort R 79 Unstern (Sinistre. Disastro) R 80 R.W. – Venezia R 82 Modest Musorgskij Quadri di un’esposizione Introduce Giordano Montecchi. Saggista e critico musicale per quotidiani e riviste, insegna Storia della Musica al Conservatorio di Parma «Ho creduto di lavorare nello spirito di Bach, mettendo al servizio del suo piano le estreme possibilità dell’arte odierna, quale organica continuazione dell’arte sua, come le estreme possibilità dell’arte del suo tempo erano divenute mezzo di espressione per lui stesso». Così scriveva nella sua Autorecensione del 1911 Ferruccio Busoni. Egli sosteneva di essere stato sospinto verso Bach da una «misteriosa disposizione del destino»: suo padre, clarinettista professionista, lo aveva, invece, sempre esortato a studiare con dedizione il compositore tedesco. Nel 1898 Busoni trascrive dieci Preludi di Bach, pubblicandoli nel terzo volume della sua monumentale “Edizione Bach-Busoni”. Il preludio al corale, forma tipica della musica liturgica luterana, è un’introduzione organistica all’intonazione del corale, anticipandone il tema ed elaborandolo sotto forma di variazioni: Busoni ne fa invece un raffinato brano di musica da camera, non limitandosi ad adattarlo al pianoforte, ma esplorando le possibilità dello strumento moderno. Nel Preludio-Corale “Nun komm der Heiden Heiland” (“Vieni Salvatore delle genti”) BWV 659, che riprende l’omonimo corale di Lutero, Busoni mantiene evidente la struttura polifonica, affidando la melodia a registri diversi, ma la ammorbidisce creando effetti drammatici tramite le frequenti variazioni d’intensità dal piano al forte. Il Preludio-Corale “Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ” (“Ti invoco, Signore Gesù Cristo”) BWV 639, che riprende invece un corale di Johannes Agricola, maschera la struttura polifonica evidenziando la cantabilità della delicata melodia, esaltata anche in questo caso da un uso di variazioni di intensità e dalla presenza di continui “rallentando”. La legittimazione della libertà nella trascrizione, secondo Busoni, sta nella sorprendente modernità di Bach, la modernità del saper trovare i mezzi necessari ad esprimere i propri scopi, lasciando a chi verrà dopo inesauribili possibilità di interpretazione. E se nella sua concezione pianistica, Bach rappresenta l’alfa, Liszt è l’omega, il com- Paul Lewis Considerato dalla critica come uno dei migliori artisti della sua generazione, Paul Lewis, che si è formato con Alfred Brendel, ha ottenuto, fra i molti riconoscimenti, il premio della Royal Philharmonic Society come “Migliore strumentista dell’anno”, un Diapason d’Or e due Premi Edison, il 25° Premio Internazionale dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena, e tre Gramophone Awards. Tiene concerti in tutta Europa, Stati Uniti e Giappone nelle sale più prestigiose, tra cui la Wigmore Hall di Londra, la Toppan Hall di Tokyo, il Concertgebouw di Amsterdam, il Kennedy Centre di Washington e la Konzerthaus di Vienna. È ospite regolare dei festival più importanti, tra cui Lucerne Piano Festival, White Light Festival a New York, Tanglewood Festival, Schubertiade di Schwarzenberg, Festival di Salisburgo, Edinburgh International Festival e London BBC Proms. Ha suonato con le maggiori orchestre, fra cui tutte le compagini inglesi, la Los Angeles Philharmonic, l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia e la Mahler Chamber Orchestra, e con direttori come Haitink, von Dohnanyi, Sawallisch, Kitajenko, Davis, Harding. Ha tenuto una serie di concerti a New York, Chicago, Milano e Torino con la London Symphony Orchestra diretta da Sir Colin Davis, oltre ad un tour negli Stati Uniti con la Australian Chamber Orchestra. MI MUSICA INSIEME 41 Lunedì 20 gennaio 2014 pimento, il termine ultimo a cui tendere. Definizione tanto più calzante se rapportata al tardo Liszt, alle ultime, enigmatiche composizioni. L’ultimo Liszt presenta arditezze armoniche e ambiguità tonali sconosciute alle opere giovanili e a quelle della prima maturità. Sono musiche pervase da un senso di ansia e disperazione, che le discosta totalmente dal resto della sua feconda produzione. Liszt confessò all’amica Lina Ramann di sentire una profonda tristezza nel cuore, che prima o poi sarebbe dovuta erompere in suono. Al 1883 risale Schlaflos! Frage und Antwort (Insonnia! Domanda e risposta) R 79. La prima enunciazione del tema, ora incerta, ora nervosa, concentrata nel registro grave, nella tonalità di mi minore, simboleggia la ‘domanda’: il perché della morte. Ed ecco giungere la ‘risposta’, la redenzione, una melodia delicata, ma solenne, spostata sul registro acuto, nella tonalità di mi maggiore. Il tema utilizzato è il medesimo, quasi a suggerire che la risposta è già nella domanda: la morte come strumento della Salvezza. Due anni prima Liszt aveva composto Unstern (Sinistre. Disastro) R 80, dall’emblematico titolo trilingue. Diviso in tre sezioni, il brano inizia con frammenti melodici che si interrompono sul tritono, il lugubre intervallo per secoli chiamato “Diabolus in musica”, che gli conferisce da subito un’atmosfera funebre. Segue una serie di passaggi accordali, quasi squilli di tromba, sempre più incalzanti, per giungere nel finale ad una sezione in forma di corale, pensosa e vagante. Pochi mesi prima della morte di Richard Wagner (che aveva sposato la figlia di Liszt, Cosima, nel 1870), a Venezia, Liszt aveva composto La lugubre gondola: egli stesso rivelò di averla scritta in preda ad una sorta di premonizione. Due mesi dopo compose le due elegie Alla tomba di Richard Wagner e R.W. – Venezia R 82, il cui stile emula emblematicamente quello wagneriano. Una decina di anni prima Liszt aveva avuto occasione di studiare ed elogiare l’opera di un giovane compositore che, venuto a conoscenza del suo apprezzamento, scrisse ad un amico: «Chissà quanti DA ASCOLTARE Lo scorso febbraio, Gramophone ha segnalato come “Disco del mese” la sua registrazione di una scelta delle Sonate di Schubert, arricchita dai celebri Quattro Impromptus D 899 (Harmonia Mundi, casa per la quale il pianista inglese incide regolarmente). Dopo il lungo intermezzo beethoveniano, dunque Lewis torna a Schubert, dando vita ad un’incisione matura e coinvolgente. Schubert, che aveva affrontato realizzando una registrazione dei cicli liederistici Schwanengesang, Die schöne Müllerin e Winterreise assieme a Mark Padmore, oltre a un’antologia di duetti pianistici, partner questa volta Steven Osborne. Per trovare altre sonate del viennese bisogna tornare all’inizio della sua carriera, quando Lewis a Schubert dedicò le sue prime fatiche discografiche (inclusa un’incisione nel 2006 de La Trota, unica incisione cameristica assieme ai Quartetti con pianoforte di Mozart). Il resto è sostanzialmente Beethoven, di cui Lewis ha registrato l’integrale delle Sonate (in 10 cd) e dei Concerti per pianoforte (con la BBC Orchestra diretta da Bĕlohlávek). A Liszt ha dedicato un disco nell’ormai lontano 2005, dove, accanto ad un’antologia di brani tratti dalle ultime opere dell’ungherese, troviamo la Sonata in si minore. nuovi mondi mi si aprirebbero parlando con Liszt, per sua natura è coraggioso e probabilmente non avrebbe difficoltà a fare con noi un’escursione in nuove terre…». Il giovane compositore era Modest Musorgskij. Una settimana dopo aver scritto questa lettera, apprese la notizia della morte di Viktor Hartmann, artista a cui era legato da un solido rapporto d’amicizia. Visitando la mostra organizzata in suo onore l’anno seguente, il 1874, a San Pietroburgo, Musorgskij concepì una delle sue opere più conosciute, la suite per pianoforte Quadri di un’esposizione, suddivisa in quindici movimenti, ossia dieci quadri e cinque Promenades, le ‘passeggiate’ per spostarsi da un quadro all’altro. Dopo la prima Promenade, solenne e decisa, viene presentato il primo quadro, Gnomus, in cui rapidi passaggi, tremoli e scale si alternano a pause improvvise, a rappresentare i movimenti sospettosi della malvagia creatura. Segue la seconda Promenade, più pacata e riflessiva, che porta al secondo quadro, Il vecchio castello, che reca in partitura la dicitura “Andante molto cantabile e con dolore”: nell’Italia medievale, un trovatore intona il suo lamento amoroso davanti ad un maniero avvolto da un paesaggio malinconico. Una terza Promenade conduce il visitatore ancora turbato verso un nuovo quadro: Tuileries, il celebre parco parigino che ospita giochi infantili. Si accede poi al quadro successivo, Bydlo, il carro tipico dei contadini polacchi, il cui passaggio è raffigurato da accordi cadenzati che aumentano di intensità all’avvicinarsi dello spettatore, per poi divenire un’eco lontana. Dopo una breve Promenade viene presentato il quinto quadro, Balletto dei pulcini nei loro gusci, rappresentato da trilli e ritmi puntati. A seguire è il sesto quadro: Samuel Goldenberg e Schmuyle, in cui due temi, uno petulante e acuto e l’altro imperioso, corrispondono alle voci dei due personaggi. L’ultima Promenade conduce al settimo quadro: Limoges, il mercato, dove le contadine, sempre più concitate, cominciano a litigare. Completamente diversa è l’atmosfera del quadro successivo: Catacombe – Con i morti in una lingua morta. La prima sezione, statica e drammatica, introduce una seconda parte che allude alla discesa dello stesso pittore, Hartmann, nelle catacombe. Dopo il nono quadro, La capanna sulle zampe di gallina (Baba-Yaga), dalla terrificante atmosfera, si accede all’ultimo e più celebre, La grande porta di Kiev. Riferito al progetto di Hartmann stesso per le porte monumentali della città, in onore dello zar, riprende, solennizzandolo, il tema iniziale della Promenade, affiancandolo ad un secondo tema tratto da un inno ortodosso, in una sorta di celebrazione civile e religiosa della Russia di Alessandro II. Lo sapevate che... Lewis è stato il primo pianista nella storia dei BBC Proms a suonare tutti i Concerti di Beethoven in un’unica stagione. Il ciclo completo è stato ripreso dalla BBC Television 42 MI MUSICA INSIEME Lunedì 3 febbraio 2014 Fantasie a 4 voci Il Quartetto formatosi al Royal College di Londra quasi vent’anni fa approda per la prima volta a Bologna, con un tributo a due capisaldi della musica inglese di Daniele Follero I n omaggio all’Inghilterra, paese troppo spesso relegato dalla storia della musica ai margini della tradizione europea, il Belcea Quartet, formatosi per l’appunto a Londra, dedica alle proprie origini ‘istituzionali’ gran parte del programma di questo concerto. La scelta cade su due simboli della musica inglese di tutti i tempi, due autori tanto distanti cronologicamente, quanto vicini nella sensibilità musicale e nella maestria compositiva. Accomunati dalla passione per il teatro, fonte di successo per entrambi, Henry Purcell e Benjamin Britten (del quale ricorreva nel 2013 il centenario della nascita) più che due pietre miliari, rappresentano due parentesi che chiudono un discorso lungo quattrocento anni. Composte nel 1680, le Fantasie per consort di viole di Purcell sono contempora- Belcea Quartet nee alle sue Sonate. Ma, mentre queste ultime ci mostrano un compositore al passo con i tempi, attento alle evoluzioni del mondo musicale, le Fantasie, genere già ampiamente obsoleto all’epoca, volgono lo sguardo verso il passato dell’Inghilterra elisabettiana. Scritte in un arco di tempo molto breve, e per un numero crescente di parti, da 3 a 7 (le quattro scelte per questo concerto sono tutte a 4 voci), è probabile che fossero state concepite come un’unica sequenza, rimasta incompleta. Nello stile contrappuntistico di queste composizioni, dalla forma libera, Purcell guarda a John Dowland, William Byrd e Orlando Gibbons, più che ai suoi contemporanei. In contrasto con la musica celebrativa che ha contraddistinto il periodo della Restaurazione inglese, le Fantasie conservano il carattere intimo di una musica ‘privata’, domestica, che ri- Considerato dalla critica come uno dei Quartetti più interessanti del momento, il Belcea Quartet si è formato al Royal College of Music nel 1994, ricoprendo il ruolo di Quartetto Residente alla Wigmore Hall di Londra dal 2001 al 2006 e divenendo nel 2010 Ensemble Residente presso la Konzerthaus di Vienna. Si esibisce regolarmente nelle sale più prestigiose del mondo, tra cui Laeiszhalle di Amburgo, Concertgebouw di Amsterdam, Palais des Beaux Arts di Bruxelles, Victoria Hall di Ginevra, Auditorium Gulbenkian di Lisbona, Konzerthuset di Stoccolma, Carnegie Hall e Alice Tully Hall di New York, Sala Verdi di Milano e Théatre du Châtelet di Parigi. Il Quartetto partecipa ad importanti festival come la Schubertiade di Schwarzenberg e i Festival di Edimburgo, Cheltenham, Aldeburgh, Bath e Salisburgo, e collabora stabilmente con importanti artisti, quali Thomas Adès, Piotr Anderszewski, Thomas Quasthoff, Paul Lewis, Isabelle van Keulen, Menahem Pressler, Martin Fröst, Imogen Cooper, Ian Bostridge, Anne Sophie von Otter e Angelika Kirchschlager. Nella scorsa Stagione ha presentato l’integrale dei Quartetti di Beethoven nelle sedi europee più significative ed ha debuttato al fianco di Valentin Erben, del leggendario Alban Berg Quartet, ai BBC Proms di Londra. 44 MI MUSICA INSIEME corda altri tempi. La grandezza di Purcell è quella di riuscire, pur restando saldamente legato alla tradizione dei polifonisti inglesi, a mescolare la severità del contrappunto alla passionalità delle sue arie, le rigide strutture verticali dei suoni all’espressività delle linee melodiche. L’influenza di Purcell sulla musica di Benjamin Britten è ben nota, e non solo per la dedica esplicita nel Quartetto n. 2, composto in occasione del 250° anniversario della sua morte, o per gli elogi che il compositore del Peter Grimes non ha mai risparmiato nei confronti della sua fonte d’ispirazione. Lo stile di Britten, nell’utilizzo di forme e generi del passato, nella ricerca di un nuovo tonalismo, in netta opposizione allo sperimentalismo radicale delle avanguardie mitteleuropee, è proprio dalla musica di Purcell, da quel particolare incontro tra modernità, passionalità e stile severo, che si nutre maggiormente. Concentrato nella scrittura di opere per il teatro, sua maggiore fonte di fama e di guadagni, Britten tralasciò le composizioni per il quartetto d’archi per ben trent’anni. Tanto è il tempo che trascorre tra il Secondo e il Terzo, terminato nel 1975, un anno prima della sua morte, avvenuta il 4 dicembre dell’anno successivo. Il compositore non riuscì, quindi, ad assistere alla prima del suo ultimo Quartetto, eseguito il 19 dicembre dall’Amadeus String Quartet, per il quale era stato composto. Alla ricerca di un suono etereo, Britten scrive pagine di estrema delicatezza, in cui la tonalità è sospesa ma non scompare mai, lasciando fluttuare le melodie senza stringerle nelle maglie di rigidi schemi. L’esempio più chiaro di questa scrittura sono il primo e l’ultimo movimento. In LUNEDÌ 3 FEBBRAIO 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 BELCEA QUARTET CORINA BELCEA-FISHER violino AXEL SCHACHER violino KRZYSZTOF CHORZELSKI viola ANTOINE LEDERLIN violoncello Henry Purcell Fantasia in fa maggiore n. 6 Z 737 Fantasia in re minore n. 8 Z 739 Fantasia in mi minore n. 10 Z 741 Fantasia in sol maggiore n. 11 Z 742 Benjamin Britten Quartetto n. 3 in sol maggiore op. 94 Wolfgang Amadeus Mozart Quartetto in re maggiore KV 499 Hoffmeister Introduce Fulvia de Colle. Collabora da quindici anni alla direzione artistica di Musica Insieme, scrive di musica e traduce per Einaudi Editore Duets, la più astratta delle cinque parti, il compositore, come il titolo stesso suggerisce, gioca sulle possibilità dell’incontro tra due strumenti, innescando veri e propri confronti tra le quattro voci. Il finale è invece una Passacaglia (torna ancora una volta il riferimento alle forme della tradizione) che porta il sottotitolo “La Serenissima”, in omaggio a Venezia, città in cui è stato composto. Tra le chiare citazioni dalla sua ultima opera per il teatro, Morte a Venezia, e l’alternarsi di atmosfere rarefatte e improvvisi crescendo, l’effetto è ipnotico, così come straniante è la conclusione, lasciata volutamente sospesa. Un punto di domanda, un’altra “question”, dopo quella di Charles Ives, cui l’autore non ha dato risposta. Dei cinque movimenti di cui si costituisce il Quartetto, il secondo e il quarto hanno un carattere molto diverso dagli altri. Il ritmo MI MUSICA INSIEME 45 Lunedì 3 febbraio 2014 DA ASCOLTARE I due membri fondatori, la violinista Corina Belcea e il violista Krzysztof Chorzelski, provengono rispettivamente dalla Romania e dalla Polonia; il secondo violino e il violoncello sono francesi, e il Quartetto si è formato alla Royal Academy di Londra, per prendere poi definitivamente la ‘cittadinanza’ britannica. Non stupisce quindi che in ormai quasi vent’anni di vita more uxorio, il Belcea abbia saputo unire le quattro spiccate individualità (e radici) dei suoi componenti in una personalità unica e potente, esplorando ovviamente i quattro cantoni del quartettismo europeo. Ecco quindi la Gran Bretagna di Benjamin Britten, del quale il Belcea ha registrato l’integrale per EMI Classics già nel 2005; ma la lunga collaborazione con la storica major ha dato molti altri frutti, tra cui ancora un’integrale, quella di Bartók, e i Quartetti Dissonanzen e Hoffmeister di Mozart, quest’ultimo in programma anche per Musica Insieme. La più recente fatica discografica il Belcea l’ha dedicata alle origini del genere, con l’integrale dei Quartetti di Beethoven in due volumi, pubblicata nel 2012/13 con la nuova etichetta del gruppo, dal nome eloquente di ZigZag Territoires, e subito premiata con riconoscimenti come l’ECHO Klassik Award. incalzante, le stridenti melodie e la relativa brevità ne fanno quasi degli intermezzi, che racchiudono il movimento centrale (Very calm), il cuore pulsante di tutta la composizione, l’unico a prevedere una parte solista ben marcata, accompagnata da uno strumento alla volta. Apparentemente, in un omaggio all’Inghilterra, Mozart sembrerebbe quasi un pesce fuor d’acqua, eppure, il Quartetto n. 20 in re maggiore KV 499 un legame (mancato) con l’isola britannica ce l’ha. Il 1786 è un anno cruciale per il compositore di Salisburgo. I rapporti con il padre, malgrado l’affetto di fondo non sia mai venuto a mancare, cominciano seriamente a logorarsi. Leopold, titubante per gli esiti della carriera viennese del figlio, è sempre più preoccupato per le sue sorti. E non ha tutti i torti. I problemi economici, nonostante la fama indiscutibile e i buoni guadagni conquistati nella capitale austriaca, si fanno sempre più incalzanti. A partire dalla stagione quaresimale del 1876, la serie trionfale di concerti pubblici va esaurendosi, così come l’interesse per le sue opere comincia a scemare in un pubblico abituato ad appassionarsi alle novità. In questa situazione, Mozart, compositore ormai esperto e navigato, spazia tra i più svariati generi, spesso su commissione. E medita di lasciare Vienna. È proprio in questo pe- riodo di forte incertezza, ma anche di grande creatività (è l’anno delle Nozze di Figaro) che Wolfgang pensa all’Inghilterra e alla possibilità di costruirsi un futuro oltremanica. Ma l’idea naufraga o, meglio, l’attenzione del compositore si sposta più ad Est, verso quella Praga che accoglierà entusiasticamente il Don Giovanni, aprendo alla musica di Mozart nuovi confini. È in questo clima che nasce il Quartetto n. 20, anche conosciuto come Hoffmeister dal nome dell’amico editore (e creditore) per il quale fu scritto. Definito da Massimo Mila “una strana composizione”, il Quartetto Hoffmeister è il prodotto di una grande maestria nella costruzione, ma è caratterizzato da un’espressività timida, a tratti arida, difficilmente paragonabile ai colpi di genio mostrati in altri generi. Secondo Mila sarebbe proprio questo Quartetto l’esempio più chiaro dell’«arte mozartiana del luogo comune, quella sua provocatoria attitudine a cavare un discorso significante dalla combinazione di elementi convenzionali». Elegante, ma evasiva, la partitura si apre con un Allegretto che ne rappresenta perfettamente il carattere ambiguo, già dall’esposizione. La forza e la chiarezza del primo tema, invece di lasciare il posto al secondo, lo sovrastano, tanto da cancellarne i contorni. Alcuni elementi della prima idea tematica ritornano durante tutto il tempo dell’esposizione, come in una sorta di incontro tra la forma-sonata e il rondò. Il risultato è quello di donare una forte unità alla composizione, creando le condizioni per il germogliare di nuove idee, sul principio della variazione continua. E qui, il Mozart del “luogo comune”, lascia il posto al Mozart precursore di tecniche compositive che caratterizzeranno, solo molto più tardi, la musica romantica, da Beethoven a Brahms. Il materiale del primo tema prevale anche nello sviluppo, dove le sue parti principali si intersecano e dialogano tra loro, sfociando nella ripresa, in cui non si ravvedono cambiamenti di grande rilievo fino a quando la chiusa non diventa il pretesto per una poetica e intensa coda. Convenzione, eleganza e contegno sono i caratteri che meglio descrivono il Minuetto successivo, anch’esso un Allegretto, nella stessa tonalità del primo movimento. Anche qui, le voci sono spesso elaborate in stile imitativo, in particolare nella parte precedente il Trio, che con le sue terzine e i caratteristici trilli è stato definito da Einstein “un pezzo di vera stregoneria musicale”. Pacato, serenamente malinconico, simmetrico è l’Adagio. Anche qui la forma-sonata non esprime il suo tipico dualismo, in favore di un’omogeneità espressiva che permette a Mozart di elaborare entrambi i temi sino a fonderli insieme, senza che ciò renda incongruente o meno fluido il discorso musicale. In contrasto con l’andamento sognante dell’Adagio, l’Allegro finale irrompe con la sua vivacità e irrequietezza. La struttura, ancora una volta a metà tra la forma-sonata e il rondò, ricorda quella dell’Allegretto iniziale, con la differenza che qui si riconoscono almeno tre temi, la cui elaborazione comincia già nell’esposizione. La complessità delle trame di questo finale non è solo la conferma dell’attenzione che Mozart dedicava ai movimenti conclusivi (valga per tutti il Finale dell’ultima Sinfonia in do maggiore), ma la degna sintesi di un quartetto che vede proprio nell’arte dell’elaborazione la sua caratteristica principale. Lo sapevate che... Nel 2011 il Quartetto ha creato il “Belcea Trust”, per sostenere i giovani artisti attraverso intense masterclass e commissionare nuovi lavori ai principali compositori 46 MI MUSICA INSIEME Un violino gitano “Classico” e “popolare”, jazz e folklore si intrecciano nel progetto di Viktoria Mullova e Matthew Barley, che supera i confini tra i generi nel nome della buona musica di Fabrizio Festa N ell’affrontare il tema del crossover, contesto nel quale palesemente s’inserisce il programma presentato da Viktoria Mullova e da Matthew Barley, dovremmo sgombrare il campo da un convincimento comune, ma sostanzialmente errato. Si è soliti pensare, infatti, che il mescolare le carte, comunque lo si chiami (da fusion a crossover, appunto), sia una novità, o almeno sia un fenomeno artistico relativamente recente, da situare nella seconda metà del secolo scorso, ad esempio. Le cose non stanno così. La storia delle diverse arti c’insegna, al contrario, che mescolare le carte è di per sé l’attività dell’artista. Stranamente la purezza è sterile; ovvero, tanto più ci si allontani dalla mischia, si cerchi di provare a costruire strutture concettuali e formali totalmente autonome, ci si avvii su una strada che ideologicamente ha tutte le caratteristiche dell’integralismo, ebbene quello è il momento in cui la nostra arte comincia a morire. Ba- 48 MI MUSICA INSIEME sterebbe pensare a che ne è stato della breve stagione della “musica pura”. Qualche pezzo da camera (magari anche un capolavoro), un paio di sinfonie, ma alla fine ha prevalso la vita. Ha prevalso cioè la necessità dell’artista di essere nel e col suo tempo, magari anche rinunciando a certe esigenze o pretese, ma al tempo stesso trovando una dialettica con la storia e col quotidiano, elemento indispensabile al crescere dell’arte medesima. Del resto, la distanza tra “popolare” e “colto” è solo una distanza ideologica. È “popolare” l’ottavatore che improvvisa i suoi versi, formalmente impeccabili e magari anche esteticamente di pregio, ed al tempo stesso recita a memoria i grandi poemi, come la Commedia dantesca o l’Orlando dell’Ariosto? Oppure è “colto”, anche se numerosi erano i casi di poeti improvvisatori del tutto analfabeti? Fa la differenza l’aver appreso la propria arte sui libri, seguendo un corso accademico, oppure l’aver imparato semplicemente ascoltando il poeta o il musicista più anziano, secondo l’efficacissimo metodo della trasmissione orale del sapere? Due modalità queste che, ad esempio, nell’apprendimento della tecnica di uno strumento musicale si mescolano, in un sovrapporsi di scienza ed esperienza. Dunque, dove sta il confine? Nel cercarlo si giunge ad una semplice conclusione: tale confine non esiste. Il più ardito polifonista rinascimentale non disdegnava d’usare melodie tipicamente popolari. Viceversa, nella musica popolare troviamo molto spesso soluzioni complesse, intricate strutture, che nulla hanno da invidiare alla musica colta. In realtà, quel convincimento nasce come costola di un ragionare romantico intorno alla musica. In quell’ambito l’aggettivo “puro” suonava affascinante, salvo poi tutti i romantici dedicarsi con sollecito impegno alla musica applicata, specie se questa garantiva successo e denaro. L’opera lirica ne è l’esempio preclaro. Persino Wagner ha dovuto Lunedì 10 febbraio 2014 fare i conti col pubblico. E quando questo non è stato (si pensi alla stagione delle avanguardie), se ne è poi pagato lo scotto. L’arte esiste solo nella relazione con chi ne fruisce, altrimenti diviene uno sterile esercizio di stile. Certo, si può scegliere cosa mettere sul piatto della bilancia. Ma nel caso della musica l’interesse reale, pratico, concreto del compositore è la dif- fusione e quindi il successo dell’opera sua. Il che taglia i corni del dilemma, mettendo peraltro l’interprete nella fortunata condizione di non dover essere lui a scegliere, almeno in prima battuta. E l’interprete attuale ha un altro grande vantaggio: può scegliere in un repertorio sterminato. Così capita magari che si accostino Bartók e Zawinul (il leggendario compositore, pianista e tastierista, fondatore dei Weather Report insieme all’altrettanto leggendario sassofonista e compositore Wayne Shorter), peraltro entrambi formatisi nel milieu post-asburgico. Zawinul, val la pena rammentarlo perché il suo è un esempio di crossover genetico/culturale, nacque a Vienna nel 1932, città dove si è spento nel 2007. La sua era una famiglia di origine ungherese, con ramificazioni che si perdevano persino nel mondo Rom. Formatosi musicalmente nella città natale, solo nel ’59 Zawinul si trasferisce negli States. Pur divenendo uno dei protagonisti della scena jazz americana (basterebbe ricordarlo qui coi Jazz Messengers di Art Blakey o con il quintetto capitanato dai fratelli Adderley), non perde il suo sentire originario, che riemergerà in tutta la sua potenza allorquando incontrerà Miles Davis nel 1968, per poi trovare definitiva concretizzazione appunto nella fortunata vicenda artistica dei Weather Report. Una band, si badi bene, in cui l’elemento improvvisativo era strategicamente incorniciato nel contesto di composizioni complesse, articolate e di pregevolissima fattura. Questo spiega perché li si possa eseguire con grande facilità in un concerto cameristi- LUNEDÌ 10 FEBBRAIO 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 THE MATTHEW BARLEY ENSEMBLE The Peasant Girl MATTHEW BARLEY violoncello JULIAN JOSEPH pianoforte SAM WALTON percussioni PAUL CLARVIS percussioni VIKTORIA MULLOVA violino Bratsch Bi Lovengo John Lewis / Bratsch Django Béla Bartók Sette Duetti (trascrizione per violino e violoncello) Zoltán Kodály Duo per violino e violoncello op. 7 Weather Report Pursuit of the Woman with the Feathered Hat Matthew Barley / tradizionale Yura Weather Report The Peasant DuOud Per Nadia Introduce Viktoria Mullova co. Per dirla in breve: è tutto scritto (o quasi). Affatto simile la vicenda di John Lewis e del Modern Jazz Quartet, sebbene il profilo stilistico sia di tutt’altra natura. Anche in questo caso John Lewis, coadiuvato compositivamente dal talento del vibrafonista Milt Jackson, costruisce un’esperienza musicale in cui l’elemento accademico (evidente il riferimento a I protagonisti Dopo la vittoria della Medaglia d’oro al Concorso “Čajkovskij” di Mosca, nel 1982, Viktoria Mullova ha dato inizio ad una folgorante carriera, che l’ha vista calcare i palcoscenici più prestigiosi del mondo, al fianco di direttori ed orchestre di primo piano. Grazie alla sua versatilità, collabora con ensemble specializzati nei più diversi generi musicali e il suo spiccato interesse per la prassi esecutiva su strumenti originali l’ha portata ad esibirsi con Ottavio Dantone e Accademia Bizantina, Orchestra of the Age of Enlightenment, Giardino Armonico, Venice Baroque e Orchestre Revolutionnaire et Romantique. Al suo fianco, in The Peasant Girl, sarà Matthew Barley, violoncellista attivo con importanti orchestre ed apprezzato arrangiatore, nonché ideatore di progetti ‘trasversali’, fra cui Through the Looking Glass, che Musica Insieme già ospitò con successo nel 2000. Il suo Matthew Barley Ensemble affianca a violino e violoncello un duo di percussioni, affidate a Sam Walton e Paul Clarvis, e il pianoforte di Julian Joseph, compositore, divulgatore di successo (sua è la trasmissione Jazz Legends per BBC Radio) e fondatore nel 2013 di una propria Jazz Academy a Londra. MI MUSICA INSIEME 49 Lunedì 10 febbraio 2014 Bach) si fonde con quello jazzistico. Il risultato non è, come si potrebbe pensare, una sorta di ibrido. Al contrario, come sempre quando c’è mestiere e c’è talento, nasce qualcosa di nuovo, le cui diverse radici sono utilissime nell’alimentare proprio la novità di quell’esperienza. Django così ha una straordinaria melodia, che si sviluppa lungo una classicissima progressione, dal sapore bachiano, pur mantenendo un colore blues. O meglio, dovremmo dire “manouche”, visto che il brano, come esplicita il titolo, è dedicato al chitarrista belga, ma di etnia sinti, Django Reinhardt. Il che in qualche modo ci riporta a Bartók e Kodály, ovvero a quel mondo mitteleuropeo, in cui culture diverse erano appunto le radici di un unico albero sempreverde e ricco di ramificazioni. Dei due compositori vengono proposte pagine in un certo senso gemelle, nate per il duo di violini, o di violino e violoncello. Un duo quest’ultimo che non può contare su una vastissima letteratura, ma per il quale sono state scritte opere significative, come ad esempio la Sonata in do maggiore di Ravel, la Sonatina VI di Honegger o il Duo ︒ . Tra queste sta anche il Duo di Martinu op. 7 di Kodály (1882-1967), composto nel 1914, e da allora accolto sempre con grande successo dal pubblico, tanto da entrare stabilmente nel repertorio dei più grandi interpreti, come d’altronde dimostrano le numerose incisioni discografiche. La prima esecuzione averrà solo dieci anni dopo, nel 1924 a Salisburgo nell’ambito del Festival organizzato dalla Società Internazionale di Musica Contemporanea. Organizzato in tre movimenti secondo il canonico avvicendarsi di tempi veloci (il primo e l’ultimo) con l’adagio nel mezzo, nel primo di questi proprio la componente folklorica emerge con chiarezza. Meno evidente nel prosieguo della partitura, eccola riapparire nel Presto finale, brillantissima pagina che chiude in maniera travolgente questa pietra miliare della letteratura cameristica per soli archi. I 44 Duetti di Bartók (1881-1945), qui presentati in una selezione di sette nella tra- DA ASCOLTARE Oltre al recentissimo cd con i Concerti di Bach per Onyx Classical insieme alla Bizantina di Ottavio Dantone (che recensiamo più avanti in questo numero di MI), Viktoria Mullova e i ‘suoi’ hanno pubblicato nel 2011 un doppio cd (sempre Onyx) con l’intero progetto The Peasant Girl, che riuniva sotto la parola d’ordine “Music is Music” un microcosmo di note del ventesimo secolo, accomunate dal fatto di essere particolarmente care ai loro interpreti, ma soprattutto dalle loro evidenti influenze gypsy, ossia gitane e popolari. Come popolari sono le origini della strepitosa violinista, che vi sfodera con il suo Stradivari evoluzioni tecnico-zigane impeccabili, lasciandosi talora andare pure a qualche libertà improvvisativa (anche nei Duetti di Bartók per due violini, che Barley ha trascritto all’uopo per violino e violoncello). Una passione cui manca forse soltanto di ‘sporcarsi’ un po’ di più con quell’imperfezione estemporanea tipica della musica popolare. Tanto più ammirevole, anche per questo, è la curiosità dell’artista russa, che da sempre ‘osa’ sconfinare dal regno della classica, di cui è indiscussa sovrana, per esplorare le proprie origini (e ne dà conto anche con ricchi materiali e interviste il dvd Onyx The Making of The Peasant Girl) o inseguire le proprie passioni (con un cd in uscita, registrato a Rio e dedicato all’adorata musica brasiliana). scrizione per violino e violoncello di Matthew Barley, vengono composti nel 1931 per due violini allo scopo di fornire, analogamente a quanto realizzato con gli album pianistici raccolti nei diversi volumi del Mikrokosmos, brani per lo studio dello strumento già intenzionalmente orientati verso un’estetica moderna. Dunque non si tratta di pagine concertistiche, seb- bene da tempo ormai i Duetti siano stati invece inseriti nei programmi da concerto e nelle più diverse trascrizioni. Che l’interprete sia invogliato a presentarli in pubblico, e magari a farlo con un organico per esempio costituito da violino e fisarmonica, lo si comprende immediatamente scorrendo la lista dei titoli, prima ancora che ascoltando i singoli numeri. Si tratta nella maggior parte dei casi, infatti, di brevi e piacevoli pagine d’ispirazione popolare, nello stile del Danze Rumene e delle Danze Ungheresi, altre pagine notissime del compositore magiaro. Dunque, ancora una vicinanza al mondo gitano, e naturalmente a quel mondo popolare evocato nel titolo che Viktoria Mullova e Matthew Barley hanno inteso dare a questo loro concerto, e il cui significato crediamo a questo punto appaia chiaro al lettore: The Peasant Girl. Mondo al quale appartengono sia la musica dei Bratsch, una gipsy band francese, sia quella dello DuOud, duo costituito da due virtuosi nordafricani di oud, i fratelli Smadj e Medhi Haddab, in realtà formatisi nella Parigi degli anni ’90 e la cui musica fa largo uso dell’elettronica, molto amato com’è noto il mix elettro/folk anche negli ambienti della musica da intrattenimento. Lo sapevate che... Nella sua avventurosa fuga dall’URSS, nel 1983, Viktoria Mullova lasciò l’inestimabile Stradivari di proprietà dello Stato in una camera d’albergo di Kuusamo, in Finlandia 50 MI MUSICA INSIEME Foto Sarah Ferrara Tre sonate nel tempo Vincitore nel 2012 del Leeds International Piano Competition, il talento di Colli affronta la forma pianistica per eccellenza di Maria Chiara Mazzi 52 MI MUSICA INSIEME “S onata” è una parola straordinaria, dentro la quale stanno tre secoli di storia, stanno mondi incredibili e quasi inconciliabili, stanno intere civiltà musicali, stanno più o meno tutti gli autori, grandi e piccoli, che rappresentano la galassia della ‘classica’. Eppure è la parola più semplice del mondo, perché all’inizio questa parola vuole, semplicemente, dirci che il brano va “suonato” (e non cantato…), senza nessun’altra implicazione formale, contenutistica o estetica: e le sue radici affondano nell’origine stessa della musica strumentale d’arte, nel Rinascimento, quando non c’era stato il tempo di inventare generi e forme nuove e si decise di partire dalla musica vocale, da una canzone, semplicemente decidendo di suonarla anziché di cantarla. La canzone “da sonar” è un brano solo, fatto però di tanti pezzetti che si susseguono senza soluzione di continuità, ma diversi e contrastanti tra di loro per carattere, scrittura e velocità. È insomma una sorta di pangea musicale le cui ‘zolle’ (per proseguire con la metafora geologica) già nel corso del Seicento cominciano a separarsi: le varie sezioni si staccano, si allungano nella durata, cominciano ad assumere una identità se non ancora formale almeno funzionale, mantenendo forse una memoria ancestrale di quella unità primigenia. E inizia così, a fine Seicento, la storia meravigliosa che conosciamo, scritta dapprima da gruppi piccoli e grandi di strumenti e poi, dall’inizio del secolo successivo fino ad oggi, anche dalla tastiera (prima dal clavicembalo e poi dal pianoforte). Ma la storia non finisce qui, anzi, forse qui ricomincia: se all’inizio i vari ‘tempi’ (perché questo sono diventate nel frattempo, a tutti gli effetti, le ‘zolle’ musicali originarie di questa strana tettonica inventata da noi) cercano di differenziarsi nel modo più radicale possibile, piano piano nel corso dell’evoluzione della forma della sonata, da Beethoven in poi, sembra riemergere un’antica memoria, sembra che quella unità iniziale cerchi a poco a poco di ricostituirsi malgrado i compositori, nonostante la storia e le necessità espressive ed estetiche. Tale è questa spinta che gli ultimi approdi, i più originali in questo senso (pensiamo, fra tutti, alla Sonata di Liszt) Lunedì 24 febbraio 2014 riusciranno con straordinaria efficacia a ‘ricostruire’ quell’unione tra le parti, a far sì che i ‘tanti’ tornino ad essere ‘uno’, dopo avere compiuto un viaggio tra i più straordinari che si possano mai descrivere nella storia della musica. I brani affiancati nel programma di questo concerto ci raccontano la prima e la seconda parte della storia: da Mozart, nelle cui sonate i vari tempi hanno una fisionomia caratteristica, attraverso Beethoven e Schumann, con brani nei quali la forma ciclica cerca di recuperare l’unità nella differenza. Sulla scia del primo gruppo di sonate di Haydn, sotto l’influsso prima dello stile ‘galante’ e poi di quello ‘sensibile’ (di Johann Christian Bach), nascono le prime sonate per pianoforte, composte da Mozart nel 1774 a Salisburgo prima della sua partenza per Monaco, che risentono degli influssi musicali centroeuropei e italiani. Non solo, la Sonata KV 283, come le altre di quegli anni, rispecchia oltre alle esigenze retoriche della struttura narrativa, il gusto dei ‘consumatori’, ancora prevalentemente dilettanti, che a quel tipo di repertorio si avvicinavano e al quale esso era destinato. È pieno di galanterie e riverenze infatti il tema principale del primo tempo; un piccolo inciso elegante che si ritrova, associato ad una buona quota di calma malinconia, anche nel movimento centrale e si fa sentire persino nella rapidissima sezione conclusiva della sonata. Certo, non possiamo ancora parlare di “sonata ciclica”, ma un filo sottile che lega i tre tempi prova a farsi strada, appena appena, tra le meraviglie della fantasia mozartiana che straborda anche in questa se pur piccola pagina. Non scrive più per i dilettanti, e quasi nemmeno per gli esecutori ‘di media forza’ il Beethoven delle sonate di mezzo, quello che produce, all’inizio del nuovo secolo XIX, monumentali capolavori. Complice un nuovo e più potente pianoforte, egli non accetta più passivamente la forma della sonata come dato acquisito nel quale collocare idee musicali logicamente ordinate, ma un mezzo per esprimere una personalissima visione del mondo, nel quale visualizzare conflitti, opposizioni e risoluzioni di essi, caricata dal di dentro di contenuti e motivazioni che per i compositori precedenti e coevi non LUNEDÌ 24 FEBBRAIO 2014 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 FEDERICO COLLI pianoforte Wolfgang Amadeus Mozart Sonata in sol maggiore KV 283 Ludwig van Beethoven Sonata in fa minore op. 57 Appassionata Robert Schumann Sonata in fa diesis minore op. 11 Introduce Maria Chiara Mazzi, docente al Conservatorio di Pesaro e autrice di libri di educazione e storia musicale Federico Colli Perfezionatosi presso l’Accademia Internazionale di Imola e il Mozarteum di Salisburgo, Federico Colli ha ricevuto il Primo Premio al Concorso Internazionale “Mozart” di Salisburgo nel 2011 e il Primo Premio con Medaglia d’oro al prestigioso Concorso pianistico di Leeds nel 2012, suonando il Quinto Concerto di Beethoven con la Hallé Manchester Symphony Orchestra diretta da Sir Mark Elder. Si è esibito assieme a compagini di primo piano, quali l’Orchestra Sinfonica di Roma e l’Orchestra dell’Arena di Verona, sotto la direzione di LucBaghdassarian,Nicola Paszkovski, Pier Carlo Orizio e Francesco Lanzillotta. Ha calcato importanti palcoscenici internazionali, come la Musashino Cultural Hall di Tokyo, la Sala del Musikverein di Vienna, la Sala Verdi di Milano, la Kursaal Arena di Berna, la Konserthuset di Stoccolma, la Salle Cortot di Parigi. Nel 2011 è stato impegnato in un tour di concerti in Germania con la Klassische Philharmonie Bonn, diretta da Heribert Beissel. È stato premiato come “Musicista dell’anno” 2011, per aver dato prestigio internazionale alla città di Brescia. MI MUSICA INSIEME 53 Lunedì 24 febbraio 2014 erano nemmeno immaginabili. In questo senso egli opera da subito alcuni mutamenti formali radicali: il progressivo dilatarsi delle proporzioni si associa infatti ad una quasi fisiologica riduzione della lunghezza e del numero dei temi, spesso solo semplici scansioni ritmiche o elementari espressioni armoniche, che però si ripropongono opportunamente trasformati nei diversi movimenti, nella ricerca di una nuovissima (o antica?) unità. Questo accade nella Sonata op. 57 – Appassionata (il sottotitolo apparve nell’edizione di Cranz del 1838), composta nel 1803, opera monumentale costruita su un numero limitatissimo di elementi sintattici e musicali, al punto da poter essere definita ‘ciclica’, cioè basata su un unico tema che ritorna in ogni movimento, il cui aspetto è sempre differente perché soggetto a mutazioni continue. Il tema iniziale, quello che tornerà anche alla fine della sonata, altro non è infatti che la successione delle note dell’accordo di fa minore (la tonalità della sonata), esposte prima in senso discendente poi ascendente, ma così caratterizzate espressivamente e timbricamente da determinare il clima emotivo dell’intera composizione. E persino il bitematismo, struttura portante della filosofia compositiva beethoveniana, diventa secondario rispetto ad una ricerca di unità che ricava il secondo tema del primo movimento direttamente dal primo, rovesciato e trasportato in tonalità maggiore. Al posto del tradizionale Adagio, la sonata propone una serie di variazioni il cui tema, privo di qualsiasi lusinga melodica, è in realtà una pura astrazione armonica. «Non so se nella musica vi sia un’altra creazione della stessa monumentale semplicità – scrive Riezler – costruita sui soli elementi fondamentali dell’armonia, in cui qua e là affiorano brevi figurazioni melodiche. Una creazione che, nonostante la sua efficacia spirituale, sgorga incomparabilmente ed è giustamente considerata una delle grandi conquiste della musica di ogni tempo». Dalla conclusiva riproposta del tema iniziale si diparte poi un brevissimo interludio che collega direttamente que- DA ASCOLTARE La discografia di Federico Colli si arricchisce di anno in anno di nuovi interessanti tasselli. Nel 2009, in duo con il violoncellista Alberto Casadei, con il quale si è aggiudicato il primo premio al Concorso Internazionale di Musica da Camera “Gaetano Zinetti” di Verona, ha inciso un disco con musiche di Beethoven, Brahms e Debussy. Prodotto dal Concorso, con il patrocinio della Fondazione “Antonio Salieri”, ed edito da Azzurra Music ed Edizioni Michelangeli, il cd è stato distribuito in allegato alla rivista Suonare News, riscuotendo grandi consensi da parte della critica e del pubblico. Dopo l’incisione di un cd solistico con musiche di Mozart, Beethoven e Ravel (Tonstudio Universität Mozarteum, 2010), insieme alla Klassische Philharmonie Bonn diretta da Heribert Beissel, Colli ha registrato dal vivo il Quinto Concerto op. 73 per pianoforte e orchestra di Beethoven, alla Beethovenhalle di Bonn (2011). Per l’etichetta inglese Champs Hill Records, dopo la sua vittoria al “Leeds”, è iniziata infine la preparazione di un cd che verrà lanciato nella primavera del 2014, in occasione del suo debutto alla Queen Elizabeth Hall di Londra. Conterrà la Sonata n. 10 op. 70 di Skrjabin, Quadri di un’esposizione di Musorgskij e l’Appassionata di Beethoven, che ascolteremo anche nel suo concerto per Musica Insieme. sta sezione alla tremenda inesorabilità del Finale. E di nuovo l’inciso costruito sulle note dell’accordo di tonica che aveva caratterizzato l’inizio della sonata torna protagonista, trasformato in un angosciante ‘moto perpetuo’ senza contrasti tematici (fatti salvi alcuni blocchi accordali) fino alla scarica di terribile tensione del Presto conclusivo. Attraverso la forma ciclica, splendidamente e originalmente intrecciata con un andamento rapsodico che gli consente di uscire dalla ‘collezione di piccoli pezzi’ che aveva caratterizzato il suo catalogo fino a quel momento, Schumann approda alla grande forma e lascia il suo segno nel percorso della sonata alla ricerca della sua unità originaria. La Sonata op. 11, la prima e forse la più significativa delle tre per la qualità della scrittura e la quantità di sentimenti e di atteggiamenti che vi sono espressi, è da questo punto di vista esemplificativa. Costruita per aggregazione in momenti diversi e addirittura da brani diversi, essa recupera unità e saldezza dall’assunto filosofico dal quale nasce (“dedicata a Clara da Florestano ed Eusebio”) nel 1834. La forma della sonata, infatti, col suo passato di ‘grande pezzo’ consentiva a Schumann di rendere unitaria la frammentarietà, di collegare gli opposti, di costruire in gran- de partendo da piccoli elementi, di unificare stati d’animo divergenti e momenti psicologici e musicali apparentemente contraddittori. Recuperare quella forma, quindi, per Schumann non significa adagiarsi su modelli abituali per il pubblico e la società dell’epoca, ma tornare indietro fino alla concezione unitaria beethoveniana e, attraverso quella, tendere ancora una volta a quella unità originaria della quale stiamo parlando dall’inizio di questo percorso. Un discorso estetico che si svolge qui su due piani apparentemente distinti che si ricongiungono nella sfera elevatissima dell’arte pura: da un lato c’è la straordinaria conoscenza virtuosistica dello strumento, del quale il musicista sfrutta tutte le possibilità tecniche, dall’altra troviamo la poeticità delle idee tematiche e l’irruenza della passione, che mostrano come Schumann incarni in modo davvero incomparabile tutte le idee e le contraddizioni, gli aneliti e le angosce del romanticismo. Non a caso uno dei più grandi ammiratori di questa pagina (proposta per la prima volta in concerto da Clara nel 1837) sarà proprio quel Liszt cui si dovrà il completamento del viaggio, la ricomposizione (quasi in un ‘big bang’ al contrario) di tutte le parti dell’universo-sonata in una sola grande struttura unitaria. Lo sapevate che... Nel 2010, insieme al violoncellista Casadei, Colli si è qualificato finalista al popolare programma “Italia’s got Talent”, offrendo al pubblico una rilettura del Volo del calabrone 54 MI MUSICA INSIEME PER LEGGERE Antonio Bonacchi Che lavoro fai? Il violinista. Sì, ma di lavoro….? (Curci, 2012) Con un titolo irriverente, e con l’illuminante sottotitolo “Arte, mestiere, misteri del suonare il violino”, è uscito per i tipi dell’editore Curci il volume di Antonio Bonacchi, con la prefazione di Marco Fornaciari. È una bella pubblicazione, ricca di notizie, di curiosità e corredata da numerose foto a colori. L’autore, personaggio eclettico e con interessi multiformi (nel libro si presenta in questo modo: «sono babbo a giorni alterni, scrittore della domenica, violinista per passione, liutaio e archettaio per diletto, tornitore autodidatta, informatico per necessità, imprenditore per divertimento, inventore per passatempo, cuoco per amicizia») ha raccolto una miniera d’informazioni. Alla fine il profano uscirà arricchito dalla lettura di un “dietro le quinte” dello strumento di solito non facilmente reperibile, mentre il musicista, soprattutto quello alle prime armi, troverà tante notizie utili. Dando per scontato che dello strumento sappia tutto (tecnica, costruzione e manutenzione), leggerà come scrivere un curriculum, come vestirsi per un concerto e altro ancora. Simpaticissimi anche i ricordi dell’apprendistato violinistico dell’autore. Franz Werfel Verdi. Romanzo dell’opera (Corbaccio, 2013) Werfel riuscì a mettere la parola fine su Verdi. Romanzo dell’opera nell’estate 1923. Il romanzo, il primo dello scrittore e poeta austriaco naturalizzato statunitense, è un’opera dalla scrittura elegante e un documento di notevole interesse in quanto, con sensibilità mitteleuropea, buona cultura musicale, notevole capacità di mescolare verità storica e finzione, Werfel consegna al lettore un indimenticabile quadro, ambientato nell’inverno 1882-83, quando Giuseppe Verdi si trova a Venezia. Ufficialmente ha lasciato l’affetto della sua seconda moglie, il soprano Giuseppina Strepponi, per dare l’ultimo saluto all’amico Vigna, ormai moribondo. Questo, però, è solo un alibi. In realtà, il Maestro, ormai settantenne, ha compiuto il lungo viaggio perché sa che lì troverà Richard Wagner, con cui ‘compete’ a distanza da una ventina d’anni, colui al quale la sua musica è sempre contrapposta, una sorta di ‘ossessione’. Werfel dipinge un compositore forte e un po’ scontroso. Il suo è un Verdi eroico, forte, risoluto e, nello stesso tempo, incerto sul proprio futuro. Un romanzo d’atmosfere, d’inquietudini e di confronti sul terreno della musica, perfetto per concludere l’anno verdiano. 56 MI MUSICA INSIEME di Chiara Sirk PAGINE MULTICOLORI Una raccolta di recensioni, critiche, riflessioni che percorre trasversalmente il mondo della classica, un dietro le quinte con il violino protagonista, e un ritratto d’autore di Giuseppe Verdi, ripubblicato per il duecentesimo dalla nascita del compositore Interessante è sfogliare il più recente volume di Mario Bortolotto, Fogli multicolori (Adelphi, 2013), immergersi nella bella prosa, nella ricchezza di considerazioni, nella dovizia di citazioni colte che l’autore diffonde generosamente, esserne travolti, perfino. Onore all’autore, ma, ugualmente, diamo merito ad un quotidiano nazionale per aver lasciato ampio spazio (come ormai raramente accade) alle lunghe, talvolta lunghissime – giornalisticamente parlando – riflessioni di Bortolotto. Perché di questo si tratta: il volume raccoglie una scelta di articoli usciti nel corso degli ultimi anni. Critica musicale, dunque, di altissima qualità, che segue strade sue, a volte prevedibili (un’esecuzione), a volte inaspettate (un ricordo). Il libro è dedicato ad Anna Ottani Cavina, storica dell’arte bolognese, direttrice della Fondazione Federico Zeri, quasi a sottolineare la capacità dell’autore di percorrere in modo trasversale se non tutti, certamente molti sentieri dello scibile. Da Händel ad Ives, da Monteverdi a Debussy, fino ad arrivare al Novecento avanzato, con Ligeti e Stockhausen, l’autore, come il viandante schubertiano, esplora la musica con acribia, piacevolmente in controtendenza con le frettolose cronache di tanti. In queste pagine non c’è mai spazio per l’ovvio, scordiamoci la banalità del già noto e sentito; qui troveremo considerazioni nuove, cri- tiche, provocatorie, a volte. «Nuovo invito all’attraversamento della musica per aspera ad astra», proclama l’editore nel risvolto di copertina, ed in effetti, per quanto detto in modo un po’ altisonante, accade proprio così. Leggere Bortolotto è un bell’esercizio, fa bene alla mente, suscita irritazione, anche, non lascia mai indifferenti. Se a questo aggiungiamo la pluralità degli autori e delle epoche trattate, tale da accontentare il pubblico più vasto, l’interesse del volume balza subito agli occhi. Spicca l’altezza delle pagine legate al pianoforte attraverso gli esponenti massimi della sua storia (si pensi alle analisi dedicate a Prokof ’ev o Schumann). Da segnalare, per capacità d’invenzione, i titoli apposti alle critiche del volume: “Idillio polacco” (Szymanowski), “Lo zoo di Praga” (Janáček), “Malleabilità del genio” (Ravel). Uno studio particolare è dedicato a Charles Ives (“Sinfonie per il nuovo mondo”), compositore cui Bortolotto ha sempre rivolto un’attenzione privilegiata. Così, volteggiando fra i ritratti di Händel (gigante di “stile e noia”), di de Falla (“musicista... per grazia celeste”), di Henze (“samurai borghese”) ci si accorge quale esercizio intellettuale, più che sentimentale, sia necessario per la comprensione del mondo della musica. Mario Bortolotto Fogli multicolori (Adelphi, 2013) DA ASCOLTARE di Lucio Mazzi INCONTRI SONORI Due grandi incontri: quello fra Viktoria Mullova e l’Accademia Bizantina, e quello fra Maria João Pires e Antonio Meneses. Conclude la trilogia il nuovo cd chopiniano di Rafał Blechacz Antonio Meneses, Maria João Pires The Wigmore Hall Recital (Deutsche Grammophon, 2014) Quasi due anni ci hanno fatto attendere questo cd! L’album documenta infatti un concerto tenuto a Londra nel gennaio del 2012 dal grande violoncellista brasiliano Antonio Meneses sul palco con l’eccellente pianista portoghese Maria João Pires: primo momento del sodalizio tra i due, coronatosi lo scorso novembre anche sul palco dei Concerti di Musica Insieme. Il programma, oltre a brani di Brahms, Mendelssohn e Bach, presenta (come a Bologna) il celebre Arpeggione di Schubert in un’esecuzione da annali. Quello che colpisce in queste esecuzioni è che, come troppo raramente capita, si ha fin da subito l’impressione di trovarsi di fronte a due splendidi solisti in grado di compenetrare a vicenda la propria tecnica e la propria sensibilità, e non a un solista e al suo pur validissimo ‘accompagnatore’. Cosa in cui, forse, l’esperienza di Meneses nel Beaux Arts Trio deve aver giocato un ruolo determinante. Del resto, se la carriera dei due musicisti ci racconta come siamo davanti a due dei maggiori solisti di questo tempo, d’altra parte non è scontato che dall’incontro di due grandi esecutori scaturiscano grandi momenti. In questo cd, semplicemente, succede. Rafał Blechacz Chopin Polonaises (Deutsche Grammophon, 2013) Affrontando un repertorio di questo tipo (straconosciuto, straamato, straeseguito), un musicista deve avere in testa l’idea di creare qualcosa che rappresenti un nuovo paradigma, un nuovo punto di riferimento. Il problema è che, inseguendo quella chimera, a volte si rischia di perdere il senso e lo spirito originario della pagina eseguita. Ad esempio, nel caso di Blechacz alle prese con sette Polacche, una delle quali è la Polonaise-Fantaisie, alcune scelte (l’uso forse eccessivo del pedale, soluzioni ritmiche azzardate, un’irruenza cui a volte sarebbe preferibile una maggiore dinamica) non convincono appieno: frutto di istinto o di precisa volontà? Non è dato saperlo: poco importa. La tecnica è sempre cristallina, non è certo questo il punto. Il punto attiene al gusto personale: se di questi brani apprezzate esecuzioni più misurate (Pollini, Rubinstein), semplicemente è facile che amerete meno i momenti in cui Blechacz, qui, tende a fare ‘la voce grossa’. Sarà lecito, per una volta, parlando di un album, partire… dalla copertina? In certi ambiti musicali la copertina era fondamentale, faceva parte del ‘progetto’, nella musica classica molto meno, ma questo bellissimo ritratto di Viktoria Mullova… parla. E dice tantissimo. Dice che la musica non è solo passione e istinto, ma anche rovello, ripensamento, dubbio, studio. Lo sappiamo, forse, ma è giusto ricordarlo, anche perché non si raggiunge il risultato di cui possiamo godere in questi solchi senza tutto ciò. Tanto più se, come in questo caso, ci si confronta con un repertorio eseguito e inciso centinaia e centinaia di volte, un repertorio affrontando il quale ogni musicista probabilmente pensa che occorrerà pur inventarsi qualcosa di nuovo... Dunque qui abbiamo i Concerti bachiani BWV 1041 e 1042 per violino, che la violinista russa riprende con uno strumento barocco (e corde di budello) a una decina d’anni dall’incisione (con strumenti moderni) per la Philips. Cambia il suono: certamente più morbido, si sposa perfettamente con la ‘voce’ dell’Accademia Bizantina, senza prevaricare: abbiamo un solista poco egocentrico, quindi: primus inter pares, si direbbe. Ai due concerti, Mullova e Dantone, brillantissimo sia al clavicembalo che sul podio del suo mirabile ensemble, hanno abbinato due trascrizioni per violino in qualche modo inaspettate (certo non irriverenti, del resto era lo stesso Bach a rimaneggiare sovente il proprio materiale per altre composizioni): quella del Concerto per clavicembalo BWV 1053 in mi maggiore (che poi la violinista ha trasposto in re maggiore) e quella del Concerto BWV 1060 in do minore per due clavicembali (ma originariamente per violino e oboe), divenuta per clavicembalo e violino. Nello splendore generale segnaleremo l’eloquenza delle frasi musicali nel Siciliano del primo, e l’Adagio del secondo nel quale, addirittura, la versione violino-clavicembalo appare più brillante di quella per due cembali. L'ultima annotazione è una domanda: perché in un disco inciso anche da prestigiosi musicisti italiani, le note di copertina scritte da un italiano (Dantone) sono in inglese, tedesco e francese, ma non in italiano? Viktoria Mullova, Ottavio Dantone, Accademia Bizantina Bach Concertos (Onyx, 2013) 58 MI MUSICA INSIEME CONFABITARE AMMINISTRA ANCHE IL TUO CONDOMINIO PER INFORMAZIONI Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278 Editore Fabrizio Festa Direttore responsabile Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Marco Fier, Cristina Fossati, Roberto Massacesi, Alessandra Scardovi In redazione Elisabetta Collina, Valentina De Ieso, Alessandro Di Marco, Daniele Follero, Maria Pace Marzocchi, Lucio Mazzi, Maria Chiara Mazzi, Anastasia Miro, Giordano Montecchi, Bianca Ricciardi, Chiara Sirk, Mariateresa Storino Hanno collaborato Kore Edizioni - Bologna Grafica e impaginazione Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna) Stampa Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000 Musica Insieme ringrazia: BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ADRIATICA, COSWELL, FATRO, FONDAZIONE CAMST, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION, M. 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