4 - KIERKEGAARD La riscoperta di Kierkegaard Esistenza e sistemi filosofici Le categorie dell’esistenza Scelte di vita e cristianesimo Scelta e angoscia 3 - Kierkegaard “ La scelta e l’angoscia” Aut – Aut: scelta e personalità Il concetto dell’angoscia AA.VV. - Lettori di Kierkegaard nel Novecento Progetti di vita, modelli di personalità L'uso degli pseudonimi come maschere della verità LA RISCOPERTA DI KIERKEGAARD Ignorata o misconosciuta dal pensiero del suo tempo, duramente avversata negli ambienti culturali ed ecclesiastici conservatori, l'opera di Soren Kierkegaard (1813-1855)1 è stata riscoperta solo nei primi decenni del secolo scorso. Dapprima Karl Barth e altri teologi protestanti hanno colto nei testi del pensatore danese un'originale e potente ripresa dei contenuti più inquietanti del messaggio cristiano - dal principio dell'inattingibile trascendenza del divino a quello della costitutiva finitudine e peccaminosità dell'umano. Successivamente l'esistenzialismo europeo, da Heidegger a Sartre, ha riconosciuto in Kierkegaard uno dei propri padri ideali: per l'innovatrice riabilitazione della categoria della singolarità e (appunto) dell'esistenza, per la vigorosa analisi dell'uomo come soggetto irriducibile e concreto, per la riconduzione della riflessione filosofica a meditazione sull'essere umano, colto nel suo conflitto tra la dolorosa coscienza dei propri limiti e l'inesauribile tensione verso il trascendimento di sé. Se fin dagli anni '30 la storiografia filosofica individuava in Kierkegaard uno dei più significativi avversari del razionalismo hegeliano e una delle sorgenti primarie di una filosofia radicalmente anti-idealistica, una parte cospicua del pensiero contemporaneo ha scorto nei testi kierkegaardiani la testimonianza di un travaglio esistenziale e morale che ha pochi uguali nella storia della modernità. Non è un caso che opere come Aut-Aut e il Diario di un seduttore, il Concetto dell'angoscia e la Malattia mortale abbiano avuto una risonanza assolutamente eccezionale non solo all'interno del dibattito filosofico e teologico novecentesco, ma anche entro il più vasto orizzonte letterario, scientifico e artistico. Scrittori come Kafka e Gide, psichiatri come Binswanger e Laing, registi cinematografici come Dreyer e Bergman hanno variamente riconosciuto i loro debiti nei confronti di un pensatore di cui Thomas Mann ebbe a sottolineare un giorno la grande audacia intellettuale «nello spingersi fino agli estremi della psicologia». Aut-Aut (1843) * Timore e tremore (1843) Briciole di Filosofia (1844) Il concetto dell'angoscia (1844) * Stadi sul cammino della vita (1845) La malattia mortale (1849) Esercizio di cristianesimo (1850) Diario (postumo, iniziato nel 1834) a - ____________________________ per:______________________________ b - _______________________________ per: ______________________________ __________________________________ c - _______________________________ __________________________________ LE OPERE DI KIERKEGAARD * vedi lettura 1 Per la vita di Kierkegaard vedi pag. 89. 69 Soren A. Kierkegaard è, insieme con Schopenhauer, il grande avversario della filosofia idealistica. Egli nacque nel 1813 a Copenhagen in Danimarca, ove si formò nel clima di una rigida religiosità in cui era forte il senso del peccato. Da suo padre, che era già anziano quando egli venne al mondo, ereditò una profonda malinconia religiosa. Si laureò all'età di ventotto anni, con una tesi intitolata “Sul concetto di ironia con particolare riguardo a Socrate”, in cui criticava l'ironia dei romantici intesa come gioco e illusione. A questa forma di ironia, egli contrapponeva quella di Socrate, il quale la considerava un mezzo per condurre i suoi interlocutori a scoprire la drammatica serietà della vita. Sin da questa prima opera, Kierkegaard, contrapponendo la futile illusione dei romantici al severo richiamo morale di Socrate a vivere onestamente, si rivela un pensatore esistenziale, interessato cioè a concentrare la riflessione filosofica sull'esistenza. In questo contesto, si capisce l’interresse giovanile per Socrate, l'uomo che, condannato ingiustamente a morte dal tribunale ateniese, rifiutò la fuga (che, invece, gli era stata suggerita dagli amici, e forse anche dalle stesse autorità) e accettò con coraggio la morte. Nella figura di Socrate possiamo già scorgere alcuni dei temi centrali della riflessione kierkegaardiana, quali la necessità della scelta, la filosofia intesa non come costruzione concettuale astratta, ma come riflessione sulle condizioni e sul significato della propria esistenza e come impegno personale in base al significato che ad essa si attribuisce. In una confessione giovanile del suo Diario, Kierkegaard scrive: “Ciò che in fondo mi manca è di veder chiaro in me stesso, di sapere ciò che io devo fare e non ciò che devo conoscere, se non nella misura in cui la conoscenza ha da precedere sempre l’azione. Si tratta di comprendere il mio destino, di vedere ciò che in fondo Dio vuole che io faccia, di trovare una verità che sia una verità per me, di trovare l'idea per la quale io voglio vivere e morire.” (Diario 1835) Ecco, dunque, il concetto chiave della riflessione di Kierkegaard che aborriva l'idea che un giorno il suo pensiero potesse diventare un capitolo di un manuale di storia della filosofia, spiegato noiosamente a recalcitranti allievi. Che senso avrebbe, si chiede il giovane Kierkegaard, ingolfarmi nei sistemi dei filosofi? Scoprire qualcuna di quelle cosiddette verità oggettive? Sviluppare, ad esempio, una dottrina della conoscenza o una teoria dello Stato? Quale vantaggio avrei io egli aggiunge - da una verità che si imponesse nuda e fredda davanti a me, indifferente alle esigenze più intime della mia anima? No. Quello che interessa il giovane filosofo è riflettere sulla propria condizione esistenziale, metterne in luce tutta la problematicità, accettarne l'irrazionalità e le contraddizioni: «di ciò ha sete ora egli scrive - l'anima mia, come i deserti africani sospirano l'acqua» (ivi). Nel 1841 ascoltò le lezioni di Schelling a Berlino, ove era dominante il clima idealistico ed hegeliano (anche se Hegel era morto da dieci anni). Quello che sconcertò il giovane Kierkegaard fu la considerazione che il sistema idealistico si sforzasse di dare una risposta totale e definitiva a ogni possibile questione. Ma in realtà, osserva Kierkegaard, l'idealismo era interessato solo alla verità oggettiva, non alle verità importanti per il singolo individuo. In breve, Hegel aveva dimenticato di essere un uomo concreto, mentre si affannava a elaborare concetti astratti e lontani dalla vita. Hegel prendeva in considerazione solo l'idea di umanità; al contrario, sostiene Kierkegaard, quello che conta è la persona nella sua singolarità, unicità e irripetibilità. In effetti, la polemica anti-hegeliana costituisce il leit-motiv della filosofia di Kierkegaard, secondo il quale i sistemi idealistici non sono interessati a descrivere l'esistenza reale, ma solo quella concettuale. Si legga il seguente epigramma di Aut-Aut, particolarmente incisivo: «Quando si sentono i filosofi parlare di realtà, si è tratti in inganno come dal leggere su un cartello nella vetrina di un rigattiere: "Si stira la biancheria". Ma sbagliereste a portare qui per questo i vostri panni. Si vende solo il cartello». Per Kierkegaard, cioè, l'idealismo non ESISTENZA E SISTEMI FILOSOFICI L’INTERESSE GIOVANILE PER ____________ ____________ socratica = stimolo _______ ___________________________________ contro _____________romantica = ____________ Temi socratici: a - ______________________________ b - _______________________________ __________________________________ c - _______________________________ _________________________________ CONTRO _________________________________ LE CRITICHE ALL’IDEALISMO a - _________________________ contro __________________________________ soggetto che ____________________ contro ____________________________ dei concetti 70 parla della realtà concreta, ma di una dimensione astratta che lascia fuori il soggetto stesso che l'ha pensata e costruita. Esso dimentica che ogni atto di pensiero, e di astrazione, presuppone un soggetto pensante concreto che lo pensa e che ne rappresenta il vero "cominciamento". Il pensiero non può prescindere da questo essere umano reale ed esistente, coinvolto dalle domande che si pone. Inoltre Hegel concepisce la dialettica come conciliazione e sintesi: in essa, infatti, i termini opposti raggiungono sempre una conciliazione, la tesi e l'antitesi trovano una mediazione. Ma questo è possibile solo nel pensiero astratto: nella realtà concreta i distinti e gli opposti non si lasciano sintetizzare o superare. Per Kierkegaard tentare di eliminare dall'esistenza la contraddizione significa eliminare l'esistenza stessa. Dio e il mondo, ad esempio, non si conciliano mai definitivamente; il peccato non è mai del tutto estirpabile dalla condizione umana, perché l'uomo (anche colui che vive moralmente o religiosamente) è sempre un peccatore di fronte a Dio. A differenza della filosofia del sistema idealistico, il cristianesimo è lotta senza fine e paradosso, di fronte al quale l'uomo non può trovare pace ma effettuare una scelta drammatica e radicale. Il cristiano non è l'uomo della conciliazione, ma colui che sa lottare giorno dopo giorno. b – Esistenza = _____________________ __________________________________ contro dialettica di Hegel = ______________ _________________________________ LE CATEGORIE DELL’ESISTENZA Kierkegaard, proprio perchè la sua filosofia vuole essere una riflessione 1 – IL _____________________________ sull’esistenza pone alla base del suo pensiero la categoria del singolo, una nozione essenzialmente cristiana, che deve mettere in scacco ogni forma di filosofia astratta, universale e sistematica. Nello scegliere la prospettiva del singolo, Kierkegaard prende le distanze oltre che da Hegel, che costituisce Hegel e Marx dimensione __________ l’oggetto della sua polemica, anche da Marx che condivide con Hegel il fatto di privilegiare la dimensione collettiva (vedi “Introduzione alla filosofia contemporanea”, pag. 4 ). Secondo Marx, poiché l’individuo è caratterizzato dall’essere il prodotto delle condizione storico-sociali in cui vive, per comprenderlo occorre innanzitutto comprendere quest’ultime, per cui la filosofia è essenzialmente un’analisi critica della storia. Per Hegel invece l’individuo è il frutto dello “spirito del popolo”, ovvero delle istituzioni e della cultura che esso esprime, per cui la filosofia è principalmente una riflessione su di esse. KIERKEGAARD, HEGEL, MARX Kierkegaard dimensione __________________________ singolo determinato dalle condizioni ______________________________ es. _____________,______________________ comprensione dell’individuo = ______________________________________ compito della __________________ Hegel e Marx dimensione ___________________________ Hegel singolo determinato dalle condizioni _____________________________________________ comprensione dell’individuo = ______________________________________ compito della __________________ Marx singolo determinato dalle condizioni _____________________________________________ comprensione dell’individuo = ______________________________________ compito della __________________ Diversamente da quanto accade nel regno animale, dove domina la necessità e il singolo è inferiore alla specie, ciò che caratterizza l'uomo è proprio la sua ________________________________ singolarità. Mentre del mondo animale, infatti, prendiamo in considerazione il negli animali e nell’uomo cane, il gatto, il cavallo..., nel mondo degli uomini conta soltanto l'individuo particolare: Giovanni, Marco, Anna, Giulia... Di fronte a ciascuno di noi, chiamato per nome e preso individualmente, il concetto di specie (l'umanità) diventa qualcosa di secondario e inutile. Il motivo per cui la categoria del singolo Il singolo come ______________________ 71 è della massima importanza per Kierkegaard, un pensatore essenzialmente religioso, risiede nel fatto che ogni uomo è considerato come una creatura forgiata a immagine e somiglianza di Dio e mantiene un rapporto individuale e intimo con il suo creatore. Insieme alla singolarità, la possibilità è l'altra categoria essenziale di Kierkegaard: un vero e proprio pilastro su cui il filosofo edifica la sua concezione dell'esistenza. Infatti alla possibilità si ricollegano gli altri due aspetti che caratterizzano l’esistenza umana: libertà di decidere e ciò che la concretizza, la possibilità di scegliere. La libertà non è soltanto qualcosa di positivo, non è solo un ampliamento e un arricchimento. La libertà ha anche un volto terribile, in quanto essere liberi significa scegliere tra termini opposti e contradditori. La libertà è responsabilità di fronte al bene e al male. Infatti, nella prospettiva dì Kierkegaard, la libertà non è affatto il campo dell'apertura al futuro, quanto piuttosto quello della minaccia che grava continuamente sulla vita di ogni individuo. Chi infatti abbia compreso l'esistenza umana sa che nella possibilità tutto è ugualmente possibile, tanto ciò che è piacevole quanto ciò che è terribile e devastante. Tale angoscioso sentimento della possibilità come oscura minaccia non si limita a essere una consapevolezza teorica ma viene "sentita" e può avere un effetto paralizzante sulle stesse capacità decisionali di un singolo individuo. Ne ebbe, infatti, sulla vita di Kierkegaard stesso che volle mantenere la propria esistenza in quello che definì “il punto zero” tra qualcosa e il nulla, nella assoluta impossibilità di scegliere. Gli stessi pseudonimi sotto i quali vennero pubblicate le sue opere, indicano l'incapacità di farsi carico di quella sola identità e di quella sola scelta che ogni uomo è costretto a fare. Pur non potendo egli stesso scegliere (e anzi proprio per questo), Kierkegaard sentì fortemente la pressione delle possibilità di vita umane come alternative che non possono essere conciliate e di fronte alle quali ogni uomo decide di sé. Questa condizione di fondo viene chiarita da Kierkegaard in due opere fondamentali: Il Concetto dell'angoscia (1844) e La Malattia mortale 1849 . In queste opere egli analizza i sentimenti che accompagnano l'esistenza umana aperta alla possibilità, alla libertà: l'angoscia e la disperazione. L'angoscia è il sentimento che caratterizza il rapporto dell'uomo col mondo e dipende dal possibile che lo costituisce; è la possibilità della libertà. L'uomo infatti sa di poter scegliere, sa di avere di fronte a sé ogni possibilità; ma è proprio l'indeterminatezza di questa situazione che lo angoscia. Egli acquista la coscienza che tutto è possibile ma, di fronte alle infinite possibilità di decisione lo spirito è colto da una vertigine paralizzante ed è come se nulla fosse possibile. Questo è il sentimento che precede il peccato, l'angosciante possibilità di potere il bene come di potere il male. È l'angoscia provata da Adamo di fronte al divieto di gustare i frutti dell'albero della conoscenza: egli non sa ancora in che cosa consista la conoscenza, non conosce la differenza tra il bene e il male, eppure è chiamato a scegliere tra l'obbedienza e la disobbedienza. L'angoscia scaturisce dunque dall'esperire quella vertiginosa libertà di scelta fra infinite possibilità che, ignota alle bestie e ai puri spiriti, è data invece agli umani: è «l'apparire della libertà davanti a se stessa nella possibilità». Per l'individuo l'esercizio della libertà è rischioso; implica infatti la consapevolezza che tutte le cose del mondo sono misere, illusorie, finite, portando a volgere lo sguardo verso l'infinito il quale, a sua volta, si presenta carico di terrore: è Dio, alterità assoluta, davanti a cui ci si scopre sempre peccatori. L'angoscia, dunque, è il ponte fra finito e infinito, creatura umana e Dio, poiché fa sorgere l'intuizione della nostra costitutiva peccaminosità. Da qui, solo da qui, si può dare il salto verso la fede, abbandonando tutto - la vita mondana, la società, le preoccupazioni esteriori - : «chi perde tutto vince tutto». (vedi lettura “Il concetto dell’angoscia”). Connesso alla categoria della possibilità è anche il sentimento della disperazione __________________________________ __________________________________ = _________________________________ a - la ______________________________: paura di _________________________ b - la scelta tra _______________________ che sono _________________________ a+b+c ________________________________ = _______________________________ _________________________________ c - ________________________________ avvicina a _________________ ___________________________________ 72 (la "malattia mortale"). Mentre l'angoscia riguarda la condizione umana nel suo rapporto con il mondo e le sue possibilità, la disperazione si riferisce all'uomo, riguarda cioè ognuno di noi nel nostro rapportarci a noi stessi; la disperazione, infatti, nasce dall’impossibilità per l’individuo di convivere in modo sereno con se stesso. Essa nasce dall'incapacità di accettare la nostra più profonda realtà interiore. Kierkegaard spiega che si è disperati in un duplice senso. Innanzitutto, quando non riusciamo ad accettarci per quello che siamo e rifiutiamo il nostro stesso essere, andando però incontro all'impossibilità di abbandonare il nostro io; in secondo luogo, quando ci riteniamo autosufficienti e completi e ci imbattiamo, inevitabilmente, nei nostri limiti. In entrambi i casi è impossibile giungere “all'equilibrio e alla quiete”. Nel 1843 uscivano anche i due volumi di Aut Aut, un'opera importante nell'itinerario intellettuale di Kierkegaard. Già dal titolo - aut... aut, "o... o" - si capisce che il tema è rappresentato dalla scelta tra due alternative contrapposte: si tratta di due diverse forme di vita, quella estetica e quella etica. A differenza del sistema hegeliano, che concepiva la dialettica come conciliazione dei termini opposti, l'aut... aut di Kierkegaard pone l'uomo di fronte a una scelta radicale: la vita estetica o quella etica. Più avanti vedremo come le alternative siano ancora più ampie e articolate, in quanto si aggiungerà la vita religiosa. Quello che ora mette conto sottolineare è l'interpretazione dell'esistenza come scelta. Esistere significa scegliere. E la scelta si compie tra termini assolutamente contraddittori e inconciliabili. Beninteso, non si tratta di una scelta da compiere a livello teorico, ma esistenziale: una scelta che impegna il singolo fin nelle fibre più profonde del suo essere. Infatti, ciò che dà valore all'uomo non è la profondità della sua cultura o l'ampiezza delle sue conoscenze, ma la capacità di assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Scrive Kierkegaard:”… La scelta è decisiva per il contenuto della personalità; colla scelta essa sprofonda nella cosa scelta, e quando non sceglie, appassisce in consunzione... Il momento della scelta per me è assai serio, non tanto a causa della severa riflessione sulle varie e distinte possibilità, e neppure a causa della molteplicità di pensieri che sono inerenti ad ogni valutazione, ma perché vi è pericolo che nel momento seguente io non sia più così libero di scegliere. Poiché quando si crede che per qualche istante si possa mantenere la propria personalità ___________________________________ angoscia = _________________________ disperazione = ______________________ __________________________________ cause: a _________________________________ b _________________________________ ___________________________________ opposta alla ____________________ di ______________________ = _________________________________ ___________________________________ determina ________________________ LE CATEGORIE DI KIEKEGAARD 1 - ________________________ 6 - ___________________ 3 - ________________ 2 - ________________________ 4 - _________________ _______________________________ __________________ _______________________________ __________________ _______________________________ ___________________ 5 - ___________________________ a - __________________ b - ____________________ + 7 - ___________________ c - ______________________________ tersa e nuda, o che, nel senso più stretto, si possa fermare o interrompere la vita personale, si è in errore. La personalità, già prima di scegliere è interessata alla Effetti della _____________________ scelta, e quando la scelta si rimanda, la personalità sceglie incoscientemente, e decidono in essa le oscure potenze. ... ... Nella lettera precedente ho osservato che l'aver amato dà all'essere di una persona un'armonia che non vien mai persa del tutto; ora dirò che lo scegliere dà all'essere di una persona una solennità, una calma dignità che non vien mai persa 73 del tutto. [...] L'uomo non diventa diverso da quello che era prima, diventa solo se stesso; la coscienza si raccoglie ed egli è se stesso. Come un erede, anche se fosse erede di tutte le ricchezze di questo mondo, non le possiede prima di diventar maggiorenne, così la più ricca personalità non è nulla prima di aver scelto se stessa, e d'altra parte, anche quella che potremmo chiamare la più misera personalità, è tutto quando ha scelto se stessa. La grandezza, infatti, non consiste nell'essere questo o quello, ma nell'essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole. Che, in un certo senso, non si tratti di una scelta di qualche cosa, lo vedrai dal fatto che quello che appare dall'altra parte, ciò che nella scelta non è stato scelto, è l'estetica, che è l'indifferenza.” (“Aut-aut”). SCELTE DI VITA E CRISTIANESIMO La centralità e la problematicità della scelta è riscontrabile anche nelle vicende biografiche dello stesso Kierkegaard. Tra gli avvenimenti che meritano di essere ricordati della vita di Kierkegaard, una vita peraltro priva di fatti esteriori importanti, vi è la vicenda della rottura del fidanzamento con la diciottenne Regina Olsen, figlia di un alto funzionario, che egli amava e aveva chiesto in sposa. Nel suo Diario Kierkegaard registra che il giorno seguente questa decisione si rese conto dell'errore e, dopo un paio di mesi di indescrivibili sofferenze, pervenne alla rottura definitiva. Regina rimase malissimo di fronte a queste decisioni, apparentemente immotivate, arrivando alla disperazione e alla minaccia del suicidio; emozioni che ricorderà con animo turbato per tutta la vita. Per noi assume grande significato la motivazione che Kierkegaard riporta di questo gesto: avendo abbracciato il cristianesimo, con tutta la «tremenda serietà» che quella scelta comportava, egli non poteva condividere il suo amore per Cristo con un'altra persona né poteva continuare a vivere un'esistenza tranquilla e borghese come quella dell'uomo sposato. Ma anche per lui una simile decisione fu causa di insicurezza e angoscia, come dimostrano le parole scritte nel Diario: Kiekegaard confessa che, nonostante la necessità di lasciare Regina, rimarrà per sempre suo e afferma di aver imparato, attraverso questo difficile passaggio della sua esistenza, qualcosa di fondamentale: «Dio ha la precedenza su tutto». Nella rottura del fidanzamento ciò che emerge come particolarmente significativo è la decisione di scegliere Dio al di sopra di ogni altra cosa: una scelta esclusiva e senza compromessi. Kierkegaard è infatti, principalmente, un pensatore cristiano: «il divenir cristiano - egli affermava - è stato il compito della mia vita». Il suo cristianesimo, però, non deve essere confuso con quello della Chiesa ufficiale. Significativa a tal proposito è la dura polemica che egli ebbe con il vescovo protestante danese Mynster. La Chiesa è da lui accusata di essersi ribellata a Dio e di avere una visione puramente terrena e mondana dell'Assoluto. Gli uomini di Chiesa hanno ridotto il messaggio di Cristo a mera dottrina, cioè ne hanno fatto una speculazione teologica. Del cristianesimo essi hanno tralasciato proprio la parte più importante: l'imitazione di Cristo, una vita vissuta all'insegna dell'abnegazione, dell'ascesi e del sacrificio. Cristo aveva tes t i mo niato la sua verità con la messa in gioco della propria vita. I cristiani, al contrario, hanno tradito Cristo, considerando il cristianesimo come un gioco. C'è dunque un ateismo cristiano, consistente nel fare a meno di Dio, del suo volto più severo e inquietante, per sostituirlo con una versione più addolcita, con l'obiettivo di «vivere tranquilli e attraversare felicemente il mondo». A Kierkegaard va sicuramente attribuito il merito di aver elaborato in termini a noi contemporanei il cristianesimo operando il passaggio dalla spettacolarizzazione della religione all’interiorizzazione della religione, ovvero il passaggio dalla religione come obbligo sociale e sistema di verità assoluta alla religione come scelta di vita, su cui centrare la propria esistenza. La rottura del ________________________ La scelta del cristiano: ________________ __________________________________ La critica alla _______________________ imitazione di ______________________ contro speculazione _______________________ Dalla religione come __________________ _______________ alla religione come ____ ___________________________________ 74 3 - KIERKEGAARD “ LA SCELTA E L’ANGOSCIA 2 Aut – Aut: scelta e personalità Amico mio! Quello che ti ho già detto tante volte, te lo ripeto, anzi te lo grido: o questo o quello, aut-aut! L’importanza dell'argomento giustifica l'uso delle parole. Vi sono circostanze in cui sarebbe ridicolo e quasi pazzesco voler porre un autaut; ma vi sono anche persone la cui anima è troppo dissoluta per cogliere il significato di questo dilemma, alla cui personalità manca l'energia per poter dire con pathos: o questo, o quello. Queste parole hanno sempre fatto su me una profonda impressione, e ancora la fanno, specialmente quando le pronuncio così, semplici e nude; in esse esiste una possibilità di mettere in moto i contrasti più tremendi. Su di me han l'effetto di una formula di scongiuro, e l'animo mio sprofonda nella serietà, restandone quasi sconvolto. Penso alla mia prima gioventù, quando, senza ben afferrare il significato della scelta nella vita, con infantile confidenza ascoltavo i discorsi dei più anziani; e l'istante della scelta era per me solenne e venerabile, benché nella scelta seguissi allora solo le istruzioni degli altri. Penso a quegli istanti nella mia vita futura, in cui mi trovai al bivio, in cui l'animo mio si maturò nell'ora della decisione. Penso a tutti gli altri casi della vita, meno importanti, ma per me non indifferenti, in cui dovevo scegliere; poiché anche se è vero che queste parole hanno una importanza assoluta solo nel caso in cui, da una parte, appare la verità, la giustizia, la sanità, e dall'altra, il piacere, le inclinazioni, le oscure passioni e la perdizione; anche in casi in cui l'oggetto della scelta è per sé indifferente è sempre importante scegliere giusto, provare se stessi, perché un giorno, con dolore, non si debba ricominciare dal punto di partenza, ringraziando Dio se non ci si fa altro rimprovero che di aver perso del tempo. … La scelta è decisiva per il contenuto della personalità; colla scelta essa sprofonda nella cosa scelta, e quando non sceglie, appassisce in consunzione. Per un attimo è o può parere, che si scelga tra possibilità estranee a chi sceglie, colle quali egli non sta in nessun rapporto e verso le quali si può mantenere indifferente. Questo è il momento della riflessione. … Ciò che deve essere scelto sta nel più profondo rapporto con chi sceglie, e quando si parla di scelta che riguardi una questione di vita, l'individuo in quel medesimo tempo deve vivere, e ne segue che è facile, quanto più rimandi la scelta, di alterarla, nonostante che continui a riflettere e riflettere, e con ciò creda di tenere i contrasti della scelta ben distinti gli uni dagli altri. Quando si considera l'aut-aut della vita in questo modo non è facile che si sia indotti a scherzare con esso. Si vede allora che l'impulso interiore della personalità non ha tempo per gli esperimenti spirituali. Esso corre costantemente in avanti e pone ora in un modo ora nell'altro i termini della scelta, sì che la scelta nell’attimo seguente diventa più difficile. Immagina un capitano sulla sua nave nel momento in cui deve dar battaglia; forse egli potrà dire bisogna fare questo o quello; ma se non è un capitano mediocre, nello stesso tempo si renderà conto che la nave, mentre egli non ha ancora deciso, avanza colla solita velocità; e che così è solo un istante quello in cui sia indifferente se egli faccia questo o quello. Così anche l'uomo, se dimentica di calcolare questa velocità, alla fine giunge un momento in cui non ha più la libertà della scelta, non perché ha scelto, ma perché non l'ha fatto, il che si può anche esprimere così: perché gli altri hanno scelto per lui, perché ha perso se stesso. Da quanto ho detto fin qui vedrai anche come il mio modo di considerare la scelta sia profondamente diverso dal tuo, se nel tuo caso ancora si può parlare di scelta; perché la tua concezione è diversa proprio per il fatto che impedisce una scelta. Il momento della scelta per me è assai serio, non tanto a causa della 2 L’opera "Enten-Eller", tradotta in italiano con "Aut-aut", fu edita da Søren Kierkegaard nel 1843 sotto lo pseudonimo di Victor Eremita, che dice di se stesso di essere uno scrittore religioso. Il testo è composto di due parti: le Carte di A, del giovane esteta, e le Carte di B, di Guglielmo l’Assessore e fu scritto di getto in undici mesi, quasi interamente a Berlino, città nella quale Kierkegaard si era rifugiato dopo la rottura del fidanzamento con Regina. 75 severa riflessione sulle varie e distinte possibilità, e neppure a causa della molteplicità di pensieri che sono inerenti ad ogni valutazione, ma perché vi è pericolo che nel momento seguente io non sia più così libero di scegliere. Poiché quando si crede che per qualche istante si possa mantenere la propria personalità tersa e nuda, o che, nel senso più stretto, si possa fermare o interrompere la vita personale, si è in errore. La personalità, già prima di scegliere è interessata alla scelta, e quando la scelta si rimanda, la personalità sceglie incoscientemente, e decidono in essa le oscure potenze. Quando finalmente si ha scelto, se la personalità non si è, come notai prima, completamente volatilizzata, ci si accorge che vi è qualche cosa che deve esser rifatto, che deve esser fatto ritornare, questo spesso è assai difficile. Nelle favole si parla di persone che le sirene e i tritoni attiravano in loro potere colla loro musica demoniaca. Le favole spiegano che, per sciogliere l'incanto, era necessario che la persona incantata suonasse la stessa musica cominciando dalla fine, senza sbagliare nemmeno una volta. Questo è un pensiero molto profondo, ma è cosa difficilissima da eseguire, eppure è così. Ciò che di falso abbiamo in noi lo dobbiamo estirpare in questo modo, ed ogni volta che sbagliamo dobbiamo ricominciare da capo. Vedi dunque che è importante scegliere e scegliere in tempo. .. Ciò che appare col mio aut-aut è l'etica. Perciò non si può ancora parlare della scelta di qualche cosa, non si può ancora parlare della realtà di ciò che è stato scelto, ma della realtà dello scegliere. Questo pertanto è il fatto decisivo, ed è di questo che voglio renderti cosciente. Fino a questo punto una persona può aiutare l'altra, quando poi si è raggiunto tale risultato l'importanza che una persona può avere per l'altra diminuisce. Nella lettera precedente ho osservato che l'aver amato dà all'essere di una persona un'armonia che non vien mai persa del tutto; ora dirò che lo scegliere dà all'essere di una persona una solennità, una calma dignità che non vien mai persa del tutto. [...] L'uomo non diventa diverso da quello che era prima, diventa solo se stesso; la coscienza si raccoglie ed egli è se stesso. Come un erede, anche se fosse erede di tutte le ricchezze di questo mondo, non le possiede prima di diventar maggiorenne, così la più ricca personalità non è nulla prima di aver scelto se stessa e, d'altra parte, anche quella che potremmo chiamare la più misera personalità è tutto quando ha scelto se stessa. La grandezza, infatti, non consiste nell'essere questo o quello, ma nell'essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole. Che, in un certo senso, non si tratti di una scelta di qualche cosa, lo vedrai dal fatto che quello che appare dall'altra parte, ciò che nella scelta non è stato scelto, è l'estetica, che è l'indifferenza. L'aut-aut che ho presentato è dunque, in un certo senso, assoluto, poiché si tratta di scegliere o di non scegliere. … Ma cosa vuol dire vivere esteticamente e cosa vuol dire vivere eticamente? Cosa è l'estetica nell'uomo, e cosa è l'etica? A ciò risponderò: l'estetica nell'uomo è quello per cui egli spontaneamente è quello che è; l'etica è quello per cui diventa quello che diventa. Chi vive tutto immerso, penetrato nell'estetica, vive esteticamente. Chi vive esteticamente non può dare della sua vita nessuna spiegazione soddisfacente, perché egli vive sempre solo nel momento, e ha una coscienza soltanto relativa e limitata di se stesso. Non è affatto mia intenzione negare che chi vive esteticamente, quando questa vita è al suo massimo, può esibire una quantità di doti spirituali, anzi, che queste devono perfino essere sviluppate in grado insolitamente intenso. Eppure l'esteta non possiede liberamente il suo spirito, manca di limpidezza. Così spesso si trovano degli animali in possesso di sensi molto più acuti, molto più intensi dell'uomo, ma sono legati all'istinto animalesco. Vorrei prender te come esempio. Non ho mai negato le tue ottime doti spirituali, come potrai vedere dal fatto che molto spesso ti ho biasimato perché le hai usate male. Sei spiritoso, ironico, buon osservatore, dialettico, esperto nei piaceri, sai calcolare il momento, sei, secondo le circostanze, sentimentale o senza cuore, ma con tutto questo vivi sempre solo nel momento, la tua vita si disfa in una serie incoerente di episodi senza che tu possa spiegarla. Se uno vuole imparare l'arte di godere è giustissimo che vada da te, ma se desidera comprendere la tua vita non si rivolge alla persona adatta. Forse troverà piuttosto da me quello che cerca, nonostante che io non sia affatto in possesso delle tue doti spirituali. Tu sei 76 imprigionato, ed è quasi come se tu non avessi tempo di staccarti, io non sono imprigionato nel mio giudizio né intorno all'estetica né intorno all'etica. Nell'etica, infatti, io mi sollevo sopra il momento e giungo alla libertà; ma è una contraddizione che si possa essere imprigionati nella libertà. Ogni uomo, per quanto poco intelligente sia, per quanto bassa sia la sua posizione nella vita, ha un bisogno naturale di formarsi una concezione di vita, una rappresentazione del significato della vita e del suo scopo. Anche chi vive esteticamente fa questo, e l'espressione comune che, in ogni tempo ed in ogni diverso stadio, si è sempre sentita è questa: bisogna godere la vita. Questa espressione naturalmente varia molto, poiché le idee intorno al godimento sono varie, ma sull'espressione che si deve godere la vita tutti sono d'accordo. Chi scorge nel godimento il senso e lo scopo della vita sottopone sempre la sua vita a una condizione che o è al di fuori dell'individuo o è nell'individuo, ma in modo da non essere posta per opera dell'individuo stesso. … Scegliere è soprattutto una espressione rigorosa ed effettiva dell'etica. Sempre, quando nel senso più rigido si parla di un aut-aut, si può esser certi che è in gioco anche l'etica. L’unico aut-aut assoluto che esista è la scelta tra il bene e il male, ma anche questo è assolutamente etico. La scelta estetica o è completamente spontanea, e perciò non è una scelta, o si perde nella molteplicità. Così quando una giovanetta segue la scelta del suo cuore, questa scelta, per quanto bella possa essere, in senso rigoroso non è una scelta, perché è completamente spontanea. Quando un uomo soppesa esteticamente una quantità di problemi vitali, come io ho supposto che tu facessi, non è facile che si giunga a un aut-aut, perchè quando non si sceglie in modo assoluto, e cioè eticamente, si sceglie solo per il momento, e perciò nel momento seguente si può scegliere qualche cosa d'altro. La scelta etica perciò, in un certo senso, è molto più facile, molto più semplice, ma in un altro senso è infinitamente più difficile. Chi vuol determinare eticamente il compito della propria vita, in generale non ha una scelta molto vasta; invece per lui l'atto della scelta acquista una sempre maggiore importanza. Se mi vuoi comprendere bene, posso dire che nello scegliere non importa tanto lo scegliere giusto quanto l'energia, la serietà ed il pathos col quale si sceglie. S. Kierkegaard, Aut-Aut, Milano 1975 LO STILE ______________________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________________ ______________________ CONTRO _________________________ ; ______________________ CONTRO _____________________ I PERSONAGGI: ______________________ CONTRO _____________________ 1 – ________________________________________________ ______________________ CONTRO _____________________ 2 – ________________________________________________ 77 GLI EFFETTI DELLA NON SCELTA 1 - ___________________________________________________________________________________________________________ 2 - ___________________________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________________________ 3 - ___________________________________________________________________________________________________________ 4 - ___________________________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________________________ 5 - ___________________________________________________________________________________________________________ A - ___________________________________________: __________________ _______________________________ B - ___________________________________________: ___________________ _______________________________ GLI EFFETTI DELLA SCELTA ESTETICA 1 - ___________________________________________________________________________________________________________ 2 - ___________________________________________________________________________________________________________ 3 - ___________________________________________________________________________________________________________ 4 - ___________________________________________________________________________________________________________ 5 -____________________________________________________________________________________________________________ 6 - ___________________________________________________________________________________________________________ 7 - ___________________________________________________________________________________________________________ 8 - ___________________________________________________________________________________________________________ 9 - ___________________________________________________________________________________________________________ 10 - __________________________________________________________________________________________________________ A - ______________________________________________________________________: __________________________________ B - ______________________________________________________________________: __________________________________ C - ______________________________________________________________________: __________________________________ 78 LA SCELTA ESTETICA 1 - _________________________________________________________________________________________________________ 2 – _________________________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________________________ __________________________________________ CONTRO ________________________________________ COSA SCEGLIERE 1 - ___________________________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________________________ 2 - ___________________________________________________________________________________________________________ 3 - ___________________________________________________________________________________________________________ 4 - ___________________________________________________________________________________________________________ 5 -____________________________________________________________________________________________________________ 6 - ___________________________________________________________________________________________________________ A - ________________________________________: ______ B - ________________________________________: ______ _____________________________________________________: ______ _____________________________________________________: ______ _____________________________________________________: ______ QUANDO SCEGLIERE 1 - ___________________________________________________________________________________________________________ 2 - ___________________________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________________________ 79 Il concetto dell’angoscia L'innocenza è ignoranza. Nell'ignoranza l'uomo non è determinato come spirito ma è determinato psichicamente nell'unione immediata colla sua naturalità. Lo 3 spirito nell'uomo è come sognante . Questa concezione si trova perfettamente d'accordo con la Bibbia, la quale, negando all'uomo nello stato di innocenza la conoscenza della differenza tra il bene e il male, manda all'aria tutte le fantasticherie cattoliche riguardo al merito. In questo stato c'è pace e quiete; ma c'è, nello stesso tempo, qualcos'altro che non è né inquietudine né lotta, perché non c'è niente contro cui lottare. Allora che 4 cosa è? Il nulla. Ma quale effetto ha il nulla? Esso genera l'angoscia . Questo è il profondo mistero dell'innocenza: essa nello stesso tempo è angoscia. Sognando, lo spirito proietta la sua propria realtà; ma questa realtà è il nulla, questo nulla l'innocenza lo vede continuamente fuori di sé. L'angoscia è una determinazione dello spirito sognante e come tale appartiene alla psicologia. Nella veglia la differenza tra l'io e l'altro da me è posta; nel sonno è sospesa; nel sogno è un nulla accennato. La realtà dello spirito si mostra continuamente come una figura che tenta la sua possibilità, ma appena egli cerca di afferrarla, essa si dilegua; essa è un nulla che può soltanto angosciare. Di più non può fare, finché non fa altro che mostrarsi. Poiché il concetto dell'angoscia non si trova quasi mai trattato nella psicologia, io devo richiamare l'attenzione sul fatto ch'esso è completamente diverso da quello del timore e da simili concetti che si riferiscono a qualcosa di determinato, mentre invece l'angoscia è la realtà 5 della libertà come possibilità per la possibilità . Perciò non si troverà l'angoscia nell'animale, precisamente perché esso, nella sua realtà naturale, non è determinato come spirito. ... 6 L'angoscia è posta nell'innocenza; in primo luogo, dunque, non è colpa , in secondo luogo non è un peso che aggravi, né una sofferenza che non sia compatibile colla beatitudine dell'innocenza. Se si osservano i bambini, quest'angoscia si trova in loro più chiaramente determinata come ricerca dell'avventuroso, del mostruoso, del misterioso. Che ci siano bambini nei quali l'angoscia manca, ciò non vuol dir nulla; non l'ha neanche l'animale: quanto meno spirito, tanto meno angoscia. Questa angoscia appartiene così essenzialmente al bambino ch'egli non ne vuol fare a meno; pur angosciandolo, essa lo attira col 7 suo dolce affanno . ... 3 Lo spirito è sinonimo di consapevolezza. L’uomo innocente-ignorante, come il bambino, non possiede ancora interamente lo spirito. E tuttavia in lui lo spirito è già presente, seppure non portato alla consapevolezza: l'uomo non è la bestia. Questa condizione intermedia è ben espressa dalla metafora del sogno: nell'uomo innocente lo spirito è sognante. 4 L'uomo che si trova nella condizione di ignoranza non ha qualcosa contro cui combattere positivamente. Al contrario, oggetto del non sapere è il nulla. E proprio questo nulla genera angoscia. Chi è assillato da un problema particolare è preoccupato e spaventato, ma non angosciato. L'angoscia nasce dalla totale indeterminatezza della situazione, dal non sapere affatto che cosa potrà accadere. 5 La definizione della libertà come «possibilità della possibilità» è molto importante poiché spoglia il concetto di libertà di ogni determinazione positiva. La libertà - come viene qui definita - non è la facoltà di fare qualcosa o di esercitare il libero arbitrio, ma è la semplice possibilità dell'indeterminato, la possibilità totale che non esclude alcuna possibilità, il «tutto è possibile» che si traduce in un nulla di determinato. Di qui, l'associazione della libertà all'angoscia. 6 La colpa comporta già la determinazione della scelta, è libertà già consumata. Quindi, essa può generare rimorso e pentimento, non angoscia. L'angoscia è, invece, connessa con la libertà ancora da esercitare, vale a dire - come si è visto nella nota precedente - con la libertà intesa come semplice possibilità di potere. 7 Si è visto - cfr. n. 1 - che l'angoscia è connessa con la fase sognante dello spirito. Essa si manifesta, quindi, in tutte le situazioni che realizzano quella condizione, come nei bambini, nelle nazioni ancora agli albori della loro civiltà, o nell'uomo ancora innocente, come Adamo prima del peccato. Quando invece lo spirito è pienamente desto, come nell'uomo maturo che combatte contro le difficoltà della vita, l'angoscia rimane latente, poiché la determinatezza dei problemi prende il posto dell'assolutamente indeterminato, del nulla che sta alla base dell'angoscia. È chiaro, tuttavia, che le occupazioni mondane costituiscono una sorta di «divertimento» pascaliano che impedisce all'uomo di giungere a considerare la sua natura fondamentale: tutte le volte che l'uomo riesce ad andare al di là della distrazione offertagli dall'azione pratica torna nuovamente a confrontarsi con l'angoscia. 80 Come il rapporto dell'angoscia al suo oggetto, a quel qualche cosa che è il nulla (nel linguaggio comune c'è la frase espressiva «angosciarsi di nulla») è assolutamente ambiguo, così il passaggio dall'innocenza alla colpa, che si può qui stabilire, sarà abbastanza dialettico per dimostrare che la spiegazione è quale dev'essere, cioè psicologica. Il salto qualitativo è fuori di ogni ambiguità; ma colui che, mediante l'angoscia, diventa colpevole, è certo innocente; infatti non era lui, ma l'angoscia, una potenza estranea, che lo prese; una potenza ch'egli non amava, ma di cui si angosciava... : eppure egli è colpevole, perché si lasciò cadere nell'angoscia ch'egli, pur temendola, amava. Non c'è nel mondo niente di più ambiguo di questo e perciò questa è l'unica spiegazione psicologica, la quale però, per ripeterlo ancora una volta, non pensa mai di voler essere una 8 spiegazione che spieghi il salto qualitativo . ... Mostrare come l'angoscia si manifesta, è questo il punto attorno al quale tutto s'aggira. L'uomo è una sintesi di anima e corpo. Ma la sintesi non è pensabile se i due elementi non si uniscono in un terzo. Questo terzo è lo spirito. Nell'innocenza l'uomo non è puramente animale; infatti, se in alcun momento della sua vita egli non fosse altro che animale non diventerebbe mai uomo. Lo spirito, dunque, è presente, ma come immediato, come sognante: in quanto è presente esso è, in un certo senso, una forza ostile, perché disturba continuamente il rapporto tra l'anima e il corpo; rapporto il quale esiste, eppure non esiste, in quanto ottiene l'esistenza soltanto mediante lo spirito. D'altra parte esso è una potenza amica, appunto perché vuole costituire il rapporto. Quale è, dunque, il rapporto dell'uomo con questa potenza ambigua, il rapporto dello spirito con se stesso e colla sua condizione? Esso si rapporta come angoscia. Liberarsi di se stesso non è possibile per lo spirito; afferrare se stesso non gli è neppure possibile finché esso trova se stesso fuori di sé; lasciarsi sprofondare nella vita vegetativa non è possibile per l'uomo, perché egli è determinato come spirito; fuggire l'angoscia non può, perché l'ama; amarla propriamente non può, perché la fugge. ... Ancora esiste l'innocenza, ma basta che risuoni una parola ed ecco che l'ignoranza è concentrata. Questa parola, naturalmente, l'innocenza non la può comprendere, ma l'angoscia ha quasi afferrato la sua prima preda: invece del nulla, essa ha avuto una parola enigmatica. Se questo nel Genesi è espresso con le parole che Dio disse ad Adamo: «Soltanto dell'albero della conoscenza del bene e del male tu non devi mangiare» (Gen., 2, 17), vien da sé che Adamo, in fondo, non comprese quelle parole; infatti, come poteva comprendere la differenza tra il bene e il male se questa distinzione sarebbe stata la 9 conseguenza della soddisfazione del frutto? . 10 Se ora si ammette che il divieto sveglia il desiderio , si ottiene una conoscenza invece dell'ignoranza, perché Adamo doveva avere conoscenza della libertà se 8 I1 passaggio dall'angoscia al peccato comporta un «salto qualitativo» che non è suscettibile di nessuna spiegazione. L'analisi psicologica che Kierkegaard propone arriva, tuttavia, alle soglie di questa spiegazione impossibile. L'angoscia è determinata, come si è visto, dalla possibilità. In particolare, con il divieto di Dio, l'uomo si trova nella condizione, come si vedrà subito dopo (cfr. nota successiva), della «possibilità di potere», cioè di potere fare anche ciò che è stato vietato, di potere opporsi a Dio. Di qui, il rapporto ambiguo che l'uomo ha con l'angoscia: egli la ama e non la ama ad un tempo stesso, perché il dischiudersi del mondo della possibilità, in cui essa consiste, è qualcosa che l'uomo insieme vuole e teme. Così, da un lato l'angoscia, in quanto cosa temuta, in quanto possibilità non esperita, rimane sul versante della innocenza; dall'altro essa, in quanto amata, in quanto desiderio di sperimentare il proprio potere, conduce alla colpevolezza del peccato. Da una parte l'angoscia precede il peccato ed è diversa da esso, dall'altra essa comporta già il peccato. 9 Finché non riceve il divieto divino di gustare i frutti dell'albero della conoscenza, l'uomo è ancora completamente innocente. Egli già conosce l'angoscia, la quale è radicata nell'ignoranza che a sua volta è conseguenza dell'innocenza: ma la sua angoscia è ancora l'angoscia del nulla. Ma quando l'uomo riceve il divieto divino, il nulla diventa qualcosa di più concreto. Ora la possibilità assolutamente indeterminata, in cui consisteva il nulla, diventa la possibilità di poter fare o non fare ciò che è stato vietato, ovvero, più in generale la possibilità di potere. L'uomo non ha ancora la conoscenza del bene e del male, quindi la sua libertà non si configura ancora come libertà di scelta tra due oggetti definiti. Tuttavia, egli acquista già la consapevolezza di potere in quanto uomo, cioè di pretendere di «essere» davanti a Dio, pur conoscendo la sua incapacità di reggere questo confronto. 10 Kierkegaard allude qui alla tesi sostenuta dallo svizzero Usteri (nel suo Sviluppo della dottrina paolina, pubblicato a Zurigo nel 1824), secondo cui il peccato di Adamo è implicito nel divieto divino. Infatti, il divieto avrebbe svegliato in Adamo il desiderio di cogliere il frutto della conoscenza. Ma questa tesi, che 81 aveva il desiderio di farne uso. Perciò questa spiegazione si trova in ritardo. Il divieto angoscia Adamo, poiché il divieto sveglia in lui la possibilità della libertà. Ciò ch'era rimasto fuori dell'innocenza come il nulla dell'angoscia è entrato ora dentro di essa stessa e qui è di nuovo un nulla, cioè la possibilità angosciante di potere. Cosa sia ciò ch'egli può, egli non ne ha idea alcuna; altrimenti si presupporrebbe, come avviene di solito, quel che segue, cioè la differenza tra il bene e il male. Soltanto la possibilità di potere c'è come la forma più alta dell'ignoranza, come l'espressione più alta dell'angoscia; perché in un senso più alto, questa possibilità è e non è, perché egli, in un senso più alto, l'ama e la fugge. … Il divieto è seguito dalla condanna: «Allora tu dovrai certamente morire» (Gen. 3, 18). Cosa ciò significhi, Adamo naturalmente non lo comprende affatto; mentre invece nulla c'impedisce, se ammettiamo che questa parola gli fu detta, di immaginare che Adamo ricevesse con essa l'idea del terribile. Anche l'animale, in queste situazioni, può comprendere l'espressione mimica e il movimento nella voce di colui che parla, senza comprendere la parola. Se il divieto sveglia il desiderio, allora anche la parola della pena deve svegliare l'idea del terrore. Ma questo porta alla confusione. Il terrore qui diventa soltanto angoscia, perché Adamo non ha compreso le parole, in modo che troviamo di nuovo soltanto l'ambiguità dell'angoscia. La possibilità infinita di potere, che fu svegliata dal divieto, ora si avvicina di più per il fatto che questa possibilità manifesta come 11 sua conseguenza un'altra possibilità . Così l'innocenza è portata alla sua situazione estrema. Essa è in angoscia rispetto a ciò che è vietato e alla pena. Non è colpevole, eppure vi è un'angoscia 12 come se fosse perduta . Più in là la psicologia non può andare, ma questo punto lo può raggiungere e soprattutto, nella sua osservazione della vita umana, lo può verificare di continuo. […] In una favola di Grimm si racconta di un ragazzo che andò in cerca di avventure per imparare a sentire l'angoscia. Lasciamo andare quell'avventuriere senza domandare in quale modo egli per la strada potesse imbattersi nel terribile. Vorrei dire, però, che questo, cioè l'imparare a sentire l'angoscia, è un'avventura attraverso la quale deve passare ogni uomo, affinché non vada in perdizione, o per non essere mai stato in angoscia o per essersi immerso in essa; chi invece imparò a sentire l'angoscia nel modo giusto, ha imparato la cosa più alta. Se l'uomo fosse un animale o un angelo, non potrebbe angosciarsi. Poiché è una sintesi egli può angosciarsi, e più profonda è l'angoscia più grande è l'uomo; non l'angoscia, come gli uomini l'intendono di solito, cioè l'angoscia che riguarda l'esteriore, ciò che sta fuori dell'uomo, ma l'angoscia ch'egli stesso produce. L'angoscia è la possibilità della libertà; soltanto quest'angoscia ha, mediante la fede, la capacità di formare assolutamente, in quanto distrugge tutte le finitezze 13 scoprendo tutte le loro illusioni . E nessun grande inquisitore tien pronte torture così terribili come l'angoscia; nessuna spia sa attaccare con tanta astuzia la persona sospetta, proprio nel momento in cui è più debole, né sa preparare così Kierkegaard poche pagine prima aveva apprezzato come tentativo di spiegazione psicologica del peccato, ha il limite di anticipare ciò che deve ancora spiegare: la conoscenza del bene e del male. Per Kierkegaard, il divieto non risveglia in Adamo il desiderio di ciò che è proibito (che ancora non conosce), ma soltanto la coscienza della possibilità di potere. Che cosa egli possa rimane, infatti, assolutamente indeterminato, cioè è ancora un nulla. Per questo la possibilità di potere comporta anch'essa l'angoscia, pur differenziandosi dall'angoscia originaria, la semplice angoscia dell'ignoranza. 11 Lo stesso ragionamento fatto da Kierkegaard a proposito del divieto, viene ripreso qui in relazione alla condanna. Adamo non sa che cosa significhi morire: quindi, la condanna non ha per lui un contenuto preciso. Essa non suscita il terrore di qualcosa di determinato, così come il divieto non aveva risvegliato il desiderio della conoscenza del bene e del male. Egli riceve soltanto l'idea del terribile: alla possibilità del potere si aggiunge, quindi, una nuova terrificante possibilità, ancorché priva di contenuto. Ciò accresce ulteriormente il carattere ambiguo dell'angoscia, ossia il fatto che l'uomo ami e tema insieme la possibilità che essa esprime. Con questo si è alle soglie del peccato originale, al quale tuttavia si perviene, come si è detto, soltanto con un salto qualitativo irriducibile a una spiegazione di qualunque genere. 12 Cfr. n 6. 13 L'angoscia distrugge tutte le false certezze della vita e le illusioni, mette l'uomo a nudo davanti a Dio; chi riesce ad aprirsi ad un atteggiamento di abbandono fiducioso a Dio può ritrovare il giusto equilibrio in rapporto a sé, al mondo e a Dio: in questo senso l'esperienza dell'angoscia è "formativa". 82 bene i lacci per accalappiarla come sa l'angoscia; nessun giudice, per sottile che sia, sa esaminare così a fondo l'accusato come l'angoscia che non se lo lascia mai sfuggire, né nel divertimento, né nel chiasso, né sotto il lavoro, né di giorno, né di notte. Colui ch'è formato dall'angoscia, è formato mediante possibilità; e soltanto chi è formato dalla possibilità, è formato secondo la sua infinità. Perciò la possibilità è la più pesante di tutte le categorie. S. Kierkegaard, Il concetto dell'angoscia. Firenze, 1965 L’USCITA DALL’INNOCENZA / ___________________________________________________________ _____________________________________________________ Chi siamo? SIAMO ________________________________ UN NULLA DI FATTO 1 - _____________________ SIAMO ________________________________ Come avviene la scelta? (vedi _________________) __________________________ 2- ANGOSCIA _______________________________ ____________________________________: 1 – ____________________________________________________________________ 2 - ____________________________________________________________________ _____________________________________________________________________ ANGOSCIA ____________________________________ 2 modi di sfuggirla: 1 – _________________________________________________________________ 2 – _________________________________________________________________ “imparare a sentire l’angoscia è un’avventura attraverso la quale deve passare ogni uomo perché non vada in perdizione” perché? Kierkegaard: ___________________________________________________________________________________________ Fenomenologia, esistenzialismo del ’900:_____________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ AA.VV. - Lettori di Kierkegaard nel Novecento Vedi esercitazione 83 Vediamo ora quali sono le alternative fondamentali che, secondo Kierkegaard, si presentano all’uomo e di fronte alle quali egli si trova a dover scegliere. Di fronte alla vita ci si può comportare come don Giovanni (il personaggio dell’omonima opera di Mozart), per il quale la vita è seduzione. Ci si muove nel mondo senza mettere mai radici, ponendo tra sé e gli altri un sottile velo di immagini seducenti. Il seduttore non mostra mai se stesso: mostra sempre una immagine, una cangiante immagine, in modo da potersi nascondere dietro di essa e apparire come la donna che corteggia vuole che egli sia, senza in realtà essere mai nessuna delle maschere di cui si riveste. Il suo è il mondo della pura esteriorità, mondo dal quale è stata eliminata ogni dimensione di profondità, di certezza e di stabilità. Come in un, gioco di superfici, tutto nella sua seduzione attrae, ma la vita di don Giovanni è senza spessore. Egli vive della sua seduzione; essa gli permette di non radicarsi mai in un rapporto durevole, di non costruire mai nel mondo dei punti di riferimento stabili. Tutto ciò che tende a cristallizzare i sentimenti e le abitudini, a costruire una quotidianità ordinata fatta di impegni e di doveri, tutto questo viene rigettato. Don Giovanni non ha una moglie: vuole tutte le donne, vuole sedurle ma non legarsi ad alcuna per poter non scegliere. Egli paga questa non-scelta che si rivelerà apparente, perché egli sceglie in realtà di fuggire da ogni scelta, con la impossibilità di costruire legami e affetti costanti, col vivere del bisogno continuo del nuovo. E se si ferma è perduto. Se si ferma, infatti, è assalito dalla disperazione. Don Giovanni è un esteta, vuole il godimento immediato; ma la vita estetica è una vita letteraria, buona per il teatro in cui tutto è gioco di immagini e i sentimenti sono di cartapesta come le scene sullo sfondo. Se don Giovanni smette di recitare e guarda lucidamente a se stesso, scopre soltanto il vuoto: non ha accettato di fare delle scelte (ha creduto di poter sfuggire alla necessità di scegliere), non è dunque altri che nessuno. È nulla. Questo nulla è disperazione, terrore del vuoto, del non essere altro che niente. La sua disperazione nasce dalla coscienza che ogni attimo della vita è eguale all'altro, che il sempre nuovo che egli cerca nella superficialità dell'istante è lo stesso istante che ritorna identico, che si ripete eguale perché la ripetizione non ha caratteristiche. Ogni donna per don Giovanni è uguale alle altre, perché nessuna per lui è oggetto di amore e di scelta. L'importante è ripetere, non fermarsi; importante non è mai ciò che si ripete, ma che il gioco si ripeta. Altrimenti don Giovanni cade nella disperazione. Don Giovanni compie quindi una scelta estetica. L’esteta manca di qualsiasi punto di riferimento, di un “centro” interiore suo proprio, per cui scrive Kierkegaard “non può dare della sua vita nessuna spiegazione soddisfacente, perché egli vive sempre solo nel momento, e ha una coscienza soltanto relativa e limitata di se stesso”; mancando di un punto di riferimento l’esteta non è in grado di costruirsi un proprio progetto di vita “per cui egli spontaneamente è quello che è ... per cui diventa quello che diventa”. Questa mancanza di un progetto si traduce a sua volta nell’incapacità di scegliere, infatti “la scelta estetica o è completamente spontanea, e perciò non è una scelta o si perde nella molteplicità ... si sceglie solo per il momento, e perciò nel momento seguente si può scegliere qualche cosa d'altro”. All’esteta Kierkegaard dice:”Sei spiritoso, ironico, buon osservatore, dialettico, esperto nei piaceri, sai calcolare il momento, sei, secondo le circostanze, sentimentale o senza cuore, ma con tutto questo vivi sempre solo nel momento, la tua vita si disfa in una serie incoerente di episodi senza che tu possa spiegarla” (“Aut-aut”). PROGETTI DI VITA,MODELLI DI PERSONALITÀ 1 - ________________________________ La ___________________________ 1 - ____________________________ ________________________________ 2 - _______________________________ ____________________ 3 - _______________________________ _______________________________ perché ___________________________ _______________________________ 84 L’ESTETA – DON GIOVANNI 1 - _______________________________ __________________________________ ____________ 2 - _______________________________ __________________________________ ________________ non scegliere = __________________ Crede di ________________________________ ma _____________________________________________________________________ È così che la scelta di don Giovanni ha come propria antitesi l'atto con cui 2 _______________________________ l'uomo accetta di scegliere, aderendo così a un mondo etico. L'uomo che accetta il matrimonio permette alle profondità dell'amore di penetrare in lui, rifiutando la superficialità della seduzione. E un salto radicale, è la scelta di una possibilità totalmente diversa. Con la profondità dei suoi sentimenti stabili, con la moglie, con i figli - persone di cui accetta la responsabilità nell'ordine borghese della società moderna - l'uomo sposato trova una propria identità. A partire dai punti fermi del suo mondo (la famiglia, il lavoro, la responsabilità che ne deriva, l'adesione a un ordine di regole sociali che gli garantiscono il rispetto degli altri, e così via), l'uomo sposato costruisce un'esistenza regolare, fatta di diritti e di doveri accettati; ne è contento, acquisisce abitudini, aderisce a un sistema collettivo di valori, costruito dalla generalità dei suoi simili nella società in cui vive. Tuttavia questa generalità è anonima: nessun in particolare stabilisce le regole del vivere sociale, definisce positivamente che cosa è bene e che cosa è male. È la società nel suo complesso a farlo. L'uomo etico aderisce ai valori impersonali di una collettività. Mentre il seduttore vive sempre nell'istante e non si fa mai carico del proprio passato e delle responsabilità che ne derivano, l'uomo sposato ha un rapporto del tutto opposto con il presente. Tutto ciò che egli fa non è limitato all'istante, ma deriva dall'assunzione delle responsabilità che egli si è assunto nelle scelte passate (dall'aver sposato quella donna, avere messo al mondo quei figli), in vista di progetti futuri ben chiari e predeterminati. Tutto questo però copre soltanto il vuoto dell'esistenza. L' identità dell'uomo sposato è protetta: in un'esistenza regolare il nuovo è inquadrato, incasellato nell'ordine esistente; il sistema di valori accettato dalla generalità degli uomini ha una risposta per ogni problema. Tuttavia anche l'uomo sposato non è al riparo dal vuoto dell'esistenza, anch'egli ha una libertà che si rivela vuota. Questo non accade tanto perché le responsabilità assunte lo limitano nelle sue scelte, infatti ciò che l'uomo sposato chiede è proprio di essere liberato dall’angoscia della scelta e di potersi affidare a un sistema oggettivo di valori da tutti accettato. Il punto è che l'uomo sposato si accorge di essersi liberato dalla responsabilità soggettiva della scelta accettando la responsabilità etica della famiglia e un ordine generale di valori , ma di avere così solo coperto la sua più profonda libertà, basata sulla radicale soggettività di ogni decisione. Rifugiarsi dietro le scelte dell'anonimo prossimo, aderire a valori superiori è solo un nascondersi dietro di essi. L’individuo rimane egualmente il soggetto responsabile di ciò che fa anche se si trincera dietro la sua rispettabilità borghese. Quando si accorge di questo l'uomo sposato entra nella dimensione dell'angoscia, vive, cioè il terribile vuoto della sua esistenza. Questa crisi non è transitoria perché affonda le sue radici nell'essere dell'uomo. Tuttavia, se la superficialità del seduttore genera disperazione e la profondità dell'uomo etico genera angoscia, c'è alternativa per l'uomo singolo al sopravvivere come meglio può nello spazio tra queste due possibilità? 85 L’UOMO SPOSATO _________________________: _____________________________ ____________________________________________ ma __________________________________________ _______________________________ _______________________________________________________ ________________________________________________________ Né certe appassionate analisi etiche, né certe suggestive anatomie psicoesistenziali devono però far dimenticare la natura essenzialmente religiosa del pensiero kierkegaardiano. Già Aut-Aut si concludeva con un'apertura verso la dimensione del divino. Ribadita la validità e la dignità della scelta etica, Kierkegaard suggeriva l'esistenza di un'altra prospettiva aperta dinanzi alla coscienza umana: la prospettiva religiosa. In effetti, per Kierkegaard, l’unico antidoto all’angoscia e alla disperazione è la fede; infatti la disperazione nasce perché non vogliamo riconoscere che quello che siamo lo siamo per Dio; vale a dire, che il nostro essere si giustifica solo in Lui. Da che cosa deriva, dunque, la disperazione? Dal voler trovare un senso indipendente e autonomo al proprio essere negando di appartenere a Dio. I cardini teorici essenziali della concezione kierkegaardiana della religione sono l'assoluta trascendenza del divino e la soggettività dell'esperienza religiosa. Soggettività non significa arbitrarietà o relatività della fede: significa, invece, che la religione è un fatto eminentemente personale. Nessuna mediazione estrinseca può e deve turbare l'immediatezza del colloquio dell'uomo con Dio. La fede, dice Kierkegaard, è un'esperienza solitaria: non si entra in essa «in compagnia». Il suo luogo specifico non è tanto la chiesa quanto la coscienza. La sua testimonianza non è tanto un rituale pubblico, visibile, quanto un atto interiore. Il credente conquista Dio solo attraverso «la passione infinita dell'interiorità». Questo forte privilegiamento della coscienza e dell'interiorità non implica però la riduzione dell'esperienza religiosa a un fatto tutto interno e immanente all'io. La fede è anzi proprio l'esperienza di una realtà che sta oltre l'orizzonte della coscienza e dell'umano. Sulla trascendenza del divino e sulla sua incommensurabilità Kierkegaard ha scritto (su tracce antico-testamentarie e protestanti classiche: Lutero, Calvino) pagine di grande potenza. Dio viene prima di ogni argomentazione, ed è al di là di ogni ipotesi. Non può essere «raggiunto» per via «naturale», né tanto meno può essere «dimostrato». Dio è oltre il «limite» al quale è dato di arrivare. Esso è «l'ignoto», irriducibile a «qualsiasi altra cosa che noi conosciamo». È «il diverso»: l'«assolutamente diverso», la «differenza assoluta». A questa inquietante definizione del divino si collega quello ch'è uno dei temi storicamente più significativi della riflessione kierkegaardiana: il rapporto tra fede e ragione, tra fede e filosofia. A questo proposito il pensatore danese assume, infatti, una posizione radicale ed estremamente polemica. Il bersaglio della sua critica sono tutte quelle concezioni (a cominciare dalla filosofia hegeliana) che in un modo o nell'altro cercavano di «conciliare» umano e divino, religione e speculazione - o che cercavano, ancor peggio, di includere la fede nel superiore orizzonte del pensiero filosofico. Tale «conciliazione» non ha per Kierkegaard alcun fondamento. L'esperienza religiosa è per lui un «assoluto». Chi si mette 3 _________________________________ La fede come _______________________ __________________________________ Caratteristiche dell’esperienza ______________________ 1- ______________________________ 2 - _______________________________ 3 - _______________________________ 86 per la strada della filosofia della religione non giungerà mai al traguardo desiderato. La verità filosofica è una cosa, la verità religiosa è un'altra. Credere con la ragione «è una cosa impossibile». L'esistenza di Dio è - e deve restare uno «scandalo» logico: lo scandalo dell'infinito che si incarna nel finito, dell'eterno che entra nel tempo. La fede deve credere «ciò che non vede». Deve scoprire - e accettare - «l'inverosimiglianza e il paradosso». E per far questo occorre un impegno spirituale che va molto al di là degli argomenti razionali. Lo «scandalo», l'«inverosimile», il «paradosso» sono essenziali per la maturazione dell'uomo: gli fanno cogliere i limiti delle sue certezze e del suo buon senso, l'esistenza di verità in-dicibili e in-dimostrabili. È anche per questo che Kierkegaard dà tanta importanza all'angoscia e alla disperazione. Esse sono in qualche modo esperienze-limite che consentono all'essere umano di scoprire la propria insufficienza e di prepararsi alla fede: l'angoscia «forma alla fede»; la disperazione è «il primo grado della fede» che produce «una bruciante nostalgia della religione». Soddisfare tale nostalgia in modo graduale e indolore non è peraltro possibile. La fede, sottolinea Kierkegaard (e questo è un altro dei temi che hanno maggiormente colpito la spiritualità contemporanea) è un «salto» e un «rischio»: è un rischio nel senso ch'essa dev’essere assunta in modo assoluto, senza alcuna prova o garanzia, anzi contro tutte le apparenze e le ipotesi. Perché tutto questo? Perché per Kierkegaard l'oggetto essenziale della religione non è la verità/validità di ciò che si crede, ma come si crede e il modo d'essere del credente: il suo coraggio, il suo impegno, la sua disponibilità assoluta. Il simbolo della vita religiosa è Abramo che, vissuto fino all'età di settant'anni nel rispetto dei doveri morali e familiari, all'improvviso un giorno riceve da Dio l'ordine di uccidere suo figlio Isacco, in netto contrasto con ogni legge morale e sociale. Abramo è posto di fronte a una alternativa radicale: obbedire o non obbedire al comando di Dio, un comando incomprensibile per la ragione umana. Abramo non ha via di scampo, deve scegliere: o Dio o la morale degli uomini. Non c'è la possibilità di una terza via, di una conciliazione o di un'indecisione. Deve scegliere tra due opposti inconciliabili. Egli fa il salto della fede, sceglie Dio. Ma che significato ha tale scelta? Si tratta di una scelta irrazionale e assurda che va al di là di ogni buon senso e di ogni regola umana. Proprio perchè contraria alla morale e all’opinione degli uomini , per cui richiede sempre una scelta individuale, la fede è scandalo: l’ordine di Dio ad Abramo testimonia drammaticamente l'irriducibile differenza tra la ragionevolezza della morale e l'imperscrutabile scandalo della fede. L'uso degli pseudonimi come maschere della verità La fede come _______________________ ________ = limite delle ______________ __________________________________ 4 - _______________________________ ___________________________ simbolo dell’______________________________ la scelta di Dio ______________________ __________________________________ L'USO DEGLI PSEUDONIMI COME ______ ______________________________ Kierkegaard stesso divide la sua opera in rapporto alla modalità comunicativa: alla comunicazione diretta appartengono gli scritti di carattere direttamente religioso, pubblicati a sua firma; alla comunicazione indiretta appartengono tutte le grandi opere pseudonime, e cioè: Aut aut edito da Victor Eremita; Timore e tremore di Johannes de Silentio, La ripresa di Constantin Constantius, Il concetto dell'angoscia di Vigilius Haufniensis (1844), Stadi sul cammino della vita (1845), editore Hilarius Bogbinder. Bisogna poi aggiungere la grande massa delle carte non destinate alla pubblicazione, la cui parte più importante è costituita dal Diario. Kierkegaard lavora costantemente su questi tre piani. L’utilizzo degli pseudonimi, apparso a volte come un ‘gioco’, in stile ironico e satirico, assume un significato molto più esteso. La pseudonimia, in Kierkegaard, è in realtà una polionimia e ha, come ci dice egli stesso, un rapporto «non casuale» Le modalità comunicative di Kierkegaard: 1 diretta: __________________ scritti ____________________ 2 ________________: pseudonimi _______________________________ 3 _______________________ La _____________________: 87 con l'intera sua produzione. L'artificio letterario tipicamente romantico dello pseudonimo diviene in Kierkegaard un vero e proprio "teatro delle maschere" che il filosofo mette in scena e guida con regia puntigliosa. Sceglie per gli pseudonimi nomi bizzarri e al tempo stesso allusivi; fa dialogare le sue maschere fra loro da un'opera all'altra, le incastra una nell'altra come in un gioco di scatole cinesi. Scopo fondamentale di questa complessa macchina è realizzare quella comunicazione indiretta che Kierkegaard ritiene l'unica in grado di parlare della verità: non si tratta, per lui, di trasmettere una dottrina compiuta ma di realizzare una comunicazione d'esistenza, che ha di mira l'attivazione, nell'interlocutore, di un poter fare. Il cristianesimo stesso, che è la più alta verità, non è per Kierkegaard dottrina, ma comunicazione d'esistenza, comunicazione che trasforma. La pseudonimia e l'ironia sono gli strumenti fondamentali di questa scelta comunicativa. Ciascuno pseudonimo esprime esistendo — sia pure solo letterariamente — un'idea: «nello stesso tempo che il libro sviluppa un'idea — annota Kierkegaard nel Diario — si viene delineando anche l'individualità corrispondente». Lo schermo degli pseudonimi non serve a Kierkegaard per proteggersi dal giudizio esterno ma per distanziare sé, il suo proprio punto di vista, da quelli espressi dalle sue maschere. Il ricorso agli pseudonimi si giustifica infatti nell’ottica di fare i conti con la scelta di non identificarsi con nessuna posizione definitiva, che è un po’ l’atteggiamento che sempre Kierkegaard conservò (perché sempre l’uomo è posto al bivio, nella contraddizione, nella possibilità e sta a lui riuscire a vedervi dentro). In questo modo, ciascuno pseudonimo acquista l'autonomia necessaria per rappresentare una possibilità d'esistenza. Tutte queste possibilità sono presenti in Kierkegaard, ma egli non si identifica pienamente con nessuna di esse. E l'universo degli pseudonimi finisce per delineare una sorta di mappa o di geografia dell'esistenza tracciata dall'interno di figure e individualità determinate. L'obiettivo è in primo luogo polemico nei confronti di una situazione comunicativa che Kierkegaard giudica radicalmente falsa. La falsità non dipende dalla maggiore o minore verità dei contenuti dei messaggi, ma dal rapporto tra "emittente" e "ricevente" che si istituisce nella comunicazione sociale. La situazione comunicativa è essa stessa comunicazione; come e chi comunica è in primo luogo importante, non che cosa. Nella "modernità" regna l'anonimato, anche quando la firma compare in testa al frontespizio o in calce all'articolo, poiché il filosofo, il pastore, il giornalista non sono mai «in carattere», cioè non «reduplicano» il loro messaggio nell'esistenza: «reduplicare è essere ciò che si dice». Così, il filosofo (da Kierkegaard identificato con Hegel) costruisce il grandioso palazzo del suo sistema, ma, quanto a lui, «abita nel fienile». I grandi maestri di comunicazione sono invece Socrate e Cristo: «il merito infinito di Socrate è precisamente di essere stato un pensatore esistente, non uno speculante che dimentica ciò che è l'esistere», mentre in Cristo troviamo la verità stessa che si fa esistenza, mostrando quel paradosso che costituisce l'essenza del cristianesimo. All'anonimato del mittente corrisponde quello del ricevente, che lo sviluppo della stampa ha trasformato nell'Io impersonale che si chiama Pubblico: «il pubblico è un astratto che non esiste». Nella realtà, esso corrisponde a quel essere "come gli altri" in cui ogni individualità è persa in cambio della rassicurazione, poiché «la maggior parte degli uomini non ha paura di avere un'opinione errata, bensì di averne una da soli». L'estensione della comunicazione non genera maggiore chiarezza e consapevolezza, «perché più cresce la comunicazione, più tremenda diventa la confusione, più disumano e sovrumano è il compito che si pone per il singolo». Dunque, per attuare una comunicazione d'esistenza in un tempo che adora il feticcio dell’oggettività, che ha dimenticato «che cos'è esistere e che cosa significa l'interiorità», non si può usare la forma diretta, propria di quel sapere "oggettivo" che è il principale responsabile di tale dimenticanza: occorre servirsi della forma il ___________________________ A - non _________________________ ma realizzare una ________________ __________________ che attivi un ______________________________ B – una _____________ dell’esistenza delineata dalle diverse _____________ pseudonimo un idea che delinea _______________________________ ________________________________ = una possibilità di ________________ C – il non _______________________ ______________________________ La ________________ della situazione comunicativa (essa stessa ___________ __________): 1 - l’anonimato del ________________ non reduplica = __________________ _____________________________ contro Socrate = _____________________ Cristo = ________________________ 2 - l’anonimato del ________________ essere come ____________________ per paura di _____________________ ______________________ La comunicazione diretta = _________ _____________________ 88 indiretta. Il senso della filosofia kierkegaardiana è racchiuso nella forma dialogica con cui egli si rivolge al suo pubblico. Kierkegaard non è certo l’unico filosofo ad avere utilizzato la forma epistolare per veicolare contenuti filosofici. L’ironia e la maieutica socratica sono anche la chiave di volta entro cui si può comprendere il tentativo kierkegaardiano di esposizione epistolare. Infatti le epistole presuppongono un dialogo, seppur immaginario, con l’intestatario della lettera, con cui si condividono idee, espressioni, ritagli di vita. Perché allora non favorire il dialogo, alla maniera platonica? Perché nel dialogo platonico il referente è visibile, presente a se stesso, a volte capace di controbattere alle accuse mosse dal suo interlocutore. La lettera, invece, consente la riflessione sull’istante del silenzio, del vortice di pensiero che si svolge intimamente nel tempo di chi scrive e che preseleziona mentalmente il contenuto di quelle medesime riflessioni. L’utilizzo dell’ironia socratica, e in particolare il metodo dell’interrogazione costante, crea l’istante del vuoto, del momento critico-negativo, senza soluzioni. Kierkegaard dichiarò, ne Il mio punto di vista, pubblicato volutamente postumo, di intendere come ‘il mio lettore’ il singolo, e non la massa, la folla anonima, il pubblico. Sotto tutti gli aspetti delineati, Kierkegaard si avvicina più a Nietzsche che a Marx: la linea di confine tra aforisma e lettere e/o diari sfuma nella prevaricazione del singolo sul tutto, su quella filosofia, hegelianamente intesa, come assoluta, anche perché può prevaricare l’ambito personale di discussione interiore e assurgere all’infinito, in cui le sfumature del singolo sono cancellate dal Tutto. Kierkegaard e Nietzsche sono così, in modo radicalmente diverso, tra i più forti critici della ragione storicistica del loro tempo e la loro critica riguarda il mondo artificioso su cui la cultura in parte si struttura. Vita e opere La forma dialogica: _______________ l’ __________________________ a differenza del __________________ consente la ______________________ ironia e _________________________ per creare _____________ il momento ___________________________ Il lettore di Kierkegaard: il __________ Kierkegaard e _________________: lettere e _____________________ le sfumature del __________________ . Nato a Copenhagen nel 1813, nel 1830 Kierkegaard si iscrive alla facoltà di teologia dell'Università locale. Nel frattempo comincia a scrivere annotazioni in un diario, mantenendo questa abitudine per tutto il corso della sua vita (le sue Carte saranno pubblicate postume). Nel 1837 conosce Regine Olsen, con la quale in seguito si fidanza; nello stesso anno va a vivere da solo con una rendita passatagli dal padre, ricco commerciante, alla morte del quale erediterà un grosso patrimonio. Il rapporto con i genitori, e in particolare con il padre, permane come un'ombra alquanto oppressiva su tutta la sua esistenza. Circostanze rimaste ignote provocano quindi in lui un profondo rivolgimento interiore che si manifesta in un senso di angoscia e disperazione: una «scheggia nelle carni», secondo le sue stesse parole. Nel 1841 rompe il fidanzamento, si laurea in filosofia con la tesi Sul concetto di ironia con costante riferimento a Socrate, va per la prima volta a Berlino per ascoltare Schelling, ma ne rimane deluso. Tornato a Copenhagen, si concentra nella composizione delle sue opere: nel 1843 scrive Aut-Aut, Timore e tremore, La ripresa e alcuni Discorsi edificanti; l'anno successivo, Briciole di Filosofia (o Una filosofia in briciole) e Il concetto dell'angoscia. Seguono, fra gli altri, Postilla conclusiva non scientifica (1846), La malattia mortale (1849), Esercizio di cristianesimo (1850). L'elaborazione di questi testi, pubblicati poi sotto vari pseudonimi, è accompagnata da esperienze interiori di profonda sofferenza, acuita dalle difficoltà finanziarie e, soprattutto, dagli attacchi che muove contro di lui, a partire dal 1846, il periodico satirico «Il corsaro». Negli ultimi anni Kierkegaard accentua la sua polemica contro la chiesa ufficiale danese che culmina negli articoli stampati nella rivista «L'ora», da lui stesso pubblicata da maggio a settembre del 1855. Muore nel novembre del medesimo anno. 89