L`angoscia veleno e farma

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Aperiodico on-line di attualità e cultura
reg. del tribunale di Potenza n° 363 del 3 luglio 2007
<<sez. Conoscere>>
Martedì 29 Giugno 2010 “uscita n. 6”
L’angoscia, veleno e farmaco dell’età moderna
di Raffaella Faggella
1.Per chi, come noi, si accinge a definire la natura e la genesi del
concetto di angoscia, accade di costatarne la presenza in diversi
campi di indagine scientifica: particolarmente in ambito filosofico
(dove probabilmente il termine angst in lingua tedesca venne usato per
la prima volta),nella psicologia (dove preferibilmente alla parola
angoscia si sostituisce il termine “ansia” dall’inglese anxiety) e nella
psicoanalisi (dove il termine “angoscia” è usato per connotare non
aspetti
puramente
psicologici,
ma
uno
stato
più
propriamente
patologico che Freud colloca nella casistica delle nevrosi).
Il padre della psicoanalisi nel corso del suo pensiero si è soffermato
più volte con grande attenzione sulla natura e sul significato
dell’angoscia
per
darne
una
spiegazione
scientifica
di
tipo
psicogeno,cioè diversa dalle teorie somatogene di tipo positivista che
in modo deterministico attribuivano la causa dell’angoscia ad una
malformazione del nostro sistema neurovegetativo. In una prima fase
che coincide con l’inizio della sua riflessione (1893-1895) Freud,
affrontando per la prima volta il problema e definendone il quadro
clinico, considera l’angoscia come il risultato di un’accumulazione di
tensione libidica, prodotta da una serie di eccitazioni sessuali non
scaricate. Riprendendo in seguito il problema intorno al 1915,
specifica l’angoscia dell’uomo adulto sia come il risultato traumatico a
distanza della nascita ovvero del distacco dalla madre. Infine, nel
1926,
in uno
studio
specifico intitolato
Inibizione,
sintomo,
e
angoscia, rivedendo le sue precedenti teorie incentrate solo sulla
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libido, attribuisce l’origine del fenomeno psichico anche alla difesa
dell’Io e del Super-Io. A questo proposito Freud, distinguendole,
definisce tre diverse modalità di angoscia:a) quella “esterna” che
scatta nel soggetto come reazione di fronte ad un pericolo reale che
lo minacci; b) l’angoscia “automatica” (interna) che insorge allorché il
soggetto è sopraffatto da un cumulo eccessivo di stimoli che non
riesce a controllare; c) “il segnale di angoscia”(anch’esso interno e
caratteristico delle psiconevrosi) che si genera ogni volta che l’io
cerca di difendersi nei confronti del ripersi di una situazione di
angoscia
automatica
psicoanalisti
si
sono
precedentemente
preoccupati
di
provata.
arricchire
Dopo
Freud
ulteriormente
gli
il
concetto, aggiungendo alla casistica freudiana altre specificazioni,
parlando di “angoscia di base” (generata da uno scontro del soggetto
con il contesto sociale) nel caso di Karen Horney, o di altre diverse
specificazioni quali “angoscia depressiva” o “persecutoria” di cui parla
Melania Kleim.
Quanto agli psicologi, ci limiteremo ad aggiungere a quanto si è detto
all’inizio che le loro ricerche, nate dopo quelle degli psicoanalisti, e
con una prospettiva rigorosamente descrittiva piuttosto che analitica,
sono state rivolte prevalentemente a fornire spiegazioni ulteriori sulle
interrelazioni che intercorrono nella complessa sfera della personalità
che è stata da loro scandagliata a fondo.
2. Qualunque sia il campo di indagine, (sia che al termine angoscia si
preferisca quello di ansia, come accade nella ricerca degli psicologi, o
venga usato in modo assoluto, come è attestato nella filosofia e nella
psicoanalisi) la parola serve comunque ad indicare uno stato negativo
di malessere o sofferenza intima dell’uomo, un’emozione abnorme
spesso accompagnata da disturbi della sfera psicosomatica, di fronte
ai quali egli o avverte dolorosamente e senza rimedio la propria
impotenza o reagisce per opporvi rimedio alla ricerca di soluzioni
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alternative, non necessariamente negative come la scelta della morte
volontaria, ma anche compensative come un possibile rifugio nella fede
o addirittura risolutive, come l’opportunità positiva di una nuova
conoscenza e la possibilità di dare espressione artistica a quel male.
In
quest’ultimo
caso
l’angoscia
potrebbe
essere
assimilata
alla
cosiddetta “malinconia”1 degli umanisti che, pur essendo per sua
definizione associabile alla condizione atrabiliare dell’uomo, perde
nella teorizzazione filosofica del Ficino la sua natura di humeur noir
caricandosi di sensi positivi che inducono all’amore, alla conoscenza e
all’arte.
Nicola
Abbagnano2,
che
ha
un
posto
di
rilievo
nella
cultura
dell’Esistenzialismo non solo italiano, giustamente definita “la filosofia
dell’angoscia”, indicando proprio nell’angoscia un ingrediente costante
della civiltà contemporanea e in generale della situazione umana nel
mondo, dopo aver chiarito che l’angoscia di tipo esistenziale altro non
è per l’uomo se non una situazione oggettiva di sofferenza che
comunque impone l’esigenza di una scelta (che nella condizione
generale si limita semplicemente all’atto di accettare l’angoscia come
male oggettivamente inevitabile, mentre, ponendosi come alterità
rispetto
alle
situazioni
comuni,
apre
eccezionalmente
ad
altre
soluzioni, in alcuni casi risolutive), così chiarisce la necessità da parte
dell’uomo di operare una scelta molto spesso rischiosa:”Certamente
anche di fronte all’angoscia si apre un’alternativa possibile. Si può
rimanere
semplicemente
vittime
dell’angoscia,
evitare
le
scelte
decisive, ridursi alla paralisi o all’accettazione pura e semplice della
ruotine quotidiana. E si può assumere l’angoscia come un incentivo per
le scelte responsabili, per l’attività creativa. Al limite, sulla prima
via, c’è la paralisi spirituale, o la follia. Sulla seconda via non c’è un
limite; ci sono sforzo, fatica, ma anche responsabilità e dignità”.
1
Si veda, a tal proposito, il saggio datato ma anche sempre attuale di S.Battaglia, L’evasione e la malinconia, in
Mitografia del personaggio, Rizzoli, Milano 1968, pp.69 sgg.
2
Cfr. Nicola Abbagnano, in Per o contro l’uomo, Rizzoli, Milano 1982.
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Alcuni termini e concetti che compaiono nella pagina citata, non solo
quello di angoscia, sono gli stessi che vengono utilizzati e fatti propri
da tutti i componenti dell’Esistenzialismo (scelta, scacco, colpa,
possibilità, mondo, singolo, responsabilità sono alcuni delle parole
chiave utilizzati dai componenti di questa scuola) che a partire dagli
anni Trenta del Novecento venne conformandosi, pur con le dovute
differenze dovute al carattere dei diversi autori e pensatori, come
una vera e propria corrente filosofico-letteraria che prende il nome
dal fatto di concepire l’esistenza umana come centro della sua
indagine. Ma tale esistenza viene anche connotata quale finitezza,
cioè come una inesorabile tendenza a finire dell’uomo, (visto che egli
possiede come caratteristica non accidentale la mortalità) che inoltre
si svolge in un mondo fatto non di necessità e certezze assolute, ma
solo di possibilità che non garantiscono all’uomo nessun successo.
3.Si attribuisce alla lettura di Essere e tempo di Martin Heidegger
l’immissione nel pensiero di molti termini e temi che diverranno tipici
dell’esistenzialismo, come ad esempio il concetto fondamentale della
deiezione dell’esserci, che fa dell’uomo un essere per la morte, la cui
vita non ha senso, in quanto egli vi è gettato dentro come un oggetto
o una spoglia inerte. Se è vero che dalla lettura meditata delle opere
di Heidegger prende il via l’Esistenzialismo come una vera e propria
corrente di pensiero del ventesimo secolo che avrà poi le sue
diramazioni,
dobbiamo
ritenere
senza
ombra
di
dubbio,
come
giustamente ritiene Abbagnano, che sia Soren Kierkegaard3, vissuto
nel secolo precedente (1813-1855), il vero padre spirituale di quella
scuola filosofica.
Il pensatore danese strutturò il suo sistema di idee contrapponendosi
all’opera di Hegel, nel cui pensiero l’esistenza dell’uomo trovava una
3
Il letterato e filosofo danese Kirkegaard è ritenuto a ragione il precursore dell’Esistenzialismo, la corrente di pensiero
contemporanea che, in opposizione all’Idealismo e ad ogni forma di razionalismo, insiste sul carattere instabile e
precario dell’esistenza umana, individuale e irriducibile ad ogni universale.
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spiegazione e una giusta collocazione all’interno della sua filosofia
dello Spirito, in quanto consustanziale e retto dallo stesso principio,
secondo una traiettoria razionalmente comprensibile che dalla vita del
singolo mena a quella dello Spirito. In questa visione l’uomo è
comprensibile solo in termini di necessità. Una volta concepita la
totale appartenenza al mondo dello spirito, all’uomo che vi si conforma
si riserva necessariamente un destino superiore di felicità e successo.
Pertanto, il pensiero hegeliano, come accade a tutte le tendenze
filosofiche
collocati
della
metà
all’interno
dell’Ottocento,(Positivismo
dello
stesso
quadro
e
richiedono
Marxsismo,
un’analoga
considerazione in generale) è caratterizzato da un ottimismo di fondo,
in quanto concepisce una fede vigorosa nella condizione dell’uomo e nel
suo destino futuro. Soren Kierkegaard sta a sé, in quanto la sua è
l’unica voce discorde nel grande coro dell’ottimismo filosofico del suo
secolo.
Mentre le filosofie ottocentesche fondavano il loro successo sul
concetto di necessità (le leggi di natura su cui si regge l’impalcatura
dei valori positivisti non sono per questo diverse dal hegeliano divenire
dello Spirito) Kierkegaard nega questo fondamento in quanto non
crede nella necessità, per lui l’esistenza dell’uomo separata da
qualsiasi spiegazione generale, si svolge esclusivamente in modo
solitario e singolo senza alcun rapporto o legge che lo colleghi alla vita
di un’entità che si chiama Spirito. L’uomo, se è vero che vive, vive
non in un mondo assoluto ma esclusivamente in un mondo del
“possibile”, nel senso che a lui sono riservate una serie di possibilità.
Ma quella che può sembrare una ricchezza si riduce infine a povertà
in quanto egli vive innanzitutto il dramma della scelta, ma non è detto
che la possibilità prescelta si realizzi positivamente. Di qui il senso
dello smacco, del fallimento e della sconfitta che aprono la strada al
sentimento fondamentale dell’uomo contemporaneo cui Kierkegaard
diede il nome di angoscia.
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L’insorgere di questa malattia dello spirito che si contagia anche alla
sua complessione fisica, che trova la sua spiegazione nel senso del
nulla che avvolge la vita dell’uomo contemporaneo, è stata così
spiegata da Nicola Abbagnano, uno dei più sensibili filosofi del nostro
tempo:” Tutto ciò che l’uomo può essere, sperare o conquistare è
soggetto alla minaccia del nulla. E il sentimento che fa avvertito
l’uomo di questa minaccia è l’angoscia. L’angoscia non è la paura o il
timore di un male o di un danno determinato che minacci l’uomo in una
situazione particolare. Può insorgere anche nella condizione fortunata
e felice perché è il sentimento del possibile: è l’avvertimento che la
sventura, il male, il peccato, la morte sono dietro l’angolo e possono
mandare da un momento all’altro in malora ciò che l’uomo ha di più
caro”4.
4.Queste idee, frutto del solitario pensatore danese dopo la fine
della prima guerra mondiale e diventate in seguito patrimonio della
corrente esistenzialista, sono penetrate ampiamente e profondamente
nella nostra cultura contemporanea. Norberto Bobbio in un suo libro
intitolato La filosofia del Decadentismo ha giustamente messo in
risalto i legami strettissimi che esistono tra l’esistenzialismo e la
cultura del ‘900. Una tale correlazione si spiega innanzitutto con la
presenza di motivi angoscianti che si riconoscono in tutta l’arte del
ventesimo secolo. Se apriamo a caso le pagine dei romanzi di Svevo e
di Pirandello, da noi, di Thomas Mann, di Kafka, di Musil, e di altri
autori della grande avanguardia europea, vi troviamo la presenza
ricorrente di motivi quali la solitudine, l’alienazione e il termine
fondamentale dell’angoscia.
Se ci chiediamo in conclusione che cos’è l’angoscia, potremo rispondere
con gli esistenzialisti che essa è la paura che nasce dal non so che,
da un pericolo che non si conosce. E’ come se l’uomo si fosse posto al
4
N.Abbagnano, ibidem.
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di là di un cantone, incapace di vedere quello che dietro l’angolo si
svolge. Questa sua posizione che da un lato potrebbe sembrare
defilata è, al contrario, pronta ad essere sensibilizzata da tutti i
fenomeni del mondo ed esposta costantemente al rischio e alla paura.
L’angoscia, pertanto, non è altro che la posizione storica dell’uomo
moderno che, trovandosi in un’età di crisi, dopo aver visto naufragare
l’intera impalcatura dei valori positivi, ha perso le sue certezze e ha
paura di un qualcosa che lui stesso non è in grado di definire.
L’angoscia, il nichilismo, questo sentimento del nulla che domina tutta
quanta la vita dell’uomo moderno è stata teorizzata a partire da
Kierkegaard
dalla
scuola
dell’esistenzialismo,
una
filosofia
che
riconosce nella vita dell’uomo solo il niente, nel senso che la vita
dell’uomo non ha senso, non significa nulla, egli è gettato nella vita
(secondo la definizione di Heidegger assolutamente tragica), la vita è
semplicemente dolore, l’uomo vive in attesa della morte, l’unica
certezza del domani che gli è riservata. Per capire i legami che
intercorrono fra la filosofia e la letteratura del ‘900 basta leggere
nelle pagine dei romanzi di Svevo, di Pirandello, di Moravia per
verificare che i protagonisti di queste opere (gli inetti di Svevo, i
personaggi irrelati di Pirandello, gli indifferenti di Moravia) sono
individui che sentono i medesimi sentimenti.
Non solo il romanzo, ma anche la lirica, tutte le espressioni artistiche
dell’età moderna, sono poco rassicuranti, ma sono anche forme
espressive
che
intendono
rivelare
in
qualche
modo
le
ragioni
drammatiche della vita del nostro tempo. La vita nella quale ora siamo
calati è per gli artisti e i filosofi contemporanei una condizione
tragica, è una vita anarchica, è una situazione in cui tutto si
scompone: il soggetto perde la sua identità ed unità. L’uomo è solo e
angosciato, continuamente ricacciato in se stesso e non ha più la
possibilità di comunicare normalmente con gli altri. Si può dire che
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nella letteratura, nella poesia, nel romanzo, ma anche nelle arti
figurative l’artista rinunzi alla consueta comunicazione. In compenso
però l’arte del ‘900, denunciando la crisi storica in cui egli versa, ha
avuto il grande merito di averci mostrato l’effettiva dimora dell’uomo
contemporaneo.
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