Il concetto di cultura- Raffaella

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Aperiodico on-line di attualità e cultura
reg. del tribunale di Potenza n° 363 del 3 luglio 2007
Rubriche – Attualità & Cultura
Articolo pubblicato sull’uscita N° 1 del 11 luglio 2007 - Eccoci
Il concetto di cultura, un problema aperto
di Raffaella Faggella
Nel linguaggio comune il termine cultura prima dell’avvento delle scienze
antropologiche ed etnologiche, dalle quali fu inteso in senso molto diverso, veniva di
solito utilizzato per qualificare un patrimonio di conoscenze acquisite dall’uomo
prevalentemente attraverso i processi conoscitivi dell’istruzione. Infatti nella storia
della filosofia e delle scienze umane la parola ha sempre indicato quel complesso di
conoscenze, di credenze, di modi del comportamento che un individuo padroneggia e
possiede interamente dopo aver realizzato la massima approssimazione ad un
determinato modello umano che viene acquisito grazie all’opera di educazione o
formazione. In tal senso il termine cultura ha un significato che si approssima o
coincide con quello di paidèia, costituito dai filosofi della Grecia classica, o con
quello di humanitas, coniato da Cicerone ed utilizzato con successo fino all’età
moderna. La cultura classica, sia greca che romana, mirando alla realizzazione di
un’umanità libera ( come testimonia anche il nome di “arti liberali” assegnato agli
studi necessari a conseguirla) si riconosceva nel comune denominatore di una qualità
prevalentemente aristocratica dei processi di acquisizione culturale che escludeva di
fatto gli schiavi e gli uomini di rango inferiore.
Un tale selezionatore concetto di cultura, passando attraverso il Medioevo, è rimasto
sostanzialmente immutato nell’età rinascimentale( che in alcuni teorici si limitò a
toccare solo momenti di crisi) trovò nel ‘700 una critica serrata nel pensiero degli
Illuministi, i quali, facendo una distinzione fra civiltà e cultura, giunsero a formulare
un concetto diverso di quest’ultima, intesa quale comune patrimonio universale, non
esclusivamente riservato ai dotti. Una tale distinzione, formulata risolutamente da
Rousseau, non si tradusse nel pensiero illuminista in un’ assoluta contrapposizione,
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ma solo dopo Kant ( che giunse a formulare una più netta differenzazione fra Kultur e
Zivilisation) trovò nel pensiero tedesco una specifica formulazione.
Soltanto con lo sviluppo della sociologia e dell’antropologia culturale dell’età del
Positivismo le nozioni di cultura e civiltà, ebbero un significato diverso. Unificate per
la prima volta come sinonimi, furono utilizzate per qualificare un tale analogico
processo: le società si evolvono progressivamente attraverso successivi stadi di
avanzamento civile e culturale. In effetti, quando ci si riferisce a “cultura”, in una
moderna concezione antropologica non si può non pensare agli individui in quanto
membri di una società storicamente costituita, partecipi di un patrimonio anch’esso
sociale di credenze, conoscenze, fantasie, ideologie, simboli e valori che si
concretizzano in modelli di comportamento e azioni che, pur con le debite diversità,
appartengono ai gruppi umani di ogni società. In realtà, quando i viaggiatori e gli
etnologi del secondo Ottocento ebbero contatto con il sistema di vita dei popoli più
selvaggi, ne dedussero che nessuna popolazione vive assolutamente allo stato di
natura, in quanto ciò che caratterizza propriamente la specie umana è proprio la
disposizione a creare una cultura che viene tramandata socialmente e non per mezzo
di geni. E.B.Taylor, il primo ad utilizzare il termine in questa accezione (cfr.La
cultura primitiva, 1871) qualifica la cultura “ quel complesso insieme, quella totalità
che comprende la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e
qualsiasi altra capacità e abitudine, acquisita dall’uomo in quanto membro di una
società”.
Al di là di questa prima e generale definizione non è propriamente agevole
comprendere l’estensione del concetto di cultura quale termine capace di definire gli
elementi distintivi della specie umana, come testimonia la ricerca di KluckhonKroeber ( Cultura.Una rassegna critica dei concetti e delle definizioni,1952) che
elenca più di duecento definizioni diverse del termine.
Data la grande messe delle diverse interpretazioni del termine di cultura, dopo aver
accennato ai concetti di paidèia e humanitas, ricordati all’inizio, ci limiteremo a
riferire con le opportune distinzioni quelle che, a parer nostro, meritano di essere
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brevemente citate, a cominciare da quegli studiosi che hanno posto l’accento sugli
aspetti storici di essa quale complesso insieme di comportamenti tradizionali
sviluppati dalla razza umana e progressivamente acquisiti dalle successive
generazioni. B.Malinowski, ad es. nell’ <<Enciclopedia delle scienze >> sostiene che
l’eredità sociale e la trasmissione storica dei suoi valori “ è il concetto chiave per
comprendere il significato dell’antropologia culturale.
Altri studiosi, di ascendenza freudiana, puntando la loro attenzione sugli aspetti
psicologici del problema e sottolineando l’importanza dell’adattamento degli uomini
ai loro modelli di esistenza, giungono, come fa C.Wissler, ad una definizione storicopsicologica del concetto di cultura: “ I fenomeni culturali sono da concepire quali
entità comprendenti tutte le azioni dell’uomo acquisite mediante l’apprendimento”.
Per Ròheim, un antropologo della stessa linea di Freud, ( quest’ultimo, a dire il vero,
non ha mai usato la parola “cultura” in senso antropologico, ma riducendola ad un’
universale repressione della libido e alla formazione del Super-Io) nell’Enigma della
sfinge ritiene che la cultura non sia altro che “ la somma di tutte le sublimazioni, di
tutti i sostituti, o formazioni reattive, tutto ciò che nella società inibisce gli impulsi o
consente loro una soddisfazione distorta”.
Kroeber, infine, ritiene che la cultura sia il Superorganico, cioè il livello della
massima organizzazione della specie umana, che subordinandoli comprende tutti gli
altri ( biologici, fisiologici, psicologici etc.) , anche se non può essere ridotto ad
alcuno di essi. il linguaggio, ad esempio, anche se potenzialmente presente a tutti i
livelli, non può essere attivato se non al livello sociale tramite i processi culturali.
Che la cultura sia l’insieme di attività condizionate ed apprese e si acquisisca non in
modo riflesso ed istintuale, ma per imitazione ed apprendimento,lo dimostra il fatto
che un bambino non costituisce spontaneamente il suo linguaggio, ma riuscirà ad
articolare parole solo ascoltando gli altri che parlano intorno a lui.
Mi auguro che tutto ciò serva almeno a dare un’idea del complesso significato di
cultura, del quale potremmo aggiungere altre definizioni se solo ne avessimo il tempo
e l’occasione. Del resto, come ha sostenuto Lévi-Strauss, l’antropologia culturale,
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nel cui campo il concetto di cultura si iscrive, è una scienza la cui indagine è sempre
aperta: il suo fascino consiste più nella speranza che nelle interpretazioni definitive
della realtà.
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