Aree valutarie ottimali 1. La dimensione ottima dell`area in cui

Aree valutarie ottimali
1. La dimensione ottima dell’area in cui circola la stessa moneta dipende da due fattori ( che determinano
come varia l’utilità in funzione della dimensione, cioè l’incremento di utilità associato a un aumento della
dimensione dell’area in cui viene accettata la stessa moneta)
a) Quando cresce l’area ci sono benefici crescenti che dipendono dal fatto che si partecipa a una rete di
scambi facilitata più ampia. Ovvero siccome la moneta serve a facilitare gli scambi ci sono effetti di rete, più
è ampia maggiori sono i benefici
b) Ma avere una stessa moneta significa anche avere un’unica banca centrale e un’unica politica monetaria.
Più è vasta l’area più ci sono costi legati alla praticabilità, in particolare al costo di non poter avere una
politica monetaria-economica differenziata (alzare -abbassare il tasso di interesse/svalutare- rivalutare la
moneta) che consenta di reagire a eventuali situazioni dissimili (shock non uguali ovvero “shock
asimmetrici”). Il libro fa l’esempio di uno shock asimmetrico in California e il fatto che sarebbe stato “utile”
in quel momento avere un “dollaro californiano” che si svalutasse per favorire le esportazioni della
California.
Tassi di cambio:
Nominale. E Prezzo estero della valuta nazionale.
Esempio cambio nominale euro-dollaro=prezzo in dollari dell’euro= numero di dollari necessari a comprare un euro
E= 1.1
Se P rappresenta il prezzo in valuta nazionale di un paniere di beni (es. 100 euro) in dollari lo stesso paniere costa EP
(110 euro). Un deprezzamento dell’euro (declino di E) rende i beni interni (EU) meno costosi nei confronti dei beni
esteri (USA) e la competitività europea migliora.
Il modo per misurare la competitività dell’Europa nei confronti degli Usa è di confrontare il prezzo in dollari di questo
paniere di beni prodotti in Europa con il prezzo in dollari P* dello stesso paniere prodotto negli Usa. Questa misura è
definita tasso di cambio reale
Reale: λ: EP/P*
E=tasso di cambio nominale P= prezzi interni area euro
P*= prezzi interni negli Stati Uniti
λ = costo dei beni europei in dollari/costo dei beni Usa in dollari
Il tasso di cambio reale quindi può variare o perché varia E o perché P e P* hanno una dinamica diversa. In altre
parole, almeno nel breve periodo, la competitività dipende sia dall’andamento relativo dei prezzi (un paese perde
competitività se il tasso di inflazione è più elevato di quello di un importante paese partner negli scambi) sia dal livello
del tasso di cambio nominale.
A parità di prezzi un deprezzamento nominale (riduzione di E) si traduce in equivalente deprezzamento reale (si riduce
λ) .
λ si riduce anche se i prezzi interni EU (P) si riducono rispetto a P* (deprezzamento reale, aumento di competitività)
λ aumenta se i prezzi interni EU (P) aumentano rispetto a P* (apprezzamento reale, riduzione di competitività) o se
aumenta E
Che cosa succede con uno shock sfavorevole? La figura 13.3 mette in relazione Domanda e offerta interne con il
tasso di cambio reale EP/P* . L’offerta S è crescente con λ, cioè se aumentano i prezzi interni (P) in area euro
oppure se aumenta E (perché in questo caso si riducono i prezzi dei beni importati usati come input e quindi i costi di
produzione). La domanda invece si riduce se si apprezza il cambio reale (ovvero aumenta il prezzo relativo dei beni
prodotti nell’area euro) perché i consumatori sia nazionali che esteri si rivolgono ai beni stranieri meno cari.
Uno shock negativo è rappresentato dallo spostamento a sinistra della domanda. Se E si deprezza o si riduce P (se i
prezzi e salari interni sono flessibili) ovvero il paese recupera competitività o attraverso una svalutazione o perché si
riducono i costi interni di produzione, il nuovo equilibrio è B. Se invece il tasso di cambio è fisso e prezzi e salari sono
rigidi l’equilibrio è C che si trova sulla nuova curva di domanda in corrispondenza del tasso di cambio reale λ0. Ovvero
se nelle nuove condizioni di domanda (determinate ad esempio da un forte rallentamento dell’economia, una
recessione) non ci sono aggiustamenti verso il basso dei prezzi e salari (o del tasso di cambio nominale) che
consentano di recuperare produttività l’impatto sul livello di equilibrio del prodotto (Pil=GDP) è ancora più negativo.
Un’unione monetaria esclude i cambiamenti del tasso nominale di cambio all’interno dell’area monetaria. Dal
momento che il tasso di cambio nominale non può variare c’è solo la strada della riduzione di prezzi e salari o
maggiore “sofferenza” in termini di PIL.
Ovvero nel passato paesi come l’Italia e altri in presenza di shock negativi ricorrevano a svalutazioni (es. della lira nei
confronti del marco e altre valute) recuperando in questo modo parzialmente competitività. Oggi nell’Euro questo non
è più possibile.
A questa osservazione va però aggiunta una considerazione ulteriore: in realtà gli effetti delle svalutazioni sulla
competitività tendono a essere temporanei. La svalutazione infatti ha anche l’effetto di aumentare il prezzo dei beni
importati, quindi i costi di produzione e tendenzialmente i prezzi e i salari nominali (i lavoratori cercheranno di
recuperare il potere d’acquisto). In altre parole le svalutazioni nominali provocano svalutazioni reali temporanee, e
effetti inflazionistici.
Shock asimmetrici
Se due paesi di un’area monetaria subiscono lo stesso shock hanno interesse a decisioni di politica economica uguali
(es. deprezzamento del tasso di cambio verso il resto del mondo). Se lo shock riguarda un solo paese (es. Spagna,
paese A) e la Banca Centrale decide per il deprezzamento il paese A (dove si è ridotta o la domanda interna o quella
internazionale) ci guadagna perché recupera in termini di competitività internazionale e quindi domanda totale
attraverso la svalutazione. Il paese B invece (esempio Germania) fronteggia un eccesso di domanda (al nuovo tasso di
cambio reale più basso la domanda totale, a causa della maggiore domanda di importazioni- eccede l’offerta interna)
e questo è potenzialmente inflazionistico (espansione e inflazione).
Se invece l’aggiustamento non c’è nel paese A si dovranno ridurre e i prezzi e i salari (disinflazione e recessione).
Figura 13.4
Alcuni criteri dell’area valutaria ottimale
1. Mobilità dei fattori. La teoria di Mundell: il costo di condividere la moneta verrebbe “eliminato” se i fattori
produttivi, capitale e lavoro, sono completamente mobili (ovvero in presenza di shock sfavorevole e disoccupazione in
A vi è spostamento di fattori ( lavoro e capitale verso B).
Mentre nel caso del capitale finanziario l’ipotesi di mobilità senza frizioni è realistica, i movimenti di lavoro,
soprattutto attraverso le frontiere tra paesi diversi nella realtà non sono senza difficoltà , e i movimenti di capitale
fisico (es. impianti di produzione) non sono né semplici n’è immediati. La mobilità del lavoro in effetti può solo essere
un fattore che mitiga gli effetti di shock asimmetrici.
2. Diversificazione (Kenen) I paesi di una AVO devono essere diversificati (cioè avere una struttura dell’economia
complessa piuttosto che dipendente da un solo settore) e ed essere produttori di beni simili. Le vittime più probabili
di shock importanti sono le economie poco diversificate (es. un paese che vive soprattutto delle esportazioni di un
determinato prodotto agricolo/materia prima)
3. I Trasferimenti fiscali
I paesi che si accordano per compensazioni reciproche nei casi di shock sfavorevoli formano un’area valutaria ottimale
Gli schemi di trasferimento di questo tipo esistono fra regioni in ogni paese, a volte sono espliciti, più spesso sono
impliciti. Per esempio se una particolare regione soffre per uno shock asimmetrico in questo caso il reddito
diminuisce, e diminuiscono anche le tasse, mentre aumenta il sostegno all’assistenza sociale –sussidi di
disoccupazione e altro. Al netto la regione riceve in modo implicito, cioè attraverso i meccanismi automatici del
bilancio dello stato, trasferimenti dal resto del paese. Negli Usa per esempio è stato stimato che qualsiasi caduta di
reddito in uno stato viene compensato da trasferimenti federali che ammontano a una cifra compresa tra il 10 e il 40%
della perdita. Alcuni paesi dove il bilancio è federale, come la Germania o Svizzera, si avvalgono di sistemi di
trasferimento espliciti. Nella UE il bilancio è povero meno del 2% del Pil.
4. La solidarietà “Quando una politica monetaria comune provoca conflitti fra interessi nazionali, i paesi che formano
un’area monetaria devono accettarne i costi in nome di un comune destino”