appunti "ECOSISTEMA" III Liceo n.o.

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Gianmario Gerardi – Corso di Biologia
IL FENOMENO BIOLOGICO
Il fenomeno biologico è l’effetto di un insieme molto complesso di strutture molecolari organiche a base di carbonio, azoto, ossigeno e fosforo e di
migliaia di reazioni biochimiche a loro carico, altamente organizzate e finemente regolate, le quali, nel loro insieme, riescono a portare a termine
processi apparentemente impossibili dal punto di vista della spontaneità delle reazioni chimiche dell’Universo. La vita è infatti in grado di
mantenere un accumulo ostinato di energia potenziale e di organizzazione. Tali processi, tuttavia, si esaurirebbero in brevissimo tempo se il
fenomeno non fosse dotato della capacità di riprodurre in toto l’intero sistema, costantemente minacciato dal deterioramento e dall’imprecisione
dovuta alla casualità del suo svolgersi (per lo meno questo è ciò che oggi siamo in grado di vedere).
Il sistema biologico più semplice in grado di elaborare materia ed energia nei modi evidenziati sopra, e in grado di riprodurre sé stesso, è la
cellula. La forma più semplice che possa esserci del fenomeno biologico è una cellula viva, la quale è in grado di autoformarsi, di recuperare
energia dall’esterno e di riprodursi, generalmente per divisione di sé stessa, dopo aver duplicato il patrimonio genetico costituito dai suoi
cromosomi (un processo chiamato MITOSI).
L’ECOSISTEMA
Il fenomeno biologico non può ovviamente essere considerato come un qualcosa di isolato. Pur essendo, come si è visto, attraverso i suoi codici,
qualcosa di assolutamente straordinario rispetto agli oggetti che gli stanno intorno, la vita dipende in tutto e per tutto da buona parte di essi e
dall’energia che possiedono e che sono in grado di scambiare, da questo insieme di risorse indispensabili. L’idea di ecosistema è nata attorno
all’osservazione della vita come fenomeno profondamente diverso dal resto dell’Universo inanimato e il concetto di ecosistema era indispensabile a
descrivere quella porzione di natura non vivente necessariamente legata ad essa, attraverso scambi ed equilibri, senza i quali la vita da sola non è
in grado di svilupparsi e sarebbe destinata ad esaurirsi in brevissimo tempo.
Oggi, l’idea scientifica (per la verità discutibile) che anche la vita sia solo un caso curioso di fenomeni chimici rispondenti tuttavia alle medesime
leggi della natura non vivente, ha in un certo senso scalzato il fenomeno biologico dalla posizione centrale che gli era stata attribuita, ponendolo
non al di sopra ma a fianco di tutti gli altri fenomeni naturali con i quali esso si trova in stretto rapporto chimico-fisico.
Una buona definizione scientifica di Ecosistema, pertanto, oggi potrebbe essere questa: una porzione di Universo, nella quale si colloca
stabilmente un insieme di fenomeni a carattere biologico, i quali stringono stretti rapporti di equilibrio e di scambio sia tra di loro che con l’energia
e la materia inanimata messa a disposizione da quella parte di Universo.
Un ecosistema si identifica come insieme piuttosto autonomo di equilibri e di scambi, nel senso che pur essendo un sistema aperto ha un volume
di scambi al suo interno molto maggiore che verso l’esterno. Gli equilibri di un ecosistema producono un generale forte effetto tampone, tanto che
eventuali alterazioni più o meno incisive di questi equilibri hanno la tendenza a produrre risposte complessivamente contenute, grazie alla fitta
rete di collegamenti esistenti fra tutti i numerosi equilibri.
Ogni ecosistema possiede corridoi di scambio di materia e di energia anche con gli ecosistemi eventualmente ad esso circostanti e può accadere
che specie viventi si prodighino in migrazioni, anche a carattere evolutivo, dall’uno all’altro ecosistema, alla ricerca di condizioni di maggiore
stabilità generale.
Oggi non vi sono solo ecosistemi naturali, ma se ne possono trovare anche di artificiali, nei quali l’intervento continuo e sistematico dell’uomo è
indispensabile alla loro sopravvivenza. Un esempio potrebbe essere un parco naturale inserito in un contesto urbano o fortemente antropizzato.
Gli elementi costitutivi principali di un ecosistema sono: l’energia di cui è fornito, cioè energia solare, energia potenziale chimica ed energia
termica; la materia inanimata, che può essere distinta in materia inorganica e materia organica e, infine, il bioma ovvero la parte vivente
vera e propria. A questi può essere aggiunto anche la risorsa dello spazio.
Da scrivere
ENERGIA (potenziale chimico, calore, luce)
MATERIA (organica e inorganica)
IL BIOMA
Un bioma è la porzione di un ecosistema rappresentata dall’insieme di tutte le specie di esseri viventi in interazione fra loro, all’interno di
quell’ecosistema, ove le relazioni sono rappresentate da flussi più o meno costanti di energia, per lo più attraverso gerarchie alimentari semplici o
basate sul parassitismo e sulla predazione. Se non considerassimo l’alterazione artificiale introdotta dall’uomo nelle ultime decine di secoli,
l’insieme di tutti i biomi terrestri, comprendenti anche l’uomo, costituirebbe la biosfera terrestre.
La circoscrizione di un bioma, e in un certo senso anche del suo ecosistema, va intesa come ampia porzione di biosfera, individuata e classificata
in base principalmente al tipo di vegetazione dominante, che, lungo la scala alimentare (scala trofica) rappresenta la porzione più importante di
produttori primari di energia. La vegetazione influenza la presenza degli animali, perché la vita di questi ultimi dipende dalle piante. In un bioma
quindi troviamo un insieme di animali e piante comprendenti organismi pluricellulari e unicellulari, anche microscopici, che interagiscono fra loro.
L'approccio allo studio di un bioma è l'osservazione della struttura delle piante (alberi, arbusti e erbe), dei tipi di foglie (latifoglie e aghifoglie),
della distanza tra le piante (foresta, bosco misto, savana) e l'analisi del clima. I biomi sono spesso identificati tramite il concetto di vegetazione
climax, quindi con comunità vegetali che hanno raggiunto un elevato grado di adattamento all'ambiente naturale che li ospita.
Le origini e lo sviluppo della biosfera terrestre
Fonte bibliografica principale: http://www.cosediscienza.it
Non possiamo raccontare come sia iniziata esattamente la vita e, forse, non siamo nemmeno in grado ancora di dire quand’è che un sistema
chimico-fisico può essere definito “vivente”. Le sperimentazioni scientifiche, però, rendono oggi ammissibile che i costituenti fondamentali della
vita si possano essere generati da soli, attraverso vie chimico-fisiche plausibili. Non sappiamo nulla sull’origine reale della vita, perché in quel
tempo e in quei luoghi non c’era nessuno che sia in grado di comunicarcelo oggi e non esistono dimostrazioni logiche inequivocabili che possano
descrivere in modo veritiero l’una o l’altra strada intrapresa. Tuttavia oggi è possibile descrivere ipotesi per lo meno possibili e non fantomatiche o
miracolistiche.
Le molecole organiche, e soprattutto quelle biologiche, come aminoacidi, zuccheri e acidi nucleici (DNA ecc.) non possono essersi originate da
reazioni chimiche di tipo inorganico, come quelle che abbiamo conosciuto nel nostro corso di chimica, se consideriamo che esse avrebbero dovuto
svilupparsi casualmente e, ovviamente, in un ambiente non artificiale.
Le ipotesi più accettabili, però, arrivarono quando ci si rese conto che la crosta e l’atmosfera terrestri degli inizi, avrebbero potuto essere anche
molto diverse da come sono ora e con caratteristiche estreme di temperatura e composizione chimica, paragonabili, appunto, a quelle ottenibili
solo in un laboratorio artificiale moderno.
Haldane e Oparin, prima della metà del ‘900, fecero la loro prima ipotesi sulla nascita casuale delle strutture molecolari biologiche a partire da
molecole inorganiche e nel 1952 un giovane ricercatore americano, Stanley Lloyd Miller, fresco di laurea, fu incaricato dal suo professore, Harold
Clayton Urey, premio Nobel per la chimica nel 1934, di eseguire un esperimento secondo le modalità da lui stesso indicate.
Due bocce di vetro riempite rispettivamente di acqua tenuta ad alta temperatura e di una miscela di idrogeno (H 2), ammoniaca (NH3) e metano
(CH4), cioè di quei gas che, insieme al vapore acqueo (H2O), si riteneva fossero i costituenti principali dell’atmosfera che, più di quattro miliardi di
anni fa, circondava la Terra. L’acqua calda, che nelle intenzioni dei ricercatori avrebbe dovuto rappresentare l'oceano ancestrale, produceva
vapore che attraverso un tubo veniva convogliato nel recipiente il quale conteneva i gas dell'atmosfera primitiva. All’interno di quel recipiente
venivano generate scariche elettriche a 60.000 volt che avrebbero dovuto riprodurre i fenomeni temporaleschi presumibilmente frequenti e intensi
all'inizio della storia del nostro pianeta.
Dopo una settimana di trattamento continuo venne analizzato il
contenuto della boccia piena di acqua che nel frattempo aveva cambiato
colore, divenendo rosso-arancio, e con sorpresa si scoprirono al suo
interno, assieme a composti di ogni tipo, anche alcuni aminoacidi, cioè i
precursori delle proteine le quali, come tutti sanno, sono i costituenti
principali degli organismi viventi.
All'esperimento di Miller ne seguirono altri dello stesso tipo con miscugli
gassosi di partenza diversi, ma sempre contenenti gli elementi
fondamentali degli organismi viventi e cioè carbonio (C), idrogeno (H),
ossigeno (O), azoto (N), zolfo (S) e fosforo (P) e anche le fonti di
energia erano di vario tipo. Vennero utilizzati i raggi ultravioletti, raggi
X, flussi di elettroni o semplicemente temperature elevate, grazie al cui
impiego si ottennero svariati composti tipici degli organismi viventi
come glucidi, lipidi, aminoacidi e perfino i nucleotidi, cioè i costituenti
del DNA e dell'RNA. Mai si trovarono molecole diverse da quelle tipiche
dell’attuale materia vivente.
Nel 1957 Sidney Walter Fox mostrò che era possibile unire aminoacidi e
formare proteine fuori dagli esseri viventi. La polimerizzazione delle
principali sostanze biologiche, tra cui gli aminoacidi, infatti, richiede
disidratazione, un processo assai improbabile dentro le acque
oceaniche. Riscaldando una miscela di aminoacidi su una piastra
metallica, quando la massa si raffreddava, era possibile osservare al
suo interno alcune molecole complesse, molto simili alle proteine che
chiamò "proteinoidi". Queste molecole si erano formate per unione di
amminoacidi con conseguente liberazione di acqua che, sulla piastra
calda, era immediatamente evaporata.
Stanley Lloyd Miller
Da qui fu possibile ipotizzare una modalità realistica di fabbricazione di questi polimeri. Le enormi maree dell’epoca, infatti, potrebbero aver dato
origine ad una vera e propria produzione “in catena” di polimeri: i monomeri venivano depositati da enormi mareggiate sulla terra molto calda,
dove, “a secco” poteva svolgersi la polimerizzazione, successivamente onde successive di marea avrebbero potuto riportare tutto quanto nel mare
e il processo poteva perciò avvenire in modo addirittura ciclico.
Successivamente Oparin ed altri sperimentarono che mescolando in acqua determinate proteine dotate di elevata affinità per l’acqua, in opportune
condizioni di temperatura e acidità, si venivano a formare migliaia di goccioline (coacervati) al cui interno le molecole più grandi apparivano unite
le une alle altre, mentre, nel resto della soluzione, le stesse molecole risultavano quasi assenti. Il fenomeno si spiega ammettendo l’esistenza di
cariche elettriche di segno opposto sulle molecole proteiche le quali avrebbero l’effetto di consentire la loro reciproca attrazione e, nello stesso
tempo, il richiamo sulla superficie esterna di molecole polari di acqua che formerebbero una specie di pellicola intorno al coacervato isolando, al
suo interno, una piccola quantità della soluzione di partenza.
In realtà l’idea dei coacervati quali precursori degli organismi viventi non fu accettata a cuor leggero, anche perché questi aggregati di molecole
organiche si formano solo se si fa uso di soluzioni di polimeri biologici convenientemente selezionati e nulla autorizza a ri tenere che i polimeri
dispersi nel brodo primordiale si sarebbero comportati allo stesso modo. La creazione spontanea di un involucro in grado di contenere molecole
organiche complesse avrebbe rappresentato tuttavia un passaggio fondamentale dall'evoluzione chimica a quella biologica.
Anche Fox, nel 1958, sciolse in acqua calda e leggermente salata alcuni proteinoidi, cioè quelle molecole da lui stesso sintetizzate senza far ricorso
ad organismi viventi. Quando la soluzione si fu raffreddata, fu possibile notare il formarsi di numerosissimi piccoli globuli simili ai batteri, che egli
chiamò «microsfere». La struttura a doppio strato che delimita la superficie esterna delle microsfere, naturalmente, non ha niente a che fare con
le membrane cellulari di natura fosfolipidica, tuttavia ne rappresentano una possibile modalità di realizzazione.
Complessità: lo stato attuale dei viventi
Gli esseri viventi attualmente esistenti sul pianeta, vengono suddivisi dalla classificazione moderna in tre grandi domini: Archea (archebatteri),
Eubacteria (eubatteri), Eukarya (eucarioti). Archebatteri ed Eubatteri si distinguono dagli eucarioti per l’assenza di un nucleo cellulare.
mitocondrio
Cellula animale
Gli eucarioti, infatti, oltre ad essere costituiti da
cellule molto più grandi dei procarioti (anche più di
100 volte) contengono un comparto cellulare
separato da due strati di membrana plasmatica
dentro cui viene mantenuto ed utilizzato il DNA;
l’informazione genetica esce dal nucleo e passa alla
cellula solo sottoforma di RNA trascritto. Gli
eucarioti, inoltre, possono contenere all’interno
delle loro cellule degli organelli (i mitocondri e i
cloroplasti) che avrebbero avuto origine in realtà
come
procarioti
e
che
sarebbero
stati
successivamente e stabilmente accolti dentro
cellule molto più grandi, successivamente evolutesi
negli attuali eucarioti. I mitocondri hanno
consentito alla maggior parte degli eucarioti di
iniziare ad effettuare la respirazione dell’ossigeno
(organismi aerobi, anaerobi quelli che non
respirano), mentre i cloroplasti sono organelli di
origine procariotica che effettuano la fotosintesi e
che hanno quindi trasferito questa incredibile dote
biochimica dai batteri agli eucarioti vegetali (le
piante).
Il nucleo degli eucarioti si sarebbe formato per
Cellula vegetale
cloroplasto
introflessione di porzioni di membrana cellulare
esterna e, per questa ragione, sarebbe costituito
da una doppia membrana in analogia ad una altra
struttura cellulare chiamata reticolo.
Inoltre, mentre i procarioti sono da considerarsi
esseri unicellulari, in grado di autoriprodursi e in
grado al massimo di mantenere un’aggregato
compatto di individui di tipo coloniale, gli eucarioti
hanno dato origine anche a tessuti cellulari a
funzione specifica. Tali tessuti possono svolgere ad
esempio funzioni relative alla riproduzione oppure
alla nutrizione o al movimento o ad altro ancora.
Negli animali e nelle piante superiori questi tessuti
possono dare origine anche a organi complessi,
nettamente separati dal resto dell’organismo di un
individuo, il quale viene pertanto ad essere il
risultato di un insieme di organi.
Origini del nucleo
DOMINI: Archebatteri ed Eubatteri
Gli archebatteri sono esseri più semplici degli eubatteri e pertanto si pensava che i primi fossero una forma arcaica, in realtà gli eubatteri
sembrerebbero filogeneticamente più antichi, come si può notare dal punto di congiunzione (nodo – antenato comune) dei “cladi” (rami)
dell’albero filogenetico della vita, secondo la teoria evolutiva per cui tutti gli esseri viventi attuali deriverebbero da una sola cellula primordiale.
Tutti i batteri hanno la caratteristica di avere il DNA in forma di cromosoma circolare e non lineare, libero nella cellula e non confinato in un
nucleo, in una zona definita del citoplasma chiamata nucloide.
Gli eubatteri, inoltre, sono pià grandi degli archebatteri e hanno una parete cellulare di natura zuccherina che racchiude la cellula e la sua
membrana cellulare. Tale parete consente di distinguere gli eubatteri in gram+ e gram-, a seconda della recettività di queste pareti ad un
colorante di laboratorio e gli zuccheri che la compongono non hanno ben poco a che vedere con lo zucchero glucosio con cui vengono costruite le
pareti di cellulosa (polimero del glucosio) nelle cellule delle piante. Gli eubatteri possono essere anche dotati di ciglia e flagelli che ne consentono il
movimento.
Autotrofi ed eterotrofi. Dal punto di vista trofico (nutrimento) i batteri possono essere sia autotrofi che eterotrofi. Questi due termini dividono
tutti gli esseri viventi in due grandi categorie. Quella in cui gli esseri effettuano il recupero di sostanza organica dall’esterno a fini energetici
(eterotrofi) e quella in vece in cui l’energia viene recuperata da sostanza inorganica, mentre le molecole organiche e le molecole organiche
energetiche vengono costruite del tutto dall’organismo vivente (autotrofi). Sono eterotrofi tutti gli animali e i funghi, mentre sono autotrofi tutti gli
esseri sia procarioti che eucarioti in grado di effettuare la fotosintesi o tutti quelli cosiddetti chemiosintetici, in grado di sintetizzare molecole
organiche ricavando energia non dalla luce ma da reazioni di ossidazione spontanea o di riduzione a carico di piccole molecole inorganiche.
Generalmente sono patogeni tutti i batteri eterotrofi, i quali possono vivere solo a spese di altri organismi che ne vengono per tanto deteriorati.
Molti altri batteri possono essere invece innocui o addirittura utili, tanto da poter vivere anche in simbiosi con altri organismi, come ad esempio
molti batteri residenti nel nostro tubo digerente, utili alla demolizione delle sostanze nutritive e al loro assorbimento.
Oggi la lotta ai batteri dannosi viene effettuata attraverso la pulizia antisettica degli ambienti a fini preventivi oppure con molecole specifiche
chiamate antibiotici in grado di interagire mortalmente con i batteri, ma innocue per l’uomo. Oggi però, sia la sterilizzazione eccessiva degli
ambienti che l’enorme diffusione e dispersione nell’ambiente di sostanze antibiotiche, hanno causato un indebolimento delle nostre difese
complessive e hanno favorito la nascita di ceppi batterici sempre più resistenti, tanto che questi microscopici esseri viventi rappresentano una
delle minacce attuali più importanti dell’uomo.
DOMINIO Eukarya
REGNO: Protisti
Gli eucarioti più semplici esistenti sul pianeta sono esseri unicellulari con una diffusione nell’acqua e nella terra di dimensioni davvero gigantesche,
per quanto sempre inferiore a quella dei batteri.
La loro vita è in sostanza strettamente legata all’acqua, ma esiste una divisione fondamentale al loro interno. Si distinguono infatti in Protozoi e
Alghe (protofiti) in base alle loro caratteristiche trofiche fondamentali: mentre i protozoi sono esseri viventi capaci di respirare, le alghe sono
esseri fotosintetici. Va detto che alcuni organismi come il protozoo Euglena, sono in grado di svolgere entrambe le funzioni.
La maggior parte dei protozoi sono cellule ciliate, talvolta dotate anche di uno o più flagelli. Ciglia e flagelli, questi ultimi molto più lunghi, sono
strutture cellulari molto specifiche costituite da proteine strutturali (tubulina) e da proteine in grado di effettuare movimenti di contrazione e
distensione simili a quelli dei tessuti muscolari più complessi, destinate a svolgere un ruolo fondamentale nella locomozione. Di solito i protozoi si
nutrono di batteri e di alghe o di detriti provenienti da esseri viventi più grandi. In laboratorio sono stati osservati, molto diffusi ovunque,
Paramecio, Cinetochilum, Coleps e probabilmente Euplotes e Stentor (nella sua forma contratta a sfera).
Fra le alghe, invece, abbiamo potuto osservare Cosmarium, Spyrogira, Diatomee (tutti estremamente diffusi) e alcune forme coloniali. Nelle alghe
la collaborazione evidente di più cellule a costituire un’unica colonia, anche molto ordinata, è da ritenersi in funzione dell’ottimizzazione
nell’esposizione degli individui alla luce. Le colonie, infatti, spesso aiutano le cellule a mantenersi su un piano orizzontale, ideale per ricevere la
massima quantità di luce disponibile. Nel caso delle Diatomee, in più, è da sottolineare la presenza di astucci e strutture silicee rigide, in grado di
mantenere la cellula sempre nella sua distensione, forma e posizione ideali alle funzioni fotosintetiche.
DOMINIO Eukarya
REGNO: Funghi (miceti)
Il regno vivente di complessità superiore ai protisti è rappresentato dai funghi (funghi e muffe), anche se in realtà si tratta di esseri viventi
unicamente eterotrofi e certamente non fotosintetici. La loro complessità è rappresentata da una forma di aggregazione cellulare più avanzata di
quella coloniale, con le caratteristiche sostanziali del tessuto, con presenza di cellule dedicate quasi esclusivamente al nutrimento e al sostegno e
altre dedicate solo alla riproduzione.
Le divisioni principali da ricordare per questo regno sono gli zigomiceti (muffe), gli ascomiceti (lieviti e alcuni funghi mangerecci) e i basidiomiceti
(fungo mangereccio classico, tipo il porcino).
I funghi condividono più o meno tutti la stessa biologia trofica e le stesse modalità riproduttive. Le cellule dei vari tessuti si sviluppano a partire da
cellule aploidi (contenenti una sola copia per ciascun filamento di DNA “n”) chiamate spore che danno origine ad una struttura filamentosa
intrecciata chiamata micelio. Dal micelio, penetrato nel substrato nutritizio, si dipartono verso la zona aerea delle ife, costituite da un unico
filamento, le quali danno origine a filamenti detti sporangiofori, recanti, alla loro sommità, una teca (sporangio) contenente nuove spore che
dovranno essere liberate all’esterno per la propagazione di nuovi individui.
Riproduzione pseudosessuata (diploidia e meiosi). Nei funghi compare la prima forma più semplice di riproduzione sessuata, la quale può
essere messa in atto, ogni tanto anche da alcuni protozoi, ma nei funghi assume un ruolo praticamente indispensabile alla conservazione di queste
specie. Tale forma riproduttiva consiste nella capacità di fondere 2 cellule aploidi provenienti da individui diversi e di effettuare uno scambio tra i
geni contenuti all’interno dei rispettivi cromosomi di ciascuna delle due cellule che hanno effettuato la fusione.
Tale fusione, nei funghi e nelle muffe, avviene quando il micelio di un individuo si trova vicino a quello di un altro. La cellula originatasi dalla
fusione, detta zigote, dà origine a una ifa e a sporangiofori costituiti completamente da cellule diploidi (contenenti due copie per ciascun filamento
di DNA - “2n”) i cui sporangi, al loro interno, andranno incontro ad un tipo di divisione cellulare chiamata MEIOSI, che darà origine a spore
nuovamente aploidi. La normale divisione riproduttiva di una cellula è detta invece MITOSI ed è una divisione che origina due cellule
perfettamente uguali e dotate dello stesso corredo cromosomico della cellula madre (senza variazione della ploidia).
Le cellule che effettuano la fusione non hanno un differenziamento genetico di genere (maschile/femminile) vengono distinte eventualmente in
cellule “+” e cellule “-“ .
Ciò che distingue macroscopicamente funghi e muffe è la struttura anatomica generale. Nei funghi, infatti, a parte certi ascomiceti, il micelio non
emerge dal substrato con delle ife filiformi, ma con un corpo fruttifero di dimensioni nell’ordine anche di svariati centimetri.
Il corpo fruttifero esterno è costituito da un gambo, formato da un fascio saldato di ife parallele, le cui cellule si saldano e si fondono fra loro senza
fondere i nuclei, originando un tessuto molto caratteristico detto polinucleato, presente, ad esempio, anche nei tessuti muscolari degli animali più
evoluti (sarcomero).
LE PIANTE
DOMINIO Eukarya
REGNO: Piante
Le piante occupano sostanzialmente l’intero pianeta e dove non possono svilupparsi in superficie, esclusivamente a causa del freddo eccessivo,
generalmente popolano comunque mari e laghi. La loro forza consiste nella capacità di ottenere la maggior parte dell’energia di cui hanno bisogno
processando la luce, sottraendo energia a fotoni di luce provenienti dal sole. La resa energetica è tale che moltissima di questa energia resta
immagazzinata senza che possa essere utilizzata, fissata nei legami covalenti tra gli atomi di carbonio della molecola del glucosio. Le piante
usano il glucosio principalmente per costruire strutture rigide di supporto, realizzando un polimero del glucosio (vere e proprie fibre) chiamato
cellulosa (il costituente del cotone e della carta), ma la gran parte dell’energia potenziale accumulata nei suoi legami chimici, non potrà essere
utilizzata dall’individuo vegetale che l’ha prodotta. Questa energia diventerà invece preziosa per tutti gli organismi eterotrofi, soprattutto gli
animali e, per Homo sapiens, ha assunto un significato cruciale anche nelle sue forme fossili di carbone e petrolio. Dopo lunghi processamenti
operati dagli organismi eterotrofi, questa energia potrà in parte tornare nuovamente utile anche alle piante.
Chimicamente le piante possono processare la luce grazie alla presenza di carbonio in atmosfera, sottoforma di anidride carbonica (CO2) e di
acqua (H2O), eliminando ossigeno molecolare (O2) che, come si sa, rappresenta l’altra formidabile risorsa vitale per quasi tutti gli organismi
eterotrofi e cioè quelli cosiddetti aerobi (gli altri eterotrofi sono detti anaerobi, anche se molti organismi effettuano con efficienza sia un
metabolismo di tipo aerobico che di tipo anaerobico, anche i nostri muscoli!).
La fotosintesi delle piante viene realizzata grazie alla presenza nelle cellule vegetali di organelli (in tutta probabilità originariamente simbionti)
chiamati cloroplasti, contenenti un sistema vescicolare ricchissimo di clorofilla. In linea molto schematica, quando la clorofilla viene colpita da un
fotone (di L 0,7 o 0,68 m) essa eccita un suo elettrone fino a liberarlo. Questo elettrone verrà rimpiazzato dall’acqua trasformandola in ossigeno,
mentre l’elettrone liberato verrà utilizzato per la costruzione del glucosio usando la CO2. La reazione riassuntiva del lungo e complesso processo
della fotosintesi è il seguente:
6CO2 + 6H2O  C6H12O6 + 6O2
glucosio
DOMINIO Eukarya
REGNO: Piante
Phylum: Briofite (muschi) e Pteridofite (felci ed equiseti)
Le briofite e le pteridofite sono le forme vegetali più semplici dopo le alghe verdi pluricellulari (delle quali non ci occuperemo così pure delle
licofite).Tuttavia, mentre le altre forme vegetali citate sono tutte dotate di un sistema vascolare di trasporto di linfa, i muschi ne sono sprovvisti e
in essi il trasporto di sostanze metaboliche avviene completamente per diffusione tra una cellula e l’altra.
Vediamo con maggiore dettaglio le altre differenze rilevanti che contraddistinguono i muschi rispetto alle altre piante. Innanzi tutto l’assenza di
sistemi vascolari di trasporto impedisce a questo vegetale lo sviluppo aereo in altezza. I muschi si propagano solo orizzontalmente, mentre
verticalmente possono arrivare solo all’altezza massima raggiungibile dal gametofito (pure aereo) e dallo sporofito. A differenza dei funghi, le
piante sono costituite da individui aploidi (gametofiti) generati da spore aploidi, i quali possono dare origine a gameti maschili o a gameti
femminili. I gameti maschili, similmente al polline delle piante superiori, fecondano quelli femminili, i quali svilupperanno gli sporofiti diploidi.
Questi ultimi, come negli sporofiti fungini, effettueranno la meiosi, dando origine alle spore aploidi che effettueranno la propagazione sotterranea
iniziale. I muschi sono ancorati al terreno o ad altri substrati più avari (ad esempio alcune rocce) tramite specie di radichette chiamate rizoidi, con
le quali effettuano il prelievo di acqua e sali, mentre la fotosintesi viene effettuata da sottili foglioline orizzontali inserite sul rachide del gametofito.
Il meccanismo riproduttivo delle pteridofite, ovvero delle felci e degli equiseti, è sostanzialmente lo stesso delle briofite, mentre la grossa
differenza è rappresentata dalla presenza di un sistema vascolare che, in parte, nelle foglie, effettua anche delle ramificazioni. Il gametofito della
pteridofita è però completamente sotterraneo e anche la fecondazione avviene su una sorta di tallo leggermente sotterraneo, tale da consentire
comunque una funzione fotosintetica nutritiva, mentre lo sporofito è rappresentato dall’enorme foglia, ben più famosa, della pianta della felce e
dalle foglie aghiformi dell’equiseto. Le teche sporifere della felce si trovano ordinate in fila sulla pagina inferiore della foglia. Da rilevare è anche il
carattere marcatamente maschile del gamete appunto maschile, il quale per raggiungere quello femminile deve effettuare una lunga e laboriosa
migrazione.
DOMINIO Eukarya
REGNO: Piante
Phylum: Gimnosperme (pinofite e ginkgofite)
L’evoluzione successiva alle pteridofite è rappresentata dalle cicadofite, ovvero palme e affini e dalle gimnosperme (seme nudo), ovvero tutte le
conifere (pinofite) e la ginkgo biloba.
Le gimnosperme sono piante dall’aspetto tradizionale, imponenti sporofiti diploidi, costituiti da grossi fusti legnosi e da ampi rami più o meno
frondosi. Le pinofite, a parte quasi tutti i cipressi, hanno foglie aghiformi perenni, che si staccano dalla pianta non stagionalmente ma dopo cicli di
lavoro molto più lunghi. Per questo si tratta di piante praticamente sempreverdi. Una caratteristica di questi phylum è l’assenza di vasi ramificati,
in quanto anche nella ginkgo biloba e nei cipressi le foglie possono disporre i vasi a ventaglio (ginkgo) o a costituire una sorta di “mazzolino” di
vasi di lunghezza diversa, ciascuno terminanti in ciascuna piccola foglia (cipressi), ma non si tratta mai di vere ramificazioni.
Altra importante caratteristica distintiva è invece l’assenza di fiori, accompagnata dalla formazione di semi nudi, non rivestiti da strutture
accessorie quali la polpa o la buccia o altro ancora. L’equivalente dei fiori sono i coni (pigne) distinti in maschili (più piccoli) e femminili (la pigna
più famosa). Sotto ciascuna squama della pigna femminile vengono protetti i gameti femminili che devono accogliere il polline, similmente ad un
ovario.
Come si può intuire la riproduzione non è più affidata alla dispersione di spore aploidi, ma viene effettuata in modo del tutto nuovo, per
disseminazione di embrioni già diploidi, originati dalla fusione dei gameti maschile e femminile, chiamati semi, il cui destino finale è la loro
deposizione sottoterra, ove condizioni adeguate ne determineranno la germinazione, ovvero la nascita di un nuovo sporofito.
Floema e xilema. Il floema, detto anche tessuto cribroso o libro, è il tessuto di conduzione della linfa elaborata, la soluzione acquosa ricca in
glucosio proveniente dalla fotosintesi delle parti verdi della pianta (soprattutto le foglie) che viene traslocata ad una regione di utilizzo che richiede
gli zuccheri per la propria crescita (radici, semi, frutti) o ad una di accumulo (ad es. tuberi, o la radice della barbabietola o il fusto della canna da
zucchero). Il movimento è attivo: implica cioè un dispendio energetico. Le sostanze elaborate entrano negli elementi cribrosi nei punti di
produzione mediante pompe molecolari. La velocità del flusso è da 10 a 100 cm/h.
A differenza delle cellule xilematiche, quelle del floema sono vive a maturità, sebbene manchino di alcuni importanti organuli quali il nucleo, il
vacuolo, l'apparato del Golgi, il citoscheletro ed i ribosomi. Inoltre, le pareti cellulari non presentano lignificazione e sono dotate di aree porose
rivestite di callosio per permettere la connessione citoplasmatica tra una cellula e l'altra.
Lo xilema, detto anche legno, è un insieme di tessuti vegetali presente nelle piante vascolari e adibito alla conduzione dell'acqua e dei soluti in
essa disciolti, dalle radici alle foglie, dove l’acqua verrà utilizzata per la fotosintesi. La parola xilema deriva dal termine greco ξυλον (xylon), che
significa legno. Lo xilema assume anche un’importantissima funzione di sostegno della pianta, come una sorta di scheletro. Il lavoro di trasporto
dell’acqua verso l’alto è sostanzialmente garantito dalla tensione evaporante dell’acqua provocata dal calore solare e quindi dalle funzioni di
traspirazione delle piante le quali concedono la fuoriuscita parziale di acqua dagli stomi. Inoltre è indispensabile anche la proprietà dell’acqua detta
capillarità, per la quale l’acqua è in grado di risalire da sola canali e anfratti sufficientemente sottili.
Nel legno delle Gimnosperme (definito per questo omoxilo) è presente un solo tipo di vasi (fibrotracheide) che unisce la funzione di trasporto e
di sostegno. Al contrario il legno delle Angiosperme, formato da elementi diversi è definito eteroxilo.
Lo xilema forma, assieme al floema, i fasci cribro-vascolari.
DOMINIO Eukarya
REGNO: Piante
Phylum: Angiosperme (Magnioliofite monocotiledoni e dicotiledoni)
Le Magnoliofite si distinguono perché i loro semi sono avvolti da un frutto, che li protegge e ne facilita la disseminazione. Il nome descrittivo
Angiosperme significa infatti "seme protetto" (dal Greco αγγειον, ricettacolo, e σπερμα, seme).
Il fiore delle Magnoliofite è più complesso di quello delle Pinofite, che condividono con le prime la fecondazione dei gameti per impollinazione e la
riproduzione per mezzo di semi. Le Magnoliofite si distinguono per essere l'unica divisione che comprende piante erbacee in senso proprio.
Le angiosperme sono nate come piante specializzate nella impollinazione zoofila. Tuttavia nel corso dell’evoluzione, molte di esse sono tornate
all'impollinazione ad opera di agenti non biologici, soprattutto il vento. I fiori sono allora diventati piccoli, numerosi e poco appariscenti.
Monocotiledoni e dicotiledoni. La divisione più grossa all’interno delle angiosperme è rappresentata dalle monocotiledoni e dalle dicotiledoni.
L’elemento più evidente che consente di distinguerle con facilità è l’organizzazione delle nervature fogliari, che nelle monocotiledoni si presentano
sempre e solo parallele (parallelinervie) mentre nelle dicotiledoni sono sempre ramificate, spesso in modo anche molto fitto. Sono monocotiledoni,
l’erba, tutte le graminacee (ad es. mais e cereali). Sono dicotiledoni tutte le altre piante (rosa, platano, alloro…), di cui molte anche erbacee
(assenza di depositi legnosi, come pomodoro, fagiolo, lavanda…).
Il nome distintivo viene da una struttura del seme associata all’embrione, detta cotiledone, singolo nelle mono e doppio nelle dico. I cotiledoni
sono false foglie in grado di effettuare la prima fotosintesi della prima plantula germinata dal seme.
Foglia. Le foglie sono gli organi in cui ha luogo la gran parte della fotosintesi e, nella maggior parte delle piante, hanno luogo anche la
respirazione, la traspirazione e la guttazione (fuoriuscita d'acqua che permette la traspirazione quando le condizioni atmosferiche sono
sfavorevoli).
Gli elementi costituenti la foglia generica bifacciale (dorso-ventrale) sono i seguenti:
1. un'epidermide che copre la superficie superiore ed inferiore. La parte superiore è spesso ricoperta dalla cuticola, una sostanza cerosa
(cutina) che rende la foglia impermeabile.
2. un mesofillo, costituito da 2 parenchimi. Un parenchima a palizzata superiormente e uno lacunoso inferiormente. Quello a palizzata è
ricco di cloroplasti mentre quello lacunoso, oltre a contenere cloroplasti, è caratterizzato da ampi spazi intercellulari.
3. una caratteristica disposizione delle nervature (i fasci cribro-vascolari). Lo xilema si trova superiormente e comprende i vasi per il
rifornimento di acqua e sali provenienti dalle radici. Il floema si trova inferiormente e comprende cellule allungate e modificate per formare
dei tubi (detti cribrosi) che consentono il trasporto dei prodotti della fotosintesi fino ai siti di utilizzo o accumulo.
4. gli stomi che sono aperture microscopiche disposte su tutte le parti erbacee delle piante, in modo particolare sulle foglie; la loro funzione è
di mantenere lo scambio gassoso con l’esterno, in particolare la fuoriuscita di vapore acqueo, lo scambio di ossigeno e l’entrata di anidride
carbonica. Sono costituiti da due cellule di guardia disposte specularmente che in base al loro turgore determinano l’apertura o la chiusura
della porta stomatica.
Le foglie che presentano questa anatomia sono dette bifacciali o dorsoventrali (comuni tra le dicotiledoni). La faccia (o pagina) rivolta verso l'alto è
detta superiore o dorsale; quella rivolta verso il basso è detta inferiore o ventrale.
La foglia delle conifere ha la lamina molto sottile, benché consistente, e viene detta aghiforme.
Il fiore è l'organo riproduttivo delle Angiosperme, nel quale si sviluppano i gametofiti, avviene la fecondazione e si sviluppa il seme.
Il fiore deriva dalla differenziazione dell'apice di un rametto le cui foglie hanno perduto quasi sempre la capacità fotosintetica.
Le piante hanno un ciclo vitale aplodiplonte caratterizzato dall'alternanza di una generazione gametofitica aploide (le parti del fiore) e di una
sporofitica diploide (la pianta vera e propria.
Nelle Angiosperme il fiore è l'insieme degli organi riproduttori, normalmente raccolto in un apparato complesso e composto da più parti che
possono considerarsi foglie modificate. I fiori possono essere sessili o peduncolati, e sul ricettacolo, la parte terminale dell’asse, sono inserite le
parti fiorali, che sono di quattro tipi: sepali, petali (sterili) stami e carpelli (fertili). Vi sono fiori detti incompleti che mancano di alcune di queste
parti. Nel caso siano deficitari di stami o carpelli, il fiore si dice imperfetto. Nel caso in cui il fiore sia completo di tutte le parti fertili esso si dice
ermafrodita o perfetto.
Nei casi più complicati le parti del fiore sono quattro, partendo dalla più esterna:
1. Calice, formato da foglioline verdi fotosintetizzanti dette sepali. È una parte fiorale sterile.
2. Corolla, formata da petali spesso colorati e con funzione vessillare (capacità di attrarre gli animali impollinatori). Anche questa parte del
fiore è sterile.
3. Gineceo, è la parte femminile del fiore, fertile. Si definisce anche pistillo ed è composto da una parte basale slargata detta ovario, che si
continua in alto nello stilo e superiormente nello stigma. L'impollinazione nelle angiosperme è sempre stigmatica.
4. Androceo, è la parte maschile del fiore, fertile. Ha stami formati da filamento e antere; ogni antera ha due teche polliniche, ogni teca
pollinica ha due sacche polliniche dove sono contenute cellule madri delle microspore che daranno origine al polline.
Dopo la fecondazione gli ovari si trasformano e si accrescono divenendo frutti, che contengono i semi.
GLI ANIMALI
DOMINIO Eukarya
REGNO: Animali
Il regno animale è anch’esso caratterizzato da una varietà di gruppi e specie a dir poco sorprendente. La prima divisione è composta da 17 phyla
(plurale di phylum, dove ogni phylum, negli animali, può anche essere definito tipo – divisione è più usato nei vegetali -). Mantenendo un certo
ordine di complessità e, quindi, anche grossomodo di storia evolutiva, possono essere così elencati: poriferi (spugne), cnidari (meduse),
ctenofori, nematomorfi, nematodi (vermi), gastrotrichi, artropodi (insetti), tardigradi, onicofori, rotiferi, platelminti, anellidi
(lombrichi), molluschi, nemertini, cordati (tra cui i vertebrati come noi), echinodermi (stelle e ricci) ed emicordati. Noi ne prenderemo in
considerazione solo alcuni più importanti.
Per avere un’idea di massima del significato di questa classificazione, per ora potrebbe risultare interessante specificare che Homo sapiens
appartiene al genere Homo (unico rappresentante vivente), famiglia Hominidae (unico rappresentante vivente), all’ordine dei primati, alla
classe dei mammiferi, al sub-phylum dei vertebrati e, infine finalmente, al phylum dei cordati.
Gli animali sono tutti esseri pluricellulari, molti dei quali, più evoluti, dotati di tessuti di cellule differenziate in grado di svolgere solo alcuni compiti
specifici (es. tessuto epidermico ghiandolare, tessuto muscolare, tessuto nervoso, ecc. ecc.). Le cellule degli animali sono esclusivamente
eterotrofe e si nutrono di molecole che possano in qualche modo essere convertite in glucosio o negli intermedi della sua demolizione, come la
gliceraldeide, l’acido piruvico o l’acetile (nel caso della demolizione dei grassi).
In qualsiasi cellula, anche vegetale, il glucosio può essere scisso in due parti e chimicamente ossidato, liberando una certa quantità di energia
utile, senza bisogno dell’ossigeno. Grazie al mitocondrio, però, le due parti restanti possono essere ulteriormente ossidate dall’ossigeno con
grande efficienza, fino ad anidride carbonica (CO2) e acqua, liberando una quantità di energia 18 volte maggiore. Complessivamente il processo è
detto respirazione e può essere riassunto stechiometricamente nella seguente reazione:
C6H12O6 + 6O2

6CO2 + 6H2O
glucosio
DOMINIO Eukarya
REGNO: Animali
Phylum: Poriferi
Le spugne sono animali molto semplici nei quali la presenza di veri e propri tessuti di cellule differenziate in modo irreversibile non è ancora stata
raggiunta. Le cellule, però, nel periodo dello sviluppo dell’animale, a partire dalla larva (riproduzione sessuata ermafrodita), o da frammenti
dispersi dell’individuo adulto (propagazione), sono in grado di migrare, assumendo posizioni specifiche tali da conferire all’animale una certa
forma, costituita generalmente da un mantello esterno, uno strato intermedio e da una cavità interna (ricoperta di cellule dette coanociti),
comunicante con l’esterno attraverso un’apertura detta osculo. La struttura è inoltyre dotata di numerosi pori di comunicazione tra interno ed
esterno. Tutti i tipi cellulari dei Poriferi derivano da un unico gruppo di cellule ameboidi indifferenziate e totipotenti, gli archeociti.
Quasi tutte le spugne posseggono una struttura scheletrica, l'endoscheletro, formato da spicole calcaree o silicee, o fibre proteiche (spongina).
ono delle vere e proprie fibre ottiche naturali, il che fa ipotizzare un ruolo di queste strutture nel successo evolutivo delle spugne silicee rispetto a
quelle calcaree. La respirazione avviene attraverso le cellule, il ricambio continuo di acqua permette una continua ossigenazione dell'ambiente
detta "respirazione cutanea". Mancano di un sistema nervoso.
I Poriferi o spugne sono animali sessili, cioè vivono attaccati sulle rocce dei fondali marini o sugli scogli. Sono filtratori e si nutrono di piccoli
organismi e particelle organiche che fluttuano sospese nell'acqua. Il sistema di filtraggio è possibile grazie all'azione dei coanociti, cellule flagellate
che, muovendosi ripetutamente, creano una corrente di risucchio che permette all'acqua di attraversare i pori, entrare nelle cavità della spugna e,
in seguito, fuoriuscire dall'osculo.
La riproduzione sessuale avviene tramite la trasformazione delle cellule coanociti, in spermi e/o uova. Gli spermi, liberi nell'acqua, verranno
catturati da un altro individuo, tramite i coanociti che condurranno lo spermatozoo all'uovo. Questo tipo di riproduzione avviene solamente nel
periodo primavera-autunno, a differenza della riproduzione asessuale. La riproduzione asessuale avviene tramite la formazione di gemme
destinate a staccarsi.
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