INFORMAZIONI CIOFS E CNOS/SCUOLA 49/2015 A cura di d

INFORMAZIONI CIOFS E CNOS/SCUOLA
49/2015
A cura di d. Bruno Bordignon
432/15 SCIENZA E FEDE/ Tanzella (DISF): le domande del senso religioso oggi vivono
meglio nell’ambiente scientifico
(da ilsussidiario.net)
INT. Giuseppe Tanzella-Nitti
Giovedì 17 dicembre 2015
I sondaggi sul rapporto tra gli scienziati e la religione non sono rari: ne vengono condotti a più
livelli, in vari contesti e con diverse metodologie. Le domande principali sono pero più o meno le
stesse: religione e scienza possono coesistere? è vero che gli scienziati sono in massima parte atei?
permangono elementi e temi sui quali il conflitto è inevitabile e insanabile? Ultimamente sembra
che la tendenza prevalente vada nella direzione - inattesa in verità solo da chi ha una visione
superficiale o preconcetta di entrambi i campi – di non vedere contrasti insormontabili e di
testimoniare un’ampia possibilità di far convivere un’esperienza religiosa con l’attività di ricerca
scientifica.
È quanto emerge da una vasta indagine condotta da un gruppo della Rice University di Houston,
guidato da Elaine Howard Ecklund, direttrice del programma Religion and Public Life e titolare
della cattedra Herbert S. Autrey in Scienze Sociali; l’indagine, sviluppata col supporto della
Fondazione Templeton e dell’Istituto Faraday, ha coinvolto 9.422 scienziati (neli settori della fisica
e della biologia) intervistati in otto nazioni: Francia, Hong Kong, India, Italia, Taiwan, Turchia,
Regno Unito e Stati Uniti; gli stessi autori hanno inoltre realizzato direttamente interviste in
profondità incontrando 609 scienziati: indubbiamente il più grande sondaggio a livello mondiale
condotto sul tema del rapporto tra fede e scienza.
I primi risultati, appena pubblicati, indicano che il luogo comune dell’ateismo prevalente degli
scienziati vada sfatato. Più della metà degli scienziati in India, Italia, Taiwan e Turchia si
identificano come religiosi: in Italia sfiorano il 60%; nel Regno Unito solo il 32% degli scienziati ha
indicato l’interfaccia scienza-fede come uno dei luoghi di conflitto; negli Stati Uniti, questa quota
scende al 29%.
Per un primo commento di questi dati abbiamo sentito don Giuseppe Tanzella-Nitti, già astrofisico
e ora docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce; Tanzella è
curatore, con Alberto Strumia, del poderoso Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (DISF) e
direttore del centro di ricerca di Scienza e fede (disf.org); ha da poco pubblicato i primi due di
quattro volumi di un corposo trattato di “Teologia fondamentale in contesto scientifico”.
Questi risultati la sorprendono?
La survey condotta dalla Elaine Howard Ecklund è un lavoro importante e fa seguito a un volume
che l’autrice pubblicò nel 2010 con la Oxford University Press, intitolato “Cosa gli scienziati
pensano davvero della religione”. Il campione ora esaminato è assai più ampio, ma conferma in
buona parte, sebbene con alcune ulteriori specificazioni, quanto già mostrato in quel volume,
ovvero la maggior parte degli scienziati crede in Dio. Il risultato potrebbe sembrare a qualcuno
sorprendente, ma per chi segue questo genere di letteratura e di ricerche, lo è assai di meno. La
maggior parte dei media ci offre l’immagine di uno scienziato ateo o comunque poco incline a
vedere la natura come opera di un Dio creatore. Tuttavia, questa immagine corrisponde solo in parte
alla realtà e non è rappresentativa degli uomini di scienza nel loro insieme.
La dichiarazione di non ateismo potrebbe anche semplicemente indicare una posizione di
tolleranza e in fondo di indifferenza alle grandi domande tipiche del senso religioso....
Occorrerebbe vedere in dettaglio i risultati della survey per rispondere a questa domanda.
Potrebbero infatti esserci delle domande incrociate che ci consentano di capire le convinzioni
esistenziali degli intervistati e quali opzioni essi avevano a disposizione nelle loro risposte. La mia
esperienza è che le domande tipiche del senso religioso — da dove veniamo, dove andiamo, quale
sia il senso dell’universo, il suo destino ultimo, quale ruolo noi umani occupiamo in esso —
sopravvivano oggi meglio nell’ambiente scientifico che in quello filosofico. La filosofia
contemporanea ha ritenuto il tema di Dio e del senso della vita troppo “forti” per essere affrontati,
attestandosi così su posizioni di pensiero debole. La scienza, al contrario, non ha avuto timore di
affrontare queste domande, come si può facilmente vedere nelle opere divulgative di molti
scienziati. Il fatto che il metodo scientifico non possa fornire una risposta esauriente a tali domande
non evita che esse sorgano e continuino ad attrarre chi studia la natura.
L’ostilità del mondo scientifico verso le religioni, e il cattolicesimo in particolare, sembra
ridotta il minimo; ma è cresciuto anche il dialogo?
Sì, siamo lontani dal materialismo ottocentesco che gettava discredito sulla religione e negava le
cattedre a uomini come Pierre Duhem o Francesco Faà di Bruno, per il solo fatto di essere
cattolici… A dir la verità, ancora oggi l’essere di fede cattolica ha ostacolato l’investitura di qualche
Nobel. Ma al di là di queste situazioni, l’interesse dell’ambiente scientifico verso la riflessione
filosofica e teologica è cresciuto, specie se filosofia e teologia sanno proporsi in modo rigoroso e
fondato.
La survey ha privilegiato come campione i fisici e i biologi: come considera questa scelta? Si
possono notare differenze nel rapporto scienza fede tra gli scienziati di differenti discipline?
Era logico che la parte sostanziale degli intervistati fossero di ambito fisico e biologico. Il tema
dell’origine dell’universo, delle leggi di natura, i temi legati all’origine della vita e alla sua
evoluzione, continuano ad essere quelli di maggior impatto interdisciplinare, dove religione e
scienza hanno più cose da dirsi. Oggi si aggiungono forse le neuroscienze, ma si tratta di vedere a
che livello i neuroscienziati siano stati inclusi nel campione della Howard Ecklund. Ritengo che la
fede in un Dio creatore sia oggi maggiormente condivisa dai fisici, dagli astronomi e dai matematici
che non dai biologi. Almeno è questa l’esperienza che ho potuto fare in occasione di convegni,
tavole rotonde e dibattiti. Ho in proposito una spiegazione, a livello personale. Le scienze fisiche e
matematiche hanno ormai un’espistemologia matura, che le protegge da derive ideologiche perché
ha fatto loro toccare in modo formalmente rigoroso i fondamenti, e anche i limiti, del conoscere. Le
scienze biologiche, invece, sono più giovani, e non hanno ancora incontrato quei problemi di
incompletezza formale e ontologica che le scienze fisiche e matematiche ben conoscono. Ciò può
condurre la biologia a voler offrire una propria “visione del mondo” esaustiva e talvolta
autoreferenziale, ritenendo superfluo ogni discorso sui fondamenti dell’essere, e dunque sull’origine
delle cose. In realtà, quando si tocca da vicino il problema dei fondamenti, e la biologia sta
cominciando a farlo quando si sforza di entrare con profondità nell’origine del DNA, il problema
del Logos, della razionalità e del senso delle cose torna a riemergere, e con esso la domanda su Dio.
Il percorso di un ricercatore come Francis Collins basterebbe a dimostrarlo.
Il particolare punto di osservazione che è il portale DISF cosa le permette di constatare circa i
rapporti tra gli scienziati e l’esperienza religiosa oggi?
Soprattutto molto interesse, da parte di chi si occupa di ricerca scientifica, ad approfondire temi
storici, epistemologici, interdisciplinari. La scienza genera cultura ma nasce anche entro un humus
culturale che deve favorirla. La nostra rubrica sugli “scienziati credenti” è la più cliccata e molti
giovani ci scrivono chiedendoci approfondimenti bibliografici su temi scientifici che toccano
questioni teologiche. È il segno che le grandi domande si richiamano a vicenda e che quando c’è
amore alla verità si vuole andare fino al fondo delle cose.
(Mario Gargantini)