BOLLETTINO U.C.F.I. (UNIONE CATTOLICA FARMACISTI ITALIANI

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Analisi di accuse di scienziati e pensatori atei contro la Chiesa
IL TOTALIRSMO IDEOLOGICO DELLA
SCIENZA
L’articolo prende in esame l’accusa che scienziati e pensatori atei rivolgono alla
Chiesa a motivo del suo invito alla scienza a non oltrepassare i limiti del proprio
metodo e dei propri risultati e a mantenere aperta la ragione alla possibilità di
una realtà trascendente. In questo modo si strumentalizza la scienza a una
pregiudiziale ideologica che le è estranea e la si fa servire alla concezione
materialistica della vita. Nell’esercizio dello scientismo si denuncia anche la
larga predominanza della militanza atea e antireligiosa, che mira a precludere
alla religione qualsiasi influenza nelle scelte sociali.
Il viaggio di Benedetto XVI in Francia nel
settembre del 2008 ha ridestato l’interesse per il
cattolicesimo nella patria della laїcité, anche tra le
fila degli uomini di cultura. Non sono mancate, né
poteva essere altrimenti, certe reazioni negative ai
discorsi del Papa che hanno toccato gli argomenti di
più viva attualità. Un esempio. Un filosofo, Yvon
Quiniou, si è dichiarato «scandalizzato» quando il
Papa ha affermato che «una cultura meramente
positivista che rimuovesse nel campo soggettivo
come non scientifica la domanda circa Dio sarebbe
la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue
possibilità più alte e quindi un tracollo
dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero
essere che gravi». Il motivo dello scandalo? «Il
puro positivismo, con le sue conseguenze
filosofiche materialiste, è la condizione assoluta
affinché la ragione scientifica si realizzi nel suo
progetto di conoscenza del mondo». E «uno spirito
del suo livello [il Papa] lo nasconde o l’ignora»!
Poi, dopo il solito elenco delle «vittime» della
Chiesa, Galileo, Darwin, Freud, la stoccata finale:
la Chiesa fa «totalitarismo ideologico», come fece
con l’Inquisizione e la «intrusione nel dominio delle
arti, malbeureusement». Niente di meno!. I colleghi
italiani di Quiniou sono versati nelle medesime
citazioni. Ma almeno essi non sogliono accusare il
papato di aver favorito pittori e scultori e di aver
eretto basiliche, piazze e palazzi. In Italia continua
il dibattito tra cattolici e laicisti su ragione e fede e
su scienza ed etica. Nella sua ultima fase sembra
essersi focalizzato sul ruolo onnisciente che i
laicisti attribuiscono alla scienza. Questa, secondo
loro, sarebbe più tollerante per il progresso e più
attenta agli interessi dell’uomo, mentre l’etica
cattolica, «una sorta di monolite», intende soltanto
salvaguardare la sua stessa tradizione. Tuttavia,
l’impianto teorico del dibattito è formato dalla
concezione positivistica accettata come un punto
fermo non discutibile. Prima di esporre la posizione
cattolica, vogliamo segnalare che anche in Italia,
come in Francia, non mancano le posizioni risibili
di autori che, al di fuori delle loro competenze
professionali, si impancano a fare i moralisti. Ne
citiamo due. Guido Rossi, noto esperto di diritto
commerciale e societario, ritiene che Benedetto
XVI abbai subìto un cortocircuito tra ragione e fede
che lo conduce a negare la laicità dello Stato e
potrebbe avviarlo, addirittura, verso posizioni
ispirate a Clausewitz e Schmitt. Piergiorgio
Odifreddi ha «dimostrato» che Dio non esiste e
scrive, d’accordo con José Saramago, che il mondo
sarebbe migliore se tutti gli uomini fossero atei. Ma,
purtroppo, «la religione trova la sua ragion d’essere
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nell’emisfero destro [del cervello], sede dell’istinto
e della visceralità, e non viene minimamente
scalfita dagli attacchi che le vengono sferrati
dall’emisfero sinistro, sede della logica e della
razionalità». A queste banalità ha risposto
sarcasticamente Stefano Zecchi. E Giorgio Israel ha
scritto:
«L’”odifreddismo”
sostituisce
metodicamente i contenuti scientifici con contenuti
politici e ideologici, con una battaglia laicista, atea,
anticlericale,
antiamericana,
antisionista
e
quant’altro».
dell’Académie Internationale d’Histoire des
sciences e già docente all’Ecole des Hautes Etudes
en Sciences sociales di Parigi. Riprendendo una tesi
espressa nel 1906 da un insigne matematico
italiano, Federico Enriques, l’Israel ritiene assurdo
cercare nella scienza le norme della vita e attribuire
alla scienza l’ufficio di dare senso al mondo e
all’esistenza. In questo modo si strumentalizza la
scienza a un fine ideologico e ad una pregiudiziale
atea che le è estranea e la si fa servire alla
concezione materialistica della vita. In questa ottica
si spiega la divulgazione «scientifica» di carattere
mediatico che monta, con notevole dispendio di
denaro pubblico, campagne propagandistiche fatte
passare per «cultura». Sembra scienza ed è
scientismo. Che dire inoltre degli enormi interessi
che gravitano intorno a certe ricerche, come quelle
nel campo dell’ingegneria genetica, e al traffico dei
brevetti, nelle quali è assente completamente il
ruolo del valore morale delle scelte? Il matematico
romano non esita a denunciare nell’esercizio dello
scientismo la larga predominanza della militanza
atea e antireligiosa, che lavora ad innalzare un muro
tra scienza e religione con il fine ultimo di
precludere alla religione qualsiasi influenza nelle
scelte sociali. In ciò si distinguono gli orfani del
marxismo che hanno sposato la fede acritica nel
progresso tecnologico e rispolverato l’uso
dell’emarginazione culturale di coloro che pensano
diversamente. Perciò l’Israel, nei docenti che si
opposero alla visita di Benedetto XVI alla
«Sapienza» non ha visto la motivazione conclamata
del principio astratto di laicità, ma l’opposizione
ideologica al Papa che «osa» parlare di scienza e dei
rapporti tra questa e la fede. E alcuni di quei docenti
non hanno mai speso una parola contro
l’integralismo islamico e contro la negazione della
Shoah. «Oggi, mentre tecnologia e tecnoscienza
dilagano senza freni, manipolando prima ancora di
sapere, è fin troppo evidente che la scienza teorica
(conoscitiva) soffre una crisi senza precedenti, al
punto da far dire a taluno che si stia chiudendo
un’era. È all’interno di questa crisi che un gruppo
consistente di scienziati, svuotati di obiettivi
propriamente scientifici e surrogandoli con quello
della difesa a oltranza della manipolazione
tecnologica, si sono trasformati in ideologi
dell’ateismo».
L’importanza di un dibattito
A un lettore disattento, sensibile però ai magnifici
risultati della scienza e delle sue applicazioni
tecnologiche, potrebbe riuscire strano il dibattito al
quale accennavamo. E potrebbe pensare, con le
sirene laiciste, che si tratti dell’ennesimo caso di
oscurantismo della Chiesa. Le cose non stanno così.
La Chiesa incoraggia un percorso di dialogo lungo
il quale scienza e religione non si devono ignorare,
non si devono combattere, non devono sostituirsi
l’una all’altra. La Chiesa non vede nella scienza una
concorrente, quando la scienza non si autoerige a
religione e non eleva i suoi metodi e risultati ad
assoluti. In fondo, la Chiesa contesta alla scienza
una sola cosa: la pretesa di dichiarare l’inesistenza
di Dio perché Dio non è un’ipotesi verificabile con i
metodi della scienza sperimentale. Invece, gli
scienziati atei contemporanei agiscono e parlano
come se la metodologia della scienza sperimentale
fosse la chiave unica per risolvere anche i problemi
filosofici e morali, come se per questi non potesse
darsi una metodologia propria di ricerca e di
indagine. Quando Margherita Hack ha parlato
dell’interrogativo sulla verità e sulla religione come
di «ingenuità del passato», le è stato fatto
giustamente osservare da un suo collega che, così
giudicando, giudicava ingenui scienziati come
Planck, Einstein, Heisenberg, Pauli, che non furono
filosofi o teologi, eppure ricercarono per tutta la
vita, oltre le leggi della natura, il senso ultimo
dell’esistenza. E poi, la fisica moderna ha operato
una rivoluzione epistemologica rispetto a quella di
Galileo e di Newton, ha cioè riconosciuto
l’impossibilità di giungere, dal suo interno, a una
comprensione esaustiva della realtà. Anche se si
volesse limitare la totalità della realtà ai soli
fenomeni fisici, la fisica attuale non potrebbe
assicurare di poter arrivare alle radici della realtà.
La critica più ferma e dotta alle pretese dello
scientismo è quella di Giorgio Israel, professore
ordinario
di
Matematiche
complementari
all’Università di Roma «La Sapienza», membro
Al di là della spettacolarizzazione
È stato ancora Giorgio Israel a richiamare
l’attenzione su un fenomeno probabilmente tutto
italiano. Gli uomini dello scientismo non usano
della scienza soltanto per le loro battaglie laiciste e
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antireligiose. La usano altresì scorrettamente a
spettacolo diseducativo che nasconde lo studio e il
rigore che la scienza autentica, in tutte le sue
branche, esige. «Trovo veramente assurdo che si
facciano delle sceneggiate tipo la competizione
scacchistica tra il campione Spassky e quindici
matematici che verranno inesorabilmente sconfitti.
Mi chiedo quale vantaggio scientifico possa trarne
un ragazzo che assista a una pagliacciata come
questa». Ma ciò che meglio segnala la
mistificazione ideologica che la battaglia scientista
continua e pubblicizza è il silenzio che stampa e
televisione
ordinariamente
osservano
sugli
scienziati che in qualche modo si professano
credenti in una visione religiosa del mondo. Come
se la scienza potesse andar d’accordo anche con lo
show ma mai dovesse neppure accennare alla sua
possibile conciliabilità con l’esperienza religiosa,
men che meno cristiana. Sono rarissimi in Italia
quelli che scrivono di un matematico come Roger
Penrose, che ammette una realtà autosussistente che
la mente umana è chiamata a scoprire con la
scienza, o di un fisico come Paul Davies, che vede
perfettamente conciliabile la fisica moderna con
l’esistenza di Dio. Da noi, chi conosce Anthony
Flew, professore di Filosofia della scienza a Oxford
che, pur non ammettendo la Rivelazione divina, è
passato dall’ateismo alla fede in una Intelligenza
che sta dietro la complessità dell’universo fisico?.
Chi conosce John Polkinghorne, fisico quantistico
inglese, allievo di tre Premi Nobel, Paul Dirac,
Murray Gell-Mann e Abdus Salam, ordinario di
Fisica matematica a Cambridge, che alla soglia dei
50 anni, nel 1979, ha iniziato lo studio della
teologia ed è diventato pastore anglicano?. È lecito
allora domandarsi: da quale parte sta davvero il
totalitarismo ideologico? Gli interventi pubblici
della Chiesa non vogliono costituire un atto di
sfiducia o di misconoscimento della scienza, ai cui
risultati pragmatici il Magistero ha già reso le
dovuti lodi. Vogliono soltanto essere l’invito a non
enfatizzare la verità di quei risultati a danno della
verità che trascende l’analisi empirica. Sono l’invito
a non perdere di vista, disse una volta il card. Josef
Ratzinger, «la laicità aperta, frutto di una ragione
aperta, dell’umiltà dell’intelletto e dell’etica del
limite e della responsabilità». Un invito cortese e
severo rinnovato da Benedetto XVI nel suo discorso
ai partecipanti al Convegno romano che ha
celebrato il decennale dell’enciclica Fides et ratio:
«La scienza non è in grado di elaborare princìpi
etici: essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli
come necessari per debellare le sue eventuali
patologie. La filosofia e la teologia diventano, in
questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui
occorre confrontarsi per evitare che la scienza
proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di
imprevisti e non privo di rischi. Ciò non significa
affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla
tecnica di produrre strumenti di sviluppo: consiste,
piuttosto, nel mantenere vigile il senso di
responsabilità che la ragione e la fede possiedono
nei confronti della scienza, perché permanga nel
solco del suo servizio all’uomo».
GIANDOMENICO MUCCI
(tratto da La Civiltà Cattolica, quaderno 3814 del 16
maggio 2009)
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