GENNAIO - MARZO 2013 N. 1 | ANNO IX OSSERVATORIO INTERNAZIONALE CARD. VAN THUÂN SULLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA WWW.VANTHUANOBSERVATORY.ORG BOLLETTINO Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB SIENA DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA MEDICI FINO IN FONDO IL BUON MEDICO NEI CASI ETICAMENTE SENSIBILI SOMMARIO N. 1 ANNO IX MEDICI FINO IN FONDO IL BUON MEDICO NEI CASI ETICAMENTE SENSIBILI Editoriale S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi I medici, la vita e la Dottrina sociale della Chiesa .............................................................. 3 Focus 1 Cardinale Carlo Caffarra Il Vangelo della vita nella cultura moderna ........................................................................ 5 Focus 2 S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi Il principio della difesa della vita umana e l'impegno pubblico della fede cattolica........ 8 Focus 3 Padre Gonzalo Miranda LC Le virtù del medico ..............................................................................................................11 Rapporti dal Mondo Renzo Puccetti Aborto e salute della donna: stato dell’arte......................................................................14 Elena Giacchi Infertilità: ruolo dei metodi naturali ...................................................................................21 Giuseppe Noia Palliazione fetale: come curare il feto e lenire il dolore .................................................. 24 Carlo Bellieni La rianimazione del neonato: rischi etici e suggerimenti ................................................ 28 Maria Cristina del Poggetto La sindrome post-abortiva, status quaestionis................................................................31 Cinzia Baccaglini Il colloquio di salvataggio. Un percorso ad ostacoli per arrivare alla vita ......................34 Enrico Masini La Comunità Papa Giovanni XXIII a servizio della vita nascente ..................................... 38 Spoglio internazionale a cura di Benedetta Cortese ............................................................................................................41 Libri ricevuti ........................................................................................................................44 1 EDITORIALE 2 N. 1 ANNO IX BOLLETTINO DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA OSSERVATORIO INTERNAZIONALE CARD. VAN THUÂN SULLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA - TRIESTE Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa Trimestrale - Edizione italiana Direttore responsabile: Stefano Fontana Redazione: Maria Teresa Compte Grau (Madrid), Omar Ebrahime (Roma), Stefano Fontana (Verona), Flaminia Giovanelli (Roma), Chiara Mantovani (Ferrara), Giorgio Mion (Verona), Fabio Trevisan (Verona), Manuel Ugarte Cornejo (Arequipa), Francesco Zucchelli (San Miniato, Pisa). Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa Presidente: S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi Vice Presidente: Gianni Tessari Direttore: Stefano Fontana Amministratore: Angelo Bossi Recapiti via C. Besenghi, 16 34134 Trieste (Italia) Tel. e fax. +39-040-308272 [email protected] www.vanthuanobservatory.org Donazioni all’Osservatorio (L’Osservatorio è Associazione di Promozione Sociale e le donazioni sono detraibili dai redditi) Bonifico bancario: Unicredit Banca - Filiale di Melzo (Milano) Via Verdi 3 - 2066 Melzo (Mi). IBAN IT65F0200833400000040096979 Quote e modalità di abbonamento annuale all'edizione italiana (4 numeri annui) Versione cartacea Italia: Euro 30 | Estero: Euro 45 Versione pdf Euro 20 (la rivista viene spedita tramite e-mail) Modalità di pagamento Bonifico bancario: Banca di Credito Cooperativo di Sovicille - Siena Codice IBAN: IT94 G088 8514 2000 0000 0021 350 Codice SWIFT (=BIC): ICRAITRROL0 Intestato a Edizioni Cantagalli s.r.l. Via Massetana Romana, 12 - 53100 Siena Specificando come causale del versamento “Abbonamento Bollettino Van Thuân” e indicando dati e indirizzo del destinatario. 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Vorrei spiegare perché il nostro Osservatorio si è impegnato in questo campo apparentemente non connesso con la Dottrina sociale della Chiesa e perché ora diamo spazio nel nostro Bollettino a queste relazioni. È ormai evidente che i temi della medicina, tutti ma in particolare alcuni di profondo significato umano, hanno una dimensione sociale, giuridica e politica di primaria importanza. La medicina oggi non può più essere considerata solo relativamente alla “salute”, in quanto la salute è diventata una grande e dirompente “questione sociale”. La deontologia medica non è più l’unico aggancio della medicina con l’etica, e quindi con la religione. A meno di non allargare la stessa deontologia, ampliandola oltre la relazione professionale con il paziente, che rimane fondamentale, fino a raggiungere le questioni più strutturali delle leggi e delle dinamiche sociali e politiche. In questo fascicolo si possono leggere soprattutto interventi sul tema della vita umana, sulla sua accoglienza e la sua difesa. Ma ormai quello della vita umana fa tutt’uno con il problema dell’identità umana. Fin da subito i due problemi si sono richiamati vicendevolmente in quanto l’aborto nasce da una visione ideologica dell’identità umana. Ma oggi la sovrapposizione del tema della vita con quello dell’identità umana è ancora più evidente e ciò collega l’aborto all’ideologia del gender1 e a tutte le conseguenze che questa comporta. Vorrei sottolineare in modo particolare questo nesso, perché spesso si sostiene che una questione è l’aborto e un’altra l’ideologia del gender in quanto la prima non riguarda l’identità umana ma la vita e la seconda l’identità umana. Da un punto di vista sociale, quindi, l’ideologia del gender sarebbe più pericolosa. In fondo, si dice, “l’aborto c’è sempre stato”. A mio avviso, invece, il tema dell’identità umana è presente anche nella questione dell’aborto e con un ruolo di primaria importanza. Non si legalizza l’aborto se prima non si è persa la corretta nozione di cosa è la persona umana. Perciò collocherei le due questioni su un unico percorso negativo. È vero che l’ideologia del gender interviene sulla procreazione, la famiglia e la filiazione e da qui destabilizza tutte le relazioni sociali. Anche l’aborto, però, lo faceva e lo fa. La possibilità della fecondazione in vitro dà all’ideologia del gender una praticabilità prima impossibile. Ciò ne ha aumentato a dismisura l’impatto sociale. Ma questo non autorizza a dire che nasce una nuova questione, ma piuttosto che la questione antropologica si è radicalizzata. La relazione del Cardinale Caffarra, che apre questo numero del Bollettino, è incentrata su “chi” è l’uomo, ossia sul tema dell’identità, in quanto il significato e valore della vita dipende dalla risposta a questa domanda. A quali condizioni si entra a far parte del genere umano? La risposta del cardinale è secca: alla semplice condizione di appartenere biologicamente alla razza umana. Qualsiasi altra condizione aggiuntiva sarebbe ideologica. Il mio intervento, dal titolo Il principio della difesa della vita e il ruolo pubblico della fede cattolica, amplia la prospettiva dell’identità umana, passando dal piano antropologico a quello teologico, ossia ponendola in relazione con la “natura”, che rimanda da un lato al Creatore e dall’altro al Salvatore, in quanto si tratta di una natura decaduta bisognosa di salvezza. Così il tema dell’identità umana, e di conseguenza quello della vita, entrano a pieno titolo nella Dottrina sociale della Chiesa. Ecco spiegato il motivo per cui il nostro Osservatorio se ne interessa e pubblica in 3 EDITORIALE 4 [2] V. Possenti, Il nuovo principio persona, Armando, Roma 2013. 8 Gómez d’Ávila, In margine a un testo implicito, Adelphi, Milano 1996. [3] J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea - storia e dogma, Jaka Book, Milano 20052, p. 24. [4] Cfr. “La colonizzazione della natura umana”, in Quarto Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, a cura di G. Crepaldi e S. Fontana, Cantagalli, Siena 2012. [5] J. Pieper, La realtà e il bene, Morcelliana, Brescia 2011, p. 58. N. 1 ANNO IX questo fascicolo del Bollettino le relazioni del convegno. Entrano a pieno titolo nella Dottrina sociale della Chiesa, ossia nella “questione sociale”, in quanto riconducono la costruzione della società al progetto di Dio sul mondo. La Chiesa ha espresso una sua Dottrina sociale come conseguenza di essere essa stessa depositaria e custode della Creazione, quindi della legge naturale, lievito di evangelizzazione e quindi di salvezza. Tale salvezza riguarda tutta la realtà: personale, cosmica e sociale. A partire dalla questione dell’identità umana, che il tema della vita mette in evidenza, si ricostruisce quindi il senso stesso della Dottrina sociale della Chiesa che troppo spesso viene assimilata a saggezza e prudenza terrene mentre essa, pur essendo anche questo, è molto di più. C’è oggi un argomento che testimonia l’appartenenza del tema dell’identità e della vita umana al campo della “questione sociale” come la Chiesa la intende. Si tratta dell’obiezione di coscienza, che nel contesto attuale ha assunto un’importanza decisiva e ha dilatato il suo significato. Nei confronti della vita, tutti i codici deontologici, a cominciare da quello di Ippocrate, hanno richiamato la coscienza del medico al rifiuto di provocare l’aborto. Oggi la questione si è però allargata, in quanto il nesso tra aborto e identità umana si à meglio chiarito in tutte le sue possibili derive negative. C’è per esempio un aborto camuffato che richiede l’obiezione di coscienza, per esempio, anche nel prescrivere la cosiddetta “contraccezione di emergenza” che può avere effetti abortivi. C’è la necessità di fare obiezione di coscienza a leggi, come quella voluta negli Stati Uniti dal governo Obama, che prescrivono ai datori di lavoro assicurazioni per i dipendenti che prevedano l’aborto chimico e la sterilizzazione, oltre che la contraccezione. Lo stesso principio di difesa dell’identità umana e della vita si estende poi alle situazioni legate alla procreazione artificiale, alla difesa degli embrioni umani, all’opposizione al riconoscimento delle coppie omosessuali e così via. In altre parole l’obiezione di coscienza per la vita e l’identità umana allarga i casi di applicabilità, si estende a leggi e a pratiche sociali che vanno oltre lo stretto rapporto medico-paziente. Mentre scrivo queste righe, in Italia si sta rivedendo il codice deontologico dei medici ed è evidente come le nuove ideologie che negano la natura umana e quindi l’identità della persona tentino di insinuare nel nuovo testo modifiche che, se approvate, richiederanno ai medici un nuovo coraggio nel fare obiezione di coscienza. Accennavo sopra al fatto che aborto e ideologia del gender appartengono ad un unico processo negativo e che vanno messe in relazione tra loro. Questo processo negativo è la corrosione prima e la dissoluzione poi del concetto di “natura” e quindi anche di “natura umana”. Sono grato a quei pensatori che, nonostante le principali correnti filosofiche odierne battono altri lidi, e senza cessare di dialogare con esse, hanno tenuto fermo il valore ontologico della persona2. Si tratta di coraggio intellettuale. Se la persona non è tale al livello dell’essere, come potrà esserlo ad altri livelli? La stessa teologia oggi deve riprendere il contatto con l’ontologia per fondare adeguatamente l’antropologia cristiana3. Credo che su questo sia necessario lavorare ancora molto. La distruzione del concetto di natura portato avanti dalle ideologie dell’aborto e del gender4 è la più forte promozione di una visione contrattualistica della società e dei rapporti sociali e li consegna indifesi al relativismo. Le relazioni che seguono in questo fascicolo fanno riferimento a questo concetto di natura, non dal punto di vista filosofico o teologico ma dal punto di vista della prassi medica. Essere “medici fino in fondo” non è meno coraggioso che essere filosofi o teologi fino in fondo. Significa prendere sul serio il concetto di natura e di identità umana, porlo al suo livello più radicale, senza sconti, e adeguarvi la propria prassi medica perché possa essere una prassi medica umana. Al concetto di natura di solito si rimprovera di essere oggettivo e freddo, incapace di muovere il soggetto e tantomeno di riconoscergli una sua creatività. Le relazioni dei medici che potrete leggere in questo fascicolo testimoniano il contrario: la verità non è mai né solo oggetto né solo soggetto, è sempre la relazione tra oggetto e soggetto. L’oggetto ha la prevalenza quanto ai contenuti, ma è il soggetto ad avere la prevalenza quanto al modo5. Nessuno degli autori di questi studi conduce analisi teoretiche sulla natura umana ma tutti dimostrano di conoscerla e di viverla. FOCUS | 1 N. 1 ANNO IX V orrei iniziare col dire molto semplicemente quale è il nucleo essenziale del Vangelo della vita. Mi servo di un testo di Giovanni Paolo II: «Quale valore deve avere l’uomo davanti agli occhi del creatore, se ha meritato di avere un tanto nobile e grande redentore, se Dio ha dato il suo IL VANGELO DELLA VITA NELLA CULTURA MODERNA S. E. Mons. Carlo Caffarra Arcivescovo Metropolita di Bologna [1] Redemptor hominis, 10; EE 8, 28-29. [2] Cfr. Confessioni, Libro I, 1,1. [3] S. Kierkegaard, “Postilla conclusiva non scientifica”, Introduzione, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, p. 268. [4] Cfr. 1, q. 93, a. 2. [5] Confessioni, XIII, 8, 9. Libro Figlio, affinché egli, l’uomo, non muoia ma abbia la vita eterna? In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore e alla dignità dell’uomo si chiama evangelo, cioè la buona novella. Si chiama anche cristianesimo»1. Il Vangelo della vita è la bella notizia che Dio si prende cura di ogni uomo. E questa è la dimensione oggettiva, il suo contenuto espresso fin dalle prime professioni di fede nella formula “per noi” (pro nobis – υπερ εμώυ). Accolta dall’uomo, ritenuta mediante la fede assolutamente vera, quella bella notizia produce nella coscienza dell’uomo non solo lode a Dio piena di gratitudine, ma anche un «profondo stupore riguardo al valore e alla dignità dell’uomo». È questa la dimensione soggettiva del Vangelo della vita, il suo contenuto propriamente antropologico. Lo stupore è la principale – Aristotele pensava fosse l’unica – sorgente della conoscenza. Lo stupore, che l’uomo vive riguardo a se stesso ogni volta che gli viene detta la bella notizia, lo spinge ad interrogarsi circa se stesso, a chiedersi: “Ma, alla fine, che cosa è l’uomo perché Dio se ne prenda cura fino a questo punto?”. La domanda sull’uomo quindi si trova sempre al centro della riflessione cristiana, della fides quaerens intellectum, poiché è intrinseca alla riflessione cristiana sul mistero di Dio e sul mistero dell’Incarnazione. Fin dall’inizio delle Confessioni, Agostino esprime questa tensione bi-polare. Da una parte egli si vede, e pensa l’uomo, come aliqua portio creaturae tuae (una particella, un frammento dell’universo: la stessa esperienza espressa mirabilmente da Giacomo Leopardi in Canto notturno di un pastore errante dell’Asia); ma dall’altra vede in sé, in ogni uomo, il desiderio di lodare Dio: et tamen laudare te vult homo, aliqua portio creaturae tuae (e tuttavia vuole lodarti)2. Non voglio ora percorrere, neppure per sommi capi il cammino della scoperta che l’uomo è andato facendo di se stesso, per rispondere alla domanda: “ma chi sono per essere preso in cura da Dio stesso fino a questo punto?”. La risposta in fondo è la seguente: Dio si prende cura speciale di questa «portio aliqua creaturae suae» perché ha voluto l’uomo per Sé; lo ha destinato ed orientato a vivere eternamente con Lui. Le altre realtà create, singolarmente prese o nel loro insieme, non esistono per questo scopo. E pertanto Dio non si cura di loro colla stessa intensità con cui si cura dell’uomo. Egli «attribuisce una tutt’altra importanza […] al mio piccolo io come ad ogni altro io, per piccolo che sia, poiché vuole rendere questo io eternamente beato, se il singolo è così compiacente di entrare nel cristianesimo»3. Nel testo che ho citato sopra, Agostino scrive: «Sei tu che lo stimoli a provare gioia nel lodarti, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in te». Fate bene attenzione. Non registrate questo testo, molto famoso, con quei pregiudizi interpretativi derivati dalla nostra coscienza ammalata di psicologismo. L’affermazione del cor inquietum non ha principalmente significato psicologico, ma ontologico. Denota chi è l’uomo; denota la soggettività metafisica dell’uomo: un essere fatto da un altro, che può realizzarsi pienamente solo in Dio. San Tommaso dirà «capax Summi Boni» (capace di possedere il Sommo Bene)4. Sempre nelle Confessioni, Agostino esprimerà lo stesso pensiero in modo ancora più suggestivo: «Tu mostri a sufficienza quanto grande abbia fatto la creatura razionale, alla quale, per avere pace e felicità, non basta nulla che sia meno di Te, e quindi non basta a se stessa»5. Dio si prende cura dell’uomo perché lo chiama, lo desidera come suo compagno, amico con cui condividere la sua eterna beatitudine e la sua vita divina. La scoperta del senso, del fine dell’esserci dell’uomo coimplica la scoperta delle condi- 5 FOCUS | 1 6 [6] 1, q. 29, a. 3. [7] 3, q. 1, a. 2. N. 1 ANNO IX zioni strutturali dell’uomo. Se l’uomo deve raggiungere quel fine, deve essere fatto in un certo modo: deve essere adeguato, proporzionato allo scopo. Che cosa significa tutto questo? Significa essere persona: solo la persona è tale da poter essere orientata ad un tale scopo. Essa infatti è soggetto – capace di conoscere ed amare – incorruttibile ed eterno, cioè spirituale. Tommaso quindi concluderà: «La persona indica ciò che di più perfetto esiste in tutta la natura, la sussistenza in una natura razionale»6. Cioè: non si può essere più che una persona. Il grande dottore della Chiesa scrive che «se Dio si è fatto uomo è stato per istruirci della dignità della natura umana»7. In questa percezione dell’incomparabile perfezione della persona sono state viste due verità implicate. La prima: l’uguaglianza quanto all’essere fra le persone umane. Non si può essere persona più di un’altra. La dignità ontologica di ogni persona umana è identica. La seconda: essendo ciò che di più perfetto esiste, nessuna persona umana è ordinata ad un bene creato, come mezzo verso il fine o parte in funzione del tutto. Ogni persona umana è una realtà che precede lo Stato, e lo trascende. Ogni persona umana trascende l’intero universo creato sia nel suo aspetto materiale sia nella sua organizzazione sociale. Nella storia dell’Occidente è accaduto un evento spirituale sul quale non rifletteremo mai abbastanza. Comincio col descriverlo con un esempio. Immaginiamo un roveto ardente. Da esso escono tante scintille, che si staccano dal roveto, senza che a lungo andare si spenga a causa di questo. Il Vangelo della vita, vero roveto ardente acceso nella coscienza dell’Occidente, ha sprigionato alcune scintille, che pur avendo avuto origine dal roveto, hanno vissuto di vita propria. La prima e più importante scintilla è stata la scoperta dell’uomo come persona, come un soggetto di incomparabile dignità. La scoperta della persona, sprigionatasi dal Vangelo della vita, ha generato poi una cultura politica, nella quale si sono riconosciuti anche coloro che, pur non avendo accolto nella fede il Vangelo della vita, sono guidati da un uso retto della ragione. In parole più semplici: il Vangelo della vita ha generato la democrazia occidentale. Intendo democrazia non in senso meramente procedurale, ma sostanziale: la democrazia come riconoscimento della precedenza e superiorità della persona sullo Stato; affermazione politica della dignità di ogni persona, della conseguente uguaglianza di ciascuna a ciascuna e non ordinabilità delle medesime ad un tutto ritenuto superiore. Non è possibile seguire tutto il percorso di questo processo culturale. Mi limito ad accennare solo ad un particolare di non secondaria importanza. Uno degli aspetti più travagliati di questo processo è stata la faticosa determinazione del criterio scriminante fra l’essere persona ed il non-essere persona. Via via furono superati vari criteri: l’appartenenza ad una classe sociale piuttosto che un’altra (si pensi alla distinzione schiaviliberi); l’appartenenza ad una razza piuttosto che un’altra; la “funzionalità sociale” (attitudine verso l’ammalato); ed altro ancora. Questo travaglio non è ancora finito. Ma la posizione più personalista è giunta alla conclusione seguente: essere persona coincide coll’essere un individuo appartenente alla specie umana. Nulla di più e nulla di meno è richiesto. È questa oggi la vera battaglia per l’affermazione della persona: esiste un solo criterio per distinguere chi è persona e chi non è persona, l’appartenenza biologica al genere umano. Molte sono le argomentazioni per dimostrare questa affermazione. Mi limito, per brevità, ad una sola. Se oltre al fatto biologico, il riconoscimento della persona esigesse una qualità ulteriore, anche i diritti conseguenti allo statuto di persona dipenderebbero dalla qualità suddetta e sarebbero da essa condizionati. Ora chi decide quale deve essere questa qualità? Ovviamente, con una procedura o altra, la comunità umana già costituita. Ne deriverebbe che i diritti fondamentali della persona sarebbero condizionati dalla generosa concessione di altri. Ma i diritti umani fondamentali non vengono conferiti o concessi, ma rivendicati da ciascuno con uguale forza cogente: «I diritti delle persone sono in generale diritti incondizionati soltanto quando essi non vengono fatti dipendere dall’adempimento di qualche condizione qualitativa, della cui esistenza decidono coloro che sono già membri della comunità giuridica»8. FOCUS | 1 [8] R. Spaemann, Persone, Laterza, RomaBari 2005, p. 241. [9] Gaudium et spes, 26; EV 1, 1482. [10] In margine ad un testo implicito, Adelphi Edizioni, Milano 2001, p. 88. N. 1 ANNO IX Una considerazione, prima di procedere, sulla quale ora non ho tempo di fermarmi. Lo scardinamento del concetto di generazione e quindi di genealogia, quali si ha là dove si riconosce il carattere coniugale alla convivenza omosessuale, può a lungo termine essere devastante sull’identificazione della persona mediante il criterio dell’appartenenza biologica al genus humanum. E quindi sulla fondazione dei diritti incondizionati di ogni persona. Abbiamo finora fatto, in sostanza, tre affermazioni: il Vangelo ha generato nell’uomo la coscienza di essere “qualcuno” e non semplicemente “qualcosa” di incomparabile dignità; questo fatto spirituale ha prodotto la categoria metafisica, etica, e giuridica di persona, base delle nostre democrazie occidentali; questa categoria, vero primum metaphysicum – primum ethicum – primum juridicum, benché partita dal Vangelo, si è mostrata come condivisibile da ogni retta ragione. Ma che cosa è accaduto in Occidente? Il seguente evento culturale. Poiché la categoria di persona è pensabile senza la divina Rivelazione, cioè senza la fede, poiché essa è opus rationis et non fidei, è possibile costruire un humanum, un sociale umano fondato sul primato della persona, anche prescindendo o negando Dio. In ordine alla custodia del primato della persona, è del tutto irrilevante l’esistenza di Dio, ed il rapporto della persona con Dio medesimo. Una tale progettazione era destinata al fallimento, per due ragioni fondamentali, le quali poi sono le due strade che il fallimento ha percorso e sta percorrendo. La prima: la persona è radicata nella natura. Anzi, abbiamo detto che è un fatto biologico il criterio di appartenenza di qualcuno alla comunità di persone. Tuttavia se scompare dalla coscienza umana l’idea di creazione, la persona non potrà che ridursi ad essere il risultato fortuito, casuale di forze impersonali. Non solo, ma soprattutto, essa non godrà di nessuna sporgenza, trascendenza nei confronti della natura, come oggi la ricerca neurologica mira a dimostrare. La seconda: la persona diventa consapevole della propria dignità in ragione del referente con cui è relazione. Se un mandriano passasse tutto il suo tempo con le mucche, egli si “sentirebbe persona” a riguardo delle mucche. È una misura ben limitata. Se una persona ha a che fare con persone socialmente importanti (è chiamato spesso da loro, ne chiedono i consigli…), egli si “sentirebbe persona” in misura ben superiore. Possiamo dunque dire: la misura della coscienza di essere persona è data dai suoi referenti. Se il referente è infinito, cioè è Dio, la dignità ha una qualche infinità; se il referente è sempre ed esclusivamente limitato, la persona non avrà mai coscienza della sua intera verità. E pertanto sarà sempre esposta al gioco di forze impersonali e del potere. Conferma: il secolo più irreligioso, il secolo XX, ha conosciuto le due più tremende dittature, quella nazional-socialista e quella comunista. La cultura occidentale in cui viviamo si trova dunque in questa condizione: vive su affermazioni di cui nega i presupposti. Come si può uscire da questa situazione? Papa Francesco lo va dicendo ogni giorno: la Chiesa deve uscire dalle sagrestie ed evangelizzare al Vangelo della vita. Solo in questo modo si attizza continuamente il fuoco di quel roveto dal quale parte la scintilla dell’affermazione della dignità incomparabile di ogni persona. In questo modo i credenti, evangelizzando, aiutano anche coloro che vedono colla loro ragione la dignità di ogni persona, e pur non credendo, non negano la rilevanza della fede cristiana. Ma questo discorso è un po’ generico. La testimonianza al Vangelo della vita è particolarmente inequivocabile – direi, è pura testimonianza – quando è affermata la dignità incomparabile di quella persona umana che può esibire un solo titolo di riconoscimento: l’appartenenza biologica al genere umano. La persona umana già concepita e non ancora nata si trova in questa condizione. Le minoranze che rendono questa testimonianza, in pubblico, che custodiscono dentro la città la certezza del primato della persona, impediscono che siano erose le fondamenta di ogni edificio sociale che non voglia imbarbarirsi. «Il frammento evangelico suscitò e suscita nel cuore dell’uomo questa irrefrenabile esigenza di dignità»8. Potrei riassumere tutto ciò che ho detto con un profondo aforisma di Gomez Davila: «Ciò che non è persona, in fondo non è nulla»10. 7 FOCUS | 2 N. 1 ANNO IX D 8 edico questo mio intervento ad una riflessione sulla centralità del tema della difesa della vita umana fin dal concepimento per la Dottrina sociale della Chiesa e, in generale, per continuare a permettere che la religione cattolica abbia IL PRINCIPIO DELLA DIFESA DELLA VITA UMANA E L’IMPEGNO PUBBLICO DELLA FEDE CATTOLICA S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi Presidente dell’Osservatorio [1] Ho illustrato le ragioni teologiche del ruolo pubblico della fede nel primo capitolo del mio libro Il Cattolico in politica. Manuale per la ripresa, Cantagalli, Siena 2012. [2] Come ha detto Benedetto XVI in Messico nel Discorso a León del 25 marzo 2012. [3] Della natura umana come “lingua” ha parlato, per esempio, Benedetto XVI nel Discorso ad un gruppo di Vescovi degli Stati Uniti in visita ad limina del 19 gennaio 2012. [4] Cfr. R. Spaemann – R. Löw, Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico, Ares, Milano 2013. [5] Cfr. G. Crepaldi - S. Fontana, Quarto Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo - La colonizzazione della natura umana, Cantagalli, Siena 2012. un ruolo pubblico, come deve necessariamente avere1. Ritengo importante situare la riflessione sulla difesa della vita, anche quella condotta dal punto di vista scientifico-medico come viene fatto in questo convegno, all’interno della Dottrina sociale della Chiesa, ossia dentro il rapporto della Chiesa con il mondo. Perché in questo consiste il ruolo pubblico della fede cattolica, che non parla solo all’interiorità delle persone, ma esprime la regalità di Cristo anche sull’ordine temporale e attende la ricapitolazione di tutte le cose in Lui, Alfa e Omega. La regalità di Cristo ha un significato spirituale2, certamente, ma ne ha anche uno cosmico e sociale. Senza questa dimensione pubblica, la fede cattolica diventa una gnosi individuale, un culto non del Dio Vero ed Unico ma degli dèi, una setta che persegue obiettivi di rassicurazione psicologica rispetto alla paura di essere “gettati” nell’esistenza. Innanzitutto il tema della difesa della vita porta con sé il messaggio della natura. Ci dice che esiste una natura e, in particolare, una natura umana. Non ci sono altre motivazioni valide per chiedere il rispetto del diritto alla vita e, per contro, chi non lo rispetta è perché nega l’esistenza di una natura umana o la riduce ad una serie di fenomeni governati dalla necessità. La vita, invece, ci riconduce alla natura orientata finalisticamente, come lingua, come codice3. La nostra cultura ha perso l’idea di fine4. Ha cominciato a perderla quando Cartesio ha interpretato il mondo come una macchina e Dio come colui che ha dato un calcio al mondo, o forse anche prima. Oggi viviamo in una cultura postnaturale, come dimostra ampiamente l’imperversare dell’ideologia del gender5, da vedersi come una cultura post-finalistica. Il principio di causalità, che nella filosofia classica era connesso con quello di finalità, se ne è staccato. La realtà non esprime più un disegno ma solo una sequenza di cause materiali. Rilanciare una cultura della difesa della vita significa allora anche recuperare la cultura della natura e la cultura dei fini. Il concetto di natura porta con sé la dimensione dell’indisponibile. Se la natura è “discorso” e “parola”, essa esprime un senso che ci precede. Non siamo solo produttori di parole, siamo anche uditori della parola che promana dalle cose, dalla realtà, dalla sinfonia dell’essere. Ammettere la vita come dono inestimabile significa riconoscere che nella natura c’è una parola che ci viene incontro e che ci precede. Ogni nostro fare deve tener conto di qualcosa che viene prima: il ricevere precede il fare6. C’è qualcosa di stabile prima di ogni divenire. Negare la natura apre la porta culturale alla manipolazione della vita, perché viene meno la dimensione dell’accoglienza e della gratitudine. Non si è accoglienti e grati nei confronti di ciò che produciamo noi, ma solo di ciò che ci viene incontro e si manifesta come un dono di senso. Se questa dimensione viene meno a proposito della vita nascente si indebolirà anche in tutte le altre situazioni della vita e la società perderà inesorabilmente la dimensione della reciproca responsabilità, come afferma la Caritas in veritate al paragrafo 287. Se la natura è un discorso che ci interpella non ne è però il fondamento ultimo. La natura non dice mai solo se stessa. La vita nascente non dice mai solo se stessa. È discorso che rimanda ad un Autore. Anche nella persona umana nessun livello dice solo se stesso e non c’è nulla nell’uomo di esclusivamente materiale. Nessun livello FOCUS | 2 [6] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico, Queriniana, Brescia 2003, pp. 41. Ho ritenuto di dover interpretare l’intesa enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate in questa chiave: G. Crepaldi, “Introduzione” a Benedetto XVI, Caritas in veritate, Cantagalli, Siena 2009, pp. 7-42. [7] «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”. Benedetto XVI, Caritas in veritate, 28. [8] Gómez d’Ávila, In margine a un testo implicito, Adelphi, Milano 1996. [9] Lo spiega molto bene J. Pieper in La realtà e il bene, Morcelliana, Brescia 2011. [10] G. Crepaldi, “Ragione pubblica e verità del Cristianesimo negli insegnamenti di Benedetto XVI”, in Id., Dio o gli dèi. Dottrina sociale della Chiesa: percorsi, Cantagalli, Siena 2008, pp. 81-94. [11] M. Borghesi, “I presupposti naturali del poter-essere-se-stessi. La polarità natura-libertà di Jürgen Habermas”, in F. Russo (a cura di), Natura cultura libertà, Armando, Roma 2010. [12] Benedetto XVI, Discorso al Reichstag di Berlino, 22 settembre 2011. N. 1 ANNO IX della realtà è pienamente comprensibile rimanendo al suo proprio livello. Quando pretendiamo di considerare qualcosa solo al suo livello finisce che non la consideriamo più nemmeno a quel livello. Il Cardinale Caffarra ha concluso la sua Lezione con una citazione da Gómez d’Ávila, autore che riprendo qui volentieri anch’io: «Quando le cose ci sembrano essere solo quel che sembrano, presto ci sembreranno essere ancor meno»8. La natura rivela il Creatore, si presenta non solo come discorso ma anche come “discorso pronunciato”, come Parola. Quando si è tentato di staccare la natura dal Creatore si è finito per perdere anche la natura. Quando si vuole staccare il diritto naturale dal diritto divino si finisce per perdere anche il diritto naturale. Quando si stacca la dimensione fisica della persona dalla sua dimensione spirituale e trascendente si finisce per non tutelare più nemmeno la sua dimensione fisica. Se si pensa che la natura dica solo se stessa finisce che la natura non ci dice più niente. Oggi la vita nascente rischia di non dire più niente, ossia di non venire nemmeno più compresa come vita nascente, ma come semplice processo biologico. Nei suoi confronti ci si comporta sempre più come produttori piuttosto che come uditori. Ma non è la natura a non dirci più niente, è la nostra cultura che ha perso il codice per comprenderla. E questo codice non è solo un alfabeto umano. Allora il tema della difesa della vita rimanda alla natura, rimanda a quanto ci precede e rimanda al Creatore. Difendere la vita è difendere la vita, ma è anche fare un’operazione culturale alternativa alla cultura attuale: ricominciare a parlare di un ordine e non solo di autodeterminazione. C’è un ordine che ci precede voluto da un Ordinatore. Il Creato è un ordine e non un mucchio di cose gettate a caso. Questo ordine è ordinato ed ordinativo, ossia esprime un dover essere e un dover fare. In altre parole è un ordine morale. Se quello ontologico è un ordine, non può non tradursi in un ordine morale9. Eliminato il bene ontologico non c’è più spazio per il bene morale. All’ordine morale radicato nell’ordine ontologico appartiene anche la società, la convivenza umana. Ecco perché il tema della difesa della vita è centrale per la costruzione della convivenza umana degna della dignità naturale e soprannaturale della persona. Ecco perché, credo di poter dire, negli elenchi dei cosiddetti “principi non negoziabili” che in varie occasioni il Sommo magistero della Chiesa ha formulato, il principio del rispetto della vita figura sempre al primo posto e non manca mai. Solo se c’è una natura, e solo se questa natura è in sé un discorso, è possibile l’uso della ragione. Parlo qui non della ragione misurante i fenomeni, ma della ragione che scopre orizzonti di senso. Solo se l’ordine sociale si fonda su una simile natura è possibile l’uso della ragione pubblica. Viceversa, si avrà solo la ragione procedurale10. Si capisce quindi perché la difesa della vita abbia una importanza fondamentale per ricostruire la possibilità stessa di un uso pubblico della ragione. Ed infatti, lo vediamo, la negazione del dovere pubblico di proteggere la vita nascente scaturisce da una diserzione della ragione ad essere ragione pubblica, riducendosi a ragione privata. La verità accomuna, le opinioni dividono. È molto significativo che anche filosofi come Habermas abbiano di recente riconosciuto la fondamentale importanza del concetto di natura11, visto ancora in senso non pieno, ma comunque tale da riconoscere i limiti di una ragione solo procedurale, con il che il dialogo pubblico è inquinato in partenza. L’uso pubblico della ragione è di fondamentale importanza per il ruolo pubblico della fede cattolica. Questa, infatti, non trasferisce immediatamente il diritto rivelato nel diritto civile, ma si affida al diritto naturale, quindi al concetto di natura e di ragione pubblica12. A quest’ultima spetta il compito di riconoscere l’ordine sociale come un discorso finalistico sulla convivenza umana. La fede non si sostituisce alla ragione. Ma non la abbandona nemmeno a se stessa. Se non c’è ordine naturale non c’è ragione pubblica, se non c’è ragione pubblica non c’è dialogo pubblico tra ragione e fede. Se non c’è dialogo pubblico tra ragione e fede non c’è dimensione pubblica della fede cattolica. Se non c’è dimensione pubblica della fede cattolica non c’è la fede cattolica. Lo riscontriamo: man mano che la ragione si privatizza anche la 9 FOCUS | 2 10 N. 1 ANNO IX fede si privatizza. Se il credente, quando entra nella pubblica piazza, deve rinunciare alle ragioni della propria fede, alla fine pensa che la propria fede non abbia ragioni. Ma senza ragioni viene meno non solo il versante pubblico della fede, bensì anche quello personale ed intimo. Ecco perché il tema della difesa della vita umana fin dal concepimento è fondamentale per mantenere e sviluppare il dialogo tra la ragione e la fede. E, come si sa, proprio in questo consiste la Dottrina sociale della Chiesa. Da queste semplici e sintetiche osservazioni risulta tutta l’importanza non solo della Marcia di domani, ma anche di questo convegno. Tutta l’importanza del multiforme impegno di chi mi ascolta e delle realtà associative che ognuno di voi ha dietro di sé, a difesa della vita umana nascente. Risultano anche, per contrasto, le gravi conseguenze che un affievolimento di questo impegno porta con sé, e non solo in ordine al tema specifico, appunto la difesa della vita, ma anche in ordine alla vita della fede. La fede nella vita è benefica anche per la vita della fede. Per ottenere questo risultato è necessario collocare il tema della difesa della vita dentro la Dottrina sociale della Chiesa, come del resto ha fatto il Magistero a cominciare dalla Evangelium vitae. In questo caso non si chiude il tema della vita dentro un recinto. In realtà così facendo lo si colloca là dove la Chiesa si interfaccia con il mondo e dove ragione pubblica e fede pubblica dialogano tra loro dentro l’unità della Verità. Gloria Pelizzo Valeria Calcaterra Oltre la cura… oltre le mura Da una parte rte i bambini del Reparto di Chirurgia Pediatrica del Policlinico San Matteo; dall’altra un gruppo di carcerati della Casa Circondariale di Pavia, che, in collaborazione d’intenti, danno una mano, come cuochi, imbianchini, pittori e poeti. Due mondi separati, ma uniti nella sofferenza che incontrandosi possono generare un’occasione di speranza. CANTAGALLI FOCUS | 3 N. 1 ANNO IX M i sembra più che opportuno questo momento dedicato alla riflessione su temi di etica medica e di bioetica, destinata ai medici (e in buona parte sviluppata da medici) in questo nostro convegno di preparazione alla IIIª giornata nazionale per la vita. Il medico, infatti, è il professionista della salute e della vita. Nes- LE VIRTÙ DEL MEDICO Padre Gonzalo Miranda, L.C. Decano della Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum Roma [1] G. Marañón, Vocación y ética y otros ensayos, Espasa-Calpe, Madrid 1966. suna professione è legata così strettamente alla vita umana, alla sua promozione e al suo rispetto. Si racconta che un veterinario andò dal medico per una visita a causa di alcuni dolori persistenti. Appena seduto di fronte alla sua scrivania, il medico gli chiese: “Ecco, mi dica dove le fa male”. Il veterinario, un pò infastidito, rispose: “Beh, così è troppo facile!”. Effettivamente, ci sono delle differenze tra il medico e il veterinario. E non solo quella notata dal veterinario-paziente. Entrambi sono persone, entrambi professionisti della salute, ma uno di loro ha a che fare con delle persone (che possono, per esempio, spiegare al dottore dove fa male) e l’altro no. In un congresso a Salamanca, in Spagna, alcuni anni fa, un noto professore di medicina dell’Università di Madrid raccontò gli sforzi che faceva per educare gli studenti del sesto anno a un atteggiamento di accoglienza rispettosa ed empatica con i loro futuri pazienti. Riferì la storia di un’anziana signora che era andata da un giovane medico e si era sentita sgridare violentemente perché si era permessa di appoggiare la sua borsa sulla scrivania del dottore. Il professore ci confessò che quell’episodio l’aveva profondamente addolorato: “Primo, perché quell’anziana donna era mia madre; ma soprattutto, perché quel giovane medico era stato recentemente mio allievo”. Ho seguito la tesi scritta da una infermiera per un corso di specializzazione. La studentessa ha sondato, con dei questionari, le motivazioni e gli atteggiamenti prevalenti tra gli studenti di scienze infermieristiche all’inizio del loro percorso di studi. Poi ha sottoposto lo stesso questionario a coloro che stavano per finire la carriera. Il risultato della comparazione tra i due questionari è preoccupante: chi iniziava gli studi dimostrava atteggiamenti e motivazioni molto più elevati e “nobili” rispetto a coloro che stavano per concluderli. Purtroppo, diversi medici mi hanno detto che un fenomeno simile si potrebbe evidenziare anche se si facesse uno studio simile tra gli studenti di medicina. Dovremmo allora domandarci cosa succede durante la formazione dei futuri infermieri e medici… Il grande medico-umanista spagnolo, Gregorio Marañón (morto nel 1960) scrisse un bellissimo libro intitolato Vocación y ética, y otros ensayos1. In esso, l’autore si riferisce alla professione medica come a una vera e propria “vocazione”. Secondo lui, ci sono soprattutto tre professioni-vocazioni: quella sacerdotale o religiosa, quella dell’educatore e quella del medico. Come se chi vive queste professioni rispondesse a una “chiamata” interiore, che lo invita a dedicarsi pienamente al servizio degli altri nell’esercizio quotidiano del suo lavoro professionale. Egli prevedeva un accrescimento del “senso vocazionale” dei medici negli anni futuri. Purtroppo, probabilmente dobbiamo constatare che almeno finora la storia non gli ha dato ragione. Conviene chiedersi quali possano essere le cause che stanno portando verso una visione della medicina, e un vissuto della professione medica, come qualcosa che si allontana sempre più da quella comprensione ed esperienza della medicina come “vocazione”, uno dei cui tratti essenziali è la dedizione generosa ai malati. Sicuramente, dobbiamo riferirci alla sempre più puntuale specializzazione dei medici. L’impressionante aumento, velocissimo, delle conoscenze e delle competenze nella biomedicina attuale, richiede sempre 11 FOCUS | 3 12 [2] Cfr. T.L. Beauchamp, J.F. Childress, Principi di etica biomedica, Le Lettere, Firenze 1999. [3] Cfr. E. Pellegrino, D. Thomasma, Virtues in Medical Practice, Oxford University Press, New York-Oxford 1993. [4] Cfr. E. Pellegrino, «The Recovery of Virtue in the Professional Ethics of Medicine», in E. Sgreccia, V. Mele, G. Miranda (a cura di), Le radici della bioetica, Milano: Vita e Pensiero, 1998, pp. 61-75. N. 1 ANNO IX più al medico di restringere il campo di conoscenza, esige aggiornamento, e azione, verso un solo settore. E nemmeno su quello riesce spesso ad essere sufficientemente aggiornato. Il medico rischia così di perdere di vista il paziente come persona nella sua complessa integralità. Il paziente si riduce ad un fegato. Forse il chirurgo non vede nemmeno il paziente: entra in sala operatoria, i collaboratori hanno già predisposto il campo di intervento, e lui riesce a vedere solamente una parte del fegato sulla quale deve intervenire. Influisce anche, senza dubbio, la progressiva e sempre più invasiva “tecnicizzazione” della medicina. Il medico si avvale sempre più di strumenti artificiali, spesso sofisticatissimi, ai quali deve prestare quasi tutta la sua attenzione. Può essere perfino quasi sostituito da un robot. Il rapporto con la persona del paziente è sempre più mediato e filtrato da apparecchi, strumenti, equipe di tecnici, procedure e protocolli. Diminuisce così, a volte drasticamente, la dimensione di relazione interpersonale che era propria della professione medica. È vero che il medico continua comunque a trattare persone (e non animali o altri esseri viventi); ma la persona in quanto tale è sempre di più una realtà che sta là in fondo, quasi nascosta, rispetto alla sua esperienza personale. Il medico diventa una persona che cura un’altra persona senza però avere un rapporto interpersonale. Si deve, però, prendere coscienza anche dei fattori culturali, e quasi ideologici, che influiscono in questo allontanamento del medico rispetto a quella visione “vocazionale” della sua professione. Senza poter entrare ora in un’analisi minimamente accurata, possiamo e dobbiamo riconoscere che viviamo immersi in una cultura sempre più individualista, diffidente e conflittuale. L’altro diventa sempre più altro, estraneo, spesso concorrente e quasi nemico. E quell’altro può essere il paziente, i suoi familiari, i colleghi… Così come lo è, dall’altra parte, il medico, e perfino l’infermiere, nonostante lavori accanto al letto del paziente. In questo processo di impoverimento dei rapporti interpersonali, un importante influsso proviene, senz’altro, dal processo di “secolarizzazione” tipico del nostro tempo. Quando una buona parte dei membri della società (e tra questi anche medici, infermieri, e gli stessi pazienti) non crede più in un Padre creatore di tutti, che tutti ama come figli, l’altro non è più un fratello; si riconosce semmai in lui semplicemente un membro della stessa specie. Un riflesso o, se si vuole, un sintomo, di questo impoverimento del senso vocazionale della professione medica, lo possiamo vedere nel fenomeno del successo enorme della bioetica cosiddetta “principialista”. Questa impostazione della bioetica, impostata dai due autori americani Beauchamp e Childress2, si è diffusa rapidamente, soprattutto tra i medici, in buona parte perché semplifica molto l’analisi delle questioni complesse che l’etica medica deve aff rontare e anche perché risponde a una mentalità diffusa nella quale ciò che conta è applicare una serie di principi, criteri, regole e protocolli, spesso molto lontani dalla realtà concreta della persona malata. Si decide in base all’applicazione di quattro principi generali accettati da tutti: rispettare le sue decisioni autonome, non fare del male al paziente, eventualmente rendergli un beneficio medico, agire con giustizia e senza discriminazioni. In parte come reazione a quest’impostazione della bioetica, fredda, quasi meccanica, il medico-umanista americano Edmund Pellegrino, uno dei grandi pionieri della nascita della bioetica, ha proposto quella che lui ha chiamato “Bioetica delle virtù”3. L’autore si preoccupa del fatto che si lasci da parte, nelle discussioni e nelle decisioni riguardanti la bioetica, la persona del medico in quanto soggetto delle proprie decisioni e dei propri comportamenti. Bisogna invece partire da lì, dal senso etico del medico, come persona e come professionista della salute. Pellegrino4 riconosce che forse oggi non siamo in grado di stabilire un’etica delle virtù (o della virtù) in generale, in quanto sarebbe difficile concordare su che cosa sia una persona virtuosa, non essendo d’accordo molte volte su che cosa sia la persona. Questa diversità delle comprensioni antropologiche nella nostra cultura, non ci impedisce, però, di metterci d’accordo su che cosa sia un “buon medico”, e dunque un “medico virtuoso”. Possiamo, infatti, concordare su quale sia il telos lo scopo intrinseco della FOCUS | 3 N. 1 ANNO IX medicina, e dunque degli atti medici. Questo scopo non può essere altro se non il favorire la salute e il bene del paziente attraverso il proprio operato professionale. Sarà buon medico quello che realizza bene lo scopo della medicina e dei suoi atti professionali. Pellegrino ci propone alcune delle virtù che potenziano il medico in modo che possa realizzare bene quello scopo. Possiamo qui solamente elencare e commentare brevemente queste virtù del medico: 1. Fedeltà alla fiducia e promessa 2. Benevolenza 3. Cancellazione del proprio-interesse 4. Compassione e cura 5. Onestà intellettuale 6. Giustizia 7. Prudenza Logicamente, altre virtù potrebbero essere elencate e considerate. E soprattutto, vissute dal medico. Quelle proposte da Pellegrino, possono comunque tracciare una vera mappa del medico virtuoso, del buon medico. Penso, però, che la cosa più importante è che lavoriamo affinché i medici e gli altri professionisti della salute, recuperino quel senso vocazionale in base al quale si pongono veramente al servizio della vita e della salute dei pazienti, sempre visti e trattati come persone. Che sappiano davvero instaurare con loro un rapporto inter-personale veramente umano. Ne va di mezzo il bene dei pazienti concreti curati dai medici; ma anche il bene del medico stesso, sicuramente più profondamente soddisfatto da un’esperienza professionale pienamente umana e non solamente qualificata dal punto di vista scientifico o sofisticata dal punto di vista strumentale. Ne va di mezzo, in fondo, il bene di tutta la società, resa più umana, più rispettosa e più nobile, grazie anche all’influsso di medici ed infermieri che irradiano rispetto, accoglienza, dedizione generosa verso tutte quelle persone, numerosissime, con le quali sono in contatto nel loro esercizio professionale. L’augurio è che ogni paziente si senta e si veda trattato come persona e non come un fegato; che ogni paziente percepisca nettamente la differenza tra un medico e un veterinario. FRANCESCO AGNOLI La grande storia della Carità Quando gli Stati non erano ancora in grado di intervenire, non gestivano ospedali né offrivano servizi di assistenza, dal basso nasceva una vastissima rete di ospedali e ricoveri in tutta Europa. Francesco Agnoli racconta in questo libro la storia di alcuni “giganti della carità” che hanno donato la loro vita rinunciano a se stessi per occuparsi degli ultimi, scegliendo l’amore che vince ogni cosa. CANTAGALLI 13 RAPPORTI DAL MONDO S 14 e l’abortismo libertario, per utilizzare una categorializzazione coniata molti anni fa da Luigi Lombardi Vallauri, costituisce il centro della falange abortista, si deve prendere coscienza che le ali di questo schieramento sono formate dall’abortismo umanitario; da un lato vi è quello della singola situazione, cioè il caso particolare della donna stuprata, della ragazza giovanissima, della famiglia in condizioni di estre- ABORTO E SALUTE DELLA DONNA: STATO DELL’ARTE Renzo Puccetti Pontificio Ateneo Regina Apostolorum [1] I requisiti dell’aborto “unsafe” sono costituiti da: assenza di personale professionalmente qualificato ad effettuare l’aborto, ambiente non idoneo alla procedura di aborto. La illegalità, restringendo la disponibilità di entrambi i fattori, costituisce un determinante dell’aborto non sicuro. [2] “A woman who has an abortion may be making a pro-life choice since life is a rich mix of negatives and positives; she may be doing the least evil and the most possible good in her circumstances” Una donna che abortisce può fare una scelta in favore della vita dal momento che la vita è una ricca mescolanza di male e di bene; può stare facendo il male minore ed il maggiore bene possibile mo disagio economico con già molti figli da mantenere. Nell’economia della avanzata abortista questa parte svolge un ruolo molto persuasivo agendo sul versante della emotività. L’altro lato è costituito dall’abortismo umanitario sociale. Quest’ultimo formula il seguente schema argomentativo: l’aborto è praticato dalle donne a prescindere dal contesto legale. Ovvero l’illegalità non frena le donne dall’abortire. L’aborto praticato illegalmente è per definizione “unsafe”, cioè non sicuro per le donne, mette a rischio la salute delle donne1. Quindi la legalizzazione dell’aborto non fa altro che prevenire un male senza generarne un altro, la legalizzazione sarebbe quindi non tanto un “male minore”, ma addirittura un “bene possibile”2. Una tale posizione si presta con tutta evidenza a sollevare dall’inquietudine interiore chi sostenga le leggi abortiste con la migliore delle medicine: la convinzione di agire bene. Scopo di questa riflessione non sarà quello di criticare un tale approccio proporzionalistico nelle sue istanze teoretiche fondamentali; le dottrine teleologiche hanno subito nel corso degli anni tali formidalibi critiche che davvero c’è da stupirsi di come un filosofo che voglia rimanere aderente all’amicizia con la saggezza possa ancora farle proprie. No, quello che farò sarà accettare la sfida che N. 1 ANNO IX l’argomentazione illustrata lancia al mondo pro-life e che ha dilagato nelle istituzioni politiche nazionali e sopranazionali attraverso la strutturazione del concetto di “salute riproduttiva”. In sostanza si tratta di verificare concretamente i presupposti della teoria esaminandoli singolarmente. L’aborto è praticato dalle donne a prescindere dal contesto legale? Questa affermazione viene dichiarata con forza dai centri studi in grado d’incidere nelle politiche riproduttive. In una pubblicazione del Guttmacher Institute condivisa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità si legge: “Leggi altamente restrittive sull’aborto non si associano a tassi di aborto più bassi. Per esempio il tasso di abortività è 29 per 1000 donne in età riproduttiva in Africa e 32 in America Latina, regioni dove l’aborto è illegale in molte circostanze nella maggior parte dei paesi. Il tasso per 1000 in Europa Occidentale, dove l’aborto è in genere permesso sulla base di motivazioni ampie” 3. Si deve sottolineare in via preliminare che utilizzare il tasso di abortività per sostenere l’indifferenza del contesto legale è metodologicamente scorretto. Il tasso di abortività è infatti direttamente correlato al tasso di fecondità che a sua volta risente di numerosi parametri economici tra cui la scolarità ed il reddito. Paragonare l’Africa ed il Sud America con l’Europa come si fa in questa pubblicazione, ma purtroppo anche in studi su riviste ad alto profilo scientifico, è come confrontare le pere con le mele. Come abbiamo dimostrato per il contesto del Peru adottando gli stessi dati forniti dagli autori, l’impiego del rapporto di abortività (numero di aborti ogni 1000 nati vivi) anziché del tasso di abortività come indicatore di abortività mostra che la proibizione dell’aborto si associa a livelli inferiori di abortività4. La tesi dell’insensibilità dell’abortività alla legge afferma che non vi è differenza nel numero di aborti prima e dopo la legalizzazione. Per indicare una differenza si deve conoscere entrambi i termini della sottrazione, in questo caso l’abortività prima e dopo la legalizzazione5. L’abortività è facilmente rilevata quando l’aborto è legale ed è disponibile un sistema efficiente ed accurato di rilevazione epidemiologica. Ma come stabilire il numero di RAPPORTI DAL MONDO in quelle circostanze). Daniel C. Maguire (former member of the ‘Catholics’ for a Free Choice Board of Directors). “Diversity on AIDS: Legitimate and Welcome.” Conscience, January/February 1988; 3-4. [3] Guttmacher Institute. Facts on induced abortion worldwide. http:// www.who.int/reproductivehealth/publications/ unsafe_abortion/induced_ abortion_2012.pdf [accesso del 13-06-2013]. [4] Puccetti R. Incidence of induced abortions in Peru. Canadian Medical Association Journal. 2009; 180(11): 1133. [5] Il tasso di abortività è il numero di aborti per il numero di donne in età riproduttiva. Nella maggior parte dei casi è riportato come numero di aborti per 1000 donne di età compresa tra 15 e 49 anni (per gli Stati Uniti tra 15 e 44 anni). [6] Rossier C. Estimating abortion rates: a review. Studies in Family Planning. 2003; 34(2): 87-102. [7] Figà Talamanca I. Estimating the incidence of induced abortion in Italy. Genus, 1976;32(12):91-107; B. Colombo. Medicina & Morale, 1976. [8] Grandolfo ME, Spinelli A. Interruzione volontaria di gravidanza in Italia: epidemiologia. GC Di Renzo. Ginecologia e Ostetricia. Roma, Verducci editore 2006 vol. 1. 1011-1016. [9] INED. Rapport. de l›Institut national d›études démographiques à Monsieur le Ministre des Affaires sociales. Sur la Régulation des Naissances en France. 1966; 4: 645-90; Thierry Lefevre. L’avortement avant la lois Veil. http://www. trdd.org/INEDCPF.HTM. [10] Francome C. Estimating the number of illegal abortions. J Biosoc Sci. 1977 Oct;9(4):46779; Goodhart CB. Estimation of illegal abortions. J Biosoc Sci. 1969 Jul;1(3):235-45. N. 1 ANNO IX aborti quando l’aborto è illegale? Per risolvere un tale problema sono stati proposti vari sistemi (tabella I)6. Tab. I 1 2 3 4 5 6 7 8 Sondaggio sugli operatori dell’aborto Statistica delle complicanze Statistica della mortalità Auto-dichiarazione della storia abortiva retrospettiva Auto-dichiarazioni della storia abortiva prospettiche Metodo residuale Resoconto di “terzi” Stime degli esperti Ciascuno di questi metodi ha una sua propria metodologia, un ambito di applicazione preferenziale e specifiche problematiche. Lungi dal volere esaminarli singolarmente, quello che qui interessa evidenziare è una caratteristica comune di questi metodi: l’elevato margine di incertezza e la forte dipendenza da decisioni discrezionali dello sperimentatore. A mero titolo di esempio si può prendere in esame il metodo delle complicanze. Si tratta di una procedura che dall’osservazione di un determinato numero di complicanze per aborto indotto intende risalire al numero degli aborti clandestini. Per farlo vi è la necessità di una serie di passaggi ciascuno dei quali prevede un livello estremo di incertezza che nel modello matematico si concretizza in un coefficiente la cui veridicità non è provata né è dimostrabile. Tali coefficienti posti in serie moltiplicano in modo esponenziale l’aleatorietà del risultato finale. Nello specifico il primo livello d’incertezza è sulla attribuzione delle complicanze: sono dovute ad un aborto indotto, oppure dipendono da un aborto spontaneo o da un’altra condizione ancora? Il secondo è il seguente: qual è la percentuale di donne che si recano in ospedale dove possono essere intercettate? Terzo livello di incertezza: con quale percentuale gli aborti clandestini determinano una complicanza di entità tale da richiedere il ricovero? Ineludibilmente questi coefficienti di moltiplicazione posti in serie sono all’origine di variazioni enormi nella stima dell’abortività clandestina. Per l’Italia una serie di pubblicazioni fatte negli anni ’70 fornivano stime di aborti clandestini che oscillavano da 100.000 a oltre 3.500.0007. Più recentemente altri autori hanno proposto la cifra di 350.000 aborti clandestini prima del varo della legge 194/19788. Se facciamo un paragone con nazioni demograficamente simili all’Italia il numero degli aborti prima della legalizzazione era stimato rispettivamente a 55.000-250.000 per la Francia9 e 15000100.000 per l’Inghilterra10, cifre suggestive della inverosimiglianza dei ranges alti e medi nella stima degli aborti clandestini in Italia. La letteratura mette però a disposizione dati più solidi: si tratta dell’analisi temporale della natalità prima e dopo il varo delle leggi abortiste. Nei diversi contesti in cui questo aspetto è stato testato gli autori hanno concluso che la legalizzazione dell’aborto ha portato ad una riduzione della natalità a seguito di un incremento dell’abortività (Tab. II). Non poggia quindi su elementi fattuali l’asserzione secondo cui la legalizzazione dell’aborto determina soltanto un’emersione degli aborti clandestini. Tab. II AUTORI ANNO AMBITO di RICERCA RISULTATI PRINCIPALI Potts M, et al. 1977 Statodi New York 11,6% di riduzione delle nascite 1977 USA. Variazione nascite prima e dopo la legalizzazione in Stati con leggi liberali vs Stati con leggi restrittive -7,8% vs -4,9% (figli legittimi) -12,4% vs -1,9% (figli illegittimi) Potts M. et al. Quick JD. Pop-Eleches C. 1978 2005 Cazzola A. 1995 La riduzione della nataliOregon: anatà nel primo lisi dei registri anno è per il demografici 10% dovuta 1965-1975 alla legalizzazione. +91,6% del tasso di natalità dopo la proibizione dell’aborR o m a n i a : to in Romania. confronto na- +25% del tasso talità con Bul- di fertilità in garia, Unghe- Romania riria e Russia spetto ai 3 paesi indice soltanto durante i 20 anni di proibizione. Analisi della natalità in Italia prima e dopo la legalizzazione dell’aborto -20.000 nascite direttamente attribuibili alla legalizzazione dell’aborto. 15 RAPPORTI DAL MONDO 16 [11] Henshaw S.K., Finer L.B. (2003): The Accessibility of Abortion Services in the United States. Perspectives on Sexual and Reproductive Health. 2001; 35 (1): 16-24; Gober P. The role of access in explaining state abortion rates. Soc Sci Med. 1997; 44(7): 1003-16. [12] New MJ. Analyzing the Effect of Anti-Abortion U.S. State Legislation in the PostCasey Era. State Politics & Policy Quarterly 2011; 11(1): 28–47. [13] Husfeldt C,Hansen SK, Lyngberg A, Noddebo M, Petterson B. Ambivalence among women applying for abortion. Acta Ostetricia et Ginecologia Scandinavica, 1995; 74: 813-17. [14] Bartlett LA, et al. Legal Induced Abortion– Related Deaths, Mortality Rates, and Relative Risks, by Selected Characteristics—United States, 1988–1997. Obstetrics & Gynecology. 2004; 103(4): 729-37; Raymond EG, Grimes DA. The comparative safety of legal induced abortion and childbirth in the United States. Obstet Gynecol. 2012 Feb;119(2 Pt 1):215-9; WHO. Abortion: a tabulation of available data on the frequency and mortality of unsafe abortion, Second Edition, Geneva (1994). [15] Hogan MC, Foreman KJ, Naghavi M, et al. Maternal mortality for 181 countries, 1980—2008: a systematic analysis of progress towards Millennium Development Goal 5. Lancet 2010; 375: 1609-1623. [16] Koch E. Impact of Reproductive Laws on Maternal Mortality: The Chilean Natural Experiment. The Linacre Quarterly. 2013; 80(2): 151–160. Che legalizzare l’aborto comporti un incremento del ricorso all’aborto è peraltro coerente con una mole di studi che sotto vari aspetti indicano una correlazione diretta tra ampio accesso all’aborto (la disponibilità di strutture per abortire nelle vicinanze e la copertura assicurativa delle spese ne sono esempi) e maggiore abortività11. Michael J. New ha condotto un’estesa analisi degli effetti determinati dalle politiche messe in atto a livello statale dai governatori e dalle assemblee repubblicane volte a restringere l’accesso all’aborto attraverso l’obbligo d’informare i genitori per le minorenni, l’obbligo di consenso informato e le restrizioni ai sussidi economici per abortire. Nel complesso queste iniziative hanno portato ad una riduzione del tasso di abortività di 2,6-2,7 punti, una cifra che negli Stati Uniti corrisponde a circa 170.000 aborti in meno e che per l’Italia corrisponderebbe a 20.000 aborti evitati12. Sotto questo aspetto è evidente che la legalizzazione si associa alla diffusione dei servizi abortivi e spesso ad una copertura economica dell’aborto da parte dello Stato tale da costituire un oggettivo ampliamento dell’accesso all’aborto stesso. La risposta che si tende a dare a questi dati di fatto è una ideologica rappresentazione della donna che abortisce come di un soggetto perfettamente determinato nella scelta di abortire non influenzabile dalle pressioni derivanti dalla facilità delle procedure. Che questo ritratto non tenga conto della complessità della realtà non solo è suggerito dalle donne che N. 1 ANNO IX a posteriori si pentono di avere abortito, ma è attestato dalla quota significativa di donne che dimostrano ambivalenza nei confronti della decisione di abortire persino nello stesso giorno della procedura.13 2. L’aborto legale è “safe”? Le fonti abortiste tengono bene a sottolineare i bassi rischi dell’aborto legale eseguito in ambiente adeguato e da personale idoneo, l’incremento di mortalità con l’avanzare dell’età gestazionale, la maggiore pericolosità dell’aborto clandestino e persino del parto (Fig. 1)14. Nella traduzione dell’analogo grafico mostrato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e riprodotto nella figura 2 si mostra come quanto più l’accesso all’aborto è ampio, tanto minore è la mortalità delle donne attribuibile all’aborto stesso. Questa descrizione però è parziale. Essa infatti prendendo in esame soltanto la mortalità specifica per aborto a breve termine omette di effettuare una valutazione complessiva dei rischi connessi all’aborto. 2a. Mortalità materna La mortalità delle donne che si sottopongono ad aborto volontario può essere infatti valutata a distanza variabile dal termine della gravidanza. L’indicatore di mortalità con più breve follow-up dal termine della gravidanza è la mortalità materna, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il “tasso di mortalità tra le donne durante la gravidanza o entro 42 giorni dal termine della gravidanza, RAPPORTI DAL MONDO N. 1 ANNO IX 17 [17] Koch E, Aracena P, Gatica S, Bravo M, Huerta-Zepeda A, Calhoun BC. Fundamental discrepancies in abortion estimates and abortion-related mortality: A reevaluation of recent studies in Mexico with special reference to the International Classification of Diseases. Int J Womens Health. 2012; 4: 613-23. [18] Gissler M, Berg C, Bouvier-Colle MH, Buekens P. Pregnancyassociated mortality after birth, spontaneous abortion, or induced abortion in Finland, 1987-2000. American Journal of Obstetrics and Gynecology. 2004; 190: 422-7. [19] Reardon DC, Coleman PK. Short and long term mortality rates associated with first pregnancy outcome: population register based study for Denmark 1980-2004. Med Sci Monit. 2012 Sep;18(9):PH71-6. [20] Coleman PK, Reardon DC, Calhoun BC. Reproductive history patterns and long-term mortality rates: a Danish, population-based record linkage study. Eur J Public Health. 2012 Sep 5. [21] La definizione di atto medico fornita dall’Unione Europea degli Specialisti Medici (U.E.M.S.) è la seguente: “L›atto medico include tutto l›agire professionale, per esempio quello scientifico, l’insegnamento, la formazione e l’educazione, i passaggi clinici e tecno-medici, eseguito per promuovere la salute, prevenire le malattie, fornire assistenza diagnostica e terapeutica ai pazienti, agli individui, ai gruppi o alle comunità di cui ha la responsabilità, e deve essere sempre eseguita da un medico abilitato o sotto la sua diretta supervisione medica o dietro sua prescrizione”. https:// www.sog-sso.ch/fileadmin/SOG-Dokumente/ Aktuelles/European_Definition_of_the_Medical_ Act_2005.pdf [accesso del 14-6-2013]. indipendentemente dalla durata e dalla sede della gravidanza, per ogni causa correlata o aggravata dalla gravidanza, o dalla sua gestione, ma non da cause accidentali o incidenti”. A questo proposito sia gli studi longitudinali che quelli trasversali smentiscono la presunta correlazione tra legalizzazione dell’aborto e riduzione della mortalità materna. Già una revisione della mortalità materna a livello mondiale mostrava come il cambiamento legale dell’aborto non si associava all’attesa variazione della mortalità materna. Così ad esempio la restrizione legale dell’aborto in Salvador, Nicaragua ed in Polonia non si associava ad una crescita della mortalità materna15. Più specificamente il gruppo di lavoro cileno del professor Koch ha dimostrato come la restrizione legale dell’aborto attuata in Cile nel 1989 si sia associata ad una riduzione complessiva del 58% della mortalità materna e del 98% della mortalità legata all’aborto (Fig. 3)16. Lo stesso gruppo di lavoro ha prodotto dati analoghi per il Messico prendendo in esame i dati prodotti dopo la legalizzazione dell’aborto nel distretto di Città del Messico17. 2b. Mortalità con follow-up medio e lungo Fino a qui abbiamo esaminato i dati inerenti la mortalità materna che, per definizione, sono compresi entro il 42° giorno dal termine della gravidanza. Ma un’ulteriore questione rimane da essere indagata: che cosa succede alle donne che abortiscono nel corso degli anni? Che ne è della loro salute il cui indicatore più importante è ovviamente la sopravvivenza? Oggi a queste domande possiamo dare delle risposte. Nel 2004 sono stati pubblicati i risultati dello studio STAKES18. Si tratta dell’analisi condotta su tutte (non su un campione) le donne che nel periodo compreso tra il 1987 e il 2000 in Finlandia sono decedute dopo un anno dalla gravidanza condotta a termine, interrotta spontaneamente, oppure dopo l’aborto volontario. I dati, riassunti nella figura 4, indicano come le donne che abortiscono hanno una mortalità complessiva più alta di qualsiasi altra categoria esaminata, in particolare delle donne che portano a termine la gravidanza, che raggiunge la significatività statistica RAPPORTI DAL MONDO N. 1 ANNO IX 18 sia per quanto riguarda le morti da causa naturale, che quelle da causa violenta. Questi dati non indicano un rapporto di causa – effetto tra aborto e mortalità, ma sono assai suggestivi del fatto che ad un anno di distanza dagli eventi abortire non garantisce alcuna tutela per la vita della donna. Fa inoltre riflettere la concordanza della maggiore incidenza di morti per causa violenta rilevata dagli autori con gli studi di matri- ce psichiatrica che evidenziano il maggiore rischio di uso di sostanze stupefacenti, di alcool e di suicidarietà tra le donne che abortiscono. Uno studio successivo è stato condotto collimando i registri medici danesi delle donne in vita nel 1980 nate tra il 1962 e il 199119. Sono state individuate 463.473 donne che nel periodo dal 1980 al 2004 hanno avuto la loro prima gravidanza; di RAPPORTI DAL MONDO N. 1 ANNO IX queste 2.238 sono morte in un arco temporale compreso entro 10 anni dalla gravidanza stessa. A partire da 6 mesi dopo l’aborto e fino a 10 anni di distanza da esso la mortalità di queste donne si è mantenuta sempre statisticamente più elevata rispetto alla mortalità delle donne che hanno abortito (Fig. 5). Conclusioni Da quanto qui esposto sulla base di una corretta analisi della letteratura medica possiamo affermare che il presupposto teorico richiamato all’inizio è falso nelle premesse e quindi nelle conclusioni. Non è vero che le donne abortiscono ugualmente a prescindere dal contesto le- Del tutto recentemente sono stati prodotti i dati con mortalità a 25 anni che indicano ancora una volta come le donne che abortiscono costituiscono una classe di soggetti a più alta mortalità rispetto alle donne che partoriscono (Fig. 6)20. gale. Le donne abortiscono in maggiore misura se l’aborto è legale in una percentuale che gli autori pro-choice stimano tra il 10 ed il 30%. Volendo assumere la cifra più bassa, soltanto il 10% di riduzione dell’aborto se questo è illegale, e volendo considerare 19 RAPPORTI DAL MONDO 20 anche solo il parametro più favorevole alla tesi abortista, la ridotta mortalità dell’aborto legale rispetto all’aborto clandestino, l’analisi proporzionalistica dei dati porta a concludere che la legalizzazione dell’aborto per ogni donna che non muore per aborto clandestino causa la morte di 79 bambini che muoiono prima di nascere per aborto legale. In termini di anni di vita persi per ogni anno acquisito per la donna si perdono 108,6 anni di vita persi per i bambini abortiti. La legalizzazione dell’aborto non costituisce quindi sotto l’aspetto della tutela della vita umana un male minore, ma piuttosto un’azione che ha come effetto prevalente la perdita di una quota significativa di vita umana. Queste considerazioni non tengono peraltro conto dell’analisi estesa dell’impatto dell’aborto sulla vita delle donne. Non è infatti vero che l’aborto legale tutela la salute della donna. Per quanto riguarda gli aspetti della salute mentale rimandiamo all’intervento della dottoressa Del Poggetto che mo- N. 1 ANNO IX strano il peggiore livello di salute mentale nelle donne che abortiscono. Qui sono stati esaminati gli aspetti riguardanti la salute fisica prendendo in considerazione il parametro epidemiologico più importante: la mortalità per tutte le cause. In base alle evidenze scientifiche le donne che abortiscono hanno livelli di mortalità superiori rispetto alle donne che partoriscono. Paragonare quindi l’aborto “safe” come un atto che tutela la vita della donna è un’insensatezza scientifica oltre che logica. Se quindi l’aborto non tutela né la vita, né la salute delle donne esso non può costituire, alla luce della sua definizione offerta dall’Unione Europea degli Specialisti Medici, un atto medico21. Sotto questo profilo sono da approfondire le implicazioni deontologiche e giuridiche di un’obiezione di coscienza fondata non soltanto su ragioni morali, ma motivata anche da ragioni di appropriatezza scientifica dell’atto abortivo in sé al fine della tutela della salute della donna. RAPPORTI DAL MONDO I metodi naturali moderni – Metodo Billings e Metodi Sintotermici – si basano sulla rilevazione di segni e sintomi di fertilità che sono markers precisi dell’attività ovarica, essendo correlati all’andamento ormonale di ogni singolo ciclo e rispecchiandone tutte le variazioni fisiologiche o patologiche. INFERTILITÀ: RUOLO DEI METODI NATURALI Elena Giacchi*, Aurora Saporosi*, Antonio Mancini**, Riccardo Marana*. * Centro Studi e Ricerche per la Regolazione Naturale della Fertilità-ISI. Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma. Direttore Prof. Riccardo Marana. ** Dipartimento di Medicina Interna, Divisione di Endocrinologia. Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma. Direttore Prof. Alfredo Pontecorvi. [1] Billings EL, Brown JB, Billings JJ, Burger HG.: Symptoms and hormonal changes accompanying ovulation. Lancet 1972; 1(7745):282-4. [2] Billings J J. The validation of the Billings Ovulation Method by laboratory research and field trials. Acta Eur Fertil 1991; 22(1):9-15. [3] Odeblad E.: Physical properties of cervical mucus. Adv Exp Med Biol. 1977; 89:217-25. [4] Odeblad E. cal mucus and functions. Irish ge of Med Phys 26(1):27-32. Cervitheir Colle1997; Esperienza del Centro Studi e Ricerche per la Regolazione Naturale della Fertilità (RNF) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma Questo testo presenta l’esperienza del Centro Studi e Ricerche RNF sull’utilizzo del Metodo Billings1,2 nell’approccio clinico all’infertilità di coppia, in particolare nella diagnosi e terapia di alcune patologie subcliniche o asintomatiche che possono compromettere la fertilità della donna. Il Metodo Billings si basa sulla rilevazione di un unico indicatore di fertilità: il muco cervicale, secrezione prodotta dal collo dell’utero in risposta alla stimolazione degli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone), che precede e accompagna l’ovulazione. Ogni donna fertile può riconoscere facilmente l’andamento della secrezione del muco cervicale, facendo attenzione durante le sue normali attività alla sensazione prodotta dal muco a livello vulvare, e all’eventuale presenza di muco ai genitali esterni. In un ciclo ovulatorio, quando i livelli di estrogeni si alzano per l’avvio della maturazione follicolare, la cervice viene stimolata a produrre un tipo di muco a bassa viscosità, sempre più fluido. Parallelamente la donna avverte una sensazione di non più asciutto, che aumenta progressivamente di intensità fino a bagnato-lubrificato e, se è visibile muco, appare sempre più fluido e acquoso. N. 1 ANNO IX L’aumento di progesterone conseguente all’ovulazione determina un netto cambiamento del sintomo del muco: si ha un brusco ritorno alla sensazione di asciutto o di lieve umidità. L’ultimo giorno in cui è presente sensazione di bagnato-lubrificato è definito “Picco”. Esso è il Reference point di ovulazione ed anche il giorno di più fertile del ciclo, sia per la sua relazione temporale con l’ovulazione, sia per il tipo particolare di muco prodotto dalla cervice uterina, molto favorevole alla sopravvivenza, al passaggio degli spermatozoi, come ha dimostrato Odeblad3,4. Il Picco può essere identificato solo se si verificano due condizioni indispensabili: 1) l’evoluzione del sintomo del muco fino alle caratteristiche di più alta fertilità (sensazione di bagnato-lubrificato); 2) il cambiamento netto. Questi due requisiti assicurano la precisa correlazione tra il sintomo del Picco rilevato dalla donna e il pattern ovulatorio degli ormoni ovarici (Picco di estrogeni che induce feedback positivo e ovulazione/secrezione di progesterone dopo l’ovulazione). Qualsiasi andamento del sintomo del muco che non rispecchi entrambe le condizioni non può essere considerato indicativo di ovulazione, ma effetto di una semplice fluttuazione estrogenica. Nella nostra esperienza l’apprendimento del metodo naturale da parte di coppie subfertili costituisce la “chiave” per la valutazione della loro fertilità ed il fondamento di un iter diagnostico e terapeutico “naturale”, rivolto al ripristino e/o all’ottimizzazione del potenziale naturale di fertilità della coppia stessa. Questo approccio si caratterizza per alcune peculiarità: 1. La coppia protagonista del percorso diagnostico e terapeutico La consapevolezza della fertilità offerta dal metodo naturale ha il vantaggio di rendere la coppia protagonista dell’iter diagnostico e terapeutico. Le coppie sono incoraggiate sia nel riconoscere di avere un quadro normale di fertilità, sia nello scoprire un andamento anomalo dei sintomi di fertilità, che orienta verso specifiche indagini diagnostiche e scelte terapeutiche, di cui possono verificare in prima persona i risultati. Non va poi sottovalutata l’importanza di identificare autonomamente il momento di 21 RAPPORTI DAL MONDO 22 [5] Barrett JC, Marshall J. The risk of conception on different days of the menstrual cycle. Popul Stud 1967; 23:455. [6] Wilcox AJ, Weimberg CR, Baird DD. Timing of sexual intercourse in relation to ovulation. Effects on the probability of conception, survival of the pregnancy, and sex of the baby. The New Engl J Med 1995; 333(23):1517-1521. [7] Colombo B, Mion A. Cervical mucus symptom and daily fecundability: first result from a new database. Stat Methods Med Res 2006; 15:161-180. [8] World Health Organisation: A Prospective Multricentre Trial of the Ovulation Method of Natural Family Planning VI.The outcome of pregnancy. Fertil Steril 1984; 41:593. [9] Hilgers TW, Daly KD, Prebil AM, Hilgers SK.: Cumulative Pregnancy Rates in Patients with Apparently Normal Fertility and Fertility- Focused Intercourse The Journal of Reproductive Medicine October 1992; 37:864-866. [10] Gnoth C. Godehardt D., Godehardt E, FrankHerrmann P., Freundl G. Time to pregnancy: results of the German prospective study and impact on the management of fertility. Hum. Repr. 2003; 18 (9):1959-66. [11] Benson RC, Dailey ME. The menstrual pattern in hyperthyroidism and subsequent posttherapy hypothyroidism. Surg Gynecol Obstet 1955; 100:19–26. [12] Krassas GE, Pontikides N, Kaltsas T, Papadopoulou P, Paunkovic J, Paunkovic N, Duntas LH 1999 Disturbances of menstruation in hypothyroidism. Clin Endocrinol (Oxf) 1999; 50:655–659. più alta fertilità del ciclo (il Picco), quando rapporti mirati hanno maggiore probabilità di concepimento. Ciò consente di ridurre significativamente, gli effetti psicologici negativi di una gestione medicalizzata dei rapporti coniugali. 2. Timing adeguato per i rapporti coniugali La stima della probabilità di concepimento per singolo ciclo5 è di 22-30%, oppure 33-36% in relazione all’ovulazione6, determinata con indicatori ormonali; è interessante che rapporti mirati nel giorno del Picco del sintomo del muco abbiano una probabilità di concepimento da 42,9% in una popolazione non selezionata7, a 66,7 % in coppie di provata fertilità8, come ha evidenziato l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La nostra esperienza conferma i risultati di altri Autori sulle percentuali cumulative di gravidanza in coppie presumibilmente fertili utenti dei metodi naturali, del 92-98% entro il terzo ciclo di uso9,10. 3. Aspetti educativi insiti nell’insegnamento del Metodo Naturale La situazione psicologica di una coppia infertile è complessa: entrano in gioco investimenti affettivi e aspettative spesso deluse; talora anche frustrazioni e colpevolizzazioni personali e reciproche; pressioni e sollecitazioni familiari e del contesto sociale e medico-sanitario. Il percorso di apprendimento del metodo naturale off re alle coppie la possibilità di riflettere sulle motivazioni e sul significato della loro ricerca del figlio. La presenza di entrambi i coniugi agli incontri di consulenza è occasione per rafforzare o recuperare la condivisione, l’attenzione e il rispetto reciproco, nonché per riscoprire il significato del rapporto coniugale come espressione di amore fecondo in se stesso, non strumentalizzato solo alla ricerca del figlio. Le coppie che sviluppano questa consapevolezza aff rontano con maggiore serenità il percorso diagnostico-terapeutico e si aprono più facilmente all’accoglienza di un bambino non generato biologicamente, con l’adozione o l’affido. 4. Valore diagnostico del sintomo del muco e timing adeguato per le indagini cliniche L’assenza abituale del Picco induce ad indagare possibili disturbi dell’ovulazione (anovulazione, luteinizzazione follicolare-LUF), N. 1 ANNO IX o una patologia cervicale, che possono essere presenti nonostante la regolarità dei cicli e/o l’assenza di sintomi infiammatori. Il metodo naturale consente anche di verificare un’adeguata funzione del corpo luteo dopo l’ovulazione. Perché l’embrione possa impiantarsi in utero è infatti indispensabile una buona maturazione dell’endometrio indotta dagli ormoni prodotti dal corpo luteo (progesterone in particolare). Una fase post Picco < 11 giorni e/o con livelli di progesterone bassi, evidenziano una inadeguata funzione del corpo luteo e inducono a ricercarne le possibili cause, per mettere in atto gli opportuni provvedimenti terapeutici. Nella valutazione della funzionalità del corpo luteo è fondamentale un corretto timing dei dosaggi ormonali nella fase medio-luteinica, al 6°-7° giorno dopo il Picco del sintomo del muco. Una rilevanza particolare assume il metodo naturale nella diagnosi e trattamento di patologie subcliniche che possono ripercuotersi negativamente sulla fertilità, ad es. ipotiroidismo subclinico ed infezioni cervivovaginali asintomatiche. 5. Ipotiroidismo subclinico È noto che patologie dismetaboliche o disendocrine, in particolare della tiroide11,12 possono determinare disfunzioni ormonali, disturbi dell’ovulazione e sub-fertilità. L’ipotiroidismo – soprattutto se subclinico – pur essendo causa di disturbi dell’ovulazione (inadeguata funzione del corpo luteo, in particolare), è generalmente sottostimato nei protocolli diagnostici per l’infertilità di coppia, con ripercussioni cliniche rilevanti. A questo scopo abbiamo condotto uno studio per valutare la prevalenza di ipotiroidismo subclinico in 80 donne utenti del Metodo Billings, di età compresa tra 20 e 45 anni, che presentavano un andamento anomalo del sintomo del muco, non riconducibile a patologia cervico-vaginale, e/o una storia di infertilità da 1 a 4 anni (22 donne). L’ipotiroidismo è caratterizzato da bassi livelli di ormoni tiroidei: tiroxina (T4) e triiodotironina (T3), mentre l’ormone ipofisario TSH (Thyroid Stimulating Hormone) responsabile della stimolazione della funzione tiroidea, e il neurotrasmettitore ipotalamico TRH (Thyrotropin-Releasing Hormone) che controlla la secrezione di TSH sono aumentati. RAPPORTI DAL MONDO [13] Gerhard I, Becker T, Eggert-Kruse W, Klinga K, Runnebaum B. Thyrod and ovarian function in infertile women, Hum Reprod 1991; 63:338-45. Nell’ipotiroidismo subclinico si rilevano invece livelli di T4, T3 e TSH normali o entro i limiti normali-alti. Nella diagnosi di ipotiroidismo sub-clinico è utile il test di stimolo al TRH: valori di Picco di TSH > 15 μgU/ml sono indicativi di ipotiroidismo subclinico. Abbiamo dosato i seguenti ormoni: - progesterone al 6°oppure 7° giorno dopo il Picco del sintomo del muco oppure, in assenza del Picco, nel 6°-7° giorno prima del giorno previsto di inizio della perdita ematica pseudomestruale. - fT3, fT4 e TSH; in presenza di livelli di TSH normali o normali-superiori, è stato eseguito il test di stimolo con 200 μg iv, di TRH. Nelle donne studiate abbiamo rilevato la seguente prevalenza di patologie: ipotiroidismo subclinico 73,7% (nel 10% dei casi associato a presenza di anticorpi antitiroidei); iperprolattinemia (da adenomi ipofisari, empty sella, o secondaria ad ipotiroidismo) 19,6% ; differenti patologie isolate, o in associazione (ovaio micropolicistico, insulinoresistenza, iperplasia surrenalica) 21,7%. Le 59 donne con ipotiroidismo subclinico sono state classificate in 3 gruppi in base al quadro del sintomo del muco. 1° gruppo: andamento anovulatorio del sintomo del muco (2 donne); 2° gruppo: fase post-Picco breve < 11 giorni, o con spotting (37 donne); 3° gruppo: fase post picco > 11 fase postPicco normale ma progesterone basso (20 donne, di cui 2 con ipermenorrea). L’alta prevalenza di ipotiroidismo sub-clinico, rispetto a quella segnalata da altri Autori (43%)13, può essere spiegata dai criteri di selezione delle donne (sintomo del muco anormale/insufficienza luteinica). Sebbene l’orientamento generale sia quello di non trattare l’ipotiroidismo sub-clinico, noi abbiamo iniziato la terapia con ormone tiroideo a motivo del quadro anomalo del sintomo del muco/insufficienza luteinica). Il trattamento ha avuto come effetto sia l’aumento dei livelli di progesterone in fase medio-luteinica, sia l’allungamento della fase post-Picco > 11 giorni, in tutte le donne, confermando il ripristino di un normale meccanismo ovulatorio. N. 1 ANNO IX 6. Infezioni cervico-vaginali asintomatiche Abbiamo studiato anche 61 donne con cicli ovulatori ma con andamento anomalo del sintomo del muco, classificato in tre gradi, in base alla differente gravità: 1) lievemente attenuato; 2) scarsamente evolutivo; 3) non evolutivo. L’anomalia del sintomo del muco è stata determinante per la diagnosi di infezioni cervico-vaginali clinicamente asintomatiche di varia natura (mycoplasmi, gardnerella, germi aerobi ed anaerobi, miceti, HPV= Human Papilloma Virus)14. La prevalenza dei vari tipi di infezione in relazione alla diversa gravità di deficit della secrezione cervicale ha evidenziato percentuali più alte di infezioni da HPV nei quadri più gravi. Pur trattandosi nella maggior parte dei casi di ceppi non oncogeni di HPV che non richiederebbero un trattamento, ma solo controlli periodici, a motivo degli effetti negativi sul fattore cervicale di fertilità abbiamo trattato le donne con Laserterapia o DiaTermoCoagulazione (DTC) della cervice, ottenendo un ripristino del normale andamento evolutivo e ovulatorio del sintomo del muco entro 2-6 cicli dal trattamento. In conclusione possiamo affermare che il metodo naturale può contribuire a migliorare la pratica clinica, orientandola ad investigare patologie endocrine, dismetaboliche o cervico-vaginali che possono compromettere la fertilità e che, pertanto, vanno trattate anche se subcliniche o asintomatiche. Nel momento attuale in cui la medicina è fortemente sollecitata da un progressivo aumento dell’infertilità di coppia e dal ricorso sempre maggiore a tecniche di fecondazione artificiale, il valore diagnostico e preventivo dei metodi naturali moderni non può essere sottovalutato ai fini della tutela della fertilità e della salute riproduttiva della donna. Ringraziamenti: Un grazie particolare va alla compianta Prof. Anna Cappella, Primo Direttore del Centro Studi e Ricerche RNF e Pioniera dell’introduzione del Metodo Billings in Italia, iniziatrice degli studi di cui vengono presentati i risultati. 23 RAPPORTI DAL MONDO 24 R iflettendo su quello che è avvenuto nel rapporto tra diritto naturale e fecondità si possono cogliere otto grandi separazioni. Le prime quattro avvenute sul piano scientifico-biologico e le seconde sul piano antropologico e psico-sociale. Una prima separazione è quella che è avvenuta quando la fecondità è stata separata dalla sessualità. Nella vita affettiva degli esseri umani la pillola estroprogestinica ha PALLIAZIONE FETALE: COME CURARE IL FETO E LENIRE IL DOLORE Giuseppe Noia, Annalisa Giona, Lucia Merlino, Maria Riccardi, Marco D’Errico, Giuseppe Fortunato, Daniela Visconti, Alessandro Caruso Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente Policlinico Gemelli Roma permesso una scelta di vita sessuale separata dalla possibilità di concepire. Non è qui il dato di riflessione etico-morale, bensì la constatazione oggettiva di come la pillola abbia influenzato i comportamenti affettivi e sessuali. Una seconda separazione è avvenuta con la fecondazione extra-corporea: tutte le metodiche hanno permesso concepimenti al di fuori del corpo della donna: la fecondità è stata separata dalla corporeità. Una terza forma di separazione è avvenuta con la clonazione: la fecondità, essendo possibile senza l’utilizzo del gamete maschile, è stata separata dalla germinalità. Infine con la recente creazione di chimere umane la fecondità è stata separata dalla integrità genetica di specie. Sul piano antropologico e psico-sociale, invece, la fecondità è stata separata dall’accoglienza della vita del figlio con il riconoscimento giuridico negli ultimi ottant’anni dell’aborto chirurgico e negli ultimi trenta delle pillole abortive. La possibilità di sperimentare sugli embrioni o, in caso di gravidanze plurime, di effettuare la riduzione degli stessi (modalità occisiva di 3-4 embrioni in caso di gravidanze N. 1 ANNO IX esagemine o pentagemine) esprime un secondo tipo di separazione: fecondità separata dal concetto di eguaglianza e dignità di tutti gli esseri umani. L’eugenismo della diagnosi prenatale, il feticidio selettivo e la diagnosi pre-impianto evidenziano un terzo tipo di separazione: la fecondità separata dalla “normalità del figlio” in virtù della sindrome del feto perfetto che ha creato la “cultura dello scarto” con discriminazioni fortemente selettive sui feti malformati, malati o con handicap evidenziabili prenatalmente. L’ultima forma di separazione classificativa vede la fecondità ormai separata dalla umanità: un animalismo eco-ambientale sempre più forte ha fatto perdere la centralità antropologica della preziosità dell’essere umano. Recenti episodi ben conosciuti con forte rilevanza sui media hanno espresso chiaramente quanto sia importante opporsi alle stragi delle querce (Firenze) e all’avvelenamento degli orsi della Marsica (L’Aquila). Poca risonanza, però, o riflessione provocatoria viene offerta dinanzi all’olocausto censurato di 53 milioni di aborti annuali nel mondo. L’embrione quindi è veramente segno di contraddizione: tutte le frontiere della scienza ormai si pongono come sfide bioetiche perché girano intorno all’embrione cosificato come oggetto in tante tecnologie (FIVETICSI, staminali embrionali, clonazione, crioconservazione degli embrioni, diagnosi preimpianto, diagnosi prenatale, riduzione embrionaria, feticidio selettivo). Restituire i diritti all’embrione con evidenze scientificamente fondate significa restituire alla comunità umana una riflessione che poggia sulla evidence based medicine delle interazioni fisiologiche e patologiche tra madre ed embrione sin da subito. Infatti la relazione biologicaanatomica e psicodinamica, nel periodo prenatale, fonda non solo il presente del nuovo individuo, ma anche il futuro del suo benessere psicofisico. In una società di separazioni, quindi, uno sguardo scientificamente onesto nell’universo della vita prenatale ci aiuta a riflettere sulla relazione per eccellenza, la relazione madre-figlio, e ci stimola a riconsiderare la verità ontologica della persona umana poiché i diritti dell’embrione si fondano su 3 presupposti scientificamente rigorosi: - il suo protagonismo; - la sua relazionalità con la madre; - la possibilità di curarlo in utero come un paziente. RAPPORTI DAL MONDO N. 1 ANNO IX ZOOM proccio intravascolare) correggere l’anemia o gli altri stati patologici. In tal modo negli ultimi 15 anni la sopravvivenza dei feti è passata dal 60% al 92%. In altri casi possiamo iniettare nella circolazione del feto farmaci o albumina, quando necessario. Connesso a questo approccio spesso è la curarizzazione fetale. In alcuni casi il feto è estremamente mobile o addirittura impugna l’ago e lo disloca dal cordone ombelicale, compromettendo la procedura. In tali casi iniettando nel gluteo o direttamente nel vaso un farmaco immobilizzante (curarizzazione) si può effettuare la procedura e riosservare la normalità dei movimenti del feto dopo 30 minuti. In altri casi la presenza di una cisti ovarica in un feto femmina comporta il drenaggio, La terapia del bambino in utero Un altro aspetto, non meno importante, è sempre con un ago eco-guidato, del contenuquello relativo alla sindrome del feto perfet- to liquido della cisti: questo poiché, se essa è to: l’amplificazione che la cultura mediatica di dimensioni voluminose, si potrebbe avere fa dell’eventuale handicap del bambino in una torsione, la necrosi e la perdita dell’ovaio utero sull’impatto della vita futura è deva- fetale. Per impedire ciò si drena il contenuto stante. In nome di una cultura che proietta cistico, dopo aver effettuato un’anestesia sulsolitudini su solitudini ed esalta la proiezione la cute del feto in dosi proporzionali al suo di una società futura senza solidarietà umana peso stimato. In 22 casi sono state effettuate e civile, si opera un’azione cogente verso il cistocentesi ovariche, salvaguardando le ovaie “togliere la vita” in nome di una “qualità di delle piccole pazienti in tutti i casi. Un altro modo invasivo di curare il bamvita” futura che ancora non si conosce. Il meccanismo di proiezione e di amplifi- bino è quello di immettere soluzione salina cazione della sofferenza, fisica e psicologica, riscaldata a 37° mediante un amniocentesi dell’individuo, della coppia e delle famiglie (amnio infusione): questo viene fatto quanche devono gestire l’handicap, cerca di dare do la paziente rompe le membrane e perde peso reale a condizioni di vita proiettate vir- tutto il liquido amniotico al 4°-5° mese di tualmente: una manipolazione sottile e sua- gravidanza. L’importanza di questa terapia dente che tenta di giustificare nelle “buone” risiede nel fatto che, anche se il liquido che coscienze il concetto, assolutamente falso e noi immettiamo viene perduto nei giorni inumano, che si può eliminare la sofferenza successivi, tuttavia viene stimolata la deglutizione del feto e la sua urinazione, meccaeliminando il sofferente! Invece esiste una mole di contributi scien- nismo per il quale si aiuta il polmone fetale tifici degli ultimi 50 anni che dimostrano che a maturare e ad essere pronto ad espandersi in caso di parto prematuro. Con questa meil feto è un paziente a tutti gli effetti. Le evidenze sono quelle che ormai la let- todica la sopravvivenza osservata in queste teratura internazionale ha consacrato e che gravidanze, è passata, negli ultimi 15 anni aumentano anno dopo anno nelle riviste di dallo 0% al 40-60%. Questa modalità di cura (approccio transpecializzazione prenatale. Utilizzando l’aiuto dell’ecografia oggi, il samniotico) mediante amnio-infusione è stamedico del feto, può raggiungere con un ago ta da noi usata anche in caso di grosso gozzo lungo 15 cm e di pochissimi millimetri di ipotiroideo del feto per il quale si prospettava diametro il cordone ombelicale del feto e ef- una grave compromissione della crescita e un fettuare gli esami che si praticano nell’adulto: ritardo mentale. Dopo aver evidenziato con azotemia, glicemia, emocromo, coagulazione, l’ecografia che i lobi della tiroide erano molto ingranditi e che la tiroide non funzionava per indagini ormonali e genetiche. Se il feto è anemico attraverso la stessa via il blocco indotto dal gozzo, abbiamo iniettasi può effettuare la trasfusione di sangue (ap- to l’ormone tiroideo nel liquido amniotico: il È un dato epidemiologico acclarato che gli aborti dopo i 90 giorni sono passati dallo 0,5% (1981) al 2,7% (2007) al 3,2% (2011): chi volesse negare l’aspetto eugenistico e selettivo della legge 194 dovrebbe dimostrare il perché di questo aumento fino a 7 volte superiore! L’aspetto più inquietante però non è solo il negare l’aspetto eugenistico della legge ma è soprattutto il negare che questi numeri possano rappresentare un elemento dissuasivo autorevole, da un punto di vista statistico, epidemiologico e scientifico, per tutta la comunità civile che sembra subire un processo di cecità del cuore e di narcosi della coscienza. 25 RAPPORTI DAL MONDO 26 feto ha deglutito la medicina e dopo 9 giorni il gozzo è completamente scomparso, permettendo anche l’espletamento del parto per via vaginale. Altri metodi di curare il bambino prima della nascita, con patologie da scompenso cardiaco fetale e presenza di liquidi in molte cavità del corpo, sono rappresentate da una forma di terapia fetale integrata: con questo termine si intende un approccio non invasivo per il quale si da un farmaco alla madre (digitale in dosi ben adeguate). Questo farmaco passando la placenta raggiunge il cuore fetale e si oppone all’effetto negativo dello scompenso. Contemporaneamente si procede per via invasiva (sempre con un ago eco-guidato) a drenare i liquidi presenti nella pancia del feto (paracentesi) o nel torace del feto (toracentesi). Togliere questi liquidi migliora la circolazione del feto e restituisce la capacità gestazionale a quelle madri che pensavano ad un bambino ormai perduto. Con questo approccio la sopravvivenza è passata dal 10% al 60%. Altre modalità sono rappresentate da quelle condizioni in cui la gravidanza gemellare si complica con una condizione chiamata sindrome da trasfusione feto-fetale per la quale la prognosi di ambedue i feti è estremamente negativa. Nella nostra esperienza (più di 200 procedure) l’eccessiva presenza di liquido amniotico veniva aff rontata asportandone grandi quantità (fino a 3 litri) per diverse settimane. Con tale metodica (amnio-riduzione) la sopravvivenza dei casi da noi trattati è passata dal 12% al 42%. Qualora un feto presenti una malformazione urinaria che impedisce l’uscita dell’urina attraverso l’uretra, è possibile valutare la funzionalità dei reni prelevando con un ago eco-guidato una quantità di urina (cistocentesi o vescicocentesi) che ci permetta poi di poter posizionare un piccolo catetere nella vescica e fare urinare il feto attraverso l’addome con un doppio risultato: evitare che l’accumulo di urina danneggi irreparabilmente i reni e permettere la presenza di una quantità adeguata di liquido amniotico che stimoli la maturazione dei polmoni. Con questi approcci e in varie condizioni la sopravvivenza si è triplicata dal 20 al 60%. Un aspetto nuovo degli ultimi 10 anni è la palliazione fetale, ossia un approccio invasivo che mira a diminuire la sensibilità al dolore N. 1 ANNO IX del feto in utero. La presenza di terminazioni nervose e di una sensibilità nocicettiva è stata ampiamente dimostrata in letteratura da molti studi che hanno dimostrato che l’attraversamento dell’addome fetale fa immettere in circolo, da parte del feto, gli ormoni del dolore (endorfine, adrenalina, non adrenalina e cortisolo). Poiché nelle procedure che comportano un “transpassing” (atteraversamento della cute e sottocute delle sierose) il feto ovviamente può sentire dolore, l’inoculo, prima del passaggio dell’ago, di piccole quantità di lidocaina riducono la sensazione di dolore. Inoltre ogni metodologia di drenaggio che evita il distendersi delle sierose (ricche di terminazioni nervose sensibili) si traduce automaticamente in un effetto palliativo con diminuizione delle sensazioni dolorose. Quindi tutti gli approcci come la toracentesi, la paracentesi e le cisti pielocentesi e il drenaggio delle cisti ovariche, ubbidiscono a criteri terapeutici e preventivi secondo 3 rime di intervento: Finalità diagnostica che con il prelievo permette di studiare il liquido in esame; finalità clinica perché il drenaggio dei fluidi in addome e torace si oppone allo scompenso cardiaco fetale e alla compressione dei polmoni; finalità nocicettiva perché detendere le sierose ricche di terminazioni nervose si traduce in un sollievo della sensibilità dolorosa fetale. Negli ultimi 5 anni più di 100 procedure sono state effettuate con questi scopi. Questi risultati sono stati ormai validati a livello nazionale ed internazionale e sono diventati patrimonio della cultura della medicina fetale. È ovvio che i criteri che hanno guidato il raggiungimento di questi risultati erano essenzialmente 3: La considerazione del feto come paziente da trattare con un approccio individualizzato e personalizzato; un bilanciamento etico rigoroso che ha fatto scegliere in tutte le occasioni metodiche invasive con un rischio eticamente accettabile e proporzionato; un counseling alla coppia che fosse estremamente veritiero sulle possibilità di terapia di quel feto e rifuggisse da forme di accanimento terapeutico. Tutto l’apporto culturale finalizzato alla terapia prenatale (invasiva e non invasiva) è RAPPORTI DAL MONDO stato seguito parallelamente, negli ultimi 15 anni in particolare, da studi nell’animale sperimentale con la creazione di modelli di tipo malformativo e la sua successiva correzione prenatale (atresia delle vie biliari, ostruzione intestinale, mega-vescica patologica, idro-uretere nefrosi bilaterale da chiusura dell’uretra prossimale, spina bifida). Inoltre negli ultimi 10 anni è stato creato un modello finalizzato alla cura delle malattie genetiche. Tale modello è stato ottimizzato nel corso degli anni utilizzando una procedura di immissione ecoguidata di cellule staminali CD-34 purificate o CD-3 totali nella cavità celomatica dell’ovino (specie ovis aries comisana). Si tratta, quindi, di un modello di xeno-trapianto (cellule staminali da cordone umano prelevato dopo consenso informato della paziente) immesse in epoche gestazionali molto precoci (40-46 giorni di età gestazionale) in feto di pecora, in un sito posto fuori dal corpo del ricevente. Il nostro modello di trapianto prenatale con approccio celomatico è stato positivamente accolto dalla letteratura non solo per la relativa invasività e riproducibilità ma soprattutto per le basi concettuali che tale approccio permette. Infatti, l’immissione di staminali 3 settimane prima rispetto alle altre procedure favorisce il superamento della conflittualità immunologica, che, secondo le recenti valutazioni è l’unico vero ostacolo alla persistenza del trapianto. L’estrapolazione di questo modello dalla sperimentazione animale alla pratica clinica nell’umano ha bisogno di molte conferme immunobiologiche. Tuttavia, l’originalità del progetto e la continuità anche di tipo concettuale che lega queste procedure alla cura di malattie fetali ci permette di proporre questo filone di ricerca come una responsabilità istituzionale, storica e culturale cui non possiamo sottrarci così come non possiamo sottrarci dall’affermare che tali risultati sono il frutto di una Scuola che vede nel bambino non nato un paziente a tutti gli effetti. Conclusioni Come si vede gli induttori psicosociali operano manipolando i fatti reali attraverso una serie di menzogne giuridiche, scientifiche e socio-politiche. La vita umana viene resa “terminale” in nome di grandi falsità e non verità. Esempi eclatanti sono appunto N. 1 ANNO IX i feti resi terminali dal consenso giuridicosociale: (53 milioni di aborti annualmente nel mondo), dalla ignoranza (= dalla non conoscenza) di tante storie naturali che riguardano malattie infettive in gravidanza, malformazioni che cambiano nel corso della gestazione la loro gravità, da una mancanza di cultura informativa sulle visite preconcezionali e infine da una diagnosi prenatale che utilizza le tecnologie invasive e non invasive solo per vedere e per eliminare e non per vedere e per curare. È possibile invece usare la diagnosi prenatale per attuare la cosiddetta “terapia educazionale”: il counselling è di per sé un momento medico importante dove parlando con la coppia e facendo parlare la coppia si possono evincere i vari problemi che hanno condotto quella famiglia a iniziare un iter di aborto volontario. Sulla base di queste esperienze dirette è nata l’Associazione “La Quercia Millenaria”, dove i percorsi di scelta di molte famiglie sono stati definiti “eroici” ma che le famiglie hanno definito “naturali”. Esse hanno dimostrato che l’atteggiamento diffuso nella cultura odierna (amplificazione del contrasto fra il desiderio della coppia di avere un figlio sano e il terrore che possa non esserlo) è espressione della “Sindrome del feto perfetto”. L’associazione è nata attraverso un passaggio che l’ha portata dalla testimonianza individuale al servizio, organizzandosi con un comitato scientifico e una equipe medica di riferimento. Si realizza così il passaggio del “I cure” (Io ti curo) all’“I relief ” (Porto sollievo) e all’“I care” (Io mi prendo cura di te). Educare alla consapevolezza che spesso la malformazione non c’è, che se c’è è curabile prima della nascita o subito dopo e infine che, in presenza di gravi malformazioni, accompagnare il proprio figlio verso la morte naturale è l’atteggiamento più umano e più consapevole, anche se non privo di sofferenza, significa restituire alla coppia quel progetto di esistenza che loro hanno costruito intorno al figlio. Esso non si interrompe ma prosegue con modalità diverse e si compie nella piena capacità gestazionale e nell’accoglienza della vita, perché come dice Hanna Arendt: “Gli esseri umani, sebbene debbano morire, non sono nati per morire, ma per incominciare”. 27 RAPPORTI DAL MONDO 28 L a rianimazione del neonato prematuro oggi ha fatto notevoli progressi rispetto a pochi anni fa. Questo ha delle ricadute sull’obbligo di tentare di salvare la vita a feti di età gestazionali che fino a pochi anni fa non avevano chance. Uno sforzo medico profondo è in atto per progredire nelle cure, ma la società sembra non essere all’altezza del dovere di accoglienza di tanti bambini prematuri con problemi di salute. L’altra ricaduta di questo progresso è sui limiti LA RIANIMAZIONE DEL NEONATO: RISCHI ETICI E SUGGERIMENTI Carlo V. Bellieni Neonatal Intensive Care Unit, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese all’aborto dettati dalla legge 194, che impone limiti all’aborto da quando il feto ha possibilità di vita autonoma. Negli ultimi anni, si è assistito al fiorire di linee-guida per regolare la sospensione delle cure in età neonatale. Le linee-guida più in voga nei paesi occidentali si basano sulla non-rianimazione al di sotto di una certa età dall’ultima mestruazione (età gestazionale – EG), anche se in questo modo vengono lasciati senza rianimazione dei bambini che in teoria avrebbero una rilevante possibilità di sopravvivere. La giustificazione di questa scelta si spiega con il fatto che al di sotto della età gestazionale prescelta il rischio di disabilità è tanto alto da far pensare ad alcuni che la sopravvivenza non costituisca il miglior interesse del neonato. Questo criterio probabilistico cozza con il criterio di certezza di futilità delle cure che si usa nell’adulto. Inoltre, secondo recenti ricerche (1), molti medici tengono conto non solo dell’interesse del neonato, ma addirittura dell’interesse dei genitori quando si tratta di decidere se rianimare un neonato estremamente prematuro. N. 1 ANNO IX Quanto riportato mostra un trattamento differente tra neonati e adulti. Infatti, il criterio per la sospensione delle cure per un adulto riposa su dei punti fondamentali: • certezza della diagnosi e prognosi • consenso informato • prognosi certa di morte • inutilità del trattamento e, in casi particolari, intollerabilità accertata del trattamento. Le linee-guida dell’American Lung Association (2), il documento più citato in letteratura per l’orientamento etico in caso di rianimazione del paziente adulto, sono chiare in questo senso. Nel caso dei neonati, invece, abbiamo l’ingresso di due principi che nell’adulto non si tengono in conto: - l’interesse di “terzi:” M. Gross, in un’analisi comparativa dei comportamenti dei medici in quattro Paesi scrive che “c’è un generale consenso verso il neonaticidio subordinato alla valutazione fatta dai genitori del miglior interesse del neonato, considerato in modo largo tanto da comprendere il danno fisico, così come il danno sociale, psicologico o finanziario” si badi bene “a terzi”. (3); e: un recente studio internazionale sui comportamenti dei neonatologi in sala parto riporta che “[i]n tutti i Paesi la maggioranza dei medici concorda che il peso per la famiglia è un dato rilevante quando si prendono le decisioni sul fine-vita” (1). - la prognosi probabilistica: si sceglie di rianimare non sulla base di una prognosi accertata, ma probabilistica, quale è la determinazione dello sviluppo del bambino, fatto attraverso la datazione della gravidanza. Questa differente considerazione etica tra adulto e neonato è ben dimostrata dagli studi di Annie Janvier (4-9), che con serie analisi scientifiche mostra che verso il neonato si ha un atteggiamento ben diverso che verso l’adulto, più pronto a lasciar senza cure il neonato. Uno degli studi significativamente mostra che il medico è molto più proclive a rianimare un adulto di 50 anni che un neonato prematuro di 24 settimane, nonostante i rischi per la vita e per la disabilità in caso di sopravvivenza siano uguali nei due casi a parità di prognosi (5). L’autrice scrive che “Il valore attribuito alla vita del neonato, in particolare del prematuro, è inferiore di quanto ci si dovrebbe aspettare dai dati medici og- RAPPORTI DAL MONDO gettivi” (8). Vari studi inoltre mostrano che la prognosi e la qualità di vita di bambini che potrebbero essere candidati alla sospensione delle cure sono migliori di quanto il medico stesso crede e che gli stessi malati sopravvissuti, hanno su di sé un’impressione di qualità di vita migliore di quella valutata dai loro medici (10). Qui vale la pena ricordare lo sforzo e l’abnegazione impegnati nelle cure intensive neonatali, spesso fonte di fatica, sacrifici e stress legati al burnout e alla disillusione dovuta ad una società che non è al passo della loro esperienza: vengono fatti enormi sforzi medici per salvare anche tanti bambini con futura disabilità ma poi la società non sa o non vuole accoglierli. Questo è fonte di disillusione e frustrazione. Certo poi pesano i pregiudizi personali nel prendere le decisioni su vita e morte in quest’epoca, come abbiamo mostrato in una recente rassegna (11). Uno studio australiano ha mostrato che i medici che meno sono propensi a rianimare i neonati gravi, sono quelli che più hanno paura della morte (12). Ma laddove si attua una selezione, gli esiti in percentuale di handicap sono peggiori rispetto ai luoghi dove si dà a tutti i nati una chance (13). Infatti i progressi nella sopravvivenza dei piccoli prematuri sono evidenti a tutti, e ora varie casistiche mostrano la possibilità di sopravvivenza di bambini anche di 22 settimane di gestazione (14) o con malattie considerate mortali fino a pochi anni fa quali la sindrome del cuore sinistro ipoplastico o l’ernia diaframmatica. Infine ricordiamo come al momento della nascita non esistono strumenti prognostici sicuri per sapere se quel bambino è tra quelli che “ce la farà”; e sempre alla nascita, i genitori sono così oberati dalla sofferenza fisica o psicologica da non essere assolutamente liberi di decidere alcunché, tantomeno la vita o la morte del figlio, col quale, oltretutto, possono avere un chiaro conflitto di interessi. Forse la giustificazione nel diverso trattamento tra adulto sano e neonato sta nel fatto che per molti filosofi quest’ultimo non è una persona (15). Questo non significa che non ci siano dei limiti all’intervento medico; se l’intervento si dimostra inutile o troppo gravoso va sospeso. N. 1 ANNO IX • • • • • • Tabella 1 Linee-guida per l’adeguatezza delle cure al neonato La rianimazione deve essere tentata per tutti i bambini nati ad un’età gestazionale in cui la letteratura scientifica mostra possibilità di sopravvivenza (attualmente il limite è di 22 settimane), pur tenendo conto dei limiti legati alle possibilità tecniche locali, che variano tra Nazioni industrializzate e le altre e tra ospedali di terzo livello e gli altri. La rianimazione può essere negata sotto l’età suddetta. Può essere arrestata se si dimostra inefficace. Cure eccessivamente pesanti per il bambino possono essere sospese, così come quelle che non sono in grado di allontanare significativamente la morte o di migliorare la vita del bambino, a patto che la loro rimozione non sia per aff rettare volontariamente la morte. La previsione di una futura disabilità non è motivo sufficiente per sospendere le cure salva-vita. Le cure non possono essere interrotte o negate nell’interesse dei genitori, ma solo nell’interesse del bambino. Il genitore deve essere sempre informato, e il suo consenso è di norma obbligatorio. Tuttavia nelle scelte di vita/morte, deve prevalere l’oggettività scientifica della possibilità del trattamento. Un accenno va qui fatto alla legislatura sul rapporto tra possibilità di rianimazione del neonato e legge sull’aborto. La legge 194/78 che regola in Italia l’interruzione di gravidanza prevede agli articoli 6 e 7 che l’aborto non sia possibile quando il feto nato ha possibilità di vita autonoma (tranne i rari casi in cui ci sia rischio per la vita della madre e non solo per la sua salute. Dato che oggigiorno è virtualmente possibile sopravvivere dopo 22 settimane di gestazione, quello è il limite invalicabile dettato dalla stessa legge 194 oltre il quale non è lecito l’aborto (tranne i suddetti rari casi di rischio del proseguire la gravidanza per la vita materna). 29 RAPPORTI DAL MONDO 30 N. 1 ANNO IX REFERENCES 1. Rebagliato M, Cuttini M, Broggin L, Berbik I, de Vonderweid U, Hansen G, Kaminski M, Kollée LA, Kucinskas A, Lenoir S, Levin A, Persson J, Reid M, Saracci R; EURONIC Study Group (European Project on Parents’ Information and Ethical Decision Making in Neonatal Intensive Care Units). Neonatal end-of-life decision making: Physicians’ attitudes and relationship with self-reported practices in 10 European countries. JAMA. 2000 Nov 15;284(19):2451-9. 2. Withholding and withdrawing life-sustaining therapy. American Thoracic Society. Am Rev Resp Dis 1991;144(3):726-31. 3. Gross ML. Abortion and neonaticide: ethics, practice, and policy in four nations. 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Stoll BJ, Hansen NI, Bell EF, Shankaran S, Laptook AR, Walsh MC, Hale EC, Newman NS, Schibler K, Carlo WA, Kennedy KA, Poindexter BB, Finer NN, Ehrenkranz RA, Duara S, Sánchez PJ, O’Shea TM, Goldberg RN, Van Meurs KP, Faix RG, PhelpsDL, Frantz ID 3rd, Watterberg KL, Saha S, Das A, Higgins RD; Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development Neonatal Research Network. Neonatal outcomes of extremely preterm infants from the NICHD Neonatal Research Network. Pediatrics. 2010 Sep;126(3):44356. 15. Doyal L, Wisher D: Towards guidelines for withholding and withdrawal of life prolonging treatment in neonatal medicine. Arch Dis Child 1994;70:F66-70. RAPPORTI DAL MONDO C he cosa intendiamo per sindrome post-abortiva? In termini operativi possiamo assumerla come una compromissione della salute mentale causata dall’aborto volontario. È un quadro ben più vasto della sindrome post-traumatica da aborto (1) e comprende il disturbo d’ansia, la LA SINDROME POSTABORTIVA, STATUS QUAESTIONIS Maria Cristina Del Poggetto Società Medico-Scientifica Promed Galileo. depressione, la distimia, il disturbo da uso di sostanze, è inoltre possibile che almeno in alcuni casi si manifesti con emozioni vissute con tale intensità da risultare invalidanti per la salute mentale, come intesa dalla definizione fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Negli anni ’70 la relazione rilevata tra aborto e persistenza di problematiche psichiatriche persistenti dopo l’aborto stesso era interpretata come l’effetto del rifiuto sociale dell’aborto e dello stigma che circondava le donne che abortiscono, qualcosa che la legalizzazione avrebbe fatto scomparire (2). Una serie di interventi in letteratura apparsi in quegli anni indicano l’aborto come una procedura terapeutica, capace di dare sollievo e persino felicità alla donna (3-5). Il tipo modello di studio in quel periodo si caratterizzava per piccole dimensioni, eterogeneità ed esiguità degli strumenti di rilevazione, durata del follow-up contenuta. È all’inizio degli anni ’90 che comincia ad affacciarsi l’idea che, almeno per una parte delle donne abortire possa essere l’esatto opposto di una terapia (6). La revisione ragionata condotta nel 2009 dall’associazione degli Psichiatri Americani conclude che le donne che hanno una gravidanza non programmata non hanno alcun problema eccedente quando abortiscono rispetto a quelle che portano a termine la gravidanza stessa (7). Nel 2011 un’analoga iniziativa da parte degli psichiatri inglesi giunge a conclusioni N. 1 ANNO IX molto simili, seppure lasciando aperta la possibilità che alcune donne possano sperimentare reazioni emotive negative all’aborto e necessitare pertanto di un supporto specialistico (8). Tali conclusioni vengono raggiunte mediante revisioni in cui un processo di selezione delle pubblicazioni e di valutazione della qualità metodologica degli studi è condotto certamente con perizia, ma senza riuscire a garantire un’assoluta imparzialità (9). Non deve così stupire che alcuni autori giungano a negare persino l’esistenza di una sindrome post-traumatica abortiva (10). Sembrerebbe tutto semplice e chiaro, ma così non è. David Fergusson, ricercatore Neozelandese, coordinatore del progetto Christchurch, si chiede infatti se sia vero oppure no che l’aborto che segue ad una gravidanza programmata si associ ad una sofferenza mentale maggiore rispetto alle donne che danno alla luce un figlio, programmato, desiderato o meno. In una valutazione del dataset di Christchurch egli mostra così che un terzo delle donne non dichiara alcuna reazione negativa derivante dall’avere abortito, ma gli altri due terzi, al contrario, hanno una serie di reazioni emotive negative di intensità variabile correlate ad una maggiore incidenza di depressione, ansia e ideazione suicidaria (11). Uno studio trasversale retrospettivo condotto nel 2010 su un’ampia casistica condotto verificando l’abortività e la salute mentale e correggendo i risultati per numerose covariate, compresa l’anamnesi di eventuale violenza subita, conferma l’incremento di depressione, ansia, uso di alcol e di sostanze, di pensieri e di ideazione suicidaria che affligge le donne che hanno abortito esordendo dopo il primo aborto in quasi la metà dei casi (12). La conoscenza della letteratura scientifica sull’argomento con la lettera di critica e la risposta degli autori, è indicativa di un certo cliché che colpisce qualsiasi studio che indichi problematiche per la salute mentale delle donne che abortiscono: gli psicogendarmi dell’abortismo presidiano il recinto che hanno costruito da ogni possibile breccia. Certo, vi sono problemi metodologici, ma il negare con pervicacia che una parte delle donne che abortiscono soff rano psicologicamente per causa dell’aborto, sembra rappresentare un esercizio sofistico, più che la difesa di un dato di scienza. Uno studio di linkage dei registri abortivi e di salute men- 31 RAPPORTI DAL MONDO 32 tale condotto in Danimarca dimostra che le donne che abortiscono non hanno un incremento dei contatti dopo l’aborto (assunto come indicatore che l’aborto non crea problemi mentali), ma hanno contatti più elevati rispetto alle donne che partoriscono prima dell’aborto (letto come segno che le maggiori problematiche psichiatriche che si rilevano nelle donne che abortiscono sono pre-esistenti all’aborto stesso) (13). Gli autori però tacciono i numerosi problemi che inficiano l’interpretazione minimizzanti delle sequele dell’aborto: l’esclusione delle donne con anamnesi psichiatrica, la possibile maggiore resistenza delle donne che hanno abortito a chiedere supporto per il loro disagio psichico, il breve follow-up di 12 mesi, il finanziamento dello studio da parte di un’organizzazione abortista. E tuttavia, anche assumendo la prospettiva degli autori, è evidente che abortire non apporta alcun beneficio alla salute mentale della donna. Nel 2011 Priscilla Coleman pubblica la più vasta metanalisi che include 22 studi, 36 items e oltre ottocentomila donne, e dimostra l’incremento di rischio di ansia, depressione, abuso di alcol, uso di marijuana e suicidarietà con un rischio attribuibile che va dall’8% per l’ansia e la depressione al 35% per la suicidarietà (14). La rivista degli psichiatri inglesi viene inondata di commenti che criticano ferocemente l’analisi della Coleman, accusandola di non avere selezionato le donne con gravidanza indesiderata, di avere ignorato le condizioni mentali prima dell’aborto insieme ad altri possibili fattori confondenti, di avere cumulato outcomes disomogenei, di essere di parte perché pro-life, di avere incluso troppi dei suoi studi nella metanalisi. La Coleman ha risposto molto puntualmente alle critiche dimostrando ad esempio che le donne che abortiscono presentano maggiori problemi di salute mentale rispetto sia a chi ha partorito, a chi non ha mai abortito, e anche rispetto a chi ha portato a termine la gravidanza non programmata. David Fergusson in una lettera pubblicata sulla rivista dimo- N. 1 ANNO IX stra che, anche tenendo conto della precedente salute mentale delle donne, dopo l’aborto i problemi mentali sono maggiori. Nell’aprile del 2013 Fergusson, ateo, prochoice, pubblica la metanalisi che limita gli studi a quelli considerati qualitativamente adeguati dalle società psichiatriche e dagli psichiatri pro-aborto. Ancora una volta i dati parlano chiaro: incremento dell’ansia (+28%), dell’abuso di alcol (+134%), dell’uso di sostanze (+291%), della suicidarietà (+69%) (15). È significativo che nell’unico studio in cui ciò sia stato esplorato, non è stato dimostrato alcun beneficio per la salute mentale delle donne che ricevono l’aborto rispetto a quelle a cui invece l’aborto viene rifiutato (16). Pertanto, persino volendo concedere i più ampi benefici di dubbio rispetto all’ipotesi che l’aborto faccia male alla salute mentale delle donne, come minimo è chiaro che l’aborto è una scelta che integra i criteri della futilità medica, ovvero di una procedura che non raggiunge gli obiettivi che si pone (17). Quando si parla di numeri di casistiche abortive non si deve mai dimenticare che dietro a quei numeri vi sono degli esseri umani, maschi, femmine, adulti, adolescenti che soff rono e fanno soff rire, e soprattutto bambini non nati. Queste riflessioni possono risultare indifferenti alla riflessione biogiuridica soltanto nel caso in cui si voglia rinunciare a qualsiasi pretesa di beneficialità per la donna mediante l’aborto, come invece suggerisce il ricorso al concetto di salute in molte legislazioni per giustificare la procedura di aborto. Le evidenze condotte sul terreno della scienza medica non lasciano alcuno spazio al cosiddetto “abortismo umanitario”. Così l’unica giustificazione all’aborto che rimane in piedi sembra essere la mera volontà di affidare alla donna il diritto ad autodeterminarsi e di farlo anche eterodeterminando e terminando colui che ha bisogno di sua madre per continuare a vivere, rimane cioè l’abortismo “libertario” (18), ma questo è un ambito che non ha niente a vedere con la medicina, la cura, la salute. RAPPORTI DAL MONDO N. 1 ANNO IX Referenze: 1. Rue VM, Speckhard A. Post-abortion trauma: Incidence and diagnostic considerations. Medicine & Mind. 1992; 6:57–74. 2. Gordon AV. Recent research on Psychological effects of legal abortion. Review of the literature, 1935-1964. New Zealand Psychologist. 1976; 5(1):37-47. 3. Walter GS. Psychologic and emotional consequences of elective abortion. A review. Obstet Gynecol. 1970; 36(3):482-91. 4. Ford CV, Castelnuovo-Tedesco P, Long KD. Abortion. Is it a therapeutic procedure in psychiatry? JAMA. 1971; 218(8):1173-8. 5. Osofsky JD, Osofsky HJ. The psychological reaction of patients to legalized abortion. Am J Orthopsychiatry. 1972; 42(1):48-60. 6. Zolese G, Blacker CV. The psychological complications of therapeutic abortion. Br J Psychiatry. 1992 Jun;160:742-9. 7. American Psychological Association (APA) Task Force on Mental Health and Abortion (TFMHA). Online http://www.apa.org/pi/women/programs/abortion/mental-health.pdf (accesso del 105-2013); Una sintesi è riportata in: Major B, Appelbaum M, Beckman L, Dutton MA, Russo NF, West C. Abortion and mental health: Evaluating the evidence. Am Psychol. 2009; 64(9):863-90. 8. Academy of Medical Royal Collages, National Collaborating Centre for Mental Health. Induced abortion and mental health, a systematic review of the mental health outcomes of induced abortion, including their prevalence and associated factors. 2001. Online http://aomrc.org.uk/publications/reports-a-guidance/doc_download/9432-induced-abortion-and-mental-health.html (accesso del 10-5-2013). 9. Charles VE, Polis CB, Sridhara SK, Blum RW. Abortion and long-term mental health outcomes: a systematic review of the evidence. Contraception. 2008; 78(6):436-50. 10. Robinson GE, Stotland NL, Russo NF, Lang JA, Occhiogrosso M. Is there an “abortion trauma syndrome”? Critiquing the evidence. Harv Rev Psychiatry. 2009; 17(4):268-90. 11. Fergusson DM, Horwood LJ, Boden JM. Reactions to abortion and subsequent mental health. Br J Psychiatry. 2009; 195(5):420-6. 12. Mota NP, Burnett M, Sareen J. Associations between abortion, mental disorders, and suicidal behaviour in a nationally representative sample. Can J Psychiatry. 2010; 55(4):239-47. 13. Munk-Olsen T, et al. Induced first-trimester abortion and risk of mental disorder. NEJM. 2011; 364(4):332-9. 14. Coleman PK. Abortion and mental health: quantitative synthesis and analysis of research published 1995 -2009. BJP 2011, 199:180-186. 15. Fergusson DM, Horwood LJ, Boden JM. Does abortion reduce the mental health risks of unwanted or unintended pregnancy? A re-appraisal of the evidence. Aust N Z J Psychiatry. 2013 Apr 3. [Epub ahead of print]. 16. Gilchrist AC, Hannaford PC, Frank P, Kay CR. Termination of pregnancy and psychiatric morbidity. Br J Psychiatry. 1995; 167(2):243-8. 17. Puccetti R, Del Poggetto MC, Di Pietro ML. Abortion and mental health: guidelines for proper scientific conduct ignored. Br J Psychiatry. 2012; 200(1):78. 18. Lombardi Vallauri L. Abortismo libertario e sadismo. Scotti Camuzzi, Milano, 1976. 33 RAPPORTI DAL MONDO 34 Q uando si aff rontano argomenti delicati quali il colloquio che operatori prolife effettuano per salvare la vita di un bimbo concepito ma non ancora nato a rischio aborto, la prima cosa da fare è chiarirsi sulle premesse da cui partono IL COLLOQUIO DI SALVATAGGIO. UN PERCORSO AD OSTACOLI PER ARRIVARE ALLA VITA Dott.ssa Cinzia Baccaglini motivazioni e ragioni personali che portano alcune persone a dare la loro disponibilità per aiutare madri, padri, nonni, amiche della madre che sta aspettando un bimbo e chiarire anche il tipo di linguaggio che si usa nei vari contesti e le conseguenti modalità operative. La prima premessa è che ognuno di noi è strumento per aiutare queste persone e che, semmai, se proprio vogliamo usare la parola salvare, questi bimbi li salva solo chi è Onnipotente e non noi. A noi il compito di far concepire nel cuore e nella mente di una madre chi lei ha già concepito nel grembo ma del quale non sa o non vuole riconoscere la meraviglia, la bellezza, l’unicità, l’irrepetibilità: il nostro servizio, perchè di questo si tratta, si realizza attraverso un percorso ad ostacoli individuali, familiari e contestuali e ha come fine quello di sostenere una madre nel riconoscere il volto umano del concepito che porta dentro di sé e che è e rimarrà sempre un figlio, suo figlio. Gli atteggiamenti che indicano difficoltà di accettazione del figlio sono sostanzialmente 3: -Non ho bisogno di nessuno aiuto, ho già deciso; -Io lo vorrei ma x, y, z dice o dicono che…; -Sono confusa.. non so che fare… N. 1 ANNO IX Da subito le parole che la madre usa ci danno anche la misura della vicinanza a ciò che le sta succedendo: da “aspetto un bimbo” a “sono incinta” fino a separazioni, negazioni e allontanamenti psicologici che oggigiorno arrivano ad essere verbalizzate persino così: “ho una gravidanza in atto”. Molte delle persone coinvolte nell’attendere un bambino, incontrate in tanti anni di colloqui, per allontanare il pensiero dalla realtà dell’attesa, utilizzano separazioni e divisioni che scorporano e frammentano quel grande evento complesso di tipo biologico, psicologico, sociale e spirituale che è l’attesa di una nuova creatura concepita, fino a focalizzarsi su un fattore contingente spesso negativo che annebbia tutta la ricchezza dell’evento in atto. Nell’era del tutto programmato, deciso e controllato, il concepimento di un bimbo a volte non cercato, non desiderato o inaspettato viene vissuto con la stessa modalità di rapporto che si ha nei confronti di una cosa e si connota di un giudizio necessariamente negativo. La verità è che ogni bimbo concepito è sempre evento inaspettato, anche il più cercato, anche il più voluto; per questo la valutazione del nuovo, del cambiamento, della meraviglia emotiva deve essere considerata positiva ed evolutiva nel suo sviluppo, ancorandosi alla salda fermezza del fatto che “essere qualcuno e’ essenzialmente diverso ed infinitamente più che essere qualcosa”. Sicuramente molti fattori personali e di stile di vita determinano questa reazione che spesso si somma a paura, blocco del pensiero, incapacità decisionale, negazione della realtà, pensiero ossessivo riguardante i cambiamenti che il proprio corpo, le proprie abitudini e le proprie priorità subiranno; particolarmente complessa è la situazione che riguarda le minorenni o quelle donne che faticano anche in altri campi o ambiti a far fronte alle responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni e che possono giungere ad avere atteggiamenti amplificati verso la trasgressione, le sperimentazioni, gli agiti o ad atteggiamenti falsamente supponenti della serie “decido io: punto e basta”; oppure si manifestano in un blocco totale del pensiero sia emotivamente che biologicamente condizionato (non dimentichiamo il forte sbalzo ormonale che vive una donna in attesa di un figlio) che arriva fino alla delega ad altri di ogni decisione che le riguarda. RAPPORTI DAL MONDO È chiaro che in questa situazione il colloquio non è una semplice conversazione del più o del meno, non e’ una mera discussione di argomentazioni teoretiche contrapposte, non è un interrogatorio fatto da domande a raffica, non è una confessione dove si debbano “assolvere” colpe o dare giudizi sul come si sia arrivati a quel punto. Si dovrà riflettere su questo ma successivamente. Un colloquio di salvataggio è un rapporto tra persone con l’obiettivo di volgere e far volgere lo sguardo al “cucciolo d’uomo” senza censurare le fatiche, dubbi, difficoltà della madre: è un percorso che accompagna a cogliere insieme la meraviglia di un bimbo che viene al mondo nonostante le difficoltà, è l’aiutare in una relazione una madre a riconoscere il volto umano del concepito, di suo figlio al fine di smantellare difese rigide interne o esterne e far esprimere paure, dubbi, angosce per sciogliere nodi emotivi che portano all’aborto come soluzione lineare di una situazione considerata solo come problema. La verità è che ogni concepito umano è sempre figlio: questa è la prima misericordia che dobbiamo alla nostra società. Questa che per alcuni è “la luce impietosa”, se detta con amore e con passione per la vita, rimarrà persino se la madre andrà ad abortire e sarà persino la sua salvezza nel post-aborto. “La verità detta con carità ma per carità la verità”, come ebbe a scrivere l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, per altro tema ma ben attagliabile a questo: “Se in passato nella presentazione della Verità talvolta la Carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la Verità in nome della Carità. Certamente la parola della Verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla Verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale”. Pertanto ogni colloquio è unico ed irripetibile poiché avviene tra persone uniche ed irripetibili. Capita a volte di aiutare anche per interposta persona. Non sempre è la mamma che aspetta il bimbo a chiedere aiuto ma anche il padre del bimbo, la nonna o semplicemente l’amica o la conoscente. Il colloquio quindi dipende dalla personalità e ruolo dei due o più interlocutori, dal tipo N. 1 ANNO IX di interazione che stabiliscono tra loro; dalla situazione che entrambi stanno vivendo in quel momento, dalle condizioni in cui si svolge il colloquio stesso. È un processo dinamico fatto di segni verbali e non verbali quando avviene di persona ma che variano o mancano se il colloquio avviene per telefono, tramite sms, tramite chat, facebook o altro canale scritto informatico. La persona che si appresta a effettuare colloqui per evitare l’aborto deve avere formazione specifica per poter dare informazioni e orientarsi nel suo parlare. Deve sapere quali sono le differenze tra aborto chirurgico del primo trimestre, aborto chimico da RU486 e aborto del secondo trimestre in special modo quando la diagnostica prenatale, così invasiva e con risultati non sempre comunicati in modo umano, porta a dare diagnosi solo della malattia e non riferirsi invece ad un bimbo malato, soprattutto quando per medicina difensiva o accidia intellettuale il tutto si potrebbe risolvere con operazioni in utero o post-natali. Spesso manca anche il coraggio di proporre la via dell’accompagnamento per i feti cosiddetti terminali piuttosto come vera alternativa ai rimorsi e ai sensi di colpa dopo un aborto. Altrettanta informazione e formazione serve riguardo al funzionamento delle varie pillole del giorno dopo e della intersezione tra aborto e fecondazione extracorporea. Questi colloqui risentono ovviamente delle due dimensioni fondamentali del tempo e dello spazio. Quanto al tempo esso dipende da quanto se ne ha o ne è concesso per l’ascolto, per il colloquio ma anche il tempo della gravidanza e il tempo dell’aborto programmato. Per quanto concerne lo spazio è evidente che la condizione ottimale sarebbe parlare di persona comodamente seduti in luogo riservato magari in una sede di un Centro di aiuto alla vita, di uno sportello per l’ascolto Caritas, in un Consultorio diocesano, ma capita anche di darsi appuntamento, solo perché così viene accettato, in locale pubblico o altre situazioni le più disparate come in auto, nelle sale d’attesa delle stazioni, in una mensa o in un dormitorio. A volte capita che si è chiamati o ci si reca a domicilio, altre volte in ospedale (con sede data per questo oppure in un corridoio di corsia o nella stessa stanza del reparto dove la donna è già magari ricoverata). In ogni luogo deve 35 RAPPORTI DAL MONDO 36 essere comunque centrale l’attenzione a ciò che sta succedendo e che si sta compiendo. Il colloquio deve tenere conto che quando una persona chiede aiuto ha bisogno di tre cose: 1. Comprendere meglio la situazione ossia passare dal “passato di verdura” in cui è immersa, fatto di confusione e omogeneità, ad almeno il minestrone dove distinguere la patata dalla carota e la carota dalla cipolla, distinguendo priorità. 2. Valutare le esperienze che sta vivendo (molte dipendono dal suo essere o non essere stato/a amata). 3. Trovare una via d’uscita insieme, una soluzione soddisfacente alla sua difficoltà che va verso la vita sua e del bambino. Il tutto per ritrovare quella dimensione pienamente umana che ognuno di noi ricerca: amare ed essere amato. Certo bisogna esplorare gli ostacoli che si nascondono dietro e dentro i vari contesti: il contesto individuale, il contesto familiare, il contesto economico-sociale, il contesto culturale, il contesto professionale. Facciamo alcuni esempi. Molti sono i fattori personali che incidono: in quale relazione di coppia nasce, cosa si pensa dell’attesa di un bambino, come è stato/a accolta in questo mondo dai genitori, come vive la femminilità e la mascolinità, quale reazione alle malattie proprie e altrui, quali paure, quanto pesa la valutazione della sua inadeguatezza personale, se c’è già stato uno o più aborti spontanei o volontari… e cosa essi hanno prodotto. Per cui le domande emergono spontanee sul livello di studio; sul lavoro o sulle aspettative di lavoro; sull’importanza attribuita alle occupazioni extra-familiari; sulla definizione dei ruoli nella coppia e nella famiglia; sul progetto di vita in relazione al numero dei figli e all’età della madre alla nascita del bimbo. E ancora: sulla valutazione della persona delle aspettative di figura per lei significative; sull’immagine che ha di sé come figlia, mamma, sposa, fidanzata, per cogliere eventuali conflittualità tra i ruoli; sulle sue opinioni e desideri riguardo bimbo/aborto, quelle dei genitori, del marito o partner, o altre figure significative; sulla possibilità che ha di immaginarsi in entrambe le eventualità; sulle idee dei progetti futuri suoi e in relazione alla coppia e ai figli sia presenti che futuri; sui fatti importanti della vita pas- N. 1 ANNO IX sata e recente che possono essere connessi in modo significativo alla gravidanza presente (eventuali aborti pregressi, aborti pregressi della madre, sua nascita indesiderata, morte di qualche parente significativo, etc.); il contesto familiare proprio e dell’altro genitore; quale analisi della relazione di coppia che ha generato, cosa ne pensano i genitori propri e dell’altro, come viene percepita nelle famiglie la nascita, se è condizionata al sesso del bambino, se è condizionata alla sua normalità fisica, se i nonni danno aiuto nella possibilità di tenere il bambino dopo la nascita, se vige un pre-giudizio familiare e sociale in caso delle cosiddette primapare attempate, il numero dei figli già nati, lo stato civile che varia dalla nubile all’appena separata e già incinta di un altro o a seguito di divorzio e già con figli grandi oppure in un concepimento a seguito del tradimento del coniuge. Quante pressioni si nascondono esplicite o implicite dietro queste decisioni! Molto spesso vengono indicati i motivi economici, abitativi per l’aborto ma essi sono solo un paravento. A volte certo ci sono delle necessità materiali ma l’aborto è sempre più un obnubilamento del cuore e della mente ed anche una qual si voglia “carità materiale” deve essere abbondantemente condita da quella intellettuale e spirituale. Questo è il problema attuale dell’aborto in qual si voglia situazione. Certo è bene sapere e dire come è strutturato il servizio offerto con le sue risorse umane e professionali: case di accoglienza, volontari che vanno a domicilio, babysitter, asili nido interni, ginecologo, psicologo, pediatra, ostetrica. I materiali che si possono off rire: latte in polvere, guardaroba, banco alimentare, pannolini. Le caratteristiche di quel servizio rispetto al territorio; le risorse umane presenti in quella realtà territoriale fatto di reti formali: livelli di aiuto istituzionali quali Comuni, Province per gli assegni economici di diversa natura, case popolari, case d’emergenza; organi preposti per immigrati o questioni di violenza quindi Questura, Prefettura e Forze di Polizia; e reti informali con altre persone ed associazioni (Caritas, San Vincenzo, Croce Rossa, gruppi amicali, case protette per violenze). Non si deve nemmeno escludere di mettere al corrente le persone che la legge italiana prevede la possibilità di non riconoscere il bimbo alla RAPPORTI DAL MONDO N. 1 ANNO IX nascita per poterlo dare in adozione e far conoscere anche le realtà delle culle per la vita per evitare che i bimbi appena nati vengano gettati nei cassonetti. Per fare tutto ciò la prima cosa da fare è formarsi veramente, avere e comunque allenare quelle caratteristiche che fanno di ogni persona prolife un testimone credibile e coerente: l’ascolto (dia-logos che insegna ad andare oltre le parole), l’empatia (intesa qui come l’essere sempre diapason della vita), la genuinità (autenticità spontanea che si differenzia dall’istintività poiché implica la rifles- sione), il rispetto per l’altro nelle modalità di azione, la capacità di riservatezza rispetto agli argomenti delicati trattati, la conoscenza dei propri limiti (che ognuno di noi ha), la conoscenza dei propri pregiudizi (di cui nessuno di noi è scevro) e la continua formazione personale quella cura dell’essere più che del semplice sapere e saper fare. A quel punto il credere alla vita diventa testimonianza proposta, patente di accesso ai cuori e alle menti, promessa mantenuta che per ognuno di noi non tutto è facile ma può essere meno difficile e soprattutto non vissuto in solitudine. A cura di Carlo Bellieni Autonomia e medicina: tutti sconfitti? Far decidere il paziente in solitudine, in auto-nomia, sembra oggi un grande successo, che forse sconfigge il paternalismo, ma che lascia le persone spesso nei guai. Questo libro raccoglie il giudizio di diciassette autorevoli medici, economisti, presidenti di associazioni di malati che affermano una semplice cosa: medici, decidete di più! Non lasciate le scelte all’umore vostro o del paziente e, soprattutto, non lasciate il paziente da solo, con un foglio di diagnosi in mano! Nella stessa collana: CANTAGALLI 37 RAPPORTI DAL MONDO 38 V iviamo giorni straordinari come popolo pro-life in Italia. I due poli dell’associazionismo cattolico si incontrano con due grossi eventi: la Marcia per la vita e la raccolta firme One of us, Uno di noi. La Comunità Papa Giovanni XXIII ha LA COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII A SERVIZIO DELLA VITA NASCENTE Enrico Masini Animatore generale Servizio Maternità Difficile e Vita Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII per missione specifica la condivisione diretta, cioè mettere la vita con quella dei poveri, con gli ultimi di questa terra. 40 anni fa è stata fondata la prima Casa Famiglia, poi moltiplicata in 32 paesi dei 5 continenti: oggi sono oltre 300 nel mondo. Si tratta di vere famiglie, composte da un papà e una mamma che, insieme ai propri figli naturali, accolgono sotto lo stesso tetto persone con ogni genere di difficoltà; non ci sono operatori che si turnano ma si vive insieme 24 ore su 24. Le persone accolte restano per tutto il tempo di cui ci sarà bisogno per tornare poi nella loro famiglia, ritrovare l’autonomia o talvolta restano per sempre. Anche alla mia famiglia in più occasioni è stato chiesto di fare accoglienza. Ricordo una telefonata del nostro fondatore don Oreste Benzi nel pomeriggio del 26 dicembre 1999: “Ho qui una ragazza alcolista, domani mattina la fanno abortire se non la prendi in casa tua”. Un breve consulto in famiglia, coinvolgendo anche i nostri figli più piccoli (vi assicuro che non hanno mai detto di no) e dopo poche ore Svetlana era a casa nostra. Al momento della cena nostra figlia Chiara di due anni e mezzo prese dal cassetto uno dei suoi bavaglini e glielo appoggiò sul ventre. Lei aveva capito tutto. N. 1 ANNO IX Io sono arrivato alla Comunità Papa Giovanni XXIII nel 1994 come Obiettore di coscienza per svolgere il servizio civile. Era in corso la guerra fra le etnie che componevano l’ex Jugoslavia, appena al di là dell’Adriatico, a pochi chilometri da Rimini dove vivo, dove è nata e ha sede l’associazione. Giungevano notizie di fatti atroci e non ci si sentiva di restare impotenti. Alcuni di noi partirono per andare a vedere cosa si potesse fare. Così si iniziò a vivere con i popoli in guerra, con loro anche sotto le bombe, sugli opposti fronti per costruire insieme ponti di pace, fino alla fine del conflitto. Nel panorama pro-life abbiamo una precisa identità, un modo di agire che ci caratterizza. Tuttavia abbiamo scelto di mantenere un dialogo aperto e pacifico con tutti. Così siamo presenti numerosi qui oggi e domani alla Marcia, come in ogni parrocchia per raccogliere le firme. Quando, nel costituendo Comitato Uno di noi, si è scelto il 12 maggio come giornata nazionale per raccogliere le firme, in coincidenza con la Marcia per la vita, io mi ero opposto definendolo “Un atto di guerra”. Stavo ritirando la nostra adesione ma poi il nostro presidente, Giovanni Paolo Ramonda, mi ha saggiamente chiesto di aderire pretendendo che venisse verbalizzata la nostra contrarietà a tale coincidenza. Questo ha provocato una serie di confronti ed incontri che hanno trasformato il conflitto in opportunità. Così domani vivremo una unica giornata straordinaria per la vita. I due percorsi si sono intrecciati con un mutuo riconoscimento e reciproca adesione. Un fatto storico che abbiamo la responsabilità di coltivare e consolidare. Un giorno mi fermò don Oreste esclamando: “Ho trovato il modo di far cessare gli aborti in tutta Italia. Andiamo a pregare di fronte agli ospedali nel giorno e nell’ora in cui si praticano gli aborti!”. Così iniziammo a Rimini e poi in diverse altre città. Ci fu il contrasto di tanti, anche al nostro interno. Il giorno prima incontrai don Oreste e gli dissi: “Domani vengo, ma solo per obbedienza, mi ritrovo tutti contro e anche io non so che fare”. Lui invece: “Se devi venire per obbedienza stai pure a casa ma io ci vado, anche da solo”. Così, sullo stretto marciapiede di Villa Assunta, vicino alla stazione ferroviaria di RAPPORTI DAL MONDO [1] Don Oreste Benzi, Nel cuore della famiglia, ed Sempre, 2008, pp. 193-194. Rimini, il 24 marzo 1999 ci ritrovammo in 80 per la recita del rosario. Dopo poche settimane la clinica venne chiusa e ancora oggi non si è riusciti a riutilizzare quello stabile. Un giorno a Forlì, appena finita la preghiera si fermò una coppia dicendo: “Vi abbiamo visto pregare, così non ce la sentiamo più di abortire nostro figlio”. Si trattava di una famiglia molto problematica, che seguiamo ancora. Proprio nella successiva giornata per la vita è nato Francesco”. Una volta arrivarono i Carabinieri all’ospedale dei bambini, il Salesi di Ancona. Chiesero a don Oreste i documenti. Lui prontamente li estrasse dicendo: “Eccoli, se vuole vengo anche in caserma, ma è lì dentro che uccidono i bambini, noi qui stiamo solo pregando”. Il brigadiere sottovoce: “Don Benzi, ci hanno chiamati”. Qualche mese fa ero ancora davanti a quella clinica e mentre pregavamo è passata una volante. Il poliziotto lato passeggero si è girato verso di noi, si è coperto il volto con la sinistra e con la destra si è fatto il segno della croce, così come fanno molti passanti. Tutte le nostre iniziative hanno due risvolti: quello della condivisione diretta e quello della rimozione delle cause che provocano l’emarginazione. “Il povero ha bisogno subito. L’affamato ha bisogno di mangiare oggi – ripeteva don Oreste Benzi – ma dobbiamo far sì che da domani non si debba più umiliare a chiederlo” e questo per non essere complici di chi produce le ingiustizie. Denuncia pubblica, proposte alternative e pagare di persona sono le nostre direttrici, in una continua relazione con tutte le forze istituzionali e politiche per evitare che chi fabbrica le croci si avvalga della nostra copertura. La nostra associazione è apartitica ma non apolitica, sempre attenta alla politica nell’ottica della costruzione della città, del bene comune. È una associazione laica ma non atea che si mette in relazione positiva con tutti ma senza nascondere l’appartenenza a Cristo. Rispetto a leggi molto contestate, volte a regolamentare alcune ingiustizie, abbiamo avuto da sempre una posizione molto chiara: “L’ingiustizia non si può regolamentare, può essere solo eliminata”. Nel libro che stava scrivendo don Oreste Benzi proprio nei giorni in cui ha lasciato N. 1 ANNO IX questa terra si legge: «La legge sull’aborto non può essere riformata, deve essere cancellata; non capisco l’ipocrisia di credenti che sostengono la legge barbarica dell’uccisione dei bambini. Come Erode ha eliminato i bambini fra i quali poteva esserci uno che gli avrebbe dato fastidio, così i nuovi Erode uccidono i bambini che danno fastidio. Si tratta di una brutalità ingiustificabile»1. Oggi è sempre più evidente come la legge sull’aborto serva a tenere a bada il numero dei poveri che un tempo servivano per fare le guerre e per coltivare la terra ma che oggi, secondo una società utilitarista, rappresentano soltanto un peso e un ostacolo. In diverse città abbiamo percorsi con le Asl. Condividiamo solo quanto può unirci. Nel rapporto con i Consultori è chiaro come la parte di incontro, ascolto e rimozione delle cause che portano la donna a richiedere l’aborto ci trovano pienamente collaborativi nel trovare ed attuare soluzioni adeguate. Le nostre strade si biforcano quando la gestante dovesse perseverare nella sua richiesta di abortire. Il Consultorio fissa l’appuntamento per l’aborto e “chiude la pratica”, mentre noi restiamo disponibili, 24 ore su 24 ad intraprendere il percorso di vita proposto, continuiamo a pregare e sperare nella Vita. La richiesta di aiuto per una donna-coppia con una gravidanza inattesa o problematica fa scattare una proposta di incontro che, nel caso di pericolo per la vita, cerchiamo di realizzare nelle 24 ore succcessive, raggiungendola a casa sua o dove si senta a suo agio, mobilitandoci da ogni luogo in cui siamo presenti. Un’accoglienza gioiosa è il primo necessario ingrediente per favorire il dialogo e la fiducia. Un ascolto attento fa emergere, in genere, situazioni personali e famigliari molto pesanti da cui da sola la donna non intravvede vie d’uscita, si sente in un vicolo cieco. “Tuo figlio vuole vivere”. Esplicitare e condividere la fragile presenza del figlio rappresenta un fattore fondamentale nel colloquio: siamo qui per lui, insieme cerchiamo una alleanza per accoglierlo con più serenità. Questo cerchiamo di farlo non sminuendo i suoi problemi, non pretendendo di avere la bacchetta magica ma mettendo la nostra spalla sotto la sua croce: “I tuoi problemi sono i nostri problemi, insieme ce la possiamo fare”. “Non le risposte che fanno comodo a noi, ma quelle di cui c’è veramente bisogno” diceva 39 RAPPORTI DAL MONDO 40 sempre don Oreste. Così non abbiamo un progetto preconfezionato ma lo si elabora insieme, valorizzando ogni sua risorsa, attivando tutto il possibile nel territorio in cui vive. Un accompagnamento costante che può arrivare all’accoglienza in Casa Famiglia, per tutto il tempo che serve alla donna a ritrovare l’autonomia. Sempre più spesso ci capitano casi in cui l’aborto è forzato, forzato dalle situazioni o dalle persone che la donna ha accanto. In genere sono i genitori contro la minorenne, i servizi sociali contro chi ha già altri problemi, il medico contro il figlio imperfetto, il datore di lavoro contro la dipendente. Insistenze che possono arrivare a minacce e a vere e proprie costrizioni con l’inganno e la violenza. Ho seguito molto da vicino la vicenda di Lucia e Rebecca, le gemelline siamesi nate a Bologna due anni fa. La madre fa parte della nostra Comunità, il marito è non credente. Fu proprio il padre, ancora prima dell’ecografista, ad accorgersi che erano unite, con un cuore solo. Alla proposta del medico di abortire le bambine lui ha subito replicato: “Ammazzare loro o uno di 20 anni per me è la stessa cosa”. Allo stesso modo, dalla coppia che abbiamo accompagnato ieri al funerale del figlio Francesco di appena 11 mesi ho raccolto la stessa testimonianza alla fine del funerale: “Siamo sereni, perché abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare”. La stessa cosa non potrà mai dire una coppia che invece ha optato per l’aborto. Una sera mi chiamò una assistente sociale dal sud Italia, sottovoce, titubante: “Ho una donna schizofrenica di 42 anni che domani andrà ad abortire ma se voi l’accogliete non va. Però dovete farlo subito e gratuitamente”. È stata subito accolta in una nostra Casa Famiglia a Riccione, ma dopo alcune settimane ha abortito spontaneamente. Così è nato Matteo. Con il consenso della madre è stato il primo bimbo che abbiamo accompagnato alla sepoltura. Matteo nacque a 4 mesi dal concepimento, visse appena il tempo di emettere un respiro e di essere battezzato dall’ostetrica. La madre aveva spesso momenti di delirio in cui gridava: “Ridatemi Matteo, il mio bambino, me lo hanno portato via, dove lo avete messo?”. Era infatti consapevole che non avrebbe potuto fargli da madre e che le sarebbe stato tolto. Così bastava andare con lei al cimitero per depositare un mazzo di N. 1 ANNO IX fiori sulla tomba per tranquillizzarla. Da lì abbiamo capito l’importanza della sepoltura come atto di misericordia, di gratitudine verso la vita, di attenzione verso il corpicino di un bimbo anch’esso destinato alla resurrezione. Ne abbiamo capito l’importanza nella rielaborazione del lutto da parte della madre e del resto della famiglia, in quanto consente di socializzare il dolore, di piangere e non reprimere facendo finta di niente come spesso semplicisticamente suggerito. Una delle iniziative più forti e spesso osteggiate è l’attenzione verso i più piccoli, i piccolissimi, gli embrioni di poche cellule appena prodotti in vitro che vengono selezionati, gettati, congelati e molto spesso abbandonati. Difficile trovare qualcuno che anche solo preghi per loro. Alcune nostre coppie di sposi si sono rese disponibili ad accoglierne qualcuno per dare una possiblità di vita, raramente anche di nascere ma sempre di avere una occasione di amore. Quindi anche quei tanti che una volta scongelati non riescono poi a sopravvivere muoiono, sì, ma durante un atto di amore accogliente di una madre pronta a rigenerarli nell’amore, potendo sperimentare per pochi minuti, poche ore o pochi giorni l’amore materno. Ed è quello che resta e che può portare qualcosa di bello e buono e nella nostra società. Che non venga effettuata nessuna selezione è il nostro criterio irrinunciabile; diverse coppie si spingono a chiedere quelli in procinto di essere soppressi, anche con patologie accertate. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40) e su questo Gesù insiste, “in verità vi dico”, è il criterio per entrare nel suo regno, una rivoluzione. Infatti al tempo i bambini non contavano niente, come oggi embrioni e feti umani. Non una condanna, ma un monito e una indicazione chiara di cammino. Termino con una frase che ripeteva sovente don Benzi e che porteremo nel nostro striscione domani alla marcia: “Con l’aborto due vittime: una mortalmente e l’altra per sempre”. Ora che avete saputo vi invito a non far più finta di niente, a rimboccarvi le maniche, non è una cosa per pochi ma che ognuno di noi, nel proprio piccolo può fare. Quindi vi lancio la provocazione e la palla. Vi auguro di appassionarvi alla vita e alla condivisione diretta. Ne vale la pena. Ci state? SPOGLIO INTERNAZIONALE N. 1 ANNO IX SPOGLIO INTERNAZIONALE [a cura di Benedetta Cortese] BENEDETTO XVI CASAZZA, Fabrizio, Matrimonio e famiglia nel magistero di Benedetto XVI, «Rivista di teologia morale» 178, aprile-giugno 2013, pp. 227-240. COCCOLINI, Giacomo, Elementi teologico-politici nel magistero di Benedetto XVI, «Rivista di teologia morale» 178, aprile-giugno 2013, pp. 213-226. FORUM, L’eredità di Benedetto XVI. 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BESENGHI, 16 FOR THE SOCIAL DOCTRINE OF THE CHURCH I N E S