Bollettino1-2013.ps [ 2 ], page 1-48

GENNAIO - MARZO 2013
N. 1 | ANNO IX
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
CARD. VAN THUÂN
SULLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
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BOLLETTINO
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DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
MEDICI
FINO
IN FONDO
IL BUON MEDICO
NEI CASI
ETICAMENTE SENSIBILI
SOMMARIO
N. 1 ANNO IX
MEDICI FINO IN FONDO
IL BUON MEDICO NEI CASI ETICAMENTE SENSIBILI
Editoriale
S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi
I medici, la vita e la Dottrina sociale della Chiesa .............................................................. 3
Focus 1
Cardinale Carlo Caffarra
Il Vangelo della vita nella cultura moderna ........................................................................ 5
Focus 2
S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Il principio della difesa della vita umana e l'impegno pubblico della fede cattolica........ 8
Focus 3
Padre Gonzalo Miranda LC
Le virtù del medico ..............................................................................................................11
Rapporti dal Mondo
Renzo Puccetti
Aborto e salute della donna: stato dell’arte......................................................................14
Elena Giacchi
Infertilità: ruolo dei metodi naturali ...................................................................................21
Giuseppe Noia
Palliazione fetale: come curare il feto e lenire il dolore .................................................. 24
Carlo Bellieni
La rianimazione del neonato: rischi etici e suggerimenti ................................................ 28
Maria Cristina del Poggetto
La sindrome post-abortiva, status quaestionis................................................................31
Cinzia Baccaglini
Il colloquio di salvataggio. Un percorso ad ostacoli per arrivare alla vita ......................34
Enrico Masini
La Comunità Papa Giovanni XXIII a servizio della vita nascente ..................................... 38
Spoglio internazionale
a cura di Benedetta Cortese ............................................................................................................41
Libri ricevuti ........................................................................................................................44
1
EDITORIALE
2
N. 1 ANNO IX
BOLLETTINO
DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
CARD. VAN THUÂN SULLA DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA - TRIESTE
Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa
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EDITORIALE
N. 1 ANNO IX
I
In questo fascicolo del Bollettino il lettore troverà alcune delle principali relazioni
tenute al Convegno svoltosi l’11 maggio
2013 presso il Pontificio Ateneo Regina
Apostolorum di Roma dal titolo Medici fino
in fondo. Il buon medico nei casi eticamente sensibili. Il convegno era stato indetto in collegamento con la Marcia nazionale per la Vita
tenutasi a Roma il giorno successivo, domenica 12 maggio 2013.
I MEDICI, LA VITA
E LA DOTTRINA
SOCIALE DELLA
CHIESA
S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Presidente dell’Osservatorio
[1] Cfr. Ideologia del genere o la fine del genere
umano, «Bollettino di
Dottrina sociale della
Chiesa» VIII (2012) 3.
Vorrei spiegare perché il nostro Osservatorio si è impegnato in questo campo apparentemente non connesso con la Dottrina
sociale della Chiesa e perché ora diamo spazio nel nostro Bollettino a queste relazioni.
È ormai evidente che i temi della medicina, tutti ma in particolare alcuni di profondo
significato umano, hanno una dimensione
sociale, giuridica e politica di primaria importanza. La medicina oggi non può più
essere considerata solo relativamente alla
“salute”, in quanto la salute è diventata una
grande e dirompente “questione sociale”. La
deontologia medica non è più l’unico aggancio della medicina con l’etica, e quindi con la
religione. A meno di non allargare la stessa
deontologia, ampliandola oltre la relazione
professionale con il paziente, che rimane
fondamentale, fino a raggiungere le questioni più strutturali delle leggi e delle dinamiche sociali e politiche.
In questo fascicolo si possono leggere soprattutto interventi sul tema della vita umana,
sulla sua accoglienza e la sua difesa. Ma ormai quello della vita umana fa tutt’uno con il
problema dell’identità umana. Fin da subito i
due problemi si sono richiamati vicendevolmente in quanto l’aborto nasce da una visione
ideologica dell’identità umana. Ma oggi la sovrapposizione del tema della vita con quello
dell’identità umana è ancora più evidente e
ciò collega l’aborto all’ideologia del gender1 e
a tutte le conseguenze che questa comporta.
Vorrei sottolineare in modo particolare questo
nesso, perché spesso si sostiene che una questione è l’aborto e un’altra l’ideologia del gender in quanto la prima non riguarda l’identità umana ma la vita e la seconda l’identità
umana. Da un punto di vista sociale, quindi,
l’ideologia del gender sarebbe più pericolosa.
In fondo, si dice, “l’aborto c’è sempre stato”. A
mio avviso, invece, il tema dell’identità umana
è presente anche nella questione dell’aborto e
con un ruolo di primaria importanza. Non si
legalizza l’aborto se prima non si è persa la
corretta nozione di cosa è la persona umana.
Perciò collocherei le due questioni su un unico
percorso negativo. È vero che l’ideologia del
gender interviene sulla procreazione, la famiglia e la filiazione e da qui destabilizza tutte le
relazioni sociali. Anche l’aborto, però, lo faceva e lo fa. La possibilità della fecondazione in
vitro dà all’ideologia del gender una praticabilità prima impossibile. Ciò ne ha aumentato
a dismisura l’impatto sociale. Ma questo non
autorizza a dire che nasce una nuova questione, ma piuttosto che la questione antropologica si è radicalizzata.
La relazione del Cardinale Caffarra, che
apre questo numero del Bollettino, è incentrata su “chi” è l’uomo, ossia sul tema
dell’identità, in quanto il significato e valore della vita dipende dalla risposta a questa domanda. A quali condizioni si entra a
far parte del genere umano? La risposta del
cardinale è secca: alla semplice condizione
di appartenere biologicamente alla razza
umana. Qualsiasi altra condizione aggiuntiva sarebbe ideologica. Il mio intervento,
dal titolo Il principio della difesa della vita
e il ruolo pubblico della fede cattolica, amplia
la prospettiva dell’identità umana, passando
dal piano antropologico a quello teologico,
ossia ponendola in relazione con la “natura”, che rimanda da un lato al Creatore e
dall’altro al Salvatore, in quanto si tratta di
una natura decaduta bisognosa di salvezza.
Così il tema dell’identità umana, e di conseguenza quello della vita, entrano a pieno
titolo nella Dottrina sociale della Chiesa.
Ecco spiegato il motivo per cui il nostro
Osservatorio se ne interessa e pubblica in
3
EDITORIALE
4
[2] V. Possenti, Il nuovo
principio persona, Armando, Roma 2013.
8 Gómez d’Ávila, In margine a un testo implicito,
Adelphi, Milano 1996.
[3] J. Ratzinger, Natura e
compito della teologia.
Il teologo nella disputa
contemporanea - storia
e dogma, Jaka Book, Milano 20052, p. 24.
[4] Cfr. “La colonizzazione della natura umana”, in Quarto Rapporto
sulla Dottrina sociale
della Chiesa nel mondo,
a cura di G. Crepaldi e
S. Fontana, Cantagalli,
Siena 2012.
[5] J. Pieper, La realtà
e il bene, Morcelliana,
Brescia 2011, p. 58.
N. 1 ANNO IX
questo fascicolo del Bollettino le relazioni
del convegno. Entrano a pieno titolo nella Dottrina sociale della Chiesa, ossia nella
“questione sociale”, in quanto riconducono
la costruzione della società al progetto di
Dio sul mondo. La Chiesa ha espresso una
sua Dottrina sociale come conseguenza di
essere essa stessa depositaria e custode della
Creazione, quindi della legge naturale, lievito di evangelizzazione e quindi di salvezza.
Tale salvezza riguarda tutta la realtà: personale, cosmica e sociale. A partire dalla questione dell’identità umana, che il tema della
vita mette in evidenza, si ricostruisce quindi
il senso stesso della Dottrina sociale della
Chiesa che troppo spesso viene assimilata
a saggezza e prudenza terrene mentre essa,
pur essendo anche questo, è molto di più.
C’è oggi un argomento che testimonia
l’appartenenza del tema dell’identità e della
vita umana al campo della “questione sociale” come la Chiesa la intende. Si tratta
dell’obiezione di coscienza, che nel contesto
attuale ha assunto un’importanza decisiva e
ha dilatato il suo significato. Nei confronti
della vita, tutti i codici deontologici, a cominciare da quello di Ippocrate, hanno richiamato la coscienza del medico al rifiuto
di provocare l’aborto. Oggi la questione si è
però allargata, in quanto il nesso tra aborto e identità umana si à meglio chiarito in
tutte le sue possibili derive negative. C’è per
esempio un aborto camuffato che richiede
l’obiezione di coscienza, per esempio, anche
nel prescrivere la cosiddetta “contraccezione
di emergenza” che può avere effetti abortivi.
C’è la necessità di fare obiezione di coscienza a leggi, come quella voluta negli Stati
Uniti dal governo Obama, che prescrivono
ai datori di lavoro assicurazioni per i dipendenti che prevedano l’aborto chimico e la
sterilizzazione, oltre che la contraccezione.
Lo stesso principio di difesa dell’identità
umana e della vita si estende poi alle situazioni legate alla procreazione artificiale, alla
difesa degli embrioni umani, all’opposizione al riconoscimento delle coppie omosessuali e così via. In altre parole l’obiezione
di coscienza per la vita e l’identità umana
allarga i casi di applicabilità, si estende a
leggi e a pratiche sociali che vanno oltre lo
stretto rapporto medico-paziente. Mentre
scrivo queste righe, in Italia si sta rivedendo il codice deontologico dei medici ed è
evidente come le nuove ideologie che negano la natura umana e quindi l’identità della
persona tentino di insinuare nel nuovo testo
modifiche che, se approvate, richiederanno
ai medici un nuovo coraggio nel fare obiezione di coscienza.
Accennavo sopra al fatto che aborto e
ideologia del gender appartengono ad un
unico processo negativo e che vanno messe
in relazione tra loro. Questo processo negativo è la corrosione prima e la dissoluzione
poi del concetto di “natura” e quindi anche
di “natura umana”. Sono grato a quei pensatori che, nonostante le principali correnti
filosofiche odierne battono altri lidi, e senza
cessare di dialogare con esse, hanno tenuto
fermo il valore ontologico della persona2. Si
tratta di coraggio intellettuale. Se la persona
non è tale al livello dell’essere, come potrà
esserlo ad altri livelli? La stessa teologia oggi
deve riprendere il contatto con l’ontologia
per fondare adeguatamente l’antropologia
cristiana3. Credo che su questo sia necessario lavorare ancora molto. La distruzione del
concetto di natura portato avanti dalle ideologie dell’aborto e del gender4 è la più forte
promozione di una visione contrattualistica
della società e dei rapporti sociali e li consegna indifesi al relativismo.
Le relazioni che seguono in questo fascicolo fanno riferimento a questo concetto di
natura, non dal punto di vista filosofico o
teologico ma dal punto di vista della prassi
medica. Essere “medici fino in fondo” non è
meno coraggioso che essere filosofi o teologi fino in fondo. Significa prendere sul serio
il concetto di natura e di identità umana,
porlo al suo livello più radicale, senza sconti, e adeguarvi la propria prassi medica perché possa essere una prassi medica umana.
Al concetto di natura di solito si rimprovera di essere oggettivo e freddo, incapace
di muovere il soggetto e tantomeno di riconoscergli una sua creatività. Le relazioni
dei medici che potrete leggere in questo
fascicolo testimoniano il contrario: la verità
non è mai né solo oggetto né solo soggetto,
è sempre la relazione tra oggetto e soggetto.
L’oggetto ha la prevalenza quanto ai contenuti, ma è il soggetto ad avere la prevalenza
quanto al modo5. Nessuno degli autori di
questi studi conduce analisi teoretiche sulla
natura umana ma tutti dimostrano di conoscerla e di viverla.
FOCUS | 1
N. 1 ANNO IX
V
orrei iniziare col dire molto semplicemente quale è il nucleo essenziale
del Vangelo della vita. Mi servo di un
testo di Giovanni Paolo II: «Quale valore
deve avere l’uomo davanti agli occhi del creatore, se ha meritato di avere un tanto nobile e grande redentore, se Dio ha dato il suo
IL VANGELO
DELLA VITA NELLA
CULTURA MODERNA
S. E. Mons. Carlo Caffarra
Arcivescovo Metropolita di Bologna
[1] Redemptor hominis,
10; EE 8, 28-29.
[2] Cfr. Confessioni, Libro
I, 1,1.
[3] S. Kierkegaard, “Postilla conclusiva non
scientifica”, Introduzione, in Opere, Sansoni,
Firenze 1972, p. 268.
[4] Cfr. 1, q. 93, a. 2.
[5] Confessioni,
XIII, 8, 9.
Libro
Figlio, affinché egli, l’uomo, non muoia ma
abbia la vita eterna? In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore e alla dignità
dell’uomo si chiama evangelo, cioè la buona
novella. Si chiama anche cristianesimo»1.
Il Vangelo della vita è la bella notizia che
Dio si prende cura di ogni uomo. E questa
è la dimensione oggettiva, il suo contenuto
espresso fin dalle prime professioni di fede
nella formula “per noi” (pro nobis – υπερ
εμώυ). Accolta dall’uomo, ritenuta mediante la fede assolutamente vera, quella bella
notizia produce nella coscienza dell’uomo
non solo lode a Dio piena di gratitudine,
ma anche un «profondo stupore riguardo al
valore e alla dignità dell’uomo». È questa la
dimensione soggettiva del Vangelo della vita, il
suo contenuto propriamente antropologico.
Lo stupore è la principale – Aristotele pensava fosse l’unica – sorgente della conoscenza.
Lo stupore, che l’uomo vive riguardo a se stesso ogni volta che gli viene detta la bella notizia, lo spinge ad interrogarsi circa se stesso,
a chiedersi: “Ma, alla fine, che cosa è l’uomo
perché Dio se ne prenda cura fino a questo
punto?”. La domanda sull’uomo quindi si trova sempre al centro della riflessione cristiana,
della fides quaerens intellectum, poiché è intrinseca alla riflessione cristiana sul mistero di
Dio e sul mistero dell’Incarnazione.
Fin dall’inizio delle Confessioni, Agostino
esprime questa tensione bi-polare. Da una
parte egli si vede, e pensa l’uomo, come aliqua portio creaturae tuae (una particella, un
frammento dell’universo: la stessa esperienza espressa mirabilmente da Giacomo Leopardi in Canto notturno di un pastore errante
dell’Asia); ma dall’altra vede in sé, in ogni
uomo, il desiderio di lodare Dio: et tamen
laudare te vult homo, aliqua portio creaturae
tuae (e tuttavia vuole lodarti)2.
Non voglio ora percorrere, neppure per
sommi capi il cammino della scoperta che
l’uomo è andato facendo di se stesso, per rispondere alla domanda: “ma chi sono per essere preso in cura da Dio stesso fino a questo
punto?”. La risposta in fondo è la seguente:
Dio si prende cura speciale di questa «portio
aliqua creaturae suae» perché ha voluto l’uomo
per Sé; lo ha destinato ed orientato a vivere
eternamente con Lui. Le altre realtà create,
singolarmente prese o nel loro insieme, non
esistono per questo scopo. E pertanto Dio
non si cura di loro colla stessa intensità con
cui si cura dell’uomo.
Egli «attribuisce una tutt’altra importanza
[…] al mio piccolo io come ad ogni altro io,
per piccolo che sia, poiché vuole rendere questo io eternamente beato, se il singolo è così
compiacente di entrare nel cristianesimo»3.
Nel testo che ho citato sopra, Agostino
scrive: «Sei tu che lo stimoli a provare gioia
nel lodarti, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo
in te». Fate bene attenzione. Non registrate
questo testo, molto famoso, con quei pregiudizi interpretativi derivati dalla nostra
coscienza ammalata di psicologismo. L’affermazione del cor inquietum non ha principalmente significato psicologico, ma ontologico.
Denota chi è l’uomo; denota la soggettività
metafisica dell’uomo: un essere fatto da un
altro, che può realizzarsi pienamente solo in
Dio. San Tommaso dirà «capax Summi Boni»
(capace di possedere il Sommo Bene)4.
Sempre nelle Confessioni, Agostino esprimerà lo stesso pensiero in modo ancora più
suggestivo: «Tu mostri a sufficienza quanto
grande abbia fatto la creatura razionale, alla
quale, per avere pace e felicità, non basta nulla che sia meno di Te, e quindi non basta a
se stessa»5.
Dio si prende cura dell’uomo perché lo
chiama, lo desidera come suo compagno,
amico con cui condividere la sua eterna beatitudine e la sua vita divina.
La scoperta del senso, del fine dell’esserci
dell’uomo coimplica la scoperta delle condi-
5
FOCUS | 1
6
[6] 1, q. 29, a. 3.
[7] 3, q. 1, a. 2.
N. 1 ANNO IX
zioni strutturali dell’uomo. Se l’uomo deve
raggiungere quel fine, deve essere fatto in un
certo modo: deve essere adeguato, proporzionato allo scopo. Che cosa significa tutto
questo? Significa essere persona: solo la persona è tale da poter essere orientata ad un
tale scopo. Essa infatti è soggetto – capace di
conoscere ed amare – incorruttibile ed eterno, cioè spirituale.
Tommaso quindi concluderà: «La persona indica ciò che di più perfetto esiste in
tutta la natura, la sussistenza in una natura
razionale»6. Cioè: non si può essere più che
una persona. Il grande dottore della Chiesa
scrive che «se Dio si è fatto uomo è stato per
istruirci della dignità della natura umana»7.
In questa percezione dell’incomparabile
perfezione della persona sono state viste due
verità implicate.
La prima: l’uguaglianza quanto all’essere
fra le persone umane. Non si può essere persona più di un’altra. La dignità ontologica di
ogni persona umana è identica.
La seconda: essendo ciò che di più perfetto esiste, nessuna persona umana è ordinata
ad un bene creato, come mezzo verso il fine
o parte in funzione del tutto. Ogni persona
umana è una realtà che precede lo Stato, e
lo trascende. Ogni persona umana trascende
l’intero universo creato sia nel suo aspetto
materiale sia nella sua organizzazione sociale.
Nella storia dell’Occidente è accaduto un
evento spirituale sul quale non rifletteremo
mai abbastanza. Comincio col descriverlo
con un esempio. Immaginiamo un roveto ardente. Da esso escono tante scintille, che si
staccano dal roveto, senza che a lungo andare
si spenga a causa di questo.
Il Vangelo della vita, vero roveto ardente acceso nella coscienza dell’Occidente, ha
sprigionato alcune scintille, che pur avendo
avuto origine dal roveto, hanno vissuto di
vita propria.
La prima e più importante scintilla è stata
la scoperta dell’uomo come persona, come
un soggetto di incomparabile dignità.
La scoperta della persona, sprigionatasi
dal Vangelo della vita, ha generato poi una
cultura politica, nella quale si sono riconosciuti anche coloro che, pur non avendo
accolto nella fede il Vangelo della vita, sono
guidati da un uso retto della ragione. In parole più semplici: il Vangelo della vita ha generato la democrazia occidentale.
Intendo democrazia non in senso meramente procedurale, ma sostanziale: la democrazia come riconoscimento della precedenza e superiorità della persona sullo
Stato; affermazione politica della dignità di
ogni persona, della conseguente uguaglianza di ciascuna a ciascuna e non ordinabilità
delle medesime ad un tutto ritenuto superiore.
Non è possibile seguire tutto il percorso
di questo processo culturale. Mi limito ad
accennare solo ad un particolare di non secondaria importanza.
Uno degli aspetti più travagliati di questo
processo è stata la faticosa determinazione
del criterio scriminante fra l’essere persona ed
il non-essere persona.
Via via furono superati vari criteri: l’appartenenza ad una classe sociale piuttosto
che un’altra (si pensi alla distinzione schiaviliberi); l’appartenenza ad una razza piuttosto
che un’altra; la “funzionalità sociale” (attitudine verso l’ammalato); ed altro ancora. Questo
travaglio non è ancora finito. Ma la posizione
più personalista è giunta alla conclusione seguente: essere persona coincide coll’essere un individuo appartenente alla specie umana. Nulla di
più e nulla di meno è richiesto. È questa oggi
la vera battaglia per l’affermazione della persona: esiste un solo criterio per distinguere chi
è persona e chi non è persona, l’appartenenza
biologica al genere umano.
Molte sono le argomentazioni per dimostrare questa affermazione. Mi limito,
per brevità, ad una sola. Se oltre al fatto
biologico, il riconoscimento della persona
esigesse una qualità ulteriore, anche i diritti
conseguenti allo statuto di persona dipenderebbero dalla qualità suddetta e sarebbero
da essa condizionati. Ora chi decide quale deve essere questa qualità? Ovviamente, con una procedura o altra, la comunità
umana già costituita. Ne deriverebbe che i
diritti fondamentali della persona sarebbero
condizionati dalla generosa concessione di
altri. Ma i diritti umani fondamentali non
vengono conferiti o concessi, ma rivendicati da ciascuno con uguale forza cogente: «I
diritti delle persone sono in generale diritti incondizionati soltanto quando essi non
vengono fatti dipendere dall’adempimento di qualche condizione qualitativa, della
cui esistenza decidono coloro che sono già
membri della comunità giuridica»8.
FOCUS | 1
[8] R. Spaemann, Persone, Laterza, RomaBari 2005, p. 241.
[9] Gaudium et spes,
26; EV 1, 1482.
[10] In margine ad un
testo implicito, Adelphi
Edizioni, Milano 2001,
p. 88.
N. 1 ANNO IX
Una considerazione, prima di procedere,
sulla quale ora non ho tempo di fermarmi.
Lo scardinamento del concetto di generazione e quindi di genealogia, quali si ha là
dove si riconosce il carattere coniugale alla
convivenza omosessuale, può a lungo termine essere devastante sull’identificazione della persona mediante il criterio dell’appartenenza biologica al genus humanum. E quindi
sulla fondazione dei diritti incondizionati di
ogni persona.
Abbiamo finora fatto, in sostanza, tre affermazioni: il Vangelo ha generato nell’uomo la coscienza di essere “qualcuno” e non
semplicemente “qualcosa” di incomparabile
dignità; questo fatto spirituale ha prodotto la
categoria metafisica, etica, e giuridica di persona, base delle nostre democrazie occidentali; questa categoria, vero primum metaphysicum – primum ethicum – primum juridicum,
benché partita dal Vangelo, si è mostrata
come condivisibile da ogni retta ragione.
Ma che cosa è accaduto in Occidente? Il
seguente evento culturale. Poiché la categoria di persona è pensabile senza la divina
Rivelazione, cioè senza la fede, poiché essa è
opus rationis et non fidei, è possibile costruire
un humanum, un sociale umano fondato sul
primato della persona, anche prescindendo
o negando Dio. In ordine alla custodia del
primato della persona, è del tutto irrilevante
l’esistenza di Dio, ed il rapporto della persona con Dio medesimo.
Una tale progettazione era destinata al
fallimento, per due ragioni fondamentali, le
quali poi sono le due strade che il fallimento
ha percorso e sta percorrendo.
La prima: la persona è radicata nella natura. Anzi, abbiamo detto che è un fatto biologico il criterio di appartenenza di qualcuno
alla comunità di persone. Tuttavia se scompare dalla coscienza umana l’idea di creazione, la persona non potrà che ridursi ad essere
il risultato fortuito, casuale di forze impersonali. Non solo, ma soprattutto, essa non godrà di nessuna sporgenza, trascendenza nei
confronti della natura, come oggi la ricerca
neurologica mira a dimostrare.
La seconda: la persona diventa consapevole della propria dignità in ragione del referente con cui è relazione. Se un mandriano
passasse tutto il suo tempo con le mucche,
egli si “sentirebbe persona” a riguardo delle
mucche. È una misura ben limitata. Se una
persona ha a che fare con persone socialmente importanti (è chiamato spesso da loro,
ne chiedono i consigli…), egli si “sentirebbe
persona” in misura ben superiore.
Possiamo dunque dire: la misura della
coscienza di essere persona è data dai suoi
referenti. Se il referente è infinito, cioè è Dio,
la dignità ha una qualche infinità; se il referente è sempre ed esclusivamente limitato,
la persona non avrà mai coscienza della sua
intera verità. E pertanto sarà sempre esposta al gioco di forze impersonali e del potere.
Conferma: il secolo più irreligioso, il secolo XX, ha conosciuto le due più tremende
dittature, quella nazional-socialista e quella
comunista.
La cultura occidentale in cui viviamo si
trova dunque in questa condizione: vive su
affermazioni di cui nega i presupposti.
Come si può uscire da questa situazione?
Papa Francesco lo va dicendo ogni giorno: la
Chiesa deve uscire dalle sagrestie ed evangelizzare al Vangelo della vita. Solo in questo
modo si attizza continuamente il fuoco di
quel roveto dal quale parte la scintilla dell’affermazione della dignità incomparabile di
ogni persona.
In questo modo i credenti, evangelizzando, aiutano anche coloro che vedono colla
loro ragione la dignità di ogni persona, e pur
non credendo, non negano la rilevanza della
fede cristiana.
Ma questo discorso è un po’ generico. La
testimonianza al Vangelo della vita è particolarmente inequivocabile – direi, è pura testimonianza – quando è affermata la dignità
incomparabile di quella persona umana che
può esibire un solo titolo di riconoscimento: l’appartenenza biologica al genere umano. La persona umana già concepita e non
ancora nata si trova in questa condizione.
Le minoranze che rendono questa testimonianza, in pubblico, che custodiscono
dentro la città la certezza del primato della persona, impediscono che siano erose le
fondamenta di ogni edificio sociale che non
voglia imbarbarirsi.
«Il frammento evangelico suscitò e suscita
nel cuore dell’uomo questa irrefrenabile esigenza di dignità»8.
Potrei riassumere tutto ciò che ho detto
con un profondo aforisma di Gomez Davila: «Ciò che non è persona, in fondo non è
nulla»10.
7
FOCUS | 2
N. 1 ANNO IX
D
8
edico questo mio intervento ad una
riflessione sulla centralità del tema
della difesa della vita umana fin dal
concepimento per la Dottrina sociale della Chiesa e, in generale, per continuare a
permettere che la religione cattolica abbia
IL PRINCIPIO DELLA
DIFESA DELLA VITA
UMANA E L’IMPEGNO
PUBBLICO DELLA
FEDE CATTOLICA
S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Presidente dell’Osservatorio
[1] Ho illustrato le ragioni teologiche del ruolo
pubblico della fede nel
primo capitolo del mio libro Il Cattolico in politica.
Manuale per la ripresa,
Cantagalli, Siena 2012.
[2] Come ha detto Benedetto XVI in Messico
nel Discorso a León del
25 marzo 2012.
[3] Della natura umana
come “lingua” ha parlato,
per esempio, Benedetto XVI
nel Discorso ad un gruppo
di Vescovi degli Stati Uniti
in visita ad limina del 19
gennaio 2012.
[4] Cfr. R. Spaemann –
R. Löw, Fini naturali.
Storia e riscoperta del
pensiero
teleologico,
Ares, Milano 2013.
[5] Cfr. G. Crepaldi - S.
Fontana, Quarto Rapporto sulla Dottrina sociale
della Chiesa nel mondo
- La colonizzazione della natura umana, Cantagalli, Siena 2012.
un ruolo pubblico, come deve necessariamente avere1. Ritengo importante situare
la riflessione sulla difesa della vita, anche
quella condotta dal punto di vista scientifico-medico come viene fatto in questo
convegno, all’interno della Dottrina sociale della Chiesa, ossia dentro il rapporto della Chiesa con il mondo. Perché in
questo consiste il ruolo pubblico della fede
cattolica, che non parla solo all’interiorità delle persone, ma esprime la regalità di
Cristo anche sull’ordine temporale e attende la ricapitolazione di tutte le cose in
Lui, Alfa e Omega. La regalità di Cristo
ha un significato spirituale2, certamente,
ma ne ha anche uno cosmico e sociale.
Senza questa dimensione pubblica, la fede
cattolica diventa una gnosi individuale, un
culto non del Dio Vero ed Unico ma degli
dèi, una setta che persegue obiettivi di rassicurazione psicologica rispetto alla paura
di essere “gettati” nell’esistenza.
Innanzitutto il tema della difesa della
vita porta con sé il messaggio della natura.
Ci dice che esiste una natura e, in particolare, una natura umana. Non ci sono altre
motivazioni valide per chiedere il rispetto del diritto alla vita e, per contro, chi
non lo rispetta è perché nega l’esistenza
di una natura umana o la riduce ad una
serie di fenomeni governati dalla necessità. La vita, invece, ci riconduce alla natura
orientata finalisticamente, come lingua,
come codice3. La nostra cultura ha perso
l’idea di fine4. Ha cominciato a perderla
quando Cartesio ha interpretato il mondo
come una macchina e Dio come colui che
ha dato un calcio al mondo, o forse anche
prima. Oggi viviamo in una cultura postnaturale, come dimostra ampiamente l’imperversare dell’ideologia del gender5, da
vedersi come una cultura post-finalistica.
Il principio di causalità, che nella filosofia
classica era connesso con quello di finalità,
se ne è staccato. La realtà non esprime più
un disegno ma solo una sequenza di cause
materiali. Rilanciare una cultura della difesa della vita significa allora anche recuperare la cultura della natura e la cultura
dei fini.
Il concetto di natura porta con sé la dimensione dell’indisponibile. Se la natura è
“discorso” e “parola”, essa esprime un senso
che ci precede. Non siamo solo produttori
di parole, siamo anche uditori della parola
che promana dalle cose, dalla realtà, dalla sinfonia dell’essere. Ammettere la vita
come dono inestimabile significa riconoscere che nella natura c’è una parola che
ci viene incontro e che ci precede. Ogni
nostro fare deve tener conto di qualcosa
che viene prima: il ricevere precede il fare6.
C’è qualcosa di stabile prima di ogni divenire. Negare la natura apre la porta culturale alla manipolazione della vita, perché
viene meno la dimensione dell’accoglienza
e della gratitudine. Non si è accoglienti e
grati nei confronti di ciò che produciamo
noi, ma solo di ciò che ci viene incontro
e si manifesta come un dono di senso. Se
questa dimensione viene meno a proposito
della vita nascente si indebolirà anche in
tutte le altre situazioni della vita e la società perderà inesorabilmente la dimensione
della reciproca responsabilità, come afferma la Caritas in veritate al paragrafo 287.
Se la natura è un discorso che ci interpella non ne è però il fondamento ultimo.
La natura non dice mai solo se stessa. La
vita nascente non dice mai solo se stessa. È
discorso che rimanda ad un Autore. Anche
nella persona umana nessun livello dice
solo se stesso e non c’è nulla nell’uomo di
esclusivamente materiale. Nessun livello
FOCUS | 2
[6] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo
apostolico, Queriniana,
Brescia 2003, pp. 41. Ho
ritenuto di dover interpretare l’intesa enciclica
di Benedetto XVI Caritas in veritate in questa
chiave: G. Crepaldi, “Introduzione” a Benedetto
XVI, Caritas in veritate,
Cantagalli, Siena 2009,
pp. 7-42.
[7] «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza
di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita
sociale si inaridiscono”.
Benedetto XVI, Caritas in
veritate, 28.
[8] Gómez d’Ávila, In
margine a un testo implicito, Adelphi, Milano
1996.
[9] Lo spiega molto bene
J. Pieper in La realtà e il
bene, Morcelliana, Brescia 2011.
[10] G. Crepaldi, “Ragione pubblica e verità
del Cristianesimo negli
insegnamenti di Benedetto XVI”, in Id., Dio o
gli dèi. Dottrina sociale
della Chiesa: percorsi,
Cantagalli, Siena 2008,
pp. 81-94.
[11] M. Borghesi, “I
presupposti naturali del
poter-essere-se-stessi.
La polarità natura-libertà di Jürgen Habermas”,
in F. Russo (a cura di),
Natura cultura libertà,
Armando, Roma 2010.
[12] Benedetto XVI, Discorso al Reichstag di
Berlino, 22 settembre
2011.
N. 1 ANNO IX
della realtà è pienamente comprensibile
rimanendo al suo proprio livello. Quando
pretendiamo di considerare qualcosa solo
al suo livello finisce che non la consideriamo più nemmeno a quel livello. Il Cardinale Caffarra ha concluso la sua Lezione con una citazione da Gómez d’Ávila,
autore che riprendo qui volentieri anch’io:
«Quando le cose ci sembrano essere solo
quel che sembrano, presto ci sembreranno essere ancor meno»8. La natura rivela
il Creatore, si presenta non solo come discorso ma anche come “discorso pronunciato”, come Parola. Quando si è tentato
di staccare la natura dal Creatore si è finito per perdere anche la natura. Quando si
vuole staccare il diritto naturale dal diritto
divino si finisce per perdere anche il diritto
naturale. Quando si stacca la dimensione
fisica della persona dalla sua dimensione
spirituale e trascendente si finisce per non
tutelare più nemmeno la sua dimensione
fisica. Se si pensa che la natura dica solo
se stessa finisce che la natura non ci dice
più niente. Oggi la vita nascente rischia
di non dire più niente, ossia di non venire
nemmeno più compresa come vita nascente, ma come semplice processo biologico.
Nei suoi confronti ci si comporta sempre
più come produttori piuttosto che come
uditori. Ma non è la natura a non dirci più
niente, è la nostra cultura che ha perso il
codice per comprenderla. E questo codice
non è solo un alfabeto umano.
Allora il tema della difesa della vita rimanda alla natura, rimanda a quanto ci
precede e rimanda al Creatore. Difendere la vita è difendere la vita, ma è anche
fare un’operazione culturale alternativa alla
cultura attuale: ricominciare a parlare di
un ordine e non solo di autodeterminazione. C’è un ordine che ci precede voluto da
un Ordinatore. Il Creato è un ordine e non
un mucchio di cose gettate a caso. Questo ordine è ordinato ed ordinativo, ossia
esprime un dover essere e un dover fare. In
altre parole è un ordine morale. Se quello ontologico è un ordine, non può non
tradursi in un ordine morale9. Eliminato
il bene ontologico non c’è più spazio per
il bene morale. All’ordine morale radicato
nell’ordine ontologico appartiene anche la
società, la convivenza umana. Ecco perché
il tema della difesa della vita è centrale per
la costruzione della convivenza umana degna della dignità naturale e soprannaturale
della persona. Ecco perché, credo di poter
dire, negli elenchi dei cosiddetti “principi
non negoziabili” che in varie occasioni il
Sommo magistero della Chiesa ha formulato, il principio del rispetto della vita
figura sempre al primo posto e non manca
mai.
Solo se c’è una natura, e solo se questa
natura è in sé un discorso, è possibile l’uso
della ragione. Parlo qui non della ragione
misurante i fenomeni, ma della ragione
che scopre orizzonti di senso. Solo se l’ordine sociale si fonda su una simile natura è
possibile l’uso della ragione pubblica. Viceversa, si avrà solo la ragione procedurale10. Si capisce quindi perché la difesa della
vita abbia una importanza fondamentale
per ricostruire la possibilità stessa di un
uso pubblico della ragione. Ed infatti, lo
vediamo, la negazione del dovere pubblico di proteggere la vita nascente scaturisce
da una diserzione della ragione ad essere
ragione pubblica, riducendosi a ragione
privata. La verità accomuna, le opinioni
dividono. È molto significativo che anche
filosofi come Habermas abbiano di recente riconosciuto la fondamentale importanza del concetto di natura11, visto ancora in senso non pieno, ma comunque tale
da riconoscere i limiti di una ragione solo
procedurale, con il che il dialogo pubblico
è inquinato in partenza.
L’uso pubblico della ragione è di fondamentale importanza per il ruolo pubblico della fede cattolica. Questa, infatti,
non trasferisce immediatamente il diritto
rivelato nel diritto civile, ma si affida al diritto naturale, quindi al concetto di natura e di ragione pubblica12. A quest’ultima
spetta il compito di riconoscere l’ordine
sociale come un discorso finalistico sulla
convivenza umana. La fede non si sostituisce alla ragione. Ma non la abbandona
nemmeno a se stessa. Se non c’è ordine naturale non c’è ragione pubblica, se non c’è
ragione pubblica non c’è dialogo pubblico
tra ragione e fede. Se non c’è dialogo pubblico tra ragione e fede non c’è dimensione
pubblica della fede cattolica. Se non c’è dimensione pubblica della fede cattolica non
c’è la fede cattolica. Lo riscontriamo: man
mano che la ragione si privatizza anche la
9
FOCUS | 2
10
N. 1 ANNO IX
fede si privatizza. Se il credente, quando
entra nella pubblica piazza, deve rinunciare alle ragioni della propria fede, alla fine
pensa che la propria fede non abbia ragioni. Ma senza ragioni viene meno non solo
il versante pubblico della fede, bensì anche
quello personale ed intimo. Ecco perché il
tema della difesa della vita umana fin dal
concepimento è fondamentale per mantenere e sviluppare il dialogo tra la ragione
e la fede. E, come si sa, proprio in questo
consiste la Dottrina sociale della Chiesa.
Da queste semplici e sintetiche osservazioni risulta tutta l’importanza non solo
della Marcia di domani, ma anche di questo convegno. Tutta l’importanza del multiforme impegno di chi mi ascolta e delle
realtà associative che ognuno di voi ha
dietro di sé, a difesa della vita umana nascente. Risultano anche, per contrasto, le
gravi conseguenze che un affievolimento
di questo impegno porta con sé, e non solo
in ordine al tema specifico, appunto la difesa della vita, ma anche in ordine alla vita
della fede. La fede nella vita è benefica anche per la vita della fede. Per ottenere questo risultato è necessario collocare il tema
della difesa della vita dentro la Dottrina
sociale della Chiesa, come del resto ha fatto il Magistero a cominciare dalla Evangelium vitae. In questo caso non si chiude il
tema della vita dentro un recinto. In realtà
così facendo lo si colloca là dove la Chiesa
si interfaccia con il mondo e dove ragione
pubblica e fede pubblica dialogano tra loro
dentro l’unità della Verità.
Gloria Pelizzo Valeria Calcaterra
Oltre la cura…
oltre le mura
Da una parte
rte i bambini del Reparto di Chirurgia Pediatrica del Policlinico San Matteo; dall’altra un gruppo di carcerati della Casa
Circondariale di Pavia, che, in collaborazione d’intenti, danno una
mano, come cuochi, imbianchini, pittori e poeti. Due mondi separati, ma uniti nella sofferenza che incontrandosi possono generare
un’occasione di speranza.
CANTAGALLI
FOCUS | 3
N. 1 ANNO IX
M
i sembra più che opportuno questo
momento dedicato alla riflessione
su temi di etica medica e di bioetica, destinata ai medici (e in buona parte sviluppata da medici) in questo nostro
convegno di preparazione alla IIIª giornata
nazionale per la vita. Il medico, infatti, è il
professionista della salute e della vita. Nes-
LE VIRTÙ
DEL MEDICO
Padre Gonzalo Miranda, L.C.
Decano della Facoltà di Bioetica
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Roma
[1] G. Marañón, Vocación y
ética y otros ensayos, Espasa-Calpe, Madrid 1966.
suna professione è legata così strettamente
alla vita umana, alla sua promozione e al suo
rispetto.
Si racconta che un veterinario andò dal
medico per una visita a causa di alcuni dolori persistenti. Appena seduto di fronte
alla sua scrivania, il medico gli chiese:
“Ecco, mi dica dove le fa male”.
Il veterinario, un pò infastidito, rispose:
“Beh, così è troppo facile!”.
Effettivamente, ci sono delle differenze
tra il medico e il veterinario. E non solo
quella notata dal veterinario-paziente. Entrambi sono persone, entrambi professionisti della salute, ma uno di loro ha a che
fare con delle persone (che possono, per
esempio, spiegare al dottore dove fa male)
e l’altro no.
In un congresso a Salamanca, in Spagna,
alcuni anni fa, un noto professore di medicina dell’Università di Madrid raccontò
gli sforzi che faceva per educare gli studenti
del sesto anno a un atteggiamento di accoglienza rispettosa ed empatica con i loro futuri pazienti. Riferì la storia di un’anziana
signora che era andata da un giovane medico e si era sentita sgridare violentemente
perché si era permessa di appoggiare la sua
borsa sulla scrivania del dottore.
Il professore ci confessò che quell’episodio l’aveva profondamente addolorato:
“Primo, perché quell’anziana donna era mia
madre; ma soprattutto, perché quel giovane
medico era stato recentemente mio allievo”.
Ho seguito la tesi scritta da una infermiera per un corso di specializzazione. La
studentessa ha sondato, con dei questionari,
le motivazioni e gli atteggiamenti prevalenti tra gli studenti di scienze infermieristiche
all’inizio del loro percorso di studi. Poi ha
sottoposto lo stesso questionario a coloro
che stavano per finire la carriera.
Il risultato della comparazione tra i due
questionari è preoccupante: chi iniziava gli
studi dimostrava atteggiamenti e motivazioni molto più elevati e “nobili” rispetto a
coloro che stavano per concluderli.
Purtroppo, diversi medici mi hanno detto
che un fenomeno simile si potrebbe evidenziare anche se si facesse uno studio simile
tra gli studenti di medicina.
Dovremmo allora domandarci cosa succede durante la formazione dei futuri infermieri e medici…
Il grande medico-umanista spagnolo,
Gregorio Marañón (morto nel 1960) scrisse un bellissimo libro intitolato Vocación y
ética, y otros ensayos1.
In esso, l’autore si riferisce alla professione medica come a una vera e propria “vocazione”. Secondo lui, ci sono soprattutto tre
professioni-vocazioni: quella sacerdotale o
religiosa, quella dell’educatore e quella del
medico. Come se chi vive queste professioni
rispondesse a una “chiamata” interiore, che
lo invita a dedicarsi pienamente al servizio
degli altri nell’esercizio quotidiano del suo
lavoro professionale.
Egli prevedeva un accrescimento del
“senso vocazionale” dei medici negli anni
futuri. Purtroppo, probabilmente dobbiamo
constatare che almeno finora la storia non
gli ha dato ragione.
Conviene chiedersi quali possano essere le cause che stanno portando verso una
visione della medicina, e un vissuto della
professione medica, come qualcosa che si
allontana sempre più da quella comprensione ed esperienza della medicina come
“vocazione”, uno dei cui tratti essenziali è la
dedizione generosa ai malati.
Sicuramente, dobbiamo riferirci alla
sempre più puntuale specializzazione dei
medici. L’impressionante aumento, velocissimo, delle conoscenze e delle competenze
nella biomedicina attuale, richiede sempre
11
FOCUS | 3
12
[2] Cfr. T.L. Beauchamp,
J.F. Childress, Principi di
etica biomedica, Le Lettere, Firenze 1999.
[3] Cfr. E. Pellegrino, D.
Thomasma, Virtues in
Medical Practice, Oxford
University Press, New
York-Oxford 1993.
[4] Cfr. E. Pellegrino,
«The Recovery of Virtue in the Professional
Ethics of Medicine», in
E. Sgreccia, V. Mele, G.
Miranda (a cura di), Le
radici della bioetica,
Milano: Vita e Pensiero,
1998, pp. 61-75.
N. 1 ANNO IX
più al medico di restringere il campo di conoscenza, esige aggiornamento, e azione,
verso un solo settore. E nemmeno su quello
riesce spesso ad essere sufficientemente aggiornato. Il medico rischia così di perdere
di vista il paziente come persona nella sua
complessa integralità. Il paziente si riduce
ad un fegato. Forse il chirurgo non vede
nemmeno il paziente: entra in sala operatoria, i collaboratori hanno già predisposto
il campo di intervento, e lui riesce a vedere
solamente una parte del fegato sulla quale
deve intervenire.
Influisce anche, senza dubbio, la progressiva e sempre più invasiva “tecnicizzazione”
della medicina. Il medico si avvale sempre
più di strumenti artificiali, spesso sofisticatissimi, ai quali deve prestare quasi tutta la
sua attenzione. Può essere perfino quasi sostituito da un robot. Il rapporto con la persona del paziente è sempre più mediato e
filtrato da apparecchi, strumenti, equipe di
tecnici, procedure e protocolli. Diminuisce
così, a volte drasticamente, la dimensione
di relazione interpersonale che era propria
della professione medica. È vero che il medico continua comunque a trattare persone
(e non animali o altri esseri viventi); ma la
persona in quanto tale è sempre di più una
realtà che sta là in fondo, quasi nascosta, rispetto alla sua esperienza personale. Il medico diventa una persona che cura un’altra
persona senza però avere un rapporto interpersonale.
Si deve, però, prendere coscienza anche
dei fattori culturali, e quasi ideologici, che
influiscono in questo allontanamento del
medico rispetto a quella visione “vocazionale” della sua professione. Senza poter entrare ora in un’analisi minimamente accurata, possiamo e dobbiamo riconoscere che
viviamo immersi in una cultura sempre più
individualista, diffidente e conflittuale. L’altro diventa sempre più altro, estraneo, spesso concorrente e quasi nemico. E quell’altro
può essere il paziente, i suoi familiari, i colleghi… Così come lo è, dall’altra parte, il
medico, e perfino l’infermiere, nonostante
lavori accanto al letto del paziente.
In questo processo di impoverimento dei
rapporti interpersonali, un importante influsso proviene, senz’altro, dal processo di
“secolarizzazione” tipico del nostro tempo.
Quando una buona parte dei membri della
società (e tra questi anche medici, infermieri, e gli stessi pazienti) non crede più in un
Padre creatore di tutti, che tutti ama come
figli, l’altro non è più un fratello; si riconosce semmai in lui semplicemente un membro della stessa specie.
Un riflesso o, se si vuole, un sintomo, di
questo impoverimento del senso vocazionale della professione medica, lo possiamo
vedere nel fenomeno del successo enorme
della bioetica cosiddetta “principialista”.
Questa impostazione della bioetica, impostata dai due autori americani Beauchamp
e Childress2, si è diffusa rapidamente, soprattutto tra i medici, in buona parte perché
semplifica molto l’analisi delle questioni
complesse che l’etica medica deve aff rontare e anche perché risponde a una mentalità
diffusa nella quale ciò che conta è applicare
una serie di principi, criteri, regole e protocolli, spesso molto lontani dalla realtà concreta della persona malata. Si decide in base
all’applicazione di quattro principi generali
accettati da tutti: rispettare le sue decisioni autonome, non fare del male al paziente,
eventualmente rendergli un beneficio medico, agire con giustizia e senza discriminazioni.
In parte come reazione a quest’impostazione della bioetica, fredda, quasi meccanica, il medico-umanista americano Edmund
Pellegrino, uno dei grandi pionieri della nascita della bioetica, ha proposto quella che
lui ha chiamato “Bioetica delle virtù”3.
L’autore si preoccupa del fatto che si lasci
da parte, nelle discussioni e nelle decisioni
riguardanti la bioetica, la persona del medico in quanto soggetto delle proprie decisioni e dei propri comportamenti. Bisogna
invece partire da lì, dal senso etico del medico, come persona e come professionista
della salute.
Pellegrino4 riconosce che forse oggi non
siamo in grado di stabilire un’etica delle
virtù (o della virtù) in generale, in quanto
sarebbe difficile concordare su che cosa sia
una persona virtuosa, non essendo d’accordo molte volte su che cosa sia la persona.
Questa diversità delle comprensioni antropologiche nella nostra cultura, non ci impedisce, però, di metterci d’accordo su che cosa
sia un “buon medico”, e dunque un “medico
virtuoso”. Possiamo, infatti, concordare su
quale sia il telos lo scopo intrinseco della
FOCUS | 3
N. 1 ANNO IX
medicina, e dunque degli atti medici. Questo scopo non può essere altro se non il favorire la salute e il bene del paziente attraverso il proprio operato professionale.
Sarà buon medico quello che realizza
bene lo scopo della medicina e dei suoi atti
professionali.
Pellegrino ci propone alcune delle virtù
che potenziano il medico in modo che possa realizzare bene quello scopo. Possiamo
qui solamente elencare e commentare brevemente queste virtù del medico:
1. Fedeltà alla fiducia e promessa
2. Benevolenza
3. Cancellazione del proprio-interesse
4. Compassione e cura
5. Onestà intellettuale
6. Giustizia
7. Prudenza
Logicamente, altre virtù potrebbero essere elencate e considerate. E soprattutto,
vissute dal medico. Quelle proposte da Pellegrino, possono comunque tracciare una
vera mappa del medico virtuoso, del buon
medico.
Penso, però, che la cosa più importante
è che lavoriamo affinché i medici e gli altri
professionisti della salute, recuperino quel
senso vocazionale in base al quale si pongono veramente al servizio della vita e della
salute dei pazienti, sempre visti e trattati
come persone. Che sappiano davvero instaurare con loro un rapporto inter-personale veramente umano.
Ne va di mezzo il bene dei pazienti concreti curati dai medici; ma anche il bene del
medico stesso, sicuramente più profondamente soddisfatto da un’esperienza professionale pienamente umana e non solamente qualificata dal punto di vista scientifico o
sofisticata dal punto di vista strumentale.
Ne va di mezzo, in fondo, il bene di tutta la società, resa più umana, più rispettosa e più nobile, grazie anche all’influsso di
medici ed infermieri che irradiano rispetto,
accoglienza, dedizione generosa verso tutte
quelle persone, numerosissime, con le quali
sono in contatto nel loro esercizio professionale.
L’augurio è che ogni paziente si senta e
si veda trattato come persona e non come
un fegato; che ogni paziente percepisca nettamente la differenza tra un medico e un
veterinario.
FRANCESCO AGNOLI
La grande storia
della Carità
Quando gli Stati non erano ancora
in grado di intervenire, non gestivano ospedali né offrivano servizi
di assistenza, dal basso nasceva
una vastissima rete di ospedali e
ricoveri in tutta Europa.
Francesco Agnoli racconta in questo libro la storia di alcuni “giganti
della carità” che hanno donato la
loro vita rinunciano a se stessi per
occuparsi degli ultimi, scegliendo
l’amore che vince ogni cosa.
CANTAGALLI
13
RAPPORTI DAL MONDO
S
14
e l’abortismo libertario, per utilizzare
una categorializzazione coniata molti
anni fa da Luigi Lombardi Vallauri,
costituisce il centro della falange abortista,
si deve prendere coscienza che le ali di questo schieramento sono formate dall’abortismo umanitario; da un lato vi è quello della
singola situazione, cioè il caso particolare
della donna stuprata, della ragazza giovanissima, della famiglia in condizioni di estre-
ABORTO E SALUTE
DELLA DONNA:
STATO DELL’ARTE
Renzo Puccetti
Pontificio Ateneo Regina Apostolorum
[1] I requisiti dell’aborto “unsafe” sono costituiti da: assenza di
personale professionalmente qualificato ad
effettuare l’aborto, ambiente non idoneo alla
procedura di aborto. La
illegalità, restringendo
la disponibilità di entrambi i fattori, costituisce un determinante
dell’aborto non sicuro.
[2] “A woman who has
an abortion may be making a pro-life choice
since life is a rich mix
of negatives and positives; she may be doing
the least evil and the
most possible good in
her circumstances” Una
donna che abortisce può
fare una scelta in favore
della vita dal momento
che la vita è una ricca
mescolanza di male e di
bene; può stare facendo il male minore ed il
maggiore bene possibile
mo disagio economico con già molti figli
da mantenere. Nell’economia della avanzata
abortista questa parte svolge un ruolo molto
persuasivo agendo sul versante della emotività. L’altro lato è costituito dall’abortismo
umanitario sociale. Quest’ultimo formula il
seguente schema argomentativo:
l’aborto è praticato dalle donne a prescindere dal contesto legale. Ovvero l’illegalità
non frena le donne dall’abortire.
L’aborto praticato illegalmente è per definizione “unsafe”, cioè non sicuro per le donne, mette a rischio la salute delle donne1.
Quindi la legalizzazione dell’aborto non
fa altro che prevenire un male senza generarne un altro, la legalizzazione sarebbe quindi
non tanto un “male minore”, ma addirittura
un “bene possibile”2.
Una tale posizione si presta con tutta evidenza a sollevare dall’inquietudine interiore
chi sostenga le leggi abortiste con la migliore
delle medicine: la convinzione di agire bene.
Scopo di questa riflessione non sarà quello
di criticare un tale approccio proporzionalistico nelle sue istanze teoretiche fondamentali; le dottrine teleologiche hanno subito nel
corso degli anni tali formidalibi critiche che
davvero c’è da stupirsi di come un filosofo
che voglia rimanere aderente all’amicizia
con la saggezza possa ancora farle proprie.
No, quello che farò sarà accettare la sfida che
N. 1 ANNO IX
l’argomentazione illustrata lancia al mondo
pro-life e che ha dilagato nelle istituzioni
politiche nazionali e sopranazionali attraverso la strutturazione del concetto di “salute
riproduttiva”.
In sostanza si tratta di verificare concretamente i presupposti della teoria esaminandoli singolarmente.
L’aborto è praticato dalle donne a prescindere dal contesto legale?
Questa affermazione viene dichiarata
con forza dai centri studi in grado d’incidere nelle politiche riproduttive. In una pubblicazione del Guttmacher Institute condivisa dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità si legge: “Leggi altamente restrittive
sull’aborto non si associano a tassi di aborto
più bassi. Per esempio il tasso di abortività
è 29 per 1000 donne in età riproduttiva in
Africa e 32 in America Latina, regioni dove
l’aborto è illegale in molte circostanze nella
maggior parte dei paesi. Il tasso per 1000
in Europa Occidentale, dove l’aborto è in
genere permesso sulla base di motivazioni
ampie” 3. Si deve sottolineare in via preliminare che utilizzare il tasso di abortività per
sostenere l’indifferenza del contesto legale
è metodologicamente scorretto. Il tasso di
abortività è infatti direttamente correlato
al tasso di fecondità che a sua volta risente
di numerosi parametri economici tra cui la
scolarità ed il reddito. Paragonare l’Africa ed il Sud America con l’Europa come
si fa in questa pubblicazione, ma purtroppo anche in studi su riviste ad alto profilo
scientifico, è come confrontare le pere con
le mele. Come abbiamo dimostrato per il
contesto del Peru adottando gli stessi dati
forniti dagli autori, l’impiego del rapporto
di abortività (numero di aborti ogni 1000
nati vivi) anziché del tasso di abortività
come indicatore di abortività mostra che
la proibizione dell’aborto si associa a livelli
inferiori di abortività4. La tesi dell’insensibilità dell’abortività alla legge afferma che
non vi è differenza nel numero di aborti
prima e dopo la legalizzazione. Per indicare
una differenza si deve conoscere entrambi
i termini della sottrazione, in questo caso
l’abortività prima e dopo la legalizzazione5.
L’abortività è facilmente rilevata quando
l’aborto è legale ed è disponibile un sistema
efficiente ed accurato di rilevazione epidemiologica. Ma come stabilire il numero di
RAPPORTI DAL MONDO
in quelle circostanze).
Daniel C. Maguire (former member of the ‘Catholics’ for a Free Choice
Board of Directors). “Diversity on AIDS: Legitimate and Welcome.”
Conscience, January/February 1988; 3-4.
[3] Guttmacher Institute.
Facts on induced abortion worldwide. http://
www.who.int/reproductivehealth/publications/
unsafe_abortion/induced_
abortion_2012.pdf [accesso del 13-06-2013].
[4] Puccetti R. Incidence of induced abortions
in Peru. Canadian Medical Association Journal.
2009; 180(11): 1133.
[5] Il tasso di abortività è il numero di aborti
per il numero di donne
in età riproduttiva. Nella
maggior parte dei casi è
riportato come numero
di aborti per 1000 donne di età compresa tra
15 e 49 anni (per gli Stati
Uniti tra 15 e 44 anni).
[6] Rossier C. Estimating
abortion rates: a review.
Studies in Family Planning.
2003; 34(2): 87-102.
[7] Figà Talamanca I.
Estimating the incidence
of induced abortion in
Italy. Genus, 1976;32(12):91-107; B. Colombo.
Medicina & Morale, 1976.
[8] Grandolfo ME, Spinelli A. Interruzione volontaria di gravidanza in
Italia: epidemiologia. GC
Di Renzo. Ginecologia e
Ostetricia. Roma, Verducci editore 2006 vol.
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[9] INED. Rapport. de
l›Institut national d›études
démographiques à Monsieur le Ministre des Affaires
sociales. Sur la Régulation
des Naissances en France.
1966; 4: 645-90; Thierry
Lefevre. L’avortement avant
la lois Veil. http://www.
trdd.org/INEDCPF.HTM.
[10] Francome C. Estimating the number of illegal abortions. J Biosoc
Sci. 1977 Oct;9(4):46779; Goodhart CB. Estimation of illegal abortions. J Biosoc Sci. 1969
Jul;1(3):235-45.
N. 1 ANNO IX
aborti quando l’aborto è illegale? Per risolvere un tale problema sono stati proposti
vari sistemi (tabella I)6.
Tab. I
1
2
3
4
5
6
7
8
Sondaggio sugli operatori dell’aborto
Statistica delle complicanze
Statistica della mortalità
Auto-dichiarazione
della storia abortiva retrospettiva
Auto-dichiarazioni
della storia abortiva prospettiche
Metodo residuale
Resoconto di “terzi”
Stime degli esperti
Ciascuno di questi metodi ha una sua
propria metodologia, un ambito di applicazione preferenziale e specifiche problematiche. Lungi dal volere esaminarli singolarmente, quello che qui interessa evidenziare
è una caratteristica comune di questi metodi: l’elevato margine di incertezza e la forte
dipendenza da decisioni discrezionali dello
sperimentatore. A mero titolo di esempio
si può prendere in esame il metodo delle
complicanze. Si tratta di una procedura che
dall’osservazione di un determinato numero
di complicanze per aborto indotto intende
risalire al numero degli aborti clandestini.
Per farlo vi è la necessità di una serie di
passaggi ciascuno dei quali prevede un livello estremo di incertezza che nel modello
matematico si concretizza in un coefficiente
la cui veridicità non è provata né è dimostrabile. Tali coefficienti posti in serie moltiplicano in modo esponenziale l’aleatorietà
del risultato finale. Nello specifico il primo
livello d’incertezza è sulla attribuzione delle complicanze: sono dovute ad un aborto
indotto, oppure dipendono da un aborto
spontaneo o da un’altra condizione ancora?
Il secondo è il seguente: qual è la percentuale di donne che si recano in ospedale dove
possono essere intercettate? Terzo livello di
incertezza: con quale percentuale gli aborti
clandestini determinano una complicanza di entità tale da richiedere il ricovero?
Ineludibilmente questi coefficienti di moltiplicazione posti in serie sono all’origine
di variazioni enormi nella stima dell’abortività clandestina. Per l’Italia una serie di
pubblicazioni fatte negli anni ’70 fornivano
stime di aborti clandestini che oscillavano
da 100.000 a oltre 3.500.0007. Più recentemente altri autori hanno proposto la cifra
di 350.000 aborti clandestini prima del varo
della legge 194/19788. Se facciamo un paragone con nazioni demograficamente simili
all’Italia il numero degli aborti prima della
legalizzazione era stimato rispettivamente
a 55.000-250.000 per la Francia9 e 15000100.000 per l’Inghilterra10, cifre suggestive della inverosimiglianza dei ranges alti
e medi nella stima degli aborti clandestini
in Italia. La letteratura mette però a disposizione dati più solidi: si tratta dell’analisi
temporale della natalità prima e dopo il
varo delle leggi abortiste. Nei diversi contesti in cui questo aspetto è stato testato gli
autori hanno concluso che la legalizzazione dell’aborto ha portato ad una riduzione
della natalità a seguito di un incremento
dell’abortività (Tab. II). Non poggia quindi
su elementi fattuali l’asserzione secondo cui
la legalizzazione dell’aborto determina soltanto un’emersione degli aborti clandestini.
Tab. II
AUTORI
ANNO
AMBITO
di RICERCA
RISULTATI
PRINCIPALI
Potts M,
et al.
1977
Statodi New
York
11,6% di
riduzione delle
nascite
1977
USA. Variazione nascite
prima e dopo
la legalizzazione in Stati con
leggi liberali vs
Stati con leggi
restrittive
-7,8% vs -4,9%
(figli legittimi)
-12,4%
vs
-1,9% (figli illegittimi)
Potts M.
et al.
Quick JD.
Pop-Eleches
C.
1978
2005
Cazzola A. 1995
La riduzione
della nataliOregon: anatà nel primo
lisi dei registri
anno è per il
demografici
10%
dovuta
1965-1975
alla legalizzazione.
+91,6% del tasso di natalità
dopo la proibizione dell’aborR o m a n i a : to in Romania.
confronto na- +25% del tasso
talità con Bul- di fertilità in
garia, Unghe- Romania riria e Russia
spetto ai 3 paesi
indice soltanto
durante i 20
anni di proibizione.
Analisi della natalità in
Italia prima
e dopo la legalizzazione
dell’aborto
-20.000 nascite direttamente
attribuibili alla
legalizzazione
dell’aborto.
15
RAPPORTI DAL MONDO
16
[11] Henshaw S.K., Finer
L.B. (2003): The Accessibility of Abortion Services in the United States.
Perspectives on Sexual
and Reproductive Health.
2001; 35 (1): 16-24; Gober P. The role of access in
explaining state abortion
rates. Soc Sci Med. 1997;
44(7): 1003-16.
[12] New MJ. Analyzing the Effect of Anti-Abortion U.S. State
Legislation in the PostCasey Era. State Politics
& Policy Quarterly 2011;
11(1): 28–47.
[13] Husfeldt C,Hansen
SK, Lyngberg A, Noddebo
M, Petterson B. Ambivalence among women
applying for abortion.
Acta Ostetricia et Ginecologia
Scandinavica,
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[14] Bartlett LA, et al.
Legal Induced Abortion–
Related Deaths, Mortality Rates, and Relative Risks, by Selected
Characteristics—United
States, 1988–1997. Obstetrics & Gynecology.
2004; 103(4): 729-37;
Raymond EG, Grimes
DA. The comparative
safety of legal induced
abortion and childbirth
in the United States.
Obstet Gynecol. 2012
Feb;119(2 Pt 1):215-9;
WHO. Abortion: a tabulation of available
data on the frequency
and mortality of unsafe
abortion, Second Edition, Geneva (1994).
[15] Hogan MC, Foreman
KJ, Naghavi M, et al. Maternal mortality for 181
countries, 1980—2008:
a systematic analysis of
progress towards Millennium Development
Goal 5. Lancet 2010;
375: 1609-1623.
[16] Koch E. Impact of
Reproductive Laws on Maternal Mortality: The Chilean Natural Experiment.
The Linacre Quarterly.
2013; 80(2): 151–160.
Che legalizzare l’aborto comporti un incremento del ricorso all’aborto è peraltro
coerente con una mole di studi che sotto
vari aspetti indicano una correlazione diretta
tra ampio accesso all’aborto (la disponibilità di strutture per abortire nelle vicinanze e
la copertura assicurativa delle spese ne sono
esempi) e maggiore abortività11. Michael J.
New ha condotto un’estesa analisi degli effetti determinati dalle politiche messe in
atto a livello statale dai governatori e dalle
assemblee repubblicane volte a restringere
l’accesso all’aborto attraverso l’obbligo d’informare i genitori per le minorenni, l’obbligo di consenso informato e le restrizioni ai
sussidi economici per abortire. Nel complesso queste iniziative hanno portato ad una
riduzione del tasso di abortività di 2,6-2,7
punti, una cifra che negli Stati Uniti corrisponde a circa 170.000 aborti in meno e che
per l’Italia corrisponderebbe a 20.000 aborti evitati12. Sotto questo aspetto è evidente
che la legalizzazione si associa alla diffusione
dei servizi abortivi e spesso ad una copertura
economica dell’aborto da parte dello Stato
tale da costituire un oggettivo ampliamento
dell’accesso all’aborto stesso. La risposta che
si tende a dare a questi dati di fatto è una
ideologica rappresentazione della donna che
abortisce come di un soggetto perfettamente determinato nella scelta di abortire non
influenzabile dalle pressioni derivanti dalla
facilità delle procedure. Che questo ritratto non tenga conto della complessità della
realtà non solo è suggerito dalle donne che
N. 1 ANNO IX
a posteriori si pentono di avere abortito, ma
è attestato dalla quota significativa di donne
che dimostrano ambivalenza nei confronti
della decisione di abortire persino nello stesso giorno della procedura.13
2. L’aborto legale è “safe”?
Le fonti abortiste tengono bene a sottolineare i bassi rischi dell’aborto legale eseguito
in ambiente adeguato e da personale idoneo, l’incremento di mortalità con l’avanzare
dell’età gestazionale, la maggiore pericolosità
dell’aborto clandestino e persino del parto
(Fig. 1)14. Nella traduzione dell’analogo grafico mostrato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e riprodotto nella figura 2 si
mostra come quanto più l’accesso all’aborto
è ampio, tanto minore è la mortalità delle
donne attribuibile all’aborto stesso.
Questa descrizione però è parziale. Essa
infatti prendendo in esame soltanto la mortalità specifica per aborto a breve termine
omette di effettuare una valutazione complessiva dei rischi connessi all’aborto.
2a. Mortalità materna
La mortalità delle donne che si sottopongono ad aborto volontario può essere infatti
valutata a distanza variabile dal termine della
gravidanza. L’indicatore di mortalità con più
breve follow-up dal termine della gravidanza è
la mortalità materna, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il “tasso di
mortalità tra le donne durante la gravidanza o
entro 42 giorni dal termine della gravidanza,
RAPPORTI DAL MONDO
N. 1 ANNO IX
17
[17] Koch E, Aracena P,
Gatica S, Bravo M, Huerta-Zepeda A, Calhoun BC.
Fundamental discrepancies in abortion estimates
and
abortion-related
mortality: A reevaluation
of recent studies in Mexico with special reference
to the International Classification of Diseases. Int
J Womens Health. 2012;
4: 613-23.
[18] Gissler M, Berg
C, Bouvier-Colle MH,
Buekens P. Pregnancyassociated mortality after
birth, spontaneous abortion, or induced abortion
in Finland, 1987-2000.
American Journal of Obstetrics and Gynecology.
2004; 190: 422-7.
[19] Reardon DC, Coleman PK. Short and long
term mortality rates associated with first pregnancy outcome: population register based study
for Denmark 1980-2004.
Med Sci Monit. 2012
Sep;18(9):PH71-6.
[20] Coleman PK, Reardon DC, Calhoun BC.
Reproductive
history
patterns and long-term
mortality rates: a Danish,
population-based record
linkage study. Eur J Public Health. 2012 Sep 5.
[21] La definizione di atto
medico fornita dall’Unione Europea degli Specialisti Medici (U.E.M.S.) è la
seguente: “L›atto medico
include tutto l›agire professionale, per esempio
quello scientifico, l’insegnamento, la formazione
e l’educazione, i passaggi
clinici e tecno-medici,
eseguito per promuovere la salute, prevenire
le malattie, fornire assistenza diagnostica e terapeutica ai pazienti, agli
individui, ai gruppi o alle
comunità di cui ha la responsabilità, e deve essere sempre eseguita da un
medico abilitato o sotto
la sua diretta supervisione medica o dietro sua
prescrizione”.
https://
www.sog-sso.ch/fileadmin/SOG-Dokumente/
Aktuelles/European_Definition_of_the_Medical_
Act_2005.pdf
[accesso
del 14-6-2013].
indipendentemente dalla durata e dalla sede
della gravidanza, per ogni causa correlata o
aggravata dalla gravidanza, o dalla sua gestione, ma non da cause accidentali o incidenti”.
A questo proposito sia gli studi longitudinali
che quelli trasversali smentiscono la presunta
correlazione tra legalizzazione dell’aborto e
riduzione della mortalità materna. Già una
revisione della mortalità materna a livello
mondiale mostrava come il cambiamento
legale dell’aborto non si associava all’attesa
variazione della mortalità materna. Così ad
esempio la restrizione legale dell’aborto in
Salvador, Nicaragua ed in Polonia non si associava ad una crescita della mortalità materna15.
Più specificamente il gruppo di lavoro cileno
del professor Koch ha dimostrato come la restrizione legale dell’aborto attuata in Cile nel
1989 si sia associata ad una riduzione complessiva del 58% della mortalità materna e del
98% della mortalità legata all’aborto (Fig. 3)16.
Lo stesso gruppo di lavoro ha prodotto dati
analoghi per il Messico prendendo in esame i
dati prodotti dopo la legalizzazione dell’aborto nel distretto di Città del Messico17.
2b. Mortalità con follow-up medio e lungo
Fino a qui abbiamo esaminato i dati inerenti la mortalità materna che, per definizione, sono compresi entro il 42° giorno dal
termine della gravidanza. Ma un’ulteriore
questione rimane da essere indagata: che
cosa succede alle donne che abortiscono nel
corso degli anni? Che ne è della loro salute
il cui indicatore più importante è ovviamente la sopravvivenza? Oggi a queste domande
possiamo dare delle risposte.
Nel 2004 sono stati pubblicati i risultati
dello studio STAKES18. Si tratta dell’analisi
condotta su tutte (non su un campione) le
donne che nel periodo compreso tra il 1987
e il 2000 in Finlandia sono decedute dopo
un anno dalla gravidanza condotta a termine, interrotta spontaneamente, oppure dopo
l’aborto volontario.
I dati, riassunti nella figura 4, indicano
come le donne che abortiscono hanno una
mortalità complessiva più alta di qualsiasi
altra categoria esaminata, in particolare delle donne che portano a termine la gravidanza, che raggiunge la significatività statistica
RAPPORTI DAL MONDO
N. 1 ANNO IX
18
sia per quanto riguarda le morti da causa
naturale, che quelle da causa violenta. Questi dati non indicano un rapporto di causa – effetto tra aborto e mortalità, ma sono
assai suggestivi del fatto che ad un anno di
distanza dagli eventi abortire non garantisce alcuna tutela per la vita della donna. Fa
inoltre riflettere la concordanza della maggiore incidenza di morti per causa violenta
rilevata dagli autori con gli studi di matri-
ce psichiatrica che evidenziano il maggiore rischio di uso di sostanze stupefacenti,
di alcool e di suicidarietà tra le donne che
abortiscono.
Uno studio successivo è stato condotto
collimando i registri medici danesi delle
donne in vita nel 1980 nate tra il 1962 e
il 199119. Sono state individuate 463.473
donne che nel periodo dal 1980 al 2004
hanno avuto la loro prima gravidanza; di
RAPPORTI DAL MONDO
N. 1 ANNO IX
queste 2.238 sono morte in un arco temporale compreso entro 10 anni dalla gravidanza stessa. A partire da 6 mesi dopo
l’aborto e fino a 10 anni di distanza da esso
la mortalità di queste donne si è mantenuta
sempre statisticamente più elevata rispetto
alla mortalità delle donne che hanno abortito (Fig. 5).
Conclusioni
Da quanto qui esposto sulla base di una
corretta analisi della letteratura medica possiamo affermare che il presupposto teorico
richiamato all’inizio è falso nelle premesse e
quindi nelle conclusioni.
Non è vero che le donne abortiscono
ugualmente a prescindere dal contesto le-
Del tutto recentemente sono stati prodotti i dati con mortalità a 25 anni che indicano
ancora una volta come le donne che abortiscono costituiscono una classe di soggetti
a più alta mortalità rispetto alle donne che
partoriscono (Fig. 6)20.
gale. Le donne abortiscono in maggiore misura se l’aborto è legale in una percentuale
che gli autori pro-choice stimano tra il 10
ed il 30%. Volendo assumere la cifra più bassa, soltanto il 10% di riduzione dell’aborto
se questo è illegale, e volendo considerare
19
RAPPORTI DAL MONDO
20
anche solo il parametro più favorevole alla
tesi abortista, la ridotta mortalità dell’aborto
legale rispetto all’aborto clandestino, l’analisi
proporzionalistica dei dati porta a concludere che la legalizzazione dell’aborto per ogni
donna che non muore per aborto clandestino causa la morte di 79 bambini che muoiono prima di nascere per aborto legale. In
termini di anni di vita persi per ogni anno
acquisito per la donna si perdono 108,6 anni
di vita persi per i bambini abortiti. La legalizzazione dell’aborto non costituisce quindi
sotto l’aspetto della tutela della vita umana
un male minore, ma piuttosto un’azione che
ha come effetto prevalente la perdita di una
quota significativa di vita umana.
Queste considerazioni non tengono peraltro conto dell’analisi estesa dell’impatto
dell’aborto sulla vita delle donne. Non è infatti vero che l’aborto legale tutela la salute
della donna. Per quanto riguarda gli aspetti
della salute mentale rimandiamo all’intervento della dottoressa Del Poggetto che mo-
N. 1 ANNO IX
strano il peggiore livello di salute mentale
nelle donne che abortiscono. Qui sono stati
esaminati gli aspetti riguardanti la salute fisica prendendo in considerazione il parametro epidemiologico più importante: la mortalità per tutte le cause. In base alle evidenze
scientifiche le donne che abortiscono hanno
livelli di mortalità superiori rispetto alle
donne che partoriscono. Paragonare quindi
l’aborto “safe” come un atto che tutela la vita
della donna è un’insensatezza scientifica oltre che logica. Se quindi l’aborto non tutela
né la vita, né la salute delle donne esso non
può costituire, alla luce della sua definizione
offerta dall’Unione Europea degli Specialisti Medici, un atto medico21. Sotto questo
profilo sono da approfondire le implicazioni
deontologiche e giuridiche di un’obiezione
di coscienza fondata non soltanto su ragioni morali, ma motivata anche da ragioni di
appropriatezza scientifica dell’atto abortivo
in sé al fine della tutela della salute della
donna.
RAPPORTI DAL MONDO
I
metodi naturali moderni – Metodo Billings e Metodi Sintotermici – si basano
sulla rilevazione di segni e sintomi di fertilità che sono markers precisi dell’attività ovarica, essendo correlati all’andamento ormonale
di ogni singolo ciclo e rispecchiandone tutte le
variazioni fisiologiche o patologiche.
INFERTILITÀ:
RUOLO DEI
METODI NATURALI
Elena Giacchi*, Aurora Saporosi*,
Antonio Mancini**, Riccardo Marana*.
* Centro Studi e Ricerche
per la Regolazione Naturale della Fertilità-ISI.
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma. Direttore
Prof. Riccardo Marana.
** Dipartimento di Medicina Interna, Divisione
di Endocrinologia. Università Cattolica del Sacro
Cuore, Roma. Direttore
Prof. Alfredo Pontecorvi.
[1] Billings EL, Brown JB,
Billings JJ, Burger HG.:
Symptoms and hormonal
changes accompanying
ovulation. Lancet 1972;
1(7745):282-4.
[2] Billings J J. The validation of the Billings
Ovulation Method by
laboratory research and
field trials. Acta Eur Fertil 1991; 22(1):9-15.
[3] Odeblad E.: Physical properties of cervical mucus. Adv Exp Med
Biol. 1977; 89:217-25.
[4] Odeblad E.
cal mucus and
functions. Irish
ge of Med Phys
26(1):27-32.
Cervitheir
Colle1997;
Esperienza del Centro Studi e Ricerche
per la Regolazione Naturale della Fertilità
(RNF) dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Roma
Questo testo presenta l’esperienza del
Centro Studi e Ricerche RNF sull’utilizzo
del Metodo Billings1,2 nell’approccio clinico
all’infertilità di coppia, in particolare nella
diagnosi e terapia di alcune patologie subcliniche o asintomatiche che possono compromettere la fertilità della donna.
Il Metodo Billings si basa sulla rilevazione di un unico indicatore di fertilità: il
muco cervicale, secrezione prodotta dal collo
dell’utero in risposta alla stimolazione degli
ormoni ovarici (estrogeni e progesterone),
che precede e accompagna l’ovulazione. Ogni
donna fertile può riconoscere facilmente
l’andamento della secrezione del muco cervicale, facendo attenzione durante le sue
normali attività alla sensazione prodotta dal
muco a livello vulvare, e all’eventuale presenza di muco ai genitali esterni.
In un ciclo ovulatorio, quando i livelli di
estrogeni si alzano per l’avvio della maturazione follicolare, la cervice viene stimolata
a produrre un tipo di muco a bassa viscosità, sempre più fluido. Parallelamente la
donna avverte una sensazione di non più
asciutto, che aumenta progressivamente di
intensità fino a bagnato-lubrificato e, se è
visibile muco, appare sempre più fluido e
acquoso.
N. 1 ANNO IX
L’aumento di progesterone conseguente
all’ovulazione determina un netto cambiamento del sintomo del muco: si ha un brusco ritorno alla sensazione di asciutto o di
lieve umidità. L’ultimo giorno in cui è presente sensazione di bagnato-lubrificato è
definito “Picco”. Esso è il Reference point di
ovulazione ed anche il giorno di più fertile
del ciclo, sia per la sua relazione temporale
con l’ovulazione, sia per il tipo particolare di muco prodotto dalla cervice uterina,
molto favorevole alla sopravvivenza, al passaggio degli spermatozoi, come ha dimostrato Odeblad3,4.
Il Picco può essere identificato solo se si
verificano due condizioni indispensabili: 1)
l’evoluzione del sintomo del muco fino alle
caratteristiche di più alta fertilità (sensazione di bagnato-lubrificato); 2) il cambiamento netto. Questi due requisiti assicurano la
precisa correlazione tra il sintomo del Picco
rilevato dalla donna e il pattern ovulatorio
degli ormoni ovarici (Picco di estrogeni che
induce feedback positivo e ovulazione/secrezione di progesterone dopo l’ovulazione).
Qualsiasi andamento del sintomo del muco
che non rispecchi entrambe le condizioni non può essere considerato indicativo di
ovulazione, ma effetto di una semplice fluttuazione estrogenica.
Nella nostra esperienza l’apprendimento
del metodo naturale da parte di coppie subfertili costituisce la “chiave” per la valutazione della loro fertilità ed il fondamento di
un iter diagnostico e terapeutico “naturale”,
rivolto al ripristino e/o all’ottimizzazione del
potenziale naturale di fertilità della coppia
stessa. Questo approccio si caratterizza per
alcune peculiarità:
1. La coppia protagonista del percorso diagnostico e terapeutico
La consapevolezza della fertilità offerta
dal metodo naturale ha il vantaggio di rendere la coppia protagonista dell’iter diagnostico e terapeutico. Le coppie sono incoraggiate sia nel riconoscere di avere un quadro
normale di fertilità, sia nello scoprire un
andamento anomalo dei sintomi di fertilità,
che orienta verso specifiche indagini diagnostiche e scelte terapeutiche, di cui possono verificare in prima persona i risultati.
Non va poi sottovalutata l’importanza di
identificare autonomamente il momento di
21
RAPPORTI DAL MONDO
22
[5] Barrett JC, Marshall
J. The risk of conception
on different days of the
menstrual cycle. Popul
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Apparently Normal Fertility and Fertility- Focused Intercourse The
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2003; 18 (9):1959-66.
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and subsequent posttherapy hypothyroidism. Surg Gynecol Obstet
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Duntas LH 1999 Disturbances of menstruation
in hypothyroidism. Clin
Endocrinol (Oxf) 1999;
50:655–659.
più alta fertilità del ciclo (il Picco), quando
rapporti mirati hanno maggiore probabilità
di concepimento. Ciò consente di ridurre significativamente, gli effetti psicologici
negativi di una gestione medicalizzata dei
rapporti coniugali.
2. Timing adeguato per i rapporti coniugali
La stima della probabilità di concepimento per singolo ciclo5 è di 22-30%, oppure
33-36% in relazione all’ovulazione6, determinata con indicatori ormonali; è interessante
che rapporti mirati nel giorno del Picco del
sintomo del muco abbiano una probabilità di
concepimento da 42,9% in una popolazione
non selezionata7, a 66,7 % in coppie di provata fertilità8, come ha evidenziato l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La nostra esperienza conferma i risultati
di altri Autori sulle percentuali cumulative di
gravidanza in coppie presumibilmente fertili
utenti dei metodi naturali, del 92-98% entro
il terzo ciclo di uso9,10.
3. Aspetti educativi insiti nell’insegnamento
del Metodo Naturale
La situazione psicologica di una coppia
infertile è complessa: entrano in gioco investimenti affettivi e aspettative spesso deluse;
talora anche frustrazioni e colpevolizzazioni
personali e reciproche; pressioni e sollecitazioni familiari e del contesto sociale e medico-sanitario. Il percorso di apprendimento del
metodo naturale off re alle coppie la possibilità di riflettere sulle motivazioni e sul significato della loro ricerca del figlio. La presenza
di entrambi i coniugi agli incontri di consulenza è occasione per rafforzare o recuperare
la condivisione, l’attenzione e il rispetto reciproco, nonché per riscoprire il significato del
rapporto coniugale come espressione di amore fecondo in se stesso, non strumentalizzato solo alla ricerca del figlio. Le coppie che
sviluppano questa consapevolezza aff rontano
con maggiore serenità il percorso diagnostico-terapeutico e si aprono più facilmente
all’accoglienza di un bambino non generato
biologicamente, con l’adozione o l’affido.
4. Valore diagnostico del sintomo del muco e
timing adeguato per le indagini cliniche
L’assenza abituale del Picco induce ad indagare possibili disturbi dell’ovulazione (anovulazione, luteinizzazione follicolare-LUF),
N. 1 ANNO IX
o una patologia cervicale, che possono essere
presenti nonostante la regolarità dei cicli e/o
l’assenza di sintomi infiammatori.
Il metodo naturale consente anche di
verificare un’adeguata funzione del corpo
luteo dopo l’ovulazione. Perché l’embrione
possa impiantarsi in utero è infatti indispensabile una buona maturazione dell’endometrio indotta dagli ormoni prodotti dal
corpo luteo (progesterone in particolare).
Una fase post Picco < 11 giorni e/o con livelli di progesterone bassi, evidenziano una
inadeguata funzione del corpo luteo e inducono a ricercarne le possibili cause, per
mettere in atto gli opportuni provvedimenti
terapeutici. Nella valutazione della funzionalità del corpo luteo è fondamentale un
corretto timing dei dosaggi ormonali nella
fase medio-luteinica, al 6°-7° giorno dopo il
Picco del sintomo del muco.
Una rilevanza particolare assume il metodo naturale nella diagnosi e trattamento di
patologie subcliniche che possono ripercuotersi negativamente sulla fertilità, ad es. ipotiroidismo subclinico ed infezioni cervivovaginali asintomatiche.
5. Ipotiroidismo subclinico
È noto che patologie dismetaboliche o
disendocrine, in particolare della tiroide11,12
possono determinare disfunzioni ormonali,
disturbi dell’ovulazione e sub-fertilità.
L’ipotiroidismo – soprattutto se subclinico – pur essendo causa di disturbi dell’ovulazione (inadeguata funzione del corpo luteo,
in particolare), è generalmente sottostimato
nei protocolli diagnostici per l’infertilità di
coppia, con ripercussioni cliniche rilevanti.
A questo scopo abbiamo condotto uno studio per valutare la prevalenza di ipotiroidismo subclinico in 80 donne utenti del Metodo Billings, di età compresa tra 20 e 45 anni,
che presentavano un andamento anomalo
del sintomo del muco, non riconducibile a
patologia cervico-vaginale, e/o una storia di
infertilità da 1 a 4 anni (22 donne).
L’ipotiroidismo è caratterizzato da bassi livelli di ormoni tiroidei: tiroxina (T4) e triiodotironina (T3), mentre l’ormone ipofisario TSH
(Thyroid Stimulating Hormone) responsabile
della stimolazione della funzione tiroidea, e il
neurotrasmettitore ipotalamico TRH (Thyrotropin-Releasing Hormone) che controlla la
secrezione di TSH sono aumentati.
RAPPORTI DAL MONDO
[13] Gerhard I, Becker T,
Eggert-Kruse W, Klinga
K, Runnebaum B. Thyrod
and ovarian function in
infertile women, Hum Reprod 1991; 63:338-45.
Nell’ipotiroidismo subclinico si rilevano
invece livelli di T4, T3 e TSH normali o entro i limiti normali-alti. Nella diagnosi di ipotiroidismo sub-clinico è utile il test di stimolo
al TRH: valori di Picco di TSH > 15 μgU/ml
sono indicativi di ipotiroidismo subclinico.
Abbiamo dosato i seguenti ormoni:
- progesterone al 6°oppure 7° giorno dopo
il Picco del sintomo del muco oppure, in assenza del Picco, nel 6°-7° giorno prima del
giorno previsto di inizio della perdita ematica pseudomestruale.
- fT3, fT4 e TSH; in presenza di livelli di
TSH normali o normali-superiori, è stato eseguito il test di stimolo con 200 μg iv, di TRH.
Nelle donne studiate abbiamo rilevato la
seguente prevalenza di patologie:
ipotiroidismo subclinico 73,7% (nel 10%
dei casi associato a presenza di anticorpi antitiroidei);
iperprolattinemia (da adenomi ipofisari, empty sella, o secondaria ad ipotiroidismo) 19,6% ;
differenti patologie isolate, o in associazione (ovaio micropolicistico, insulinoresistenza, iperplasia surrenalica) 21,7%.
Le 59 donne con ipotiroidismo subclinico
sono state classificate in 3 gruppi in base al
quadro del sintomo del muco.
1° gruppo: andamento anovulatorio del
sintomo del muco (2 donne);
2° gruppo: fase post-Picco breve < 11
giorni, o con spotting (37 donne);
3° gruppo: fase post picco > 11 fase postPicco normale ma progesterone basso (20
donne, di cui 2 con ipermenorrea).
L’alta prevalenza di ipotiroidismo sub-clinico, rispetto a quella segnalata da altri Autori (43%)13, può essere spiegata dai criteri
di selezione delle donne (sintomo del muco
anormale/insufficienza luteinica).
Sebbene l’orientamento generale sia quello
di non trattare l’ipotiroidismo sub-clinico, noi
abbiamo iniziato la terapia con ormone tiroideo a motivo del quadro anomalo del sintomo
del muco/insufficienza luteinica). Il trattamento ha avuto come effetto sia l’aumento dei
livelli di progesterone in fase medio-luteinica,
sia l’allungamento della fase post-Picco > 11
giorni, in tutte le donne, confermando il ripristino di un normale meccanismo ovulatorio.
N. 1 ANNO IX
6. Infezioni cervico-vaginali asintomatiche
Abbiamo studiato anche 61 donne con
cicli ovulatori ma con andamento anomalo del sintomo del muco, classificato in
tre gradi, in base alla differente gravità:
1) lievemente attenuato; 2) scarsamente
evolutivo; 3) non evolutivo. L’anomalia del
sintomo del muco è stata determinante per
la diagnosi di infezioni cervico-vaginali
clinicamente asintomatiche di varia natura
(mycoplasmi, gardnerella, germi aerobi ed
anaerobi, miceti, HPV= Human Papilloma
Virus)14.
La prevalenza dei vari tipi di infezione
in relazione alla diversa gravità di deficit
della secrezione cervicale ha evidenziato
percentuali più alte di infezioni da HPV
nei quadri più gravi. Pur trattandosi nella
maggior parte dei casi di ceppi non oncogeni di HPV che non richiederebbero un
trattamento, ma solo controlli periodici, a
motivo degli effetti negativi sul fattore cervicale di fertilità abbiamo trattato le donne
con Laserterapia o DiaTermoCoagulazione
(DTC) della cervice, ottenendo un ripristino del normale andamento evolutivo e ovulatorio del sintomo del muco entro 2-6 cicli
dal trattamento.
In conclusione possiamo affermare che il
metodo naturale può contribuire a migliorare la pratica clinica, orientandola ad investigare patologie endocrine, dismetaboliche o
cervico-vaginali che possono compromettere la fertilità e che, pertanto, vanno trattate
anche se subcliniche o asintomatiche. Nel
momento attuale in cui la medicina è fortemente sollecitata da un progressivo aumento
dell’infertilità di coppia e dal ricorso sempre
maggiore a tecniche di fecondazione artificiale, il valore diagnostico e preventivo dei
metodi naturali moderni non può essere sottovalutato ai fini della tutela della fertilità e
della salute riproduttiva della donna.
Ringraziamenti: Un grazie particolare va
alla compianta Prof. Anna Cappella, Primo
Direttore del Centro Studi e Ricerche RNF
e Pioniera dell’introduzione del Metodo
Billings in Italia, iniziatrice degli studi di cui
vengono presentati i risultati.
23
RAPPORTI DAL MONDO
24
R
iflettendo su quello che è avvenuto nel
rapporto tra diritto naturale e fecondità si possono cogliere otto grandi
separazioni. Le prime quattro avvenute sul
piano scientifico-biologico e le seconde sul
piano antropologico e psico-sociale.
Una prima separazione è quella che è
avvenuta quando la fecondità è stata separata dalla sessualità. Nella vita affettiva degli
esseri umani la pillola estroprogestinica ha
PALLIAZIONE FETALE:
COME CURARE
IL FETO E LENIRE
IL DOLORE
Giuseppe Noia, Annalisa Giona, Lucia Merlino, Maria Riccardi,
Marco D’Errico, Giuseppe Fortunato, Daniela Visconti, Alessandro Caruso
Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente
Policlinico Gemelli
Roma
permesso una scelta di vita sessuale separata dalla possibilità di concepire. Non è qui
il dato di riflessione etico-morale, bensì la
constatazione oggettiva di come la pillola
abbia influenzato i comportamenti affettivi e
sessuali. Una seconda separazione è avvenuta con la fecondazione extra-corporea: tutte
le metodiche hanno permesso concepimenti
al di fuori del corpo della donna: la fecondità è stata separata dalla corporeità. Una terza
forma di separazione è avvenuta con la clonazione: la fecondità, essendo possibile senza
l’utilizzo del gamete maschile, è stata separata
dalla germinalità. Infine con la recente creazione di chimere umane la fecondità è stata
separata dalla integrità genetica di specie.
Sul piano antropologico e psico-sociale, invece, la fecondità è stata separata dall’accoglienza della vita del figlio con il riconoscimento
giuridico negli ultimi ottant’anni dell’aborto
chirurgico e negli ultimi trenta delle pillole
abortive. La possibilità di sperimentare sugli
embrioni o, in caso di gravidanze plurime, di
effettuare la riduzione degli stessi (modalità
occisiva di 3-4 embrioni in caso di gravidanze
N. 1 ANNO IX
esagemine o pentagemine) esprime un secondo tipo di separazione: fecondità separata dal
concetto di eguaglianza e dignità di tutti gli esseri
umani. L’eugenismo della diagnosi prenatale,
il feticidio selettivo e la diagnosi pre-impianto
evidenziano un terzo tipo di separazione: la
fecondità separata dalla “normalità del figlio” in
virtù della sindrome del feto perfetto che ha
creato la “cultura dello scarto” con discriminazioni fortemente selettive sui feti malformati,
malati o con handicap evidenziabili prenatalmente. L’ultima forma di separazione classificativa vede la fecondità ormai separata dalla
umanità: un animalismo eco-ambientale sempre più forte ha fatto perdere la centralità antropologica della preziosità dell’essere umano.
Recenti episodi ben conosciuti con forte rilevanza sui media hanno espresso chiaramente
quanto sia importante opporsi alle stragi delle querce (Firenze) e all’avvelenamento degli
orsi della Marsica (L’Aquila). Poca risonanza,
però, o riflessione provocatoria viene offerta
dinanzi all’olocausto censurato di 53 milioni
di aborti annuali nel mondo.
L’embrione quindi è veramente segno di
contraddizione: tutte le frontiere della scienza ormai si pongono come sfide bioetiche
perché girano intorno all’embrione cosificato
come oggetto in tante tecnologie (FIVETICSI, staminali embrionali, clonazione, crioconservazione degli embrioni, diagnosi
preimpianto, diagnosi prenatale, riduzione
embrionaria, feticidio selettivo). Restituire i
diritti all’embrione con evidenze scientificamente fondate significa restituire alla comunità umana una riflessione che poggia sulla
evidence based medicine delle interazioni fisiologiche e patologiche tra madre ed embrione
sin da subito. Infatti la relazione biologicaanatomica e psicodinamica, nel periodo prenatale, fonda non solo il presente del nuovo
individuo, ma anche il futuro del suo benessere psicofisico. In una società di separazioni,
quindi, uno sguardo scientificamente onesto
nell’universo della vita prenatale ci aiuta a
riflettere sulla relazione per eccellenza, la relazione madre-figlio, e ci stimola a riconsiderare la verità ontologica della persona umana
poiché i diritti dell’embrione si fondano su 3
presupposti scientificamente rigorosi:
- il suo protagonismo;
- la sua relazionalità con la madre;
- la possibilità di curarlo in utero come un
paziente.
RAPPORTI DAL MONDO
N. 1 ANNO IX
ZOOM
proccio intravascolare) correggere l’anemia o
gli altri stati patologici. In tal modo negli ultimi 15 anni la sopravvivenza dei feti è passata dal 60% al 92%. In altri casi possiamo
iniettare nella circolazione del feto farmaci o
albumina, quando necessario.
Connesso a questo approccio spesso è la curarizzazione fetale. In alcuni casi il feto è estremamente mobile o addirittura impugna l’ago
e lo disloca dal cordone ombelicale, compromettendo la procedura. In tali casi iniettando
nel gluteo o direttamente nel vaso un farmaco
immobilizzante (curarizzazione) si può effettuare la procedura e riosservare la normalità dei
movimenti del feto dopo 30 minuti.
In altri casi la presenza di una cisti ovarica
in un feto femmina comporta il drenaggio,
La terapia del bambino in utero
Un altro aspetto, non meno importante, è sempre con un ago eco-guidato, del contenuquello relativo alla sindrome del feto perfet- to liquido della cisti: questo poiché, se essa è
to: l’amplificazione che la cultura mediatica di dimensioni voluminose, si potrebbe avere
fa dell’eventuale handicap del bambino in una torsione, la necrosi e la perdita dell’ovaio
utero sull’impatto della vita futura è deva- fetale. Per impedire ciò si drena il contenuto
stante. In nome di una cultura che proietta cistico, dopo aver effettuato un’anestesia sulsolitudini su solitudini ed esalta la proiezione la cute del feto in dosi proporzionali al suo
di una società futura senza solidarietà umana peso stimato. In 22 casi sono state effettuate
e civile, si opera un’azione cogente verso il cistocentesi ovariche, salvaguardando le ovaie
“togliere la vita” in nome di una “qualità di delle piccole pazienti in tutti i casi.
Un altro modo invasivo di curare il bamvita” futura che ancora non si conosce.
Il meccanismo di proiezione e di amplifi- bino è quello di immettere soluzione salina
cazione della sofferenza, fisica e psicologica, riscaldata a 37° mediante un amniocentesi
dell’individuo, della coppia e delle famiglie (amnio infusione): questo viene fatto quanche devono gestire l’handicap, cerca di dare do la paziente rompe le membrane e perde
peso reale a condizioni di vita proiettate vir- tutto il liquido amniotico al 4°-5° mese di
tualmente: una manipolazione sottile e sua- gravidanza. L’importanza di questa terapia
dente che tenta di giustificare nelle “buone” risiede nel fatto che, anche se il liquido che
coscienze il concetto, assolutamente falso e noi immettiamo viene perduto nei giorni
inumano, che si può eliminare la sofferenza successivi, tuttavia viene stimolata la deglutizione del feto e la sua urinazione, meccaeliminando il sofferente!
Invece esiste una mole di contributi scien- nismo per il quale si aiuta il polmone fetale
tifici degli ultimi 50 anni che dimostrano che a maturare e ad essere pronto ad espandersi
in caso di parto prematuro. Con questa meil feto è un paziente a tutti gli effetti.
Le evidenze sono quelle che ormai la let- todica la sopravvivenza osservata in queste
teratura internazionale ha consacrato e che gravidanze, è passata, negli ultimi 15 anni
aumentano anno dopo anno nelle riviste di dallo 0% al 40-60%.
Questa modalità di cura (approccio transpecializzazione prenatale.
Utilizzando l’aiuto dell’ecografia oggi, il samniotico) mediante amnio-infusione è stamedico del feto, può raggiungere con un ago ta da noi usata anche in caso di grosso gozzo
lungo 15 cm e di pochissimi millimetri di ipotiroideo del feto per il quale si prospettava
diametro il cordone ombelicale del feto e ef- una grave compromissione della crescita e un
fettuare gli esami che si praticano nell’adulto: ritardo mentale. Dopo aver evidenziato con
azotemia, glicemia, emocromo, coagulazione, l’ecografia che i lobi della tiroide erano molto
ingranditi e che la tiroide non funzionava per
indagini ormonali e genetiche.
Se il feto è anemico attraverso la stessa via il blocco indotto dal gozzo, abbiamo iniettasi può effettuare la trasfusione di sangue (ap- to l’ormone tiroideo nel liquido amniotico: il
È un dato epidemiologico acclarato che
gli aborti dopo i 90 giorni sono passati dallo
0,5% (1981) al 2,7% (2007) al 3,2% (2011):
chi volesse negare l’aspetto eugenistico e selettivo della legge 194 dovrebbe dimostrare
il perché di questo aumento fino a 7 volte
superiore!
L’aspetto più inquietante però non è solo il
negare l’aspetto eugenistico della legge ma è
soprattutto il negare che questi numeri possano rappresentare un elemento dissuasivo
autorevole, da un punto di vista statistico, epidemiologico e scientifico, per tutta la comunità civile che sembra subire un processo di
cecità del cuore e di narcosi della coscienza.
25
RAPPORTI DAL MONDO
26
feto ha deglutito la medicina e dopo 9 giorni
il gozzo è completamente scomparso, permettendo anche l’espletamento del parto per
via vaginale.
Altri metodi di curare il bambino prima
della nascita, con patologie da scompenso
cardiaco fetale e presenza di liquidi in molte
cavità del corpo, sono rappresentate da una
forma di terapia fetale integrata: con questo
termine si intende un approccio non invasivo
per il quale si da un farmaco alla madre (digitale in dosi ben adeguate). Questo farmaco
passando la placenta raggiunge il cuore fetale
e si oppone all’effetto negativo dello scompenso. Contemporaneamente si procede per
via invasiva (sempre con un ago eco-guidato)
a drenare i liquidi presenti nella pancia del
feto (paracentesi) o nel torace del feto (toracentesi). Togliere questi liquidi migliora la
circolazione del feto e restituisce la capacità
gestazionale a quelle madri che pensavano
ad un bambino ormai perduto. Con questo
approccio la sopravvivenza è passata dal 10%
al 60%.
Altre modalità sono rappresentate da
quelle condizioni in cui la gravidanza gemellare si complica con una condizione chiamata sindrome da trasfusione feto-fetale per la
quale la prognosi di ambedue i feti è estremamente negativa. Nella nostra esperienza
(più di 200 procedure) l’eccessiva presenza di
liquido amniotico veniva aff rontata asportandone grandi quantità (fino a 3 litri) per
diverse settimane. Con tale metodica (amnio-riduzione) la sopravvivenza dei casi da
noi trattati è passata dal 12% al 42%.
Qualora un feto presenti una malformazione urinaria che impedisce l’uscita dell’urina attraverso l’uretra, è possibile valutare la
funzionalità dei reni prelevando con un ago
eco-guidato una quantità di urina (cistocentesi o vescicocentesi) che ci permetta poi di poter
posizionare un piccolo catetere nella vescica
e fare urinare il feto attraverso l’addome con
un doppio risultato: evitare che l’accumulo di
urina danneggi irreparabilmente i reni e permettere la presenza di una quantità adeguata
di liquido amniotico che stimoli la maturazione dei polmoni. Con questi approcci e in
varie condizioni la sopravvivenza si è triplicata dal 20 al 60%.
Un aspetto nuovo degli ultimi 10 anni è la
palliazione fetale, ossia un approccio invasivo
che mira a diminuire la sensibilità al dolore
N. 1 ANNO IX
del feto in utero. La presenza di terminazioni
nervose e di una sensibilità nocicettiva è stata ampiamente dimostrata in letteratura da
molti studi che hanno dimostrato che l’attraversamento dell’addome fetale fa immettere
in circolo, da parte del feto, gli ormoni del
dolore (endorfine, adrenalina, non adrenalina e cortisolo). Poiché nelle procedure che
comportano un “transpassing” (atteraversamento della cute e sottocute delle sierose)
il feto ovviamente può sentire dolore, l’inoculo, prima del passaggio dell’ago, di piccole
quantità di lidocaina riducono la sensazione
di dolore. Inoltre ogni metodologia di drenaggio che evita il distendersi delle sierose
(ricche di terminazioni nervose sensibili) si
traduce automaticamente in un effetto palliativo con diminuizione delle sensazioni dolorose. Quindi tutti gli approcci come la toracentesi, la paracentesi e le cisti pielocentesi
e il drenaggio delle cisti ovariche, ubbidiscono a criteri terapeutici e preventivi secondo
3 rime di intervento:
Finalità diagnostica che con il prelievo
permette di studiare il liquido in esame;
finalità clinica perché il drenaggio dei fluidi in addome e torace si oppone allo scompenso cardiaco fetale e alla compressione dei
polmoni;
finalità nocicettiva perché detendere le
sierose ricche di terminazioni nervose si traduce in un sollievo della sensibilità dolorosa
fetale.
Negli ultimi 5 anni più di 100 procedure
sono state effettuate con questi scopi.
Questi risultati sono stati ormai validati
a livello nazionale ed internazionale e sono
diventati patrimonio della cultura della medicina fetale. È ovvio che i criteri che hanno
guidato il raggiungimento di questi risultati
erano essenzialmente 3:
La considerazione del feto come paziente
da trattare con un approccio individualizzato
e personalizzato;
un bilanciamento etico rigoroso che ha
fatto scegliere in tutte le occasioni metodiche invasive con un rischio eticamente accettabile e proporzionato;
un counseling alla coppia che fosse estremamente veritiero sulle possibilità di terapia
di quel feto e rifuggisse da forme di accanimento terapeutico.
Tutto l’apporto culturale finalizzato alla
terapia prenatale (invasiva e non invasiva) è
RAPPORTI DAL MONDO
stato seguito parallelamente, negli ultimi 15
anni in particolare, da studi nell’animale sperimentale con la creazione di modelli di tipo
malformativo e la sua successiva correzione prenatale (atresia delle vie biliari, ostruzione intestinale, mega-vescica patologica,
idro-uretere nefrosi bilaterale da chiusura
dell’uretra prossimale, spina bifida).
Inoltre negli ultimi 10 anni è stato creato
un modello finalizzato alla cura delle malattie genetiche. Tale modello è stato ottimizzato nel corso degli anni utilizzando una
procedura di immissione ecoguidata di cellule staminali CD-34 purificate o CD-3 totali nella cavità celomatica dell’ovino (specie
ovis aries comisana). Si tratta, quindi, di un
modello di xeno-trapianto (cellule staminali
da cordone umano prelevato dopo consenso
informato della paziente) immesse in epoche
gestazionali molto precoci (40-46 giorni di
età gestazionale) in feto di pecora, in un sito
posto fuori dal corpo del ricevente.
Il nostro modello di trapianto prenatale con approccio celomatico è stato positivamente accolto dalla letteratura non solo
per la relativa invasività e riproducibilità ma
soprattutto per le basi concettuali che tale
approccio permette. Infatti, l’immissione di
staminali 3 settimane prima rispetto alle altre procedure favorisce il superamento della
conflittualità immunologica, che, secondo
le recenti valutazioni è l’unico vero ostacolo
alla persistenza del trapianto. L’estrapolazione di questo modello dalla sperimentazione
animale alla pratica clinica nell’umano ha
bisogno di molte conferme immunobiologiche. Tuttavia, l’originalità del progetto e la
continuità anche di tipo concettuale che lega
queste procedure alla cura di malattie fetali
ci permette di proporre questo filone di ricerca come una responsabilità istituzionale,
storica e culturale cui non possiamo sottrarci
così come non possiamo sottrarci dall’affermare che tali risultati sono il frutto di una
Scuola che vede nel bambino non nato un
paziente a tutti gli effetti.
Conclusioni
Come si vede gli induttori psicosociali
operano manipolando i fatti reali attraverso
una serie di menzogne giuridiche, scientifiche e socio-politiche. La vita umana viene
resa “terminale” in nome di grandi falsità e
non verità. Esempi eclatanti sono appunto
N. 1 ANNO IX
i feti resi terminali dal consenso giuridicosociale: (53 milioni di aborti annualmente
nel mondo), dalla ignoranza (= dalla non
conoscenza) di tante storie naturali che riguardano malattie infettive in gravidanza,
malformazioni che cambiano nel corso della
gestazione la loro gravità, da una mancanza
di cultura informativa sulle visite preconcezionali e infine da una diagnosi prenatale che
utilizza le tecnologie invasive e non invasive
solo per vedere e per eliminare e non per vedere e per curare.
È possibile invece usare la diagnosi prenatale per attuare la cosiddetta “terapia
educazionale”: il counselling è di per sé un
momento medico importante dove parlando
con la coppia e facendo parlare la coppia si
possono evincere i vari problemi che hanno
condotto quella famiglia a iniziare un iter di
aborto volontario.
Sulla base di queste esperienze dirette
è nata l’Associazione “La Quercia Millenaria”, dove i percorsi di scelta di molte
famiglie sono stati definiti “eroici” ma che
le famiglie hanno definito “naturali”. Esse
hanno dimostrato che l’atteggiamento diffuso nella cultura odierna (amplificazione
del contrasto fra il desiderio della coppia di
avere un figlio sano e il terrore che possa
non esserlo) è espressione della “Sindrome
del feto perfetto”. L’associazione è nata attraverso un passaggio che l’ha portata dalla
testimonianza individuale al servizio, organizzandosi con un comitato scientifico e
una equipe medica di riferimento. Si realizza così il passaggio del “I cure” (Io ti curo)
all’“I relief ” (Porto sollievo) e all’“I care” (Io
mi prendo cura di te).
Educare alla consapevolezza che spesso
la malformazione non c’è, che se c’è è curabile prima della nascita o subito dopo e infine che, in presenza di gravi malformazioni, accompagnare il proprio figlio verso la
morte naturale è l’atteggiamento più umano e più consapevole, anche se non privo
di sofferenza, significa restituire alla coppia
quel progetto di esistenza che loro hanno
costruito intorno al figlio. Esso non si interrompe ma prosegue con modalità diverse e
si compie nella piena capacità gestazionale e
nell’accoglienza della vita, perché come dice
Hanna Arendt: “Gli esseri umani, sebbene
debbano morire, non sono nati per morire,
ma per incominciare”.
27
RAPPORTI DAL MONDO
28
L
a rianimazione del neonato prematuro
oggi ha fatto notevoli progressi rispetto
a pochi anni fa. Questo ha delle ricadute sull’obbligo di tentare di salvare la vita a
feti di età gestazionali che fino a pochi anni
fa non avevano chance. Uno sforzo medico
profondo è in atto per progredire nelle cure,
ma la società sembra non essere all’altezza
del dovere di accoglienza di tanti bambini prematuri con problemi di salute. L’altra ricaduta di questo progresso è sui limiti
LA RIANIMAZIONE
DEL NEONATO:
RISCHI ETICI E
SUGGERIMENTI
Carlo V. Bellieni
Neonatal Intensive Care Unit,
Azienda Ospedaliera Universitaria Senese
all’aborto dettati dalla legge 194, che impone
limiti all’aborto da quando il feto ha possibilità di vita autonoma.
Negli ultimi anni, si è assistito al fiorire di
linee-guida per regolare la sospensione delle cure in età neonatale. Le linee-guida più
in voga nei paesi occidentali si basano sulla
non-rianimazione al di sotto di una certa età
dall’ultima mestruazione (età gestazionale
– EG), anche se in questo modo vengono
lasciati senza rianimazione dei bambini che
in teoria avrebbero una rilevante possibilità
di sopravvivere. La giustificazione di questa
scelta si spiega con il fatto che al di sotto
della età gestazionale prescelta il rischio
di disabilità è tanto alto da far pensare ad
alcuni che la sopravvivenza non costituisca il miglior interesse del neonato. Questo
criterio probabilistico cozza con il criterio
di certezza di futilità delle cure che si usa
nell’adulto. Inoltre, secondo recenti ricerche
(1), molti medici tengono conto non solo
dell’interesse del neonato, ma addirittura
dell’interesse dei genitori quando si tratta di
decidere se rianimare un neonato estremamente prematuro.
N. 1 ANNO IX
Quanto riportato mostra un trattamento differente tra neonati e adulti. Infatti, il
criterio per la sospensione delle cure per un
adulto riposa su dei punti fondamentali:
• certezza della diagnosi e prognosi
• consenso informato
• prognosi certa di morte
• inutilità del trattamento
e, in casi particolari, intollerabilità accertata
del trattamento.
Le linee-guida dell’American Lung Association (2), il documento più citato in letteratura per l’orientamento etico in caso di
rianimazione del paziente adulto, sono chiare in questo senso.
Nel caso dei neonati, invece, abbiamo l’ingresso di due principi che nell’adulto non si
tengono in conto:
- l’interesse di “terzi:” M. Gross, in
un’analisi comparativa dei comportamenti
dei medici in quattro Paesi scrive che “c’è un
generale consenso verso il neonaticidio subordinato alla valutazione fatta dai genitori
del miglior interesse del neonato, considerato in modo largo tanto da comprendere il
danno fisico, così come il danno sociale, psicologico o finanziario” si badi bene “a terzi”.
(3); e: un recente studio internazionale sui
comportamenti dei neonatologi in sala parto
riporta che “[i]n tutti i Paesi la maggioranza
dei medici concorda che il peso per la famiglia è un dato rilevante quando si prendono
le decisioni sul fine-vita” (1).
- la prognosi probabilistica: si sceglie di
rianimare non sulla base di una prognosi accertata, ma probabilistica, quale è la determinazione dello sviluppo del bambino, fatto
attraverso la datazione della gravidanza.
Questa differente considerazione etica tra
adulto e neonato è ben dimostrata dagli studi di Annie Janvier (4-9), che con serie analisi scientifiche mostra che verso il neonato
si ha un atteggiamento ben diverso che verso l’adulto, più pronto a lasciar senza cure il
neonato. Uno degli studi significativamente
mostra che il medico è molto più proclive a
rianimare un adulto di 50 anni che un neonato prematuro di 24 settimane, nonostante
i rischi per la vita e per la disabilità in caso
di sopravvivenza siano uguali nei due casi a
parità di prognosi (5). L’autrice scrive che “Il
valore attribuito alla vita del neonato, in particolare del prematuro, è inferiore di quanto
ci si dovrebbe aspettare dai dati medici og-
RAPPORTI DAL MONDO
gettivi” (8). Vari studi inoltre mostrano che
la prognosi e la qualità di vita di bambini che
potrebbero essere candidati alla sospensione
delle cure sono migliori di quanto il medico
stesso crede e che gli stessi malati sopravvissuti, hanno su di sé un’impressione di qualità di vita migliore di quella valutata dai loro
medici (10).
Qui vale la pena ricordare lo sforzo e l’abnegazione impegnati nelle cure intensive
neonatali, spesso fonte di fatica, sacrifici e
stress legati al burnout e alla disillusione dovuta ad una società che non è al passo della
loro esperienza: vengono fatti enormi sforzi
medici per salvare anche tanti bambini con
futura disabilità ma poi la società non sa o
non vuole accoglierli. Questo è fonte di disillusione e frustrazione.
Certo poi pesano i pregiudizi personali
nel prendere le decisioni su vita e morte
in quest’epoca, come abbiamo mostrato
in una recente rassegna (11). Uno studio
australiano ha mostrato che i medici che
meno sono propensi a rianimare i neonati gravi, sono quelli che più hanno paura della morte (12). Ma laddove si attua
una selezione, gli esiti in percentuale di
handicap sono peggiori rispetto ai luoghi
dove si dà a tutti i nati una chance (13).
Infatti i progressi nella sopravvivenza dei
piccoli prematuri sono evidenti a tutti, e
ora varie casistiche mostrano la possibilità di sopravvivenza di bambini anche
di 22 settimane di gestazione (14) o con
malattie considerate mortali fino a pochi
anni fa quali la sindrome del cuore sinistro
ipoplastico o l’ernia diaframmatica. Infine
ricordiamo come al momento della nascita
non esistono strumenti prognostici sicuri
per sapere se quel bambino è tra quelli che
“ce la farà”; e sempre alla nascita, i genitori
sono così oberati dalla sofferenza fisica o
psicologica da non essere assolutamente
liberi di decidere alcunché, tantomeno la
vita o la morte del figlio, col quale, oltretutto, possono avere un chiaro conflitto di
interessi. Forse la giustificazione nel diverso trattamento tra adulto sano e neonato
sta nel fatto che per molti filosofi quest’ultimo non è una persona (15). Questo non
significa che non ci siano dei limiti all’intervento medico; se l’intervento si dimostra inutile o troppo gravoso va sospeso.
N. 1 ANNO IX
•
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•
Tabella 1 Linee-guida
per l’adeguatezza delle cure al neonato
La rianimazione deve essere tentata per
tutti i bambini nati ad un’età gestazionale in cui la letteratura scientifica mostra
possibilità di sopravvivenza (attualmente
il limite è di 22 settimane), pur tenendo conto dei limiti legati alle possibilità
tecniche locali, che variano tra Nazioni
industrializzate e le altre e tra ospedali di
terzo livello e gli altri.
La rianimazione può essere negata sotto
l’età suddetta. Può essere arrestata se si
dimostra inefficace.
Cure eccessivamente pesanti per il bambino possono essere sospese, così come
quelle che non sono in grado di allontanare significativamente la morte o di
migliorare la vita del bambino, a patto
che la loro rimozione non sia per aff rettare volontariamente la morte.
La previsione di una futura disabilità
non è motivo sufficiente per sospendere
le cure salva-vita.
Le cure non possono essere interrotte
o negate nell’interesse dei genitori, ma
solo nell’interesse del bambino.
Il genitore deve essere sempre informato, e il suo consenso è di norma obbligatorio. Tuttavia nelle scelte di vita/morte,
deve prevalere l’oggettività scientifica
della possibilità del trattamento.
Un accenno va qui fatto alla legislatura
sul rapporto tra possibilità di rianimazione
del neonato e legge sull’aborto. La legge
194/78 che regola in Italia l’interruzione di
gravidanza prevede agli articoli 6 e 7 che
l’aborto non sia possibile quando il feto
nato ha possibilità di vita autonoma (tranne
i rari casi in cui ci sia rischio per la vita della madre e non solo per la sua salute. Dato
che oggigiorno è virtualmente possibile
sopravvivere dopo 22 settimane di gestazione, quello è il limite invalicabile dettato
dalla stessa legge 194 oltre il quale non è
lecito l’aborto (tranne i suddetti rari casi di
rischio del proseguire la gravidanza per la
vita materna).
29
RAPPORTI DAL MONDO
30
N. 1 ANNO IX
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RAPPORTI DAL MONDO
C
he cosa intendiamo per sindrome
post-abortiva? In termini operativi
possiamo assumerla come una compromissione della salute mentale causata
dall’aborto volontario. È un quadro ben più
vasto della sindrome post-traumatica da
aborto (1) e comprende il disturbo d’ansia, la
LA SINDROME POSTABORTIVA, STATUS
QUAESTIONIS
Maria Cristina Del Poggetto
Società Medico-Scientifica Promed Galileo.
depressione, la distimia, il disturbo da uso di
sostanze, è inoltre possibile che almeno in
alcuni casi si manifesti con emozioni vissute
con tale intensità da risultare invalidanti per
la salute mentale, come intesa dalla definizione fornita dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità. Negli anni ’70 la relazione rilevata tra aborto e persistenza di problematiche psichiatriche persistenti dopo l’aborto
stesso era interpretata come l’effetto del rifiuto sociale dell’aborto e dello stigma che
circondava le donne che abortiscono, qualcosa che la legalizzazione avrebbe fatto scomparire (2). Una serie di interventi in letteratura apparsi in quegli anni indicano l’aborto
come una procedura terapeutica, capace di
dare sollievo e persino felicità alla donna
(3-5). Il tipo modello di studio in quel periodo si caratterizzava per piccole dimensioni,
eterogeneità ed esiguità degli strumenti di
rilevazione, durata del follow-up contenuta.
È all’inizio degli anni ’90 che comincia ad
affacciarsi l’idea che, almeno per una parte
delle donne abortire possa essere l’esatto opposto di una terapia (6). La revisione ragionata condotta nel 2009 dall’associazione degli Psichiatri Americani conclude che le
donne che hanno una gravidanza non programmata non hanno alcun problema eccedente quando abortiscono rispetto a quelle
che portano a termine la gravidanza stessa
(7). Nel 2011 un’analoga iniziativa da parte
degli psichiatri inglesi giunge a conclusioni
N. 1 ANNO IX
molto simili, seppure lasciando aperta la
possibilità che alcune donne possano sperimentare reazioni emotive negative all’aborto
e necessitare pertanto di un supporto specialistico (8). Tali conclusioni vengono raggiunte mediante revisioni in cui un processo di
selezione delle pubblicazioni e di valutazione
della qualità metodologica degli studi è condotto certamente con perizia, ma senza riuscire a garantire un’assoluta imparzialità (9).
Non deve così stupire che alcuni autori giungano a negare persino l’esistenza di una sindrome post-traumatica abortiva (10). Sembrerebbe tutto semplice e chiaro, ma così non
è. David Fergusson, ricercatore Neozelandese, coordinatore del progetto Christchurch,
si chiede infatti se sia vero oppure no che
l’aborto che segue ad una gravidanza programmata si associ ad una sofferenza mentale maggiore rispetto alle donne che danno
alla luce un figlio, programmato, desiderato o
meno. In una valutazione del dataset di
Christchurch egli mostra così che un terzo
delle donne non dichiara alcuna reazione negativa derivante dall’avere abortito, ma gli
altri due terzi, al contrario, hanno una serie
di reazioni emotive negative di intensità variabile correlate ad una maggiore incidenza
di depressione, ansia e ideazione suicidaria
(11). Uno studio trasversale retrospettivo
condotto nel 2010 su un’ampia casistica condotto verificando l’abortività e la salute mentale e correggendo i risultati per numerose
covariate, compresa l’anamnesi di eventuale
violenza subita, conferma l’incremento di
depressione, ansia, uso di alcol e di sostanze,
di pensieri e di ideazione suicidaria che affligge le donne che hanno abortito esordendo dopo il primo aborto in quasi la metà dei
casi (12). La conoscenza della letteratura
scientifica sull’argomento con la lettera di
critica e la risposta degli autori, è indicativa
di un certo cliché che colpisce qualsiasi studio che indichi problematiche per la salute
mentale delle donne che abortiscono: gli psicogendarmi dell’abortismo presidiano il recinto che hanno costruito da ogni possibile
breccia. Certo, vi sono problemi metodologici, ma il negare con pervicacia che una parte
delle donne che abortiscono soff rano psicologicamente per causa dell’aborto, sembra
rappresentare un esercizio sofistico, più che
la difesa di un dato di scienza. Uno studio di
linkage dei registri abortivi e di salute men-
31
RAPPORTI DAL MONDO
32
tale condotto in Danimarca dimostra che le
donne che abortiscono non hanno un incremento dei contatti dopo l’aborto (assunto
come indicatore che l’aborto non crea problemi mentali), ma hanno contatti più elevati rispetto alle donne che partoriscono prima
dell’aborto (letto come segno che le maggiori problematiche psichiatriche che si rilevano
nelle donne che abortiscono sono pre-esistenti all’aborto stesso) (13). Gli autori però
tacciono i numerosi problemi che inficiano
l’interpretazione minimizzanti delle sequele
dell’aborto: l’esclusione delle donne con
anamnesi psichiatrica, la possibile maggiore
resistenza delle donne che hanno abortito a
chiedere supporto per il loro disagio psichico, il breve follow-up di 12 mesi, il finanziamento dello studio da parte di un’organizzazione abortista. E tuttavia, anche assumendo
la prospettiva degli autori, è evidente che
abortire non apporta alcun beneficio alla salute mentale della donna. Nel 2011 Priscilla
Coleman pubblica la più vasta metanalisi
che include 22 studi, 36 items e oltre ottocentomila donne, e dimostra l’incremento di
rischio di ansia, depressione, abuso di alcol,
uso di marijuana e suicidarietà con un rischio
attribuibile che va dall’8% per l’ansia e la depressione al 35% per la suicidarietà (14). La
rivista degli psichiatri inglesi viene inondata
di commenti che criticano ferocemente
l’analisi della Coleman, accusandola di non
avere selezionato le donne con gravidanza
indesiderata, di avere ignorato le condizioni
mentali prima dell’aborto insieme ad altri
possibili fattori confondenti, di avere cumulato outcomes disomogenei, di essere di parte perché pro-life, di avere incluso troppi dei
suoi studi nella metanalisi. La Coleman ha
risposto molto puntualmente alle critiche dimostrando ad esempio che le donne che
abortiscono presentano maggiori problemi
di salute mentale rispetto sia a chi ha partorito, a chi non ha mai abortito, e anche rispetto a chi ha portato a termine la gravidanza non programmata. David Fergusson
in una lettera pubblicata sulla rivista dimo-
N. 1 ANNO IX
stra che, anche tenendo conto della precedente salute mentale delle donne, dopo
l’aborto i problemi mentali sono maggiori.
Nell’aprile del 2013 Fergusson, ateo, prochoice, pubblica la metanalisi che limita gli
studi a quelli considerati qualitativamente
adeguati dalle società psichiatriche e dagli
psichiatri pro-aborto. Ancora una volta i dati
parlano chiaro: incremento dell’ansia (+28%),
dell’abuso di alcol (+134%), dell’uso di sostanze (+291%), della suicidarietà (+69%)
(15). È significativo che nell’unico studio in
cui ciò sia stato esplorato, non è stato dimostrato alcun beneficio per la salute mentale
delle donne che ricevono l’aborto rispetto a
quelle a cui invece l’aborto viene rifiutato
(16). Pertanto, persino volendo concedere i
più ampi benefici di dubbio rispetto all’ipotesi che l’aborto faccia male alla salute mentale delle donne, come minimo è chiaro che
l’aborto è una scelta che integra i criteri della
futilità medica, ovvero di una procedura che
non raggiunge gli obiettivi che si pone (17).
Quando si parla di numeri di casistiche
abortive non si deve mai dimenticare che
dietro a quei numeri vi sono degli esseri
umani, maschi, femmine, adulti, adolescenti
che soff rono e fanno soff rire, e soprattutto
bambini non nati. Queste riflessioni possono
risultare indifferenti alla riflessione biogiuridica soltanto nel caso in cui si voglia rinunciare a qualsiasi pretesa di beneficialità per la
donna mediante l’aborto, come invece suggerisce il ricorso al concetto di salute in molte legislazioni per giustificare la procedura di
aborto. Le evidenze condotte sul terreno
della scienza medica non lasciano alcuno
spazio al cosiddetto “abortismo umanitario”.
Così l’unica giustificazione all’aborto che rimane in piedi sembra essere la mera volontà
di affidare alla donna il diritto ad autodeterminarsi e di farlo anche eterodeterminando e
terminando colui che ha bisogno di sua madre per continuare a vivere, rimane cioè
l’abortismo “libertario” (18), ma questo è un
ambito che non ha niente a vedere con la
medicina, la cura, la salute.
RAPPORTI DAL MONDO
N. 1 ANNO IX
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33
RAPPORTI DAL MONDO
34
Q
uando si aff rontano argomenti delicati quali il colloquio che operatori prolife effettuano per salvare la
vita di un bimbo concepito ma non ancora
nato a rischio aborto, la prima cosa da fare
è chiarirsi sulle premesse da cui partono
IL COLLOQUIO DI
SALVATAGGIO.
UN PERCORSO
AD OSTACOLI PER
ARRIVARE ALLA VITA
Dott.ssa Cinzia Baccaglini
motivazioni e ragioni personali che portano
alcune persone a dare la loro disponibilità per aiutare madri, padri, nonni, amiche
della madre che sta aspettando un bimbo
e chiarire anche il tipo di linguaggio che si
usa nei vari contesti e le conseguenti modalità operative.
La prima premessa è che ognuno di noi è
strumento per aiutare queste persone e che,
semmai, se proprio vogliamo usare la parola salvare, questi bimbi li salva solo chi è
Onnipotente e non noi. A noi il compito di
far concepire nel cuore e nella mente di una
madre chi lei ha già concepito nel grembo
ma del quale non sa o non vuole riconoscere
la meraviglia, la bellezza, l’unicità, l’irrepetibilità: il nostro servizio, perchè di questo si
tratta, si realizza attraverso un percorso ad
ostacoli individuali, familiari e contestuali e
ha come fine quello di sostenere una madre
nel riconoscere il volto umano del concepito
che porta dentro di sé e che è e rimarrà
sempre un figlio, suo figlio.
Gli atteggiamenti che indicano difficoltà
di accettazione del figlio sono sostanzialmente 3:
-Non ho bisogno di nessuno aiuto, ho
già deciso;
-Io lo vorrei ma x, y, z dice o dicono che…;
-Sono confusa.. non so che fare…
N. 1 ANNO IX
Da subito le parole che la madre usa ci
danno anche la misura della vicinanza a ciò
che le sta succedendo: da “aspetto un bimbo”
a “sono incinta” fino a separazioni, negazioni
e allontanamenti psicologici che oggigiorno
arrivano ad essere verbalizzate persino così:
“ho una gravidanza in atto”. Molte delle
persone coinvolte nell’attendere un bambino, incontrate in tanti anni di colloqui, per
allontanare il pensiero dalla realtà dell’attesa,
utilizzano separazioni e divisioni che scorporano e frammentano quel grande evento
complesso di tipo biologico, psicologico, sociale e spirituale che è l’attesa di una nuova
creatura concepita, fino a focalizzarsi su un
fattore contingente spesso negativo che annebbia tutta la ricchezza dell’evento in atto.
Nell’era del tutto programmato, deciso e
controllato, il concepimento di un bimbo a
volte non cercato, non desiderato o inaspettato viene vissuto con la stessa modalità di
rapporto che si ha nei confronti di una cosa
e si connota di un giudizio necessariamente
negativo. La verità è che ogni bimbo concepito è sempre evento inaspettato, anche il
più cercato, anche il più voluto; per questo
la valutazione del nuovo, del cambiamento,
della meraviglia emotiva deve essere considerata positiva ed evolutiva nel suo sviluppo,
ancorandosi alla salda fermezza del fatto
che “essere qualcuno e’ essenzialmente diverso ed infinitamente più che essere qualcosa”.
Sicuramente molti fattori personali e di stile di vita determinano questa reazione che
spesso si somma a paura, blocco del pensiero,
incapacità decisionale, negazione della realtà,
pensiero ossessivo riguardante i cambiamenti
che il proprio corpo, le proprie abitudini e le
proprie priorità subiranno; particolarmente
complessa è la situazione che riguarda le minorenni o quelle donne che faticano anche
in altri campi o ambiti a far fronte alle responsabilità delle conseguenze delle proprie
azioni e che possono giungere ad avere atteggiamenti amplificati verso la trasgressione, le
sperimentazioni, gli agiti o ad atteggiamenti
falsamente supponenti della serie “decido io:
punto e basta”; oppure si manifestano in un
blocco totale del pensiero sia emotivamente
che biologicamente condizionato (non dimentichiamo il forte sbalzo ormonale che
vive una donna in attesa di un figlio) che arriva fino alla delega ad altri di ogni decisione
che le riguarda.
RAPPORTI DAL MONDO
È chiaro che in questa situazione il colloquio non è una semplice conversazione del
più o del meno, non e’ una mera discussione
di argomentazioni teoretiche contrapposte,
non è un interrogatorio fatto da domande a
raffica, non è una confessione dove si debbano “assolvere” colpe o dare giudizi sul come
si sia arrivati a quel punto. Si dovrà riflettere
su questo ma successivamente. Un colloquio
di salvataggio è un rapporto tra persone con
l’obiettivo di volgere e far volgere lo sguardo al “cucciolo d’uomo” senza censurare le
fatiche, dubbi, difficoltà della madre: è un
percorso che accompagna a cogliere insieme la meraviglia di un bimbo che viene al
mondo nonostante le difficoltà, è l’aiutare in
una relazione una madre a riconoscere il volto umano del concepito, di suo figlio al fine
di smantellare difese rigide interne o esterne e far esprimere paure, dubbi, angosce per
sciogliere nodi emotivi che portano all’aborto come soluzione lineare di una situazione
considerata solo come problema.
La verità è che ogni concepito umano è
sempre figlio: questa è la prima misericordia che dobbiamo alla nostra società. Questa
che per alcuni è “la luce impietosa”, se detta
con amore e con passione per la vita, rimarrà
persino se la madre andrà ad abortire e sarà
persino la sua salvezza nel post-aborto. “La
verità detta con carità ma per carità la verità”,
come ebbe a scrivere l’allora Cardinale Joseph
Ratzinger, per altro tema ma ben attagliabile
a questo: “Se in passato nella presentazione
della Verità talvolta la Carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande
il pericolo di tacere o di compromettere la
Verità in nome della Carità. Certamente la
parola della Verità può far male ed essere
scomoda. Ma è la via verso la guarigione,
verso la pace, verso la libertà interiore. Una
pastorale, che voglia veramente aiutare le
persone, deve sempre fondarsi sulla Verità.
Solo ciò che è vero può in definitiva essere
anche pastorale”.
Pertanto ogni colloquio è unico ed irripetibile poiché avviene tra persone uniche
ed irripetibili. Capita a volte di aiutare anche per interposta persona. Non sempre è
la mamma che aspetta il bimbo a chiedere
aiuto ma anche il padre del bimbo, la nonna
o semplicemente l’amica o la conoscente. Il
colloquio quindi dipende dalla personalità
e ruolo dei due o più interlocutori, dal tipo
N. 1 ANNO IX
di interazione che stabiliscono tra loro; dalla situazione che entrambi stanno vivendo
in quel momento, dalle condizioni in cui si
svolge il colloquio stesso. È un processo dinamico fatto di segni verbali e non verbali
quando avviene di persona ma che variano o
mancano se il colloquio avviene per telefono,
tramite sms, tramite chat, facebook o altro
canale scritto informatico.
La persona che si appresta a effettuare colloqui per evitare l’aborto deve avere
formazione specifica per poter dare informazioni e orientarsi nel suo parlare. Deve
sapere quali sono le differenze tra aborto
chirurgico del primo trimestre, aborto chimico da RU486 e aborto del secondo trimestre in special modo quando la diagnostica
prenatale, così invasiva e con risultati non
sempre comunicati in modo umano, porta a
dare diagnosi solo della malattia e non riferirsi invece ad un bimbo malato, soprattutto
quando per medicina difensiva o accidia intellettuale il tutto si potrebbe risolvere con
operazioni in utero o post-natali. Spesso
manca anche il coraggio di proporre la via
dell’accompagnamento per i feti cosiddetti
terminali piuttosto come vera alternativa ai
rimorsi e ai sensi di colpa dopo un aborto.
Altrettanta informazione e formazione serve riguardo al funzionamento delle varie
pillole del giorno dopo e della intersezione
tra aborto e fecondazione extracorporea.
Questi colloqui risentono ovviamente
delle due dimensioni fondamentali del tempo
e dello spazio. Quanto al tempo esso dipende da quanto se ne ha o ne è concesso per
l’ascolto, per il colloquio ma anche il tempo
della gravidanza e il tempo dell’aborto programmato. Per quanto concerne lo spazio è
evidente che la condizione ottimale sarebbe parlare di persona comodamente seduti
in luogo riservato magari in una sede di un
Centro di aiuto alla vita, di uno sportello per
l’ascolto Caritas, in un Consultorio diocesano, ma capita anche di darsi appuntamento,
solo perché così viene accettato, in locale
pubblico o altre situazioni le più disparate
come in auto, nelle sale d’attesa delle stazioni, in una mensa o in un dormitorio. A volte
capita che si è chiamati o ci si reca a domicilio, altre volte in ospedale (con sede data
per questo oppure in un corridoio di corsia o
nella stessa stanza del reparto dove la donna
è già magari ricoverata). In ogni luogo deve
35
RAPPORTI DAL MONDO
36
essere comunque centrale l’attenzione a ciò
che sta succedendo e che si sta compiendo.
Il colloquio deve tenere conto che quando una persona chiede aiuto ha bisogno di
tre cose:
1. Comprendere meglio la situazione ossia passare dal “passato di verdura” in cui è
immersa, fatto di confusione e omogeneità,
ad almeno il minestrone dove distinguere la
patata dalla carota e la carota dalla cipolla,
distinguendo priorità.
2. Valutare le esperienze che sta vivendo
(molte dipendono dal suo essere o non essere
stato/a amata).
3. Trovare una via d’uscita insieme, una
soluzione soddisfacente alla sua difficoltà
che va verso la vita sua e del bambino.
Il tutto per ritrovare quella dimensione
pienamente umana che ognuno di noi ricerca: amare ed essere amato.
Certo bisogna esplorare gli ostacoli che si
nascondono dietro e dentro i vari contesti: il
contesto individuale, il contesto familiare, il
contesto economico-sociale, il contesto culturale, il contesto professionale.
Facciamo alcuni esempi. Molti sono i fattori personali che incidono: in quale relazione di coppia nasce, cosa si pensa dell’attesa di
un bambino, come è stato/a accolta in questo mondo dai genitori, come vive la femminilità e la mascolinità, quale reazione alle
malattie proprie e altrui, quali paure, quanto
pesa la valutazione della sua inadeguatezza
personale, se c’è già stato uno o più aborti
spontanei o volontari… e cosa essi hanno prodotto. Per cui le domande emergono
spontanee sul livello di studio; sul lavoro o
sulle aspettative di lavoro; sull’importanza
attribuita alle occupazioni extra-familiari;
sulla definizione dei ruoli nella coppia e nella famiglia; sul progetto di vita in relazione
al numero dei figli e all’età della madre alla
nascita del bimbo. E ancora: sulla valutazione della persona delle aspettative di figura
per lei significative; sull’immagine che ha di
sé come figlia, mamma, sposa, fidanzata, per
cogliere eventuali conflittualità tra i ruoli;
sulle sue opinioni e desideri riguardo bimbo/aborto, quelle dei genitori, del marito o
partner, o altre figure significative; sulla possibilità che ha di immaginarsi in entrambe le
eventualità; sulle idee dei progetti futuri suoi
e in relazione alla coppia e ai figli sia presenti
che futuri; sui fatti importanti della vita pas-
N. 1 ANNO IX
sata e recente che possono essere connessi in
modo significativo alla gravidanza presente
(eventuali aborti pregressi, aborti pregressi
della madre, sua nascita indesiderata, morte
di qualche parente significativo, etc.); il contesto familiare proprio e dell’altro genitore;
quale analisi della relazione di coppia che ha
generato, cosa ne pensano i genitori propri e
dell’altro, come viene percepita nelle famiglie
la nascita, se è condizionata al sesso del bambino, se è condizionata alla sua normalità fisica, se i nonni danno aiuto nella possibilità
di tenere il bambino dopo la nascita, se vige
un pre-giudizio familiare e sociale in caso
delle cosiddette primapare attempate, il numero dei figli già nati, lo stato civile che varia
dalla nubile all’appena separata e già incinta
di un altro o a seguito di divorzio e già con
figli grandi oppure in un concepimento a
seguito del tradimento del coniuge. Quante
pressioni si nascondono esplicite o implicite
dietro queste decisioni!
Molto spesso vengono indicati i motivi economici, abitativi per l’aborto ma essi
sono solo un paravento. A volte certo ci
sono delle necessità materiali ma l’aborto è
sempre più un obnubilamento del cuore e
della mente ed anche una qual si voglia “carità materiale” deve essere abbondantemente condita da quella intellettuale e spirituale. Questo è il problema attuale dell’aborto
in qual si voglia situazione.
Certo è bene sapere e dire come è strutturato il servizio offerto con le sue risorse
umane e professionali: case di accoglienza,
volontari che vanno a domicilio, babysitter,
asili nido interni, ginecologo, psicologo, pediatra, ostetrica. I materiali che si possono
off rire: latte in polvere, guardaroba, banco
alimentare, pannolini. Le caratteristiche di
quel servizio rispetto al territorio; le risorse
umane presenti in quella realtà territoriale
fatto di reti formali: livelli di aiuto istituzionali quali Comuni, Province per gli assegni
economici di diversa natura, case popolari,
case d’emergenza; organi preposti per immigrati o questioni di violenza quindi Questura, Prefettura e Forze di Polizia; e reti
informali con altre persone ed associazioni
(Caritas, San Vincenzo, Croce Rossa, gruppi
amicali, case protette per violenze). Non si
deve nemmeno escludere di mettere al corrente le persone che la legge italiana prevede
la possibilità di non riconoscere il bimbo alla
RAPPORTI DAL MONDO
N. 1 ANNO IX
nascita per poterlo dare in adozione e far conoscere anche le realtà delle culle per la vita
per evitare che i bimbi appena nati vengano
gettati nei cassonetti.
Per fare tutto ciò la prima cosa da fare è
formarsi veramente, avere e comunque allenare quelle caratteristiche che fanno di ogni
persona prolife un testimone credibile e coerente: l’ascolto (dia-logos che insegna ad
andare oltre le parole), l’empatia (intesa qui
come l’essere sempre diapason della vita), la
genuinità (autenticità spontanea che si differenzia dall’istintività poiché implica la rifles-
sione), il rispetto per l’altro nelle modalità di
azione, la capacità di riservatezza rispetto agli
argomenti delicati trattati, la conoscenza dei
propri limiti (che ognuno di noi ha), la conoscenza dei propri pregiudizi (di cui nessuno di noi è scevro) e la continua formazione
personale quella cura dell’essere più che del
semplice sapere e saper fare. A quel punto il
credere alla vita diventa testimonianza proposta, patente di accesso ai cuori e alle menti,
promessa mantenuta che per ognuno di noi
non tutto è facile ma può essere meno difficile
e soprattutto non vissuto in solitudine.
A cura di Carlo Bellieni
Autonomia e medicina:
tutti sconfitti?
Far decidere il paziente in solitudine, in
auto-nomia, sembra oggi un grande successo, che forse sconfigge il paternalismo, ma
che lascia le persone spesso nei guai. Questo libro raccoglie il giudizio di diciassette
autorevoli medici, economisti, presidenti di
associazioni di malati che affermano una
semplice cosa: medici, decidete di più! Non
lasciate le scelte all’umore vostro o del paziente e, soprattutto, non lasciate il paziente
da solo, con un foglio di diagnosi in mano!
Nella stessa collana:
CANTAGALLI
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RAPPORTI DAL MONDO
38
V
iviamo giorni straordinari come popolo pro-life in Italia. I due poli dell’associazionismo cattolico si incontrano
con due grossi eventi: la Marcia per la vita e
la raccolta firme One of us, Uno di noi.
La Comunità Papa Giovanni XXIII ha
LA COMUNITÀ PAPA
GIOVANNI XXIII A
SERVIZIO DELLA
VITA NASCENTE
Enrico Masini
Animatore generale Servizio Maternità Difficile e Vita
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
per missione specifica la condivisione diretta,
cioè mettere la vita con quella dei poveri, con
gli ultimi di questa terra.
40 anni fa è stata fondata la prima Casa
Famiglia, poi moltiplicata in 32 paesi dei 5
continenti: oggi sono oltre 300 nel mondo.
Si tratta di vere famiglie, composte da un
papà e una mamma che, insieme ai propri
figli naturali, accolgono sotto lo stesso tetto
persone con ogni genere di difficoltà; non ci
sono operatori che si turnano ma si vive insieme 24 ore su 24. Le persone accolte restano per tutto il tempo di cui ci sarà bisogno
per tornare poi nella loro famiglia, ritrovare
l’autonomia o talvolta restano per sempre.
Anche alla mia famiglia in più occasioni è
stato chiesto di fare accoglienza.
Ricordo una telefonata del nostro fondatore don Oreste Benzi nel pomeriggio del 26
dicembre 1999: “Ho qui una ragazza alcolista, domani mattina la fanno abortire se non
la prendi in casa tua”.
Un breve consulto in famiglia, coinvolgendo anche i nostri figli più piccoli (vi assicuro che non hanno mai detto di no) e dopo
poche ore Svetlana era a casa nostra. Al momento della cena nostra figlia Chiara di due
anni e mezzo prese dal cassetto uno dei suoi
bavaglini e glielo appoggiò sul ventre. Lei
aveva capito tutto.
N. 1 ANNO IX
Io sono arrivato alla Comunità Papa Giovanni XXIII nel 1994 come Obiettore di coscienza per svolgere il servizio civile.
Era in corso la guerra fra le etnie che
componevano l’ex Jugoslavia, appena al di là
dell’Adriatico, a pochi chilometri da Rimini
dove vivo, dove è nata e ha sede l’associazione.
Giungevano notizie di fatti atroci e non ci
si sentiva di restare impotenti.
Alcuni di noi partirono per andare a vedere
cosa si potesse fare. Così si iniziò a vivere con i
popoli in guerra, con loro anche sotto le bombe, sugli opposti fronti per costruire insieme
ponti di pace, fino alla fine del conflitto.
Nel panorama pro-life abbiamo una precisa identità, un modo di agire che ci caratterizza. Tuttavia abbiamo scelto di mantenere
un dialogo aperto e pacifico con tutti.
Così siamo presenti numerosi qui oggi e
domani alla Marcia, come in ogni parrocchia
per raccogliere le firme.
Quando, nel costituendo Comitato Uno
di noi, si è scelto il 12 maggio come giornata
nazionale per raccogliere le firme, in coincidenza con la Marcia per la vita, io mi ero opposto definendolo “Un atto di guerra”. Stavo
ritirando la nostra adesione ma poi il nostro
presidente, Giovanni Paolo Ramonda, mi ha
saggiamente chiesto di aderire pretendendo
che venisse verbalizzata la nostra contrarietà
a tale coincidenza.
Questo ha provocato una serie di confronti ed incontri che hanno trasformato il
conflitto in opportunità. Così domani vivremo una unica giornata straordinaria per la
vita. I due percorsi si sono intrecciati con un
mutuo riconoscimento e reciproca adesione.
Un fatto storico che abbiamo la responsabilità di coltivare e consolidare.
Un giorno mi fermò don Oreste esclamando: “Ho trovato il modo di far cessare
gli aborti in tutta Italia. Andiamo a pregare
di fronte agli ospedali nel giorno e nell’ora
in cui si praticano gli aborti!”. Così iniziammo a Rimini e poi in diverse altre città. Ci
fu il contrasto di tanti, anche al nostro interno. Il giorno prima incontrai don Oreste e gli dissi: “Domani vengo, ma solo per
obbedienza, mi ritrovo tutti contro e anche
io non so che fare”. Lui invece: “Se devi venire per obbedienza stai pure a casa ma io ci
vado, anche da solo”.
Così, sullo stretto marciapiede di Villa
Assunta, vicino alla stazione ferroviaria di
RAPPORTI DAL MONDO
[1] Don Oreste Benzi,
Nel cuore della famiglia,
ed Sempre, 2008, pp.
193-194.
Rimini, il 24 marzo 1999 ci ritrovammo in
80 per la recita del rosario. Dopo poche settimane la clinica venne chiusa e ancora oggi
non si è riusciti a riutilizzare quello stabile.
Un giorno a Forlì, appena finita la preghiera si fermò una coppia dicendo: “Vi abbiamo visto pregare, così non ce la sentiamo
più di abortire nostro figlio”. Si trattava di
una famiglia molto problematica, che seguiamo ancora. Proprio nella successiva giornata
per la vita è nato Francesco”.
Una volta arrivarono i Carabinieri all’ospedale dei bambini, il Salesi di Ancona. Chiesero a don Oreste i documenti. Lui prontamente li estrasse dicendo: “Eccoli, se vuole
vengo anche in caserma, ma è lì dentro che
uccidono i bambini, noi qui stiamo solo pregando”. Il brigadiere sottovoce: “Don Benzi,
ci hanno chiamati”.
Qualche mese fa ero ancora davanti a
quella clinica e mentre pregavamo è passata
una volante. Il poliziotto lato passeggero si è
girato verso di noi, si è coperto il volto con la
sinistra e con la destra si è fatto il segno della
croce, così come fanno molti passanti.
Tutte le nostre iniziative hanno due risvolti: quello della condivisione diretta e quello
della rimozione delle cause che provocano
l’emarginazione.
“Il povero ha bisogno subito. L’affamato
ha bisogno di mangiare oggi – ripeteva don
Oreste Benzi – ma dobbiamo far sì che da
domani non si debba più umiliare a chiederlo” e questo per non essere complici di chi
produce le ingiustizie. Denuncia pubblica,
proposte alternative e pagare di persona sono
le nostre direttrici, in una continua relazione con tutte le forze istituzionali e politiche
per evitare che chi fabbrica le croci si avvalga
della nostra copertura.
La nostra associazione è apartitica ma
non apolitica, sempre attenta alla politica
nell’ottica della costruzione della città, del
bene comune.
È una associazione laica ma non atea che
si mette in relazione positiva con tutti ma
senza nascondere l’appartenenza a Cristo.
Rispetto a leggi molto contestate, volte a
regolamentare alcune ingiustizie, abbiamo
avuto da sempre una posizione molto chiara:
“L’ingiustizia non si può regolamentare, può
essere solo eliminata”.
Nel libro che stava scrivendo don Oreste
Benzi proprio nei giorni in cui ha lasciato
N. 1 ANNO IX
questa terra si legge: «La legge sull’aborto
non può essere riformata, deve essere cancellata; non capisco l’ipocrisia di credenti che
sostengono la legge barbarica dell’uccisione dei bambini. Come Erode ha eliminato
i bambini fra i quali poteva esserci uno che
gli avrebbe dato fastidio, così i nuovi Erode
uccidono i bambini che danno fastidio. Si
tratta di una brutalità ingiustificabile»1.
Oggi è sempre più evidente come la legge
sull’aborto serva a tenere a bada il numero
dei poveri che un tempo servivano per fare
le guerre e per coltivare la terra ma che oggi,
secondo una società utilitarista, rappresentano soltanto un peso e un ostacolo.
In diverse città abbiamo percorsi con le
Asl. Condividiamo solo quanto può unirci.
Nel rapporto con i Consultori è chiaro come
la parte di incontro, ascolto e rimozione delle cause che portano la donna a richiedere
l’aborto ci trovano pienamente collaborativi
nel trovare ed attuare soluzioni adeguate. Le
nostre strade si biforcano quando la gestante dovesse perseverare nella sua richiesta di
abortire. Il Consultorio fissa l’appuntamento
per l’aborto e “chiude la pratica”, mentre noi
restiamo disponibili, 24 ore su 24 ad intraprendere il percorso di vita proposto, continuiamo a pregare e sperare nella Vita.
La richiesta di aiuto per una donna-coppia
con una gravidanza inattesa o problematica fa
scattare una proposta di incontro che, nel caso
di pericolo per la vita, cerchiamo di realizzare
nelle 24 ore succcessive, raggiungendola a casa
sua o dove si senta a suo agio, mobilitandoci
da ogni luogo in cui siamo presenti.
Un’accoglienza gioiosa è il primo necessario ingrediente per favorire il dialogo e la
fiducia. Un ascolto attento fa emergere, in
genere, situazioni personali e famigliari molto pesanti da cui da sola la donna non intravvede vie d’uscita, si sente in un vicolo cieco.
“Tuo figlio vuole vivere”. Esplicitare e condividere la fragile presenza del figlio rappresenta un fattore fondamentale nel colloquio:
siamo qui per lui, insieme cerchiamo una alleanza per accoglierlo con più serenità.
Questo cerchiamo di farlo non sminuendo
i suoi problemi, non pretendendo di avere la
bacchetta magica ma mettendo la nostra spalla sotto la sua croce: “I tuoi problemi sono i
nostri problemi, insieme ce la possiamo fare”.
“Non le risposte che fanno comodo a noi, ma
quelle di cui c’è veramente bisogno” diceva
39
RAPPORTI DAL MONDO
40
sempre don Oreste. Così non abbiamo un
progetto preconfezionato ma lo si elabora insieme, valorizzando ogni sua risorsa, attivando
tutto il possibile nel territorio in cui vive.
Un accompagnamento costante che può
arrivare all’accoglienza in Casa Famiglia, per
tutto il tempo che serve alla donna a ritrovare l’autonomia.
Sempre più spesso ci capitano casi in cui
l’aborto è forzato, forzato dalle situazioni
o dalle persone che la donna ha accanto. In
genere sono i genitori contro la minorenne, i
servizi sociali contro chi ha già altri problemi,
il medico contro il figlio imperfetto, il datore
di lavoro contro la dipendente. Insistenze che
possono arrivare a minacce e a vere e proprie
costrizioni con l’inganno e la violenza.
Ho seguito molto da vicino la vicenda di
Lucia e Rebecca, le gemelline siamesi nate a
Bologna due anni fa. La madre fa parte della
nostra Comunità, il marito è non credente. Fu
proprio il padre, ancora prima dell’ecografista,
ad accorgersi che erano unite, con un cuore
solo. Alla proposta del medico di abortire le
bambine lui ha subito replicato: “Ammazzare
loro o uno di 20 anni per me è la stessa cosa”.
Allo stesso modo, dalla coppia che abbiamo accompagnato ieri al funerale del figlio
Francesco di appena 11 mesi ho raccolto la
stessa testimonianza alla fine del funerale:
“Siamo sereni, perché abbiamo fatto tutto
quello che potevamo fare”. La stessa cosa
non potrà mai dire una coppia che invece ha
optato per l’aborto.
Una sera mi chiamò una assistente sociale
dal sud Italia, sottovoce, titubante: “Ho una
donna schizofrenica di 42 anni che domani
andrà ad abortire ma se voi l’accogliete non
va. Però dovete farlo subito e gratuitamente”. È stata subito accolta in una nostra Casa
Famiglia a Riccione, ma dopo alcune settimane ha abortito spontaneamente. Così è
nato Matteo. Con il consenso della madre è
stato il primo bimbo che abbiamo accompagnato alla sepoltura. Matteo nacque a 4 mesi
dal concepimento, visse appena il tempo di
emettere un respiro e di essere battezzato
dall’ostetrica. La madre aveva spesso momenti
di delirio in cui gridava: “Ridatemi Matteo, il
mio bambino, me lo hanno portato via, dove
lo avete messo?”. Era infatti consapevole che
non avrebbe potuto fargli da madre e che le
sarebbe stato tolto. Così bastava andare con
lei al cimitero per depositare un mazzo di
N. 1 ANNO IX
fiori sulla tomba per tranquillizzarla. Da lì
abbiamo capito l’importanza della sepoltura come atto di misericordia, di gratitudine
verso la vita, di attenzione verso il corpicino
di un bimbo anch’esso destinato alla resurrezione. Ne abbiamo capito l’importanza nella
rielaborazione del lutto da parte della madre
e del resto della famiglia, in quanto consente
di socializzare il dolore, di piangere e non reprimere facendo finta di niente come spesso
semplicisticamente suggerito.
Una delle iniziative più forti e spesso
osteggiate è l’attenzione verso i più piccoli,
i piccolissimi, gli embrioni di poche cellule
appena prodotti in vitro che vengono selezionati, gettati, congelati e molto spesso abbandonati. Difficile trovare qualcuno che anche
solo preghi per loro. Alcune nostre coppie di
sposi si sono rese disponibili ad accoglierne
qualcuno per dare una possiblità di vita, raramente anche di nascere ma sempre di avere
una occasione di amore. Quindi anche quei
tanti che una volta scongelati non riescono
poi a sopravvivere muoiono, sì, ma durante
un atto di amore accogliente di una madre
pronta a rigenerarli nell’amore, potendo sperimentare per pochi minuti, poche ore o pochi giorni l’amore materno. Ed è quello che
resta e che può portare qualcosa di bello e
buono e nella nostra società. Che non venga
effettuata nessuna selezione è il nostro criterio irrinunciabile; diverse coppie si spingono
a chiedere quelli in procinto di essere soppressi, anche con patologie accertate.
«Ogni volta che avete fatto queste cose a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me» (Mt 25, 40) e su questo
Gesù insiste, “in verità vi dico”, è il criterio
per entrare nel suo regno, una rivoluzione.
Infatti al tempo i bambini non contavano
niente, come oggi embrioni e feti umani.
Non una condanna, ma un monito e una
indicazione chiara di cammino.
Termino con una frase che ripeteva sovente
don Benzi e che porteremo nel nostro striscione domani alla marcia: “Con l’aborto due vittime: una mortalmente e l’altra per sempre”.
Ora che avete saputo vi invito a non far
più finta di niente, a rimboccarvi le maniche,
non è una cosa per pochi ma che ognuno di
noi, nel proprio piccolo può fare.
Quindi vi lancio la provocazione e la palla.
Vi auguro di appassionarvi alla vita e alla condivisione diretta. Ne vale la pena. Ci state?
SPOGLIO INTERNAZIONALE
N. 1 ANNO IX
SPOGLIO INTERNAZIONALE
[a cura di Benedetta Cortese]
BENEDETTO XVI
CASAZZA, Fabrizio, Matrimonio e famiglia nel magistero di Benedetto XVI, «Rivista di
teologia morale» 178, aprile-giugno 2013, pp. 227-240.
COCCOLINI, Giacomo, Elementi teologico-politici nel magistero di Benedetto XVI,
«Rivista di teologia morale» 178, aprile-giugno 2013, pp. 213-226.
FORUM, L’eredità di Benedetto XVI. Per una teologia ed etica dell’amore, della speranza
cristiana, dello sviluppo umano integrale, «Rivista di teologia morale» 178, aprilegiugno 2013, pp. 161-212.
BIOETICA
BENANTI, Paolo, La governante delle neuroscienze e delle neurotecnologie: la bioetica tra ricerca
del bene comune e gestione dell’innovazione, «»Studia Bioethica» IV (2011) 1, pp. 40-48.
COMORETTO, Nunziata, XIX Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita,
Fede e vita umana, «Rivista di teologia morale» 178, aprile-giugno 2013, pp. 241-246.
CUCCI, Giovanni S.I., La cultura terapeutica nelle società occidentali, «La Civiltà Cattolica»
3907, 6 aprile 2013, pp. 23-36.
PALMARO, Mario, Cos’è il reato in bioetica?, «Studi Cattolici» 623, Gennaio 2013, pp. 14-20.
PASCUAL, Fernando, Lineamenti di una bioetica secondo san Tommaso d’Aquino, «Alpha
Omega» XV (2012) 3, pp. 419-440.
PÉREZ-SOBA, Juan José, El declive del aprecio por la vida umana: claves culturales,
«Scripta Theologica» XLIV (2012) 1, pp. 91-113.
RUBINO, Roberto, Riflessione filosofica sul Mind-Body-Problem, «Studia Bioethica» IV
(2011) 1, pp. 17-25.
DEMOCRAZIA
FRANCHI, Giovanni, Arthur F. Utz als Interpret der pluralistichen Demokratie, «Di Neue
Ordung» 2/2013, pp. 84-97.
GUISO, Nicola, Democrazia rappresentativa. Come uscire dalla crisi?, «Studi Cattolici»
626, Aprile 2013, pp. 280-285.
OCCHETTA, Francesco S.I., La crisi della democrazia?, «La Civiltà Cattolica» 3907, 6
aprile 2013, pp. 61-74.
OCCHETTA, Francesco S.I., Nuove forme di democrazia rappresentativa, «La Civiltà
Cattolica» 3903, 2 febbraio 2013, pp. 234-245.
DIALORO INTERRELIGIOSO
GARCÍA PEREGRÍN, 25 años del espíritu de Asís: actualidad del ajemplo de Francisco, In
«Teología y mundo actual», ottobre-dicembre 2011, pp.455-482
GIULIANO, Islam e Cristianesimo, Linee per un comune dialogo, «Alpha Omega» XV
(2012) 3, pp. 471-502.
SPIEKER, M., Papst Benedikt und der Interreligiöse Dialog, «Die Neue Ordnung»,
1/2013, pp. 13-18.
ETICA DELLA FINANZA
DOSSIER, Professioni e finanza, «Etica per le professioni», gennaio-aprile 2012, pp. 7-78.
GUITIÁN, Gregorio, Son las finanzas una “estructura de pecado?”, «Scripta Teologica»,
agosto 2013, pp. 301-334.
41
SPOGLIO INTERNAZIONALE
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N. 1 ANNO IX
FAMIGLIA
CUCCI, Giovanni S.I., Adozione e omogenitorialità, «La Civiltà Cattolica» 3906, 23
marzo 2013, pp. 578-585.
MELINA, Livio, Familia y nueva evangelización, «Alpha Omega», XV (2012) 3, pp. 405-418.
OCCHETTA, Francesco S.I., Lavoro domestico e famiglie, «La Civiltà Cattolica» 3912,
15 giugno 2013, pp. 552-560.
IMPEGNO DEI CATTOLICI
BADALAMENTI, Marcello, Il beato Giuseppe Puglisi, presbitero e martire. La vita morale
del cristiano nella testimonianza del martirio, «Rivista di teologia morale» 179, lugliosettembre 2013, pp. 381-388.
MUCCI, Giandomenico S.I., Quello che i cattolici fanno in Italia, «La Civiltà Cattolica»
3903, 2 febbraio 2013, pp. 282-288.
MUCCI, Giandomenico S.I., Contardo Ferrini, «La Civiltà Cattolica» 3911, 1 giugno
2013, pp. 489-495.
OCCHETTA, Francesco, Giuseppe Toniolo e il suo essere nel mondo, «La Civiltà Cattolica»
3884, 21 aprile 2012, pp. 113-124.
MODERNITA’
CUCCI, Giovanni S.I., “Dopo la virtù”. La modernità di MacIntyre, «La Civiltà Cattolica»
3912, 15 giugno 2013, pp. 521-533.
MERECKI, J., Religione nell’Età Postmoderna. Alcune riflessioni a partire da Robert
Spaemann, «Anthropotes» 10-XXVI-2, pp. 277-288
O’ CALLAGAN, Paul, La relación entre modernidad y evangelización, «Scripta Theologica»
XLV (2013) 1, pp. 41-64.
WEIGEL, George, Cosa insegna la lunga lotta tra Chiesa e comunismo, «Vita e Pensiero»,
Novembre- Dicembre 2011, pp. 26-36.
CONCILIO VATICANO II
ADORNATO, Giselda, La conduzione conciliare di Paolo VI, «Teologia» 1/2013, pp. 97117.
ALONSO, Juan, Ateismo e increencia según el Concilio Vaticano II, «Scripta Teologica»,
agosto 2013, pp. 395-423.
APOLLONIO, Alessandro M., Il Concilio Vaticano II con iuxta modum. I nodi del dibattito,
«Fides Catholica» VIII (2013) 1, pp. 215-242.
BASEVI, Claudio, L’esegesi biblica dal Vaticano II ad oggi, «Studi Cattolici» 628, 422-428.
BÉJAR BACAS, José Serafín, Es “actual” el mensaje del Concilio? El Vaticano II y su dialogo
con la historia, «Proyeccion» 249, abril-junio 2013, pp.153-173.
BONANDI, Alberto, La definizione di un nuovo “canone” per la teologia morale a partire da
Dignitatis Humanae, «Teologia» XXXVIII (2013) 2, pp. 265-282.
CANOBBIO, Giacomo, Il dialogo interreligioso nei documenti del Vaticano II, «Teologia»
XXXVIII (2013) 2, pp. 240-264.
CONESA, Francisco, La naturaleza de la rivelación, según el Concilio Vaticano II, “Scripta
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GRIMALDI, René, Religiones no cristianas y Vaticano II: Nostra aetate y el Magisterio
posterior, “Scripta Theologica”, XLV (2013) 1, pp. 185-210.
MARTI, Pablo, Le espiritualidad cristiana en el Concilio Vaticano II, «Scripta Teologica»
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KOLFHAUS, F., Reform in Kontinuität. Anmerkungen zum Konziliusjubiläum, «Die
Neue Ordnung» 1/2013, pp. 4-12.
VELÁSQUEZ SERRANO, Samuel, Il concilio Vaticano II in America Latina:
“L’aggiornamento di una Chiesa che ha ascoltato il grido dei poveri”, «Rivista di teologia
morale» 179, luglio-settembre 2013, pp. 369-380.
SPOGLIO INTERNAZIONALE
N. 1 ANNO IX
“PACEM IN TERRIS”
FORUM, Pacem in terris: 50 anni dopo. Per una teologia ed etica della pace, «Rivista di
teologia morale» 179, luglio-settembre 2013, pp. 311-358.
PAPISCA, Antonio, Progetto sempre attuale di ordine mondiale, «Rivista di teologia
morale» 179, luglio-settembre 2013, pp. 359-368.
SALE, Giovanni S.I., Il cinquantesimo anniversario della “Pacem in terris”, «La Civiltà
Cattolica» 3907, 6 aprile 2013, pp. 9.22.
SALVINI, Gian Paolo S.I., Pace e guerra tra le nazioni a 50 anni della “Pacem in terris”,
«La Civiltà Cattolica» 3909, 4 maggio 2013, pp. 266-272.
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LIBRI RICEVUTI
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N. 1 ANNO IX
LIBRI RICEVUTI
UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO DELLA CEI 
SERVIZIO NAZIONALE PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI, Custodire il
creato. Teologia, etica, pastorale, EDB, Bologna 2013, pp. 208, € 12,00.
La famiglia soggetto sociale e risorsa per il Paese. Con gli Atti del Convegno nazionale Messina 28-29
ottobre 2011, «I Quaderni di Scienza e Vita» 10, Cantagalli, Siena 2012, pp. 164, € 9,00.
MACLURE, Jocelyn - TAYLOR, Charles, La scommessa del laico, Laterza, Roma-Bari 2013, pp.
124.
SANDEL, Michael J., Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Feltrinelli,
Milano 2013, pp. 240.
ZOLLITSCH, Robert, L’abc di Joseph Raizinger, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013,
pp. 290.
GIBERTINI, Giorgio, Per una nuova generazione di politici cattolici, Prefazione di Paola Binetti,
Postfazione di Eugenia Roccella, Sugarco, Milano 2013, pp. 159, € 15,50.
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, CENTRO DI ATENEO PER LA
DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, Materiali del Corso di Alta-Formazione sulla Dottrina
sociale della Chiesa (marzo-maggio 2012), pp. 144, € 12,00.
POSSENTI, Vittorio, Il Nuovo Principio Persona, Armando, Roma 2013, pp. 352, € 24,00.
MORAGLIA, Francesco, Invito alla dottrina sociale della Chiesa. Terza lettera del Patriarca in occasione
dell’Anno della Fede, CID, Venezia 2013.
FONDAZIONE LANZA (a cura di), Etica civile. Una proposta, Edizioni Messaggero, Padova 2013,
pp. 128, € 9,00.
PIACENZA, Mauro, Presbyterorum Ordinis 50 anni dopo, Cantagalli, Siena 2013, pp. 216, € 14,00.
CERVO, Martino, Willi Münzenberg il megafono di Stalin. Vita del capo della propaganda comunista in
Occidente, Cantagalli, Siena 2013, pp. 136, € 12,00.
CAPRIO, Lorenzo (a cura di), Sistema economico e famiglia. Atti della giornata di studio Università
Cattolica del Sacro Cuore Milano 16 aprile 2012, Vita e Pensiero, Milano 2013, pp. 108, € 10,50.
DUMONT, Bernard - AYUSO, Marcel - CASTELLANO, Danilo, Église et politique, Changer de
paradigm, Editions Artege, Perpignan (France) 2013, pp. 382, € 19,50.
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
CARD. VAN THUÂN
SULLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
WWW.VANTHUANOBSERVATORY.ORG
GENNA
N. 1 | A
B
DI D
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