Facoltà di Scienze Politiche Dipartimento di Studi Politici Dottorato in Storia delle Dottrine Politiche e Filosofia della Politica, ciclo XXII TESI DI DOTTORATO Jacques Maritain: nuova cristianità e politica RELATORE CH.mo Prof. Mario D’ADDIO CANDIDATO Dott. Amedeo COSTABILE _____________________________________________ Anno Accademico 2008-2009 A S.S. Benedetto XVI Per i doni di Sapienza e di Amore che da Lui promanano 2 “E potess’io, Nel secol tetro e in questo aer nefando L’alta specie serbar” G. Leopardi “Questo mondo moderno non è solo un mondo di cattivo cristianesimo, questo non sarebbe nulla, ma un mondo incristiano, scristianizzato. Ciò che è precisamente il disastro è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane. C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli tagliò corto. In un modo molto semplice facendo il cristianesimo. Egli non si mise ad incriminare, ad accusare alcuno Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo” Ch. Péguy “E’ ora di abbandonare l’opinione che il cristiano debba considerarsi soddisfatto solo perché gode della libertà di culto e non è soggetto ad alcuna discriminazione a causa della sua fede. Non vi è nulla che possa soddisfare il cristianesimo se non un’organizzazione cristiana della società” T. S. Eliot 3 Indice analitico pag. Introduzione 7 Capitolo I Unità del sapere e ordine politico: l’epistemologia integrale nel pensiero politico di Jacques Maritain. 1.1 La nozione di filosofia politica e le sue relazioni con la scienza politica e la prudenza politica: l’invenzione dell’ordine politico. 44 1.2 La struttura statutaria della filosofia della storia e la sua indispensabilità per la filosofia politica. 60 1.3 La decapitazione della sapienza filosofica nelle tre principali dottrine moderne: l’inversione dell’ordine nella modernità. 76 4 Capitolo II Analisi concettuale delle categorie politiche nella storia delle dottrine politiche. 2.1 I concetti di Chiesa e corpo politico e le loro relazioni nell’ambito della distinzione fra potere spirituale e potere temporale. 94 2.2 Il principio di sovranità nella scienza politica moderna e la sua negazione alla luce della filosofia politica cristiana. Il rapporto fra natura umana, autorità e potere. 112 2.3 La persona umana, il popolo e il bene comune: i tre pilastri della democrazia personalista e comunitaria. 126 2.4 Universalizzazione della democrazia e ordine politico internazionale: la nuova cristianità come proposta risolutiva di un’umanità in via d’unificazione. 144 Capitolo III La fine della civiltà moderna e l'avvento di una nuova cristianità: la filosofia politica di Jacques Maritain come superamento delle dicotomie moderne. 3.1 La falsa filosofia liberale dei diritti dell’uomo: il pensiero politico di Kant. 153 3.2 Il capovolgimento del liberalismo e la sua continuità spirituale: il falso umanesimo di Marx. 166 5 3.3 La condanna del liberalismo kantiano nel falso cristianesimo di Hegel. 181 3.4 Liberazione della democrazia e nuova cristianità nel pensiero politico di Jacques Maritain. 195 3.5 Il crepuscolo di una civiltà: la fine dell’epoca moderna. 216 Bibliografia 235 6 Introduzione. Maritain non era ideologico ma ha saputo che cristo era presente nella modernità (sono con voi tutti i giorni) e che per questo bisognava partire dalla modernità per arrivare alla cristianità. Si parte dalla realtà. Vedi Maritain nella lettera a Caucteau in cui fa proprio il dramma moderno. Fondamentale è pure i tre passaggi di Maritain fino all’umanità di Cristo nel’ultimo Maritain. “Capita che, rivivendo il processo di pensiero di un altro, il suo dialogo col proprio tempo, i tentativi e le riprese la lenta maturazione grazie alla quale ha preso forma il suo lavoro, si persegua contemporaneamente la propria ricerca”.1 Nessuna espressione è più efficace di quella che Jacques Maritain rivolse al suo amico H. Bars per spiegare la genesi del lavoro che presentiamo e che vogliamo brevemente ripercorrere. All’inizio del nostro cammino di ricerca ci eravamo persuasi che ci si trovava davanti ad uno spartiacque storico di dimensioni gigantesche, un cambio epocale come quello avvenuto tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna e che trovammo descritto più tardi nelle pagine di Guardini quando molto lucidamente alla fine degli anni cinquanta affermava: “qui non si tratta ne di riprovare, ne di esaltare, ma di riconoscere dove il tempo moderno volge alla fine e che cosa si annuncia nell’epoca che sopravviene e che non ha ancora un nome nella storia”. 2 Avevamo grande fiducia, è vero, nella razionalità della storia, nella capacità che potesse essere compresa filosoficamente. Ed avevamo grande fiducia nell’uomo, nella sua dignità intrinseca, ciò che la modernità aveva agitato ai quattro venti e infine tradito. Quando incontrammo Maritain la felice intuizione trovò la sua patria filosofica, e comprendemmo man mano che la sua opera mirava a dare un nome a questa epoca storica; comprendevamo pertanto che, al di là delle interpretazioni riduttive del novecento, la sua filosofia politica era consacrata a quest’impresa. Nietzsche ha scritto che “i grandi avvenimenti sono i grandi 1 Così Maritain, prefazione a H. BARS, La politique selon Jacques Maritain, Les Editions ouvrières, Paris, 1975, p. 7. 2 R. GUARDINI, La fine dell’epoca moderna, Il potere, Morcelliana, Brescia 2004, p. 54. 7 pensieri”,3 e questo stesso principio lo affermato da Lamennais per il quale “tutto ciò che si compie nel campo sociale si è prima compiuto nel mondo dell’intelligenza”4. La domanda “chi è Maritain?” che un giorno fu rivolta a Mauriac ritorno sempre perché come ha affermato bene Pavan Maritain rimane “un nodo storico col quale dobbiamo misurarci”5. Dichiariamo perciò che nella misura in cui descrive la filosofia politica di Maritain, il nostro lavoro risponde positivamente alla liquidazione dell’epoca moderna e vuole guidare la transizione epocale in corso verso un nuovo evo della storia che Maritain ha preparato e che egli ha chiamato nuova cristianità. Osservava bene Maritain che “ogni grande periodo culturale è dominato da una particolare concezione che l’uomo si fa dell’uomo”; e queste concezioni “si manifestano concretamente nello spirito di grandi pensatori guida”.6 Sappiamo bene che un tale approccio a qualcuno apparirà poco scientifico. Buona parte degli scienziati da Weber in poi tendono a essere completamente neutri con l’oggetto della ricerca per essere, dicono, oggettivi. Noi pensiamo il contrario. Per poter conoscere infatti realmente un autore occorre conoscerlo nel profondo, vale a dire amarlo. Solo una volta amato lo si può conoscere veramente e ciò non significa - come si vedrà nel corso dell’opera in cui metteremo in risalto i (rarissimi) passaggi dove sottolineeremo dei passaggi che forse Maritain non ha sviluppato pienamente - che si faccia l’apologia di Maritain perché l’amore autentico, insegnano gli scolastici, non è un sentimento ma la natura profonda della verità. Se studiamo questo autore infatti è proprio perché ci aiuta a fare l’apologia della verità come noi l’abbiamo conosciuta e che ha un altro nome, Gesù Cristo. L’azione di Maritain nel si è trattato “di un’azione di presenza”7. E tuttavia questa presenza per le ragioni che abbiamo detto era necessario si volgesse nella solitudine. Egli stesso confessò di essere “un mendicante del cielo…una specie di agente segreto del Re dei Re in missione nei territori del principe del mondo, alla stregua del gatto di Kipling che andava Cit. in H. DE LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo, sez. prima, L’uomo davanti a Dio, Vol. II, Jaca Book, Milano 1992, p. 55. 4 LAMENNAIS, Oeuvres complètes, Pangerre, Paris 1844. 5 Editoriale, Vita e Pensiero, Milano 1973. 6 J. MARITAIN, Qu’est-ce que l’homme?, in Pour la Justice, Articles et Discours, Editions de la Maison Française, New York 1945, p. 97. 7 Gilson, Cahiers Jacques Maritain, op. cit., p. 31. 3 8 tutto solo”8. Proprio perché vissuto pienamente en notre temps come disse H. Bars Maritain è stato di fatto un filosofo contre-temps9 come ha recentemente osservato P. Valadier. Ciò spiega perché nel novecento Maritain sia stato un autore per nulla considerato preferendo ad esso autori quali Hegel, Marx, Sartre, Kant, Kelsen. E’ vero dunque come disse Bars alla scomparsa di Maritain (1973), che “il nome di Jacques Maritain è celebre, la sua persona è pressoché universalmente rispettata… ma la sua opera di filosofo è pressoché ignota”.10 A nostro avviso non v’è da sorprendersi se nel novecento Maritain è stato accantonato dalla cultura accademica: “Il fatto - suggerisce Fumet - è che l’intelligenza di Jacques Maritain si era vista per suo solo merito, posta di slancio sulla prua del cattolicesimo, il giorno in cui questo grande misconosciuto che è il cattolicesimo aveva osato rivendicare questo stravagante diritto, nel XX secolo, di riprendere con rinnovati e purificati mezzi quella che si può chiamare la guida del pensiero umano”11. L’isolamento intellettuale a cui è stato costretto Maritain è addebitabile pertanto al fatto che il suo intelletto “battezzato” era, continua Fumet, “troppo limpido, troppo ricco, troppo vivificante per il nostro tempo”12. La missione di Maritain nel mondo moderno può essere paragonata alla missione di Socrate nel mondo antico. Maritain come Socrate ha riaffermato i diritti della verità attraverso la riabilitazione della natura propria dell’intelletto. Come Socrate anche Maritain davanti alla grande sofistica del mondo moderno ha liberato l’intelletto riportandolo al suo oggetto, l’essere, nella concretezza dell’esistenza a partire dalla quale il filosofo giunge alla verità. La tragedia della modernità da questo punto di vista, non è stata l’aver voluto affermare la gloria dell’intelligenza, ma non aver compreso che questa gloria gli è data non dal costruire o dal pensare ma dal conoscere ovvero dalla capacità dell’anima di diventare l’altro in quanto altro. Maritain ha così posto fine alla separazione moderna unendo l’intelligenza all’anima appunto perché conoscere è un atto immanente e sovranamente libero con cui mi conformo all’essere possedendo la verità. 8 J. Maritain, Carnet de notes, Desclée de Brower, Paris 1965, p. 10. Il termine compare in un libro recentissimo di P. Valadier, Maritain à contre-temps, Desclée de Brouwer Paris 2007, in cui l’autore, sganciando Maritain dal contesto storico in cui è vissuto, ne propone una riabilitazione del pensiero politico, nel solco della quale noi indirizzeremo i nostri lavori. 10 H. BARS, « La Croix » , 2 maggio 1973. 11 S. FUMET, Amore per il sapere e amicizia per gli uomini,in Jacques Maritain, Edizioni Cinque lune, Roma 1958. p. 24. 12 Ivi, p. 41. 9 9 Questa “restaurazione” dell’intelletto si è resa necessaria dopo che con Cartesio è iniziata l’avventura di una ragione che ma mano ha perso il contatto con l’esistenza per ridursi a mero pensiero, e che in Kant è giunta fino a separare esistenza ed essenza facendo di quest’ultima una proiezione delle idee a priori prodotte dalla Ragione. Questa parabola ha trovato il suo apogeo in Hegel in cui l’esistenza scompare in quanto assorbita nell’essenza creata dal concetto e percui “noi pensiamo ciò che è”. L’uomo moderno facendo della sua Ragione la misura di tutte le cose è giunto alla fine della dialettica moderna a cancellare l’essere per prendere il posto di Dio. Negando per la prima volta nella storia i diritti dell’Essere da cui dipendiamo e nel cui rapporto prendiamo coscienza della nostra dignità, l’uomo moderno ha spezzato i ponti insieme con Dio e con la comunità umana tout court provocando un’alienazione dalla realtà e quindi un’alienazione da sé stessi. L’esito culturale e civile è stato una profonda solitudine, un’atomizzazione che ha finito per rendere l’uomo schiavo del Potere totalitario conducendo la civiltà moderna all’oblio dell’umano e alla violenza generalizzata in tutti i campi. Preannunciata all’inizio del XX secolo da G. Sorel in Réflexion sur la violence la catastrofe si è compiuta con le due guerre mondiali. M. Zambrano, ha così lucidamente osservato: “La prima cosa che percepiamo in questa esplosione del cuore europeo è la violenza, una violenza tremenda che non si è potuta formare se non venendo da lontano e forse dalla sua radice, poiché da dove potrebbe giungere se non la si chiamasse o non le si desse riparo? Se in questo istante la tragedia europea esplode con una violenza così forte, è perché essa stessa non ha violenza: lo è. La tragedia dell’Europa è la tragedia della violenza che alla fine è scoppiata”13. La tragedia moderna consiste nella contraddizione tra le istanze umanistiche declamate e l’inganno con cui si pretendeva di fondarle. Come ogni tragedia anch’essa si è conclusa con un suicidio, che Eliot ha parafrasato in maniera esemplare: “Tutta la conoscenza ci porta più vicini alla nostra ignoranza/ tutta la nostra ignoranza ci porta più vicino alla morte/ Ma più vicini alla morte non più vicini a DIO/ Dov’è la Vita che abbiamo perduto vivendo?/ Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo/ Dov’è la sapienza cha abbiamo perduto nell’informazione?”14. 13 14 M. ZAMBRANO, L’agonia dell’Europa, Marsilio Editori Venezia, 1999, pp. 50-51. T. S. ELIOT, Cori da La Rocca, Mondadori Milano, p. 353. 10 L’epoca moderna nata per essere l’epoca dei Lumi e dei Diritti dell’Uomo per aver capovolto l’ordine dello spirito, costruendo sulla sabbia del’Io e non sulla roccia dell’Essere, si è dimostrata non certamente nelle intenzioni ma nei fatti un’età antiumanistica. A ben ragione Carrel, premio nobel della medicina, ha scritto che “il trionfo dell’ideologia consacra la rovina della civiltà”15. E’ questa civiltà moderna che Maritain ha guardato e redento portando uno spirito e un’attrezzatura intellettuale essenzialmente nuovi16. Egli non ha pensato ideologicamente a nuovi mondi ma il suo lavoro è stato profetico in quanto come il buon samaritano ha soccorso e curato l’uomo moderno riportandolo alla verità. Il profeta infatti è colui che vive nella storia riportando l’uomo alla verità di se stesso. In quanto cristiano egli ha visto infatti pienamente la santità dell’intelletto e ne ha allargato l’orizzonte, estendendo il lumen filosofico a tutti i gradi dell’essere fino alla mistica. La radice dell’essere è infatti una Persona che vive in una luce naturalmente inaccessibile, ragion per cui l’oggetto della filosofia, ovvero i principi primi e le cause ultime dell’essere, può essere compreso pienamente solo attraverso l’ausilio dei lumi superiori della fede e della grazia battesimale. E’ il cielo la verità della terra. Istruito alla tradizione cristiana egli ne ha sviluppato le conseguenze più profonde operando quel capovolgimento fondamentale che gli ha consentito di sciogliere il dramma moderno. In sostanza egli ha compreso che non sono le cose umane che proteggono le cose divine ma al contrario che le cose divine proteggono le cose umane sopraelevandole nel suo ordine proprio. Se l’indubitabile merito della modernità è quello di aver fatto prendere alla natura coscienza della sua autonomia, possiamo oggi dire che ciò non ha intaccato minimamente il cristianesimo ma anzi ha lavorato indirettamente per la sua purificazione permettendo un rinnovamento della sua dottrina più conforme alla sua natura e tale da inserirsi più coscientemente nel movimento della storia umana. Tocchiamo qui il punto fondamentale del cristianesimo che non è una religione ma innanzitutto un fatto che continua ad essere presente nella storia e che in quanto tale discende e penetra nell’umano fino a trasfigurarlo. Ci sembra che H. Bars abbia compreso pienamente questo passaggio commentando: “si potrebbe quasi dire che ad una dominante ebraica (il popolo di Dio si batte per l’Eterno) succede una 15 A. CARREL, Riflessioni sulla condotta della vita, Bompiani, Milano 1953, p. 34 Non a caso H. Bars ha parlato di Maritain come redentore del suo tempo, H.BARS, Maritain en notre temps, Grasset Paris, 1959. 16 11 dominante evangelica (Il Figlio eterno, povero e disarmato, alla ricerca di ciò che era perduto mangia con i peccatori). Lo stile di risposta all’iniziativa divina sarà un ingresso riflesso nel movimento stesso dell’Incarnazione”17. E’ dentro questo fatto dell’Incarnazione che Maritain si è collocato celebrando le nozze dell’intelligenza col Verbo, liberando la filosofia fino alla sua altezza propria e restituendole il suo volto nobile di scienza della verità, “ipsa ex maxime scientia veritatis”, come afferma san Tommaso18. Egli ha compiuto una vera rivoluzione spirituale convertendo l’intelligenza moderna dalla falsa filosofia dell’Uomo-dio alla vera filosofia del Dio fatto uomo, ovvero alla filosofia presa plenariamente tale19. Queste riflessioni di ordine speculativo hanno una ricaduta sul nostro terreno etico-politico: “Intellectus cogitabundus initium omni boni”20, ha detto sant’Agostino. Il bene infatti segue la verità come l’amore procede dal Verbo: Verbum spirans amorem. L’etica, come la verità, ha un carattere fondamentalmente realista procedendo dall’Essere allo stesso modo di come il volere procede dall’intendere. Maritain ha così riunito le separazioni moderne tra verità e amore che hanno lacerato l’uomo dei secoli moderni: “tutte le filosofie razionaliste, infatti, pongono inevitabilmente un mortale divorzio tra la conoscenza e l’amore. L’esistenzialismo tomista li accorda e li unisce, e fonda l’amore sull’intelligenza, e fortifica l’intelligenza con l’amore; perciò ci mostra anche che l’amore è un torrente benefico e pacifico soltanto se passa il Lago del Verbo”21. L’amore procedendo dalla verità non si dà all’essenze ma all’esistenze. Ed è proprio a motivo del fatto che è partito dal pensare l’esistenza che Maritain si dimostrato un pensatore profondamente umanista restituendo l’uomo alla verità di se stesso. Solo un pensiero centrato sull’esistenza è capace di conoscere i recessi del cuore umano: “L’umano è infatti nascosto nell’esistenza”22, osserva Maritain. 17 BARS, La politique selon Jacques Maritain, p. 201. SAN TOMMASO D’AQUINO, In metaphisicam Aristotelis, 1.II, lect. 2, ed. Cathala, § 2. 19 J. MARITAIN, “Riflessioni sul sapere teologico”, Approches sans entraves, Vol. II, Città nuova, Roma 1977, p. 91. 20 Un intelletto che ragiona è l’inizio di ogni bene, SANT’AGOSTINO D’IPPONA, De civitate Dei, XIX, 1,3. 21 J. MARITAIN, “L’umanesimo in san Tommaso d’Aquino”, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, intr. V. Possenti, Vita e pensiero, Milano 1980, p. 241. 22 Ibi, p. 235 18 12 Il nostro compito sarà quindi quello di dimostrare come la filosofia politica di Maritain, lungi dall’ingannarsi come sembra credere Borne,23 sia quella più autenticamente capace di fondare in verità il diritto e la giustizia, ovvero le due realtà morali di un autentico ordine politico che promanano da quel “centro metafisico”24 che è la persona umana fatta di esistenza, bontà e di azione. Maritain ha avuto infatti il merito di ricondurre non solo la ragione ma tutto l’uomo alla totalità dei suoi fattori costitutivi, lo ha strappato dall’alienazione moderna ricongiungendolo con la sua umanità. L’uomo non è infatti individuo ma persona ovvero rapporto con l’infinito attraverso le relazioni orizzontali del tempo e dello spazio. Egli è una creatura e la più eccelsa nell’ordine terreno, è uno spirito incarnato, un composto di anima e di corpo che pertanto si perfeziona con la conoscenza dell’essere fino all’Essere per se sussistente nel cui amore si compiono i suoi voti più profondi. Si, ha ragione la modernità quando afferma che l’uomo è grande, ed è stato necessario che la modernità lo mettesse in piena luce affinché l’uomo prendesse coscienza delle sue aspirazioni intrinseche. E tuttavia l’esperienza di tutta un’epoca ha altresì mostrato indirettamente che la grandezza dell’uomo è garantita dal rapporto con un Altro. Con una frase sintetica Maritain ha realizzato il vero umanesimo perché ha realizzato la transizione dalla falsa città dell’individuo-dio alla vera città della persona immagine di Dio. In questo senso Maritain non è stato un antimoderno ma un ultramoderno spingendo così il movimento della storia più in avanti. E’ stato evidenziato25 come siano due i possibili approcci al pensiero politico di Maritain, che nel corso della sua elaborazione è apparso di una continuità sorprendente al punto che Gilson è rimasto colpito da come “Maritain assume di volta in volta la totalità del suo passato”, 26 completandolo in modo sempre nuovo. Già questo ci porta già molto lontano perché la caratteristica del saggio, dicono le Sacre Scritture, è quello di estrarre “cose vecchie e cose nuove”27. Scrive Borne, “rimane da sapere se Jacques Maritain non si sia ingannato sul significato e sulla portata della filosofia politica che egli ha elaborato”, E. BORNE, La filosofia politica di Jacques Maritain, in Il Pensiero politico di Jacques Maritain G. Galeazzi (a cura di) A.A. V.V., Massimo, Milano 1978, p. 29. 24 J. MARITAIN, La persona umana e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1998, p.23. 25 G. CAMPANINI, L’utopia della nuova cristianità, Morcelliana, Brescia 1985, p. 11. 26 Continua Gilson dichiarando di ammirare “ogni volta la profondità di queste riprese”, Lettera di GILSON a J. MARITAIN 13 dicembre 1970, « Cahiers Jacques Maritain », n. 41, 2000, p. 74. 27 Mt 13,12. 23 13 Vi è dicevamo un approccio teoretico che privilegia l’analisi concettuale dei grandi temi filosofico-politici. E vi è invece un approccio storico-biografico che tende piuttosto a ripercorrere l’itinerario di formazione del suo pensiero maturato a contatto con gli avvenimenti dell’epoca28. Si può dire che nessun filosofo è vissuto come Maritain nella storia mantenendo nello stesso tempo il primato della trascendenza sul tempo, dell’intelletto sull’azione29. Egli è stato sempre “nella mischia”30, vivendo e soffrendo al punto che il suo pensiero è innanzitutto una testimonianza. Ed è un indubitabile vantaggio per la riflessione speculativa, osserva Maritain, “aver vissuto e sperimentato” i concetti che sono oggetto del filosofo.31 Ritenendo pertanto necessari entrambi gli approcci, suddivideremo la tesi in quattro capitoli. Nel primo ripercorreremo l’itinerario di formazione del pensiero di Maritain mostrando come il suo pellegrinaggio esistenziale sia stato una lunga marcia verso l’elaborazione di una compiuta filosofia politica capace di raccogliere tutto il bene seminato nelle altre filosofie e che non è stata scritta per il novecento ma per il nostro tempo, il tempo di una nuova cristianità. In questo percorso mostreremo come l’autore abbia attraversato alcune fondamentali fasi critiche che gli hanno permesso di far maturare prima la sua vocazione e poi il suo pensiero, assicurandogli l’avvenire. Egli è stato infatti un uomo senza patria. 28 Si pensi come alcune delle più importanti opere sono vere e proprie prese di posizioni di fronte ai fatti emersi: ciò è un corollario a nostro avviso del suo approccio realista ai problemi che di volta i volta si presentano: si pensi a Primato dello spirituale (1927), apparso all’indomani della crisi dell’Action française; si pensi a Strutture politiche e libertà (1933), dove alcuni capitoli sono delle risposte a tentativi di Esprit, la rivista diretta da Mounier rea di solidarizzare con i comunisti, naturalizzando lo spirituale; si pensi ancora a Umanesimo integrale (1936), opera di spirito antifascista e alla cui lettura Del Noce attribuirà il suo personale distacco dal fascismo: “lessi Umanesimo integrale alla fine della mia prima giovinezza, nel 36, quando questo libro, apparso in quell’anno, aveva in Italia, checché poi si sia detto, una circolazione minima, e non era certamente visto con favore né dall’università cattolica né da Frontespizio (la più vivace rivista culturale cattolica di quegli anni); e inoltre, per la forma intellettuale dell’autore, era estraneo alla mentalità di coloro, allora ancora in buona età, che provenivano dall’esperienza del Partito Popolare. L’importanza che ebbe nella mia formazione fu decisiva”, A. DEL NOCE, I pericoli di un aggiornamento a rovescio, in « Il Tempo », 10 febbraio 1987, p. 5; si pensi infine a Il contadino della Garonna (1966), opera fondamentale in quanto risponde alla crisi dell’intelligenza e della fede ad opera del neo-modernismo post-conciliare. 29 Da sempre la vicenda intellettuale di Maritain è come attraversata da questo duplice movimento di tensione: da una parte l’attenzione ai dibattiti del tempo e al problema complessivo del tempo, della storia della cultura e della civiltà e dell’azione storica, dall’altra l’attenzione al cielo delle verità sopratemporali, all’intelligenza e al suo bisogno nativo dell’essere e della verità, alla contemplazione, alla carità, alle fonti della vita intellettuale e spirituale”, A. PAVAN, L’ultimo Maritain. Appunti per un saggio d’interpretazione, in “Humanitas” 1972, nn.8-9, p. 792. 30 R. MARITAIN, I Grandi amici, Vita e pensiero, Milano 1966, p. 429. 31 MARITAIN, “Della verità” in Approches sans entraves, Vol. I, p. 33. 14 Nel secondo capitolo invece percorreremo un profilo metodologico di natura epistemologica. Mostreremo l’integralità dell’approccio di Maritain e le relazioni vitali che la filosofia politica detiene con gli altri rami del sapere come la scienza politica e la filosofia della storia; quest’ultima, ad avviso di Maritain, necessaria, insieme alla teologia politica, per l’edificazione organica della filosofia politica. Il terzo capitolo verterà sulle intenzionalità politiche della riflessione filosofica. Attraverso lo studio concettuale, che non disdegnerà l’analisi delle dinamiche storico-politiche metteremo al vaglio le principali categorie del pensiero politico quali il concetto di cristianità, il rapporto fra potere e autorità, fra libertà della persona e bene comune, ovvero l’importanza di un ordinamento internazionale in grado di favorire la libertà dei popoli. In questo quadro mostreremo come tali intenzionalità costituiscono i pilastri fondamentali dell’ordine politico. Nel quarto capitolo confronteremo il pensiero politico dei grandi filosofi che hanno conferito una forma adeguata al clima culturale propriamente moderno. Tale confronto apparirà utile per poter apprezzare l’universalismo della filosofia politica di Maritain, l’universalismo cristiano, verificando come la sua filosofia politica sia la sola capace di superare le dicotomie moderne, anticristiane quanto al contenuto fondamentale e cristiane quanto alle forme concrete, in una nuova sintesi tra fede e ragione. Péguy ha scritto: “L’essere dell’uomo incessantemente decresce / L’essere di Dio incessantemente risale”32. Con ciò il genio di Péguy ha messo in risalto i due movimenti della storia che la fanno marciare verso il compimento dei suoi estremi. Dall’incrocio di questi due movimenti si genera una specifica forma culturale. Se i secoli medievali attraverso la fede cristiana hanno iniziato ad innalzare l’uomo alla sua natura di persona tuttavia questo sviluppo non ha trovato la sua piena luce per il prevalere di una concezione spesso sacrale del temporale che non realizzava pienamente il movimento di discesa del Verbo. Con l’avvento della modernità questa valorizzazione della piena umanità di Gesù si è realizzata sganciandola però dalla sua divinità riducendo il Cristo ad un mero esempio da cui ricavare valori etici da agitare in nome dell’Uomo padrone della natura. Si è ingaggiata così alla fine una lotta anticristica, dalla quale è utile ricordare non siamo ancora usciti, sfociata nella distruzione dell’uomo. In questo senso una nuova e autentica sintesi ovvero la piena manifestazione, l’apocalisse, dell’umanità del Cristo è alla base di un cambio epocale di 32 C.PEGUY, Eva, cit. in C. MOELLER, Letteratura moderna e Cristianesimo, Rizzoli, Milano 1995, p.444 15 dimensione cosmiche, ciò che costituirà una nuova creazione secondo la direzione indicata dal Concilio Vaticano II: “in verità, osserva Maritain, tutte le vestigia del Santo Impero sono oggi liquidate: siamo definitivamente usciti dall’età sacrale e da quella barocca; dopo sedici secoli che sarebbe vergognoso calunniare o pretendere di ripudiare ma che certamente hanno finito di morire e i cui gravi difetti non erano contestabili, una nuova era comincia, in cui la Chiesa ci invita a comprendere meglio la bontà e l’umanità di Dio nostro Padre e ci chiama a riconoscere al tempo stesso tutte le dimensioni di quell’hominem integrum di cui il Papa parlava nel suo discorso del 7 dicembre 1965, nell’ultima seduta del Concilio”. 33 Ci si muoverà così fra due livelli, quello filosofico politico e quello della filosofia della storia. Ciò per due ragioni strettamente connesse. Innanzitutto perché la nostra ricerca è stata svolta nell’ambito di un corso dottorale di filosofia politica e di storia delle dottrine politiche; in secondo luogo perché senza la comprensione filosofica della storia delle dottrine politiche non potrebbe costituirsi una filosofia politica che pretenda di essere vera. In un senso più sintetico e lapidario, la storia delle dottrine politiche è in continuità con la filosofia politica, e questa relazione fornisce lo statuto epistemologico della nostra ricerca. La tesi è stata dedicata a Benedetto XVI perché essa è nata dal suo sacrifico di rinunciare ad inaugurare l’anno accademico 2007/2008 dell’Università La Sapienza negli anni in cui iniziavamo la nostra ricerca; ed essa ha trovato nei Discorsi e nelle Encicliche, preziosi lumi. Desidero ringraziare il professore D’Addio che negli anni di dottorato ha seguito il lavoro di tesi e lo ha magistralmente condotto. Un ringraziamento sentito va all’Istituto che porta il nome di Maritain nel quale ho svolto la ricerca e in cui ho trovato grande disponibilità. Nutro inoltre una profonda riconoscenza per il professore Viotto e per il professore Possenti per aver entrambi manifestato interesse per la mia ricerca, garantendomi una presenza costante che nasceva dall’amicizia condivisa con il filosofo Maritain. Un ricordo del tutto particolare è infine per il compianto don Gianni Baget Bozzo. Senza la sua condivisione a ciò che allora era un’ipotesi di ricerca non mi sarei mai avviato in un lavoro così ambizioso, col senno del poi direi folle, ma che a suo dire risultava “profetico”. 33 J. MARITAIN, Il contadino della Garonna, Morcelliana, Brescia 1975, p. 13. 16 I Capitolo Nascita e compimento di una vocazione: Maritain profeta della nuova cristianità. 17 Consapevole che “se non si ama la verità non si è uomini”,34 Maritain ha restituito alla verità la ragione e la libertà, restituendo l’uomo a se stesso. La vocazione Maritain è stata così in un senso molto elevato la risposta all’aspirazione di Leone XIII di superare il divorzio, contro natura, fra ragione e fede, natura e grazia, libertà e verità attraverso la comprensione della missione culturale e civile del cristianesimo, ovvero sul fondamento dell’Incarnazione.35 E fu proprio nella Francia della Rivoluzione che nella seconda metà dell’ottocento si assiste ad una rinascita spirituale cattolica favorita da una parte dalla conversione al cattolicesimo di personaggi come Claudel, Léon Bloy, padrino di Maritain, Barbey, Villiers, Hello, e, dall’altra parte, dalla riscoperta “con la maggior energia possibile” del pensiero di san Tommaso e della sua dottrina “prima fra tutte le altre”, che Leone XIII aveva fortemente rilanciato per “la protezione della fede, per il benessere della società e per l’impulso di tutte le scienze”, e di cui il card. Mercier, Gilson, Garrigou-Lagrange e Maritain diventeranno gli araldi.36 Questa congiuntura tra piano spirituale e piano culturale costituirà il fondamento di quella sorta di età dell’oro del pensiero cattolico francese situata nei primi anni venti del novecento, di cui parlano gli storici, e che fu talmente sorprendente che finirà per creare un certo scandalo nelle stesse élites francesi.37 Una rinascita di cui la canonizzazione di Giovanna d’Arco nel 1920, giunta al termine di un iter assai complicato, fu il simbolo.38 Si è trattato 34 J. MARITAIN, Il contadino della Garonna, Morcelliana, Brescia 1975, p. 130. Le parole di don Sturzo rendono testimonianza della “restaurazione” inaugurata da Leone XIII, il quale “non usciva dal binario tradizionale della Chiesa, ma scuoteva certe sovrastrutture, rompeva vecchie catene e chiariva le idee antiche adattandole alle nuove posizioni. Anzitutto egli inculcò il ritorno allo studio di san Tommaso di Aquino, non solo per la teologia ma anche per la filosofia. L’enciclica Aeterni Patris del 1879 diede un vigoroso impulso al neotomismo…Da allora lo slancio di studi filosofici di cattolici, in maggior parte ecclesiastici, fu assai notevole”, L. STURZO, Chiesa e Stato. Studio sociologico storico, Zanichelli, Bologna 1959, Vol. II, pp. 143-144. 36 Ecco per intero il passaggio fondamentale dell’esortazione di Leone XIII : “esortiamo, voi tutti, Venerabili Fratelli, con la maggior energia possibile, perché diate opera a restaurare, e a propagare quanto più largamente possibile, l’aurea sapienza di S. Tommaso: per la difesa e l’onore della fede cattolica, per il bene della società, per il progresso di tutte le scienza [..] Cerchino del resto i maestri, scelti da voi con saggio discernimento di far penetrare nell’animo dei discepoli la dottrina di san Tommaso; e mettano bene in luce la solidità e l’eccellenza che la rende prima fra tutte le scienze”, LEONE XIII, Enciclica Aeterni Patris 1879. 37 Sul punto si veda la fondamentale opera di PH. CHENAUX, Entre Maurras et Maritain, une generation intellectuelle catholique (1920-1930), Les Editions du Cerf, Paris 1999. 38 Dopo cinque secoli Leone XIII introduceva la causa di beatificazione di Giovanna D’Arco il 29 febbraio 1894. Beatificata da Pio X il 18 Aprile 1909, fu canonizzata il 16 maggio 1920. J. Maritain ha ritenuto la condanna di Giovanna d’Arco come la “peggiore iniquità commessa da un personale della Chiesa fatta irregolarmente e fraudolentemente e come causa propria e dunque fallibile”, J. Maritain, La Chiesa del Cristo, la persona della Chiesa e il suo personale, in J E R. MARITAIN Oeuvres Complétes, Vol XIII, Editions Universitaires Fribourg Suisse Editions Saint-Paul, Paris 1992, p. 373. 35 18 infatti, come ha affermato Maritain, di “proclamare la Libertà, la Fraternità e l’Uguaglianza nello spirito di Giovanna d’Arco”,39 di operare una trasfigurazione cristiana della Rivoluzione Francese in quanto espressione sintetica della modernità. Dal punto di vista culturale, non v’è dubbio che la pubblicazione dell’Enciclica Aeterni Patris 1879 costituisce un momento storico d’importanza cruciale per la storia della cultura, talmente decisivo che la Chiesa non muterà da allora mai più atteggiamento,40 e che fu l’origine e il fondamento di una serie di iniziative che si succederanno allo scopo di promuovere il pensiero tomista, quali: la creazione della cattedra san Tommaso a Lovanio nel 1892 affidata al card. Mercier, alla cui memoria Maritain dedicherà un brillante omaggio 41 per testimoniargli la riconoscenza degli intellettuali cattolici francesi; la fondazione nel 1893, nella prestigiosa Università di Friburgo “principale centro di studi tomisti”, della Revue Thomiste;42 la fondazione dell’Accademia Romana di san Tommaso. Questo slancio vigoroso della cultura cattolica aveva come obiettivo quello di superare la crisi della modernità attraverso un ampio ripensamento delle categorie moderne che in parte era già stato avviato dal Concilio Vaticano I, e che Leone XIII rafforzò in ogni settore. Come è stato ben rilevato da Del Noce, per Leone XIII la rinascita cattolica doveva essere “inscindibilmente religiosa, filosofica e politica”.43 Lo stesso papa Leone XIII affidò in particolare ai cattolici francesi il compito di superare la modernità, “raccordando la Rivoluzione francese con i principi cattolici”.44 Bisognava in sostanza assumere lo sforzo di emancipazione compiuto dall’età moderna attraverso la comprensione della missione culturale e civile del cristianesimo che Péguy in particolare tentava di liberare pienamente. Il genio di Péguy è stato da questo punto di vista quello di aver individuato le implicazioni storiche dell’avvenimento dell’Incarnazione, valorizzando il 39 MARITAIN, Pour la Justice, p. 282. Tutti i Papi dopo Leone XIII proporranno la filosofia di san Tommaso come chiave per la comprensione dei rapporti fra fede e ragione; scrive Y. Floucat: “L’enciclica Aeterni Patris, promulgata nel 1879 dal Papa Leone XIII, aveva conferito agli studi tomisti un impulso decisivo. Non c’è dubbio che con l’enciclica Fides et Ratio del 14 settembre 1998 Giovanni Paolo II volle confermare che il riferimento all’opera del Dottore Angelico dimora nel cuore dell’indispensabile sforzo dell’intelligenza cristiana per rispondere agli interrogativi antichi e nuovi dello spirito umano come di tutti quelli che procedono dalla razionalità della fede”, Y. FLOUCAT, Maritain ou le catholicisme integrale et l’humanisme democratique, Pierre Tequi editeur, Paris 2003, p. 7. 41 J. MARITAIN, Hommage au card. Mercier, in O. C. Vol. IV, pp. 1172 e succ.. 42 Così PH. CHENAUX, Entre Maurras et Maritain, une generation intellectuelle catholique (1920-1930), p. 27. 43 A. DEL NOCE, Il suicidio della rivoluzione, Aragno Editore, Torino 2004, p. 226. 44 Così J. Maritain in J. e R. MARITAIN, O. C., Vol. IX, p. 1105. 40 19 fatto che “il cristianesimo non è la religione della fuga dal mondo, era bensì l’incarnazione di Dio, la sua reale esistenza nel tempo. Era questo l’assunto centrale del messaggio di Péguy”.45 Per Peguy si è arrivati ad un punto tale che è necessario che Dio si reincarni nella storia. Se il problema del moderno è infatti essere un mondo dopo Gesù senza Gesù allora occorre che ritorni Gesù. Ci pare di poter dire che attraverso quelli che furono i maestri della giovinezza, le più importanti “gradi amicizie”, Maritain aveva già tracciato il suo destino! Se tramite Léon Bloy, Maritain trovò la fede e la chiamat alla santità, (nonché come si vedrà più avanti la scoperta del Mistero di Israele), nondimeno dall’altro suo grande maestro Péguy, Maritain fu avviato verso la vocazione temporale del cristianesimo di cui appunto il direttore de i Cahiers de la Quinzaine era ossessionato: “se i cattolici sapessero. Essi solo sono in grado di rispondere ai bisogni del mondo; potrebbero prendere la direzione della storia temporale, niente resisterebbe dinanzi ad essi; ma sono troppo stupidi per farlo”. 46 E di questa missione si sentiva profeta: “io scrivo per coloro che verranno fra vent’anni”, amava ripetere a Raissa e a Jacques che frequentavano la sua bottega. E finalmente tramite Clérissarc, suo padre spirituale, Maritain scoprì san Tommaso dal cui incontro, avvenuto qualche anno dopo la conversione, la sua vocazione filosofica gli apparve subito chiara: “fu dopo la conversione al cattolicesimo che conobbi san Tommaso; io che ero passato con tanto entusiasmo attraverso tutte le dottrine dei filosofi moderni e non vi avevo trovato che delusione e grandiose incertezze, provai allora come un’illuminazione della ragione; la mia vocazione filosofica mi veniva restituita in tutta la sua pienezza. Guai a me se non tomistizzo ”.47 Fu proprio sulla scia del pensiero di san Tommaso che Maritain troverà le armi concettuali per definire meglio le formidabili intuizioni di Péguy, raccogliendone l’eredità.48 Gilson e 45 A. H. WINSNES, Jacques Maritain, saggio di filosofia cristiana, Società editrice internazionale, Torino 1960, p. 41. 46 R. MARITAIN, I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 1966, p. 270. 47 J. MARITAIN, Professione di fede, in Il filosofo nella società, Morcelliana, Brescia 1976, p. 14. 48 Péguy stesso “considerava Jacques come un fratello più giovane che lo avrebbe aiutato e succeduto più tardi”, R. MARITAIN, I grandi amici, pp. 56-57. 20 Maritain ha avuto il suo maestro in san Tommaso d’Aquino.49 Da questo punto di vista, ha scritto giustamente Léclercq che “se c’è una convinzione filosofica, fuori dalla sua fede, alla quale J. Maritain è restato attaccato per tutta la sua vita, dopo la conversione al cattolicesimo, è la superiorità del suo maestro san Tommaso su tutti i sistemi antichi e moderni”.50 Pertanto, è in san Tommaso che Maritain troverà sistematizzazione filosofica alla rinascita spirituale cattolica, lavorando in tal modo in funzione della liberazione dell’unico umanesimo possibile, l’umanesimo dell’Incarnazione. Occorre qui comprendere la natura più profonda del cristianesimo che non è una religione ma un fatto: Dio si è fatto uomo. Pertanto così come esiste un solo vero uomo, esiste un “solo autentico umanesimo che possa scendere profondamente nei recessi dell’essere umano: quello che deriva dalla sapienza dei santi, pur assicurando e rispettando integralmente l’ordine e la dignità della natura”. Ed è in ciò che “appare il privilegio di san Tommaso: nella sua teologia, nella sua epistemologia e nella sua etica”.51 La sua opera, epistemologica e pratica, presuppone così l’acquisizione del metodo analogico e tutta la teologia dell’Incarnazione Redentrice del Verbo disceso a conforto dell’ordine naturale in quanto ferito dal peccato originale. La potenza redentrice del Cristo scende fin qui, liberando la potenzialità effettiva della natura, secondo la magistrale formula di san Tommaso: “gratia non tollit naturam sed perficit”.52 Da questo punto di vista, Maritain ha ragione di affermare che “la filosofia di san Tommaso (e soprattutto la sua metafisica) non è solo una filosofia cristiana, ma è la filosofia cristiana per eccellenza”,53 nella quale la grazia “guida o orienta la filosofia veluti stella rectrix”,54 49 Maritain aveva piena consapevolezza del fatto che non vi sia questione più decisiva per l’uomo di quella di cercarsi un maestro, di essere formato da un maestro: “Il grande problema per gli uomini, scriveva, è quello di trovarsi un maestro. E ammetto che, almeno per coloro ai quali non giungono le soccorrevoli indicazioni della Madre Chiesa, un tale problema, nel presente stato del pensiero, e se consideriamo tutti i sapienti che ci si propongono da tre secoli in qua, diventa terribilmente difficile da risolvere: il che non incoraggia l’ottimismo quanto al futuro dell’umanità”, J. MARITAIN, Riflessioni sull’intelligenza e la sua vita propria, introduzione di V. Possenti, Massimo, Milano 1987, p. 123; G. Galeazzi ha anch’egli ribadito che il pensiero di Maritain appare dominato da questa fedeltà a san Tommaso, che sarà “la costante di tutto l’itinerario maritainiano”, G. GALEAZZI, Jacques e Raissa Maritain, invito alla lettura, San Paolo, Milano 2000, p. 10; nel 1947 lo stesso Maritain affermava la fedeltà al pensiero del maestro al di là degli intenti delle scuole neo-tomiste, affermando “non sono un neo-tomista, tutto sommato preferirei essere un paleo-tomista”, J. MARITAIN, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, Morcelliana, Brescia 1998, p. 9. 50 J. LECLERCQ, Un disciple de Thomas d’Aquin, « Le Figarò Litteraire », 30 novembre 1995. 51 MARITAIN, L’umanesimo di san Tommaso d’Aquino, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, p. 243. 52 SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae , I, q. 1, 8. 53 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 216. 21 senza distruggere, anzi compiendo, l’opus philosophicum che resta interamente autonomo, vivendo cioè soltanto di intuizioni dell’essere e di evidenze razionali. In questo contesto devono intendersi le riflessioni elaborate di recente da S.S. Benedetto XVI, il quale ha tracciato un assai emblematico parallelismo fra la sintesi tomista e la formula cristiana espressa dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: “io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto fra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi fra loro senza confusione e senza separazione”. E conclude: “è merito storico di san Tommaso di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e l’autorità propri della ragione che s’interroga in base alle sue sole forze”.55 Portando la luce della fede dentro l’ordine temporale Maritain ha saputo preparare l’uomo alla sua maggiorità, “allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo”56, liberando così la libertà nel campo filosofico-politico, al punto che Novak ha potuto affermare: “nel pensiero politico e sociale nessun cristiano ha mai scritto una difesa più profonda dell’idea democratica e delle sue componenti come la dignità della persona, la netta distinzione tra società e stato, il ruolo della saggezza pratica, il bene comune, la derivazione trascendente dei diritti umani ”.57 Il giudizio di Borne, secondo cui Maritain ha provato “con la sua vita e le sue opere, che solo la fede nell’assoluto è liberatrice”,58 è, in questo senso, pienamente condivisibile e testimonia oggi la necessità di un cristianesimo cosciente di ciò che è realmente ossia la verità fatta carne, incarnandosi nelle strutture politiche per realizzare quelle che a tutti gli effetti sono le 54 J. MARITAIN, Sulla filosofia cristiana, introduzione V. Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano 1978, pp. 52-53. BENEDETTO XVI, Allocuzione a La Sapienza, 18 gennaio 2008. Citare Possenti in la nuova cristianità che dice di calcedonia. 56 SAN PAOLO, Ef 4,13. 57 M. NOVAK, Coltivare la libertà, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, p. 177. 58 E. BORNE, La filosofia politica di Jacques Maritain, in AA.VV. Il pensiero politico di Jacques Maritain, a cura di G. Galeazzi, Massimo, Milano 1978, p. 43; la fede in assoluto era il punto sorgivo del suo pensiero filosofico, e in ciò egli non insegnò diversamente da come visse, secondo la testimonianza di Carlo Bo: “in Maritain sembra che l’uomo di fede vinca sul pensatore”, C. BO, Jacques Maritain, il filosofo della fede, « Corriere della sera», 20 ottobre 1982; si comprende dunque perché il tentativo orchestrato negli anni cinquanta da alcuni membri della Chiesa di scomunicare il pensiero politico di Maritain, in quanto a loro avviso eretico, addolorò l’amico Journet per il fatto che questi attacchi toccavano “la fede per la quale lui ha per cinquanta anni lottato e sofferto”, CH. JOURNET, Une présentation de l’Humanisme intégral, « Nova et Vetera », n. 4, 1956, p. 258. 55 22 aspirazioni legittime della Rivoluzione, secondo il programma che orientò la vita e le opere di Jacques Maritain: “noi non abbiamo paura della rivoluzione. Saremo anzi noi alla fin fine che la faremo”.59 Il merito di Maritain è dato perciò fondamentalmente dalla comprensione che il cristianesimo costituisce il vero lievito per una realizzazione pienamente culturale e civile, capace cioè di illuminare la ragione fino alla conoscenza della verità; ed è per questo che a suo avviso non esiste una cultura come non esiste una civiltà nel senso pieno del termine che non sia una cristianità: “una civiltà temporale non dico senza difetti né senza tare dico veramente degna dell’uomo, deve chiamarsi col suo vero nome: una cristianità”.60 Maritain ha contribuito in maniera determinante a fare della credenza una conoscenza, superando quella frattura fra sapere e credere che nella modernità ha condotto “da una parte ad una filosofia senza Dio, dall’altra ad una teologia senza pensiero”, 61 riconducendo ad unità lo scisma protestante fra il Verbo e la carne, caratteristico dell’età moderna. Ha scritto magistralmente Possenti che “tra i pensatori cristiani degli ultimi secoli, Maritain è stato uno dei pochissimi, forse l’unico, che ha saputo raccogliere la sfida elevata da alcuni grandi filosofi moderni ed avanzare una risposta all’altezza della posta in gioco”.62 Entrambi sono sulla stessa linea. Ed entrambi perché vogliono il compimento umano quaggiù. E’ qui che l’incarnazione opera e viene a salvare questo uomo quaggiù. Ecco l’importanza di Peguy. Peguy era convinto che Cristo doveva incarnarsi nuovamente per realizzare l’umanità. Ecco dove Maritain prende la sua missione. La morte per soffocazione scientifica dell’attività spirituale alla Sorbona. Ecco che questo conflitto alla Sorbona è un avvenimento religioso importante che dovrà continuare e continuerà nella vita di Jacques. Per Wisnes “Péguy dovette esercitare una poderosa influenza sul giovane Maritain” p. 41. 59 J. MARITAIN, Filosofia della Rivoluzione, in Théonas, Dialoghi tra un sapiente e due filosofi su argomenti di diversa attualità, introduzione A. Gnemmi, Vita e Pensiero, Milano 1982, p. 112. 60 J. MARITAIN, L’umanesimo di san Tommaso d’Aquino, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, saggi di metafisica e di morale, introduzione di V. Possenti, Vita e Pensiero, Milano 1980, p. 247. 61 H. BOUILLARD, Croire et comprendre, cit. in H. DE LUBAC, Ateismo e senso dell’uomo, in La Rivelazione divina e il senso dell’uomo, traduzione S. Bertoldi, Jaka Book, Milano 1985, p. 262. 62 V. POSSENTI, Da Umanesimo integrale a Il contadino della Garonna, novità e continuità,« Humanitas », n. 4, 1984, pp. 610-628. 23 Il cristianesimo deve nuovamente essere elevato tra cielo e terra dirà in religione e cultura Maritain ecco la missione. Il cristianesimo si fece incontrare attraverso il volto di Bloy che tenne a Copenaghen nel 1891 una collana di conferenze dal titolo “I funerali del naturalismo” in parlava di una ribellione della natura che si vedeva ridotta ad una semplice essenza della natura. Ciò acadde a Maritain che cerco è trovò la bellezza eterna nella fede che non compie l’opera temporale perché cristo è venuto per l’uomo non per il cielo. Bloy e Peguy sono due profeti dice Bars a pag. 104. Ecco dove nasce il compito profetico di Jacques. Con Lord acton egli apsettava il gionro del giudizio dell’epoca moderna, una osrta di immenso abisso che si preparava davanti a dei scoli che infervorati dalle sceinze e dalla tecnica si apsettavano una sorta di età dell’oro. Bloy ea un mistico dotato di spirito profetico e apocalittico : Dio è lontano da questo mondo come non lo è mai stato prima d’ora. Le antiche parole dei salmi di David che un tempo fecero tremare il popolo ebreo: ne dicant gentes: ubi est deus eorum? Si veggono portate in tutta la loro portata ..Giorno verrà, forse ben presto in cui ogni raggruppamentei fondato sull’ipocrisia finirà per dissolversi completamente perché tutto il mondo si vedrà consocere a riconoscere che si è restati assolutamente senza Dio”. Albert Béguin, Leon Bloy, 1944 p. 52 di Wisnes. Ecco che ne il filosofo nella società Maritain scrive “circa trent’anni fa , offrendo il suo libro Alle soglie dell’Apocalisse a un suo lettore , Leon Bloy scriveva nella prima pagina: Caro amico datevi la pena di entrarci. In effetti sembra veramente che noi ci siamo già entrati. La nosta era si presenta come un’era apocalittica, una liquidazione di parecchi secoli di storia. Noi vendemmiamo i grappoli della collera. Non abbiamo finito di soffrire. Ma alla fine della crisi un nuovo mondo emergerà. (Una fede di cui vivere? P. 89-90). “ci vuole tempo perché quello che si esige è nientemeno che una vittoria terrestre dell’ispirazione evangelica. “Non vera alcuna forma di miseria che non conoscesse sia materiale che spirituale” p. 51 di Wisnes,. Ecco che l’agonia del mistico genera la filsofia dirà Maritain in Btreve trattato ma il mistico e lo scolastico sono altra cosa. Quando parlo del cuore dolce e dell’intelletto duro di Maritain dico: “In Giacomo Maritain vivono due geni, diciamo così all’antica, i quali raramente ritrovano a vivere insieme in una 24 sola e stessa persona: non dico che vi stiano sempre d’accordo, ma di certo vi sono; e hanno creato loro il destino così singolare di quest’uomo e della sua missione nel cattolicesimo contemporaneo[..] Maritain possiede un cuore scoperto disarmato, prendibile al primo assalto dal primo che viene, purché venga anch’egli con cuore in mano; e possiede un’intelligenza armatissima copertissima nella difesa, scaltra nell’offesa, persino scontrosa”. E ancora, il dono certamente più bello, “nei Maritain è infine un terzo dono, quello che noi diremmo per l’appunto agostiniano: il dono di sapere amare e farsi amare. Qui ci piace sostare un poco. In tale ordine il primo dei loro amici è Dio”63. Il 1912 è uno spartiacque fondamentale per san Benedetto e la vita contemplativa. LA sua filosofia si consacra agli angeli: “A loro si era totalmente dedicata la mia filosofia. Entrata nel trattato degli angeli sotto la guida del Dottore Angelico e di Giovanni di San Tommaso (un altro Jean, e che mi è caro), il mondo delle forme separate le svelava luci intelleggibili assai più belle del giorno. Aveva capito che solo l’archetipo dei puri spiriti consente alla metafisica di afferrare il mistero essenziale della vita dell’intelligenza; non si stancava di ammirare le creature angeliche”64 I paragrafo fino al 26 inclusa la sua coscienza delle vocazione. “Liberare agli uomini la filosofia della loro storia è un ufficio propriamente profetico” Tre riformatori p. 132 circa. Ecco che la profezia è l’ingresso nella realtà vera. Bloy vede questo profetismo in MAritain “non mi attendevo di vedere uscire un braccio così forte dalla guenille filosofica. Un braccio d’atleta e una grande voce di lamentatore. Ho sentito nello stesso tempo un vago di poesia dolorosa, una potenza vaga di fndo venuta da molto lontano.” P.102-103 di Bars MAritain en notre temsp. Cit., in G. De Rosa, Le lettere di Jacques e Raissa Maritain a don Giuseppe De Luca, in AA.VV “Jacques Maritain e la società contemporanea”, a cura di R. Papini, Massimo Milano 1978, pp.309-310. 64 P. 68 63 25 “ora siamo ritornati alla grande notte dell’agonia pagana dove l’uomo non ha più solo a che fare con la sua miserabile carne ma ha una carne tribolata dagli angeli di Satana dove per la sua immaginazione ossessionata tutta la natura intera si riveste del segno osceno”. “Frontiere della poesia” p. 58. In nessun luogo meglio che in Francia, il rinnovamento del pensierp cristiano era stat meglio preparato. E’ in Francia che la filosofia cristiana del XX secolo ha la sua più ricca fioritura”65: Maine de Biran Ravaison Lachelier Boutroux fino a Bergson che è in prima liena come gtrande liberatore dell’opprimente giogo del determinismo meccanicistico.La sua filosofia lo portò sulla via della fede cosa esplicitò nella sua grande opera Le deux sources de la morale e de la religion. Egli tuttavia prepferi rimanere fra coloro che domani saranno perseguitati. Peguy aveva visto giusto ma anche Maritain che parlò di un bergosismo d’intenzione. Credo che tutti si trovarono nella posizione che li porterà alla fede. Se è così e polemiche erano inutili ma Maritain era un convertito… Il ritorno di san Tommaso in Francia aveva come obiettivia il ritorno del cristianesimo nella società: “sono le idee, disse il cardinal Mercier paladino della lotta per il ritorno alla filosofia tomista, che determinano la vita sociale”66. Il 1931 il dibattito francese sulla fllosofia cristiana citare, il libro che ho comprato. “Una grande filosofia non è quella che ha più verità, è quella che ha più eternità. È quella che resta di più quando sarà passata, quando sarà rifiutata. E in realtà non passa mai una grande filosofia [..] Una grande filsoofia non è quella che che ha più verità. E’ quella che marca che opera une race mentale nuova, una race nuova di pensare. E’ quella che apre un’era e inizia un popolo. E la si misura alla splendore del suo regno e al numero dei suoi allievi[..] una grande filsofia non è quella che ha più verità, è quella che ha una fortuna più alta, è quella che fa una grande riuscita”67. Bergson un apologeta dell’anima p. 25 di Bars così come Maritain apologeta dell’intelligenza. 65 Wisnes, p. 29. R. KREMER, Le cardinal Mercier, philosophe, “Revue de philisophie”, 1926. P. 34 di Wisnes. 67 C.Peguy Oeuvre en prosr 1909-1914. Bibl. De la Pl., 1957, p. 98. 66 26 Ransoming the time è il titolo di una delle sue opere pubblicate negli Usa. Ha riscattato il tempo come dice anche Gilson une saggesse redentrice. Per riscattare il tempo occorre essere intelligenti san Paolo 16-17. 1. “Un tornante decisivo” Già Soloviev in realtà alla fine dell’ottocento percepiva che il dramma che si stava consumando nella modernità proveniva da quel dualismo protestante tra la fede e la ragione, e ciò chiedeva alla Chiesa una maggiore presa di coscienza dell’Incarnazione: “se la fede che la Chiesa comunica all’umanità cristiana è una fede vivente, e se la grazia dei sacri misteri è una grazia efficace, l’unione divino umana che ne risulta non può essere confinata soltanto specificamente al campo religioso, ma deve estendersi a tutti i rapporti pubblici degli uomini, rigenerare e trasformare la loro vita politica e sociale .. Si tratta di realizzare la verità divina nella società umana, si tratta di praticare la verità”.68 Negli anni venti con la crisi del liberalismo la modernità entra in una crisi irreversibile aprendo la stagione dei totalitarismi fino a consumarsi nelle guerre mondiali. In questo preciso istante il pensiero cristiano comprende la sua missione. Se è vero che già Leone XIII aveva compreso che solo il ritorno a san Tommaso avrebbe permesso di superare la crisi del suo tempo, è solo con l’avvento della prima guerra mondiale 1915-18, della rivoluzione russa del 1917 e della crisi della Repubblica di Weimar negli anni venti che questa coscienza diventa più nitida. Ecco cosa scrive Berdajev a ridosso di quegli anni: “la manifestazione della verità cristiana sull’uomo e sulla sua vocazione nell’universo, la rivelazione definitiva del mistero della creazione, del mistero della vita cosmica. Le verità dell’antropologia e della cosmologia nono sono state ancora sufficientemente spiegate dal cristianesimo dei Concili ecumenici e dei dottori della Chiesa. La Chiesa è cosmica per natura e racchiude tutta la pienezza dell’essere. La d68 Vi è qui il rifiuto di relegare il cristianesimo ad una dottrina spiritualista, V. SOLOVIEV, La Russia e la chiesa universale, Comunità, Milano 1947, p. 7; Gioberti ha scritto: “il cristianesimo è civiltà e religione, mira alla terra e al cielo [esse sono] i due gradi di un unico corso”, V. GIOBERTI, La riforma cattolica, Giusti, Livorno 1924, p. 7. 27 Chiesa è il cosmo cristianizzato. Questa deve cessare di essere una verità teorica e astratta per diventare una verità viva e pratica. La Chiesa deve passare da una fase dominata dal tempio a una fase cosmica, alla trasfigurazione della pienezza cosmica della vita”.69 Quella di Maritain è stata letteralmente una vocazione, una chiamata nata da un desiderio grande di cui egli prende coscienza definitivamente proprio a ridosso di quegli anni: “quando si scriverà la vita di Jacques Maritain, penso si vedrà negli anni 1925-1926 un tornante decisivo”, ha scritto giustamente Bars.70 In effetti nella Risposta di Maritain a Jean Cocteau del 1925 egli comprende la sua missione: “conosco gli errori che devastano il mondo moderno; so che il mondo moderno non ha di più grande che il suo dolore, ma io rispetto questo dolore; vedo ovunque delle verità prigioniere: quale ordine della grazia si leverà per riscattarle?”.71 69 BERDJAEV, Nuovo medioevo, p. 96. BARS, Maritain en notre temps, p. 113. 71 J. COCTEAU,- J. MARITAIN, I contadini del cielo, La Locusta, Vicenza 1978, p. 107. 70 28 II paragrafo 27-58 Un anno dopo interverrà la solenne condanna dell’Action française, movimento politico di destra capeggiato dall’agnostico Maurras a cui i cattolici francesi guardavano per restaurare l’ordine politico. Da questo punto di vista, l’intervento liberatore della Chiesa costrinse Maritain ad entrare in una territorio a lui nuovo, se è vero che a quel tempo, ricorda Bars, la sua filosofia politica doveva essere “interamente edificata”.72 L’intervento della Chiesa fu l’occasione di cui Maritain si servì per impegnarsi in un nuovo campo del sapere non più speculativo ma pratico, come testimoniò Raissa Maritain: “fu per dissipare ogni equivoco, come per preservare a se stesso i dati della filosofia pratica che Jacques Maritain, uscendo dalle regioni della speculazione metafisica, intraprese le sue opere di filosofia politica, di cui la prima è Primauté du Spirituel”.73 Jacques Maritain dette infatti alle stampe Primato dello Spirituale, ovvero la sorgente da cui procederà spontaneamente l’umanesimo dell’Incarnazione.74 L’Umanesimo integrale rappresenta infatti il punto di arrivo di Primato dello Spirituale, dal momento che il primo non è che l’affermazione analogica del secondo. In tal senso, Viotto può scrivere che “il primato spirituale significa anche il primato della persona nella società”.75 72 BARS, Maritain en notre temps, p. 268. R. MARITAIN, I grandi amici, pp. 372-373; più avanti si legge: “allora incominciò per me un periodo di riflessione dedicata alla filosofia morale e politica, in cui tentai di riscoprire le linee di una politica cristiana autentica e di stabilire, alla luce della filosofia della storia e della cultura, il vero significato dell’ispirazione democratica e la natura del vero umanesimo che aspettiamo”, Così J. Maritain, ibi, p. 370. 74 “Primato dello spirituale fu per noi tutti come una stella orientatrice del nostro cammino spirituale e culturale: fu come la stella dell’anima che ci indicò Dio, primo conosciuto e primo servito! Quanta luce e quanto bene traemmo da quel libro meditato ed ispirato, il quale tanto sostanzialmente si collega a Umanesimo integrale”, cit. in AA.VV. Jacques Maritain protagonista del XX secolo, Massimo, Milano 1984, p. 20. 75 P. VIOTTO, Il Primato dello Spirituale: “fare la verità nella carità”, in La politica ne la Primauté du spirituel di Jacques Maritain, a cura di G.G. Curcio, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009, p. 85. 73 29 Maritain ricevette Pio XI il compito di penetrare i misteri della natura studiando più attentamente le connessioni tra natura e grazia. Pio XI aprirà di fatto una “crisi di liberazione” del cattolicesimo francese, di cui Maritain sarà l’araldo.76 Si è spesso affermato, sbagliando, che la condanna dell’Action française abbia posto l’alternativa fra un primo Maritain di destra e un secondo Maritain di sinistra.77 In realtà, ciò è fuori luogo: “quelli che hanno considerato il Primato dello Spirituale come un itinerario di fuga si sono ingannati piuttosto pesantemente. Questo libro si proponeva di ottenere alcuni da alcuni una purificazione della ragione e della fede, che innanzitutto concentrasse queste sull’unico necessario, ma che anche le rendesse per sovrabbondanza più idonee ad imporre alla materia, a momento opportuno, il primato che esso affermava”.78 Maritain esplicitava così il suo duplice no agli schieramenti opposti di destra e di sinistra, in virtù del fatto che i principi della filosofia politica cristiana non sono “né di destra, né di sinistra ma appartengono ad un ordine superiore e sono fondati in Dio”.79 A motivo di ciò, la vocazione filosofica di Maritain è stata sempre quella di restaurare il fondamento originario della vera civiltà, secondo un ordine civile che traesse ispirazione dalla fede cristiana, come nella cristianità medievale, salvando i guadagni moderni. Da questo punto di vista, tra il prima e il dopo dell’Action française non vi é stata alcuna discontinuità tra principi metafisici, i quali sono rimasti sempre identici procedendo senza rotture o discontinuità formali, ma per approfondimento, e tuttavia capaci di perfezionarsi solo al termine della sua opera di filosofia politica, Il contadino della Garonna. Come ha evidenziato giustamente Borne: “la condanna dell’Action française, non liberò soltanto Maritain, essa fu anche un evento liberatore per il cattolicesimo francese che liberato almeno in alcune delle sue élites politiche, sociali, apostoliche da timori infantili e da nostalgie senili, si trovava in condizione di esplorare nuove vie, di manifestare la sua presenza al centro delle speranze e inquietudini di un mondo che esso aveva guardato con ostilità così a lungo e così tenacemente”, E. BORNE, Maritain nella vita culturale francese influenza e resistenza, in AA.VV. Jacques Maritain e la società contemporanea, a cura di R. Papini, Massimo, Milano 1978, p. 87; sulle ripercussioni della condanna dell’Action Française sulla vita culturale francese cfr. A. DANSETTE, Chiesa e società nella Francia contemporanea, Vallecchi, Firenze 1959, Vol. II, pp. 550-599. 77 Si veda E. ROSSI, Il pensiero politico di Maritain, Comunità, Milano 1956; di questo approccio anche N. MORRA, I cattolici e lo stato, Comunità, Milano 1961. 78 J. MARITAIN, Strutture politiche e libertà, Morcelliana, Brescia 1978, pp. 85-86. 79 J. MARITAIN, Lettera sull’indipendenza, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), a cura di G. Campanini, Morcelliana, Brescia 1975, p. 64. 76 30 In questo senso, l’ultima opera assume il valore di “una summa”,80 come ha riferito De Gaulle, attraverso cui rileggere l’opera complessiva di Maritain. Riteniamo infatti che la sua ultima opera, Il contadino della Garonna, andrebbe letta in principio in modo da cogliere il punto cui tende tutto il lavoro di restaurazione e di rinnovamento della cristianità; nondimeno, lo stesso Maritain confermerà che quest’opera fu scritta non per rinnegare Umanesimo integrale ma per “riprendere in esame e completare”.81 Da un punto di vista strettamente materiale, Umanesimo integrale lasciava all’ideale storico concreto, come era inevitabile che fosse data la precocità dell’opera, qualche margine di incompletezza che non riguardava pertanto i principi metafisici e neanche l’ideale concreto in sé stesso già abbastanza radicato sulla libertà della persona; né riguardava il giudizio sul comunismo se è vero che dal punto di vista del proprium filosofico la condanna da parte di Maritain è sempre stata netta e tale da escludere compromessi.82 Affermando in definitiva, “tengo più che mai a tutte le tesi di Umanesimo integrale”,83 Maritain stesso confermerà la continuità essenziale di tutta la sua opera filosofica. “Le paysan de la Garonne, è una summa. Ammiro, come non mai, lo stile e la profondità del suo pensiero il rigore della sua sensibilità e l’ardore della sua fede. Tanto più che , in lei, il pensiero, la sensibilità e la sua fede rimandano a una scienza e a conoscenze meravigliosamente elaborate. E dal momento che ne percepisco la luce e il calore, la ringrazio dal più profondo dell’anima”, cit. in J-L. BARRE’, Jacques e Raissa Maritain da intellettuali anarchici a testimoni di Dio, San Paolo, Milano 2000, pp. 506-507. 81 J. MARITAIN, Le Paysan de la garonne nous écrit, in O. C., Vol XII, pp. 1262-1263; lasciamo spiegare allo stesso Maritain la genesi e il contesto storico che hanno richiesto l’elaborazione delle sue due opere complementari e terminali della sua intera opera: “ecco l’errore dei cristiani sviati dal nostro momento storico e l’improvviso spostamento del pendolo gettato ora all’estremo opposto del manicheismo larvato che da un secolo aveva suscitato tanti guai. A questo punto conviene dire con particolare insistenza: haec oporteb facere, et illa non omettere. Bisognava lottare contro il mondo come avversario dei santi, ma non omettere (questo per il passato) di consacrarsi al progresso temporale del mondo oppresso dall’ingiustizia e dalla miseria. E bisogna consacrarsi a tale progresso temporale, ma non omettere (questo vale per l’oggi) di lottare contesto il mondo come avversario dei santi: non soltanto i due compiti sono compatibili, ma si postulano l’un l’altro”, MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 97. 82 Se al tempo di Umanesimo integrale Maritain pensava che per la Russia la rivoluzione marxista leninista era una sorta di “prova del fuoco”, che avrebbe potuto una volta consumata e dopo che le forze cristiane con il loro spirito si sarebbero imposte, nel 1957, tale speranza scompare: “gli elementi di verità contenuti nella rivoluzione sovietica sono inseparabilmente inseriti in un sistema del mondo erroneo e totalmente dogmatico, che li spinge e tale da non permettere loro di affermarsi in piena luce. Solo se il sistema cade a pezzi quegli elementi di verità potranno essere liberati [..] da un punto di vista astratto e teorico no è impossibile invece di Marx potesse sorgere un altro pensatore e uomo d’azione di convinzione cristiana, per criticare le forme della civiltà industriale del suo tempo e impegnarsi a mutarle, in nome della giustizia, della libertà e dell’amore anziché in nome dell’odio, della guerra sociale e del mito della deificazione dell’uomo in virtù dell’avvento messianico del proletariato”, J. MARITAIN, Per una filosofia della storia, Morcelliana, Brescia 1972, pp. 56-57. 83 MARITAIN, Le paysan de la Garonne nous écrit, pp. 1262-1263. 80 31 Al fine di perfezionare l’ideale storico concreto della sua proposta culturale e civile occorrerà quello che è stato chiamato “l’esilio americano”, attraverso cui egli restituì interamente la democrazia moderna alla sua ispirazione cristiana.84 Il “periodo americano” fu in tal senso un periodo prezioso e fecondo in quanto Maritain porterà a termine opere quali Per una filosofia della storia, e L’uomo e lo Stato nelle quali la sua filosofia politica e della storia trovavano dal punto di vista formale un punto di compimento, liberando definitivamente l’ideale democratico nella prospettiva di una nuova civiltà cristiana e per una nuova età della storia.85 A tal proposito, si è osservato giustamente che con l’esperienza americana, Maritain ha fatto dei valori repubblicani il campo di applicazione della filosofia tomista.86 III paragrafo 60 73. “occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina ma nasca dalal carne”. Vederela condanna di Maritain di Doria In questo senso, Il contadino della Garonna è nella pienezza del significato “l’ultima testimonianza del piccolo gregge di Meudon”,87 attraverso cui Maritan porta a compimento la sua vocazione filosofica. E’ stato osservato da Del Noce che “i tre libri Antimoderne, Humanisme intégral, Le Paysan de la Garonne sono, visti a fondo, le tre tappe di una sola fondamentale opera”.88 Ciò è vero solo in parte, dal momento che ad Antimoderne si dovrebbe preferire Primato dello P. Viotto ha scritto come le opere del periodo americano proporranno “una conciliazione tra gli ideali politico sociali della tradizione cristiana e quelli democratico liberali della rivoluzione francese”, P. VIOTTO, Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 24. 85 “Se esiste come io sono convinto una missione temporale per il cristiano, come sarebbe possibile che la speranza terrestre che anima una tale missione non abbia, quale suo fine più ampio, l’ideale di edificare una migliore o una nuova civiltà cristiana?”, MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 120. 86 BARS, Il pensiero politico di J. Maritain, p. 128. 87 Lettera di J. MARITAIN, a H. BARS, 11 agosto 1966. 88 DEL NOCE, L’unita del pensiero di Jacques Maritain, p. 82. 84 32 Spirituale, il quale non è solo come è stato giustamente detto, “l’ingresso di Maritain nel campo del pensiero politico”;89 più profondamente, quest’opera ha segnato uno spartiacque storico, iniziando la riscossa cattolica nella modernità in nome appunto del Primato Spirituale.90 In un’analisi di lungo respiro si comprende come Primato Spirituale sia la vera origine di Umanesimo integrale e il punto in cui approda Il contadino della Garonna. Quest’opera infatti susciterà le stesse passioni, ma inverse, di Umanesimo integrale: due testi che Possenti ritiene giustamente terminali e nello stesso tempo in continuità perché tali da postularsi vicendevolmente.91 Nondimeno, davanti alla sfida di una modernità la vera risposta di Maritain non poteva essere data in negativo da Antimoderne, ma in positivo da Primato dello spirituale attraverso cui si poneva in continuità spirituale con la Tradizione cattolica, valorizzando le conquiste moderne per andare più lontano e oltre la modernità. Per le connessioni organiche e vitali fra natura e grazia ciò ha significato non solo una restaurazione della verità, ma anche una restaurazione autentica della politica.92 Queste tre opere costituiscono pertanto, il principio, il mezzo e il fine attraverso cui la vocazione di aggiornamento della dottrina cristiana viene portata a compimento, chiudendo egli stesso quelle strade che aveva aperto quarant’anni prima con la Lettera a Jean Cocteau.93 P. VALADIER, Jacques Maritain: une philosophie politique pour aujourd’hui, in Jacques Maritain face a la modernité. Enjeux d’une approche philosophique, cit. in FLOUCAT, Maritain ou le catholicisme integrale et l’umanisme democratique, p. 85. 90 Accogliamo favorevolmente la posizione del poeta Claudel che individuò il momento centrale e la vera origine della riflessione di Maritain nei rapporti con il mondo moderno in Primato dello Spirituale: “segna una data e un tornante, chiude un’era e stabilisce definitivamente dei principi”, Lettera di P. CLAUDEL a J. MARITAIN 9 agosto 1927, cit. in P. VIOTTO, Le Grandi amicizie, Città Nuova, Roma 2008, p. 256. 91 POSSENTI, Da umanesimo integrale a Il contadino della Garonna, novità e continuità, p. 34; Maritain ha spiegato il diverso contesto storico che ha richiesto l’elaborazione in due momenti diversi delle sue due opere complementari: “ecco l’errore dei cristiani sviati dal nostro momento storico e l’improvviso spostamento del pendolo gettato ora all’estremo opposto del manicheismo larvato che da un secolo aveva suscitato tanti guai. A questo punto conviene dire con particolare insistenza: haec oporteb facere, et illa non omettere. Bisognava lottare contro il mondo come avversario dei santi, ma non omettere (questo per il passato) di consacrarsi al progresso temporale del mondo oppresso dall’ingiustizia e dalla miseria. E bisogna consacrarsi a tale progresso temporale, ma non omettere (questo vale per l’oggi) di lottare contesto il mondo come avversario dei santi: non soltanto i due compiti sono compatibili, ma si postulano l’un l’altro”, MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 97. 92 Si vedrà più avanti cosa significhi questa restaurazione del politico. Per il momento riportiamo questa espressione tratta da Y. FLOUCAT, Pour une Restauration du Politique, Maritain l’intransigent, Téqui, Parigi 1999. 89 33 Nel momento in cui, verso la fine dei suoi anni, la preparazione della nuova cristianità poteva dirsi completata,94 il pensiero del pensiero del filosofo francese era così pronto per confluire ufficialmente nella Chiesa, come Paolo VI avrà modo di confermargli, comunicandogli direttamente al termine del Concilio che “la Chiesa le è riconoscente per il lavoro di tutta la vita”.95 Si è detto infatti che tutti i nuclei tematici, affrontati e risolti dal punto di vista filosofico da Maritain trovano accoglienza nei testi del Concilio: la persona umana, la libertà religiosa, il laicato credente, la vocazione alla santità il significato mistico del mondo, la missione temporale del cristiano, l’umanesimo integrale, la lotta all’antisemitismo.96 Tutto ciò fornisce la manifestazione più palese della ricezione di Umanesimo integrale da parte della Chiesa, esplicitata tra l'altro nel Discorso di chiusura del Concilio Vaticano II pronunciato da Paolo VI il 7 dicembre del 1965, in cui il pontefice, sintetizzando il lavoro svolto dai Padri conciliari, riconoscerà espressamente il “nuovo umanesimo” edificato attorno a “l’hominem integrum”, l’uomo integrale.97 Come ha avuto modo di osservare Nicolas, “questo annuncio di un’epoca nuova che il Concilio ha voluto essere, non è ciò che trent’anni prima egli chiamava una nuova epoca di cristianità, cioè l’avvento di un ordine temporale in se stesso autonomo, ma in cui si rifrangessero le esigenze evangeliche del Regno di Dio?”.98 Già Raissa Maritain, aveva visto in anticipo tutto ciò, scrivendo, “Jacques mi ha spesso detto che il suo compito era di aprire delle strade, ma in alcune di queste strade egli stesso andò sino alla fine”, R. MARITAIN, I grandi amici, p. 429. 94 J-L. Barré ha riportato uno scambio di battute fra Mauriac e Guitton che ripresentiamo per la sintesi efficace che offrono: “ha ricevuto Le paysan de la Garonne?, domanda F. Mauriac a J. Guitton, durante una sessione lessicale all’Académie. Guitton assicura che beve questo libro “come se fosse latte”, al che Mauriac risponde di slancio, “anchio!”. Nel Bloc-notes il romanziere si schiera dalla parte di Maritain: “quella verità di cui abbiamo fame e sete: quella verità e quella fede ci sono qui riconsegnate come attraverso un filtro restituite alla loro purezza originale. Il fatto straordinario in Maritain è che nessun lettore, di qualsiasi appartenenza potrebbe tacciarlo né di progressismo, né di integrismo, affermando che “non pende da nessuna parte”, cit. in BARRE’, Jacques e Raissa Maritain da intellettuali anarchici e testimoni di Dio, p. 505. 95 Sono queste le parole che Paolo VI rivolgerà a Maritain nel momento della consegna del Messaggio agli uomini di scienza, cit. in BARRE’, Jacques e Raissa Maritain, da intellettuali anarchici a testimoni di Dio, pp. 498-499. 96 Per una dettagliata ricostruzione del rapporto fra Maritain e il Concilio si veda l’’analisi di Possenti il quale riconoscendo il lavoro epocale di Maritain lo ha indicato come il filosofo della transizione (non verso un nuovo cristianesimo ma) verso una nuova cristianità, in V. POSSENTI, Una filosofia per la transizione, metafisica, persona e politica in J. Maritain, Massimo, Milano 1984, pp. 220-252. 97 PAOLO VI, Discorso di Chiusura del Concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965. 98 M.-J. NICOLAS, Jacques Maritain e il Magistero della Chiesa, in AA.VV. Jacques Maritain e la società contemporanea, p. 47. 93 34 Del resto, l’omaggio che lo stesso pontefice volle attribuire a Maritain, consegnandogli il Messaggio agli uomini di cultura, consacrava l’opera di Maritain sin dall’inizio volta a rinnovare il patrimonio storico della Chiesa verso il nuovo umanesimo che il Concilio ha annunciato per la storia: “il nostro umanesimo, disse Paolo VI, si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo”.99 In ultimo, la conferma dell’incontro fra Maritain e il Concilio Vaticano II è testimoniata dalla stessa immagine del buon Samaritano, rappresentativa di entrambi. Se da una parte Paolo VI nel Discorso di chiusura del Concilio ha espressamente richiamato “l’antica storia del Samaritano (che) è stata il paradigma della spiritualità del Concilio”,100 dall’altra, lo stesso universalismo ha animato la vocazione filosofica di Maritain infaticabile ricercatore di verità moderne da valorizzare in un ordine cattolico e perciò pienamente umano, come ha esplicitamente riconosciuto Fumet.101. In definitiva, fu solo al termine dei suoi anni e della sua vasta opera che lo stesso Maritain comprese il valore provvidenziale dell’andamento di tutta la sua esistenza vissuta in un’opera che, lanciata da Pio XI nel 1927, si concludeva trionfalmente con l’adozione da parte della Chiesa ad opera di Paolo VI.102 In tal modo si è compiuta la “restaurazione” avviata da Leone XIII.103 99 PAOLO VI, Discorso di Chiusura del Concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965. Ibid. 101 Si veda la testimonianza di Fumet in favore di Maritain espressa nel 1957, qualche anno prima del Concilio, in cui l’amico parlava di Maritain come emblema del buon Samaritano nei confronti delle “intelligenze malate o depravate di questo secolo”, FUMET, Amore per il sapere e amicizia per gli uomini, p. 40. 102 Cfr. BARRE’, Jacques e Raissa Maritain, da intellettuali anarchici a testimoni di Dio, p. 499. 103 Così J. MARITAIN, Della Verità, in Approches sans entraves, “Scritti di filosofia cristiana”, Vol. I, prefazione E. R. Korn, Città Nuova, Roma 1977, p. 47; in una sintesi storico-filosofica magistrale, Benedetto XVI ha osservato come il Concilio costituisce la soluzione positiva del dialogo tra fede e ragione, risolto da san Tommaso e approfondito e aggiornato dai testi conciliari: “la fede biblica doveva entrare in discussione e in relazione con la cultura greca ed imparare a riconoscere mediante l’interpretazione la linea di distinzione, ma anche il contatto e l’affinità tra loro nell’unica ragione donata da Dio. Quando nel XIII secolo, mediante i filosofi arabi, il pensiero aristotelico entrò in contatto con la cristianità medievale formata nella tradizione platonica, e fede e ragione rischiarono di entrare in una contraddizione inconciliabile, fu soprattutto san Tommaso D’Aquino a mediare il nuovo incontro tra fede e filosofia aristotelica, mettendo così la fede in una relazione positiva con la forma di ragione dominante nel suo tempo. La faticosa disputa fra la ragione moderna e la fede cristiana che in un primo momento, col processo a Galileo, era iniziata in modo negativo, certamente conobbe molte fasi, ma col Concilio Vaticano II arrivò l’ora in cui si richiedeva un ampio ripensamento. Il suo contenuto nei testi conciliari, è tracciato sicuramente solo a larghe linee, ma con ciò è determinata la direzione essenziale; cosicché il dialogo fra ragione e fede, oggi particolarmente importante ha trovato il suo orientamento”, BENEDETTO XVI, Discorso ai Membri della Curia e della Prelatura Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005. 100 35 Presentando la sua filosofia politica, Maritain può dunque osservare come essa “presuppone come dato di base tutta la dottrina delle encicliche pontificie, e cerca in qualche modo i principi insegnati in tali encicliche (che) dovranno applicarsi nelle circostanze concrete del mondo di domani”.104 Ritorniamo all’inizio del capitolo, al fatto che, come scrisse Gilson in una lettera a Maritain, le grandi opere non si fanno nel tempo ma per il tempo.105 Nell’opera di Maritain ciò si spiega così: “il fatto - suggerisce Fumet - è che l’intelligenza di Jacques Maritain si era vista per suo solo merito, posta di slancio sulla prua del cattolicesimo, il giorno in cui questo grande misconosciuto che è il cattolicesimo aveva osato rivendicare questo stravagante diritto, nel XX secolo, di riprendere con rinnovati e purificati mezzi quella che si può chiamare la guida del pensiero umano”. 106 L’insuccesso immediato di Maritain è addebitabile al fatto che - continua Fumet - il suo intelletto “battezzato” era “troppo limpido, troppo ricco, troppo vivificante per il nostro tempo”.107 104 J. MARITAIN, Ad alcuni miei contraddittori, in Ragione e ragioni saggi sparsi, introduzione di V. Possenti, Vita e Pensiero, Milano 1982, p. 203. 105 “Credo caro amico che ci tormentiamo troppo per i nostri fallimenti. [..] che voi lo sappiate o no, siete grande, ed è ciò che non vi si perdonerà mai. Si tratta di pagare soprattutto per questo, mio buon amico. E’ inevitabile. Io sono il testimone ideale per assicurarvi che la vostra opera è grande, vera salutare e feconda. Io ho almeno una certa abitudine per la storia e quel che scrivo lo conosco. Solamente so pure che queste grandi opere non si fanno nel tempo (corsivo nostro). Non c’è cronologia per le idee. Continuate la vostra opera che è insostituibile, e non vi preoccupate di nulla il resto non conta”, Lettera di GILSON a J. MARITAIN, 29 gennaio 1953, in Etienne Gilson et Jacques Maritain, Correspondance 1923-1971, Librairie philosophique J. Vrin, Paris 1971, pp. 181-185; in realtà sia Gilson che Maritain condividevano la stessa vocazione intellettuale tesa al riconoscimento e al perfezionamento dell’esistenza storica, Gilson, e dottrinale, Maritain, di una filosofia specificatamente cristiana; una tale battaglia li strinse in un’amicizia situata in tutto l’arco della loro esistenza: sul punto si veda M. GROSSO, Alla ricerca della verità, la filosofia cristiana in E. Gilson e J. Maritain, prefazione P. Viotto, Citta Nuova, Roma 2006. 106 S. FUMET, Amore per il sapere e amicizia per gli uomini,in Jacques Maritain, Cinque lune, Roma 1958, p. 24. 107 Ibi, p. 41. 36 Da questo punto di vista, la tesi di Del Noce secondo cui Maritain “è stato il grande isolato e che si è sentito tale”,108 trova la sua ragion d’essere nel contesto storico vissuto da Maritain, ovvero quel novecento che Giovanni Paolo II definì come il secolo dell’eruzione del male.109 E’ dire che lo stesso Maritain si considerava un “mendicante del cielo…una specie di agente segreto del Re dei Re in missione nei territori del principe del mondo, alla stregua del gatto di Kipling che andava tutto solo” (corsivo nostro).110 Rifiutando i compromessi con la modernità e isolandosi dal contesto culturale del suo tempo, Maritain ha “salvato l’onore”,111 convinto che, presto o tardi, il tempo, “che spazza via tante cose”,112 avrebbe valorizzato il suo lavoro, “consistito nel ricordare, riferendole al nostro tempo delle concezioni che sono state elaborate da una lunga tradizione, e che non sono mie”; un lavoro, - continua Maritain nel suo “testamento”- che “non è stato svolto nella prospettiva della filosofia moderna e neppure in quella della teologia, ma in quella propria della filosofia cristiana”:113 né medioevo, né età moderna, ma nuova cristianità. Se il medioevo è stata infatti un’epoca fondamentalmente teologica in cui la filosofia si è trovata a volte serva della teologia, la modernità è stata un’epoca scientista in cui la filosofia è stata asservita alla scienza positiva. Nella nuova cristianità la filosofia troverebbe la sua effettiva liberazione, come si vedrà nel corso dell’opera. E’ stato detto che “un servo non è più grande del suo maestro”.114 Come per “San Tommaso ci vollero cinquanta anni di violente polemiche per stroncare le calunnie lanciate contro l’ortodossia del tomismo”,115 allo stesso modo per J. Maritain, “che sull’esempio del suo maestro Tommaso d’Aquino aveva umilmente sottoposto alla Chiesa tutto il grano delle sue A. DEL NOCE, L’unità del pensiero di J. Maritain, « L’Europa », n. 7, 30 aprile 1973, p. 80. S.S. Giovanni Paolo II, in un’analisi di lungo respiro ha scritto che “il XX secolo è stato, per così dire il “teatro” in cui sono entrati in scena determinati processi storici, e ideologici, che si sono mossi nella direzione della grande eruzione del male”, GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, Rizzoli, Milano 2005, p. 13. 110 J. MARITAIN, Carnet de notes, Desclée de Brouwer, Paris 1965, p. 10. 111 J. MARITAIN prefazione, a H. BARS, Il pensiero politico di Jacques Maritain, Morcelliana, Brescia 1965, p. 11. 112 Ibid. 113 Ibid. 114 Gv, 13, 14. 115 J. MARITAIN, Il Dottore angelico, Cantagalli, Siena 2006, p. 76. 108 109 37 trebbiature, tutti frutti cioè del suo lavoro”,116 ci sono volute decenni prima che le accuse a lui dirette fossero stroncate e la sua opera potesse essere battezzata dalla Chiesa.117 In questo senso, valgono le parole espresse da Giovanni Paolo II, il quale durante il centenario della nascita di Maritain ha offerto una testimonianza dell'opera di Maritain che merita di essere ripresa per esteso: “l’“illuminazione della ragione” suscitò nel giovane Maritain una adesione così profonda al pensiero di San Tommaso che, attraverso un moto spontaneo del suo spirito, egli divenne uno dei principali fautori di quella ‘rinascita tomistica’ che il Magistero della Chiesa, con Leone XIII, aveva auspicato e promosso come risposta alle principali richieste della cultura moderna e quale via per superare il divorzio "contro natura" tra ragione e fede (Lett. Enc. Aeterni Patris, 1879). A questa vocazione, per la quale subì fatiche, incomprensioni, scontri, egli rimase fedele fino alla morte. Per lui non si trattò di ripetere delle formule, ma, alla luce di un pensiero tanto elevato da sfuggire alle vicende e all'usura del tempo, di fare da pioniere e, con tutta lealtà, opera innovatrice, portando un contributo veramente originale nella riflessione filosofica e anche teologica, in molti campi, quali la metafisica, l'antropologia, la morale, la filosofia dell'arte, l’epistemologia, la filosofia della natura, la filosofia politica e della storia, la filosofia della cultura e la pedagogia, la liturgia e la contemplazione”.118 Pronunciamenti di questa portata riteniamo vadano ormai considerati come patrimonio acquisito della Chiesa, e ciò è in grado di spiegare il motivo per cui oggi l’opera di Maritain viene nuovamente rilanciata dal più recente magistero della Chiesa.119 M. PRELOT, prefazione alla seconda edizione di L’uomo e lo Stato, in J. MARITAIN, L’uomo e lo Stato, introduzione di V. Possenti, Marietti, Genova-Milano 2003, p. XXXI. 117 Sul punto si rinvia all’ampio e fondamentale lavoro di P. DORIA, La condanna della “dottrina Maritain”, Aracne, Roma 2008. 118 Dal Messaggio di S.S. Giovanni Paolo II, inviato al prof. Giuseppe Lazzati, Rettore dell’Università Cattolica, in occasione del Convegno internazionale Jacques Maritain oggi, in « Vita e Pensiero », n. 12, dicembre 1982, p. 39. 119 Benedetto XVI, esprimendo la “convinzione che la Populorum progressio merita di essere considerata come la “Rerum novarum” dell’epoca contemporanea”, si riconnette indirettamente all’intera opera di J. Maritain, dal momento che l’Enciclica di Paolo VI fa esplicito riferimento al pensiero del filosofo francese. Nelle sue conclusioni al n. 42 della Populorum progressio, ad esempio, Paolo VI scrive che “è un umanesimo planetario che occorre promuovere”, richiamando in due occasioni esplicitamente l’opera Umanesimo integrale. Ha così avuto modo di sottolineare M-J. Nicolas come “si sono sovente riconosciuti nelle parole di Paolo VI i principi e perfino il vocabolario di Umanesimo integrale. Ciò è particolarmente manifesto nella Populorum progressio. L’umanesimo nuovo che tende all’uomo integrale, l’umanesimo plenario che bisogna promuovere, questi sono i termini di un documento visibilmente ispirato all’opera di Maritain”, NICOLAS, J. Maritain e il Magistero della Chiesa, p. 49; Paolo VI, infine vedrà in Maritain sino all’ultimo un maestro e un grande pensatore, come disse nel Messaggio di S.S. Paolo VI letto in Piazza San Pietro il giorno della morte di Maritain, 28 Aprile 1973: “Maritain: davvero un grande pensatore dei nostri giorni, maestro nell’arte di pensare di vivere e di pregare, [..] 116 38 Maritain è vincente due volte: durante il Concilio, ieri,120 e nel trionfo della giusta ermeneutica dello stesso, oggi.121 Il suo pensiero infatti ha tutta la pretesa di essere la filosofia politica adeguata al tempo storico nel quale entriamo, il tempo cioè di una nuova cristianità in cui realizzare la speranza terrestre del Vangelo. Quella di Maritain è nella pienezza del significato la filosofia secondo Cristo,122 sull’esempio di quello che sarà l’umanesimo dell’Incarnazione, in quanto l’ambito speculativo e quello pratico non sono che due espressioni della medesima esigenza: “il problema della filosofia cristiana e quello della politica cristiana non sono che la faccia speculativa e la faccia pratica dello stesso problema”.123 Maritain ha sistematizzato la sapienza filosofica cristiana in un’opera integrale che presuppone la contemplazione e il rapporto personale con Dio vivo e attuale. Lo stesso Jean Leclercq, nella sua meravigliosa sintesi di contemplazione e cultura, Amour des lettres et le desir de Dieu,124 ci assicura di essersi esplicitamente ispirato all’intera opera di Maritain: “contemplazione e umanesimo: questo era anche il tema del libretto di Maritain, Religione e cultura, che La sua voce, la sua figura resteranno nella tradizione del pensiero filosofico e della meditazione cattolica”, « L’Osservatore Romano », Roma 30 Aprile-1 maggio 1973, p. 1. 120 “E’ la vittoria di Maritain, ebbe ad esclamare un funzionario del Santo uffizio ascoltando quelle parole”, cit. in NICOLAS, Jacques Maritain e il magistero della Chiesa, pp. 48-49. 121 Da questo punto di vista, si capisce come Benedetto XVI nella sua volontà di applicare (realmente) il Concilio, attualizzando l’opera di Paolo VI rievoca indirettamente la memoria di Maritain, nel solco della quale questo studio è situato: “a quarant’anni dalla pubblicazione dell’Enciclica, intendo rendere omaggio e tributare onore alla memoria del grande Pontefice Paolo VI, riprendendo i suoi insegnamenti sullo sviluppo umano integrale e collocandomi nel percorso da essi tracciato, per attualizzarlo nell’ora presente”, BENEDETTO XVI, Enciclica Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, p. 9; quarant’anni dopo la chiusura del Concilio, Benedetto XVI, nel dicembre del 2005, in occasione del tradizionale Discorso ai membri della Curia e della Prelatura Romana, propone una riflessione d’insieme sulla ricezione del Concilio, confluita in seguito nelle Risposte a Quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la Dottrina della Fede col quale viene istituzionalizzata la “giusta ermeneutica”. Benedetto XVI, riprendendo le parole di san Basilio dopo il Concilio di Nicea, paragona la situazione della Chiesa dopo il Concilio ad una battaglia navale tra le due ermeneutiche, quella (falsa) della rottura con il patrimonio storico della Chiesa e quella (vera) del rinnovamento nella continuità. La tesi della rottura fatta propria dalla teologia moderna, “aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna”, tralasciando la dimensione “mistica” e religiosa del mondo, ossia il fatto che esso se non è vivificato da Dio, si distrugge. Benedetto XVI, richiamando i suoi predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, riassume l’opera del Concilio come “sintesi di fedeltà e dinamica”, ovvero di una discontinuità materiale nella continuità formale, così BENEDETTO XVI, Discorso ai Membri della Curia. 122 E’ questo l’invito rivolto da san Paolo ai cristiani di Colosso: “badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Gesù Cristo”, Col 2,8. 123 MARITAIN, Aspetti contemporanei del pensiero religioso, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, p. 116. 124 J. LECLERCQ, Cultura umanistica e desiderio di Dio, prefazione Pier Cesare Bor, Sansoni, Firenze 1988. 39 ha incantato la nostra giovinezza quando eravamo novizi benedettini a metà del ventesimo secolo. Quando iniziammo i nostri studi filosofici, ci siamo serviti dei suoi primi testi dottrinali, per esempio Sette lezioni sull’Essere. Ciò ci ha aiutati a fare una sintesi tra quello che più tardi, io dovevo definire come “l’amore per l’apprendimento e il desiderio di Dio”; sono stati proprio questi bei libri di Maritain poeta, artista, mistico..”.125 “Un profeta del XX sec, e un profeta vincitore”.126 E’ questa l’unica risposta che noi riteniamo credibile alla domanda: “chi è Jacques Maritain?” 125 J. LECLERCQ, Maritain e Merton come li ho conosciuti in Contemplazione e ricerca spirituale nella società secolarizzata, la proposta di Merton e Maritain, Massimo, Milano 1984, p. 18. 126 POSSENTI, Nuova Cristianità come compito da intraprendere, p. 5; in favore del carattere profetico dell’opera di Maritain si è espresso C. CASOLI, Maritain il profeta, « Città Nuova », n. 10, 25 maggio, 1973, pp. 32-34. 40 41 II capitolo Unità del sapere e ordine politico: l’epistemologia integrale nel pensiero politico di Jacques Maritain “La scienza di Dio è la scienza delle cose” San Tommaso d’Aquino I e q.14 a .8 1.1 La nozione di filosofia politica e le sue relazioni con la scienza politica e la prudenza politica: l’invenzione dell’ordine politico. In un tempo, quello moderno, che verrà ricordato come un tempo fondamentalmente contrario alla speculazione e alla contemplazione, Maritain ha anteposto alla riflessione pratica, in specie quella politica, il primato della verità e della riflessione speculativa.1 In assoluto, infatti, l’importanza della parte speculativa e metafisica è “assai più grande di quella della filosofia politica”.2 Nella modernità Maritain ha così riaffermato il primato della teoresi sulla prassi, il primato dell’epistemologia integrale sull’umanesimo integrale, in ultimo il primato della verità e di Dio sulla libertà e sull’uomo. L’elaborazione della filosofia politica parte infatti dal Tutta l’opera filosofico-politica di Maritain è illuminata dalla fede e dal primato della contemplazione, secondo le esigenze più intime dello spirito umano, riconosciute da Maritain, il quale ha sempre affermato che le sue “esposizioni di filosofia politica è indispensabile considerarle alla luce delle verità metafisiche...Ed è questo disgraziatamente si dimentica troppo spesso”, Lettera di J. MARITAIN a A. PAVAN del 1962 in PAVAN, In memoriam, p. VI. 2 Ibid. 1 42 presupposto che il vero punto d’innesco per il progresso dei popoli non proviene dall’agire, dalla cosiddetta prassi, ma dal primato della teoresi come misura dell’agire umano. In una conferenza al Congresso di filosofia di Port-au-Prince del 1944, J. Maritain ha sottolineato il primato della vita contemplativa su quella attiva, osservando come, “una delle condizioni richieste per la costruzione di un mondo più degno dell’uomo e per l’avvento di una nuova civiltà è che l’uomo ritorni alle sorgenti autentiche della conoscenza, che sappia ciò che essa è, qual è il suo valore quali sono i suoi valori e come essa può fare l’unità interiore dell’essere umano”. 3 Alla luce di ciò, comprendiamo tutto lo sviluppo dell’opera di Maritain, di come cioè la riflessione speculativa abbia preceduto e fondato la sua riflessione pratica. Nota infatti Viotto che “come in Umanesimo integrale (1935) Maritain indica nella formazione di uno “stato laico cristiano” la soluzione del problema politico sociale, così in Scienza e saggezza (1934) indica nella rinascita di una filosofia cristiana- autenticamente filosofica e autenticamente cristiana- la soluzione della crisi epistemologica in cui si dibatte la cultura contemporanea”.4 Maritain ha così rialzato l’intelligenza riportandola al suo oggetto, il Mistero, nel cuore dell’essere e dell’esistenza, imponendo il primato della ragione in tutti i campi della vita; non soltanto nell’ordine speculativo, ma anche nell’ordine pratico della politica, dal momento che la conoscenza pratica resta speculativa quanto ai modi di sapere e in virtù del fatto che la morale ha un’essenza ontologica per la quale essa è ordinata alla verità. Pertanto, il sapere pratico, pur non essendo finalizzato alla metafisica come tale, ma all’agire, deve riconoscere la normatività interna dell’etica politica per regolare gli umani e ordinare la polis. 3 J. MARITAIN, Sulla conoscenza umana, da una Comunicazione al Congresso di Filosofia di Port-au-Prince, settembre 1944, in Ragione e ragioni, pp. 7-8. 4 P. VIOTTO, presentazione di MARITAIN, Scienza e saggezza, p. 12; sull’esistenza di una filosofia specificatamente cristiana ci assicura Gilson che in sé “la nozione di filosofia cristiana è possibile”, E. GILSON, Thomisme et philosophie, Vrin, Paris 1936, p. 117; quanto a E. Gilson, il suo itinerario di formazione deve molto a Maritain, se è vero come è stato scritto che “Etienne Gilson, procedendo innanzitutto per vie puramente storiche, si convinceva progressivamente della giustezza dei punti di vista di Maritain su san Tommaso, e finalmente della verità della causa filosofica difesa in Réflection sur l’intelligence et sur sa vie propre, I gradi de sapere, De la philosophie chrétienne”, così O. LACOMBE, Jacques Maritain, La générosité de l’intelligence, « Croire et Savoir », Téqui, Paris 1991, p. 41; lo stesso Gilson si è spesso fatto garante dell’essenza e della specificità cristiana della filosofia elaborata da Maritain, cfr. E. GILSON, Une sagesse rédemptrice, « Revue Thomiste », nn. 1-2, 1948; uno studio molto fecondo sui fondamenti della filosofia cristiana secondo le linee di ricerca sviluppate da Gilson e Maritain è stato condotto da Y. FLOUCAT, Per una filosofia cristiana, (elementi di un dibattito fondamentale), Massimo, Milano 1987. 43 Dire ordine significa dire ragione: “non solamente –scrive Maritain- nell’ordine della conoscenza, l’intelligenza è regina assoluta, [..] ma ancora nell’ordine pratico, la rettitudine dell’azione suppone la retta conoscenza; la ragione è la regola prossima del nostro agire e ogni atto interiore dell’anima che implichi governo e ordine appartiene alla ragione”.5 Conformemente alla sua natura, nell’ordine pratico la ragione è chiamata non soltanto a riconoscere l’ordine della realtà, ma deve anche mettere ordine conformemente alla Verità, nel campo che gli appartiene in quanto umano, come il campo etico-politico.6 “E’ un disordine che costa caro - scrive Maritain - disprezzare l’ordine eterno per attendere un ordine nuovo dalle sole scaturigini del divenire e dal solo movimento della storia, compiuto e precipitato dai confidenti di questa stessa storia, dai lieviti del suo processo rivoluzionario, dagli eletti del dio dell’immanenza nei quali il Weltgeist (lo spirito del mondo secondo Hegel) ha preso coscienza del mondo; ma è un ordine altrettanto grave dimenticare che l’ordine umano si fa con la storia”. 7 Come ha scritto infatti Eliot “poiché la filosofia politica riceve la sua sanzione dall’etica, e l’etica dalla verità religiosa, soltanto con il ritorno della verità religiosa possiamo sperare in un’organizzazione sociale che non ignori, pena la sua stessa distruzione, alcun aspetto essenziale della realtà”.8 E’ alla ragione pratica nella sua più eminente capacità naturale, quella filosofica, che è richiesto nelle contingenze della storia temporale questo oneroso impegno: “facere veritatem”, ovvero l’invenzione dell’ordine. La soluzione del problema politico e della libertà è pertanto radicato e subordinato alla 5 J. MARITAIN, Tre Riformatori, Lutero-Cartesio-Rousseau, introduzione A. Pavan, prefazione G.B. Montini, Morcelliana, Brescia 2001, pp. 79-80. 6 Così Maritain: “la ragione non ha soltanto da riconoscere l’ordine scaturito dal pensiero creatore; vi è un ordine che essa stessa è incaricata di costruire in quanto ragione pratica: è appunto quello delle cose umane e degli atti umani, che rappresenta, secondo san Tommaso, il dominio dell’etica. Continuatrice e collaboratrice dell’opera divina, essa deve ad ogni istante inventare, conformemente all’ordine eterno, l’ordine contingente e costantemente rinnovato delle opere del tempo: facere veritatem, come dice il Vangelo”, MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 63; 7 Ibi, pp. 63-64. 8 T. S. ELIOT, L’idea di una società cristiana, Comunità, Milano 1948, p. 81; sul punto si veda J. MARITAIN, Esperienza Mistica e filosofia, in Distinguere per unire i gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 1974, p. 337. 44 capacità della filosofia politica di riconoscere la verità. Ed infatti, afferma Sant’Agostino, “quid enim fortius desiderat anima quam veritatem?”.9 L’uomo è la facoltà del reale, é ricerca della verità! Ed è in questa ricerca che consiste fondamentalmente la sua dignità. “E in quale modo si chiede Maritain l’uomo aderisce all’oggetto? Con l’intelligenza”.10 La verità è infatti definita come la corrispondenza fra la realtà e l’intelletto, adaequatio rei et intellectus.11 Maritain è stato il grande teorico della santità dell’intelligenza, della sua capacità di conquistare l’essere, di possedere la verità.12 Dal suo punto di vista, restaurare l’umano vuol dire innanzitutto restaurare il primato dell’essere sul pensiero, e quindi il primato dell’intellectus sulla ratio: “se l’intelligenza non viene salvata, nulla si salverà”.13 La restituzione del primato dell’intelletto sull’azione non è rimasto però confinato in una dimensione meramente speculativa, in quanto la conoscenza è un avvenimento generato dall’impatto tra la realtà oggettiva dell’essere e la coscienza soggettiva dell’io nella sua totalità. Con una bellissima metafora Maritain ha scritto che il fatto esterno feconda l’intelletto come l’ape feconda il fiore.14 Ciò è possibile unicamente tramite la nozione biblica di cuore come sede dell’intelletto e quindi come l’insieme di ragione e affezione.15 In virtù del ruolo di “motore sovrano” che il cuore esercita nella struttura della filosofia, H. Bars può a ragione vedere nella filosofia di Maritain “gli elementi di un’etica del filosofare”.16 La conoscenza nel senso più vero e profondo non rappresenta dunque un mero atto SANT’AGOSTINO, Tract. in Ioan., XXVI, 5: Migne, P. L., XXXV, 1609. MARITAIN, La teoria del superuomo, in Théonas, p. 15. 11 “Veritas consistit in adaequatione intellectus et rei”, SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 21, art. 2c. 12 Cfr. LACOMBE, Jacques Maritain, La générosité de l’intelligence. 13 MARITAIN, Il Dottore angelico, p. 111. 14 G. K. Chesterton, richiamando tale metafora, ha voluto esaltare il matrimonio fra l’uomo e la realtà, affermando che “nessuno può separare ciò che Dio ha unito”, G.K. CHESTERTON, San Tommaso d’Aquino, prefazione L. Negri, Lindau, Torino 2008, p. 188. 15 Già a partire dalla filosofia, la sapienza più alta dell’ordine specificamente naturale, è richiesto all’uomo un’ascesi del cuore per purificare la ragione: se infatti per una vera conoscenza il conoscente deve diventare immaterialmente il conosciuto, la condizione per è l’amore, dal momento che “si entra nell’unità solo attraverso l’Amore”, J. e R. MARITAIN, Vita di preghiera, prefazione N. Possenti Ghiglia, Città Nuova, Roma 2007, p. 21; pertanto, conclude Maritain, “è necessario che si faccia filosofia “con tutta l’anima, come si corre e col cuore e con i polmoni”, MARITAIN, Sulla filosofia cristiana, p. 40. 16 BARS, Maritain en notre temps, p. 51. 9 10 45 intellettuale, ma una sovra-esistenza spirituale mediante cui il conoscente diventa immaterialmente il conosciuto. Conoscere non è dunque pensare ma esistere, ultimamente “conoscere significa divenire”.17 Ed è a partire da questa capacità della ragione non di pensare ma di possedere la realtà che prende corpo la parola sapienza, dal latino sapio, aver gusto18. Riabilitando così il concetto di conoscenza, secondo la totalità dei fattori che la connotano, Maritain ha svolto il suo apostolato intellettuale teso a restituire una dimensione sapienziale alla speculazione filosofica sia teoretica che pratica.19 Ciò è a fortiori vero per ciò che concerne il profilo pratico della conoscenza morale che presuppone l’esperienza morale, la connaturalità col bene. Questa stessa esperienza morale, pur non essendo in sé metafisica e speculativa (per quanto esse siano richieste, dal momento che il bene dipende dal vero come la carità dipende dalla verità), resta sempre una conoscenza filosofica in quanto illuminata dalla ragione, strutturandosi come tale per mezzo di concetti e di giudizi. Al contempo, la conoscenza pratica, a differenza della conoscenza speculativa, “è una virtù morale ed intellettuale ad un tempo e non può come il giudizio della coscienza, essere sostituita da alcuna conoscenza teoretica o di scienza”.20 In questo senso, Maritain osserva che la “conoscenza morale arriva dopo i fatti”.21 Esiste dunque una conoscenza filosofico-politica costituita formalmente come scienza? Esiste cioè un sapere vero, ossia capace di formulare certezze organicamente legate e sicure di sé riguardante i principi e la cause e che abbia per oggetto l’etica politica?22 MARITAIN, Sulla conoscenza umana, in Ragione e ragioni, p. 19; allo stesso modo Maritain dirà che “la funzione del giudizio è una funzione esistenziale”, MARITAIN, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, p. 16; con una frase altrettanto sintetica don Giussani osserva come “il giudizio non è un’operazione intellettuale, è una presenza esistenziale”, L. GIUSSANI, Certi di alcune grandi cose, Rizzoli, Milano 2007, p. 160. 18 Saggezza o sapienza? E’ un punto fondamentale. Il traduttore italiano di Science et sagesse ha equivocato gravemente traducendo sistematicamente sagesse con saggezza. Molto meglio hanno operato i traduttori di I Gradi del sapere e di La filosofia morale che impiegano sapienza come traduzione di sapesse. Sappiamo che tra i doni dello Spirito Santo vi è quello di sapienza, non di saggezza; e non v’è dubbio che Maritain intendesse parlare del nesso scienza-sapienza (lo scientia-sapientia di Agostino), non di scienza-saggezza. Sagesse è semmai una forma di sapienza pratica. In italiano abbiamo due termini (sapienza e saggezza) come in greco (sophia e sophrosune): non è possibile pertanto rendere sophia con saggezza. 19 B. Mondin ha scritto: “mentre spetta a san Tommaso il merito di aver chiarito lo statuto scientifico della teologia, a Maritain va quello di aver definito il suo carattere sapienziale”, B. MONDIN, La riflessione teologica, in Per la filosofia, filosofia e insegnamento, « Rivista dell’associazione docenti italiani di filosofia », n. 44, 1998, p. 36. 20 MARITAIN, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, p. 43. 21 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 87. 22 E’ questo il significato aristotelico che Maritain assume come criterio di attribuzione del concetto di scienza, cfr. MARITAIN, Scienza e saggezza, p. 126. 17 46 Jacques Maritain ha risposto affermativamente, assicurandoci che anzi essa è il grado più scientifico nell’ordine pratico-politico specificamente terreno: “nell’ordine della conoscenza pratica è la filosofia morale che rappresenta il grado più scientifico”.23 Sappiamo da san Tommaso che è l’oggetto a determinarne la natura, dal momento che la capacità di operare di una sostanza è specificata dai suoi atti e questi dai suoi oggetti.24 L’oggetto della ragione pratica è la regolamentazione degli atti umani. Ciò non significa che la ragione elabora un codice di prescrizioni e decreti, ma che la morale ha una sua struttura ontologica comprensibile e giudicabile dall’intelletto.25 San Tommaso, muovendosi nella prospettiva peripatetica, ha distinto il campo pratico in: monastico, che ha per oggetto la vita dell’uomo; familiare, con oggetto la vita della società domestica; politico, con oggetto la vita della società civile. Dal momento che la regolamentazione dei fini della vita civile è compito della filosofia politica, san Tommaso stabilisce che nell’ordine politico, la filosofia politica è la scienza dominatrice, come il tutto è più divino della parte.26 La filosofia politica appartiene essa stessa alla “sommità della filosofia morale nella linea della vita civile”.27 Regolando i fini umani alla conquista della libertà relativamente ultima, la filosofia politica si afferma come scienza morale principale nell’ordine terreno, del tutto necessaria per la costituzione del vero e del buono ordine politico. Partendo da una definizione che si trova nei primissimi lavori di filosofia politica, il nostro filosofo definisce esattamente cosa dobbiamo intendere per una vera scienza politica: “il fine della città terrena è il totum bene vivere dell’uomo: bene temporale, indubbiamente, ma che non è soltanto di ordine materiale, ma anche e soprattutto di ordine morale spirituale. La scienza e la pratica del buon governo della città non potrebbero dunque essere separati dalla giusta conoscenza dei fini della vita umana”.28 23 MARITAIN, Distinguere per unire, i gradi del sapere, p. 539. Cit. in MARITAIN, Sulla filosofia cristiana, p. 128. 25 Cfr. J. MARITAIN, Nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale, introduzione V. Possenti, « Scienza e filosofia » sotto la direzione di V. Possenti, Massimo, Milano 1996. 26 “Bonus gentis est divinus quam honum unius hominis”, scrive SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gent., III, 17. 27 Cit. in P. VIOTTO, Jacques Maritain Dizionario delle opere, Città Nuova, Roma 2003, p. 177. 28 J. MARITAIN, Politica e teologia, annesso a Primato dello Spirituale, Logos, Roma 1980, p. 199; in sostanza un’autentica filosofia politica è una “filosofia adeguatamente presa”, cioè cosciente cioè dell’apporto 24 47 In virtù di ciò, si comprende come l’oggetto della politica sia essenzialmente morale nella misura in cui è finalizzato alla vita buona del tutto sociale distribuito nelle persone umane. Esso non è un fine ultimo assoluto, in quanto la persona realizza le sue aspirazioni fondamentali per gradi ontologici distinti: in quanto umana sulla terra, in quanto persona in cielo. Nondimeno, il bene morale non è un’idea del filosofo, piuttosto è la realtà medesima perché strutturato nell’essere e in quanto tale “conforme alle esigenze e alla dignità essenziale della natura umana”.29 Pertanto, sulla scorta del fatto che l’etica politica rispetta le gerarchie più profonde e naturali dell’uomo, il fine della politica “è essenzialmente realista, non nel senso di qualche RealPolitik, ma in quello della piena realtà umana del bene comune”.30 E’ un realismo ultimo ciò che fonda la filosofia politica di Maritain, come ha ravvisato H. Bars parlando di “un’etica realista”,31 conformemente all’impostazione fondamentale dell’etica politica. Il problema della politica è pertanto quello di edificare un ordine sociale integralmente umano, un ordine di libertà, qual è l’ordine dello spirito, che, in quanto reale, è di competenza della ragione pratica chiamata innanzitutto a riconoscerlo per poi attuarlo. La filosofia politica si caratterizza dunque per essere una sapienza integralmente razionale: perfectum opus rationis,32 secondo la definizione di san Tommaso che Maritain riprende interamente.33 Questa definizione racchiude e comprende sia la filosofia speculativa che quella pratica, dal momento che quest’ultima deve conoscere la realtà intrinseca del bene per raggiungere il suo fine pratico, la direzione della società verso il bene politico. Ciò risulta decisivo della fede cristiana, in misura ancora maggiore e più subordinato ad essa della filosofia teoretica; si veda in questo senso, Sulla filosofia cristiana, pp. 70 e succ. e Scienza e saggezza, Parte II, Eclaircissements sur la philosophie morale, Labergerie, Paris 1935, pp. 267 e succ.; La filosofia morale. Esame storico e critico dei grandi sistemi, Morcelliana, Brescia 1973, in particolare il capitolo V: “Cristianesimo e filosofia-L’impatto del cristianesimo sulla filosofia morale”; la tesi di Maritain non trovò e consenso unanime, dando vita ad un dibattito molto acceso di cui i protagonisti in senso polemico furono J.-M. RAMIREZ, Sur l’organisation du savoir moral, « BullThom », 4, 1934-1936, pp. 423-432; Id., Risposta a Maritain, « BullThom », 4, 1934-1936, pp. 555-556; Id., De philosophia morali christiana: Responsioquaedam responsionibus completis et adaequatis Domini Jacobi Maritain, « DivThom », 14, 1936, pp. 87-122; CH. BOYER, Morale et surnaturel, « Greogorianum », 29, 1948, pp. 527-543; un’analisi lucida, attenta ai rapporti fra morale storia e fede in Maritain, è stata svolta da S. MOSSO, Fede, storia e morale, Saggio sulla filosofia morale di Jacques Maritain, « Scienza e filosofia » sotto la direzione di V. Possenti, Massimo, Milano 1979. 29 J. MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, Morcelliana, Brescia 1979, p. 128. 30 Ibi, p. 152. 31 BARS, Il pensiero politico di Jacques Maritain, p. 73. 32 SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II 45, 2. 33 “Considerata nella sua pura natura o nella sua pura essenza, la filosofia specificata da un oggetto naturalmente conoscibile alla ragione, non dipende che dalle evidenze e dai criteri della ragione naturale”, MARITAIN, Scienza e saggezza, p. 125. 48 possibile unicamente attraverso un modo di procedere speculativo che ha per oggetto il vero, a differenza del sapere pratico che ha per oggetto il bene. Entrambi sono essenzialmente distinti, e, a dire il vero, “la suddivisione fra sapere speculativo e sapere pratico costituisce la prima e più fondamentale ripartizione della scienza umana e del sapere creato”.34 Il filosofo politico non può sottrarsi però alla conoscenza delle articolazioni ontologiche della realtà politica che, in quanto tali, necessitano di una “struttura interamente intellettuale”.35 Tuttavia, il costitutivo intelligibile dell’oggetto nella filosofia politica viene analizzato nella sua condizione esistenziale e storica, in vista del suo fine pratico. In definitiva, il fine etico, la retta vita umana, è infatti conosciuto dalla ragione e fondato nella verità dell’essere, per cui in una formula efficace e riassuntiva osserviamo come l’oggetto della filosofia politica è dato dalla conoscenza delle articolazioni ontologiche e del loro costitutivo intelligibile, ma prese nella loro condizione storica e concreta, non astrattamente come nella filosofia speculativa. In questo senso, è soprattutto secundum finem36 che la filosofia pratica si distingue da quella speculativa, in quanto tutto il suo procedere è rivolto fin dall’inizio all’operazione, senza che ciò produca un’antinomia fra due livelli di conoscenza (quello speculativo e quello pratico) i quali, invero, sono l’espressione ultima di un modo di procedere “practico” quanto alle condizioni dell’oggetto conosciuto e al processo di ragionamento, e un modo “speculativo” quanto ai mezzi di apprendere e di giudicare”.37 La filosofia speculativa conosce per conoscere, mentre la filosofia pratica conosce per dirigere. Pertanto, nella filosofia pratica “il modo del sapere non è pratico ma speculativo quanto all’armatura fondamentale della conoscenza e quanto alla struttura stesa delle nozioni e delle definizioni”.38 “La filosofia morale - scrive Maritain - come ogni conoscenza filosofica, si costituisce per mezzo di concetti e di giudizi”.39 E tuttavia, come detto, il punto sorgivo della filosofia morale è l’esperienza e non la concettualizzazione o la dimostrazione. Nella filosofia pratica la conoscenza avviene per connaturalità, acquisendo per esperienza la verità del bene. Nella Così Possenti, che aggiunge come “invece in Dio coincidono perfettamente”, V. POSSENTI, L’azione umana, morale, politica e Stato in Jacques Maritain, Città Nuova, Roma 2003, p. 59. 35 MARITAIN, speculativo e pratico, appendice settima, Distinguere per unire, i gradi del sapere, p. 541. 36 Soprattutto, ma non solo! Non ci sembra irrilevante infatti aggiungere che la filosofia pratica e la filosofia speculativa si distinguono anche per argomentazione. Mentre la filosofia speculativa procede in modo apodittico; la filosofia pratica argomenta in maniera topico-dialettica. 37 MARITAIN, Distinguere per unire, i gradi del sapere, p. 541. 38 Ibid. 39 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 87. 34 49 conoscenza morale, asserisce il nostro autore, “ciò che è consono alle inclinazioni essenziali della natura umana viene colto dall’intelletto come bene, ciò che non lo è, come un male”. 40 Pertanto, l’uomo coglie la verità del bene attraverso la corrispondenza fra la natura soggettiva del suo io, cuore e ragione, e la realtà oggettiva della morale radicata nell’essere, nella verità. Rispetto alla filosofia speculativa c’è una sorta di inversione perché “la legge morale venne scoperta dagli uomini prima dell’esistenza della filosofia morale”. 41 In quanto tale, come si è precedentemente accennato, la conoscenza morale è una conoscenza riflessa o ritardata, distinguendosi in ciò dalla metafisica, perché è a partire dalla morale e non dal vero che la filosofia morale deve “analizzare criticamente e rendere più chiare razionalmente le norme morali e le regole di condotta la cui validità è stata scoperta precedentemente in modo non dimostrabile, e per via non concettuale e non razionale: essa deve anche liberarle, per quanto possibile, dalle proliferazioni accidentali e dalle deviazioni che possano esservi sviluppate a causa della volgarità della nostra natura e a causa degli accidenti della evoluzione sociale”.42 Maritain, nel conferire il primato all’intelletto, ha saputo unire senza confondere le facoltà fondamentali dell’uomo, cuore e ragione, dentro una sintesi epistemologica tanto più integrale quanto più corrispondente all’ordine dello spirito umano fondato nell’essere. Come ha spiegato bene Possenti, “il pensiero di Maritain si costituisce nell’ascolto e nell’attenzione a tutto l’essere e a tutto il reale, trovando il suo luogo oggettivo di consistenza e di equilibrio nella metafisica”.43 In un’espressione sintetica e definitiva Maritain afferma che bisogna pensare la politica per agire politicamente, e che possiamo esplicitare come fa Borne nel fatto che non può esserci politica senza filosofia politica.44 Maritain ha così restituito dignità filosofica alla politica, riconsegnandole il prestigio che san Tommaso aveva dato alla disciplina filosofica classificandola come scienza onorabilissima, maxime onorabilis.45 Essa è una scienza suprema, innanzitutto a motivo della sua eminenza, in quanto essa è una scienza finalizzata al bene morale dell’uomo. Più profondamente è una 40 J. MARITAIN, La conoscenza per connaturalità, Conferenza tenuta alla seconda riunione annuale della Metaphysical Society of America il 24 febbraio 1951 presso il Barnard College, New York. in J. MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, Vita e Pensiero, Milano 1991, p. 161. 41 Ibi, p. 164. 42 Ibid. 43 V. POSSENTI Introduzione a MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, p. XIII. 44 BORNE, La filosofia politica di Jacques Maritain, p. 30. 45 SAN TOMMASO D’AQUINO, Metaphisicam Aristotelis, 1 I, lect 3, ed. Cathala, § 64. 50 sapienza, una scienza che è sapienza, una scienza della libertà. In secondo luogo, la filosofia politica è suprema dal momento che il suo fine è ultimo anche se non assoluto; è un fine che gli scolastici chiamano “infravalente”. La sapienza politica infatti non è ordinata a nessun’altra scienza perché il metodo (la ragione) e l’oggetto (il perfetto vivere dell’uomo) sopraelevati nel loro ordine dalla teologia politica sono i più alti nella realtà terrena, “sola ista maxime per se est”, ha scritto san Tommaso.46 La sapienza filosofica, pur implicando la verità e quindi rinviando ad un ordine divinamente umano, non è di ordine teologico ma di ordine filosofico e perfettamente naturale, perché il suo oggetto concerne l’universo concreto dell’agire umano, “l’attività umana da conoscere e dirigere nel suo movimento verso il suo fine”.47 La filosofia politica di Maritain ha il privilegio di essere la più autentica filosofia politica perché riconosce la morale a partire dalla realtà extra-mentale dell’essere e la com-prende attraverso l’intelletto quale vertice delle gerarchie interiori ed essenziali dell’essere umano. E poiché “tutta la radice della libertà è costituita nella ragione”,48 la filosofia morale di Maritain è dal punto di vista gnoseologico prima che etico assolutamente liberale. E’ stato infatti riconosciuto in maniera appropriata che quella di Maritain è una filosofia della libertà sia perché l’intelletto non è orientato a definire dei valori etici, ma definisce tali valori a partire dal dato reale, dalla verità del bene vista dalla ragione attraverso l’esperienza; sia perché è finalizzata dal punto di vista etico alla conquista della libertà di autonomia.49 Al di là della differenza terminologica tra “fini”, applicati agli atti umani, e “principi”, che piuttosto fanno riferimento all’ordine speculativo, ciò che ivi emerge è una concezione di scienza politica ordinata alla ricerca della giustificazione razionale dei principi morali che reggono e dirigono una società politica fatta di virtù e ragione, e che, in quanto tale, spettano innanzitutto ai filosofi. Il filosofo politico possiede così nella società una sorta di potere, che è il potere della verità del bene, da servirsi per primo: “il bisogno che la società ha della filosofia, e di una sana filosofia, appare in modo più immediato ed urgente. Si è spesso fatto osservare che la scienza ci fornisce mezzi sempre più potenti, sempre più 46 Ibi, § 59. MARITAIN, Scienza e saggezza, p. 149. 48 SAN TOMMASO D’AQUINO, De Veritate, q. 24, a.2. 49 Sulle due specie di libertà vedi J. DE FINANCE, La filosofia della libertà in Maritain, in Jacques Maritain, pp. 141 e succ.. 47 51 meravigliosi; ma questi strumenti possono essere utilizzati sia in bene che in male. Dipende dai fini per i quali vengono usati. E la determinazione dei fini veri e autentici della vita umana non dipende dalla scienza ma dalla sapienza. In altri termini, dipende dalla sfera della filosofia, e, per dire tutta la verità, non dalla sola sapienza filosofica, ma anche dalla sapienza che proviene dal dono di Dio. A questo proposito la società ha bisogno di filosofi. Ancor di più essa ha bisogno di santi”. 50 In questo senso, aggiunge Maritain, “non è fuori luogo dire che il filosofo ha nella società, per quanto riguarda i principi, una funzione altrettanto importante quanto quella dell’uomo politico per quanto riguarda il governo pratico”.51 Maritain non ha ostacolato lo sviluppo della scienza moderna (episteme), ma ne ha allargato i confini e fatto comprendere la realtà per intero, facendola diventare innanzitutto sapienza (sophia). Rispetto al mondo moderno, che concepisce la scienza morale al modo della scienza matematica costruita secondo le leggi scientifiche naturali, Maritain ha riportato la scienza politica al piano più alto, quello filosofico, in quanto essa deve analizzare la morale nei suoi fini più universali e immateriali ma pur sempre concreti. In ciò sta pertanto la distanza tra lo statuto della filosofia politica di Maritain e quella di un Kant, il quale, togliendo dignità scientifica al mondo dei valori, ha finito evidentemente per ridurre la filosofia politica ad una mera scienza del prescrivere. Viceversa, la filosofia politica autentica sa; essa è un sapere non solo di regolazione, ma innanzitutto un sapere sapienziale.52 Il fine della filosofia politica non è dunque quello di dirigere bensì di conoscere come fondamento del dirigere. La filosofia politica, in sostanza, conosce per dirigere da lontano perché è una scienza speculativa che “non è ancora in grado di guidare l’azione. Essa conosce in una maniera ancora teorica… il filosofo più accorto e più competente nelle materie etiche può trovarsi sconcertato davanti al più piccolo atto da porre, e può condurre lui stesso una vita immorale”.53 La ragione infatti, nel suo grado di astrazione naturale più elevato, quello filosofico, si trova dotata di un equipaggiamento più generale che non le permette di dirigere l’azione: 50 MARITAIN, Il filosofo nella società, pp. 7-8. Ibi, p. 13. 52 MARITAIN, Distinguere per unire, i gradi del sapere, p. 367. 53 Ibi, p. 366. 51 52 “ne risulta che al più alto grado del sapere naturale o puramente razionale, la metafisica esercita un potere architettonico d’unificazione su tutto l’insieme del funzionamento dello spirito. Questo potere è un potere d’illuminazione e d’ispirazione e insieme un potere d’ordine e di organizzazione. E’ un potere d’illuminazione e di ispirazione, non in rapporto ai mezzi e ai principi propri degli altri ambiti del sapere ma con rapporto all’equilibrio generale all’equipaggiamento di base e all’atteggiamento fondamentale dello spirito, che in un determinato stato di cultura, mette in gioco i mezzi ed i principi di spiegazione sopraddetti”.54 Il filosofo politico pertanto è chiamato ad individuare i fini dell’azione per regolare non il movimento particolare dei singoli attori nella scena politica, ma il movimento dell’intero corpo politico per dirigerlo da lontano verso il suo fine specificamente terreno. Maritain ha testimoniato più volte attraverso i fatti la verità di questo principio. Per citare un esempio pratico di questo sguardo da lontano che il nostro autore, in quanto filosofo della politica, ha avuto verso il suo oggetto, possiamo riferirci ad una nota polemica degli anni trenta quando Paul Archambaud, recensendo per la rivista L’Aube il libro di Maritain, Du Régime temporal de la liberté, aveva parlato di un programma democratico cristiano di Maritain contrapposto al programma di altri partiti, in specie di Mounier. A queste strumentalizzazioni Maritain reagirà prontamente, facendo osservare che “non è un buon metodo portare sul piano delle attività di un partito ricerche che sono di un ordine più elevato”.55 L’ordine più elevato risulta infatti essere l’atteggiamento fondamentale dello spirito che informa l’intera polis, a prescindere dai singoli partiti politici. Il che non toglie che Maritain abbia potuto sostenere la nascita di un nuovo partito politico, con riferimento però all’azione di cambiamento politico-costituzionale che esso avrebbe dovuto svolgere, e non in ordine al suo ruolo specifico e particolare nell’arena politica.56 J. MARITAIN, La filosofia e l’unità delle scienze, in Quattro saggi sullo spirito umano e la sua condizione carnale, appendice al capitolo IV, Morcelliana, Brescia 1978, p. 194. 55 Lettera di J. MARITAIN al direttore de « L’Aube » 22 gennaio 1934, cit. in VIOTTO, Le grandi amicizie, p. 196. 56 In questo modo non è per niente contraddittorio che Maritain, nella crisi degli anni trenta in cui la politica si divideva fra opposte fazioni non ispirate ai principi cristiani, comprenderà che la soluzione politica andava ricercata nella nascita di un terzo partito; così Maritain non intendeva certo “un partito che entra in lizza con gli altri partiti sullo stesso terreno delle manovre politiche e delle combinazioni elettorali e governative, ma come una grande accolta di uomini di buona volontà coscienti dell’unità morale che esiste nonostante tutto fra i francesi, e che si propone questa meta autenticamente politica ma superiore alle passioni di parte [..] Un raggruppamento di questo tipo, che può essere concepito soltanto sulla base delle libertà istituzionali del paese, e del rispetto verso il regime politico esistente, è in grado di esercitare, qualora la massa dei suoi aderenti sia 54 53 Ribadiamo: la filosofia politica, non ha come fine assoluto l’essere intelligibile in quanto tale, ma la sua destinazione pratica; pertanto l’oggetto del filosofo politico è ontosofico e non ontologico.57 Fra i due ordini speculativo e pratico vi è una opposta progressione verso la conquista dell’oggetto che fa sì che mentre il movimento progressivo nell’ordine speculativo dall’essere sensibile s’innalza, attraverso i tre momenti di rappresentazione astrattiva, all’Essere sovraintelligibile; viceversa, il sapere pratico procede seguendo un flusso discendente che dalle scienze speculativamente pratiche, che dirigono da lontano le azioni da intraprendere, giunge alle scienze praticamente pratiche, che preparano da vicino le azioni da dirigere, secondo una continuità fra queste due scienze che non è di essenza ma di direzione e tendenza. Questo movimento pratico discendente, dal momento che la scienza dell’ordine politico è una scienza dell’agire umano, si compie nella regolazione immediata dell’azione, compito della prudenza politica. A differenza della filosofia politica, la scienza politica concerne il fatto che la scienza politica in quanto sapere praticamente pratico è già un dirigere, ma in quanto conosce. Vi è differenza fra il dirigere in quanto conosce della scienza politica e il conoscere come fondamento di dirigere della filosofia politica; differenza motivata dal fatto che la filosofia politica, diversamente dalla scienza politica (dalla scienza che non è sapienza), è un’attività ad andatura ontosofica a motivo della sua attenzione all’atteggiamento fondamentale dello spirito: essa è capace di spiegare la cosa in sé, perciò si caratterizza come un sapere cosa fare. Nella scienza politica, piuttosto, non ci troviamo più dinanzi ad una dottrina speculativa pratica ma davanti ad una “tecnica operativa in quanto è concettualizzabile dal pensiero rivolto all’azione”.58 Non si tratta qui più di spiegare, “di risolvere una verità, anche pratica, nelle sue ragioni e nei suoi principi. Si tratta di preparare l’azione e di fissarne le regole prossime”.59 Il sapere praticamente pratico della scienza politica ha pertanto un andamento descrittivo e procede per analisi empiriologica, risolvendo i suoi concetti e le sue definizioni sufficientemente grande e sufficientemente organizzata, un’azione decisiva sui destini di un paese (corsivo nostro)”, MARITAIN, Lettera sull’indipendenza, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 60. 57 Questo neologismo appare nel vocabolario di Maritain in Il contadino della Garonna, e viene adoperato allo scopo di esprimere come “le inclinazioni essenziali della natura e i suoi fini propri, sono buoni non soltanto in senso ontologico, bensì anche in senso etico o morale”, MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 63. 58 P. VIOTTO, presentazione, MARITAIN, Scienza e saggezza, p. 37. 59 MARITAIN, Distinguere per unire, i gradi del sapere, p. 624. 54 nell’osservabile e nel misurabile perché deve sapere come fare. La scienza si trova così sott’ordinata al sapere filosofico politico che non è, ribadiamo, un dirigere, ma un conoscere come fondamento del dirigere. Tra la filosofia politica e la scienza politica vi è dunque una sostanziale differenza nel loro modo di concettualizzare l’oggetto che li distingue notevolmente sin dall’origine. 60 Si tratta sempre di un sapere, ma distinto rispetto a quello speculativo perché più prossimo all’azione e come tale radicato nella conoscenza dalla quale origina per dirigere secondo punti di vista nuovi, vale a dire da vicino. La filosofia politica e la scienza politica appartengono alle scienze morali, avendo entrambe dignità scientifiche con un proprio metodo e un proprio fine non sostituibile l’uno all’altro; e tuttavia, esse sono chiamate a rispettare la gerarchia interna secondo cui la scienza politica deve essere ordinata essenzialmente alla filosofia come la materia è ordinata alla forma. L’ultimo momento costitutivo dell’epistemologia dell’ordine politico è l’ambito propriamente prudenziale, specificato da un lumen differente rispetto a quello filosofico e a quello scientifico, dal momento che esso non è più formalmente un sapere ma un dirigere. Il giudizio prudenziale si definisce infatti come regolatore immediato dell’azione non appartenendo propriamente al campo del sapere in virtù del fatto che la verità specifica della prudenza non consiste nel conoscere come fondamento del dirigere (scienza speculativamente pratica), né consiste nel dirigere in quanto conosce (scienza praticamente pratica); consiste piuttosto nel dirigere in sé stesso (prudenza).61 La condotta prudenziale, definita come retta conoscenza pratica regolatrice dell’azione, costituisce il terzo momento astrattivo in cui si esaurisce il movimento pratico: “per ciò stesso che la conoscenza pratica è come un movimento continuo del pensiero che discende verso l’azione concreta da porre in esistenza, il suo carattere pratico, presente sin dall’origine si intensifica via via fino a diventare nella prudenza totalmente dominatore”.62 Così Maritain: “nelle scienze speculativamente pratiche i concetti conservano il loro proprio valore di astrazione e di intelligibilità, nelle scienze praticamente pratiche, al contrario s’incorporano nell’insieme dei dati concreti in rapporto con i momenti dinamici attraverso i quali l’azione deve venire all’esistenza”, MARITAIN, Science et sagesse, Parte II, p. 230. 61 Parlando della differenza tra la conoscenza scientifica speculativa e il giudizio prudenziale pratico Maritain, afferma che “invece di consistere formalmente, come nel caso della prudenza, nel dirigere e non nel conoscere come fondamento del dirigere, la verità del giudizio consiste qui formalmente nel conoscere, intendo dire nel conoscere come fondamento del dirigere”, MARITAIN, Distinguere per unire, I gradi del sapere, p. 539. 62 Ibi, pp. 539 e succ.. 60 55 La conoscenza politica ha bisogno del giudizio prudenziale per regolatore l’agire in quanto agire: “come potrebbe – si chiede Maritain - stabilirsi nel vero pratico se non imperniata sulla prudenza e sull’esperienza della condotta prudenziale?”.63 Alla stessa stregua, la condotta prudenziale ha bisogno di completarsi accanto alla scienza morale, perché è il sapere che motiva e giustifica l’azione. Essa “esige di chiarirsi essa stessa accanto alla scienza morale prendendone consiglio”.64 Si tratta di un sapere che colui che dirige deve possedere affinché la sua azione non si costituisca empiricamente; di qui la necessità, per tutti coloro che svolgono compiti di dirigenza, di una solida formazione intellettuale come presupposto fondamentale della direzione politica. Questi tre momenti astrattivi del campo pratico-politico: filosofico, scientifico e prudenziale, sono così attraversati da una sola intenzione, diventando sempre meno scientifici quanto più diventano “pratici”, fino alla prudenza, in cui il carattere pratico diventa totalmente dominatore. L’interezza dell’oggetto del sapere politico é possibile unicamente dall’insieme di questi tre ambiti formalmente differenti del campo pratico-politico. Ecco la necessità del “distinguere per unire”. Man mano dunque che l’ordine pratico discende fino alla prudenza, l’approccio metodologico diviene sempre meno scientifico, senza però inficiare la distinzione fondamentale tra il produrre (poietikon) caratteristico dell’arte (definita come la “retta determinazione delle opere da fare”65), e l’agire (praktikon) caratteristico della morale. Fra la praxis e la poietikon vi è una diversità fondamentale che giustifica la richiesta per la condotta prudenziale di un habitus diverso da quello artistico. Mentre il dominio dell’agire è quello morale e in quanto tale è ordinato ai fini comuni della vita umana, alla perfezione dell’essere umano, diversamente, il dominio dell’agire è quello del fare: l’arte è cioè un’azione produttrice “considerata in rapporto alla cosa prodotta o all’opera presa in sé”.66 Da una parte, la politica “comporta una parte enorme di arte e di tecnica, perché la parte degli elementi fisici da conoscere e utilizzare, delle forze e delle resistenze da calcolare, la parte del “fare” o dell’opera da eseguire e conseguire, quella dell’intelligenza inventiva e dell’immaginazione creatrice, sono molto più grandi e più importanti nell’etica politica che 63 Ibi, p. 549. Ibi, p. 548. 65 J. MARITAIN, Art et scolastique, Desclée de Brouwer, Parigi 1965, p. 18. 66 Ibi, p. 16. 64 56 nell’etica individuale o anche familiare”.67 Nondimeno, per altro verso, proprio in forza del carattere etico della politica, “questa quantità di arte e di tecnica è organicamente, vitalmente ed intrinsecamente subordinata alle energie etiche che costituiscono la politica; in essa, in altri termini, l’arte non è affatto autonoma, ma si trova incorporata all’etica”.68 Tutti vari gradi dell’ordine politico sono così subordinati all’etica; ciò fa sì che la politica non possa mai ridursi ad una tecnica sull’esempio dell’arte, volta come tale a produrre, ma resti sempre ordinata all’agire morale propriamente detto. La scienza politica non rientra perciò nel campo della tecne ma della praxis. In conclusione, vi è un ordine gerarchico dei saperi che è l’ordine dello spirito all’interno del quale si situa l’ordine epistemologico pratico-politico maritainiano. Un ordine che rifuggendo da ogni imperialismo sia artistico (Machiavelli) che scientifico (Comte) che filosofico (Platone), distingue e unisce le parti costitutive del sapere politico in parti autonome con abiti specificamente diversi. L’unità e la distinzione fra questi tre momenti distinti secondo lumen differenti concorrono ad esaurire l’epistemologia integrale nell’ordine pratico-politico e sono nel loro insieme capaci di dirigere gli atti umani verso il loro fine specifico. A motivo di ciò, l’invenzione di quest’ordine richiede di per sé l’accesso ad una sintesi fondamentalmente nuova rispetto a quella antifilosofica moderna, una sintesi cristiana coincidente con la filosofia dell’essere e della conoscenza di san Tommaso: la filosofia perenne.69 67 MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 125. Ibid. 69 Osserva Viotto: “se l’epistemologia maritainiana non riduce tutte le scienze alla filosofia, né le disperde in una molteplicità scoordinata, è perché, superando il fenomenismo illuministico e l’ìdealismo romantico, continuato dal marxismo, ha recuperato dalla tradizione cristiana la filosofia realistica, che ammette la conoscibilità dell’essere, fonda il dovere sull’essere, considera la bellezza lo splendere dell’essere”, P. VIOTTO, Il realismo tra fenomenismo e idealismo, in AA.VV Jacques Maritain e il pensiero contemporaneo, Massimo, Milano 1985, p. 71. 68 57 1.2 La struttura statutaria della filosofia della storia e la sua indispensabilità per la filosofia politica. Si è detto della necessità di elaborare la filosofia politica per agire politicamente; e si anche accennato come la costituzione della vera filosofia politica sia sospesa alla subordinazione di quest’ultima alla teologia politica. Affermiamo adesso che un altro presupposto indispensabile per l’autenticità della stessa consiste nell’elaborazione della filosofia della storia. Un testo di Maritain chiarisce subito la necessità di intelligere la storia e gli avvenimenti per maturare un giudizio politico adeguato, sia per lo studioso che per l’uomo d’azione: “un uomo di stato o un uomo d’azione, per compiere bene il proprio dovere, anche nel campo religioso, dovrebbe essere in possesso di una autentica filosofia della storia. La filosofia della storia ha un influsso sulla nostra azione. Secondo me, molti errori che noi ora compiamo nella vita sociale e politica dipendono dal fatto che, pur avendo (lo speriamo) molti principi noi non sappiamo sempre come applicarli con intelligenza. Applicarli intelligentemente dipende, in gran parte, da una autentica filosofia della storia”. 70 A questa riflessione Maritain è giunto dopo una lenta maturazione il cui punto di arrivo è consistito nell’elaborazione di una filosofia della storia che non ha nulla da invidiare a quella di Marx o di Hegel per compiutezza metodologica. Rispetto ad esse peraltro, la filosofia della storia di Maritain è tanto più autentica quanto più è illuminata dalla fede. Da questo punto di vista ci assicura Journet che come la filosofia della storia di Maritain sia “la più potente filosofia cristiana della storia che sia mai stata scritta”.71 Jacques Maritain negli anni venti si definiva molto scettico sulle reali possibilità per un filosofo di poter pervenire ad una adeguata filosofia della storia. In un articolo del 1921, esordiva scrivendo: “gli angeli che vedono nelle idee creatrici tutti gli avvenimenti di questo universo conoscono la filosofia della storia; i filosofi non possono saperla”.72 A. H. Winsnes 70 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 34. Cfr. CH. JOURNET, D’une philosophie chrétienne de l’histoire et de la culture, in AA.VV. Jacques Maritain, son oeuvre philosophique, Desclée de Brouwer, Paris 1948, p. 33. 72 J. MARITAIN, Une philosophie de l’histoire moderne, O. C., Vol. II, p. 1159. 71 58 ha avuto modo di scrivere come Maritain “anche in Humanisme intègral Maritain si dimostra molto riservato sulle speculazioni filosofiche tendenti a penetrare il senso della storia”.73 Questa posizione di chiusura verso la possibilità stessa di conferire una dignità scientifica alla filosofia della storia fu sconfessata del tutto quando apparve nel 1957 Per una filosofia della storia, un testo che raccoglie le quattro lezioni tenute da Maritain all’Università di NotreDame negli Stati Uniti. In questa occasione, con uno sguardo retrospettivo, indicò la causa della cecità della gioventù nell’avversione che egli nutriva verso la filosofia della storia di Hegel.74 Ed in effetti Maritain sosterrà a più riprese come è ad Hegel che dobbiamo la scoperta della filosofia della storia, e nello stesso tempo anche il suo avvelenamento. 75 Fu così necessaria la fatica di tutta una vita per togliere il veleno che la modernità le aveva iniettato, salvando la natura e gli scopi di un sapere necessario allo spirito umano e purificandolo sulla base dell’ispirazione cristiana. Tuttavia, è da dire che il pensiero di san Tommaso lo orientava di per sé verso la filosofia della storia. Nel 1947 Maritain stesso poteva infatti affermare come “nel tomismo non solo c’è tutto ciò che occorre per far posto nella conoscenza della natura e dell’uomo alla dimensione della storia, ma le sue intuizioni prime aspettano, per così dire, che vi sia introdotta questa dimensione; esse chiedono di accogliere e dimettere in opera l’idea dello sviluppo e dell’evoluzione, e di completare l’opus philosophicum con una filosofia della storia”.76 Per quanto non possedesse piena consapevolezza, Maritain ha sin dall’inizio elaborato una filosofia della storia. Sulla base delle asserzioni contenute in Umanesimo integrale, Journet, ad esempio, ha riconosciuto alle tesi di Maritain, non senza una certa sorpresa di quest’ultimo, la presenza di una filosofia della storia. In tal modo, Journet intese protestare al rilievo di Berdjaev che nel suo libro Sulla soglia di un’epoca nuova, apparso nel 1948, sostenne come nell’intensa attività che caratterizzava in 73 WINSNES, Jacques Maritain, saggio di filosofia cristiana, p. 159. MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 7. 75 Anche se la posizione di Maritain era non più di chiusura ma di sfida per l’elaborazione di una vera filosofia della storia, ciò non esclude che la filosofia della storia di Hegel come quella di Marx e Comte resti in virtù dello spirito che la anima aberrante: “noi abbiamo ereditato dal sec. XIX i sistemi di filosofia della storia più dogmatici, arbitrari e sofistici. E ciò, lungi dal farci disprezzare e rifiutare la filosofia della storia, dovrebbe stimolarci a scoprire quanto v’è in essa di autentico e di positivo”, ibi, p. 24. 76 MARITAIN, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, p. 40. 74 59 quegli anni la vita spirituale francese, la filosofia della storia brillava per la sua assenza.77 Journet rimprovererà Berdjaev di mancata “attenzione” alle molteplici discussioni che hanno impegnato J. Maritain, e nelle quali, a suo avviso, il filosofo russo avrebbe potuto “scoprire” la presenza di una filosofia della storia. Tuttavia, queste polemiche costituirono l’occasione affinché Maritain completasse la sua filosofia della storia che, come si vedrà dal richiamo continuo ai testi precedenti, abbisognava soltanto di essere sistematizzata. Non a caso, Journet alla presentazione di Per una filosofia della storia riconoscerà a Maritain il merito di aver condotto a temine lo sforzo di elaborare scientificamente un’autentica filosofia della storia.78 Una delle capitali acquisizioni del pensiero umano è la comprensione del fatto che la storia umana ha un significato e una direzione intelligibile, e ciò motiva la differenza essenziale fra la cronaca e lo storia. La storia, in altre parole, non è una ripetizione di accadimenti privi di senso, piuttosto essa convoglia tutti i fatti verso un orizzonte di senso; ed è al fine di discernere questo orizzonte che serve il filosofo della storia. Questo orizzonte và innanzitutto contemplato. La filosofia della storia ha per oggetto gli atti umani visti nell’evoluzione dell’umanità. In virtù di quest’oggetto suo proprio essa viene associata non alla metafisica in quanto tale, ma alla filosofia morale in quanto essa ha un legame diretto con l’azione, collocandosi perciò nell’ordine pratico stesso della politica. Da questo punto di vista, si vede subito come la filosofia della storia rechi una fecondità che rileva nel campo stesso dell’ordine politico: “la filosofia della storia di Maritain restituisce all’uomo di azione un deposito di saggezza che gli rende possibile la comprensione del clima storico in cui vive; indica al cristiano il modo di sentirsi parte attiva nella vita della città degli uomini”.79 In questo senso, la filosofia della storia studia i climi storici che specificano le civiltà che si succedono nel tempo, distinguendosi sulla base di una certa immagine che l’uomo si fa di sé: Così si esprime Berdjaev, “in Sartre non esiste filosofia della storia, né può esistervi. Essa è assente in generale, dalla filosofia francese moderna, malgrado la grande fecondità filosofica degli ultimi anni”, cit. in CH. JOURNET, La filosofia della storia, in Jacques Maritain, p. 255. 78 Conclude Journet, “ci si augurava che l’autore dei Degrés du savoir- di questo libro “Terrassodinamico” che sa assegnare a ogni ramo del sapere il suo campo di ricerca specifico ed esaltante - potesse un giorno intraprendere il compito di andare oltre, di stabilire di fronte alle pretese hegeliane o marxiste di spiegare la storia a priori, la possibilità di un’autentica filosofia della storia, di determinare la sua costituzione scientifica e il suo esatto posto nella gerarchia delle discipline filosofiche. Egli lo ha fatto”, ibi, pp. 255-256. 79 E. GARULLI, La filosofia della storia in Jacques Maritain: senso cristiano e partecipazione politica in AA.VV. Il pensiero politico di Maritain, p. 157. 77 60 “nel fondo di ogni cultura e di ogni civiltà – scrive Maritain - c’è una domanda, un enigma: cos’è l’uomo? Se la cultura è la fioritura terrestre della vita umana, è del tutto chiaro che l’idea che in una data epoca gli uomini si fanno dell’uomo, guida e caratterizza tutta la cultura di quell’epoca in maniera più profonda di tutte le diversità di regime intellettuale o sociale di tecnica e di diritto positivo. E’ la figura dell’uomo, una certa figura dell’uomo quella che nel cielo della storia compone le costellazioni sotto le quali si colloca ogni grande epoca culturale”.80 Dal momento che l’oggetto della filosofia della storia è l’uomo preso nella sua condizione esistenziale e concreta, la filosofia della storia è subordinata essenzialmente e nel suo ordine alla teologia della storia: “la filosofia della storia appartiene alla filosofia morale adeguatamente presa, cioè completata dai dati che la filosofia prende dalla teologia, e che riguardano la condizione esistenziale di questo essere umano stesso i cui atti e la cui condotta sono oggetto della filosofia morale”.81 Pertanto, la filosofia della storia, alla pari della filosofia politica, per essere autenticamente filosofica deve essere adeguatamente presa: “la filosofia della storia appartiene alla filosofia morale adeguatamente presa, cioè completata dai dati che la filosofia prende dalla teologia”.82 E’ necessario dunque giudicare gli avvenimenti umani, è questo l’oggetto generale della filosofia della storia, a differenza della teologia della storia il cui oggetto non è il significato storico degli avvenimenti, quanto piuttosto il significato ultrastorico riferito alla vita eterna degli stessi atti umani. Per offrire una definizione stipulativa, diciamo che mentre il filosofo della storia studia la storia dell’uomo in relazione al mistero del mondo, il teologo della storia studia la storia della salvezza in relazione alla storia della Chiesa. La prima è opera di ragione illuminata dalla fede; la seconda è opera di fede aiutata dalla ragione. Si è detto che la storia è innanzitutto un mistero da contemplare. E’ importante ribadirlo, evitando i due principali pericoli connessi alla filosofia della storia. Il primo è dato dal tentativo di spiegare la storia. Questo tentativo è illusorio perché la filosofia della storia non è un sapere assoluto. Osserva giustamente Maritain: “la vera filosofia della storia è in sé modesta, si serve dell’induzione, e non pretende di decifrare la storia se non in una qualche J. MARITAIN, Cristianesimo e cultura, in Questioni di coscienza, l’uomo davanti ai problemi del suo tempo, introduzione di V. Possenti, Vita e Pensiero, Milano 1980, p. 233. 81 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 37. 82 Ibid. 80 61 misura e per alcuni aspetti generali”.83 La filosofia della storia è un sapere umile, poiché la storia è fatta di elementi contingenti e di relative intelligibilità che rendono ardua la precisazione delle leggi storiche. Così il nostro autore può concludere che “i buoni storici provano una naturale diffidenza nei riguardi della filosofia della storia”.84 Ciononostante, lo storico non può chiudere la storia nell’assurdo ed escludere come tale l’intelligibilità del movimento della società nel tempo: “in realtà - conclude Maritain - ciò che lo storico ha in avversione non è un’autentica filosofia della storia, bensì lo gnosticismo della storia, quello gnosticismo della storia che è stato portato da Hegel alle supreme altezze della metafisica, ma che si può trovare anche a tutt’altro livello, in un sistema tanto affascinato dalle scienze positive e tanto decisamente antimetafisico, quale quello di Comte”. 85 Di conseguenza, il secondo grande pericolo in cui la filosofia della storia può incappare è quello di ricondurre a necessità il corso degli eventi. Questo tentativo è direttamente proporzionale all’annullamento della libertà dell’uomo e in quanto tale è contro la persona umana, quindi contro il vero Dio. Nella misura in cui ci si impadronisce della storia intellettualmente, sull’esempio delle filosofie della storia specificamente moderne, si finisce per ridurre l’uomo ad un semplice individuo materiale inteso alla stregua di una molecola assorbita interamente dal movimento dialettico del divenire. In questo secondo errore, funzionale al totalitarismo, cadono la filosofia della storia marxista e hegeliana, relativizzando l’uomo nel flusso onnipotente della Storia.86 Contrariamente a ciò, il cristianesimo, in quanto assolutamente trascendente, non riduce il divenire nel movimento 83 Ibi, p. 34. “Gli storici rimproverano alla filosofia della storia quattro peccati capitali: “in primo luogo, una maniera quasi inevitabilmente semplicistica, arbitraria e gratuita, di scegliere i propri materiali, di cui essa assume come concesso il valore storico secondo i bisogni della sua causa; in secondo luogo, la sua illusoria ambizione di dare una spiegazione a priori del corso della storia umana; in terzo luogo, la sua illusione di dare una spiegazione cosiddetta esaustiva del significato della storia umana; e in quarto luogo, la sua illusoria ambizione di dare una spiegazione cosiddetta scientifica della storia prendendo la parola scientifico in un significato del tutto particolare (che si può far risalire alle scienze della natura) secondo cui, con tale spiegazione, il nostro pensiero fruisce di una sorta di padronanza intellettuale esercitata sul soggetto studiato, ibi, pp. 33-34. 85 Ibi, p. 32. 86 Così dice Maritain: “Hegel ha misconosciuto la realtà di questa incidenza della libera iniziativa umana sulla storia umana. Si può dire altrettanto di Marx, ancorché quest’ultimo abbia lasciato più di quanto non abbia fatto Hegel, maggior spazio alla volontà dell’uomo, particolarmente alla volontà collettiva e alle energie collettive”, ibi, p. 29. 84 62 dialettico del Tempo ma lo domina con la potenza dello Spirito. Con una frase lapidaria Maritain ha scritto che “noi non siamo i collaboratori della Storia, noi siamo i collaboratori di Dio”.87 In virtù dell’Amore e della Liberalità che specificano la natura di Dio il piano da Lui fissato nella storia non è un copione scritto in anticipo nel quale gli uomini sarebbero meri esecutori, ma è un compito affidato all’uomo, e consiste “nell’ordinare l’infinità molteplicità delle cose e del loro divenire per opera dello sguardo assolutamente semplice della scienza creatrice e della volontà di Dio. E’ eterno e immutabile ma sarebbe potuto essere diverso”.88 Dio, avendo creato l’uomo a Sua immagine, lo ha reso padrone del libero arbitrio e, di conseguenza, lo ha reso capace di produrre eventi nella storia. Non c’è dunque nessuna necessità nella storia, cosicché l’uomo può liberamente rifiutare il dono della grazia, finendo per compiere il male nella storia. La nozione capitale della filosofia della storia consiste nel sapere che Dio è assolutamente innocente: “la causa prima del difetto della grazia proviene da noi stessi”.89 Se nella linea del male la creatura è la causa prima, nella linea del bene il movimento primo appartiene a Dio mentre all’uomo appartiene il movimento di risposta. Si vede come siamo ben lontani da ogni prospettiva hegeliana, nella quale la storia giunge ad identificarsi con l’Idea che si evolve in antitesi e sintesi. Al contrario, secondo la verità dell’essere il mondo è un teatro contrassegnato da vari attori; ed è il rapporto fra di essi che determina gli accadimenti storici.90 Nondimeno, il nostro autore non nega che vi siano alcuni elementi costanti che costituiscono il nucleo attorno al quale studiare la filosofia della storia: “necessari sono solo alcuni tratti generali e alcune configurazioni fondamentali, all’interno dei quali tocca alla libertà umana determinare il particolare orientamento che darà agli avvenimenti stessi un significato tipicamente umano”.91 Pur non soggetta a necessità, la storia possiede pertanto delle leggi che permettono di cogliere 87 MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 69. MARITAIN, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, p. 90. 89 Scrive San Tommaso, “defectus gratiae causa prima est in nobis”, SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, 112,3, ad 2. 90 Ha osservato correttamente Winsnes che Maritain non interpreta “il corso delle vicende storiche come se queste, evolvendosi si succedessero in linea retta; come se ad esempio la Riforma partorisse il razionalismo cartesiano come se questo a sua volta partorisse il naturalismo di Rousseau. Siffatta spiegazione “lineare”- come egli la chiama- non spiegherebbe nulla”, WINSNES, Jacques Maritain, saggio di filosofia cristiana, p. 173. 91 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 127. 88 63 lo sviluppo storico della società nel tempo e che Maritain distingue in “formule assiomatiche” o anche “leggi funzionali” e “formule tipologiche” o anche “leggi vettoriali”. Le prime “esprimono una relazione funzionale tra alcuni caratteri generali e intelligibili della storia; possono pertanto essere verificate in ciascuna tappa dello sviluppo storico”.92 In base a ciò che abbiamo riferito in merito alla condizione originaria della filosofia morale, è del tutto evidente come queste leggi fondamentali possano essere individuate soltanto su di un piano che non è naturale ma sovraordinato dalla teologia morale. La prima di queste leggi funzionali riguarda la crescita parallela del grano e della zizzania di cui parla Gesù nel Vangelo.93 Questa legge è chiamata la legge del doppio progresso contrastante in quanto indica la presenza costante del bene e del male in ogni tappa della storia. Essa rileva sia con riferimento al regno della grazia che per il movimento storico della civiltà nel tempo; in quanto tale, essa possiede un significato universale sia per quanto riguarda il lavoro del teologo che per quel che concerne il lavoro del filosofo.94 Occupandosi del piano naturale, Maritain osserva: “il movimento di progressione delle società nel tempo, dipende da questa legge del duplice movimento; legge che può essere designata, in questo caso, come la legge della simultanea degradazione e rivitalizzazione dell’energia della storia o della massa di attività umana da cui il movimento della storia dipende”.95 Alla degradazione dovuta al trincerarsi della natura in sé stessa si oppone la rivitalizzazione dovuta alla discesa dello Spirito Increato nella natura, sopraelevandola nel suo ordine. 92 Ibi, p. 41. “Il regno dei cieli è simile ad un uomo che ha seminato del buon grano nel suo campo. Ma nel tempo in cui gli uomini dormivano venne il nemico seminare la zizzania nel campo di quello e se ne andò. Come poi il seminato germogliò e granì, allora apparve anche la zizzania. E i servitori del padrone di casa andarono a dirgli: Signore non hai seminato buon seme nel tuo campo? Come mai, dunque c’è della zizzania? Ed egli ripose loro: qualche nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: vuoi che andiamo ad estirparlo? Ma egli: noi che cogliendo la zizzania non sbarbiate con esso anche il grano. Lasciate che l’uno e l’altro crescano fino alla mietitura: al tempo della messe dirà ai mietitori: raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano poi riponetelo nel mio granaio”, Mt, 13, 24-30; “questa parabola ha scritto Giovanni Paolo II può essere assunta a chiave di lettura di tutta la storia dell’uomo. Nelle varie epoche e in vario senso il “grano” cresce insieme alla “zizzania”, e la “zizzania” insieme al “grano”. La storia dell’umanità è il teatro della coesistenza del bene e del male. Questo vuol dire che, se il male esiste accanto al bene, il bene però persevera accanto al male e cresce, per così dire sullo stesso terreno che è la natura umana”, GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, p. 14. 94 Continua infatti Giovanni Paolo II affermando che “gli interrogativi proposti hanno un profondo significato filosofico e teologico”, ibi, p. 15. 95 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 43. 93 64 Dal momento infatti che il regno della natura è ad immagine di quello della grazia, è evidente che nella misura in cui gli uomini aprono il cuore e la mente a Cristo il movimento delle società nel tempo realizza la sua vocazione storica.96 La legge del doppio progresso non è mai omogenea: mentre in alcuni periodi della storia domina il movimento di degradazione in altri periodi prevale il movimento di progresso.97 Tuttavia, conclude Maritain, “quel che voglio dire è che ambedue esistono contemporaneamente, ad un grado o ad un altro”.98 Questa prima legge assiomatica della storia spezza alla radice sia ogni idea di progresso rettilineo che le idee di costante regresso nella storia.99 A margine di questa legge, Maritain constata l’esistenza della “legge secondo cui l’errore assolve, come parassita, una funzione nel progresso della conoscenza speculativa e teorica”.100 Con ciò Maritain osserva che specialmente nell’ambito filosofico e della conoscenza della natura, le grandi scoperte sono precedute dal vizio fondamentale di una certa verità parassitata. In questo senso, la verità riceve spesso dall’errore, errore che si nutre della verità come parassita, la forza per liberare il bene dal male.101 Dalla legge del doppio progresso contrastante procede la legge dell’ambivalenza della storia, ovvero la seconda formula assiomatica che il nostro autore individua. Se infatti la storia umana è condizionata da due movimenti contrari del bene e del male è evidente che ogni civiltà presenti due facce. La filosofia della storia esclude pertanto sia il manicheismo ottimista di chi esalta un periodo storico come assolutamente glorioso, sia il manicheismo pessimista di chi condanna assolutamente un’intera epoca storica. “Il movimento verticale, con cui il credente aspira alla vita eterna e all’unione con Dio, è ben lontano dal sottrarre energia al movimento orizzontale, che fa progredire la storia umana, fra tante peripezie, verso condizioni terrestri migliori, ma anzi è condizione necessaria di questo movimento di progresso storico”, J. MARITAIN, La città temporale e i credenti, in Questioni di coscienza, p. 257. 97 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 43. 98 Ibid. 99 Ibid. 100 Ibi, p. 46. 101 Maritain porta degli esempi per suffragare questa tesi: “per esempio, la conoscenza matematica della natura – questa grande conquista scientifica che ha esordito nel XVI e XVII secolo - è stata stimolata e fortificata da una filosofia aberrante (quella meccanicista) che le aderiva parassitariamente e che per lungo tempo ne era sembrata inseparabile. E si può pensare che senza le ambizioni suscitate dai filosofi meccanicisti, lo spirito umano non sarebbe stato sufficientemente infiammato per compiere quel progresso che è stato la conoscenza matematica della natura”, ibid. 96 65 Conclude Maritain, “nessun periodo della storia può essere assolutamente condannato o assolutamente approvato. Sarebbe ugualmente stolto condannare il medioevo dal punto di vista razionalistico, come condannare i tempi moderni da un punto di vista che si affermi cristiano”.102 Da questo punto di vista, il compito di Maritain nella filosofia politica è stato quello di denunciare le forme di morte cui erano legate le speranze di una democrazia reale che dal punto di vista materiale costituiva senz’altro un guadagno per l’uomo, riconciliandola con l’essenza cristiana al fine liberarle: “un principio erroneo porta i suoi frutti inevitabili: è necessario mettere alla luce tale principio e confessare queste perdite. Durante lo stesso periodo, nondimeno si dà uno sviluppo umano, una crescita della storia. Si danno congiuntamente a mali certi, acquisizioni umane che hanno un valore quasi sacro, giacché si compiono in dipendenza dal governo provvidenziale: è necessario riconoscere questi guadagni”.103 Questa capacità d’integrazione delle verità, propria dell’universalismo cristiano, deriva dal fatto che Dio non ha contrari, e, di conseguenza, tutto ciò che è, Gli appartiene: “Dio non ha avversari nell’ordine metafisico ma nell’ordine morale. Ma i suoi avversari sono ancora al suo servizio. Egli è servito dai martiri, ma anche dai carnefici che fanno i martiri”.104 La terza legge funzionale che Maritain individua è la cosiddetta legge della fruttificazione storica del bene e del male che riposa nel fair play di Dio che dà, a quelli che hanno liberamente scelto l’ingiustizia, il tempo di irradiare tutta la loro energia fino a consumarsi. Da questo punto di vista, il nostro filosofo è stato un diligente osservatore di questa legge, se è vero che la realizzazione pratica della sua filosofica politica, finalizzata ad un nuovo umanesimo, è sospesa alla conclusione della parabola moderna. Così, quando Maritain ha scritto Umanesimo integrale negli anni trenta, ha potuto affermare: 102 Ibi, p. 47. Ibid.; a tal proposto, san Gregorio Magno osserva: “bisogna sapere che la volontà di Satana è sempre iniqua, ma anche che il suo potere non è mai ingiusto giacché le iniquità che egli si propone di commettere, Dio le permette in tutta giustizia”, SAN GREGORIO MAGNO, Moralium, Lib., II, cap. 10, n. 16; PL 75, 564.; osserva Maritain: “Dio non ha contrari. Per il cristiano, vi è si un conflitto tra la luce e le tenebre, tra la verità e l’errore; ma nella realtà esistente non possono esservi pure tenebre, puro errore perché tutto ciò che è, nella misura in cui è, viene da Dio”, MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 68. 104 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 49. 103 66 “l’instaurazione di una nuova cristianità, che noi riteniamo possibile in sé, deve a nostro parere essere considerata molto improbabile, almeno come riuscita stabile e generale, prima della vicenda di cui parliamo. Perché gli atti e i conflitti delle energie della storia devono recare il loro frutto nel tempo. E non si vede come l’assoggettamento dell’uomo alla materia sia che prenda forme scientifiche o forme statali, non finirebbe con un supremo sforzo - inevitabilmente catastrofico - della iniziativa umana per salvare da sola un mondo senza Dio”.105 La quarta legge funzionale è la legge del significato mondiale degli eventi di portata storica. Questa legge ha un certo grado scientifico; nondimeno Maritain non è riuscito a giustificarla razionalmente in maniera adeguata perché riguarda l’unità del mondo, per cui ciascuna comunità risente degli eventi storici accaduti in un altro luogo della terra. Non essendo applicabile in questi casi il concetto teologico di “comunione dei santi”, Maritain non è riuscito a fornire una giustificazione estremamente razionale di una tale legge. Tuttavia, essa rimane fornita di un certo grado di scientificità, ciò che la costituisce come legge della storia. Ad avviso di Maritain, vi è una certa unità vitale del mondo per cui “quando un evento di portata storica, un evento capitale per l’umanità, un evento che fa passare all’atto potenzialità e aspirazioni secolari, quando un tale evento si produce in un punto particolare dello spazio, diciamo in una data nazione o in un dato popolo, non si produce solamente per quella nazione o per quel popolo, bensì per il mondo”.106 Ciò che è accaduto con la Rivoluzione francese è un esempio tipico di questa legge.107 Pur in presenza di principi spirituali aberranti, la Rivoluzione francese ha rappresentato un mutamento di natura storica che si era reso in qualche modo necessario per via dell’ordine politico e sociale portato avanti nell’anciem 105 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 262. MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 55. 107 E’ notevole constatare come Kant, da questo punto di vista, abbia intuito tale dinamica, senza tuttavia riuscire a conferire a tale intuizione un contenuto formale adeguato in virtù del suo razionalismo idealistico; scrive infatti il filosofo di Konisberg: “la rivoluzione di un popolo di ricca spiritualità quale noi abbiamo visto effettuarsi ai nostri giorni, può riuscire o fallire; può essere talmente colma di miseria e crudeltà che un uomo benpensante, anche se potesse sperare d’intraprenderla con successo una seconda volta, non si deciderebbe di tentare l’esperimento a tal prezzo: eppure questa rivoluzione trova negli spiriti di tutta di tutti gli spettatori (non coinvolti in questo gioco) una partecipazione d’aspirazioni che rasenta l’entusiasmo e che nel suo stesso manifestarsi non andava disgiunta dal pericolo, e che per conseguenza non può avere altra causa se non una disposizione morale del genere umano”. “Quell’avvenimento -prosegue Kant- è infatti troppo grande, troppo intimamente connesso all’interesse dell’umanità troppo esteso, nella sua influenza a tutte le parte del mondo, perché in qualsiasi ricorrere di circostanze favorevoli esso non debba ritornare al ricordo dei popoli e non debba essere ridestato al fine di ripetere nuovi tentativi del genere, dato che in una questione tanto importante per il genere umano la costituzione a cui si mira deve raggiungere un giorno quella stabilità che l’insegnamento di numerose esperienze non potrà mancare di operare negli animi di tutti”, I. KANT, Il conflitto delle facoltà (1798), in G. TEDESCHI, Storia del liberalismo europeo, Laterza, Bari 1990, p. 117. 106 67 régime. Quando la Rivoluzione si è esaurita, l’energia storica che l’aveva prodotta, i guadagni che essa ha portato con sé sono stati comunque conservati. Non è possibile generalizzare questa legge a tutte le rivoluzioni, come ad esempio alla rivoluzione comunista, dal momento che, in quest’ultima, “gli elementi di verità contenuti nella Rivoluzione sovietica sono inseparabilmente inseriti in un sistema del mondo erroneo e totalmente dogmatico che li spinge all’errore e tale da non permettere loro di affermarsi in piena luce. Solo se il sistema esplode e cade a pezzi, quegli elementi di verità potranno essere liberati”.108 La quinta legge funzionale è la cosiddetta legge della “presa di coscienza”, e consiste nella consapevolezza maturata di una certa realtà nell’ordine della civiltà. Essa si manifesta con lentezza nella storia della civiltà; se indubitabilmente essa costituisce un segno di progresso, dall’altro porta con sé inevitabili rischi. Paradossalmente, ad avviso di Maritain, essa può manifestarsi in una certa zona di sviluppo dello spirito senza interessare nel medesimo tempo un’altra zona: “in Grecia per esempio si prese coscienza della libertà politica del cittadino, ma non della interiore libertà spirituale della persona umana in rapporto alla città”.109 L’ultima legge funzionale è la legge della gerarchia dei mezzi scomponibile in due leggi. La prima concerne il fatto che i mezzi temporali poveri sono superiori ai mezzi temporali ricchi in relazione al raggiungimento di fini spirituali. Per mezzi temporali ricchi vanno intesi quelli legati alla densità della materia. Essi non vanno rifiutati perché fanno parte della storia naturale della vita umana; da questo punto di vista “la religione deve essere disposta a riceverne l’aiuto”.110 Ciò non esclude che vi sia una gerarchia interna ai mezzi temporali, insieme alle giuste proporzioni relative nell’impiego dei mezzi temporali ricchi. I mezzi temporali poveri sono invece leggeri di materia, e nella misura in cui sono più leggeri sono più efficaci. Essi “sono i mezzi propri della sapienza”.111 La seconda legge afferma che i mezzi spirituali di attività temporale di lotta sono superiori ai mezzi carnali di attività temporale di lotta. Il fine resta politico e sociale ma proprio perché il bene sociale interessa i beni eminenti dell’uomo è necessario vincersi con le armi della preghiera e della contemplazione per poter far fecondare il movimento orizzontale della società. 108 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 56. Ibi, p. 59. 110 Ibid. 111 Ibi, p. 60. 109 68 Insieme alle leggi funzionali Maritain individua altre leggi della storia, le cosiddette formule tipologiche, così chiamate in quanto rivelano la varietà delle età della storia umana: esse possono essere chiamate anche leggi vettoriali, dal momento che riguardano i vettori, i segmenti della storia. Anche per queste leggi, come per tutta la filosofia della storia, vale la subordinazione alla teologia morale per essere afferrate e giustificate. La prima è la nozione teologica dei differenti “stati” della natura umana. La teologia ci insegna che uno stato di natura puro è esistito come possibilità, ma non è mai esistito nella realtà perché l’uomo è caduto per il peccato di Adamo sia dal regime dei doni soprannaturali che da quelli naturali. E questo stesso stato di natura è stato redento dal Nuovo Adamo. Tuttavia, i due stati di natura sono distinti ma non successivi perché “Dio infatti non ha mai abbandonato a se stessa la natura decaduta, e la grazia divina non ha mai cessato di agire nell’umanità”.112 Pertanto, è in base a questa legge vettoriale, per cui lo stato di natura originario è decaduto, che la filosofia della storia è costretta giocoforza a subordinarsi alla teologia per comprendere adeguatamente l’uomo concreto. La seconda legge vettoriale non riguarda più i diversi stati della natura umana, come poc’anzi, ma “i diversi stati storici dell’uomo esistenziale come sono visti dalla teologia”.113 Questa distinzione concerne lo stato natura nella condizione antecedente alla Legge scritta; lo stato della Legge antica e lo stato della Legge nuova. Questo intero corpus trova il suo fondamento nella dottrina di san Paolo che a motivo di ciò è da considerarsi “il fondatore della teologia della storia”,114 e a cui pertanto il filosofo della storia è chiamato a relazionarsi. La terza legge vettoriale riguarda il destino del popolo ebraico in quanto popolo dell’Alleanza. Costui non è solo un popolo ma una casa amata da Dio di un amore eterno, e dal momento che Dio è il Signore della storia, il suo destino è dentro il “mistero del mondo”. Si può comprendere pertanto come il destino del popolo ebraico costituisca il fermento di sviluppo della storia temporale. Israele è un mistero; e questo mistero può essere indagato solo dalla saggezza profetica, come ha fatto san Paolo. Sui testi di san Paolo, “se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo quale potrà mai essere la loro riammissione se non la risurrezione dai morti?”,115 112 Ibi, p. 66. Ibi, p. 69. 114 Ibid. 115 Rm, 11, 12-13. 113 69 Maritain ha letto l’incontro tra la reintegrazione di Israele (non conversio, sed plenitudo!) e l’ingresso in una nuova età del mondo: “le cose sono giunte al punto che, affinché il cristianesimo torni ad essere la guida della storia, non sarà cosa superflua che i Gentili ricevano l’apporto del vecchio spirito dei Profeti”.116 Il destino del popolo ebraico è pertanto la determinante essenziale dello sviluppo della storia temporale, agendo da stimolo segreto nelle profondità della storia temporale.117 Maritain, seguendo san Tommaso e a sua volta san Gregorio Magno, ha interpretato la corsa di Pietro e Giovanni verso la tomba di Gesù, come la corsa dei Gentili e degli Ebrei verso Cristo: gli uni attraverso la Legge naturale e gli altri attraverso la Legge scritta. Nella storia, vi sono infatti due movimenti, quello del popolo ebraico verso il suo Dio e quello dei Gentili verso il mistero della natura. Entrambi sono assunti e realizzati dal Cristo in quanto vero Dio e vero Uomo, e necessitano così di tutta la traiettoria umana, ferita e redenta, per essere svelati e compiuti. Commentando la corsa dei due Apostoli Pietro e Giovanni al Sepolcro, san Tommaso nota come “i due popoli, il popolo ebreo e quello dei gentili, sono simbolizzati alla tomba di Cristo, dai due apostoli. Essi corrono al Cristo simultaneamente attraverso le età: i gentili mediante la loro legge naturale, gli ebrei in virtù della loro legge scritta”.118 116 Cit. in BARS, Il pensiero politico di Maritain, p. 226; in verità bisogna qui far riferimento al Padrino di battesimo L. Bloy che aveva scritto nel 1892 Le salut par le Juifs, premessa alla seconda edizione, trad. It. Dagli Ebrei la Salvezza, Adelphi, Milano 1994; fu proprio Bloy ad introdurre i Maritain alla comprensione del Mistero di Israele; in verità, R. Maritain, nel libro biografico, parlerà di scoperta: “leggemmo questo libro in campagna nel mese di agosto 1905. Esso ci scoprì San Paolo e questi straordinari capitoli IX, X e XI dell’Epistola ai Romani., da cui Léon Bloy prese il titolo e in cui s’incontra l’esegesi del libro Le salut par les Juifs”, R. MARITAIN, I grandi amici, p. 105; in un Omaggio a L. Bloy, scritto verso la fine dei suoi anni, Maritain farà ancora da testimone alla condanna dell’antisemitismo di Bloy: “supponete - scriveva Bloy - che delle persone attorno a voi parlino continuamente di vostro padre e di vostra madre con il più grande disprezzo e non abbiano per essi che delle ingiurie o dei sarcasmi oltraggiosi, quali sarebbero i vostri sentimenti? Ebbene è appunto quello che succede al nostro Signore Gesù Cristo. Ci si dimentica o piuttosto non si vuol sapere che il nostro Dio si è fatto uomo è un Ebreo, l’Ebreo per eccellenza il Leone di Giuda; che a sua Madre è un’Ebrea, il fiore della razza ebraica; che gli Apostoli sono stati ebrei così come tutti i Profeti; e infine che la Nostra sacra Liturgia tutt’intera è attinta dai libri ebraici. E allora come esprimere l’enormità dell’oltraggio e della bestemmia che consiste nel vilipendiare la razza ebraica?”, J. MARITAIN, En Hommage a Léon Bloy, conferenza pronunciata 11 Marzo 1968, «Nova et Vetera », n. 2, 1968, pp. 81-103. 117 Il Mistero di Israele è “l’unica chiave, scrive Maritain, di tutto il travaglio delle nostre lunghe agonie, una visione del rapporto tra il progresso dell’umanità nel tempo e gli eterni disegni del Dio trascendente”, MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 73; J. Maritain ha raccolto e commentato i grandi temi della saggezza paolina nel volume, J. MARITAIN, Il pensiero di san Paolo, presentazione e traduzione di P. Viotto, Borla, Torino 1964. 118 SAN TOMMASO D’AQUINO, Joan. XVIII, Lect. I. 70 Maritain ha compreso il ruolo di stimolatore e vivificatore della storia temporale che gli Ebrei svolgono, mettendolo in relazione con la finalità a cui invece è chiamata la Chiesa: “mentre la Chiesa è deputata all’opera del riscatto soprannaturale e sopratemporale del mondo Israele è deputato, nell’ordine della storia temporale e delle sue finalità proprie, a un’opera di attivazione terrestre della massa del mondo [.. ] esso stimola il movimento della storia”.119 Esula dal nostro intento soffermarci troppo sul Mistero d’Israele. Per il nostro proposito, ci si può limitare ad insistere che il destino del popolo ebreo è una discriminante della storia e Maritain l’ha definito in una legge filosofica scientifica: “la riflessione filosofica, guidata dalla dottrina, afferma Maritain, può arrivare a delle conclusioni”.120 La quarta legge è la legge degli stadi dell’umanità che il nostro filosofo distingue dall’avvento di Cristo in: epoca cristiana medievale dal V. al XIII sec.; epoca moderna dal XIV sec. al XX; e nuova cristianità originata dalla conversione degli Ebrei e durevole fino alla chiusura della storia. Tre età per i cieli nuovi e terra nuova, come tre sono i giorni per la resurrezione di Cristo. La storia moderna, e in ciò si dimostra quanto deve al cristianesimo, ha conosciuto la legge dei tre stadi, materializzandola completamente. In tal modo, sia Comte che Hegel che Marx hanno fatto del divenire storico un procedimento dialettico immanente al mondo e necessario, mentre la legge dei tre stadi autentica è trascendente, ed è il frutto, come detto, dello spirito e della libertà. La quinta legge è la legge del passaggio dal regime o stato “magico” al regime o stato “logico” nella storia della cultura umana. Questa differenza non riguarda la superiorità dell’intelligenza dello stato logico rispetto a quella dello stato dello stato magico. In verità, osserva Maritain, l’intelligenza del primitivo è della stessa natura; anzi “può essere più viva in lui che in alcuni inciviliti”.121 Il problema è semmai che nel regime magico, l’intelligenza, pur essendo presente in tutti i principi e le leggi che le sono proprie, “in un certo senso non è libera, perché legata e incatenata all’immaginazione. E’ lo stato che chiamo il regime o stato magico di vita psichica e culturale”.122 Lo stato magico, dal momento che subisce il primato 119 J. MARITAIN, Il Mistero di Israele, Morcelliana, Brescia, 1965, p. 43; sul punto si veda il V. POSSENTI, Il Mistero di Israele Jacques Maritain e il Concilio Vaticano II, «RivAM », n. 3, 2007, pp. 653-688. 120 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 74. 121 Ibi, p. 79. 122 Ibi, p. 78. 71 dell’immaginazione, è uno stato inferiore, “è lo stato dell’infanzia dell’umanità uno stato fecondo attraverso il quale era necessario passare”.123 La sesta legge vettoriale è la legge del progresso della coscienza morale, “una delle più importanti - avverte subito Maritain - della filosofia della storia”.124 In virtù di questa legge, la conoscenza della legge morale è per sua natura progressiva, ma ciò non significa necessariamente che il progresso attenga al comportamento morale dell’uomo, quanto piuttosto la conoscenza esplicita della legge naturale che nel tempo si arricchisce di nuovi precetti che la esplicitano. La settima legge vettoriale è la legge del passaggio dalle civiltà “sacrali” alle civiltà “profane” o “laiche”. E’ la distinzione fra Cesare e Dio che non Cesare ma Dio stesso ha posto,125 e deriva dal fatto che il mondo è altro da Dio e ordinato alla persona umana. La stessa modernità ha mostrato, e lo dimostreremo più avanti, che nella misura in cui ci si separa da Dio la distinzione tra i due livelli viene meno. Una volta eliminato il sovrannaturale esso non scompare ma rifluisce nel naturale per via delle aspirazioni del cuore dell’uomo che tendono all’infinito. Nel novecento il caso più eclatante di questo fenomeno è stato quello rappresentato dall’ “ateismo teocratico comunista”.126 L’ottava e ultima legge vettoriale è la legge dell’accesso del popolo alla sua maggiorità in materia politica e sociale. L’accesso a questa maggiorità coincide con l’auto-governo popolare, ovvero con la realizzazione della vocazione naturale dello stesso ordine politico in connessione organica con il regno della grazia: “di fatto lo sviluppo naturale di cui trattiamo ha potuto prodursi solo sotto l’azione del lievito evangelico, e in virtù dell’ispirazione cristiana che compie il cammino nel profondo della coscienza profana”.127 In questo modo, comprendiamo perché “il fine naturale reale del mondo è un fine naturale sopraelevato”.128 Per tirare le conclusioni, la storia procede da una parte verso il perseguimento del fine naturale del mondo, ed è compito della filosofia della storia comprendere. Dall’altra essa 123 Ibi, p. 80. Ibi, p. 83. 125 “Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, Mt 12, 17. 126 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 88. 127 Ibi, p. 91. 128 Ibi, p. 102. 124 72 procede verso il compimento delle aspirazioni trasnaturali della persona, compito della teologia della storia. Questo doppio processo si svolge in modo rettilineo ma non pacifico perché il mondo “appartiene a Dio per diritto di creazione; al diavolo per diritto di conquista a causa del peccato, a Cristo per diritto di vittoria sul primo conquistatore, a causa della Passione”.129 Ci troviamo dunque in un campo comune all’uomo, a Dio e al diavolo. E il compito dell’uomo è di cooperare con il Cristo per strappare il mondo al diavolo. Compito che avviene (non contro natura ma) in opposizione ad una natura di cui il diavolo è “Principe”. Perciò, pur non senza perdite, nella misura in cui il Cristo riesce in questo compito, e vi riesce, la vita delle società umane avanza e progredisce. Così la conquista della libertà nella storia si svolge all’interno della drammatica disputa fa Dio e il diavolo: “il bene naturale ed il bene sovrannaturale sono mescolati e il Cristo prende a cuore l’uno e l’altro. Ugualmente sono mescolati il male naturale e il male soprannaturale e l’Angelo caduto si interessa all’uno e all’altro. Egli è il principe di questo mondo. Il mondo tuttavia non può sfuggire al governo di Dio, l’ordinatore supremo. Il Cristo e il diavolo si disputano il mondo, ed il Cristo strappa il mondo al diavolo”.130 Non vi è che un solo modo realmente utile ed efficace di fare progredire il mondo, quello di servire con ogni mezzo la verità. E questo compito appartiene all’uomo! 129 130 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 150. Ibi, p. 103. 73 1.3 La decapitazione della sapienza filosofica nelle tre principali dottrine moderne: l’inversione dell’ordine nella modernità. Sant’Agostino ha scritto che ciascuno di noi, come ogni epoca storica, è chiamato ad una scelta: dare la preferenza alla sapienza o alla scienza, alla conoscenza del mattino nello splendore delle cose divine o alla conoscenza della sera nel crepuscolo del creato. 131 C’è una decisione da prendere pro o contro la sapienza; ed è da questa decisione che ogni civiltà assume una determinata specificazione culturale. Così, assolutamente parlando, se il medioevo ha scelto per la conoscenza del mattino cioè per la sapienza e per la contemplazione, la modernità, di converso, ha optato per la scienza e per l’azione, isolandole dalla contemplazione. In questo contrasto è riassunta l’opposizione essenziale che specifica le due età qui a confronto.132 Fino al medioevo tutta la tradizione umana ha saputo che l’essere e il bene hanno una intrinseca razionalità. Orbene, cosa accade all’alba dei tempi moderni? Maritain riprendendo la metafora di Maurras, ha osservato che “è dalla testa che il pesce comincia a guastarsi”.133 E’ infatti ad un livello teologico, con la Riforma protestante, che dobbiamo collocare l’origine spirituale della modernità attraverso la frattura di quella unità tra fede e ragione che, pur con i limiti propri, ha specificato il medioevo. Con la Riforma si assiste alla separazione tra una teologia ridotta a sentimento morale e privata del suo valore scientifico e una filosofia che si riduce a scienza empirica, rifiutando ciò che la specifica come tale, ovvero l’essere in quanto essere. E’ il concetto luterano di philosophia non ancilla ma meretrix, che nega alla filosofia la possibilità della verità e di conseguenza la possibilità di una morale fondata ontologicamente. 131 MARITAIN, Scienza e filosofia, in Quattro saggi sullo spirito umano e la sua condizione carnale, p. 138. Maritain è tornato spesso nel corso della sua riflessione a questo contrasto di massima, risolvendo i grandi periodi che specificano le civiltà sulla base di questa determinata discriminante; in un saggio davvero illuminante osservava come “Il contrasto tra azione e contemplazione riguarda non soltanto la vita personale di ciascuno di noi, ma anche in maniera fondamentale, la comunità umana e il destino delle civiltà”, J. MARITAIN, Azione e contemplazione, in Questioni di coscienza, p. 113. 133 Cit. MARITAIN, Tre Riformatori, p. 53. 132 74 Già Sigieri di Brabante, sostenitore del dualismo di Averroé, aveva provato a rompere l’armonia tra scienza e fede, ma san Tommaso era riuscito a porre rimedio. Dopo san Tommaso i commentatori Arabi, in specie Averroé, proclamatori della doppia verità filosofica e teologica, trovarono l’opposizione di Duns Scoto, il quale piuttosto che integrare separava la filosofia dalla teologia. Scoto, disperando di una filosofia a suo avviso cieca e senza speranza di guarigione, ha in fondo disperato dell’Incarnazione. Giustamente Gilson ha scritto che quella di Scoto è un’opera di “spirito radicalmente opposto a quello tomistico”.134 San Tommaso infatti, in continuità con il movimento dell’Incarnazione, ed in questo vediamo il compimento dell’unità medievale, segna “la vittoria della teologia nella filosofia”,135 ovvero la vittoria del Cristo incarnato. Già con Scoto dunque ci si avvia al declino dell’unità medievale, e questa rottura è “proseguita” nella persona di Occam, “questo teologo moderno che difendeva Luigi di Baviera contro il Papa”.136 Proprio Occam in virtù del nominalismo professato e teso a negare valore alle essenze metafisiche approfondiva la crisi medievale, nonostante papa Clemente VI avesse messo in guardia la cristianità contro queste variae et extraneae doctrinae sophisticae.137 Tali dottrine pseudo-cristiane di origine anglosassone costituiranno i primi prodromi della filosofia moderna. In particolare, l’occamismo, disporrà di un armamentario anti-filosofico fatto di “nominalismo, individualismo e disprezzo della tradizione, tendenza al naturalismo, al soggettivismo, incapacità alla metafisica e orientamento dell’intelligenza verso la scienza dei fenomeni”.138 E finalmente Lutero verrà a tirare le conclusioni di questo processo non più cristiano di cui la Riforma protestante costituirà il fondamento religioso. Le origini spirituali della modernità vanno dunque cercate nella testa, in Lutero, che se da un lato degrada la natura umana, dall’altro approda al risultato opposto di ogni naturalismo: indipendenza assoluta della natura umana.139 134 E. GILSON, La filosofia nel Medioevo, La nuova Italia, Firenze 2000, p. 727. Ibid. 136 J. MARITAIN, Antimoderno, Rinascita del tomismo e libertà intellettuale in Francia, premessa di L. Castiglione, Logos 1979, p.120. 137 Ibi, p. 121. 138 Ibi, p. 124, 139 A proposito di questa dinamica osserva Maritain, “ponendo l’estraneità della giustizia di Cristo alla natura, chiude questa, chiude l’io in se stesso e pone il centro della vita religiosa non in Dio ma nell’io”, J. MARITAIN, Le role del’Allemagne dans la philosophie moderne, O. C., Vol. I, p. 930. 135 75 Di questa indipendenza approfitterà Cartesio, che dal versante filosofico, negando anch’egli la scientificità della teologia, pone la filosofia come auto-sviluppo del pensiero. La Ragione si ritiene così capace di produrre lei stessa l’etica necessaria per l’agire umano. Tutta la filosofia moderna deve a Cartesio, “notre cher ennemi”,140 le sue impostazioni essenziali: “ciascuno sa che Cartesio è il Padre della filosofia moderna. Diciamo che Cartesio marca il punto di rottura della filosofia (..) il momento preciso in cui il pensiero si laicizza e passa dal servizio di Dio al servizio del mondo”.141 E non finiremo mai di comprendere la tragedia spirituale della storia europea e gli sconvolgimenti che ne sono seguiti, se non comprendiamo appunto che la “rivoluzione, che comincia con Cartesio e che continua con i filosofi del XVIII e XIX secolo, non ha fatto che liberare le forze distruttive sempre in azione nella ragione dei figli di Adamo, è un cataclisma storico infinitamente più grande dei più terribili sconvolgimenti della terra o dell’economia delle nazioni”.142 La modernità ha così delle origini intrinsecamente luterane e cartesiane: “la riforma luterana è stata il grande peccato tedesco intinto di soprannaturalismo, la riforma di Cartesio è stata il grande peccato francese intinto di razionalismo”.143 L’errore teologico di Lutero è stato trasferito su un terreno filosofico politico da Machiavelli. Machiavelli, disperando di una morale ontologicamente fondata e razionalmente comprensibile in fondo ha disperato della natura in quanto tale. La posizione di Machiavelli è dunque decisamente iper-pessimistica, contrariamente all’iper-ottimismo di Cartesio: “un pessimismo radicale è alla base del pensiero di Machiavelli”, conclude Maritain.144 Questa separazione ha specificato l’evo moderno in quanto moderno, e ciò fa di Machiavelli il padre della moderna scienza politica, di una scienza politica separata dalla trascendenza e sottomessa ai Principi.145 140 J. MARITAIN, Religione e cultura, Morcelliana, Brescia 1977, p. 29. J. MARITAIN, La réforme cartesiénne, L’esprit de la philosophie moderne, I, O. C.. Vol. I, p. 824. 142 MARITAIN, Il Dottore angelico, pp. 108-109. 143 U. PELLEGRINO, Teologia e filosofia cristiana in Jacques Maritain, in AA.VV. Storia e cristianesimo in Jacques Maritain, p. 79. 144 “Machiavelli sa che gli uomini sono cattivi. Non sa che questa cattiveria non è radicale, che questa lebbra non può distruggere la nobiltà originaria dell’uomo, che la natura umana nella sua essenza e nelle sue tendenze radicali rimane buona”, MARITAIN, La fine del machiavellismo, p. 121. 145 “Non ignoro - scrive Maritain - che pensatori illustri, in Italia, come in altri paesi, considerano Machiavelli come il padre della moderna scienza politica, e non ho alcuna intenzione di contestatore simile opinione: mi 141 76 Pertanto, sia dalla parte dell’iper-realismo senza morale di Machiavelli che di un ipermoralismo idealistico di Cartesio l’obiettivo è identico, quello di ferire al cuore, privandola della sua essenza ontologica e della sua normatività interna, sconfessando la capacità cognitiva della ragione di riconoscere un ordine morale; ordine ormai da costruire e produrre artificialmente, ora col Potere ora con la Scienza, ma non più attraverso la guida sicura dell’intelletto, ovvero della Sapienza: “la massa enorme e possente delle attività scientifiche, la meravigliosa impresa della conquista sperimentale e matematica della natura da parte dello spirito umano è abbandonata, senza direzione né luce superiore, alla legge dell’empirico e del quantitativo, interamente separata dall’ordine totale della saggezza. Essa avanza nella storia, e trascina gli uomini senza più nulla conoscere della saggezza speculativa né della saggezza pratica”.146 Le due prospettive moderne, pur se differenti, convergono sul medesimo risultato metafisico, rescindendo l’ordinazione dell’etica alla realtà e finendo per sottomettere l’etica alle forze transitive del mondo. Il primato a questo punto non appartiene più all’essere ma all’avere, non più alla verità ma alla libertà, non più alla sapienza e alla scienza, invertendo così l’ordine dello spirito che vuole il primato della contemplazione sull’azione. Per riassumere, se la prospettiva pratica in cui si colloca Maritain è l’invenzione dell’ordine, la prospettiva in cui si situa la modernità può essere riassunta nella formula opposta dell’inversione dell’ordine. Rispetto ai demiurghi moderni quali la Ragione o la Politica il pensiero di Maritain è diametralmente opposto, dal momento che il suo pensiero è fondamentalmente anti-costruttivista in conformità alla natura della vera filosofia chiamata a riconoscere il vero e il bene. Come ha scritto Possenti infatti, “ne la filosofia speculativa ne quella pratica sono produttrici: tanto la prima non crea l’essere tanto la seconda non produce la norma, poiché non è auto legislatrice. Essa si obbliga verso il bene, non verso se stessa”.147 Con Cartesio la filosofia moderna è ormai instaurata, e dal momento che il suo sforzo è condotto sulla fisica e non sulla metafisica, essa non può a rigore definirsi filosofica. sento piuttosto portato a domandarmi se la scienza politica moderna meriti veramente il nome di scienza politica o di saggezza politica”, ibi, p. 117. 146 MARITAIN, Scienza e saggezza, pp. 96-97. 147 POSSENTI, L’azione umana, morale, politica e Stato in Jacques Maritain, p. 59. 77 L’allontanamento dalla teologia comporta infatti “una negazione della saggezza, le cui conseguenze sulla filosofia stessa, se le nostre considerazioni sul dinamismo del pensiero cristiano sono esatte, non potevano che essere molto gravi”.148 L’uomo moderno ha voluto dominare il cosmo, persuaso che solo a condizione di separarsi dalla metafisica a vantaggio delle scienze empiriche può dominare matematicamente la natura e realizzare così l’obiettivo di Cartesio, ovvero quello di fare degli uomini i padroni e i dominatori della natura.149 L’obiettivo della ragione non è così più di servire la verità ma di ergersi a Potere: sapere è potere dirà Bacone, rivelando per intero l’intento fondamentale di un’epoca che affermando la supremazia dell’Io ha dovuto inevitabilmente eliminare il più piccolo valore ontologico della realtà, per evitare la presenza incombente di Dio: “è sufficiente che assegnino ad un filo di muschio, alla più piccola formica il loro valore ontologico, perché non possiamo più sfuggire alla mano terribilmente potente che ci ha fatti”.150 Il momento della negazione atea o meglio antiteistica implica così la scomparsa di ciò che è realmente umano, dal momento che ogni riferimento etico e spirituale scompare dal reale per rifluire nell’astrazione idealistica. Pertanto, la separazione della morale dalla verità e dal regno dell’essere è funzionale alla negazione del valore intelligibile della morale e la conseguente riduzione del carattere di scienza alle sole scienze empiriche. E’ questo il frutto maturo di quel dualismo più volte denunciato fra spirito puro ed estensione geometrica, fra esprit de geometrie e esprit de finesse, che Cartesio ha introdotto nel pensiero occidentale e che ispirerà, ad avviso di Maritain, le nuove relazioni politiche ed economiche, studiate alla maniera delle scienze fisiche a mo’ della meccanica e della chimica. Lo spirito cartesiano si caratterizza dunque per essere il responsabile della scomparsa del riferimento ontologico delle scienze umane.151 La modernità ha confuso il passaggio ad un’età adulta, cioè alla presa di coscienza dell’autonomia della ragione, con l’assoluta indipendenza della Ragione elevata a misura di tutte le cose, e ciò è stato fatale: 148 Questa linea interpretativa è stata fatta propria dal nostro filosofo, cfr. MARITAIN, Scienza e saggezza, p. 76. 149 Ibid. 150 MARITAIN, Distinguere per unire, i gradi del sapere, p. 139. 151 “M’affretto a dire, scrive Maritain, che questa trasposizione non è stata operata da Cartesio. Ma è lo spirito cartesiano che secondo me è di ciò responsabile”, MARITAIN, Religione e cultura, p. 30. 78 “se un uomo nell’istante in cui decide di se stesso, prendendo posizione nei confronti di se e della direzione totale della propria vita, confonde il passaggio allo stato adulto, considerandolo come un rifiuto non solamente delle subordinazioni dell’infanzia ma di qualsiasi altra subordinazione; se egli considera così il rifiuto di ogni legge trascendente come un atto di maturità sociale e di emancipazione e decide di affrontare il bene e il male in un’esperienza totalmente e assolutamente libera, scartando decisamente ogni fine ultimo e ogni legge venuta dall’alto [..] significherà per questo spirito il rifiuto di Dio dalla totalità del suo mondo personale di vita e di pensiero”.152 L’ateismo positivo ovvero l’antiteismo è così la chiave ermeneutica per capire l’essenza profonda della civiltà moderna e le motivazioni profonde per cui in definitiva essa subordina la saggezza alla scienza e l’intelletto alla ragione discorsiva presa matematicamente.153 E’ stata così rivoluzionata l’idea di ragione, eliminando il suo costitutivo essenziale e specificante costituito dall’elemento intelligibile. Ciò che chiamiamo ragione dovrebbe a rigore di termini chiamarsi intelletto perché la ragione intesa in senso pieno è fatta per l’essere nell’ordine speculativo e per il bene nell’ordine pratico. Per raggiungere questo fine essa ha bisogno oltre che di mezzi “esterni” quali il discorso e le spiegazione (ciò che chiamiamo ratio), innanzitutto dell’elemento immateriale (proprio dell’intellectus). Queste due facoltà, ragione e intelletto che sono in realtà complementari, sono state contrapposte dalla modernità, riducendo la ragione al solo elemento quantitativo, finalizzato unicamente all’osservazione matematica del cosmo. Le definizioni scientifiche così ricavate non possono rispondere alla domanda che cosa è, e pertanto non possono dirci nulla su cosa fare, in quanto l’oggetto della scienza empirica è la materia priva di alcun significato sostanziale, limitandosi di fatto al come è, indicando piuttosto come fare. Esse ci forniscono importanti dati riguardanti il modo di operare che Maritain non ha rinnegato comprendendoli in una sintesi intellettuale organica e costruttiva, in una sintesi integrale. Da questo punto di vista, la modernità ha avuto ben ragione di rivendicare la giusta autonomia delle discipline scientifiche e la loro presa di coscienza. Così Maritain ha avuto modo di osservare che “per quanto sia eccessiva la pretesa di A. Comte J. MARITAIN, Il significato dell’ateismo contemporaneo, Morcelliana, Brescia 1949, pp. 16-17. Non è per nulla quindi una semplice assenza di fede in Dio, ma piuttosto un atto di fede a rovescio perché se l’uomo è un dio non c’è più spazio per un altro Dio; ha scritto assai bene Viotto, interpretando il pensiero di Maritain, che “non si tratta di un ateismo negativo che si limiti a negare l’assoluto, ma di un ateismo positivo , che lotta contro Dio - più propriamente lo si dovrebbe chiamare un antiteismo - e vuole sostituire al Regno di Dio, il regno dell’uomo”, VIOTTO, Introduzione a J. MARITAIN, Scienza e saggezza, p. 10. 152 153 79 d’aver inventato la scienza del sociale, si può pensare, da questo punto di vista, che le illusioni “scientifiche del sociologismo e anche del socialismo, abbiano lavorato per il pensiero cristiano, costringendolo alla scoperta riflessiva di questo campo di realtà: essa amava la scienza, e la sua curiosità delle cose era grande; ma la costringeva a lavorare sotto il predominio della filosofia”.154 E’ qui, in questa conoscenza riflessa, nella presa di coscienza del mondo sensibile che consiste la verità della modernità, la sua superiorità relativa rispetto al medioevo, e che comunque il medioevo aveva preparato.155 Anche il positivismo della scuola di Vienna, che rappresenta lo stadio finale di questa progressiva materializzazione della ragione, ad avviso del nostro autore, “ha avuto il merito aver mostrato in maniera decisiva che le asserzioni che hanno un senso per lo scienziato non attengono all’essere delle cose, alla natura o all’essenza di ciò che è, ma solo alle connessioni che una buona grammatica di segni ci fa stabilire tra le designazioni o i simboli che i dati raccolti dai nostri sensi e specialmente coi nostri strumenti di osservazioni e di calcolo, ci permettono di elaborare intorno all’esperienza matematicamente interpretata”.156 Tuttavia, il suo errore è stato quello di limitare il sapere alla sola realtà fenomenica, alla sola conoscenza nominalistica fino al collasso epistemologico operato dal pragmatismo. Sulla stessa linea razionalistica dopo Cartesio, che ha tolto dignità scientifica alla teologia e posto la filosofia sul crinale della scienza empirica, c’è voluto Kant per realizzare l’eliminazione della filosofia dal regno delle scienze: “la rivoluzione è andata avanti e Kant non ha fatto altro che tirare le conseguenze”.157 Kant può essere considerato come l’apostolo dell’autonomia assoluta della Ragione, centro nevralgico della modernità e dell’Illuminismo, dal momento che l’ordine della moralità è separato interamente dall’ordine della natura e prodotto unicamente dalla Ragione. Pertanto, 154 MARITAIN, Umanesimo integrale, 157. Osserva Maritain che “l’esperienza stessa del filosofo è stata rinnovata dal cristianesimo. Il dato che gli viene offerto è un mondo, opera del Verbo, in cui tutto parla dello Spirito infinito a degli Spiriti finiti che si sanno spiriti. Che punto di partenza! C’è una specie di atteggiamento fraterno verso le cose, voglio dire per il fatto stesso che sono da conoscere, atteggiamento di cui il pensiero speculativo è debitore verso il medioevo cristiano, e che sembra proprio aver preparato da una parte la nascita delle scienze sperimentali della natura, dall’altra la comparsa della conoscenza riflessiva di cui si gloriano i tempi moderni”, MARITAIN, Sulla filosofia cristiana, pp. 46-47. 156 MARITAIN, Sulla conoscenza umana, in Ragione e ragioni, pp. 10-11. 157 MARITAIN, Scienza e saggezza, p. 77. 155 80 dopo Kant e la Critica della Ragione Pratica, “l’opposizione tra natura e libertà è diventato un luogo comune per la filosofia moderna”.158 Così, osserva Maritain: "in tre grandi tappe- Lutero, Cartesio, Kant- l'uomo si distacca dalla vita soprannaturale e diventa sorda alla rivelazione, si ripiega su se stesso, si chiude nella propria immanenza, fa agire l'universo attorno al suo cervello, infine adora se stesso, come se fosse l’autore della verità mediante il suo pensiero e della legge mediante la sua volontà. La Scienza, che costruisce per sottomettere a se stesso l’universo materiale, interdice alla sua ragione l’accesso alle realtà superiori”.159 Nell’epoca del razionalismo idealistico, qui brevemente tracciato, che da Cartesio conduce a Kant, assistiamo fondamentalmente alla decapitazione della sapienza pratica nel senso più autentico della parola ossia come sapere finalizzato alla comprensione dell’essere e del bene, e pertanto al passaggio da una visione cosmica e realistica ad una visione a-cosmica e idealistica, che permette la definitiva vittoria della scienza sulla sapienza. E’ stata ridotta la realtà al dato empirico, alla serie di fenomeni sottoposti al determinismo e alla necessità, per cui la regolazione degli atti umani è stata sottoposta alle idee a priori, dimenticando che la filosofia non è specificata dal produrre idee ma dal conoscere la realtà e il bene. La filosofia è specificata quindi da un unico oggetto, la realtà extra-mentale; da qui la definizione di san Tommaso: “la filosofia è finalizzata a conoscere non il parere di alcuni ma la realtà delle cose”.160 Gli idealisti non sono filosofi: “essi ricusano fin dall’inizio ciò su cui fa presa il pensiero e senza del quale esso non è che sogno, la realtà da conoscere e da capire, che esiste, vista toccata afferrata dai sensi con la quale ha a che fare direttamente un intelletto che è quello di un uomo e non di un angelo, la realtà sulla quale e a partire dalla quale un filosofo è nato per interrogarsi e senza questo egli è nulla. Essi ricusano il fondamento assolutamente primo del sapere filosofico e della ricerca filosofica [..] Quindi non sono filosofi”. 161 158 MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 9. MARITAIN, Antimoderno, pp. 191-192. 160 SAN TOMMASO D’AQUINO, Commento al De caelo et mundo, lib. I, Lectio 22. 161 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 153. 159 81 Perdendo la presa sull’essere, la modernità è stata un’età fondamentalmente anti-filosofica, vivendo di segni: “questo mondo sembrava svuotato dei propri principi: tendeva a diventare un universo di parole, un universo nominalista, una pasta senza lievito. Egli viveva e durava per abitudine e per la forza acquistata nel passato”.162 In questa prospettiva idealista si solleva inevitabilmente una questione antropologica che discuteremo adeguatamente più avanti. Se la realtà e il bene diventano un’idea, è giocoforza necessario considerare la persona come ridotta ad un soggetto del tutto astratto, privo di storia e naturalisticamente definita: la persona diventa un individuo, schiavo del tempo e delle necessità materiali. La libertà diventa così un’illusione che storicamente il pensiero liberale pagherà a caro prezzo. Il genio di Pascal fu quello di comprendere, per primo, lo scacco della modernità e la reale questione antropologica che poneva la concezione idealistica della scienza con la conseguente riduzione della realtà ad espressione fenomenica: “avevo trascorso gran tempo - dirà Pascal - nello studio delle scienze astratte, ma la scarsa comunicazione che vi si può avere con gli uomini me ne aveva disgustato. Quando cominciai lo studio dell’uomo, capii che quelle scienze astratte non si addicono all’uomo, e che mi sviavo di più dalla mia condizione con l’approfondirne lo studio, che gli altri con l’ignorarle. Ho perdonato agli altri di saperne poco, ma credevo almeno di trovare molti compagni nello studio dell’uomo. Sbagliavo: sono meno ancora di quelli che studiano le matematiche”.163 Le illusioni non durano. La reazione contro il clericalismo della Ragione illuminista così concepita, la quale non possedeva il senso della miseria umana ferita dal peccato, viene effettuata da ambedue i due piani di giudizio, quello della volontà e quello dell’intelletto.164 La prima reazione si è manifestata dalla parte della volontà e quindi del soggetto materializzato. In quanto tale, essa non è che una prosecuzione del razionalismo 162 MARITAIN, Pour la justice, p.101. 163 B. PASCAL, Pensieri, n. 176, Mondadori, Milano 1970, p. 135 . La distinzione sui due piani di giudizio qui presentata è sancita da A. Scola in relazione al fascismo e al comunismo e che a noi sembra opportuno estendere al piano speculativo, A. SCOLA, L’alba della dignità umana, la fondazione dei diritti umani nella dottrina di Jacques Maritain, Jaka Book, Milano 1982, p. 62. 164 82 antropocentrico in quanto mira alla deificazione definitiva dell’uomo, non più però sulla Scienza, ma attraverso un nuovo idolo lo Stato. Il caso più puro di questa tendenza è rappresentato dal marxismo. Una volta dimostrato fallace l’Illuminismo razionalista kantiano (storicamente coinciso con il fallimento della Rivoluzione francese), il marxismo verrà a sancire la condanna definitiva del razionalismo illuminista e della dottrina metafisica idealista, in nome di un “immanentismo realistico assoluto”.165 Facendo infatti della causalità materiale la causa assolutamente principale, Marx ha confuso il realismo col materialismo.166 Così Marx ha finito anch’egli per rifiutare ciò che qualifica la filosofia come tale, ovvero la realtà intelligibile dell’essere e del bene. A quest’errore Marx è stato costretto dai suoi stessi principi spirituali, i quali costituiscono lo sviluppo storico dell’ateismo antropocentrico e che portano Marx ad affermare che “non è la coscienza che determina la vita ma la vita che determina la coscienza”.167 Ormai l’antiteismo è giunto all’aseità divina, e ciò rende la dottrina marxista più efficace del positivismo: “il marxismo si accorda molto più profondamente ed efficacemente che non il positivismo con le energie storiche dell'ateismo moderno in quanto queste vanno verso la deificazione dell'uomo (cosa è mai la dottrina del grande essere in confronto alla deificazione dell'uomo vero, l'uomo divinizzato?)”.168 Alla base dell’epistemologia marxiana vi è quindi un ateismo positivo e assoluto che lo caratterizza sin dall’inizio. Da questo punto di vista, Marx è giunto alla fine della parabola moderna traendo le conseguenze del principio per cui solamente l’uomo con le sue sole forze opera la propria salvezza: “si pensa che sia solamente l’uomo con le sue forze a operare la propria salvezza, a compiere il proprio destino.. perché l’uomo è veramente solo e agisce veramente da solo a condizione che Dio non esista; e anche contro Dio, intendendo con questo che tutto ciò che, nell’uomo e nel contesto umano è immagine di Dio”.169 165 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 96. Da un punto di vista strettamente filosofico, le riflessioni proposte da Maritain su La filosofia morale, arricchiscono e chiariscono ulteriormente le riflessioni di qualche decennio prima proposte in Umanesimo integrale; si può pertanto concludere che il giudizio sul marxismo di Maritain non sia mai mutato, come del resto sostiene lo stesso Maritain in, La filosofia morale. Esame storico e critico dei grandi sistemi, Morcelliana, Brescia 1973, p. 252. 167 K. MARX, L’ideologia tedesca, tr. It. Di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 13. 168 MARITAIN, La filosofia morale, p. 346. 169 J. MARITAIN, Il crepuscolo della civiltà, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 173. 166 83 Così per affermare la divinità dell’Uomo, Marx ha dovuto necessariamente negare l’autonomia alla morale e alle altre forme ideologiche come la religione giudicandole senza storia. Egli non ha rifiutato i valori ma ha negato la loro autonomia perché ha rifiutato la realtà dell’essere, postulando la loro dipendenza dalle produzioni materiali prodotte dalla storia che in modo dialettico determinano l’evoluzione della società.170 E’ proprio questa dipendenza determinante dello spirito dalla materia che avvia “la singolare degradazione che il marxismo fa subire alla controversia filosofica”.171 Marx è un continuatore dell’Illuminismo, spostando il baricentro dalla Ragione aprioristica al Titano dello Stato proletario divenuta l’attività madre del processo dialettico. E’ a questo nuovo idolo, ben più potente, che spetta il compito di produrre l’etica politica. Se la dottrina illuministica sottomette la sapienza alla Scienza, il marxismo sottomette la sapienza alla Politica con la relativa distruzione della ragione e della morale naturali. Nietzsche è dietro l’angolo e verrà a trarre la conseguenza ultima di una dialettica inaugurata con l’avvento dell’Io e la conseguente eclissi di Dio: “solo ora viene il grande mezzogiorno, solo ora l’uomo superiore, diventa signore!”,172 afferma il filosofo del nichilismo. Così l’inversione dell’ordine è ora completata: il cielo è interamente sottomesso alla Terra. La seconda reazione al fallimento dell’Illuminismo avviene sul piano di giudizio dell’intelletto. Se nella prima reazione si fà della causa materiale la causa assoluta per eliminare ogni traccia spirituale che possa richiamare Dio, nella seconda reazione si assolutezza la causa spirituale, facendo di Dio un’Idea. Il caso più puro è rappresentato qui da Hegel. E tuttavia, come la protesta di Marx è in continuità con quella cartesiana, la protesta hegeliana è in continuità con la filosofia politica di Machiavelli. Come si è già detto, anche questa seconda scuola di pensiero moderna rifiuta la determinazione ontologica della morale e quindi la sua struttura intelligibile. Machiavelli in realtà ha espresso questo principio in negativo perché egli ha mirato con successo a separare la politica dall’etica. Il realismo, a questo stadio, è ridotto alla cosiddetta Sottolinea Maritain, “ciò che distingue il marxismo non è soltanto il fatto d’insegnare la preponderanza dell’economico, è il fatto di far dipendere tutte le forme della vita, con tutti loro valori e tutta la loro efficienza, non negati, ma resi vassalli da questo assoluto materiale in movimento dialettico”, MARITAIN, La filosofia morale, p. 252. 171 Ibid. 172 “Dinanzi a Dio! Ora però questo dio è morto! Uomini superiori, questo dio era il vostro grande pericolo. Da quando giace nel sepolcro, voi siete di nuovo resuscitati”, F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, Giunti Demetra, Prato 2001, p. 333. 170 84 “verità effettuale”, che per Machiavelli significa un pessimismo naturale riguardo ad una natura incapace del bene. Da questo punto di vista, il compito della Politica è un compito negativo.173 Per una dialettica interna inevitabile, che Maritain ha dimostrato,174 dal machiavellismo debole e moderato di Machiavelli si passerà al machiavellismo assoluto di Hegel, che costituisce la sublimazione metafisica dei principi di Machiavelli, visto che il pensatore tedesco conferisce una sistematicità autentica e definitiva: “così il cerchio si chiude. L’etica stessa è inghiottita nella negazione politica dell’etica”.175 Questa soluzione si connota come antifilosofica perché negando la dimensione ontologica dell’etica-politica nega all’intelletto la capacità di riconoscere l’ordine reale, delegando non più alla ragione ormai sconfitta, ma ad un altro assoluto terrestre la Nazione la produzione dell’etica. Spetta solo al Potere dello Stato Nazionalistico fare la politica; e in ciò si vede come anche questa soluzione inverte l’ordine dello spirito. In definitiva, sia con Kant che con Marx e con Hegel la modernità, separando la contemplazione dall’azione, ha destrutturato ontologicamente l’etica politica capovolgendo fondamentalmente l’autentico ordine politico. Questa rottura tra ragione e fede ha infatti inevitabilmente proiettato la modernità su di un piano inclinato sfavorevole all’intelligenza, tanto da far dire a uno dei maggiori pensatori moderni - parliamo di Rousseau - che il pensare gli era estremamente doloroso. Infatti, dalla scelta di fondare una ratio senza il nous si è finiti alla volontà soggettiva che vive di soli pulsioni istintive, e di cui Nietzsche ha espresso il punto di arrivo, indicando l’essenza dell’essere nella volontà di potenza. Nietzsche ha così 173 Il discorso meriterebbe qualche sviluppo se non fosse che in questo capitolo stiamo affrontando il problema della rottura del cognitivismo etico proprio dell’epoca moderna. Dobbiamo dunque rinviare al cap. II una discussione più approfondita fra gli aspetti etici e politici del pensiero di Machiavelli. Diciamo solo che in realtà la separazione della morale dalla politica è propria del Principe. In un’opera successiva come I Discorsi sulla prima decade di Tito Livio, Machiavelli si preoccuperà di congiungere ciò che prima aveva separato accuratamente subordinando però l’etica alla politica, dal momento che l’etica politica ha perduto nel Principe ogni riferimento ontologico. Resta comunque vero che il compito di Machiavelli è stato un compito fondamentalmente di separazione: “la responsabilità storica di Machiavelli è di avere accettato, riconosciuto e accolto come regola il fatto dell’immoralità politica e di aver dichiarato che la buona politica, quella conforme alla sua natura e ai suoi fini autentici, è per essenza un politica non morale”, MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 120. 174 “In verità la dialettica dell’ingiustizia è invincibile. Il machiavellismo divora se stesso. Il machiavellismo comune ha divorato e distrutto il machiavellismo di Machiavelli. Il machiavellismo assoluto divora e distrugge quello moderato. Il machiavellismo debole e attenuato è fatalmente destinato ad essere sconfitto dal machiavellismo assoluto e virulento”, ibi, p. 155. 175 Ibi, p. 131. 85 tirato le conclusioni della parabola moderna sia sul piano etico, affermando “l’io voglio” a spese del “tu devi”, che sul piano speculativo, affermando il volo a spese del cogito,176 conducendo al risultato di distruggere ogni ordo e ogni valore. Egli ha chiuso e portato a compimento la dialettica moderna, generata da Lutero con l’avvento dell’Io, facendo del superuomo “il senso della terra”.177 Pertanto le due fratture moderne, sul piano dell’intelletto e della volontà, hanno le stesse conseguenze ultime, e in ciò si dimostrano figlie dello stesso spirito moderno, creando “una illusoria e mortale antinomia tra ciò che si chiama idealismo (a torto confuso con la morale) e ciò che si chiama realismo (a torto confuso con la politica)”.178 Quest’antinomia “è stata il flagello della storia moderna”,179 e trova le sue fonti teologiche e spirituali nella Riforma protestante: “bisognerebbe segnalare a questo proposito la nozione luterana della totale corruzione della natura umana e la grande rottura luterana fra fede e ragione, come tra Vangelo e cultura e tra ordine morale e ordine politico e giuridico. La totale dipendenza di Kant (e da un punto di vista completamente diverso, di Hegel) da Lutero è evidente”. 180 Di questa inversione dell’ordine la responsabilità nella scienza politica appartiene storicamente a Machiavelli, il quale ha fatto della politica non una conoscenza per agire ma un mero fare, spostando la politica dall’agire (praktikon) al produrre (poietikon). Il pessimismo di Machiavelli ha finito così per espellere “l’etica, la metafisica e la teologia dal regno della scienza e della prudenza politica”, e ciò ha cagionato “la più violenta mutilazione che sia inflitta all’intelletto pratico dell’uomo e all’organismo della saggezza pratica”. 181 Nel primato dell’azione sulla contemplazione e della politica sulla verità si definisce la nuova frontiera della scienza politica moderna nella sua opposizione al medioevo, che da parte sua 176 Si vedano le brillanti pagine che V. Possenti dedica al declino della conoscenza nel mondo moderno, in V. POSSENTI, Le società liberali al bivio, lineamenti di filosofia della società, Marietti, Genova 1991, pp. 174175. 177 Continua Nietzsche: “la vostra volontà dica che il superuomo sia il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra e non credete a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Che lo sappiate o meno, sono degli avvelenatori”, NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, p. 17. 178 MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 122. 179 Ibi, p. 152. 180 Ibi, p. 117. 181 Ibi, p. 120. 86 riposava sul primato della conoscenza sull’agire, in ultimo di Dio sull’uomo. Ha scritto in modo decisivo Koyré: “con Nicolò Machiavelli siamo veramente in un mondo tutto diverso. Il medioevo è morto, anzi, è come se non fosse mai esistito. Tutti i suoi problemi: Dio, la salvezza, i rapporti tra oltre mondo e mondo, la giustizia fatta fondamento divino del potere, nulla di tutto questo esiste per Machiavelli. Egli conosce una sola realtà, quella dello Stato e per lui c’è solo un fatto, quello del Potere. Quindi a lui interessa un solo problema: come si afferma e si conserva il potere dello Stato…l’immoralismo machiavelliano è semplicemente un fatto logico. Dal punto di vista da cui guarda le cose, religione e morale non sono che fattori sociali ossia sono fatti che occorre sapere usare e con cui fare i conti. Solo questo, e basta!”.182 Machiavelli, padre della scienza politica moderna, ha tentato la razionalizzazione della politica ma al di fuori dell’ordine della saggezza, ed è fallita, perché osserva Maritain,“la razionalizzazione della politica, non sarà veramente compiuta e veramente reale che quando sarà stata realizzata sul piano della sapienza pratica e della vera morale, della vera etica politica”.183 Da questo punto di vista, il punto di svolta della modernità può essere solo il ritorno alla complementarietà di intelletto e volontà, di realismo e di etica, a cui soltanto lo spirito cristiano può porre rimedio. La sapienza cristiana tomista può risolvere il contrasto tra conoscenza della verità e prassi, perché essa unisce intelletto e Mistero nel cuore dell’essere e dell’esistenza, superando così “l’antinomia, la divisione mortale creata fra l’etica e la politica sia dai machiavellisti che dagli ipermoralisti: perché la politica è essenzialmente morale, e perché l’etica è essenzialmente realista, non nel senso di qualche Realpolitik, ma in quello della realtà umana del bene comune”.184 Se a partire dal soprarazionalismo antifilosofico di Lutero si è giunti all’antirazionalismo nichilista di Nietzsche che ha distrutto ogni metafisica, la sfida che hanno davanti i secoli futuri sarà quella di difendere la ragione davanti alle potenti forze nichiliste irrazionaliste che oggi minacciano l’uomo; difesa che può essere trovata solo nell’Avvenimento dell’Incarnazione in cui fede e ragione si trovano fondamentalmente alleate: A. KOYRE’, Etudes d’histoire de la pensée scientiphique, Gallimard, Paris 1966, p. 11. MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 155. 184 Ibi, p. 152. 182 183 87 “c’è attualmente un cambiamento di posizioni assai significativo. Contro il razionalismo, che separava la ragione umana da quei doni superiori di cui ora dicevo il cristianesimo ha dovuto difendere a lungo la legittimità della fede. Ma quando la dialettica interna del razionalismo ha portato ad una dissociazione degli stessi valori razionali, allora ecco che il cristianesimo ha dovuto difendere la ragione contro le filosofie irrazionaliste”.185 L’opera di integrazione universale richiesta ai cristiani davanti alla modernità sarebbe di estrema ingenuità qualora essi non si sforzassero di “discernere con cura i principi spirituali e il modo con cui essi sono regolati, in coloro che vi si abbandonano [..] al contrario, una volta assicurato il lavoro di consolidamento che garantisce per così dire la specificità della nostra vita intellettuale, allora e soltanto allora possiamo e dobbiamo lasciar agire liberamente la tendenza così mirabilmente universalistica manifestata in san Tommaso d’Aquino. Che porta dappertutto cercare le concordanze più che le opposizioni, i frammenti di verità più che le privazioni e le deviazioni…. a edificare più che a disperdere”.186 Alla restaurazione dell’intelletto è così sottesa tutta una refusione sostanziale dello spirito moderno, e ritorno alle sorgenti autentiche della conoscenza e alla struttura intelligibile dell’essere e del bene morale, secondo le linee seguite da Maritain, “la condizione per l’opera di riconciliazione di cui parliamo consiste, a nostro parere, nel costituire in uno spirito completamente nuovo, voglio dire in uno spirito veramente realista e metafisico, la critica della conoscenza”.187 In questo san Tommaso c’è ancora maestro. E’ nel pensiero di san Tommaso infatti che tali trovano interamente la loro soddisfazione acquistando piena sistematicità nelle rispettive sfere di competenza distinti e unite. Non è necessario dunque alcun compromesso con la modernità, come avvertiva sapientemente Maritain, attendendo il giorno in cui tutte le maschere sarebbero cadute:188 185 J. MARITAIN, Intelligenza e vita, in Questioni di coscienza, p. 244. MARITAIN, Antimoderno, introduzione, pp. 21-22. 187 J. MARITAIN, Sulla conoscenza umana, in Ragione e ragioni, p. 29. 188 Scriveva Maritain negli anni trenta: “chi misurerà quali necessità storiche racchiudeva la parte assunta da Lutero? Chi quello che il personaggio di Cartesio conservava d’autenticamente cristiano? Bisogna attendere il giorno in cui tutte le maschere cadranno”, MARITAIN, Religione e cultura, p. 58. 186 88 “la filosofia scolastica non può vedere che tempo perso, e pericolosamente perso in quei futili tentativi di concordismo che si sforzano di fare di Einstein e di Aristotele dei compagni di caccia in cerca di una stessa specie di verità e di spiegazione. La filosofia tomista e la scienza moderna non hanno bisogno di essere riconciliate, esse vanno naturalmente d’accordo”.189 E’ necessaria dunque una soluzione autenticamente filosofica di cui “la civiltà moderna ha sofferto la mancanza”,190 e che sappia restituire all’intelligenza la sua dignità originaria dovuta al fatto che essa in assoluto non è strumento di Potere, come pensava Bacone per cui sapere è potere, e neppure è strumento dell’Azione come voleva Machiavelli: essa serve soltanto della verità. Ed è questo solo che garantisce l’eternità ovvero la dignità dell’uomo.191 Maritain ha dovuto lottare contro il suo tempo per dare testimonianza alla verità. Ciononostante, davanti alla rivoluzione essenzialmente anticristiana operata dalla modernità, Maritain non ha rigettato i guadagni materiali nel piano speculativo posti sulla ratio e sulle scienze fisiche e matematiche, e sul piano pratico sulla valorizzazione della dimensione individuale, ma, attraverso il ristabilimento del primato lì dell’intelletto e qui della persona, egli ha ristabilito la gerarchia interna all’uomo, salvandone i guadagni. Egli ha sempre difeso la specificità e la superiorità della filosofia sulla politica, ovvero la trascendenza e l’irriducibilità dello spirito di fronte al mondo. Non si è mai inginocchiato davanti ad esso: “rimanere filosofo e agire come filosofo, obbliga a tenere ferma in ogni caso la libertà della filosofia, ed MARITAIN, La filosofia e l’unità delle scienze, Quattro saggi dello spirito umano e la sua condizione carnale, p. 191. 190 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 156. 191 “Se l’uomo può giungere a una vita sovraumana ciò avverrà, scrive Maritain, solo o innanzitutto attraverso le virtù intellettuali, attraverso l’attività della contemplazione, che lo rapisce nell’oggetto e o strappa dalla vita umana. Il superuomo secondo Aristotele è il sapiente che indaga le cose eterne”. Il pensiero di Aristotele è formalmente corretto, e tuttavia deve essere trasfigurato dalla contemplazione cristiana per poter giungere alla sua verità. La contemplazione cristiana differisce da quella greca per tre caratteri: “Invece di avere come unico fine la personale perfezione di colui che contempla, essa è per l’amore di Colui che è contemplato; non si ferma all’intelligenza come se fosse il suo fine, ma passa nel desiderio mediante l’amore; non si contrappone all’azione escludendola, ma al contrario la lascia traboccare dalla sua sovrabbondanza. Giacché l’azione che procede dalla sovrabbondanza della contemplazione si addice ai figli di un Dio che non solo gode in se stesso della sua eterna perfezione, ma ha liberamente prodotto delle opere ad etra ed ha inviato il suo Verbo a compiere tra noi l’opera della redenzione. Una tale azione, che si aggiunge ala contemplazione senza diminuirla (come un’addizione, dice san Tommaso, non come sottrazione), è propria della vita più perfetta, più divina che umana, di quella vita che il Cristo ha portato sulla terra, e che è sempre la vita contemplativa, la quale però sovrabbonda fuori di sé. Otium sanctum quadri caritas veritatis, negotium justum susciti necessitas caritatis”, MARITAIN, La teoria del superuomo, in Théonas, pp. 16-19. 189 89 in particolare ad affermare a tempo e a contrattempo l’indipendenza della filosofia di fronte ai partiti quali che essi siano [..] L’indipendenza del filosofo è voluta dalla natura propria di un sapere che di per sé è una saggezza e che anche quando si riferisce nel modo più diretto al contingente lo domina sempre; l’indipendenza del filosofo testimonia la libertà dell’intelletto di fronte all’istante che passa”. 192 Dicendo “dobbiamo tornare a san Tommaso”,193 il grande papa polacco ha indicato la via per sostituire al falso illuminismo del cogito il vero illuminismo della conoscenza, alla civiltà dell’individuo la civiltà della persona, alla filosofia dell’Io la filosofia dell’essere. E questa è stata la via perseguita e aggiornata intellettualmente da Maritain: “dopo le filosofie trascendentali, positivistiche e della prassi, ha scritto definitivamente Possenti, Maritain rappresenta il filosofo dell’essere capace di elaborare una interpretazione della filosofia moderna completamente diversa da quelle offerte dalle citate correnti; capace perciò di avviare la rottura con le culture immanentistiche atee dell’ottocento e del novecento”. 194 La riuscita dell’opera filosofica di Maritain ci invita a sperare che il mondo uscirà dalla prova che lo sta purificando a condizione di porre mano ad un vasto rinnovamento spirituale e culturale che restituisca alla ragione la sua capacità di conoscere la Realtà cui è ordinata la morale in tutte le sue articolazioni.195 Nessuno scampo è possibile per le intelligenze del XXI sec. che possono fare diventare questo tempo incerto e cupo come il tempo della libertà. MARITAIN, Lettera sull’indipendenza, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 46. GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, p. 23. 194 POSSENTI, Tra secolarizzazione e nuova cristianità, pp. 209-210. 195 In questo senso si veda il “testamento” di Maritain sul realismo filosofico, che oggi acquista una straordinaria attualità e soprattutto una necessità, che Maritain ha lasciato in Condizioni del progresso e della pace, “il ruolo dello spirituale nei riguardi della storia temporale e del suo progresso è innanzi tutto un ruolo di ispirazione. E’ anche, essenzialmente, un ruolo di educazione dell’essere umano, di rinnovamento culturale, e se posso dirlo, di mobilitazione dell’intelligenza e dei poteri di conoscenza. In effetti l’ispirazione è lo slancio spirituale in atto nelle regioni superiori dell’anima richiedono necessariamente un vasto lavoro della ragione che rinnova le sue prospettive e comprende più a fondo le articolazioni del reale. Solo a questa condizione si possono rinnovare il nostro regime ordinario di pensiero e il nostro comportamento”, in MARITAIN, Approches sans entraves, Vol. II, I, pp. 245 e succ.. 192 193 90 Davanti all’interrogativo che oggi si pone, se cioè nel dramma attuale in cui si consuma il frutto della separazione tra ordine ideale e ordine reale sapremo restaurare l’ordine dello spirito e ritrovare l’armonia tra sapienza e scienza, riteniamo che la risposta vada cercata nella capacità di seguire le guide che il buon Dio ha preparato per una nuova epoca umanistica perché realmente intellettuale. “egli – scrive Raissa, riferendosi a Jacques- ha creato una filosofia politica, la sola costituita per lottare contro quella di Machiavelli, universalmente seguita fino ad oggi dagli uomini di Stato, e se ne vedono i risultati! A questo “anti-machiavelli” che Jacques propone perché non potrebbero ispirarsi i nuovi uomini d’azione?”.196 « Cahiers Jacques Maritain », nn. 7-8, settembre 1983, p. 11; dell’opposizione dell’opera di Maritain alla filosofia politica di Machiavelli si veda l’importante testo di V. POSSENTI, Il” progetto politico” di Maritain e l’anti-machiavelli dei tempi moderni, in Tra secolarizzazione e nuova cristianità, pp. 137-166. 196 91 II capitolo Analisi concettuale delle categorie politiche nella storia delle dottrine politiche. “Il mondo moderno attraversa una gigantesca rivoluzione.. un’autentica rivoluzione dello spirito. L’umanesimo dei tempi moderni è superato…. Là dove non c’è Dio non c’è l’uomo, ecco la scoperta sperimentale del nostro tempo” Berdjaev, Nuovo medioevo 2.1 I concetti di Chiesa e corpo politico e le loro relazioni nell’ambito della distinzione fra potere spirituale e potere temporale Le relazioni fra Chiesa e corpo politico richiamo in tutta la loro estensione il rapporto fra religione e politica. Si potrebbe anche dire fra religione e cultura in quanto la politica è la forma più compiuta di cultura; la politica infatti ha il compito di incivilire la società. Ha scritto giustamente Bars che “la politica è la culla della vita civile”.1 1 BARS, Il pensiero politico di Jacques Maritain, p. 55; la nozione di civiltà è più estesa di quella di politica, ma non né è separata, in quanto la civiltà non è che il fine cui tende la politica; non a caso i due termini polis e civitas conservano la stessa radice etimologica ovvero città; così Maritain può affermare che i valori di civiltà (di cultura) sono elementi integranti del bene comune politico, MARITAIN, Religione e cultura, pp. 59-61; Giovanni Paolo II ha scritto che “il significato essenziale della parola cultura, secondo queste parole di san Tommaso (Genus humanum arte et ratione vivit) (…) sta nel fatto che essa è una caratteristica della vita umana come tale. L’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura (..) la cultura è un modo specifico dell’esistere e dell’essere dell’uomo (..) L’uomo, che nel mondo visibile è l’unico soggetto ontico della cultura, è anche il suo oggetto e il suo termine. La cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo, “è” di più, accede di più all’ “essere”. (.. ) L’esperienza delle diverse epoche, senza escludere la presente dimostra che si pensa alla cultura e che se ne parla anzitutto in relazione alla natura dell’uomo e solo in modo secondario e indiretto in relazione al mondo delle sue produzioni (..) la dimensione primaria e fondamentale della cultura è la sana moralità: la cultura morale”, GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’Unesco (2 giugno 1980), L’integrale 92 Sappiamo che il rapporto fra religione e politica è stato risolto in linea di principio da Gesù Cristo; e da allora le società cristiane che si sono succedute nella storia hanno cercato sempre di ispirarsi alle Sue parole: “date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”.2 Parlando di Cesare e di Dio, non diremo Stato e Chiesa, ma corpo politico e Chiesa in quanto il corpo politico è nozione più estesa dello Stato e comprensiva dell’intera articolazione della società politica il cui prius è costituito dal popolo. Il popolo, scrive Maritain, è infatti “il concetto più alto e più nobile. Il popolo è la libera sostanza vivente del corpo politico”.3 Lo Stato è una parte del corpo politico subordinata al popolo. Per non chiudere subito qui la questione, diciamo che non vi può essere dubbio alcuno, e non ve né è per Maritain, che preso in sé stesso Dio è altra cosa, trascendente, e di conseguenza infinitamente al di sopra di Cesare: egli è il Signore.4 E c’è voluta la Rivelazione per decretare l’assoluta alterità e trascendenza di Dio, l’assoluta signoria del cielo rispetto al mondo e alla terra. In tal modo, decretando cioè la supremazia del Regno di Dio sul regno di Cesare, la Rivelazione del Cristo ha liberato i cuori, affrancando l’atto libero dall’appartenenza a questo mondo.5 I pagani non sono pertanto riusciti a distinguere la religione rispetto alla politica, perché ciò non è una conquista umana, ma un dono elargito dalla Rivelazione divina e vincolato alla sua fede. Pur consapevoli dell’ordinazione della politica alla morale e a Dio, gli Antichi “non hanno visto con sufficiente chiarezza che il supremo bene della vita umana è Dio stesso”.6 Per altro verso, pur partendo da una prospettiva opposta, anche gli Ebrei hanno confuso religione e politica, vincolando il Regno di Dio a questo mondo, in continuità col modello delle teocrazie. Soltanto con la Rivelazione dell’assoluta trascendenza di Dio7 il cristianesimo ha testimoniato per il mondo antico un’autentica rivoluzione dello spirito,8 portando a umanità dell’uomo si esprime nella cultura, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Vol. III, 21, 1980 Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano 1980, pp. 1639s e 1645. 2 Mt, 12,17. 3 Cfr. BARS, Il pensiero politico di Maritain, pp. 53-54; un’analisi ampia e dettagliata sul concetto filosofico politico della parola popolo è stata condotta da POSSENTI, Le società liberali al bivio, pp. 100-139; sul punto anche D. COCCOPALMIERO, Introduzione alla dottrina dello Stato, Cedam, Padova 1998, p. 40. 4 MARITAIN, Primato dello Spirituale, pp. 141-181. 5 Ibi, p. 39. 6 Ibi, p. 41. 7 Il Signore ha detto “Il mio Regno non è di questo mondo”, Gv, 18-36. 8 Come ha scritto Acton: “nel mondo ebraico come in quello dei Gentili i doveri politici venivano a coincidere con quelli religiosi; perciò nell’uno e nell’altro – nella teocrazia ebraica come nella politeia - lo Stato era assoluto. Ora la grande mira della Chiesa consiste nel rendere impossibile ogni assolutismo, di qualsiasi sorta 93 compimento la promessa fatta a Mosé,9 assegnando il titolo di Pontefice non più all’Imperatore Romano ma al Vicario di Cristo, il Papa. Questo principio è stato nuovamente invertito con l’avvento dell’epoca moderna e la relativa fine dell’epoca cristiana medievale. Adesso sono nuovamente i Principi, battezzati dalla Riforma protestante, a stabilire la religione: cuis regio eius religio. Da questo punto di vista, osservando l’inginocchiamento delle comunità religiose protestanti sorte in epoca moderna rispetto a coloro che essi chiamano sovrani, e, dall’altra parte, il baluardo rappresentato dalla Chiesa cattolica contro ogni adorazione dello Stato, si comprenderà come la Chiesa, in quanto prosecuzione dell’Incarnazione nella storia, non subisce il mondo, ma lo domina: “lo spirituale giudica ogni cosa senza essere giudicato da nessuno”.10 In ciò consiste ultimamente il principio fondamentale di una società politica cosciente dei suoi fini assoluti e della sua vocazione eterna: il primato assoluto dello spirituale sul temporale e della Chiesa sul corpo politico, in quanto il suo bene è di natura infinitamente più alta rispetto al bene naturale.11 Nello stesso tempo, per il privilegio proprio dell’Incarnazione la Rivelazione del Verbo, Sapienza di amore e di unità, nella misura in cui restituisce a Dio i suoi diritti, conferisce a Cesare il proprio primato temporale.12 Fra i due poteri non può esservi un rapporto dualistico che separa, isolandoli, l’ordine di Dio dall’ordine di Cesare, così come non può esserci confusione. Confondere o separarli esso sia, facendo sì che le due sfere restino permanentemente distinti – dando a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, L. ACTON, Cattolicesimo liberale, saggi storici, traduzione e introduzione di Paolo Alati, Felice Le Monnier, Firenze 1950, pp. 114-115. 9 “Ora se voi vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia Alleanza voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete un regno di sacerdoti e una nazione santa.”, Es 19, 5-6. 10 1Cor 2, 15. 11 “Il Regno di Dio è essenzialmente spirituale, e, per il fatto stesso che l’ordine suo proprio non è di questo mondo esso non arreca alcuna minaccia ai regni e alle repubbliche della terra. Non eripit mortalia, qui regna dat caelestia. Ma proprio perché è spirituale, il Regno di Dio è di natura migliore e più alta dei regni e delle repubbliche della terra. Dobbiamo eliminare dalla parola “superiorità” qualsiasi connotazione accidentale di dominio o di egemonia; dobbiamo intendere tale parola nel suo significato puro e semplice, che sta ad indicare un posto più elevato nella scala dei valori, una più alta dignità”. Da ciò deriva il secondo principio, ovvero “la superiorità della Chiesa – in altre parole dello spirituale- sul corpo politico e sullo Stato”, MARITAIN, La Chiesa e lo Stato, L’uomo e lo Stato, p. 151; MARITAIN, Primato Spirituale, pp. 194-195; sul punto CH. JOURNET, Exigences chrétiennes en politique, Egloff, Paris 1944, cap. II. 12 Osserva giustamente Possenti, “la condizione per dare fruttuosamente e secondo giustizia a Cesare è di dare a Dio quanto gli spetta, e comunque di mantenere il diffalco tra Cesare e Dio e la superiorità del primo”, POSSENTI, L’azione umana, morale, politica e Stato in Jacques Maritain, p. 148. 94 significherebbe infatti distruggerli. Piuttosto, la loro relazione è di distinzione nell’unità, ad esempio dei rapporti vigenti tra fede e ragione in seno all’epistemologia. D’altra parte, abbiamo già notato come la parte speculativa e quella pratica non sono che due aspetti della medesima problematica. Collocandosi in questa dinamica, Gilson ha potuto constatare che la classica distinzione tra natura e grazia vale su tutti i campi: “è possibile porre come legge filosofica storicamente verificabile che c’è una correlazione necessaria tra la maniera di come si concepisce il rapporto tra lo Stato e la Chiesa, quella di come si come si concepisce il rapporto tra la filosofia e la teologia e quella di come si concepisce il rapporto tra la natura e la grazia”.13 Con un’espressione sintetica potremmo dire che l’ordine naturale rettamente impostato, esige che fra Dio e Cesare non ci sia separazione ma distinzione. Diamo dunque a Cesare ciò che è di Cesare, senza però dimenticare che ciò che è di Cesare è prima di Dio. Abbiamo così due sistemi di relazioni che non sono uguali fra loro perché concernono fini diversi, e in quanto tale sono autonomi. Vi è un fine assolutamente ultimo, Dio, e un fine relativamente ultimo, Cesare. In questo senso, l’autonomia di Cesare assume un significato più esteso e profondo di quello ordinariamente assunto, e che si può esprimere nel principio secondo cui il mondo è altro da Dio in quanto ordinato non direttamente a Dio, ma alla persona immagine di Dio. In questa prospettiva comprendiamo come il regno di Cesare sia in realtà il regno della persona umana. Il regno di Cesare è creato in funzione della libertà di svolgimento della persona umana, la quale esercita tale primato per la sua peculiare natura personale, in virtù cioè del suo primato ontologico: la natura è parlata dal Verbo in direzione dell’uomo, 14 in quanto per eccellenza è l’esistente che non è Dio.15 L’uomo è costituito signore del creato in quanto dotato di una consistenza ontologica superiore ad ogni altro essere; pertanto, il fine naturale del mondo non può che racchiudere 13 E. GILSON, Dante et la philosophie, Vrin, Paris 1939, p. 200. “O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra… Se guardo il tuo cielo opera delle tue dita la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna”, Sal 8, 2-10; in tutto il Vangelo ricorre l’ordinazione del creato in funzione dell’uomo, secondo il principio generale espresso dal Cristo: “il sabato è fatto per l’uomo”, Mc, 2,27. 15 “Che cos’è il mondo? In senso molto generale, è l’insieme delle cose create, l’esistente che non è Dio”, MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 96. 14 95 l’universo umano e materiale ordinato alla persona. In virtù di una logica implacabile, che apparirà sempre più chiara, il primato assoluto dello spirituale è la garanzia del primato del primato relativo della persona. Il primato ontologico della persona umana è dunque potenziale: esso diventa effettivo con la collaborazione del corpo politico, che agisce come strumento al servizio della sua libertà di svolgimento.16 E a fortiori con l’ausilio di Dio, a motivo del fatto che l’uomo è stato creato con il privilegio dell’immagine di Dio e pertanto nella misura in cui dipende, in cui cioè serve la Sapienza divina, esercita maggiormente la sua signoria sul creato: “tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”.17 I due poteri Chiesa e corpo politico sono così chiamati a cooperare sia nella realizzazione del fine naturale che di quello sovrannaturale. Con riferimento al fine naturale, diciamo allora che la società civile persegue il suo fine naturale nella storia attraverso due movimenti contingenti: un movimento orizzontale che parte dal “basso” e consiste nelle “germinazioni spontaneamente prodotte in seno alla coscienza profana e temporale”; e un movimento verticale che parte dall’alto e ha “la sua fonte nella dottrina ufficiale della Chiesa, in modo particolare negli insegnamenti e nelle indicazioni pratiche contenute nelle encicliche pontificie, le quali stimolano, orientano e controllano il movimento che parte dal basso”.18 La persona in quanto umana è membro del corpo politico, ma in quanto persona appartiene direttamente alla città di Dio ed è membro del Corpo di Cristo.19 Una divisione assoluta fra Chiesa e corpo politico non è perciò possibile perché significherebbe una scissione tra l’uomo 16 Cfr. J. MARITAIN, La persona umana e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1948. 1Cor 3. 22-23; Maritain ha osservato, da questo punto di vista, come l’espressione di Pietro e degli Apostoli, “è meglio ubbidire a Dio, piuttosto che agli uomini” (At 4, 29) costituisce il fondamento della libertà dell’uomo di fronte allo Stato, passando dal livello religioso a quello del diritto naturale. Infatti osserva Maritain nell’espressione degli Apostoli è almeno implicita la trascendenza della persona umana nell’ordine naturale e quindi politico, si veda J. MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale in Cristianesimo e democrazia, Comunità, Milano 1953, p. 117. 18 MARITAIN, Ragione e ragioni, pp. 300-304. 19 Maritain, in un articolo apparso nel 1935 sulla rivista Sept, ha mostrato come le attività del cristiano si distribuiscano su te piani distinti. Riassumendo diciamo che nel primo piano, quello spirituale, agiamo per la vita eterna e come membri del corpo mistico di Cristo. Su un secondo piano di attività, il piano temporale, agiamo come membri della città terrena, la quale pur essendo rapportata a Dio ha come oggetto determinante l’opera della civiltà. Fra questi due piani non c’è separazione ma distinzione gerarchica. Vi è poi un altro piano di attività, intermedio, che di per sé appartiene al primo piano ma ne è distinto accidentalmente perché riguarda i punti di applicazione dell’attività spirituale sul piano naturale. Diciamo, in conclusione, che l’ordine spirituale è insieme superiore all’ordine temporale e in connessione organica e vitale con il piano temporale, J. MARITAIN, Struttura dell’azione, Allegato a Umanesimo integrale, pp. 307 e succ.. 17 96 e la persona, “significherebbe, osserva Maritain, che la persona umana dev’essere tagliata in due”.20 Il movimento verso Dio fa così parte integrante del bene comune stesso della società politica e richiede la sua subordinazione intrinseca ed essenziale allo spirituale, secondo le osservazioni di Maritain: “lo stesso bene comune della società temporale implica che le persone umane siano indirettamente assistite da essa nel loro movimento verso la propria maturazione sovratemporale, senza di che non c’è felicità umana”.21 Il primato della persona in quanto umana si esprime culturalmente in tre modalità specifiche, che rilevano per la politica in virtù del fatto che essa è opera di civiltà. Dal Libro del Genesi Maritain ricava il primo fine naturale, ovvero la signoria spirituale e materiale dell’uomo sulla natura: “tale fine –aggiunge Maritain- è la conquista della sua libertà di autonomia: l’essere che possiede in sé un elemento spirituale tende ad affrancarsi sia dal dominio che dalla pressione esercitata su di lui da una natura fisica, sia dall’asservimento ad altri uomini”.22 Osserviamo di passaggio un problema che tratteremo adeguatamente più avanti, ovvero come questo fine naturale possieda i requisiti fondamentali per giustificare i diritti dell’uomo. Il secondo fine naturale è inerente alla realizzazione delle potenzialità morali e conoscitive dell’uomo che di per sé tendono alla liberazione. Maritain indica questo fine naturale come “lo sviluppo delle molteplici attività immanenti o spirituali (auto perfezionanti) dell’essere umano specialmente lo sviluppo della conoscenza – in tutti suoi diversi gradi- e dell’attività creatrice dell’arte e per quanto concerne l’attività morale, il progresso nella conoscenza della legge naturale”.23 Infine, un terzo fine naturale Maritain lo ricava dalla parola evangelica “non vi è nulla di nascosto che non debba essere svelato”.24 Questa frase indica, ad avviso di Maritain, “un J. MARITAIN, La Chiesa e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 175; sul punto, MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 151. 21 MARITAIN, La carta democratica, in L’uomo e lo Stato, p. 127. 22 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 96; Maritain non ha mai mutato il giudizio come dimostra la sua opera tarda Il contadino della Garonna, pp. 66 e succ.. 23 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 98. 24 Mt, 10, 26. 20 97 terzo aspetto del fine naturale del mondo e precisamente la manifestazione di tutte le potenzialità della natura umana”.25 Questi tre fini infravalenti della persona umana possiedono una loro propria specificità. Essi sono in relazione reciproca con il fine ultimo assoluto, dal momento che la realizzazione di quest’ultimo è sospesa alla perfezionamento dei fini infravalenti. Essendo così due le patrie dell’uomo, il cielo e la terra, ognuna con un proprio fine, due saranno le autorità deposte per raggiungerli: la Chiesa e il corpo politico . La Chiesa è un’Istituzione di origine divina, altra rispetto al mondo; è la casa del Dio vivente, il Cristo diffuso e comunicato,26 come scrisse Bossuet. La Chiesa, pellegrina e crocifissa quaggiù, conduce gli uomini alla loro patria assolutamente principale, la vita eterna. Principale ma non unica, perché la vita eterna comincia sin da quaggiù con l’Incarnazione che pone un nuovo inizio nella Creazione. Così in definitiva il movimento verticale dell’uomo e della società verso Dio, di cui la Chiesa è guida e strumento, richiede per giungere a compimento tutto il percorso orizzontale della società nel tempo, secondo la vocazione temporale propria della società politica. Tra l’ordine temporale e quello spirituale vi è un’unità duale essendo sottoposti entrambi i regni sotto il primato di Cristo a causa della Sua divinità e dello strumento congiunto della Sua umanità. In quanto uomo, Cristo ha infatti ricevuto da Dio “il dominio sulle opere delle sue mani”,27 e come tale l’universalità regale di Cristo è duplice, estendendosi anche all’ambito civile in modo analogico.28 Di conseguenza, la Chiesa, che è la prosecuzione dell’Incarnazione del Verbo,29 ha ricevuto il potere “di guidare le anime, alla luce del dogma rivelato e della morale cristiana, verso la vita dell’eternità”,30 esercitandolo in maniera diretta. Nello stesso tempo, la Chiesa in materia 25 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 98. Cit. in MARITAIN, La Chiesa e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 149. 27 “Avendogli assoggettato ogni cosa nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso”, Eb, 2, 8. 28 “Cosicché i laici, dice il Concilio, che sul punto ha offerto una definizione dei rapporti qui analizzati, come in ogni cosa temporale devono essere guidati dalla coscienza cristiana, poiché nessuna attività umana, neanche nelle cose temporali, può essere sottratta al comando di Dio”, Dichiarazione Conciliare Lumen et Gentium, cc 36. 29 “La Chiesa cattolica insiste sul principio che la verità deve avere il sopravvento sull’errore e che la vera religione, una volta conosciuta, deve essere aiutata nella sua missione spirituale con preferenza rispetto alle religioni il cui messaggio è più o meno carente e dove l’errore si mescola con la verità. E questa una semplice conseguenza di ciò che l’uomo deve alla verità”, J. MARITAIN,« El Diario Ilustrado », (Santiago) 6 maggio 1944, MARITAIN, Ad alcuni miei contraddittori, in Ragione e ragioni, p. 204. 30 MARITAIN, Primato Spirituale, p. 46. 26 98 temporale, ovvero per ciò che concerne il fine naturale o politico, esercita un potere indiretto, lasciando al corpo politico la sua autonomia e il primato relativo nel suo ordine. Scrive Maritain: “ciò che così viene designato, è il potere che la Chiesa ha sul temporale non in quanto tale, ma in quanto interessa lo spirituale e l’ordine della salvezza; non in ragione del bene temporale che si procura, ma in ragione del peccato da denunziare o da evitare, del bene delle anime da conservare, della libertà della Chiesa da mantenere”.31 La Chiesa quindi ha due spade, una per il potere spirituale e l’altra per il potere temporale, di cui la seconda, da usare con riguardo alla sfera civile a motivo degli interessi eterni che vi sono coinvolti e quindi per il bene stesso della società civile. Tutto ciò comporta tre effetti: che il corpo politico non è strumento dello spirituale, ma causa principale subordinata; che il bene comune non è un semplice mezzo per la vita eterna ma un fine intermedio; che l’unità dell’organismo politico non presuppone la fede come vincolo giuridico. Maritain ha pensato in funzione di una società autenticamente politica perché vitalmente e realmente cristiana, e come tale rispettosa delle ordinazioni naturali ed essenziali della società politica: “per la società politica realmente e vitalmente cristiana che noi ci prospettiamo, la soppressione di ogni contatto e di ogni rapporto effettivo, vale a dire di ogni reciproca assistenza, tra la Chiesa e il corpo politico equivarrebbe semplicemente al suicidio”.32 Pertanto, la verità deve essere servita pubblicamente in quanto fa parte del bene politico secondo tutta la sua ampiezza.33 Da questo punto di vista, non esiste una società civile neutra, ma esiste (deve esistere) una società politica “vivamente e realmente cristiana”, ovvero “cristiana non già nelle sue apparenze ma nella sua sostanza”.34 31 Ibi, p. 47. MARITAIN, La Chiesa e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 175. 33 La fede in Cristo Risorto non può essere relegata ad un sentimento di carattere privato, ma è una Presenza esistenziale che in quanto tale investe lo spazio pubblico: “in tale concezione la società politica è organicamente legata alla religione, e non fa che rivolgersi consapevolmente alla fonte del proprio essere invocando l’assistenza divina e il nome divino come i suoi membri lo conoscono”, MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 79. 34 Ibi, pp. 80-81; in riposta all’indifferentismo religioso e al relativismo di cui Maritain è stato pure accusato e a cui egli ha risposto richiamando un capitolo de I diritti dell’uomo e la legge naturale: “ciò sta alla base di quel mio capitolo, come ognuno può vedere, è l’idea di una società civile non già neutra ma cristiana, cosciente della 32 99 Se infatti la verità fondamentale della società politica consiste in definitiva nel fatto che la persona deve realizzare le sue aspirazioni naturali, è altrettanto vero affermare che ciò è possibile nella misura in cui essa agisce da cristiano, “giacché è lui in persona, nella sua integralità, con la sua fede e la sua vita spirituale, come con la sua carne e il suo sangue, con le sue idee, le sue virtù, le sue passioni, i suoi interessi di uomo, ad essere impegnato nel combattimento temporale. Ecco dove si manifesta la grandezza e dove si presenta anche la difficoltà della missione temporale del cristiano”.35 Il termine da cristiano implica un’unità originaria d’ispirazione cristiana che si esplica direttamente o indirettamente in ogni campo, perché tale da assorbire e trasfigurare l’intero movimento dell’uomo, temporale e spirituale: “la vocazione temporale, avverte Maritain, riguarda l’oggetto di questo lavoro, la vocazione spirituale riguarda il modo e le modalità di compierlo, lo spirito nel quale è compiuto”.36 In definitiva, il bene comune del corpo politico è un fine ultimo relativo perché in un ordine determinato; e questo bene comune è perduto se si rinchiude in sé stesso giacché “per sua stessa natura è destinato a sostenere il movimento della persona umana verso fini più alti. La vocazione della persona umana a dei beni che trascendono il bene comune politico è incorporata nell’essenza del bene comune politico”.37 Per questo stesso motivo, il primato spirituale è la garanzia del bene politico stesso: “nella misura in cui la società tenta di liberarsi da questa subordinazione e di proclamarsi il bene supremo, in questa stessa misura essa corrompe la propria natura e quella del bene comune politico”.38 Per raccogliere le considerazioni sin qui svolte diciamo che i rapporti fra corpo politico e Chiesa sono retti da tre principi immutabili. Il primo stabilisce che la Chiesa deve essere sua dottrina e della sua morale, cosciente della fede che la ispira e che essa pubblicamente esprime”, MARITAIN, Ad alcuni miei contraddittori, in Ragione e ragioni, p. 206. 35 MARITAIN, Cristianesimo e cultura, Questioni di coscienza, p. 237; la differenziazione tra i termini da cristiano e in quanto cristiano non è di Maritain ma di Gilson, ed è stata adoperata da Maritain al fine di distinguere la missione della Chiesa, che è essenzialmente di salvezza, da quella del laico che invece è in funzione del progresso temporale nel suo significato più ampio e effettivo. L’uomo appartiene alla città terrena nell’ordine temporale e civile e pertanto egli agisce formalmente da cristiano impegnando tutto sé stesso; tuttavia, pur nell’ordine specificamente terreno egli agisce sostanzialmente in quanto cristiano perché anche quest’ordine terreno è fondamentalmente acquistato dalla Passione del Cristo. In Il contadino della Garonna, Maritain usa le parole di san Paolo per spiegare definitivamente cosa significhi per lui da cristiano: “sia che mangiate, beviate o facciate qualunque cosa, fatelo per la gloria di Dio (1Cor 10,31)”, MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 309. 36 Ibi, p. 308. 37 MARITAIN, La Chiesa e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 147. 38 Ibid. 100 libera di insegnare predicare e adorare; il secondo fa riferimento all’assoluta superiorità della Chiesa sul corpo politico; il terzo consiste nella cooperazione necessaria tra la Chiesa e il corpo politico.39 Questi tre principi immutabili ed eterni che regolano i rapporti fra il Potere spirituale e il potere temporale subiscono degli adattamenti materiali nella storia, vengono cioè applicati in maniera analogica nelle diverse epoche cristiane al fine di corrispondere alla verità per come conosciuta in un dato tempo storico. Così, mentre nell’epoca sacrale medievale lo Stato era il braccio secolare del potere spirituale nella nuova cristianità la superiorità della Chiesa si eserciterà attraverso l’influenza morale cioè “consentendo alla Chiesa di esercitare liberamente ed autonomamente la sua funzione di guida illuminante anche riguardo all’ordine sociale”.40 La soluzione dei rapporti fra Dio e Cesare, Maritain l’ha trovata formulata nella dottrina di san Tommaso d’Aquino, il quale ha espresso il principio supremo delle relazioni fra politica e religione nel seguente modo: “il diritto divino derivante dalla grazia non distrugge il diritto umano derivante dalla ragione naturale”.41 In ciò si vede quanto san Tommaso debba alla fede di sant’Agostino da una parte e, in misura sia pur infinitamente minore ma pur sempre considerevole, all’attrezzatura scientifica e razionale di Aristotele dall’altra. Sant’Agostino gli ha insegnato che l’uomo è una creatura ferita, ma chiamata a partecipare alla Grazia sin da quaggiù; viceversa, Aristotele lo ha sollecitato a cercare il fine terreno dell’uomo, confuso dai pagani con il fine assoluto. In tal modo, Aristotele ha fatto del principio formalmente corretto, “il tutto è più divino della parte”, 42 un principio assolutamente interno al mondo. Scrive infatti Aristotele: “essa (la polis) è il loro (di ogni comunità) fine, e la natura di una cosa è il suo fine; cioè diciamo che la natura di ciascuna cosa è quello che essa è quando si è conclusa la sua generazione, come avviene per Per una trattazione organica dei rapporti fra potere spirituale e potere temporale si rinvia all’analisi di BARS, Il pensiero politico di Maritain, pp. 193-210. 40 ROSSI, Il pensiero politico di Jacques Maritain, p. 153. 41 CH. JOURNET, La jurisdition de l’Eglise sur la Cité, « Question disputes », Desclée de Brouwer, Paris 1931, p. 39. 42 Scrive Aristotele, “se identico è il fine per il singolo e per la città , sembra più importante e più perfetto scegliere e difendere quello della città; certo esso è desiderabile quando riguarda una sola persona, ma è più bello e più divino se riguarda un popolo o una città”, cfr. Ethica Nicomachea, 1, 2, 1094 b. 6-10. 39 101 l’uomo, il cavallo, la casa. Ora lo scopo ed il fine sono ciò che vi è di meglio, e l’autosufficienza è un fine e quanto vi è di meglio”.43 Le aspirazioni trasnaturali dell’uomo in quanto persona, incapaci di elevarsi all’altezza loro propria, vengono così fatte rifluire nella città terrena; e questa è la dominante principale di tutto il paganesimo. Tale vicenda è altamente dimostrativa perché illustra il paradosso proprio del pensiero antico che, nelle sue più alte vette, da una parte stabilisce principi formalmente veri e autentici, ma che, dall’altra, non s’incarnano nell’esistenza, risultando del tutto inefficaci.44 Ciò è un’evidente dimostrazione delle ferite naturali dell’uomo atte a renderlo prigioniero del cosmo e come tale incapace di resistere all’azione del Potere politico.45 Da questo punto di vista, il privilegio della sapienza cristiana, giunto in san Tommaso ad un punto di compimento, rispetto al paganesimo in generale e ad Aristotele in particolare, è stato quello di ricondurre l’ordine terreno al primato assoluto al cielo come fine ultimo dell’universo intero: “è la scientia divina - scrive san Tommaso- la scienza dominatrice sotto ogni riguardo”.46 Tra la prospettiva pagana e quella cristiana vi è alla radice il conflitto irriducibile tra Cristo e il mondo, che Maritain ha scorso in maniera lucida: “eccoci ben lontani dalla prospettiva di Aristotele. In questa prospettiva il fine ultimo era temporale, era la felicità terrestre; e l’uomo vi giungeva entro la città e per la città, e ordinandosi al bene della città secondo tutto ciò che è in lui”.47 Da qui la trasfigurazione operata dal teologo san Tommaso, tesoriere della grazia nei confronti di Aristotele, tesoriere della ragione naturale. San Tommaso infatti, ARISTOTELE, Ethica Nicomachea, cit., J-J. CHEVALLIER, Storia del Pensiero Politico, “Antichità e Medioevo”, Vol. I, Il Mulino, Bologna 1989, p. 85. 44 “Per un curioso paradosso tutti suoi principi sono veri. Tutti i principi dell’etica aristotelica sono veri, tutti i suoi temi sono accuratamente adattati a ciò che vi è di più umano nell’uomo. E tuttavia, essi riescono inefficaci di fatto, e non hanno portato sull’esistenza, non riescono a impadronirsi del dinamismo interno della volontà umana; dovrebbero essere per l’uomo un appello decisivo e imperioso, ma non lo sono affatto”, MARITAIN, La filosofia morale, p. 68. 45 Nel dialogo immaginato da Socrate con le Leggi, Socrate si riconosce impotente dinanzi alla polis: “O Socrate è forse questo che è stato fra noi e te convenuto? Ma dopo che sei stato messo al mondo allevato educato, potresti tu dire che non sei nostro figliolo e nostro servo, tu e tutti quanti i progenitori tuoi? E se è così, pensi forse che ci sia un diritto a pari a pari fra te e noi, e che, se noi tentiamo di fare qualcosa contro di te, abbia il diritto anche tu di fare altrettanto contro di noi?.. Cosicché, se noi tentiamo di mandare a morte te, reputando che ciò sia giusto, tenterai anche tu con ogni tuo potere di mandare a morte noi che siamo le tue leggi e la tua patria? La Patria si deve rispettare….si deve obbedire e adorare, anche nelle sue collere”, PLATONE, Critone 50b-51. 46 SAN TOMMASO D’AQUINO, In Ethic. I, Lect., n. 31. 47 MARITAIN, La filosofia morale, p. 63. 43 102 “non ha scomunicato Aristotele e lo sforzo della ragione (…) ha trasfigurato Aristotele senza deformarlo, non si è accontentato di restituirgli il vero significato contro le deformazioni dei suoi commentatori, ma lo ha completato e rettificato là dove egli sbaglia o esita ed ha operato questo primo miracolo di estrarre dall’Aristotele storico una pura forma aristotelica che Aristotele stesso non ha conosciuta”. 48 In questo precipuo senso, san Tommaso ha dato valore ai principi formali di Aristotele sotto un certo rapporto, non assolutamente ultimo ma relativamente ultimo. Sant’Agostino come Padre della Chiesa ha avuto come principale obiettivo di mostrare il fine assolutamente ultimo, ovvero La città di Dio. Alla luce della sapienza mistica, e non teologica, egli ha distinto le due città in base ai due amori dell’uomo: “l’amore di sé fino al disprezzo di Dio (che) ha formato la città terrena; l’amore di Dio fino al disprezzo di sé (che) ha fondato la città celeste”.49 Entrambe le città fanno uso di beni temporali e in questa stessa misura partecipano al movimento orizzontale dell’uomo. E’ pertanto in rapporto al fatto che entrambe vivono nel “secolo” che esse si servono dello Stato, cioè del corpo politico. Come afferma Journet, “tra le due città, che dividono gli uomini in rapporto all’eternità quella di Dio e quella del diavolo, c’è posto per un tertium quid che affiora costantemente nel corso de La città di Dio, che non è oggetto delle preoccupazione diretta di Sant’Agostino, al quale egli non da un nome preciso e che noi potremmo chiamare in senso appropriato città dell’uomo”.50 Nella prospettiva cristiana di sant’Agostino lo Stato è quindi nella Chiesa e non al di sotto di Essa. Tuttavia, nella monumentale opera di sant’Agostino sono presenti in modo accidentale alcuni elementi che ad alcuni sembrano far confondere il naturale con il sovrannaturale: “forse anche perché non ha saputo distinguere in modo sufficientemente netto e preciso l’uno dall’altro”,51 ha scritto Chevallier. Ciò che tuttavia a noi sembra opportuno sottolineare è che gli elementi accidentali non sono tali da intaccare la forma propria, al punto che, con un’espressione che Maritain farà sua, Gilson dirà “dell’agostinismo che la sua sostanza è 48 MARITAIN, Il Dottore angelico, p. 62. SANT’AGOSTINO D’IPPONA, De Civitate Dei, XIV, 28. 50 CH. JOURNET, L’Eglise du Verbe incarné, Saint Augustin, Editions Saint Maure (Svizzera) Vol. IV, 19982006, p. 109. 51 CHEVALLIER, Storia del Pensiero Politico, “Antichità e Medioevo”, Vol. I, p. 251. 49 103 interamente passata nella Somma teologica”.52 Pertanto, l’agostinismo politico è infedele ai principi enucleati da sant’Agostino nella misura in cui assolutizza tali tendenze “spurie” affiorate ne La città di Dio le quali sono il segno comprensibile di una semplicità a volte irriflessa del movimento di risposta dell’uomo al movimento di effusione di Dio.53 Ciò non deve sorprendere, se pensiamo che siamo all’età giovanile della storia cristiana. In effetti la civiltà medievale, che rifletterà lo spirito di sant’Agostino, non impegnerà nessuna concezione di tipo teocratico. Il Sacro Romano impero era un ideale storico, un’immagine lirica che suscitava un certo tipo di civiltà. Non era in sé un’utopia teocratica perché il medioevo conosceva i limiti, le miserie e i conflitti dell’ordine temporale, e le cose di Cesare saranno sempre distinte da quelle di Dio. Nella civiltà medievale la società politica non aveva raggiunto ancora la sua maggiorità, e lo Stato agiva spesso come causa strumentale a servizio dei fini spirituali e non come causa principale in un ordine terreno autonomo: “con l’ambizione assoluta e il coraggio inavvertito dell’infanzia, la cristianità costruiva allora un’immensa fortezza al sommo della quale si sarebbe assiso Dio”.54 Al vertice del pensiero politico medievale san Tommaso veniva ad offrire la soluzione definitiva; soluzione espressa con la formula Omnis potestas a Deo, ma per populum secondo cui il potere politico, pur avendo la sua sovranità in Dio in quanto origine e fine di ogni creatura, appartiene nel suo ordine al popolo in quanto dotato di un primato ontologico rispetto al potere dello Stato. Ciò stabilisce il fondamento della cosiddetta “teoria strumentalista” dello Stato, per il quale esso è causa strumentale nella conduzione degli uomini verso la realizzazione del loro bene comune temporale. Secondo il naturale ordine politico lo Stato assume nella società una funzione di reggenza, di rappresentanza nei riguardi 52 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 200. La lettura di Ratzinger non ammette una reductio ad unum della Civitas Dei, dissociando in tal modo Agostino dall’agostinismo politico: “presso Agostino l’elemento di novità cristiana è mantenuto: la sua dottrina delle due civica non mira né ad ecclesializzare lo stato né a statalizzare la Chiesa, ma in mezzo agli ordinamenti di questo mondo, che rimangono e devono restare ordinamenti mondani, aspira a rendere presente la nuova forza della fede nell’unità degli uomini nel corpo di Cristo, come elemento di trasformazione, la cui forma completa sarà creata da Dio stesso, una volta che questa storia abbia raggiunto il suo fine”, J. RATZINGER, L’unità delle nazioni. Una visione dei Padri della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1973, p. 105; In questo senso, è da accogliere con favore il puntuale articolo di M. BORGHESI, Da Peterson a Ratzinger: Agostino e la critica alla teologia politica, in Ritorno della religione?, « Annuario di filosofia 2009» Guerini, Milano 2009, pp. 165 e succ.. 54 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 187. 53 104 del popolo che rappresenta il dominus del corpo politico: “ut vices gerens multitudinis”,55 ha scritto san Tommaso. Nella comunità politica assistiamo così ad un movimento ascendente, che dal basso conduce verso l’alto, a differenza della Comunità Ecclesiale in cui domina un movimento opposto e discendente dall’alto verso il basso. Il Papa non è infatti vicario del popolo ma di Cristo stesso. In quanto tale è a quest’ultimo che per eminenza è delegata ogni decisione sui rapporti col fine inferiore, “perché- ammonisce san Tommaso- a colui cui spetta la fine ultimo devono stare sottomessi coloro che hanno la cura dei fini antecedenti; essi devono essere guidati dal suo imperium”.56 Con ciò san Tommaso indica un aspetto essenziale dei rapporti qui analizzati, ossia il fatto che la Chiesa, essendo l’Istituzione di carattere spirituale, gode di un primato supremo e immutabile. Spetta dunque alla Chiesa, per via della subordinazione essenziale dei mezzi rispetto al fine, stabilire “quando, come e fino a che punto ci sia bisogno di un suo intervento nella sfera del temporale”.57 Maritain ha accolto per intero questa formula, richiamando il ruolo per così dire regolativo della Chiesa verso gli interessi naturali della società civile, in virtù del fatto che questi stessi interessi, in quanto realmente umani, sono ordinati alla vita eterna.58 Tuttavia, resta pur vero che la nozione di Stato, non più indicante una società politica, ma una struttura coercitiva monopolizzatrice della forza al servizio del bene comune, viene materialmente esplicitata pienamente solo con la modernità. Da Filippo il Bello, XIV sec., la società politica non è più definita dall’Impero ormai sconfitto, ma inizia a organizzarsi in un apparato pubblico monopolizzatore della forza e invocante una sua legittima autonomia. Questo sviluppo specificamente moderno dell’autonomia dei compiti dello Stato rispetto alla Chiesa era normale, e fa parte di quelle acquisizioni dell’epoca moderna legittime. E anzi, come già fatto notare, il differenziarsi dello Stato nell’epoca moderna ha costretto il SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa. Theologiae, I. II 90, 3. SAN TOMMASO D’AQUINO, De Regno cit. CHEVALLIER, Storia del Pensiero Politico, “Antichità e Medioevo”, Vol. I, p. 297. 57 Ibid. 58 H. Bars ha fornito un’interpretazione del pensiero di Maritain davvero lucida e penetrante: “l’ordine spirituale giudica e regola l’uso della libertà umana; interviene offrendo alla libertà umana fallibile e ferita, norme che la guidino. Ed in tal modo non solamente regola la persona umana nel suo movimento verticale, nella sua ricerca solitaria di Dio – e questa è la sua funzione propria- ma regola pure il movimento orizzontale delle società nel tempo, perché le società sono composte da uomini”, BARS, Il pensiero politico di Jacques Maritain, p. 203. 55 56 105 cristianesimo a prendere coscienza piena di questa realtà, spesso offuscata nel medioevo. Con la modernità lo Stato diventa un vero potere. E tuttavia, questo potere perde autorità perché nello stesso tempo la modernità ha tradito la vera nozione normativa e formale del concetto di Stato, che è quella di essere una parte del corpo politico a servizio della società, e non il sovrano finalizzato alla conservazione di sé, secondo la concezione invalsa da Machiavelli ai giorni nostri. Le perdite e i guadagni che si trovano espressi al sorgere dello stato moderno rappresentano un particolare tipo di ambivalenza storica, che Maritain ha così esplicitato: “lo sviluppo normale di Stato- che costituiva in se stesso un sano e autentico progresso- e lo sviluppo della falsa concezione – assolutista, giuridica e filosofica dello Stato – si sono prodotti l’uno e l’altro nello stesso tempo”.59 Da questo punto di vista, Maritain ha potuto giudicare molto più laica la società politica medievale in cui il potere politico agiva spesso come strumento di un’autorità spirituale, che non lo Stato moderno, il quale, pur acquisendo materialmente una forma statuale definita, si arrogava per sé stesso e in nome proprio il diritto di agire nello spirituale, fino alla conclusione della parabola avvenuta con gli Stati totalitari, in cui lo Stato si è trasformato in chiesa.60 La modernità non è stata dunque l’età della laicità come pretendeva di essere; e ciò a scapito della libertà della persona umana.61 Questo capovolgimento moderno ha specificato in proprio questa età coinvolgendo perfino gli Stati che si dichiaravano cattolici ma che in realtà obbedivano ad uno spirito contrario nella misura in cui subordinavano la Chiesa agli interessi del Potere temporale.62 MARITAIN, Il popolo e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 18. “Dopo la rovina della cristianità medievale lo Stato ha cessato di agire come strumento di autorità spirituale legittima e ad esso superiore, si arrogava per se stesso e in nome proprio il diritto di agire nello spirituale. L’Assolutismo di un Enrico VIII e di un Filippo II, il gallicanismo, il dispotismo illuminato del XVIII secolo, il giacobinismo, compongono qui una serie ben significativa, che è continuata dagli Stati totalitari contemporanei”, MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 185. 61 Secondo una dialettica interna alla modernità assistiamo ad “un disinteresse ed un sacrificio di se reali, ma per i quali l’uomo dona la sua anima per non ritrovarla più, e che sono pagati al prezzo di ciò che in noi è un fine in sé e l’immagine di Dio. L’immolazione dialettica della persona è tanto completa nell’ordine spirituale quanto in quello politico”, MARITAIN, La filosofia morale, p. 283. 62 Come ha scritto Acton, “nell’epoca moderna subito dopo la Riforma la monarchia assoluta è stata nei paesi cattolici il più grande e formidabile nemico della Chiesa. In quei paesi infatti essa perdette nuovamente quasi tutta la sua influenza naturale; in Francia in Spagna e in Germania, col Gallicanesimo e con Giuseppinismo e con l’Inquisizione, essa venne a trovarsi in uno stato di dipendenza”; Acton comprende bene come “tutto ciò significava semplicemente un adattamento del Cattolicesimo ad un sistema politico che, nella sua integrità, era 59 60 106 Si spiega così quello che è stato chiamato il Minotauro dei Tempi nuovi, lo stato nazionale sovrano definito un “dio mortale” in quanto Deus ex machina della società moderna. E’ stato opportunamente detto che “lo stato nazionale unitario questa mostruosa concentrazione di poteri che lega ad uno solo meccanismo e sottomette ad uno solo impulso tutte le forze e tutta la vita della società. Questo mozzo concepito nel rinascimento, generato da Federico e Robespierre fiorito in Napoleone congestionato in Hitlerismo..”.63 Di tutto ciò la Rivoluzione francese è stata come il paradigma interpretativo. Essa “conservò questo concetto dello Stato considerato come un tutto in se stesso, ma lo trasferì dal re alla nazione, a torto identificata con il corpo politico; di qui nazione, corpo politico e stato si trovarono identificati”.64 Dicendo che “il filosofo Hobbes è il solo che abbia ben veduto il male e il rimedio, che abbia osato proporre di riunire le due teste dell’aquila e di riportare all’unità politica, senza la quale giammai Stato e governo sarà ben costituito”,65 Rousseau, teorico di punta della seconda fase della Rivoluzione, ha espresso un principio di natura totalitaria. Col suo scopo dichiarato di “ridurre tutto alla politica”,66 costituisce la sintesi di una modernità che trova il suo epilogo nella filosofia politica di Hegel, “profeta e teologo dello Stato totalitario e divinizzato”.67 In definitiva, la realizzazione storica dei compiti materiali dello Stato compiuta nell’evo moderno è coincisa con lo sviluppo di una concezione di Stato come di una persona morale e quindi di un tutto destinato ad assorbire interamente il corpo politico, di cui lo Stato di Hegel “trasformato in un assoluto ha rivelato il suo vero volto”.68 La vicenda moderna in sé è assai emblematica, dimostrando l’inevitabilità del dinamismo interno al potere una volta abbattuto il primato spirituale. Così possiamo osservare come il momento negativo delle monarchie assolute, teorizzato da Hobbes, contiene già in sé stesso, anche se in via ancora embrionale, il momento detto positivo, affermatosi in seguito pienamente con gli Stati totalitari. Ed in ciò è maestra la vicenda di Filippo Il Bello in cui incompatibile con esso, e un artificio per adattare la Chiesa alle richieste dei governi assoluti, e per fornire ai principi assoluti una risorsa altrove offerta dal Protestantesimo”, L. ACTON, Cattolicesimo liberale, p. 116. 63 ALAIN, Quelle Europe, cit. in CHEVALLIER, Le grandi opere del pensiero politico, “Da Machiavelli ai nostri giorni”, Vol IV, Il Mulino, Bologna 1968, p. 471. 64 MARITAIN, Il popolo e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 19. 65 J.-J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, Introduzione di Tito Magri, Lib IV cap. VIII, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 197. 66 Ibid. 67 MARITAIN, Il popolo e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 20. 68 Ibi, p. 21. 107 avviene la prima separazione-subordinazione fra la Chiesa e lo Stato francese. Scrive a tal proposito Maritain: “gli apologisti di Filippo il Bello, col pretesto di affermare l’indipendenza dello Stato e i doveri patriottici della Chiesa, reclamavano in fondo l’asservimento della Chiesa allo Stato, col diritto per questo di utilizzare, controllare, regolamentare la forza morale e sociale da quella rappresentata”.69 In realtà alla fine del medioevo, la separazione e il dualismo tra Chiesa e Stato, che dovranno recare il carattere dei tempi nuovi, saranno funzionali alla subordinazione della Chiesa allo Stato. Nella stesso tempo, l’immolazione della persona nella modernità ha dimostrato a contrario la verità della Rivelazione che solo nel primato dello spirituale è la garanzia della distinzione tra i due poteri, significando con ciò il primato relativo della persona nella società politica. E’ pertanto una nuova età di cui Maritain si è fatto carico che, in contrapposizione essenziale alla modernità, secondo un ideale storico ben più differenziato che non nel medioevo, devono essere collocate le speranze di una corretta relazione tra Chiesa e corpo politico, nonché la relativa autonomia del corpo politico stesso. Tale autonomia saprà realizzarsi nella misura in cui coinciderà con la difesa dell’autorità e della dignità superiore della Chiesa, la quale si realizzerà non attraverso la richiesta di statalizzare la religione o piuttosto esercitando qualsiasi tipo di pressione sul potere civile, ma concedendo piena autonomia alla sfera temporale, secondo i dettami del Concilio Vaticano II. Da questo punto di vista, Paolo VI, affermando all’indomani del Concilio di non voler “d’ora innanzi esercitare altro potere se non quello delle sue chiavi spirituali”, 70 ha disegnato lo stato effettivo dei rapporti fra Chiesa e corpo politico,71 secondo le linee seguite da Maritain, ora istituzionalizzate: “in verità- scrive Maritain all’indomani dell’aggiornamento conciliare- è la dottrina perenne della Chiesa ad essere così riaffermata – ma con note nuove e singolarmente importanti, poiché è riaffermata sotto il segno della libertà – non più per rivendicare il diritto della Chiesa ad intervenire rationi peccati nelle cose del mondo per reprimervi il male (a ciò io penso che essa sarà sempre costretta sotto una forma o 69 MARITAIN, Primato dello Spirituale, p. 56. PAOLO VI Discorso alla Nobiltà Romana, 14 gennaio 1964. 71 Il grande impulso di Leone XIII alla rinascita tomista ha avuto così l’effetto di liberare la laicità: “Dio volle ripartito tra due poteri il governo del genere umano, cioè il potere ecclesiastico e quello civile, l’uno preposto alle cose divine, l’altro alle umane. Entrambi sono sovrani nella propria sfera; entrambi hanno limiti definiti alla propria azione, fissati dalla natura e dal fine immediato di ciascuno; sicché si può delimitare una sorta di orbita, all’interno della quale ciascuno agisce sulla base del proprio diritto”, LEONE XIII, Enciclica Immortale Dei. 70 108 nell’altra) ma per dichiarare il suo diritto e la sua volontà di animare stimolare ed assistere dall’alto, ratione boni perficiendi, se così posso esprimermi, e senza ledere l’autonomia del temporale, gli sviluppi del mondo verso un bene maggiore da raggiungere”.72 Rinnovando la sapienza perenne di san Tommaso, Maritain ha avuto l’indubbio merito di comprendere e realizzare l’impossibilità di una forma di cooperazione fra corpo politico e Chiesa sulla base di una concezione politica del cristianesimo, legittimando piuttosto la concezione evangelica e reale del cristianesimo e liberando al contempo l’autonomia dei compiti dello Stato all’interno del tutto rappresentato dal corpo politico.73 72 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 84. “Io credo fermamente che la concezione evangelica della religione alla fine prevarrà alla fine sulla concezione politica della religione, e più che mai i cristiani s’impegneranno nei travagli e nelle sofferenze del mondo, ma per portarvi la fiamma e la vita di una fede veramente libera dal mondo. Credo che lo spirituale sarà liberato dalle diverse specie di infeudazione a strutture temporali corrotte di cui oggi esso soffre”, MARITAIN, Aspetti contemporanei del pensiero religioso, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, p. 125. 73 109 2.2 Il principio di sovranità nella scienza politica moderna e la sua negazione alla luce della filosofia politica cristiana. Il rapporto fra natura umana, autorità e potere. “La mia tesi è che la filosofia politica deve liberarsi del concetto di sovranità”.74 Con queste parole assai caustiche Maritain ha espresso il rifiuto, per il costituirsi di una filosofia politica autentica cioè cristiana, della categoria costitutiva della scienza politica moderna: la sovranità: “nell’ordine politico, e riguardo agli uomini o gli organi preposti a guidare i popoli verso i loro destini terreni, non esiste alcun uso valido del concetto di sovranità”.75 Tale categoria è tanto contraria ai principi fondamentali di un’autentica scienza politica quanto più né l’Individuo (Kant), né il Popolo (Rousseau), né la Nazione (Hegel), né lo Stato (Kelsen), né la Classe (Marx), sono sovrani. Solo Dio è sovrano! Da questo punto di vista, il privilegio della sapienza cristiana consiste nell’affermare e dimostrare che “ogni autorità viene da Dio”, omnis potestas a Deo: 76 “la sovranità, scrive Maritain è un curioso esempio di quei concetti che sono validi in un ordine di cose e illusori in un altro. Esso perde il suo veleno quando è trasferito dalla politica alla metafisica. Vi è nell’ordine spirituale un concetto valido di sovranità. Dio, il tutto separato è sovrano sul mondo creato”.77 Il termine sovranità, preso nel suo valore autentico, significa essenzialmente due cose: “un diritto alla indipendenza suprema e al supremo potere come diritto naturale e inalienabile (e) un diritto a una indipendenza e ad un potere che nella propria sfera sono supremi assolutamente ovverosia in un modo trascendente, e non relativamente o come appartenenti MARITAIN, Il concetto di sovranità, in L’uomo e lo Stato, p. 32. Ibi. p. 50. 76 Rm 13, 1. 77 MARITAIN, Il concetto di sovranità, p. 50; “in ultima analisi nessun potere terreno è l’immagine di Dio, né il vicario di Dio. Dio è la fonte stessa dell’autorità, di cui il popolo investe quegli uomini o quegli organi, ma essi non sono i vicari di Dio”, ibid. 74 75 110 alla parte più alta del tutto”.78 Osserva Maritain che “il concetto di sovranità prese forma nel momento in cui nasceva in Europa la monarchia assoluta. Nessuna nozione corrispondente a questa età era stata utilizzata nel medioevo in relazione all’autorità politica. San Tommaso ha trattato del Principe non del Sovrano”.79 Specificando l’epoca moderna questa categoria determinerà il carattere della Rivoluzione francese, al punto che il suo teorico di punta, con una frase sintetica, ha affermato in maniera esplicita che “il Sovrano per il solo fatto di essere è sempre tutto ciò che deve essere”.80 L’obiettivo di Maritain è stato così quello di superare la modernità al fine di tornare all’ordine autentico della politica, vale a dire a considerare sovrano unicamente Dio. In virtù dei rapporti definitivamente analizzati fra potere spirituale e potere temporale, la sovranità di Dio si esprime analogicamente nel primato del popolo. San Tommaso ha esplicitato proprio tale rapporto, espresso nella fondamentale formula omnis potestas a Deo ma per populum: ogni autorità viene da Dio, ed è esercitata non solo in nome del popolo, ma fondamentalmente attraverso il popolo. L’esercizio di tale potere non è, dunque, transitorio o meramente passeggero, per cui il popolo sarebbe solo causa strumentale di un potere divino che “investe dell’autorità colui o coloro che sono designato”.81 Al contrario, l’autorità, che trova in Dio il suo fondamento, non passa da Questi ai governanti, ma procede direttamente verso il popolo, il quale, in maniera inerente, “riceve da Dio il diritto all’autogoverno e l’autorità in vista del bene comune”.82 Il diritto all’autogoverno fa sì che il popolo, nel momento in cui nomina i rappresentanti, non si spossessa di un tale diritto, concedendo loro il solo l’esercizio del potere politico distribuito su diversi livelli di governo.83 In tal modo, l’autorità non è solo inerente al popolo ma anche permanente ad esso.84 Sono questi i due capisaldi di una filosofia politica vera e umanistica.85 78 Ibi, p. 40. Ibi, p. 38. 80 ROUSSEAU, Il contratto sociale, p. 25. 81 J. MARITAIN, La Carta democratica, in L'uomo e lo Stato, p. 126. 82 Ibid. 83 “L’autorità dice Maritain viene da Dio come fonte prima e come causa prima e da Lui viene anche “immediatamente”, nel senso che la natura umana, la quale di per sé reclama ciò che è necessariamente implicato nella vita sociale, procede immediatamente da Dio”, ibid. 84 Ibid, 85 Ibid. 79 111 Nella società politica, pertanto, il dinamismo proprio dell’autorità procede dal basso verso l’alto, attraverso le componenti del corpo politico fino allo Stato. Ed è soltanto in questo senso che si può dire che lo Stato è la parte dominante del corpo politico:86 “l’autorità derivante dal popolo sale dalla base al vertice della struttura del corpo politico. Il potere è esercitato da uomini nei quali l’autorità, entro certi limiti determinati, va periodicamente a risiedere attraverso la designazione del popolo, e la gestione dei quali è dal popolo controllata: proprio in questo fatto vi è un segno di un potere ininterrotto da parte del popolo di quel diritto ad autogovernarsi, il cui esercizio ha abilitato gli uomini in questione ad avere il comando – il comando politico- su altri uomini, in virtù della fonte prima di ogni autorità”. 87 I governanti sono così investiti e resi partecipi della stessa autorità che appartiene al popolo, ma in quanto vicarianti e cioè immagine del popolo, essi esercitano tale autorità non in maniera separata dal popolo ma in comunione esistenziale col popolo.88 In questo senso, il potere resta fondamentalmente nel popolo, eliminando alla radice ogni pretesa ragion di Stato,89 per il quale esso sarebbe da considerare un fine superiore agli interessi del popolo. Piuttosto, lo Stato è una parte del corpo politico subordinata al popolo, ed è perciò chiamato a regolare e favorire le libertà popolari, facilitando la sua intraprendenza e la sua responsabilità: lo Stato, scrive definitivamente Maritain, “è quella parte del corpo politico il cui fine specifico è di mantenere la legge, di promuovere la prosperità comune e l’ordine pubblico, e di amministrare gli affari pubblici”.90 La proposta di Maritain è insomma autenticamente personalista e pluralista, tendente come tale ad una “destatalizzazione della vita sociale”,91 secondo il principio fondamentale dell’ordine politico per cui l’autorità politica più alta non attenua minimamente il possesso del primato da parte del popolo.92 Tale principio costituisce MARITAIN, Il popolo e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, pp. 13-15. MARITAIN, La Carta democratica, in L’uomo e lo Stato, p. 130. 88 Ibi, p. 134; cfr. il saggio di J. MARITAIN, Esistere col popolo, in Scritti e manifesti politici, pp. 103 e succ. 89 V. POSSENTI, Introduzione a L’uomo e lo Stato, pp. XVI e succ. 90 MARITIAIN, Il popolo e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 16. 91 Maritain, da questo punto di vista, è stato abbastanza esplicito: “per quel che mi riguarda (lo Stato) non mi piace”; così egli ha riconosciuto che un corpo politico autenticamente organizzato farebbe dello “Stato un organo regolatore supremo incaricato solo della supervisione finale delle attività di istituzioni nate dalla libertà, il cui libero gioco esprimerebbe la vitalità di una società veramente giusta nelle sue strutture fondamentali”, ibi, pp. 23, 26-27. 92 MARITAIN, La carta democratica, in L’uomo e lo Stato, p. 133. 86 87 112 la conseguenza del fatto che, come scrive Possenti, “l’autorità politica, sebbene in ultima analisi si fondi in Dio, non è propriamente immagine di Dio bensì del popolo”.93 Viceversa, nel momento in cui la sovranità è rifluita nello Stato, è stato soppresso il fondamento primo della libertà e dell’autogoverno popolare,94 secondo un principio che ha specificato l’intera epoca moderna: “(i moderni) sapevano che il popolo possiede naturalmente il diritto di autogovernarsi. Ma alla considerazione di questo diritto hanno sostituito quella del potere del popolo costituito in città. Sapevano che il principe riceve dal popolo l’autorità cui è investito. Ma hanno trascurato o dimenticato il concetto di vicariato sul quale avevano messo l’accento gli autori medievali. E l’hanno sostituito con il concetto di trasferimento materiale”.95 All’alba della modernità assistiamo al rovesciamento dei rapporti fra lo Stato e il popolo, di cui Hobbes ne ha esplicitato la tesi: “prima che lo Stato sia costituito il popolo non esiste, perché non è allora, che un moltitudine di individui singoli e non una persona”.96 Tale rovesciamento, che ha ribaltato l’ordine politico, è stato legittimato proprio dall’invenzione della sovranità, la quale, essendo essa definita come “potere assoluto e perpetuo di uno Stato”97, ha comportato inevitabilmente una crescita esponenziale del Potere sciolto da ogni vincolo. Con l’affermazione della sovranità in epoca moderna viene eliminata la concezione del potere che esiste in comunione con il popolo e sopraggiunge la concezione che risolve i rapporti tra Potere e popolo separandoli in una differenza essenziale l’uno dall’altro, come afferma ancora Hobbes: “colui che rappresenta così la Persona di tutti è chiamato sovrano, ed è detto possedere il POTERE SOVRANO; e tutti gli altri sono suoi sudditi”. 98 Il potere è detenuto sovranamente nelle mani del re senza vincoli di sorta, ragion per cui esso possiede il diritto di POSSENTI, L’azione umana, morale, politica e Stato in Jacques Maritain, p. 132. Ciò ha significato la soppressione della libertà del popolo, come scrive Maritain: “lo Stato trasformato in un assoluto, ha manifestato una tendenza a sostituirsi al popolo e a lasciarlo così in una certa misura, estraneo alla vita politica, e si è anche dimostrato capace di suscitare tra le nazioni le guerre che turbarono il XIX sec”, MARITAIN, Il popolo e lo Stato, p. 21. 95 MARITAIN, Il concetto di sovranità, in L'uomo e lo Stato, p. 37. 96 T. HOBBES, Elementi filosofici sul cittadino, a cura di N. Bobbio, Utet, Torino 1948, p. 158. 97 J. BODIN, De La Repubblique, Lib. I, cap. VIII. 98 T. HOBBES, Leviatano, II parte cap. XVII 93 94 113 “dare la legge ai sudditi senza bisogno del loro consenso”.99 Così si parlerà al tempo dei sovrani assoluti, al sorgere cioè dell’epoca moderna. E’ dunque all’interno della modernità che vanno collocati i due nuovi concetti di sovranità e potere assoluto, concetti che si postulano vicendevolmente: “i due concetti di sovranità e di assolutismo, ha scritto Maritain, sono stati forgiati dalla stessa incudine”.100 In un brano dal titolo Novus ordo saeclorum e che esprime assai bene la nuova sintesi affermatasi con l’età moderna, H. Arendt esordisce affermando: “potere e autorità non sono la stessa cosa, come non lo sono potere e violenza. Abbiamo già accennato a questa distinzione, che tuttavia dobbiamo richiamare ancora una volta”.101 Richiamiamo dunque, alla luce delle fondamentali vedute del pensiero di Maritain che distingue senza separarli il potere dall’autorità. Secondo la definizione di Maritain, l’autorità significa diritto; “diritto di dirigere e di comandare, di essere ascoltati e di essere obbediti dagli altri”. 102 Essa esprime un dato morale riconosciuto dal popolo e finalizzato non al bene di colui che dirige ma al bene di colui che è diretto: “l’autorità deve essere obbedita in coscienza, vale a dire a quel modo che è proprio degli uomini liberi e nell’interesse del bene comune”.103 E tuttavia, la sua capacità di essere obbedito è vincolata al potere. Il potere infatti viene definito come la “forza di cui si dispone e grazie alla quale si possono obbligare gli altri ad ascoltare e ad obbedire”. 104 Lontano da ogni separazione e da ogni confusione, tale distinzione chiede sempre di completarsi vicendevolmente. Infatti ogni potere che non è espressione di un’autorità è immorale, quindi iniquo e ingiusto; allo stesso tempo, ogni autorità che non gode dell’esercizio del potere rischia di essere inefficace. In una concezione integrale della politica il potere, che costituisce l’elemento fisico, deve essere subordinato all’elemento morale, l’autorità, in quanto col potere si agisce sulla società e con l’autorità si è in diritto di essere obbediti dalla società, di governarla e di dirigerla verso il suo bene. La questione dell’autorità è imprescindibile per la filosofia politica, e questa trova il suo fondamento nella natura relazionale dell’uomo in rapporto al cosmo. 99 Ibid. MARITAIN, Il concetto di sovranità, in L'uomo e lo Stato, p. 53. 101 H. ARENDT, Novus ordo saeclorum, in Sulla Rivoluzione, Comunità, Milano 1983, p. 205 102 MARITAIN, Il concetto di sovranità, in L'uomo e lo Stato, p. 32. 103 MARITAIN, La carta democratica, in L'uomo e lo Stato, p. 125. 104 MARITAIN, Il concetto di sovranità, in L'uomo e lo Stato, p. 32. 100 114 L’uomo non può concepirsi come un atomo ma viene generato nella comunione.105 Da questo punto di vista, non esiste gruppo sociale senza un fondatore, senza cioè un auctor, e in questo senso ha scritto giustamente de Jouvenel che “l’Autorità è la causa efficiente delle riunioni volontarie”.106 Del resto, la stessa radice della parola auctoritas deriva da augereactum, ovvero “ciò che fa crescere”.107 Nella misura in cui l’autorità svolge il suo compito generativo essa è fonte di libertà del popolo, in quanto esso compie le aspirazioni naturali alle quali è vocato. L’autorità rappresenta così l’elemento indispensabile per lo sviluppo della legge naturale e del bene comune;108 ed è solo in questa misura che l’autorità ha il diritto di essere obbedita.109 L’autorità perciò è una necessità imposta dalla natura in quanto è funzionale al bene comune della polis. Come osserva Maritain, l’autorità “è richiesta dalla natura della società in quanto umana, ed è per questo che, secondo san Tommaso, essa sarebbe esistita anche nello stato di innocenza. I figli di un Adamo innocente sarebbero stati governati, governati come uomini liberi, verso il bene comune della città; questa autorità sarebbe esistita fra loro essendo il privilegio dello stato d’innocenza (privilegio che purtroppo dobbiamo ritenere definitivamente perduto) che i più saggi e i migliori sarebbero sempre stati scelti per governare gli altri”. 110 Nello stesso tempo, essendo il bene comune un bene composto da persone umane esso è finalizzato alla libertà dell’uomo, e in quanto tale l’autorità rispetta la sua specificità solo se in funzione di questa libertà giustificata dal fatto che nell’uomo in c’è il riflesso di un’autorità più alta di quella politica ovvero l’immagine di Dio. Nella misura in cui autorità e verità procedono insieme, l’autorità diventa fonte di diritto.111 105 In questo senso, si veda J. MARITAIN, Communion et liberté, « Temps Présent », 25 febbraio 1938, ora in MARITAIN, Pour la justice, pp. 97 e succ. 106 B. DE JOUVENEL, La sovranità, Giuffré, Milano 1971, p. 39. 107 Sul punto J. MARITAIN, On Autority, « The Review of Politcs », aprile 1941, pp. 250-254. 108 Infatti, “se nel cosmo una natura qual è la natura umana non può conservarsi e svilupparsi che nello stato di cultura comporta di necessità l’esistenza nel gruppo sociale di una funzione di comando e di governo ordinata al bene comune, ne segue che tale funzione è un’esigenza della legge naturale”, MARITAIN, La carta democratica, in L'uomo e lo Stato, p. 124. 109 In tal modo, Maritain può osservare che il sentimento democratico non è fondato come pretende Rousseau sul diritto di “obbedire a se stessi” ma sul diritto di “obbedire solo perchè è giusto”, ibi, p. 125. 110 J. MARITAIN, L’idea tomista della libertà in da Bergson a Tommaso d’Aquino, p. 170. 111 “Se la persona umana è senza diritti, non c’è in alcun modo diritto - né per conseguenza autorità. In realtà, i diritti primari della persona, in quanto membro della città esprimono l’inalienabile autorità dell’immagine di Dio. E quello che un giusto spirito democratico richiede è che a questa autorità, così costantemente 115 Da questo punto di vista, “non v’è autorità laddove non c’è giustizia. Un’autorità ingiusta non è un’autorità, allo stesso modo che una legge ingiusta non è una legge”.112 In ultima analisi, resistere ad un’autorità che legittimamente esercita il potere di comando su un gruppo sociale significa resistere alla verità: autorità e verità sono infatti la stessa cosa.113 Capograssi, che sul punto ha offerto delle lucide riflessioni, può così concludere che “la moderna resistenza all’autorità … è veramente il riflesso della resistenza alla verità”.114 Riconoscendo e attuando la verità, l’autorità politica è sottomessa come tale a Dio in quanto Autorità per eccellenza. Dio è infatti la Personalità in atto puro, che creando l’uomo a Sua immagine e somiglianza gli comunica la Sua stessa personalità.115 Questa condivisione è ancor più forte in forza delle condizioni originarie imposte all’uomo dopo la disobbedienza adamitica che necessitano eminentemente del primato dello spirituale. Non basta così che l’elemento fisico, che chiamiamo potere, sia subordinato a quello morale naturale che chiamiamo autorità politica. L’efficacia di un ordinamento moralmente costituito richiede infatti che l’elemento morale sia, a sua volta, subordinato a quello spirituale.116 E’ qui richiamato il principio della sopraelevazione della natura nel proprio ordine, che nel campo speculativo governa la relazione fra scienza, filosofia e teologia e nel campo pratico quelle fra il potere, l’autorità e la Fonte dell’autorità, la Chiesa: “una morale politica puramente naturale non è sufficiente a fornirci i mezzi per metter in pratica le sue regole. La coscienza morale non basta, se non è nello stesso tempo una coscienza religiosa. Capace di affrontare il machiavellismo moderato e assoluto non è una politica puramente naturale ma una politica cristiana”.117 misconosciuta e oltraggiata tra gli uomini, corrisponda un certo potere. Sulle strutture della città”, MARITAIN, Per una politica più umana, p. 50. 112 MARITAIN, La carta democratica, in L'uomo e lo Stato, p. 125. 113 Ha scritto Capograssi che “la prima autorità e il primo diritto stanno nella verità assoluta, sono la verità assoluta stessa…l’origine di tutta l’autorità e di tutti i diritti è nella prima autorità”, G. CAPOGRASSI, Riflessioni sull’autorità, Giuffré, Milano 1977, p. 26. 114 Ibi, p. 38. 115 “Dio è la personalità sovrana, poiché l’esistenza di Dio consiste essa stessa in una pura e assoluta in una pura e assoluta sovraesistenza d’intellezione e di amore”, MARITAIN, La persona e il bene comune, p. 18. 116 Si veda J. MARITAIN, Clairvoyance de Rome, soprattutto i capitoli II, III e IV, dal titolo rispettivamente Les erreurs de Maurras, Morale et Politique e Nature et Grace, in O.C., Vol. III, pp. 1071 e succ.. 117 MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 141. 116 Da qui l’ammonimento di Maritain: “il problema della politica cristiana è un problema di vita o di morte per il nostro tempo”.118 E’ nel successo della politica cristiana, capace di bandire il termine sovranità dal vocabolario politico, subordinando la politica alla giustizia morale in virtù della subordinazione essenziale al primato dello spirituale, che Maritain ha collocato le speranze di una politica più umana. La modernità ha infatti dimostrato come l’insubordinazione alla Chiesa abbia causato la soppressione dell’autorità rendendo autoreferenziale il potere. In ciò si vede il ruolo chiave di Machiavelli nella nuova scienza politica moderna. Egli ha senza dubbio la responsabilità storica di aver incanalato il potere verso l’insubordinazione ad ogni autorità, riducendo la politica ad arte di governo: “per Machiavelli il fine della politica è la conquista e la conservazione del potere: cioè un’opera d’arte da compiere”.119 Ciò che Machiavelli ha così abilmente diviso, separando il potere dall’autorità, verrà ricucito da Bodin e Hobbes, sotto una sintesi specificamente moderna, rovesciando cioè l’ordine della politica e subordinando l’autorità al potere, lo spirituale al temporale, il popolo allo Stato. Da questo punto di vista, l’invenzione della sovranità di Bodin, la scoperta dell’assolutismo di Hobbes e la separazione tra potere e autorità di Machiavelli costituiscono le tre forme dello stesso principio moderno nella sua lotta contro la verità e contro l’uomo. Machiavelli ha infatti svincolato da ogni contenuto ontologico l’uomo, destrutturando il concetto di natura umana, ovvero di un telos normativo di carattere metafisico che specifica l’uomo. Il rovesciamento dei rapporti tra potere e autorità maschera proprio questa anarchia di fondo dovuta alla negazione essenziale della natura umana, vista ora “nel suo senso materiale di stato primitivo, dato di fatto. E’ naturale allora ciò che trova esistenza di fatto prima d’ogni sviluppo dovuto all’intelligenza”.120 La modernità in definitiva ha eliminato il concetto autentico di una natura umana dotata di essenza metafisica e concernente una certa finalità, anteponendole una nuova concezione di MARITAIN, Aspetti contemporanei del pensiero religioso, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, p. 120. MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 128. 120 MARITAIN, Tre Riformatori, p. 162, diversamente per Maritain la vera nozione di natura “deve essere presa nel senso metafisico di essenza che comporta una certa finalità. E’ naturale allora ciò che risponde alle esigenze e alle inclinazioni dell’essenza,ciò che le cose sono ordinate in ragione del loro tipo specifico e in definitiva dall’autore dell’essere”, ibid. 118 119 117 natura umana presa in senso materiale, vale a dire come stato di fatto o primitivo e come tale sottoposta al determinismo fisico e disponibile alle manipolazioni del Potere.121 In tal modo, la modernità si è caratterizzata come novità assoluta nella storia del pensiero politico opponendosi in maniera fondamentale a quel paganesimo di cui si dichiarava di essere in continuità. Aristotele in realtà aveva conferito, nell’Ethica Nichomachea, alla natura umana la sua specificità, dotandola di una normatività interna comprensibile alla ragione. Con la Rivelazione della verità di Dio e dell’uomo avvenuto con l’Incarnazione, questa stessa nozione, che portava il peso delle ferite originarie, ha iniziato ad essere trasfigurata. In effetti, in virtù della nobilissima dignità dell’uomo rivelata dal cristianesimo, il soggetto della morale naturale è diventato l’uomo e non più la natura umana. Aristotele, pur individuando nell’uomo un essere insieme naturale, ovvero animale, e razionale con la quale egli aspira alla vita divina,122 tuttavia, è rimasto confinato nella dimensione individuale senza comprendere che l’uomo è persona. Proprio qui s’instaura la frattura di Machiavelli che separando la natura animale da quella razionale, ha eliminato la dignità razionale e metafisica dell’uomo, stabilendo di fatto “la radice metafisica di ogni politica di potenza”.123 Nondimeno, se da una parte la prospettiva pessimistica di Machiavelli nega l’essenza ontologica della natura umana, anche la prospettiva opposta, quella ottimistica e antropocentrica, secondo cui l’uomo è “padrone e possessore della natura”, giunge al medesimo risultato, tale da far perdere il carattere normativo ontologico alla natura umana, riducendo anche qui l’uomo alla sua natura animale ovvero ad un essere individuale. Ed è proprio Cartesio, in questa prospettiva, ad essere “in un senso molto elevato, all’origine della concezione individualistica della natura umana”.124 Questa stessa linea individualistica antropocentrica giungerà con Kant ad essere sistematizzata dentro un sistema che si definisce “liberale” ma che né rinnega il fondamento primo, dal momento che elimina la nozione di natura umana.125 Nota infatti Maritain “l’indebolimento dello spirito metafisico doveva oscurare a poco a poco il primo senso della parola natura. Nella teoria radicalmente nominalista e empirista di Hobbes seguito in questo da Spinoza, rimane il secondo termine e male svolto conduce il filosofo a logiche aberrazioni”, ibid. 122 “E’ incredibile, osserva Maritain, come da parte nostra ci sia tanta difficoltà a comprendere, e che nessun filosofo, tranne Aristotele e san Tommaso, sia riuscito a metter fedelmente in luce tutto ciò che è contenuto in questo terribile luogo comune”, MARITAIN, Riflessioni sull’intelligenza e la sua vita propria, p. 260 123 MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 121 124 MARITAIN, Tre Riformatori, p. 122. 125 “Egli (Kant) ci propone un’etica senza fine ultimo, liberata da ogni slancio verso la felicità o verso il bene; un’etica dell’imperativo categorico, dove l’universo della moralità o della libertà è totalmente separato dall’universo della natura in quanto il contenuto della sua legge deve essere dedotto dalla sua forma o 121 118 Questa rottura tra natura e verità costituisce perciò la specificazione essenziale della modernità, lasciando senza riferimenti morali finali e reali il potere politico, cosicché nei fatti è sparita l’autorità. Questo processo di separazione dovrà così proseguire e concludersi in Marx. Egli, invertendo l’ordine dello spirito umano per cui “esistere è creare”, “l’esistenza precede l’essenza” ecc.., rifiuta la nozione classica di natura come “struttura intelligibile immutabilmente definita in se stessa”,126 cadendo nella relativizzazione materialistica della natura umana. La concezione antifilosofica marxista afferma infatti che “come gli individui esternano la loro vita, così essi sono. Ciò che essi sono coincide dunque immediatamente con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dalle condizioni generali della loro produzione”. 127 In questa prospettiva gli uomini sono ridotti al loro contenuto biologico materiale, diventando inevitabilmente materiale a disposizione dello Stato che li userà per i suoi fini particolari. Questa concezione è pertanto funzionale allo stato totalitario di cui Hegel è stato la massima espressione. Pur partendo da una filosofia opposta rispetto a Marx, Hegel è giunto a concepire l’uomo come essenzialmente individuale, ovvero come azione che “si autocrea attraverso un processo illimitato di trasformazione”.128 Come ha scritto bene Kojève, “per Hegel non c’è ‘natura umana’; l’uomo è ciò che fa; si crea con l’azione; quanto c’è di innato in lui, la sua natura è ciò che egli è come animale”.129 In conclusione, “non c’è più natura umana, nel senso filosofico di questa parola, in Marx … (più di quanto ce) ne fosse in Hegel”.130 Non si vuole qui sostenere che Machiavelli, da una parte, e Cartesio o Kant, dall’altra, che da angoli diversi hanno abbattuto il concetto specifico di natura umana, fossero consapevoli della dinamica che si metterà in moto fatalmente e che arriverà a giustificare i peggiori totalitarismi. Si vogliono tuttavia indicare delle linee guida per la comprensione di tutta una dall’essenza universalmente normativa della ragion pura pratica”, MARITAIN, Nove lezioni sulle prime nozioni di filosofia morale, pp. 52-53. 126 MARITAIN, La filosofia morale, p. 279. 127 K. MARX-F. ENGELS, L’ideologia tedesca, tr. It. Di F. Codino, Introduzione di C. Luporini, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 9; si veda come Gramsci si pone in linea di continuità con Marx quando afferma, “la innovazione fondamentale introdotta dalla filosofia della prassi nella scienza della politica e della storia è la dimostrazione che non esiste una natura umana fissa e immutabile (concetto che deriva certo dal pensiero religioso e dalla trascendenza) che la natura umana è l’insieme dei rapporti sociali storicamente determinati, cioè da un fatto storico”, A. GRAMSCI, Quaderni dal carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, Vol. III, p. 1599. 128 MARITAIN, La filosofia morale, p. 279. 129 Cit. in MARITAIN, La filosofia morale, p. 186. 130 Ibi, pp. 278-279. 119 dinamica moderna di cui Rousseau e la Rivoluzione francese costituiscono il momento centrale. Rousseau, proseguendo su una linea per cui la natura ha perduto ogni essenza,131 affiderà al Potere politico il compito totalitario di trasformare un uomo miseramente ridotto ad una molecola sociale: “chi affronta, scrive Rousseau, l’impresa di dare istituzioni a un popolo deve per così dire, sentirsi in grado di cambiare la natura umana; di trasformare ogni individuo che per se stesso è un tutto perfetto e solitario, in una parte di un tutto più grande da cui l’individuo riceve, in qualche modo, la vita e l’essere; di alterare la costituzione dell’uomo per rafforzarla; di sostituire un’esistenza parziale e morale all’esistenza fisica e indipendente che tutti abbiamo ricevuto dalla natura”. 132 Questa trasformazione da animale ad uomo che Rousseau affida allo Stato è tanto meno umanistica quanto più essa esclude in via di principio che l’uomo abbia una natura umana. Se l’uomo può essere trasformato dal Potere, ciò significa necessariamente che egli non è dotato di nessuna natura umana, che non esiste cioé l’identificazione dell’uomo come soggetto filosofico dotato di un’essenza ontologica che lo specifica come uomo. In ciò si conclude la dialettica moderna la quale partendo dalla riduzione dell’uomo a elemento fisico ha separato il potere da Dio e finito inevitabilmente per fare del Potere sempre più un mito chiamato a soddisfare le aspirazioni crescenti dell’uomo, dal momento che “tutto ciò che rompe con la natura tende all’infinito”.133 Alla fine dell’epoca moderna possiamo constatare che se in primo tempo con Hobbes il fine della politica è il diritto alla vita dell’individuo, ben presto con Kant si domanda il diritto alla libertà civile, e in seguito con Bentham il diritto di felicità; infine, con Marx ed Hegel si domanda alla Politica la redenzione del genere umano e la conquistata divinità. A questo stadio finale e tragico della modernità, si vede come l’umanità, confusa con l’essere generico umano chiamato da Hegel Gattungswesen, diventa il nerbo scoperto di cui i totalitarismi approfitteranno,134 dimostrando come “la rovina dell’Autorità e del Principio d’autorità a Si veda su questo punto l’analisi puntuale di MARITAIN, Tre Riformatori, p. 163. ROUSSEAU, Il contratto sociale, p. 57; sul carattere totalitario della democrazia di Rousseau si veda J. L. TALMON, Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna 2000. 133 MARITAIN, Democrazia e autorità, in Per una politica più umana, p. 34. 134 Maritain ha infatti osservato che “lo Stato e la politica quando sono veramente e decisamente separati dall’etica (realista), sono il regno di quei principati demoniaci di cui parlava san Paolo; l’impero pagano è 131 132 120 profitto del Potere senza autorità, senza fondamento di diritto e senza limite, si consuma nello Stato totalitario”.135 La modernità è terminata perché non ha conosciuto l’uomo. Egli ha una natura umana mediante la quale è persona. E pur ferita dalle condizioni imposte dal peccato originale, non può essere mai interamente corrotta, dal momento che il male non muta la natura umana. Il male infatti non avendo causalità propria non è “ne un’essenza né una natura, né una forma, né un essere; il male è un’assenza di essere; esso non è una semplice assenza o negazione, ma una privazione: la privazione di un bene che dovrebbe esistere in una cosa”.136 Ciò non significa beninteso che il male non esista. La sua mostruosità consiste nel fatto che, pur non avendo consistenza ontologica, egli esiste, è efficace ed è personale. Egli esiste nel bene, deviandolo e corrompendolo. Né consegue che “più potente è questo bene, e più potente sarà il male”.137 Diciamo allora che pur se la costituzione specifica della natura umana non può subire modificazioni, tuttavia lo stato della natura può subire cambiamenti. L’essenza metafisica dell’uomo resta dunque buona perché appartiene all’essere in quanto essere. Il pessimismo riguardo alla natura umana non può mai condurre, nell’ottica umana e cristiana, al pessimismo assoluto alla Lutero, secondo cui la natura è fondamentalmente corrotta: se l’uomo è radicalmente corrotto significa infatti che l’uomo non è più realmente uomo. Da questo punto di vista, san Tommaso non ha mai professato questo pessimismo perché ad un pessimismo del figlio del vecchio Adamo fa eco uno straordinario ottimismo sul versante dell’uomo figlio del Nuovo Adamo: “la grazia del Cristo, scrive Maritain, è più forte di quella degli angeli. Essa infonde in noi virtù divine, ci apre, anche ai più piccoli tra noi, l’accesso ad un eroismo e ad una sapienza che la ragione non saprebbe neppure immaginare, mette nel nostro cuore un desiderio che solo la visione di Dio potrà saziare”.138 l’impero dell’uomo che si fa Dio, il contrario e l’antagonista del regno dell’Incarnazione redentrice”, MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 133. 135 MARITAIN, Democrazia e autorità, p. 35; ha scritto Arendt che (nella logica totalitaria) “non è in gioco la sofferenza, di cui c’è ne stata sempre troppa sulla terra, né il numero delle vittima. E’ in gioco la natura umana in quanto tale” H. ARENDT, Le origini del Totalitarismo, tr. It. Di A. Guadagnin, Introduzione di S. Forti, Comunità, Milano 1999, p. 628. 136 J. MARITAIN, San Tommaso d’Aquino e il problema del male, in Da Bergson a san Tommaso d’Aquino, p. 208 137 Ibi, p. 209. 138 MARITAIN, Riflessioni sull’intelligenza e la sua vita propria, p. 265; continua Maritain, “decaduti dalla condizione di giustizia originaria siamo stati restituiti alla vita soprannaturale dalla grazia della redenzione, pur 121 Non bisogna confondere la dottrina cattolica con quella protestante così come non bisogna confondere Lutero con Pascal, pur se la lettera di Pascal si presta a volte a questa equiparazione.139 Il privilegio della sapienza cristiana, di cui il Dottore angelico fornisce la massima espressione filosofica e teologica, è quello di non pendere né dalla parte del pessimismo assoluto di tendenza machiavellica, né dalla parte dell’ottimismo assoluto di tendenza cartesiana, i quali entrambi tendono a disconoscere la natura umana. Nondimeno, Giovanni Paolo II ha potuto verificare storicamente la conferma della bontà fondamentale della natura umana.140 Tirando le fila, le conclusioni di Maritain sono del tutto chiare: “se vogliamo ragionare in materia di politica sulla base di un consistente fondamento, dobbiamo respingere il concetto di sovranità, che è tutt’uno con il concetto di assolutismo”;141 e ciò trae fondamento dalla negazione dell’essenza dell’uomo, della sua natura personale. Davanti a tutto ciò, la sfida che si pone alle società politiche è inevitabile e richiede la comprensione del fatto che dopo la catastrofe totalitaria è necessaria non una metafisica dell’uomo tra le tante, ma la più autentica metafisica dell’uomo, quella cristiana in cui l’uomo ritrovando sé stesso diventa quello per cui è stato creato, diventa persona ovvero il fine dell’ordine politico. conservando nella nostra natura non certamente corrotta nella sua essenza, ma debilitata, quelle profonde menomazioni che si chiamano ferite, vulnera naturae, e siamo perciò come diceva san Paolo degli infermi abitati da un’energia divina, la cui virtù si integra nella nostra debolezza, e portiamo entro fragili vasi un tesoro più prezioso dell’universo e della sua bellezza. Ecco quello che la filosofia della cultura e della società non deve mai dimenticare”, ibi, p. 266. 139 Pascal quando parla di “natura corrotta”, sembra cedere al giansenismo secondo cui il peccato di Adamo ha tutto corrotto cambiando la natura umana radicalmente: “ci sono senza dubbio leggi naturali; ma questa bella ragione corrotta ha tutto corrotto”, dice Pascal. Riguardo però alle motivazioni profonde del suo pensiero va detto che non bisogna analizzare dal punto di vista teologico o filosofico i suoi Pensieri. Maritain infatti non ha mai considerato Pascal un teologo, ne un filosofo, ma un mistico, dal momento che “Colui che egli amava parlava al suo cuore (..) E’ in realtà dall’animo di uno spirituale, è da un’anima toccata da grazie mistiche e pungolata dallo Spirito Santo che escono i Pensieri. Ecco quello che fa la loro forza”. Pertanto, ad avviso di Maritain, egli non ci ha consegnato una dottrina ma dei pensieri spirituali conformi al cattolicesimo che possono essere sistematizzati nel loro ordine in un’opera razionale e scientifica: “diventa allora possibile dare a tutte le grandi tesi di Pascal, con la dovuta riserva per alcune idee inguaribilmente gianseniste, un senso conforma all’ortodossia cattolica, che dico, alla stretta teologia tomista. E’ sufficiente a tale scopo ricondurre tutto all’intenzione principale”. Per concludere che “è questa fede che a partire dalle Provinciali diciassettesima e diciottesima- come fanno osservare Edgar Janssens e Jacques Chevalier- lo orienta verso il tomismo. Una teologia ortodossa appare così il limite ideale del suo pensiero”, Ibi, pp. 142 e succ. 140 “La natura umana, scrive il pontefice, ha conservato una sua capacità di bene, come dimostrano le vicende che si sono susseguite nelle varie epoche della storia”, GIOVANNI PAOLO II, Memoria e identità, p. 14. 141 MARITAIN, Il concetto di sovranità, in L’uomo e lo Stato, p. 49. 122 Alla fine della modernità, la storia ha mostrato quanto fosse autentico il genio di Pascal nel momento in cui dichiarava la pericolosità del mostrare all’uomo la sua grandezza misconoscendo la sua miseria.142 Il pessimismo di Hitler verso cui è stato spinto dal fallimento del liberalismo, è la punizione proprio di questo misconoscimento dell’uomo moderno, che a partire da Cartesio si era creduto “padrone e possessore della natura”, costruendo sulla sabbia ciò che il nazismo farà pagare a caro prezzo. D’altra però, aggiungeva Pascal, “è pericoloso mostrare troppo all’uomo com’è uguale alle bestie, senza mostrargli la sua grandezza”.143 In ciò la prospettiva pessimistica si mostrava altrettanto fallace di quella ottimistica perché riducendo l’uomo ad un animale lo ha spogliato della nobiltà irriducibile che Dio gli ha reso; una spoliazione che dovrà essere riempita dal Potere idolatrico che lo divorerà. Il cristianesimo ha rivelato la verità, mostrando che l’uomo non né ciò che ha creduto Machiavelli, e nemmeno ciò che ha pensato Cartesio: l’uomo è persona cioè “il tempio di Dio, l’edificio di Dio”.144 Da questo punto di vista, san Paolo può chiedersi “quale accordo fra il tempio di Dio e gli idoli?”.145 Vediamo come i mali della modernità siano tali e tanti che occorre una refusione totale della stessa modernità con l’ingresso in una nuova sintesi. Occorre in altri termini tutta la potenza dell’Incarnazione che unendo il Verbo e la carne riconduca l’uomo a Dio e a sé stesso.146 Solo recuperando il rapporto con l’infinito è possibile restituire al potere politico la sua autorità. Ed è proprio qui che “il cristianesimo con la sua concezione dell’uomo viene una volta di più a ridare la speranza al mondo”,147 dichiarandosi all’altezza di guidare il mondo verso una nuova età, verso una nuova cristianità in cui l’uomo mostrerà la sua originaria grandezza che derivandogli da un Altro esige il riconoscimento della propria miseria. 142 PASCAL, Pensieri, p. 116. Ibi, p. 116. 144 1Cor 3, 7. 145 2 Cor 6,16 146 Questo annoso problema lo può sciogliere dunque solo il cristianesimo, a cui compete un’autentica missione nel mondo di oggi come in quello di ieri alla caduta dell’Impero Romano: “la pensée catholique doit ètre élevée avec Jesus entre ciel et terre, et c'est en vivant le paradoxe douloureux d'une fidélité absolue à l'éternel étroitement jointe à la plus diligente compassion aux angoisses du temps, qu'il lui est deman de travailler à réconcilier le monde à la vérité”, J. MARITAIN, De la pensé catholique et sa mission (1930), in O.C., Vol. IV, p. 1131. 147 DE LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo, p. 362. 143 123 2.3 La persona umana, il popolo e il bene comune: i tre pilastri di una democrazia personalista e comunitaria “Nulla sarebbe più falso che parlare del “personalismo” come di una scuola o di una dottrina”.148 Esaurire il concetto di persona umana in una dottrina significa snaturare l’essenza stessa della persona umana, le cui aspirazioni naturali tendono all’infinito. La persona umana è un mistero metafisico, la cui essenza non è definita da un modo di fare, quanto da un modo di essere, da un rapporto libero, cioè consapevole con Colui da cui riceve la vita e l’essere. E questo rapporto rileva nell’ordine politico. Non è in base agli sforzi dell’uomo, ma in virtù della Rivelazione che noi possiamo comprendere questo concetto autentico di persona umana, espressione cioè di un rapporto personale, libero e filiale fra la creatura e il Creatore, e di cui il pensiero di san Tommaso d’Aquino ci ha fornito un’elaborazione organica, cioè filosofica e teologica ad un tempo.149 Ed è proprio qui che l’Incarnazione esprime tutta la sua incidenza culturale, perché il cristianesimo ci rivela il Dio invisibile nella persona visibile: il regno di Dio è nel cuore dell’uomo.150 Gesù in quanto Figlio dell’uomo “sa cosa c’è nell’uomo”;151 e sa pure, per essere il Suo unico Figlio, cosa c’è in Dio. In virtù della Rivelazione noi conosciamo Dio e l’uomo, cosicché, scrive Maritain, “questa religione, ed essa sola (corsivo nostro), potrà aiutare con assoluta certezza l’uomo a tracciare nel cielo della propria storia una figura vera di se stesso, una figura dell’uomo che non sia ingannevole”.152 148 MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 6. Lévy ha mostrato che l’idea stessa di singolarità è assente dal patrimonio greco, B.H. LEVY, Le testament de Dieu, Grasset, Paris 1979, pp. 81-93; tuttavia, aggiunge Floucat, il pensiero cristiano ha potuto costituire una metafisica della persona integrando l’apporto della filosofia greca, FLOUCAT, Per una filosofia cristiana (elementi di un dibattito fondamentale), p. 41. 150 Lc 17,7. 151 Gv 2,25. 152 MARITAIN, Cristianesimo e cultura, in Questioni di coscienza, p. 233; il Concilio scriverà una pagina bellissima sulla Rivelazione cristiana di Dio e dell’uomo: “in realtà solamente nel mistero del Verbo Incarnato 149 124 Da questo punto di vista, la modernità, nelle sue diverse forme che l’hanno specificata, si è opposta al cristianesimo perdendo necessariamente il concetto autentico di uomo. Davanti a quest’epoca fondamentalmente inumana un capovolgimento sostanziale è richiesto, e di cui Maritain è fatto carico. Il filosofo francese ha infatti osservato come “per trattare filosoficamente di queste cose (le cose umane), ci vorrebbe un vocabolario tutto nuovo”.153 Maritain ha pensato l’uomo in quanto persona, ovvero immagine e somiglianza di Dio, conferendo all’ideale storico democratico l’unico fondamento stabile su cui su cui costituirsi. Se Cristo in quanto Dio è la roccia per elevarsi verso la vita eterna, Cristo in quanto uomo, comunicato all’uomo, costituisce il fondamento più stabile e sicuro di una civiltà autenticamente umanistica.154 Questi principi hanno trovato nella filosofia politica di san Tommaso d’Aquino la loro definizione più completa; e il merito di Maritan è stato proprio quello di averli saputo attualizzare: “abbiamo delle buone ragioni per credere che la distinzione fra individuo e persona, o piuttosto fra individualità e personalità, della quale i principi di san Tommaso d’Aquino ci scoprono l’importanza essenziale, sia una di quelle verità di cui il pensiero contemporaneo ha particolarmente bisogno e dal quale potrebbe trarre molto profitto. Purtroppo è una distinzione difficile a capirsi bene e che presuppone un esercizio dello spirito metafisico di cui il pensiero contemporaneo ha molto poco l’abitudine”. 155 trova piena luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti il primo uomo era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore, che è il nuovo Adamo Cristo che è il nuovo Adamo proprio rivelando il mistero dell’uomo e del suo Amore, svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”, Dichiarazione conciliare Gaudium et spes, n. 22. 153 J. MARITAIN, D’un nouvel humanisme ou d’un humanisme integrale, intervista tenuta nella sede dell’ Union pour la verité, Parigi 23 gennaio 1937, in L’Humanisme integral de Jacques Maritan, colloque de Paris, éditions Saint-Paul, Paris-Fribourg 1988. 154 “Sappiamo che una delle caratteristiche essenziali di una civiltà degna di questo nome, è il senso e il rispetto per la dignità della persona umana: sappiamo che per difendere i diritti della persona umana, come per difendere la libertà, bisogna essere disposti a dare la propria vita”, J. MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 11. 155 MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 4. 125 2.3.1 Persona e individuo. San Tommaso con un’espressione assai rivelatrice ha scritto che “la vita dell’uomo consiste nell’affetto che maggiormente la sostiene e in cui trova la sua più grande soddisfazione”. 156 L’uomo diventa ciò che è, realizza le sue aspirazioni fondamentali nella misura in cui mette al centro della sua vita Dio. Non vi è infatti che una personalità autentica, quella del Cristo rimasta nascosta fino alla Sua Rivelazione,157 e comunicata all’Uomo tramite l’Incarnazione. Chiudere l’io nell’individualità significa pertanto tradire la vera natura dell’uomo, dal momento che nelle fibre del suo essere, nella sua carne, nella sua essenza originale, vi è un’aspirazione a qualcosa che trascende il mondo puramente fisico, orientandolo verso l’Assoluto. Già Aristotele, ricorda Maritain, riconosceva che proporre all’uomo soltanto l’umano è “volere la sua infelicità, perché dalla parte principale di sé stesso, che è lo spirito, l’uomo è chiamato a qualcosa di meglio di una vita puramente umana”.158 Da questo punto di vista, l’uomo moderno, nella sua lotta accanita contro tutto ciò che richiama la trascendenza divina, ha finito per distruggere tutto ciò che in fondo nobilita l’uomo, ossia la personalità, riducendolo per diritto o per forza ad un elemento del mondo fisico, ovvero ad un essere individuale. L’uomo moderno in senso proprio e ontologico non esiste. Egli non è quello che ha creduto il razionalismo antropocentrico (Kant) che lo ha chiuso nella vita animale senza alcuna discontinuità ontologica; non è neanche quello che ha creduto l’idealismo (Hegel), secondo cui l’uomo è si uno spirito, che coincide con lo spirito assoluto immanente e pertanto destinato a scomparire nel nulla; non è neppure una molecola del tutto sociale come ha creduto il comunismo, comprendendo l’umanità come l’insieme dei rapporti sociali (Marx). Da questo punto di vista, liberalismo, nazionalismo e comunismo costituiscono una serie ben significativa di come l’uomo moderno, nel movimento di introversione proprio dello spirito compiuto dalla modernità, sia scivolato in un movimento “Unde etiam in hominibus vita uniuscuiusque hominis videtur esse id in quo maxime delectatur et cui maxime intendit..”, SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae II, II, q. 179. 157 Scrive Maritain, “basta aprire il Vangelo e vediamo che non v’è personalità più magnificamente affermata da quella di Cristo. Il dogma rivelato ci dice che è la personalità stessa del Verbo increato”, MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 19. 158 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 58 156 126 dialettico interno irresistibile al termine del quale egli è giunto ad essere spettacolo ai propri occhi, e davanti al quale, agli occhi di Nietzsche, “non sa se provare riso o vergogna”. 159 In questa dialettica nella quale si svolge la modernità è riassunta quella che Maritain chiama la tragedia dell’umanesimo antropocentrico;160 o, se si preferisce l’espressione di H. De Lubac, a il dramma dell’umanesimo ateo.161 Sia che ci rivolgiamo all’uomo “autonomo” di Kant, o all’uomo che “obbedisce solo a se stesso” di Rousseau, o all’“uomo avvocato di se stesso” di Bentham, o all’uomo-dio di Marx, fino al superuomo di Nietzsche, noi vediamo l’impressionante ricerca di una liberazione umana sviata in quanto incanalata sul pendìo dell’individualità e tale da ridurre tutto l’uomo ad una particella del cosmo, preda di istinti e di passioni, schiavo degli avvenimenti e inginocchiato dinanzi allo Stato. Così, mentre la modernità fà scivolare l’uomo verso l’“io odioso” di cui parla Pascal, il cristianesimo gli comunica la sua dignità ovvero gli fa comprendere che l’uomo è “l’essere più perfetto nella natura”.162 L’uomo infatti non è un mero individuo, legato meccanicamente al cosmo; non è una mera natura creata come lo è l’animale, pur essendo la parte di animalità presente nell’uomo. L’uomo è un’esistenza personale, un essere vivente concreto dotato della libertà di indipendenza e del libero arbitrio, ed in quanto tale domina il cosmo. Con una frase sintetica e definitiva Rosmini ha scritto che “tutto ciò che esiste e non è persona, è relativo ad una persona”.163 Capiamo che il problema della modernità non è stata quello di cercare le aspirazioni alla libertà, in sé legittime in quanto iscritte nella natura umana, quanto piuttosto quello di realizzarle su un falso fondamento ovvero nell’individuo-dio piuttosto che nella persona immagine di Dio. In questa inversione sta l’origine della tragedia: “che cos’è l’individualismo moderno? Uno sbaglio un qui pro quo: l’esaltazione della individualità 159 NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, p. 130. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 81. 161 Ci riferiamo evidentemente al grande testo di H. DE LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo (1943). 162 “Allora di riscontro al detto di Pascal che abbiamo or ora citato: “l’io è odioso”, sorge nella nostra memoria il detto di san Tommaso “la persona è ciò che v’è di più nobile in tutta la natura”, MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 20. 163 Cit. in C. RIVA, Attualità di Rosmini, Studium, Roma 1970, p. 24. 160 127 camuffata da personalità e l’avvilimento correlativo della personalità vera”.164 L’uomo è persona perché Dio è Persona, e in quanto Amore gli comunica il Suo essere e la Sua libertà: “ben lungi dall’annichilire l’uomo, Dio lo fa essere e gli insegna ad essere una persona dinanzi a lui. E’ ben notevole che di fatto non soltanto la nozione di persona, ma la coscienza vissuta del valore della persona, non si sia sviluppata che al tempo in cui i dogmi della Trinità e dell’Incarnazione insegnavano ai secoli cristiani la personalità divina”.165 La nozione di persona non appartiene quindi al mondo ma a Dio, al Dio fatto uomo in Cristo Gesù, e pertanto capace di comunicarSi all’uomo in quello che i Padri chiamavano ammirevole scambio. E’ in questo scambio che è infatti posta la radice spirituale e metafisica della personalità, tale da liberare l’uomo dai meccanismi della natura, dal mondo.166 E’ dunque nel mistero Trinitario che l’uomo ha scoperto sé stesso, e il merito di Maritain è stato quello di averlo adeguatamente dimostrato ed esplicitamente affermato: “è stato spesso rilevato che senza la riflessione sui dogmi della Trinità e dell’Incarnazione, ci sarebbero state ben poche probabilità per i filosofi di prendere coscienza del problema metafisico della persona”.167 Si vede qui la necessità delle luci proprie della teologia politica per una sana filosofia politica, in quanto è solo attraverso la sapienza superiore, la Sapienza Rivelata, che l’uomo ha potuto conoscere sé stesso: “si deve rilevare, afferma Maritain, che tale nozione di persona è una nozione se così posso dire, d’indice cristiano, che si è sviluppata e si è precisata grazie alla teologia”.168 Per gli antichi l’uomo era sottomesso al cosmo, considerato un “microcosmo” che subiva le leggi fisiche della natura; una natura che godeva di una dignità superiore alla uomo. Si vedrà 164 MARITAIN, Tre Riformatori, p. 60. Ibi, p. 73. 166 “Il corpo di Cristo, scrive Clémant, non è solo un’unità di scambio, in cui il “movimento di amore” della Trinità si comunica gli uomini. Questo movimento in cui ci si annulla per dare è il passaggio dall’individuo alla persona: si tratta senza dubbio di una maturazione, lo sappiamo, attraverso una successione di morti-resurrezioni in cui la trascendenza ci spoglia e ci ricrea. L’uomo diventa ancora più unico, sfugge al carattere ripetitivo del peccato solo nella misura in cui realizza l’unità. La persona si compie in una dialettica di apertura e di distinzione, di dono e di rispetto, di amore e di creazione e rinuncia in tal modo a conservare per sé, gelosamente la propria parte di umanità e magari il proprio distacco e la propria estasi. Per vivificare essa dona la propria vita e lascia entrare in Sé tutte le vite”, O. CLEMENT, Riflessioni sull’uomo, Jaka Book, Milano 1991, p. 45. 167 MARITAIN, Sulla filosofia cristiana, p. 46. 168 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 66. 165 128 infatti Aristotele affermare candidamente come “vi sono alte cose più divine dell’uomo per natura, come, per restare alle più visibili, gli astri di cui si compone l’universo”.169 Il cristianesimo, da questo punto di vista, ha eliminato ogni barriera fra l’uomo e Dio,170 ordinando l’uomo direttamente a Dio come suo fine ultimo assoluto e conferendo all’uomo una dignità assoluta rispetto alle altre creature del cosmo, dal momento che “questa ordinazione diretta a Dio trascende ogni bene comune creato, bene comune della società politica e bene comune intrinseco dell’universo”.171 I filosofi pagani, affermando con Aristotele che l’uomo è un animale politico, hanno fornito una concezione “naturalmente cattolica”.172 L’uomo antico è giunto pertanto al concetto biblico dell’uomo ferito nella natura e incapace di elevarsi da sé alla sua altezza propria. Maritain ha così sostenuto che la prospettiva filosofica-politica di Aristotele coincide con la dottrina di san Paolo dell’uomo psichico, dell’uomo terreno concepito in Adamo, e che il Nuovo Adamo verrà a trasfigurare e redimere in un essere fondamentalmente nuovo, nell’uomo spirituale.173 La modernità, per quanto separata da Cristo abbia lavorato alla soppressione della persona umana riducendo l’uomo ad individuo, ha riconosciuto tuttavia con Kant, ma soprattutto con G. REALE, I valori dimenticati dell’occidente, Rizzoli, Milano 2004, p. 115. Afferma Gregorio di Nissa: “ma in che cosa consiste, secondo la Chiesa la grandezza dell’uomo? Non nella somiglianza con il cosmo ma nell’essere immagine del Creatore della nostra natura [..] l’immagine porta in ogni momento il carattere della bellezza prototipa”, cit. in A. SCOLA e G. REALE, Il valore dell’uomo, Bompiani, Milano 2007, p. 48. 171 MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 7; H. De Lubac ha espresso questa dinamica liberatoria del cristianesimo in modo assai pregevole, indicando lo stravolgimento che produsse il Fatto, e non il messaggio, dell’Incarnazione, dal momento che davanti ad esso “le innumerevoli potenze, - déi, geni e demoniche costringevano l’uomo nella rete delle loro volontà tiranniche, opprimendo l’anima con tutti i loro terrori, ora cadevano in frantumi, e quel principio sacro che in esse si era smarrito si trovava unificato, purificato sublimato in un Dio liberatore! Non era più solo un gruppo ristretto di spiriti eletti che poteva sperare, grazie a qualche via segreta, di spezzare il cerchio fatale: era tutta intera l’umanità che, nella sua notte, si trovava improvvisamente illuminata e prendeva coscienza della sua libertà regale. Non più cerchi! Non più ciechi destini! Non più Eimarméne, Non più fatum! Il Dio trascendente, il Dio amico degli uomini rivelato in Gesù Cristo, apriva a tutti una via che nulla avrebbe più sbarrato”, De LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo, p. 22. 172 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 66. 173 Osserva san Paolo, scrivendo ai greci di Corinto: “se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che il primo uomo, Adamo divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale e poi lo spirituale. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Qual è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra così porteremo l’immagine dell’uomo celeste”, 1Cor 15, 44-49; la sapienza profetica di San Paolo veluti stella rectrix ha orientato e guidato la sapienza filosofica di Maritain, senza con ciò ledere alcuna autonomia del sapere inferiore che resta di ordine razionale quanto al metodo e naturale quanto al fine; sulle relazioni vitali e intercorrenti tra la sapienza di San Paolo ovvero quella dei santi e la sapienza di Maritain ovvero quella filosofica e naturale si veda P. VIOTTO, San Paolo nella vita e nelle opere di Jacques Maritain, « RivAM », n. 4, 2009, pp. 1012-1013. 169 170 129 Hegel, l’origine cristiana dell’uomo in quanto persona, in quanto cioè portatore di un valore unico e infinito.174 In questo senso, Hegel ha potuto affermare che la schiavitù è impossibile nel cristianesimo.175 Il cristiano è infatti libero da questo mondo perché dipende unicamente dall’altro mondo.176 La libertà è pertanto un grande paradosso, la libertà è infatti dipendenza. Questa conclusione ha delle evidenti conseguenze sociali e politiche perché nella misura in cui l’uomo è persona “ne la natura ne lo Stato possono intaccare questo universo senza il suo permesso. E’ Dio stesso, che è e agisce dal di dentro con una delicatezza particolarmente squisita; la sollecita non la forza mai”.177 La persona in definitiva, in virtù delle sue ordinazioni supreme cioè per il fatto che è in rapporto diretto con Dio, sfugge al dominio di Cesare, e lo finalizza a sé.178 L’uomo non è solo un animale dotato di ragione come pensavano gli antichi né è mero animale come hanno creduto i moderni, ma è persona e quindi indipendente di fronte al mondo, ovvero “un universo di natura spirituale dotato della libertà di scelta e costituente pertanto un tutto indipendente di fronte al mondo”.179 Scrive Hegel: “quest’idea è venuta nel mondo per opera del cristianesimo; pel quale l’individuo come tale ha valore infinito, ed essendo oggetto e scopo dell’amore di Dio è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come spirito, e far che questo spirito dimori in lui”, Enciclopedia delle scienze filosofiche, p. 482, cit. in MARITAIN, La filosofia morale, p. 186. 175 Così Hegel: “Platone non conobbe l’autonomia dell’io in sé, il suo essere per sé; l’uomo non era ancora ritornato in se stesso, non s’era ancora poso per sé. Certamente il soggetto era individuo libero, ma si sapeva tale soltanto nell’unità colla propria essenza; l’Ateniese si sapeva libero soltanto come Ateniese, e così pure il cittadino romano come ingenuus. Ma che l’uomo fosse libero in sé e per sé per virtù della propria sostanza, che fosse nato libero come uomo, questo non seppero né Platone, né Aristotele, né Cicerone, né i giuristi romani, benché solamente in questo concetto sia la sorgente del diritto [..] Nella religione cristiana gli uomini sono uguali davanti a Dio perché Cristo li ha chiamati alla libertà cristiana. Queste affermazioni fecero si che la libertà diventasse indipendente dalla nascita, dalla condizione sociale, dall’educazione..”, G.W.F. HEGEL, Lineamenti sulla storia della filosofia, Introduzione, La Nuova Italia, Firenze 1981, Vol. I, p. 61. 176 “Perché il cristiano è libero nel mondo? -si chiede Maritain in uno dei suoi innumerevoli scritti- E’ libero, risponde, perché è legato, a qualche cosa che non è del mondo. Noi siamo legati al Vangelo ed il Vangelo annuncia il regno dei cieli. Alla radice di tutti i nostri problemi sta il problema del Vangelo e del mondo”, J. MARITAIN, La libertà del cristiano (1938), in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 157. 177 Ibid. 178 Maritain ha affermato che “in ragione della sua (dell’uomo) ordinazione diretta all’Assoluto, e secondo che essa è chiamata a un destino superiore al tempo…la persona umana come totalità spirituale riferita al Tutto trascendente, sorpassa tutte le società temporali ed è loro superiore”; per poi concludere: “non c’è nulla al di sopra dell’anima immortale se non Dio”, MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 27. 179 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 66. 174 130 La roccia della persona umana è il rapporto con Dio, perché è Dio che fa degno l’uomo. Con una frase che potrebbe dare il titolo alla sua opera, Maritain ha scritto che “la fede nell’uomo è salvata dalla fede in Dio”.180 Infatti, “una persona umana possiede una dignità assoluta perché è in diretto rapporto col regno dell’essere, della verità, della bontà, della bellezza, con Dio; e solo mediante ciò essa può arrivare alla sua completa perfezione La sua patria spirituale e l’intero ordine dei valori assoluti; i quali riflettendo in qualche modo l’assoluto divino che trascende il mondo hanno la capacità di attrarre verso di esso”. 181 Nello stesso tempo, il cristianesimo è venuto a rivelare anche la profondità dell’abisso dell’uomo. La natura umana è infatti un grande mistero metafisico, composta da due poli che si fanno la guerra in ogni istante, l’individualità e la personalità;182 ed è in riferimento a questi due poli che un Pascal può dire “l’io è odioso”, ma, nello stesso tempo senza contraddirsi, affermare che “l’uomo supera infinitamente l’uomo”.183 L’uomo è un orizzonte sospeso fra due mondi, quello animale e quello divino: “esso accoglie e porta al loro punto più alto le oscure energie del senso e dell’istinto, della spinta vegetativa e della materia. E con la sua parte principale vive a somiglianza di uno spirito, e può compitare le cose divine. Siccome la sua anima è spirituale, egli possiede la dignità eminente di essere una persona che ha la padronanza delle proprie azioni”.184 La sapienza greca, seppur lontana dalla sapienza cristiana, non era indifferente a questo dualismo presente nella natura umana, dal momento che affermava nella Politica di Aristotele, in un passo che già Platone conosceva bene, che “l’uomo quando è veramente tale è migliore degli animali, ma quando è fuori dalla legge e dalla giustizia è il peggiore di essi”.185 180 MARITAIN, Una fede di cui vivere? (1947-1952), in Il filosofo nella società, p. 89. J. MARITAIN, L’educazione al bivio, La Scuola, Brescia 1963, p. 21. 182 Questa diversa polarità è discussa ampiamente da Maritain in La persona e il bene comune, pp. 14 e succ.. 183 PASCAL, Pensieri, p. 122. 184 MARITAIN, Riflessioni sull’intelligenza, pp. 260-261. 185 Cit. in G. H. SABINE, Storia delle dottrine politiche, Etas Kompass, Milano 1967, p. 75. 181 131 Tuttavia, per le ragioni sopra esaminate, gli antichi e i moderni non hanno visto nella luce completa né la persona né l’individuo in quanto, come detto, la conoscenza del polo materiale come del polo spirituale dell’uomo acquista un significato autentico solo attraverso la Rivelazione. Essa ci permette di penetrare la specificità metafisica dell’individualità e della personalità, in quanto fondamentalmente contrarie perché capaci di creare “in ciascuno di noi due attrazioni l’una con l’altra in conflitto”.186 L’uomo infatti non è una pura intelligenza o una pura persona ma è collocato al grado più basso degli spiriti.187 In questo senso, deve affermarsi che l’uomo è tutt’uno in quanto ciascuno di noi è tutto individuo e tutto persona, costituito interamente di spirito e di carne: “io sono tutto individuo in ragione di ciò che mi viene dalla materia, e tutto persona in ragione di ciò che mi viene dallo spirito”.188 Ma altro è dire che il governo della propria vita deve essere diretto dal polo materiale (individualità), altro che il primato appartiene al polo spirituale (personalità). Questa unità materiale e spirituale della persona è stata misconosciuta da Cartesio, il quale separando il pensiero (l’anima) dalla estensione (corpo) e conferendo dignità culturale alla sola estesione ha avviato il pensiero occidentale verso l’assolutizzazione della dimensione materiale.189 Cosa s’intende dunque per individualità presa nella sua accezione specifica e metafisica? Diciamo con una formula sintetica che l’individualità è ordinata direttamente all’Io come la personalità è ordinata direttamente a Dio. La caratteristica dell’individualità è quella di essere materia signata quantitate, “in quanto questa domanda di occupare nello spazio una posizione distinta da un’altra posizione. La materia è essa stessa una sorta di non essere, una semplice ricettività e mutabilità sostanziale, un’avidità per l’essere”.190 La radice ontologica dell’individuo è dunque la materia così “come avviene per le cose di quaggiù, con gli esseri materiali”.191 MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 65. “L’essere umano è una persona, cioè un universo di natura spirituale, dotato della libertà di scelta e destinato alla libertà di autonomia: non è pura persona più di quanto non sia pura intelligenza. Al contrario così come è al più basso gradino nella scala dell’intellettualità, così è anche al più basso gradino in quella della personalità”, MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 19. 188 MARITAIN, La persona e il bene comune, p. 19. 189 “Per Cartesio, come si sa, l’essere umano è sdoppiato in due sostanze ciascuna delle quali è completa: spirito pura ed estensione geometrica. Un angelo che guida una macchina”, MARITAIN, Religione e cultura, p. 30. 190 MARITAIN, La persona e il bene comune, p. 16. 191 Ibid. 186 187 132 Così, l’individuo è una parte, un punto dell’universo, un frammento di una specie, sottoposto al determinismo del mondo fisico. Esso è causa di divisione, perché la mia individualità è ciò che mi rende diverso dagli altri; l’io è misurato soltanto dalla strettezza del proprio ego, è fondamentalmente avidità di essere, è prendere per sé. All’opposto, la caratteristica quella della personalità è lo spirito, meglio la sussistenza dello spirito, come scrive Maritain, “la personalità è la sussistenza dell’anima spirituale comunicata al composto umano”.192 La sussistenza dello spirito specifica ontologicamente la persona umana; la persona non è un pensiero, ma esista, esiste cioè nella capacità di possedersi, di essere padrone di sé stessa, di essere un tutto a sé. La sussistenza dello spirito è “nella mia sostanza una firma o un suggello che la mette in condizione di possedere la sua esistenza e di completarsi liberamente e di darsi”.193 Pertanto, mentre l’individuo è una parte, la persona è un tutto. In definitiva, quella di Maritain è una filosofia politica estremamente realista perché attenta a salvaguardare il valore materiale, morale e spirituale della persona umana, attraverso la comunione vissuta all’interno dei corpi intermedi e dentro i quali si compie il perfezionamento dell’uomo. L’amore, infatti quello vero, evangelico, “non va a delle qualità, ne a delle nature e a delle essenze, ma a delle persone”.194 Il concetto di persona è così fondamentalmente contrario al concetto di individuo, perché tale da condensare contenuti materiali, morali e spirituali che fanno dell’uomo un tutto di libertà: “quando noi diciamo che l’uomo è una persona, non vogliamo dire soltanto che è un individuo come lo sono un atomo, una pianticella di grano, una mosca o un elefante. L’uomo è un individuo che si regge con l’intelligenza e con la volontà; non esiste soltanto al mondo fisico, ma sovraesiste spiritualmente in conoscenza e in amore, in modo tale che in qualche modo è un universo a sé, un microcosmo nel quale il grande universo tutto intero può essere conosciuto con la conoscenza, e con l’amore può darsi tutto intero 192 Ibi, p. 18. Maritain ha espresso con chiarezza questo pensiero, osservando che “la nozione di personalità non si riferisce alla materia, come quella dell’individualità delle cose corporali,essa si riferisce alle dimensioni più profonde e più alte dell’essere; la personalità ha per radice lo spirito in quanto questo sta esso medesimo nella esistenza e vi sovrabbonda; metafisicamente considerata, la personalità è, come a buon diritto sostiene la scuola tomista, la sussistenza- questo compimento ultimo con il quale l’influsso creatore suggella in se stessa una natura in faccia a tutto l’ordine dell’esistenza, in modo che l’esistenza ch’essa riceve sia la sua esistenza e la sua perfezione”, ibid. 194 Ibi, p. 17. 193 133 a degli esseri che stanno davanti a lui come altrettanti se stesso, relazione di cui è impossibile trovare equivalente nel mondo fisico”.195 La persona è sinonimo di totalità e indipendenza cioè di libertà in quanto esprime l’unico punto della natura in cui la realtà prende coscienza di sé stessa. Con un’espressione sintetica che offre il quadro ad una filosofia politica cosciente dei suoi fini, san Tommaso ha scritto che “persona significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura”.196 2.3.2. Il bene comune e bene pubblico Se l’individualità in virtù della sua forma animatrice, la materia, tende alla divisione e all’isolamento; dall’altro la personalità, in forza della sua essenza ovvero della sussistenza dello spirito, tende alla comunione. L’uomo integralmente preso non è pertanto un individuo isolato ma una persona ossia una natura spirituale che ha bisogno della comunione per espandersi e divenire ciò che già è. In virtù delle sue perfezioni che le sono proprie, vale a dire delle aperture della conoscenza e dell’amore che derivano dalla sovrabbondanza iscritta nel suo essere, la persona richiede di vivere con gli altri e per gli altri: “la persona tende di per sé alla vita sociale, è un tutto che domanda di unirsi ad altri tutti nelle comunicazioni spirituali dell’intelligenza e dell’amore”.197 L’uomo è persona in quanto immagine e somiglianza di Dio che è Persona in atto puro, e che esprime la Sua Personalità nella Comunione Trinitaria.198 Di conseguenza, in maniera 195 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 11. SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 29, a. 3. 197 MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 42. 198 “Nella S.S. Trinità, scrive Maritain, la nozione di personalità arriva alla pienezza dell’atto puro. Si ha allora, una società divinamente perfetta in cui tre persone, uguali e consustanziali, hanno per bene comune la loro stessa natura e in cui ciascuna è tanto quanto le tre insieme e cioè in cui la nozione di individuazione e di parte scompare interamente”, ibi, pp. 41-42. 196 134 analogica, nel suo grado ontologico la persona è un tutto in comunione con altri tutti. Con una definizione lapidaria Maritain ha scritto che “la persona è un tutto aperto e generoso”.199 Da ciò ha origine la superiorità del bene comune sul bene particolare del singolo in ogni grado ontologico dell’essere. Pertanto, è a motivo della sua dignità che la persona ha una natura comunitaria e vuole vivere dentro un popolo, in una città, contrariamente agli individui per i quali dovrebbe utilizzarsi la formula della collettività: “non si tratta qui soltanto dei bisogni materiali, bisogno di pane, di vesti, di ricovero e anzitutto si tratta dell’aiuto di cui egli ha bisogno per fare opera di ragione e di virtù, cosa che risponde al carattere specifico dell’essere umano”.200 In secondo luogo, la persona chiede di vivere in società in ragione dei suoi bisogni materiali, dal momento che essa è una realtà non solo spirituale ma anche materiale. Proprio questi due aspetti dell’uomo presi insieme fanno sì che la persona umana non pervenga alla sua vita piena e al suo compimento da sé medesima, richiede a tale scopo la comunione vissuta con gli altri membri, come già intuiva Aristotele comprendendo che la polis è un’associazione per vivere bene moralmente e materialmente.201 In questo senso, gli antichi osservavano che il bene comune è bonum honestum, un bene onesto perché finalizzato alla realizzazione della società civile e al bene del tutto sociale.202 Il cristianesimo tuttavia, trasfigurando l’uomo ha fatto comprendere in tutta la pienezza la nozione di bonum honestum, mostrando come il bene sia davvero onesto se è un bene comune, se cioè il bene del tutto si distribuisce sulle persone. umane. Da questo punto di vista, le filosofie politiche moderne non avendo conosciuto l’uomo in quanto persona non hanno compreso la nozione di bene comune, sostituendo ad esso quella di bene pubblico, il bene cioè di una collettività animale in cui l'uomo sarebbe la parte da asservire al tutto collettivo, lo Stato. 199 MARITAIN, La persona e il bene comune, p. 26. Ibi, p. 21. 201 “La comunità politica esiste per compiere il bene e non solo in vista della vita associata”, ARISTOTELE, Ethica Nicomachea, I, cit. in CHEVALLIER, Storia del pensiero politico, “Antichità e Medioevo”, Vol. I, p. 126. 202 “Il bene comune, scrive Maritain, non è soltanto un insieme di vantaggi e di utilità, ma rettitudine di vita, fine buono in sé-ciò che gli antichi chiamavano bonum honestum, bene onesto; perché da una parte assicurare l’esistenza della moltitudine è cosa moralmente buona in sé stessa; e d’altra parte è un’esistenza giusta e moralmente buona della comunità che dev’essere in tal modo assicurata, ed è soltanto a questa condizione, a condizione d’essere secondo la giustizia e la bontà naturale, che il bene comune è quel bene che è bene d’un popolo, d’una città, e non il bene di un’associazione di gangster e di assassini”, MARITAIN, La persona e il bene comune, p. 23. 200 135 La nozione autentica di persona umana è correlativa alla nozione di bene comune. Se infatti la persona è un’unità sociale, è evidente che il suo fine è il bene della comunità capace di ingrandire il suo essere distribuendosi su di esso. Da una parte, il fine dal singolo è il bene comune, il bene della comunità: e dall’altro il bene comune “è comune perché viene ricevuto in persone ognuna delle quali è come uno specchio del tutto”.203 Il bene comune richiama così la dimensione comunitaria della persona umana la quale ha bisogno di esprimersi dentro comunità organiche a partire dalla famiglia, comunità naturale di base, fino ad arrivare al popolo, che è l’espressione più alta, coincidente con l’una unità organica composta da persona umane e “che riunite sotto le giuste leggi e da una reciproca amicizia per il bene comune della loro esistenza umana, costituiscono una società politica o un corpo politico”.204 Diciamo allora che il bene comune presuppone le persone e si compie in loro, secondo un movimento circolare a cui san Tommaso ha dato un fondamento filosofico con due testi che sono di importanza capitale. Da una parte, scrive san Tommaso, “ogni persona individuale si riferisce all’intera comunità come la parte al tutto”.205 Con ciò egli ha espresso il principio classico di ogni società politica, per cui la persona in virtù di certe cose presenti in lei, ovvero in ragione del suo essere individuo, è parte della comunità e ordinata al bene comune di essa. D’altra parte, in ragione delle cose fondamentali che sono nella sua natura di persona, ovvero in virtù del fatto che l’uomo è immagine di Dio, la persona si eleva al di sopra della società politica e la finalizza: “l’uomo non è ordinato alla società politica secondo tutto se stesso e secondo ciò tutto ciò che è in lui”.206 Queste due proposizioni sono i capisaldi di una vera filosofia politica, conferendo un fondamento stabile al concetto autentico di bene comune, a quel bene cioé: “racchiude la somma o l’integrazione sociologica di tutto ciò che v’è di coscienza civica, di virtù politiche e di senso del diritto e della libertà, e di tutto ciò che v’è di attività di prosperità, materiale e di ricchezze dello spirito, di sapienza ereditaria messa inconsciamente in opera, di rettitudine morale, di giustizia, d’amicizia, di felicità e di virtù e di eroismo, nelle vite individuali dei membri della comunità, 203 Ibi, p. 22. MARITAIN, Il popolo e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 29. 205 “Persona comparatur ad communitatem sicut pars”, SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, IIII 61, 1. 206 “Homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua”, ibi, I, II, 21, 4, ad 3. 204 136 secondo che tutto questo è, in una certa misura comunicabile, e si riversa in una certa misura su ciascuno ed aiuta così ciascuno a completare la sua vita e la sua libertà di persona. Tutto questo fa la buona vita umana della moltitudine”.207 2.3.3 Popolo e democrazia La persona umana esprime la sua libertà nell’appartenenza al popolo, e ciò fonda il primato fondamentale del popolo nella società politica. Il popolo infatti, afferma Maritain, in quanto composto da persone è “la libera e vivente sostanza del corpo politico”,208 il cui primato costituisce la condizione imprescindibile dell’attuarsi di una democrazia vivente. I termini popolo e persona sono termini specificamente cristiani e come tale trovano la loro piena attuazione soltanto in regime cristiano San Tommaso ha dato alla parola popolo la connotazione di civitas, differenziandolo dalla turba,209 proprio al fine di mostrarne la sua caratterizzazione culturale, ovvero politica. Gli antichi in realtà hanno intravisto questa verità parlando, a proposito del popolo, di una moltitudine ordinata alla giustizia. Tuttavia è nel cristianesimo, ben più che nel pensiero antico, che la parola popolo trova il fondamento adeguato, e in cui egli è in grado di esprimere tutta la sua ricchezza: “penso che l’idea di popolo, come oggi l’intendiamo (quando lo s’intende in questo senso etico-sociale, non razzistico) registri fra le sue origini delle fonti cristiane, vorrei dire “parrocchiali”. E’ l’idea del “piccolo popolo di Nostro Signore”, del popolo dei poveri cui sono state promesse le beatitudini e che nella comunione dei santi gode di un’eminente dignità, è quest’idea che, passando a poco a poco all’ordine temporale e mettendo in moto certe virtualità di quest’ultimo, ha contribuito a formare l’idea, etico sociale questa volte e non più religiosa, del popolo lavoratore, la quale non è più l’idea antica di popolus (piuttosto civica e nazionale) né quella di plebs”.210 207 MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 23. MARITAIN, Il popolo e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 18. 209 Sul concetto di popolo si vedano le ricche pagine di POSSENTI, in Le società liberali al bivio, pp. 101 e succ.. 210 MARITAIN, Esistere col popolo in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 113. 208 137 Alla radice della parola popolo vi sottesa tutta una nozione etico-sociale che esprime la coscienza di un’appartenenza materiale e spirituale che, liberandolo dalle connotazioni riduttive invalse nella modernità, né esprime un primato ontologico e né garantisce l’ordine interno e la giustizia. Rispetto alla modernità che ha innalzato il Potere a categoria fondamentale della polis, vi è un rovesciamento fondamentale, perché il popolo è il principio il mezzo e il fine della società politica. Siamo qui alla radice dei due caratteri fondamentali della democrazia autentica che non è né individualista né imperialista, ma personalista e comunitaria. Maritain, in continuità con Lincoln che la buona democrazia è caratterizzata dal “governo del popolo, dal popolo e per il popolo”.211 Sappiamo che questa fu la lezione che Tocqueville dovette imparare dalla democrazia americana, in cui vedeva affermato il principio autentico del popolo come immagine di Dio: “il popolo regna nel mondo politico americano come Iddio regna nell’universo”, 212 scriveva Tocqueville. Tale principio trova la sua sistematizzazione filosofica nella filosofia politica di san Tommaso, approfondita da Maritain e chiamata ad imporsi in una nuova età. Il popolo, ha scritto Maritain, è “nel suo stesso movimento che lo porta alla sua maggiore età, la riserva carnale d’una nuova civiltà. Delle due l’una: o la civiltà si fonda sulla schiavitù delle masse, oppure è necessario che vada di pari passo col suo movimento”.213 Il brano capitale di Lincoln distingue le tre parti essenziali di uno stesso contenuto che mira a fare del popolo la fonte della legittimazione politica. Dicendo “del popolo”, Lincoln ha voluto indicare che il popolo esercita un diritto all’autogoverno: egli è il prius del corpo politico. Con l’accezione “dal popolo” si vuole indicare che l’autorità politica ricava la legittimità per esercitare il comando dal basso, dal popolo. Infine, concludendo con “per il popolo” si vuole indicare che l’autorità è costituita per il bene comune del popolo e non per il bene di chi governa. A. LINCOLN, Discorso di Gettysburg (19 novembre 1863): “E’ piuttosto meglio per noi dedicarci al grande compito che rimane davanti a noi [..] che il governo del popolo, da parte del popolo, per il popolo non scompaia dalla terra”. 212 A. DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America, Rizzoli, Milano 1998, p. 67. 213 MARITAIN, Esistere col popolo, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 115. 211 138 Nell'epoca moderna le tre filosofie che gli hanno dato forma hanno tutte, per diritto o per forza, rinnegato il contenuto ontologico del concetto di popolo, finendo inevitabilmente per farne una massa anonima da asservire al Potere politico. In estrema sintesi, la filosofia politica liberale ha finito per ridurre il popolo ad una massa anonima, ad un pulviscolo di individui in cui ognuno è per sé stesso, producendo in definitiva la sparizione del concetto di bene comune. D'altra parte, sulla stessa linea antropocentrica ma capovolta, la filosofia politica marxista ha trasformato la nozione etica di popolo nella nozione socio-economica di classe, tradendo l’unità sociale del popolo che è la persona, sottomettendo l'uomo alla volontà trasformatrice dello Stato. Infine, la filosofia politica nazifascista si è fatta portatrice della riduzione nozione biologica di popolo non facendo salve le sue esigenze trascendenti, riducendolo così inevitabilmente ai soli elementi naturali e confondendolo così il popolo con la razza. A partire da questa distorsione della categoria politica di popolo, le élites politiche dell’uno o dell’altro, allo scopo di agire per il popolo hanno cessato di esistere col popolo e nei fatti sono esistiti contro di esso.214 Il totalitarismo in questo precipuo senso, è la conclusione inevitabile della modernità, dimostrando come eliminando il fondamento ontologico, il popolo divenga una massa informa di individui, una collettiva da dirigere in maniera tirannica verso il suo bene.215 Viceversa, in una filosofia politica autentica in cui viene riconosciuto il carattere ontologico del popolo, lo Stato ha il compito di favorire il protagonismo della società civile, secondo un dinamismo realmente democratico: “ciò che la costituisce in proprio come democrazia, è che essa fa di questo vicariato la legge tipica della sua struttura autoritativa in modo tale che l’autorità, passando attraverso il popolo, sale, di grado in grado, dalla base al vertice della struttura gerarchica della comunità ed è ancora il fatto che l’esercizio del potere “La tragedia di un Mussolini, afferma Maritain, è che, allo scopo di agire per il popolo, ha cessato di esistere col popolo. Ora, egli esiste solo con lo Stato”, ibi, p. 117. 215 “Se d’altronde con questa polvere di individuo uno Stato deve costruirsi, allora e assai logicamente, l’individuo non essendo in quanto tale, come ho detto che una parte sarà completamente annesso al tutto sociale, non esisterà più che pere la comunità, e si vedrà naturalmente l’individualismo finire nel dispotismo monarchico d’un Hobbes, o nel dispotismo democratico di un Rousseau, o nel dispotismo dello stato provvidenza di Hegel”, MARITAIN, Tre Riformatori, p. 61. 214 139 ad opera degli uomini, nei quali la designazione del popolo fa periodicamente risiedere l’autorità implica la costanza del passaggio di questa nella moltitudine”. 216 La democrazia si costituisce così attorno a due realtà morali essenziali: la dignità della persona e l’amicizia civile che è la forma animatrice della società. Se la dignità si esprime attraverso la libertà della persona appartenente ad un popolo, quest’ultima crea l’unità fondamentale del popolo attraverso l’amore, il quale “assumendo volontariamente ciò che sarebbe costrizione, lo trasfigura in libertà e in libero dono”.217 Per questi motivi fondamentali, l’ideale della democrazia, osserva Maritain, “non è progressivamente realizzabile che per mezzo dello sviluppo del diritto e in un senso in qualche modo sacro della giustizia e dell’onore, e per mezzo dello sviluppo dell’amicizia civile. Perché la giustizia e il diritto imponendo la loro legge all’uomo come a un agente morale e indirizzandosi alla ragione e al libero arbitrio, concernono come tali la personalità, e trasformano in una relazione tra due interi- quello della persona individuale e quello sociale- ciò che altrimenti sarebbe che una pura subordinazione della parte al tutto”.218 Riassumendo, Maritain indica in quattro caratteri l’esercizio di una democrazia organica comprensiva delle tre nozioni qui elaborate, caratteri ideali che una volta incarnati nella storia realizzerebbero la città diritti della persona umana.219 Questa città sarebbe personalistica, per via del fatto che la persona umana è anteriore alla società politica e ad essa superiore; comunitaria per via della natura relazionale della persona umana chiamata a donarsi ai suoi simili; cristiana perché Dio è alla base di ogni edificio umano in quanto Creatore. E infine pluralista, per via del fatto che il movimento della persona è ordinato direttamente al suo Creatore e perciò stesso essa davanti allo Stato è libera e responsabile con la sua coscienza. Ciò che la Rivoluzione francese, e la modernità in generale, hanno dunque cercato di rivendicare per sé, ovvero liberté, egalité et fraternité non è un’utopia, ma l’ideale storico concreto di una democrazia personalistica e comunitaria e di cui il nome più autentico è cristianità. L'esperienza della modernità ha così fatto comprendere definitivamente dove MARITAIN, Democrazia e autorità, in L’uomo e lo Stato, p. 45. MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, Cristianesimo e democrazia, p. 88. 218 Ibid. 219 I quattro caratteri sono indicati in MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, pp. 77-79. 216 217 140 collocare le speranze di una democrazia vivente, purificando le concezioni di persona, popolo e bene comune, restituendole di fatto sotto una luce più vera alla loro naturale essenza cristiana. Esse sono infatti “impensabili senza quelle realtà morali che si chiamano la giustizia e l’amicizia civile la quale è come la corrispondenza naturale e temporale di quello che il Vangelo chiama l’amicizia fraterna”.220 Lo sforzo di Maritain, da questo punto di vista, è coinciso nel desolidarizzare le relazioni moderne tra individuo e democrazia attraverso la rifrazione della verità evangelica che rivela all'uomo la sua fondamentale dignità. Maritain ha insomma compreso che il cristianesimo ha rivelato la parola definitiva sull'uomo, trasfigurando la democrazia moderna in un nuova democrazia liberando sotto un nuovo cielo della storia i concetti di persona, popolo e bene comune. Affermando che “J. Maritain è il filosofo cristiano della democrazia”,221 E. Borne ha mostrato in maniera assi lucida le finalità dell'opera filosofico-politica di J. Maritain tese alla realizzazione terrestre della speranza evangelica, verso una nuova cristianità; fine infravalente di una società in cammino verso la sua patria ultima al di là della storia e in cui finalmente il bene di ogni persona e il bene della società non saranno che un solo e medesimo bene.222 MARITAIN, La persona e il bene comune, p. 44. La giustizia e l’amicizia civile fanno così riferimento alle virtù teologali della fede e della carità che il mondo non può comprendere, perché non sono di questo mondo, ma riferiti al Regno di Dio già cominciato in questo mondo; da questo punto di vista, se Aristotele distingueva i tipi di società in base all’amicizia è Cristo che incarnandosi ha stabilito un’amicizia fra l’uomo e Dio nel senso vero della parola perché l’amicizia propriamente detta presuppone, come sapeva Aristotele, è una certa uguaglianza fra due persone: “come, domandava Aristotele, sarebbe potuto esistere una qualsiasi specie di amicizia degna di questo nome tra Giove e l’uomo? E’ normale, continua Maritain, che l’uomo ami la causa prima. Ma egli l’ama tremando, come suo sovrano non come suo amico. Se egli l’amasse come suo amico ciò avverrebbe perché anche Dio l’avrebbe amato allo stesso modo, poiché l’amore tra amici è un mutuo amore. E come Dio potrebbe amare l’uomo come suo amico, o “un altro se stesso”?”, MARITAIN, La filosofia morale, pp. 104-105. 221 E. Borne ha concluso che in fondo Maritain “non vuole essere che il testimone della dottrina politica della Chiesa che si è costituita lungo i secoli in una continuità senza rottura (poiché Maritain si sforza di dare un senso positivo a tutti i documenti pontifici persino al Sillabo)”, BORNE, La filosofia politica di Maritain, p. 41. 222 MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 45. 220 141 2.4 Universalizzazione della democrazia e ordine politico internazionale: la nuova cristianità come proposta risolutiva di un’umanità in via d’unificazione. “Se l’idea di una società politica mondiale non fosse che una bella idea, non me ne curerei più di tanto”.223 Jacques Maritain non aveva la stoffa di un idealista. Egli da tomista non si preoccupava minimamente delle belle idee, ma soltanto delle idee giuste e rette, delle idee che trovavano nella realtà un loro fondamento. Da questo punto di vista, egli ha compreso che l’unificazione del mondo non è un’idea ma una prospettiva fondata nella verità; e in questa stessa misura ha rivelato per intero il carattere politico di un autentico ordine internazionale. Contrariamente a ciò che la modernità ha pensato e realizzato, il problema dell’unificazione politica del mondo non è opera sentimentale, ideologica o meramente giuridica, ma opera di intelligenza e di virtù, e pertanto tale da richiedere un’autentica organizzazione politica del mondo, “di cui il nome più vero è quello di cristianità”.224 La nuova cristianità in quanto ultima epoca della storia cristiana, ha infatti una portata universale, chiamata ad estendersi in tutto il mondo.225 L’organizzazione politica del mondo formulata da Maritain è così una “proposta fatta per la storia”,226 tale quindi da investire un ideale storico concreto ovvero la proiezione universale J. MARITAIN, Il problema dell’unificazione del mondo, in L’uomo e lo Stato, p. 198. J. MARITAIN, Bien commun et bien commun international, O.C., Vol. VII, p. 1113; si veda L’essence de l’internationalitation in cui Maritain afferma “l’unità soprannaturale del cattolicesimo tende così necessariamente a creare nell’ordine stesso della cultura, questa solidarietà e questa unità temporale che si chiama cristianità”, ibi, pp. 1145-1146; riguardo alle altre culture v’è da dire come ha scritto Possenti che “il nesso cristianità e incarnazione non comporta la squalifica delle culture sviluppatesi fuori dall’area del cristianesimo storico, perché semi di verità sono presenti in altre civiltà, né il Vangelo dice ogni verità sull’uomo, bensì solo quelle di ordine religioso pertinenti alla salvezza: l’idea di cristianità dice però una relativa pienezza”, POSSENTI, Tra secolarizzazione e nuova cristianità, p. 213. 225 San Tommaso ha scritto che solo quando la predicazione avrà avuto “pieno successo, cioé con la fondazione della Chiesa in ciascuna nazione [..] la fine del mondo avverrà”, SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, 1. 106, 1.4; da questo punto di vista, se la prima fondamentale predicazione ha generato la cristianità medievale, la seconda predicazione sarà all’origine di una nuova e sempre uguale cristianità. 226 MARITAIN, Il problema dell’unificazione del mondo, in L’uomo e lo Stato, p. 200. 223 224 142 dell’ideale democratico dell’umanità giunta alla sua maggiorità politica, e la cui giustificazione razionale si trova nel cielo della teologia e alla luce della dottrina cristiana. Il cristianesimo è l’unica religione assolutamente trascendente. Essa non è della terra ma del cielo e pertanto accomuna gli uomini che gli appartengono in un’unità essenzialmente sovranazionale e sopra-culturale. In effetti l’universalità del cattolicesimo è radicata nell’etimologia della parola e questa unità massimale fà del popolo cristiano il corpo Mistico di Cristo. Tutte le religioni, eccetto quella cattolica, “sono parte integranti di certe culture determinate, particolarizzate a certi climi etnici e a certe formazioni storiche. Soltanto la religione cattolica, perché è soprannaturale è assolutamente e rigorosamente trascendente, sovra culturale, sovra razziale, sovranazionale”.227 Per effetto dell’Incarnazione del Verbo, questa unità produce i suoi effetti in modo analogico anche sulla vita temporale; effetti che pertanto sono da considerarsi gli aspetti sociali del dogma dell’Incarnazione. E’ proprio dalla cattolicità del cristianesimo, secondo Maritain, che “deriva un internazionalismo che non è affatto una tendenza ad assorbire tutte le nazioni nel genere umano, ma una tendenza ad instaurare delle relazioni di giustizia e di amicizia sempre più strette fra le nazioni”.228 Nondimeno, i dottori e i giuristi cristiani hanno sempre parlato di una società internazionale, d’una comunità del mondo intero, e di cui Maritain non è che il continuatore, dimostrando che l’unificazione del mondo “quadra perfettamente coi principi fondamentali della filosofia politica di san Tommaso”.229 Maritain non è stato certamente ottimista quanto alla soluzione imminente di questo problema. Anche in questo campo come negli altri, Maritain ha lavorato per un lontano tempo storico, da sembrargli quasi “un’utopia”, la possibilità stessa di un’unità realmente politica del mondo.230 227 MARITAIN, Religione e cultura, p. 35. J. MARITAIN, L’essence de l’internationalitation, O.C., Vol. IV, p. 1145. 229 MARITAIN, Il problema dell’unificazione del mondo, in L’uomo e lo Stato, p. 195; Maritain fà riferimento a R.M. HUTCHINS, Saint Thomas and the World State (Aquinas Lecture 1949), Marquette University Press, Milwaukee 1949. 230 “Il problema per nostro tempo non è affatto quello di realizzare una società politica mondiale, ma quello di lavorare ai preparativi remoti di questa società, mettendo in marcia il lungo sforzo di ragione e di retta volontà grazie al quale l’utopia in questione finirà per diventare un ideale realizzabile”, MARITAIN, Condizioni del progresso e della pace, in Approches sans entraves, Vol. II, p. 250. 228 143 Tuttavia, a suo avviso, pur se l’obbiettivo era di lungo periodo non per questo bisognava cessare di lottare e spingere il movimento terrestre verso il compimento della sua vocazione ovvero l’unificazione del genere umano. E questa speranza non lo ha mai abbandonato: “bisogna ad ogni costo salvare la speranza degli uomini in un ideale temporale, un ideale temporale di pace sulla terra, nonostante sembri utopistico in partenza”.231 Và detto che Maritain, dopo la seconda guerra mondiale, contribuì in prima persona all’opera di internazionalizzazione politica, partecipando come relatore alla stesura Dichiarazione universali dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, promulgata il 10 dicembre 1948. E nell’Enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII ha riconosciuto come tale documento “segni un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico politica della comunità mondiale”.232 Ugualmente, Maritain comprendeva come questa tappa doveva essere un punto di partenza verso un’autentica organizzazione internazionale dotata di un’autorità politico-morale che avesse un potere effettivo, e ciò era una condizione imprescindibile per la giustizia e per la pace. Uno dei capisaldi del pensiero di Maritain è che la pace mondiale presuppone l’autorità legittima sopranazionale. In questo senso, l’aspirazione di un ordinamento politico internazionale è arrivare ad essere una società perfetta, abolendo ogni residuo di sovranità dello Stato nazionale fino a dotarsi di un’autorità mondiale realmente sopranazionale. L’unificazione del mondo poggia sul fondamento della dignità della persona umana. Essa è l’inizio, la condizione e il risultato di una politica internazionale degna di questo nome. Soltanto una società internazionale costituita come corpo politico effettivo, e che faccia del bene comune internazionale un bene comune superiore ai singoli beni comuni dei popoli presi singolarmente, può rendere giustizia delle aspirazioni della persona umana. Innanzitutto, la persona umana per essere una natura spirituale, chiede di espandersi attraverso la comunione con i fratelli, comunione che dalla famiglia passa alle comunità territoriali fino alla nazione e finalmente all’umanità intera. Tale spontanea socialità 231 Ibid.; Il Concilio Vaticano II nella costituzione Gaudium et spes cap. V n. 82, sancirà ufficialmente questo compito: “è chiaro che noi dobbiamo tendere a preparare con tutte le nostre forze il momento in cui con l’assenso generale delle nazioni, ogni guerra potrà essere assolutamente interdetta. Ciò che, sicuramente richiede l’istituzione di un’autorità pubblica universale che fruisca di una efficace potenza.” 232 GIOVANNI XXIII, Enciclica Pacem in terris, n. 49. 144 dell’uomo, che si articola per organi diversi e progressivi, fonda il modello cristiano: “dopo Dio, scrive san Tommaso, è ai suoi genitori e alla sua patria che l’uomo deve di più”.233 Non è qui in gioco una mera libertà negativa, ma una libertà e una pace positiva che deriva dalla vocazione sociale dell’uomo. La relazionalità internazionale e intranazionale è perciò condizione dello sviluppo integrale della persona e della legge naturale234 e in cui si compie ultimamente la libertà della persona: non vi è la paura della guerra, ma la conquista delle libertà positiva,235 alla base del perfetto ordinamento internazionale. Da questo punto di vista, osserviamo come l’umanesimo integrale ha una intrinseca vocazione internazionale, per cui lo sviluppo umano è tanto più integrale quanto più è universale. Tuttavia, la dignità della persona richiede la sua libertà integrale fino a comprendendo come tale la garanzia delle libertà negative. Senza diritti non c’è politica internazionale, perché non c’è persona umana. Ciò significa che l’organizzazione politica del mondo richiede come conditio sine qua non, da una parte la tutela e la promozione dei diritti dell’uomo in quanto persona e d’altra parte che il bene comune universale si riversi sulla persona umana attraverso le organizzazioni internazionali nei quali si esprime ultimamente la sua personalità. In questo modo, l’organizzazione politica del mondo non può costituirsi se non attraverso il libero suffragio delle persone umane che legittimi dal basso l’autorità mondiale. Quest’ultima non si sostituirebbe ai corpi intermedi espressi nelle comunità di base, ma in maniera sussidiaria ne favorirebbe il protagonismo coordinandone lo sviluppo. In tal modo, l’autorità mondiale diverrebbe nel senso pieno della parola politica e giuridica difendendo e favorendo l’autonomia e l’autogoverno dei popoli e delle persone. In definitiva, è proprio in virtù dei suoi scopi ultimi che l’autorità mondiale necessita del potere materiale e della forza morale, SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II, 101, 1. “Il tema dello sviluppo, ha scritto recentemente Benedetto XVI, coincide con quello dell’inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell’unica comunità della famiglia umana, che si costruisce nella solidarietà sulla base dei fondamentali valori della giustizia e della pace”, BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 54. 235 “La ragione per cui gli uomini vogliono vivere insieme, scrive Maritain, è una ragione positiva e di creazione. Non è perché hanno paura di qualche pericolo. La paura della guerra non è ne mai è stata la ragione per cui gli uomini hanno avuto bisogno di dar forma ad una società politica. Gli uomini sentono il bisogno di vivere insieme e di formare una società politica per intraprendere in comune un dato compito. Quando gli uomini vorranno vivere insieme in una società mondiale, saranno perché avranno l volontà di assolvere un comune compito mondiale. Quale compito? La conquista della libertà. Il punto è che gli uomini siano consci di questo compito e del fatto che è degno dell’auto-sacrificio”, MARITAIN, Il problema dell’unificazione del mondo, in L’uomo e lo Stato, p. 204. 233 234 145 ciò che farebbe dell’organizzazione mondiale un’organizzazione politica, diversamente dalla prospettiva puramente organizzativa, la quale, afferma Maritain, “considererebbe il tutto – ossia esistenza e natura di un’autorità mondiale e passaggio alla situazione presente al regime dell’autorità mondiale- nella prospettiva dello Stato e del governo, separatamente da quella del corpo politico. Di conseguenza ci troveremmo in presenza di un processo sviluppato artificialmente e contrario all’inclinazione della natura, un processo che sboccherebbe in uno stato mondiale senza un proprio corpo politico o una società politica, un cervello senza corpo”. 236 La teoria organizzativa ha dunque il difetto di non riconoscere la aspirazioni fondamentali dell’universalità della persona umana, ciò che richiederebbe l’esistenza di un corpo politico internazionale oltre la somma dei corpi politici e dei beni comuni nazionali e strutturato in modo pluralistico a partire dai livelli di governo territorialmente più vicino al cittadino fino ad incontrarsi con le istituzioni internazionali.237 Queste stesse istituzioni internazionali custodirebbero come un “tesoro” e rispetterebbero come “cosa sacra” l’autonomia di ogni popolo;238 e tuttavia, come detto, il bene comune del corpo politico internazionale sarebbe effettivo e chiamato a “svilupparsi e a prevalere sul bene comune particolare”.239 Si evince così che il principio animatore e specificante di un autentico ordinamento internazionale è tanto opposto a quello liberale cosmopolita kantiano quanto più considera le varie identità nazionali come condizioni di questa unità costruita attorno alla persona umana. Non ci viene qui richiesto di sacrificare il bene della patria ma di aggiungere quello delle altre 236 Ibi, p. 200. Un corpo politico è un popolo organizzato. Certo l’unità di un corpo politico mondiale sarebbe tutta diversa dall’unità che caratterizza i regni e le nazioni, e alla quale il nostro pensiero è abituato. Non sarebbe neppure un’unità federale, ma sarebbe piuttosto, diciamo così, un’unità pluralista, che non si realizzerebbe che mediante o attraverso la permanente diversità dei cori politici particolari, e che conserverebbe e favorirebbe questa diversità”, ibi, p. 206. 238 “Lo Stato mondiale, scrive Maritain, avrebbe un corpo politico suo proprio: questo corpo politico pluralista su scala mondiale sarebbe composto, non solo dalle istituzioni nazionali e internazionali postulate dall’Autorità mondiale, ma anche e innanzitutto, dagli stessi corpi politici particolari, con le loro vite e le loro strutture politiche particolari le loro eredità nazionali e culturali, le loro molteplici istituzioni e le loro comunità”, ibi, p. 207. 239 Ibi, p. 206; “gli Stati, afferma Maritain, non esistono per se stessi, ma per la comunità civile che si riversa su tutte le parti di cui essi sono dei membri. In alti termini, c’è un bene comune della società civile che si riversa su tutte le parti di questo grande organismo e in ragione del quale ciascun membro è interessato al bene degli altri e deve interessarsi a questo bene”, MARITAIN, Bien commun nationale et bien commun international, p. 1111. 237 146 patrie, “volendo e amando prima il bene del nostro popolo e del nostro paese”. 240 In questa stessa misura, un’organizzazione pienamente politica del mondo si oppone fondamentalmente all’imperialismo dei nazionalismi che fanno del bene della Patria un fine assoluto e contrario ad ogni politica realmente internazionale. E’ qui sottolineata l’essenza cristiana di un ordinamento internazionale, dal momento che “l’internazionalizzazione cattolica non è distruttrice delle patrie, essa si appoggia su di esse e le presuppone”.241 La politica internazionale autenticamente tale cioè cattolica, richiede così l’esistenza di un popolo internazionale composto dai popoli nazionali, eliminando il “mito degli Stati-persone sovrane”,242 sia a livello nazionale che internazionale. Un super Stato internazionale sovrano finirebbe infatti per trasferire sul piano internazionale il vizio mortale della modernità, facendo dell’autorità mondiale un mito, una Persona morale ad esempio degli stati totalitari. Il motivo per cui la Società delle Nazioni prima e l’Onu poi non hanno saputo realizzare i loro scopi risiede nel fatto che esse sono organizzazioni che procedono dagli Stati individualisticamente e sovranamente costituiti, piuttosto che essere investiti della legittimità popolare.243 In ciò si palesa il difetto proprio della teoria governativa e non politica per cui, osserva Maritain, “allo stesso modo che l’ambizione di diventare persona sovrana è passata dal Sacro Imperatore germanico ai re (nell’epoca in cui i re di Francia rifiutarono dal Sacro Impero) e dai re agli Stati, questa medesima ambizione passerebbe dagli stati al Super Stato mondiale”.244 Si giungerebbe così al risultato tragico per cui “pur mettendo fine al mito moderno dello Stato per quanto riguarda gli stati particolari, gli uomini ritroverebbero questo mito, il mito dello stato persona e persona sovrana e persona sovra-umana, intronizzato al 240 Ibi, 1112. MARITAIN, L’essence de l’internationalitation, p. 1146. 242 MARITAIN, Il problema dell’unificazione politica del mondo, in L’uomo e lo Stato, p. 207. 243 L’analisi di Maritain coincide, da questo punto di vista, con quella di L. Sturzo il quale anch’egli vedeva nella sovranità dello Stato il principale ostacolo alla realizzazione di una comunità internazionale: “Uno degli ostacoli, scrive Sturzo, principali al commino dell’internazionalizzazione è dato da un elemento idealistico, tradotto in una formula giuridica: ed è il concetto della sovranità di uno Stato…Bisogna convenire che il concetto di sovranità di uno Stato nel senso vero della parola, cioè di illimitatezza interna ed esterna e autodominio, ormai non ha più senso”, L. STURZO, Nazionalismo e internazionalismo, Zanichelli, Bologna 1971, p. 274. 244 MARITAIN, Il problema dell’unificazione politica del mondo, in L’uomo e lo Stato, p. 201. 241 147 vertice del mondo. Tutte le conseguenze implicate nella concezione hegeliana dello Stato potrebbero allora estendersi sull’umanità con una potenza irresistibile”.245 Da questo punto di vista, la sintesi cattolica, realizzando le aspirazioni naturali e universali degli uomini è in grado di offrire al mondo una politica internazionale degna di questo nome, superando l’errore nazionalista (Hegel), quello cosmopolita (Kant) e quello umanitario e terzo-mondista (Marx), in una sintesi realmente umanistica perché fondamentalmente di spirito cristiano (Maritain).246 La proposta di Maritain richiede pertanto la distruzione del falso ordine mondiale e l’avvento di un nuovo ordine internazionale che sarebbe personalistico, perché avrebbe al centro la persona umana; popolare, perché fonderebbe la sua legittimità a partire dai popoli liberi; pluralista perché rispetterebbe le differenze territoriali e le autonomie regionali. Il momento unificatore di tutto sarebbe l’amore evangelico che lo specificherebbe come cristiano: “l’amore, ecco la grande parola evangelica pronunciata oggi dalla Chiesa come un tempo da Gesù annunciante la buona novella. Ed è nei riguardi dello stesso ordine temporale e delle realizzazioni tra i popoli che la Chiesa pronuncia questa parola”.247 Un nuovo e autentico ordine internazionale sarà così una cristianità o non sarà. Con riguardo all’Europa vi è da fare un discorso diverso perché “la creazione di unioni federali risponde ad una necessità storica”.248 Già nel 1939, nei primi mesi dello scoppio della seconda guerra mondiale Maritain aveva prospettato una futura ricostruzione dell’Europa strutturata in un ordinamento federale fra i popoli: “si può e si deve sperare nell’avvenimento dell’Europa federale”, 249 scriveva Maritain nelle more della seconda guerra mondiale. Diversamente dall’organizzazione internazionale, 245 Ibid. Esiste un errore umanitario (..). Esso consiste nel confondere l’umanità con la Chiesa, nel trasmettere alla prima i privilegi della Chiesa, nel farne il Regno di Dio. Si afferma di conseguenza che noi dobbiamo amare l’umanità, elevata in tal modo a città suprema, più che la nostra patria. Ciò non è vero, perché noi dobbiamo coltivare l’amore dell’umanità, caritas generi humani, ma noi dobbiamo, senza misconoscere mai i doveri di giustizia e di carità che uniscono le nazioni fra di loro- amare il nostro popolo e la nostra patria più che gli altri popoli e le altre patrie, che nel loro insieme formano una comunità più vasta, ma non la più materna. Esiste pure un errore nazionalista, consistente nell’amare la nazione più che la Chiesa; anche questo è un rovesciamento dell’ordine ed anche peggiore del primo perché il nostro amaro per la Chiesa fa tutt’uno col nostro amore per Gesù Cristo. Noi dobbiamo amare la Chiesa, vale a dire il Corpo Mistico di Cristo più che la nostra patria”, cit. in BARS, Il pensiero politico di Maritain, pp. 155-156. 247 MARITAIN, Le condizioni del progresso e della pace, in Approches sans entraves, Vol. II, p. 251. 248 BARS, Il pensiero politico di Jacques Maritain, p. 177. 249 J. MARITAIN, L’Europe et l’idée federale, Paris, Mame 1993, p. 23. 246 148 in Europa la sovranità degli Stati ha cessato di operare soprattutto nelle materie economiche divenendo di competenza degli istituti sovranazionali europei, i quali però governano per lo più in maniera separata dal corpo politico europeo e senza la necessaria legittimazione dal basso. Da questo punto di vista, il tentativo attuale di fornire l’Europa di una carta costituzionale senza che ciò nasca da una volontà popolare ha rappresentato indiscutibilmente il punto di arrivo di questa tendenza governativa e non politica del processo unitario europeo di marca sostanzialmente positivistica e non umanistica. Si è così tradito il progetto pienamente politico di Maritain auspicato nelle more della seconda guerra mondiale, e finalizzato ad un’Europa politica, cioé dei popoli. All’epoca, la proposta di Maritain presupponeva due condizioni negative e su una positiva. Le prime due consistevano ne: “la liquidazione del totalitarismo comunista, fascista e nazista nei paesi di antica civilizzazione cristiana-occidentale; una purificazione delle concezioni politiche e dei principi morali dei popoli chiamati democratici nel vocabolario del XIX secolo”.250 La terza invece, risiedeva nella comprensione dei cristiani di essere il lievito di una nuova epoca successiva alla liquidazione storica dell’età moderna: “e’ ispirandosi all’idea di una vera civilizzazione cristiana che si deve se non si vuole disperare dell’avvenire del mondo sforzarsi di esaminare i problemi posti dalla guerra”.251 La seconda guerra mondiale ha decretato tuttavia solo la fine del nazi-fascismo e non del comunismo; da questo punto di vista, solo oggi, con il crollo del muro di Berlino, si è consumata l’ultima ideologia moderna, e pertanto siamo in diritto di ritenere che le riflessioni di Maritain possono illuminare i tempi nei quali entriamo, ora che la situazione storica è definitivamente chiara.252 Pertanto, sia l’unità federale europea che l’organizzazione politica del mondo richiede un rivolgimento di dimensioni epocali di cui solo il cristianesimo conosce il segreto e che trova il suo principio animatore nell’Amore: 250 Ibi, pp. 15-16 Ibi, p. 20. 252 Di ciò in verità era cosciente lo stesso Maritain pessimista rispetto al suo tempo ma pieno di speranza quanto al futuro: “io non penso affatto che le considerazioni che io propongo sull’idea federale e sulla ricostruzione dell’Europa, e che risalgono ad un’epoca in cui l’avvenire sembra meno buio, abbiano solo un interesse documentario. Io penso che un giorno arriverà – lontano che sia- dove elle potranno di nuovo sembrare attuali”, ibi, p. 16. 251 149 “non vi sarà niente di fatto, anche attraverso il lavoro più ardente di rinnovamento, anche gli sforzi più generosi di azione apostolica, non vi sarà niente di fatto senza la carità, senza quest’agapè che ha certamente più importanza delle tecniche della psicologia di gruppo e di altri passatempi del giorno di cui san Paolo ebbe a scrivere: “Quando anche parlassi le lingue degli uomini ma non avessi la carità sarei come un cembalo che risuona”.253 Ciò non significa che la nuova cristianità richiede che ogni popolo debba essere cristiano. Le considerazioni che facciamo sono infatti relative all’ideale storico di una democrazia universale che richiede uno spirito evangelico per sussistere. Tuttavia, ogni cultura e ogni civiltà pur macchiate da errori contengono verità più o meno parziali, che la grazia purificherà, sopraelevandole nel loro ordine particolare. Ciò che qui vogliamo formulare vale in senso assoluto, non nel caso particolare, e nulla toglie che, osserva Maritain, “in un dato tempo l’area di cultura nella quale una civiltà d’ispirazione cristiana abbia possibilità di trovare un terreno più favorevole ai suoi sviluppi futuri sia un’aria di cultura in cui l’energia del Corpo Mistico passa, in larga misura, per il tramite di uomini di buona volontà che gli appartengono in modo invisibile,. Ed in cui le sue forze visibili non appaiono operanti considerevolmente nell’ispirazione comune”.254 L’unità del genere umano appare in senso pieno come il segno distintivo del cattolicesimo, ed è ad esso che è assegnato il compito di mostrare e realizzare l’ideale storico concreto di una democrazia universale, la quale “presupponendo la virtù morale della giustizia e procedendo direttamente dalla more della carità, ella non può essere accompagnata di una maniera veramente e completamente efficace che sotto il segno del Regno di Cristo”.255 253 Ibid. MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 106. 255 MARITAIN, L’essence de l’internationalisme, p. 1147. 254 150 2.5 Elementi del concetto filosofico-politico di cristianità. Maritain, in continuità con i teologi medievali, soprattutto con san Tommaso, ha distinto la storia dei tempi cristiani in tre età attraverso cui essa compie il suo fine relativo. La storia ha perciò un significato e uno scopo: la realizzazione integrale della persona in quanto umana. Ogni età è specificata da un particolare tipo di civiltà contraddistinta da fini diversi o da modi diversi di realizzare lo stesso fine: diversas vita faciunt, et per connsequens diversas republicas,256 ha scritto san Tommaso. Nel secondo Commentario al Cantico dei Cantici attribuito a san Tommaso, compare la suddivisione in tre periodi che Maritain adotta fedelmente, distinguendo tra: 1) l’antichità cristiana, che comprende circa otto secoli, 2) l’età moderna, che inizia con XIII-XIV sec. (in procinto di chiudersi definitivamente); e infine la terza età, non ancora cominciata, il cui segno più caratteristico sarà la reintegrazione del popolo di Israele.257 Queste tre età costituiscono la traiettoria storica attraverso cui si compie la vocazione storica dell’umanità, ovvero la modalità storica attraverso cui l’Umanità del Cristo si esprime nel tempo. Tuttavia, per chiamare le cose col loro nome, diciamo pure che la nuova cristianità non significa un’età della pace universale. Piuttosto, in virtù della legge evangelica del doppio progresso contrastante, la nuova cristianità si troverà a contrastare un movimento di degradazione assai elevato, al punto che per Maritain, riprendendo Aristotele, questa nuova età, sarà abitabile o dalle bestie o dagli dei.258 SAN TOMMASO D’AQUINO, Commentario sulla politica, L. VII, lect. 6. MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 74. 258 Già nel 1928 Maritain con due amici quali P. Wust e N. Berdjaev, ebbe modo di affrontare la questione di questi due movimenti del Cristo e dell’Anticristo operanti nella storia; e a questa linea Maritain rimase sempre fede fino al celebre per una filosofia della storia: “penso che due movimenti immanenti si incrociano ad ogni punto della storia del mondo e applicano ciascuno i propri complessi momentanei. Uno di questi movimenti tira verso l’altro tutto ciò che nel mondo partecipa alla vita divina del Regno crocifisso al mondo e segue l’attrazione del Cristo, capo del genere umano. L’altro movimento trascina verso il basso tutto ciò che nel mondo appartiene al principe di questo mondo, capo di tutti i cattivi. Subendo questi due movimenti interni, la storia avanza nel tempo. […] da allora è vero che andiamo verso un nuovo medioevo, verso un’unità e un’universalità ritrovate dalla cultura cristiana. Ma quali siano le vittorie visibili o invisibili che possiamo sperare per la Chiesa, si capisce che questa restaurazione della cristianità sia nell’ordine sociale che nell’ordine dello spirito, deve prodursi in un modo sempre più tragicamente diviso”, MARITAIN, Il Dottore angelico, pp. 103-105. 256 257 151 E’ in virtù della logica stessa del Verbo, il quale ha creato tutte le cose, che necessariamente l’ordine umano, l’ordine naturale si realizza nel Verbo fatto carne e specifica in proprio la cristianità. E’ questa una verità che Maritain ha sempre riconosciuto, se è vero che sin dal 1915 osservava che “l’ordine cattolico appare come il solo bene, nello stesso ordine temporale, per l’umanità”.259 D’altro canto, l’Incarnazione del Verbo in quanto avvenimento storico non può che assorbire interamente il movimento della storia e guidarlo verso il suo compimento quaggiù relativamente, e lassù assolutamente: “si può proclamare il lieto annuncio della salvezza senza che s’inculturi, senza che penetri nelle giunture della vita sociale?”.260 Ciò che definisce la cristianità è pertanto l’incontro fra questi due movimenti: il movimento di ascesa dell’uomo consentito dal movimento primo di discesa di Dio, tale da rifrangere nell’uomo la verità evangelica. Questi due movimenti non sono pertanto che la conseguenza di un avvenimento storico, l’Incarnazione del Verbo che rappresenta un nuovo inizio nel tempo, una nuova creazione e in quanto tale una cristianità: “l’idea di cristianità deriva dalla teologia dell’Incarnazione, dall’evento del Verbum caro”.261 E tale avvenimento si fa incontro agli uomini nel tempo attraverso il Suo Corpo misterioso rappresentato dall’unità dei credenti, ovvero la Chiesa. Si comprende il motivo per cui “in ogni nuova età nuova età della storia umana è normale che i cristiani sperino in una nuova cristianità e si prospettino come guida al loro sforzo un ideale storico appropriato al particolare clima dell’età in cui si tratta”.262 J. MARITAIN, Le role dell’Allemagne dans la philosophie moderne, in O. C., Vol. I, p. 1023. Continua Possenti, “alle sorgenti dell’idea di cristianità sta il Vangelo come evento sociale, ossia non costituente solo una relazione verticale e singola tra Dio e individui sociali, il Vangelo come forza sovversiva che scompagina ogni pseudo ordine e cattive forme sociali: La funzione sociale del Vangelo consiste nell’offrire una prospettiva assoluta per tutto l’uomo e per tutti gli uomini”, V. POSSENTI, Tra secolarizzazione e nuova cristianità, EDB, Bologna 1986, pp. 170-177; è stato infatti ben evidenziato come di per sé “non può esistere un Popolo di Dio senza che esista una cristianità”, F. RICCI, Per un’apologia della nuova cristianità, in Umanesimo integrale e nuova cristianità, Massimo, Milano 1988, p. 272. 261 POSSENTI, Tra secolarizzazione e nuova cristianità, p. 211. 262 J. MARITAIN, Umanesimo integrale, presentazione P. Viotto, Borla, Torino 1980, p. 262; Botturi, parlando del rapporto fra cristianesimo e storia, ha notato come il termine cristianità “non è presente in Rosmini, o comunque non svolge il ruolo indicatore del rapporto vivente (o utopico) dei cristiani con la storia come in Maritain. Ma è sorprendente quanta prossimità di pensiero vi sia con il discorso maritainiano a livello di contenuto ideale: è questo probabilmente un altro punto in cui emerge con particolare evidenza la comunanza profonda di interessi e di metodo tra Rosmini e Maritain”, F. BOTTURI, La filosofia della storia di Maritain e Rosmini, in AAVV. Storia e cristianesimo in Jacques Maritain, a cura di V. Possenti, Massimo Milano 1979, p. 263. 259 260 152 La cristianità in altri termini rappresenta la realizzazione della vocazione storico-temporale dell’umanità secondo i suoi fini specifici per i quali essa è stata creata dal Verbo. Tali fini non sono i fini eterni ma umani, e pertanto l’umanesimo è distinto dal cristianesimo come la religione è distinta dalla cultura e dalla politica: “la nozione di cristianità è nettamente distinta dalla nozione di cristianesimo e di Chiesa. Una cristianità vuol dire una civiltà d’ispirazione cristiana, non un mondo cristiano semplicemente decorativo, ma una civiltà d’ispirazione veramente e vitalmente cristiana. Una cristianità appartiene all’ambito temporale, appartiene al mondo, ma al mondo in quanto sopraelevato, nel suo ordine proprio dal lievito del cristianesimo”. 263 Tuttavia, se esiste una sola Chiesa, dal momento che esiste un solo Signore, 264 esistono più cristianità che rappresentano l’aspetto temporale, storico del cristianesimo. La civiltà è in pellegrinaggio,265 che è un altro modo per dire che “la Chiesa non muore, le civiltà muoiono”.266 Il merito della civiltà medievale è stato quello di essere un'età specificamente cristiana, e ciò significa che essa è stata autenticamente umana.267 La fede incarnata in tanti secoli di civiltà ha potuto infatti plasmare definitivamente l’uomo occidentale, facendogli prendere coscienza del suo primato ontologico.268 Come infatti ha scritto lo storico inglese Dawson “l’importanza 263 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 120. “Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti”, Ef, 4, 3-6. 265 Questo aspetto segue proprio dal fatto che la patria assoluta dell’uomo è il cielo e peraltro esso necessita per arrivare di tutta la traiettoria umana: pertanto osserva Maritain “la condizione dei membri della città temporale non dovrebbe essere confusa né con una beatitudine quaggiù, né con una felicità di distensione e di riposo”, MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 175. 266 Ibi, p. 177. 267 La sola misura con cui si possa validamente giudicare un’epoca è il sapere fino a che punto l’esistenza umana vi si è sviluppata nella sua pienezza, giungendo, secondo le proprie particolarità e possibilità, al suo vero significato. E ciò è avvenuto nel Medioevo in misura tale da porlo fra le epoche più alte della storia”, R. GUARDINI, La fine dell’epoca moderna, Il potere, Morcelliana, Brescia 1954, p. 29. 268 “Il cattolicesimo, scrive Berdjaev, non solo guidava l’uomo verso il cielo, ma suscitava anche la bellezza e la gloria sulla terra. Questo è il suo grande segreto. Lo slancio rivolto al cielo e alla vita eterna genera bellezza e produce forza nella vita terrena. L’ascetismo del mondo cattolico medievale era un’ottima preparazione ad operare, giacché salvaguardava e concentrava le energie creative dell’uomo. L’ascesi medievale era per l’uomo una scuola straordinaria: essa gli forniva una tempra sublime. E l’uomo europeo, durante tutta la storia moderna, ha vissuto di ciò che aveva spiritualmente acquisito a questa scuola. Al cristianesimo deve tutto. Nessun’altra scuola ha più potuto soggiogarlo e disciplinarlo…il cristianesimo ha continuato a vivere in lui in forma secolarizzata”, N. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi, Roma 2004, p. 18. 264 153 di questi secoli (..) non deve esser giudicata in base all’ordine esterno da essi creato o che cercarono di creare, ma considerando la trasformazione interna ch’essi operarono nell’anima dell’uomo occidentale, che non potrà mai essere interamente annullata se non dalla negazione totale e dalla distruzione dell’uomo occidentale stesso”.269 La civiltà cristiana dei tempi medievali è stata tuttavia segnata non soltanto dagli autentici principi di una vera civiltà umanistica ma per ciò che concerne il problema antropologico, da uno sguardo non sempre riflessivo sull’uomo e sul creato, in quanto il più delle volte condizionato da una concezione sacrale della vita politica e civile. Nel medioevo, scrive Maritain, “rimanevano vaste regioni d’ombra che concernevano le profondità create e umane di questo mistero”,270 ovvero la persona in quanto umana dotata cioé di una dimensione non soltanto spirituale ma anche individuale e terrena. Analizzando in profondità l’ideale storico della civiltà medievale, Maritain ha distinto cinque tratti tipici che né hanno ostacolato lo sviluppo: tendenza a un’unità massimale, predominanza effettiva del compito ministeriale del temporale, impiego dell’apparato temporale per fini spirituali, diversità di “razze sociali”, un impero di Cristo da edificare.271 Per san Tommaso ciò era pienamente comprensibile, dal momento che “niente raggiunge la perfezione all’inizio, ma con il tempo”.272 Egli stesso ha osservato che non si può certo dire che il padre di famiglia sia incostante quando in ragione delle diversità delle stagioni, dona ai suoi figli degli abiti pesanti in inverno e caldi in estate, così allo stesso modo è la stessa volontà di salute che ha portato Dio a dare agli uomini dei regimi sacramentali specificamente differenti nelle leggi antiche e nelle leggi nuove.273 Con ciò egli ha indicato il movimento di progresso materiale della storia all’interno di principi spirituali che non hanno storia, in quanto sono opera dell’Eterno. Da questo punto di vista, rispetto alla verità evangelica, la “cristianità medievale non è che una delle sue possibili realizzazioni”.274 Ciò implica che la nuova cristianità, pur se di spirito cristiano e in quanto tale in continuità spirituale con la civiltà medievale, non é una ripetizione dell’epoca 269 CH. DAWSON, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 1997, p. 293. Cfr. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 68. 271 Ibi, pp. 180-187. 272 SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, q. 106, a 3. 273 Ibi, III q. 61 a. 4, ad 3; questa stessa analisi è effettuata in JOURNET, Une présentation de l’Humanism integral, p. 252. 274 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 175. 270 154 medievale, che, per essere una civiltà, è stata giudicata dalla storia e non ha più alcuna probabilità di ritornare.275 La civiltà cristiana dei tempi medievali rappresenta insomma una prima età dei tempi cristiani con un ideale storico appropriato al suo tempo storico e definitivamente passata. Rispetto ad essa una nuova cristianità è da considerarsi come l’età matura del cristianesimo, il cui ideale storico concreto, purificato dal fuoco della modernità, risulterà altamente differenziato in riferimento ai compiti della Chiesa, e tale da coincidere con un umanesimo integrale. In tal senso, si comprende la scelta di Maritain che per designare questa nuova epoca nella quale entriamo ha preferito parlare di un nuovo umanesimo piuttosto che “nuovo medioevo”, come invece Berdjaev, in quanto appunto questo termine, per quanto di per sé non sbagliato, avrebbe finito per creare “illusioni”.276 L’umanesimo integrale appare così come il raggiungimento della maggiorità sociale e politica del cristianesimo, comprendendosi solo alla luce di una terza età della storia dei tempi cristiani, le cui note caratteristiche saranno “opposte a quelle del liberalismo e dell’umanesimo inumano dell’età antropocentrica e inverse a quelle che noi abbiamo rilevato nell’ideale storico medievale”.277 Tuttavia, dal momento che il corso del tempo non è manicheo, la nuova cristianità conserverà i principi spirituali medievali (per questo è un’autentica cristianità), applicandoli però in maniera analogica (per questo è nuova), assumendo e purificando in definitiva le forme concrete dell’evo moderno. 275 Due sono i principi che inducono Maritain a pensare che un ritorno al medioevo sia impossibile. Il primo Maritain lo riassume così: “in virtù di una legge che domina il temporale come tale e che concerne la congiunzione, se così posso dire dell’Uomo col Tempo. La quale legge è che un’esperienza troppo fatta non può più essere ricominciata. Per il semplice fatto che l’uomo ha vissuto a fondo una certa forma di vita e sperimentato a fondo i beni e i mali che il perseguire un certo ideale storico ha fatto passare nella sua carne, queste cose sono finite; è impossibile tornarvi, si ha qui una legge del temporale come tale”, destinato a passare perché appunto del tempo. In secondo luogo, Maritain adduce un secondo motivo non meno rilevante e che concerne il cristiano come tale: “se è vero come un cristiano non può non pensare che Dio governa la storia, che vi persegue malgrado tutti gli ostacoli, taluni disegni e che in tal modo un’opera divina e preparativi divini si compiono nel tempo e dal tempo, sarebbe andare contro Dio stesso e lottare contro il supremo governo della storia, pretendere di immobilizzare in una forma del passato, in una forma univoca, l’ideale di una cultura degna di finalizzare la nostra azione”, MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 178; notiamo solo che tutta questa riflessione, che gli provocherà tante incomprensioni, verrà battezzata dalla Chiesa trent’anni dopo con il Concilio Vaticano II. 276 Ibi, p. 263. 277 Ibi, p. 197. 155 Tirando le fila, le diverse cristianità operanti nella storia non implicano un cristianesimo diverso, secondo l’errore dei Riformatori moderni, in primis di Lutero, ma degli adattamenti temporali degli stessi principi eterni, per come conosciuti dagli uomini nel corso della storia. Il Concilio Vaticano II, da questo punto di vista, costituisce una preziosa dimostrazione. Per tutto ciò, il Concilio Vaticano II costituisce, insieme al ritorno degli Ebrei a Canaan nel 1948, un riorientamento della storia; riorientamento che attende ancora oggi di trovare esito positivo nei destini dell’umanità attraverso l'attuazione autentica del Concilio e la conversione degli Ebrei. In riferimento a questo secondo evento, Maritain ha sempre sostenuto che “l’instaurazione di una nuova cristianità che noi riteniamo possibile in sé, deve a nostro parere, essere considerata molto improbabile, almeno come riuscita stabile e generale prima della vicenda di cui parliamo”.278 Tuttavia, una nuova cristianità ha bisogno di trovare un inserimento cosciente nel movimento della storia attraverso un rivolgimento insieme culturale e spirituale attivo dentro un paese di tradizione cristiana, il quale dalla dissoluzione del mondo moderno sappia orientarsi verso una civiltà di tipo fondamentalmente nuovo perché tale da riflettere nella realtà terrestre le esigenze evangeliche. Già a metà degli anni venti Maritain osservava: “supponiamo che una filosofia comune agisca con un fermento in qualche nazione privilegiata del pensiero europeo: per il mondo occidentale sarebbe l’inizio della guarigione”.279 Maritain ha pensato alla cristianità secondo tutta l’ampiezza che essa postula ossia, teologica, filosofica e politica. Proprio dal punto di vista politico, egli ha ravvisato la necessità di un Risorgimento nazionale ad opera di partiti politici animati da uno spirito alternativo a quello moderno. Sarebbe stata l’azione questa di un terzo partito, capeggiato da cives praeclari o profeti del popolo, il quale agendo in comunione esistenziale col popolo avrebbe svolto un ruolo di cambiamento sostanziale di una nazione: “ciò che è necessario.. ciò di cui deploriamo l’assenza su un piano temporale, è una nuova formazione politica che abbia come fine quello di una rifondazione della società secondo i principi dell’umanesimo integrale. Un partito diciamo meglio una fraternità politica che non pretende di raggruppare i cattolici come tali, ne tutti i cattolici, ma soltanto dei cattolici che hanno una certa concezione dell’ideale storico da perseguire e dei mezzi da impiegare; e che non pretende di raggruppare esclusivamente dei cattolici e 278 279 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 262. MARITAIN, Il Dottore angelico, p. 88. 156 nemmeno esclusivamente dei cristiani, ma tutti coloro di fatto vorranno dedicarsi a una impresa storica (che questa impresa poi dipenda dalla metafisica e dalla spiritualità cattoliche- e che essa domandi quindi dei capi cattolici- è tutt’altra questione); essa deve essere ciò che è nel modo più completo, dopo di ciò essa chiama all’opera ogni operaio di buona volontà”.280 Il rivolgimento politico nazionale, nell’analisi di Maritain, doveva dunque essere preparato sul terreno politico dalla libera iniziativa di un profeti del popolo che attraverso un’azione politica a lunga portata ed evitando di sacrificare l’avvenire al presente, a prezzo dei necessari rifiuti, concentrasse “la sua azione su un centro che non è l’ordine presente ma una nuova cristianità”.281 280 281 MARITAIN, Lettera sull’indipendenza, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 65. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 282. 157 III capitolo La fine della civiltà moderna e l'avvento di una nuova cristianità: la filosofia politica di Jacques Maritain come superamento delle dicotomie moderne. “Noi non abbiamo paura della rivoluzione caro Philonous. Saremo anzi noi alla fine ce la faremo. Perché sarà davvero una gran bella Rivoluzione quando il mondo ritornerà all’ordine”. J. Maritain, Théonas 3.1 La falsa filosofia liberale dei diritti dell’uomo: il pensiero politico di Kant. “Il mio libro I diritti dell’uomo e la legge naturale ha lo scopo di criticare la falsa filosofia (liberale) dei diritti della persona umana e lo scopo di stabilire questi diritti in una filosofia cristiana dell’uomo e dello Stato”.1 Esiste una falsa filosofia dei diritti dell’uomo che storicamente ha assunto il nome di liberalismo, la quale per essere falsa deve essere purificata alla luce della verità e della sapienza cristiana, nella quale collocare la vera filosofia politica dei diritti dell’uomo. 1 MARITAIN, Ad alcuni miei contraddittori, in Ragione e ragioni, p. 203. 158 Il merito storico del liberalismo consiste nell’aver fatto prendere coscienza dei diritti dell’uomo nell’ambito autonomo della realtà terrena. In sé questa non è una verità ultima e assoluta, non riguarda il movimento verticale dell’uomo verso Dio in quanto Dio. Piuttosto, essa è una verità penultima e relativa, una verità che concerne il movimento orizzontale dell’uomo verso Dio ma in quanto uomo; e che, per essere una verità, ha il diritto di essere riconosciuta ed espressa analogicamente nell’ordine naturale, vale a dire nell’ordine specifico della realtà politica. Tuttavia, l’errore del liberalismo è quello di aver fatto della verità penultima la verità ultima. E’ accaduto così che, per un’assurda contraddizione, la rivendicazione dei diritti, proclamati con enfasi nelle Costituzioni del settecento, è avvenuta sulla base dell’individuo-dio e non sulla persona–immagine di Dio. La tragedia del liberalismo è racchiusa in questa opposizione che ne determinerà inevitabilmente il fallimento storico. Da questo punto di vista, Maritain ha avuto il merito di non soppiantare ma di purificare con lo spirito cristiano la verità impazzita del liberalismo, restituendo alla libertà il suo fondamento unico, l’Incarnazione del Verbo di cui essa non è che l’aspetto sociale e terreno. Si è già detto infatti che il dogma dell’Incarnazione garantisce la più alta esaltazione della dignità dell’uomo, espressa fondamentalmente nella Libertà: “solo nel mistero dell’Incarnazione redentrice, ha scritto definitivamente Maritain, il cristiano scorge che cosa sia la dignità dell’uomo e quanto costi”.2 La manifestazione politica della stagione liberale ha avuto fondamentalmente luogo nella prima fase Rivoluzione francese, vista come momento palingenetico ed epocale, come espressione essenziale della modernità in opposizione alla civiltà medievale. Essa ha rappresentato una crisi profonda nella coscienza europea, rivoluzionando in senso antiteista un’intera civiltà, capovolgendo l’ordine politico non più ordinato ai diritti di Dio, ma ai diritti dell’Uomo, facendo così della Menzogna la sua specificità. E’ il 1789: “la rivoluzione francese - ha scritto Furet - trae la propria eco universale dall’essersi proclamata tale: [..] Essa costituisce quindi un evento inscindibilmente politico e filosofico, già considerato sotto entrambi gli aspetti dai suoi contemporanei dato che il 1789 era stato salutato come la vittoria della filosofia 2 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 232. 159 illuminista in un ordine di realtà che questa si era scelta come sua specifica: la riorganizzazione della polis. Il carattere unico della rivoluzione francese nella storia moderna deriva da tale mescolanza di generi, grazie al quale il 1789 si apparenta ad un’Annunciazione religiosa laicizzata, a una promessa della ragione o dei diritti che si sostituisce a quella di Dio”. 3 La separazione del Politico dallo Spirituale ad opera del liberalismo non ha fondato la laicità; piuttosto ha finito per far rifluire i diritti di Dio nei diritti dell’Uomo, deificando il Politico, secondo il dinamismo proprio della civiltà moderna in quanto moderna: “era riservato ai tempi moderni cercare la deificazione nell’abolizione della saggezza e nella rottura con Dio”.4 Il vizio fondamentale della Rivoluzione francese, nella versione liberale del 1789, è consistito pertanto nel fare dei diritti dell’uomo uno strumento per affermare la liberazione dell’Uomo dalla sua creaturalità, per affermare la sua autonomia che illusoriamente veniva fatta coincidere con la sua dignità. Le note dominanti della dottrina liberale sono di fatto teologiche e perciò Maritain ha spesso parlato, a proposito, di liberalismo teologico, individuando in esso il primo sbocco della teologia umanistica assoluta, caratterizzata dalla libertà senza la grazia, secondo uno dei due versanti del dualismo tipico dell’età moderna, 5 che finirà per distruggere la stessa libertà. Tale antinomia fondamentale fra i diritti politici e le fondamenta spirituali della Rivoluzione non sfuggiranno a Rosmini, uno dei primi in ambito cattolico ad iniziare a togliere il veleno dalla falsa concezione liberale dei diritti dell’uomo rivoluzionario, osservando come nella Rivoluzione, F. FURET, introduzione a L’heritage de la Révolution francaise, Hachette, Parigi 1989, p. 3; il successo di questa rivoluzione non si può spiegare senza richiamare almeno brevemente l’alleanza con la Massoneria, quella “nuova Chiesa invisibile”, opposta alla Chiesa cattolica, il cui apostolato era orientato al bene dell’Umanità. Come scrive R. POMEAU in L’Europe des Lumières, “non si può contestare che la massoneria, propagandando un idealismo razionalista ammantato di fiducia euforica nell’avvenire, contribuì all’unità europea dell’Illuminismo”, cit. in CHEVALLIER, Storia del pensiero politico, “L’età moderna”, Vol. II, p. 373. 4 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 22. 5 Nelle prime pagine di Umanesimo integrale Maritain divide il dualismo moderno nel rapporto fra natura e grazia, distinguendo fra libertà senza la grazia e grazia senza libertà. Entrambe le soluzioni, come vedremo più avanti, costituiscono le due forme tipiche anti-cristiane e derivano dalla Riforma protestante, specificando come tale l’età moderna, Umanesimo integrale, pp. 73 e succ; in un’altra opera più tarda, Maritain ha proseguito questa considerazione affermando che “la grande rottura luterana tra fede e ragione, come tra Vangelo e cultura” è alla base della filosofia kantaina: “la dipendenza di Kant da Lutero è evidente”, MARITAIN, La filosofia morale, p. 117. 3 160 “si predicarono i diritti dell’uomo e si diede a credere di riformare il mondo, e con queste premesse si giunse a calor di eloquenza ed ingegno di sofismi; e tutte le cose avevano quella doppia faccia che pareva giusta ed era ingiusta [..] cola libertà si formarono i tiranni e colla eguaglianza si depredavano le ricchezze e colla grandezza d’animo la viltà delle passioni si soddisfaceva”. 6 Il liberalismo teologico, di cui la prima fase della Rivoluzione francese è espressione, costituisce il punto di arrivo dei tre secoli precedenti inaugurati teologicamente dalla Riforma protestante attraverso l’affermazione della “concezione immanentista della coscienza”. D’altra parte, spostandoci su di un versante filosofico, viceversa le sue origini possono fatte risalire all’idealismo antropocentrico di Cartesio che aveva trasferito nell’uomo gli attributi d’indipendenza propri di Dio facendone il “padrone e possessore della natura”.7 Alla fine settecento, finalmente Kant veniva a materializzare il cristianesimo in un’opera interamente filosofica, separando i valori cristiani dal loro contenuto fondamentale e trasferendoli nella Ragione sovrana: “egli (Kant) si trovava al punto di convergenza di due tradizioni opposte; da una parte il processo di separazione razionalistico che terminava in lui in un culto della Ragion Pura e nella convinzione dell’egemonia assoluta della filosofia come disciplina critica; d’altra parte l’influenza del cristianesimo e la fedeltà ad alcune convinzioni di origine cristiana segnavano in modo ugualmente assoluto e irrevocabile, il suo ideale morale”.8 Kant ha così fornito alla Rivoluzione francese una dottrina completa, comprendendone la causa e legittimandone gli scopi, anche quando questa si sarà dimostrata inadeguata a fondare un ordine politico realmente liberale: “la rivoluzione (francese) di un popolo di ricca spiritualità quale noi abbiamo visto effettuarsi ai nostri giorni non può avere altra causa se non una disposizione morale del genere umano”,9 ha osservato Kant. La Rivoluzione francese deve pertanto la sua ispirazione essenziale al liberalismo, il quale ha raggiunto nella filosofia di Kant una compiutezza di espressione tale che gli altri liberalismi moderni non sono che un’approssimazione del liberalismo kantiano. Da questo punto di vista, 6 A. ROSMINI, Saggi inediti giovanili, Opere di A. Rosmini 11/A Città Nuova Roma 1987 t. II cit. in M. D’ADDIO, La libertà di appagamento politica e dinamica sociale in Rosmini, Studium, Roma 2000, p. 6. 7 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 22. 8 MARITAIN, La rivoluzione kantiana, in La filosofia morale, p. 121. 9 I. KANT, Il conflitto della facoltà, cit. in G. TEDESCHI, Storia del liberalismo europeo, p. 117. 161 la sua opera è fondamentale, perché egli ha compiuto il trasferimento definitivo dell’etica cristiana da Dio all’Uomo preso nella sua dignità sovra-empirica. In tal modo, Kant ha eretto l’autonomia ad assoluto decapitando l’etica e la politica cristiana dal piano teologale al piano morale e razionale, trasferendo gli elementi derivati dal cristianesimo in un’etica “essenzialmente razionalistica dove la Ragion Pura ha preso il posto del Dio di Mosé, in quanto Ragion Pura Pratica”.10 Essa ha reclamato i diritti dell’uomo sulla base delle sue idee a priori, privandoli del loro contenuto ontologico, inquadrandoli in una visione acosmica e idealistica che, se da una parte ha fatto perdere alla ragione la sua presa sull’essere, dall’altra ha svuotato la personalità che diceva di affermare, in nome di un’individualità che è costretto ad affermare. In tal modo, “questa filosofia non ha stabilito alcun solido fondamento per i diritti della persona umana, perché nulla può fondarsi sull’illusione: ha invece compromesso e dissipato tali diritti perché ha condotto gli uomini come diritti in se stessi divini, e pertanto infiniti, che sfuggono a ogni norma oggettiva, che rifiutano ogni limitazione imposta alle rivendicazioni dell’io”. 11 Da questo punto di vista, il sistema di Kant è un cristianesimo deviato, un cristianesimo secolarizzato perché separato da Cristo e affermato sulla Ragione, e che ha fatto dire a Péguy come il “kantismo ha le mani pure ma non ha le mani”.12 Dal punto di vista politico è essenziale evidenziare come Kant nella misura in cui assolutizza l’uomo rescinde le sue ordinazioni essenziali e trasnaturali riducendolo ad individuo materiale. In tal modo, pur se nel vocabolario kantiano il termine persona viene ripetuto costantemente esso diventa in realtà un flautus vocis e un modo per ingannarsi. La sua fede nella Ragione gli ha fatto inevitabilmente credere che “una persona non è soggetta ad altre leggi che non siano quelle che essa da a se stessa”.13 In verità, la persona umana è realmente tale nella misura in cui è presente l’elemento divino in lei.14 10 MARITAIN, La filosofia morale, p. 141. MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, p. 82. 12 Cit. in DE LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo, p. 59. 13 I. KANT, Fondazione della metafisica dei costumi, IV, 24. 14 “Ciò che rende fine la persona umana è l’elemento divino che la informa”, A. ROSMINI, La filosofia del diritto II, p. 544. 11 162 Ciò che è drammaticamente mancato alla filosofia liberale è dunque il presupposto ontologico e reale della legge naturale, la cifra autentica dei diritti dell’uomo. E’ accaduto così che “per un fatale equivoco la legge naturale che è interiore all’essere e precede ogni formula- è stata considerata come un codice scritto, aperto a tutti e di cui ogni giusta legge sarebbe una copia e tale da fissare a priori tutti i particolari delle norme del comportamento umano nelle prescrizioni che si dicono dettate dalla Natura e dalla Ragione e che in realtà sono arbitrariamente e artificialmente formulate. Si è finito d’altra parte col trattare l’individuo come un dio e col fare di tutti i diritti a lui pertinenti dei diritti assoluti ed illimitati di un dio”..15 Per una paradossale contraddizione, da un lato l’uomo è considerato come un essere naturale, preso ontologicamente nella sua forma individuale; e tuttavia “si assorbono in quest’uomo della pura natura tutte le aspirazioni e tutti i richiami a una vita propriamente divina che per i cristiani competono alla grazia di Dio”.16 Per comprendere il liberalismo occorre pertanto considerare fattori non semplicemente razionali, in quanto la sua dottrina non è altro che una secolarizzazione di qualcosa di sacro. Si tratta in definitiva di una materializzazione della Grazia cristiana resa completamente immanente perché passata dal cielo alla terra, dalla fede in Dio alla fede nella Ragione. E’ un’altra fede che segna il carattere del liberalismo, una fede questa sì irragionevole perché costruita in maniera idealistica e non nella realtà. Ad avviso di Kant, “il passaggio graduale dalla fede ecclesiastica al dominio esclusivo della pura fede religiosa costituisce l’avvicinamento al regno di Dio”.17 In tal modo, si comprende perché tutta la modernità e la Rivoluzione francese, che ne è l’espressione politica, “appare dominata, qualunque cosa faccia e persino quando lo nega dal cristianesimo”.18 “La Rivoluzione è una perversione e una laicizzazione del Regno di Dio”. 19 J. MARITAIN, La filosofia dei diritti dell’uomo, in AA.VV, Dei diritti dell’uomo, Comunità, Milano 1952, p. 103. 16 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 78. 17 Come commenta Benedetto XVI, da cui ricaviamo la citazione, nell’enciclica Spe salvi n. 19, “Il regno di Dio arriva fin dove la fede ecclesiastica viene superata e rimpiazzata dalla fede religiosa vale a dire dalla semplice fede razionale”. 18 MARITAIN, La Chiesa cattolica e le civiltà, in Questioni di coscienza, p. 54. 19 Cit. in BARS, Il pensiero politico di Maritain, p. 113. 15 163 Per stringere le cose più da vicino e chiamarle col proprio nome, osserviamo come la stessa radice spirituale che perverte i diritti dell’uomo non è nemmeno essa stessa frutto di un processo razionale, ma deriva dai principi spirituali che da sempre animano quella che sant’Agostino chiamava la città degli uomini nella sua contrapposizione alla città di Dio, principi che si possono contemplare solo alla luce del peccato originale di Adamo, il quale per superbia attribuisce a sé quei diritti che invece appartengono a Dio. L’uomo kantiano e borghese, l’uomo che si gloria di se stesso, che si crede saggio e virtuoso, che innalza la Ragione e la Natura a divinità, corrisponde a ben vedere a quell’Adamo fondatore della città dell’Uomo, che all’amore di Dio e all’umiltà sostituisce l’amore di sé. Groithuysen, in uno spaccato assai fedele dell’uomo liberale, ha avuto ragione di osservare come in codesto uomo, il “borghese, padrone di un mondo nuovo, che Dio e il Demonio sembrano avere entrambi disertato […] l’uomo nuovo figlio di questa terra (che) si è fatto adulto senza l’ausilio della Chiesa.. quello che egli è lo deve solo a se stesso”.20 La città dell’illuminismo prima facie è la città dell’uomo senza Dio e contro Dio, secondo dominanti spirituali visti da sant’Agostino sotto una luce mistica, e in cui gli uomini si sono lasciati dominare “dalla loro superbia innalzandosi nella loro sapienza”,21 vale a dire deificando la Ragione. Di ciò è rivelatrice il testo dell’Enciclopedia che alla voce filosofia reca la definizione tutta illuministica: “la ragione è per il filosofo ciò che la grazia è per il cristiano. La grazia determina il cristiano ad agire, così fa la ragione per il filosofo”.22 Leggendo il testo della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo del 1789 troviamo una manifestazione di enunciati che trasudano di audacia e di ottimismo nella Ragione universale; Ragione che si ritiene capace di individuare nientemeno che “le verità di ogni tempo e di ogni paese”, tra cui la più importante di esse, ovvero che “gli uomini nascono liberi e uguali nei diritti” (art. 1). Ecco allora che “l’ignoranza, l’oblio lo sprezzo dei diritti sono le uniche cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei governi”.23 Le illusioni non durano! Un cosiffatto modello angelista dell’uomo idealisticamente immaginato come sapiente e buono, che deve evidentemente la sua origine spirituale a B. GROITHUYSEN, L’origine dello spirito borghese in Francia, La Chiesa e la borghesia, Einaudi, Torino 1977, pp. 184-185. 21 SANT’AGOSTINO D’IPPONA, De Civitate Dei, Lib. XIV, n. 28. 22 Cit. in CHEVALLIER, Storia del Pensiero Politico, “L’Età moderna”, Vol. II, p. 361. 23 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 4 agosto 1789. 20 164 Cartesio, doveva inevitabilmente apparire tragico, preparando la sua caduta, come recitano i testi sacri: “prima della caduta il cuore si eleva e prima della gloria si umilia”.24 Come sostiene ragionevolmente Baumann, una volta soppresso il “Dio signore del mondo” su cosa fondare “la nozione di un diritto che permette all’individuo - monade isolata – di porsi di fronte agli altri e di dire loro: c’è in me qualcosa di intangibile che vi impongo di rispettare perché il suo principio è indipendente da voi?”. Questa intuizione lapalissiana ci permette di chiederci con De Lubac “come ammettere un assoluto nell’uomo se non c’è alcun Assoluto?”. Il liberalismo ci dimostra così a contrario che “la causa di Dio nella coscienza e la causa dell’uomo nella società sono legate”.25 E tutta la filosofia politica di Maritain è costruita per dimostrare razionalmente e positivamente fondata questa verità. Di conseguenza, il liberalismo con la sua concezione dell’uomo ha finito per diritto o per forza di prostrarsi al Potere.26 Lo stesso Kant, partendo dai suoi presupposti, non ha potuto far altro che fare l’apologia del potere: “l’origine del potere superiore del potere è per il popolo che sta sotto di esso, dal punto di vista pratico imperscrutabile, cioè il suddito non deve sofisticare sottilmente intorno a quest’origine, come se si trattasse di un diritto dubbio per rispetto all’ubbidienza che ad esso si deve” .27 La dottrina liberale dimostra qui il suo irrazionalismo di fondo. Da una parte, si esaltano i diritti dell’uomo considerando l’uomo come un fine, mentre dall’altra si lavora alla sua abdicazione, umiliando l’uomo e riducendolo ad una monade, un individuo materiale, una mera particella della natura senza più legami sociali, senza dignità, senza legami col proprio passato. L’individuo materiale, avendo rifiutato la nozione di persona, non è un tutto come vorrebbe essere, ma è una parte come è costretto ad essere. Di conseguenza, la rivendicazione della sua libertà si dimostra essere un sogno che ha finito per far diventare impossibile quello che in realtà è un ideale storico concreto: 24 Pr.16-18. Il dibattito è riportato in DE LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo, pp. 215-216. 26 San Paolo stesso dirà degli uomini di coloro che pur avendo conosciuto Dio “non l’hanno glorificato come Dio ne gli anno reso grazie; ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente insensata si è ottenebrata. Affermando di essere sapienti sono diventati stolti e hanno adorato e servito la creatura anziché il Creatore”, Rm 1, 21-25. 27 I. KANT, Il conflitto delle facoltà, p. 93. 25 165 “in conseguenza della più assurda contraddizione storica, osserva Maritain, esse (le idee e le aspirazioni che caratterizzano l’ideale democratico), durante il XIX secolo e soprattutto in Europa, sono state incorporate in una sedicente filosofia dell’emancipazione del pensiero che le svuotava di ogni sostanza, le negava e le disgregava, pretendendo di “spegnere le stelle” in nome della scienza, e riducendo l’uomo ad una scimmia senz’anima, punto di arrivo di casuali trasformazioni zoologiche. In se stesse tuttavia queste idee e queste aspirazioni restano e sempre resteranno essenzialmente legate al messaggio cristiano e all’azione di stimolo segreto che esso esercita nelle profondità della coscienza profana e del mondo” .28 L’uomo, ridotto ad animale, sarà così pronto ad abdicare sotto il Potere, che alla lunga farà valere i suoi diritti.29 Questo fenomeno è maggiormente comprensibile se si analizza l’involuzione spirituale progressiva della modernità. Si comprenderà allora più efficacemente che “quando gli uomini così istruiti si sono trovati a urtare da ogni parte contro l’impossibile, hanno finito col credere alla bancarotta dei diritti della persona umana. Alcuni di essi si sono rivoltati contro tali diritti con un furore da schiavisti”.30 E’ nota l’espressione di quell’oratore che nell’Assemblea Costituente parlando dell’accentramento politico potè notare “questa bella conquista della Rivoluzione che l’Europa ci invidia”.31 Con ciò l’oratore ha voluto significare proprio il paradosso della libertà di un liberalismo nato per assicurare la libertà e terminato nel suo esatto contrario, secondo una dialettica che Maritain ha osservato essere inevitabile: “il liberalismo borghese, che pretende di fondare tutto sull’individuo preso come un piccolo dio e sulla sua volontà, va fatalmente a sboccare nello statalismo”.32 A ciò fa eco la stringente analisi di un grande osservatore del suo tempo, Tocqueville, il quale, costatando la malattia spirituale del suo tempo nell’assenza dello spirito della libertà e nella sottomissione al Potere, osava definirsi un liberale di tipo nuovo, cioè vero: 28 J. MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 31. Scrive CHEVALLIER: “dunque la sovranità dell’individuo, nella dimensione propria della Società discese dal testo lapidario del 1789. Ma bisogna guardarsi dal dimenticare un’altra dimensione, quella del Potere: quello stesso proclama, al riguardo, con una convinzione altrettanto robusta, una sovranità in concorrenza con la prima: la sovranità della Nazione”, Storia del pensiero politico, “L’età moderna”, Vol. II, p. 21. 30 MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, pp. 82-83. 31 Cit. in A. DE TOCQUEVILLE, L’antico regime e la rivoluzione, p. 71. 32 MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 40. 29 166 “esaminate attentamente i programmi dei nostri diversi partiti e vedrete che tutti le adottano. La maggior parte di essi crede che il governo agisca male, ma tutti pensano che il governo debba agire continuamente e stendere la sua mano su tutto. Anche quelli che si combattono più violentemente si accordano su questo punto. L’unità, l’ubiquità, l’onnipotenza del potere sociale, l’uniformità delle sue regole: questi sono tratti caratteristici di tutti i sistemi politici che nascono ai nostri giorni. Li ritroviamo anche in fondo alle utopie più strane; indizio che lo spirito umano insegue queste immagini anche quando sogna”. 33 La lezione del liberalismo è assai utile. Non è nelle idee a priori che i diritti trovano la loro patria, quanto piuttosto nella realtà ontologica: essi corrispondono alla nozione reale di uomo in quanto persona, unico fondamento adeguato dei diritti. All’ideologia liberale dei diritti dell’uomo, Maritain, liberando l’eros filosofico, liberando la verità, ha offerto una prospettiva ontologica, in grado di giustificare razionalmente i diritti dell’uomo, formulando così un’autentica filosofia politica liberale: “a mio parere, ogni giustificazione razionale dell’idea dei dritti dell’uomo, come dell’idea del diritto in generale, esige che noi ritroviamo nei suoi veri caratteri metafisici, nel suo dinamismo realistico e nel rispetto del suo legame con la natura e con l’esperienza, la nozione della legge naturale sfigurata dal razionalismo del secolo XVIII”.34 L’errore fatale del liberalismo è stato allora quello di aver cercato caparbiamente di instaurare e realizzare un ordine politico “di rispetto della dignità umana e di amicizia civile rifiutando tutto quello che sarebbe una traccia della trascendenza del supremo fondamento del diritto e della personalità; in breve è quella di voler essere eccellentemente umane essendo praticamente atee”.35 Kant, pur cercando un regime pienamente umano, un umanesimo liberale, ha mancato la vera libertà dell’uomo, perché ha fatto rifluire su di Sé la Libertà di autonomia che invece è un partecipazione alla libertà di Dio. In tal modo, essa doveva fatalmente diventare la libertà del solo libero arbitrio e non più la libertà d’indipendenza della persona nel quale riposa in modo eminente la dignità dell’uomo.36 33 TOCQUEVILLE, La democrazia in America, p. 709. MARITAIN, La filosofia dei diritti dell’uomo, p. 103. 35 MARITAIN, Democrazia e autorità, in L’uomo e lo Stato, pp. 38-39. 36 “E’ una gran pazzia cercare la libertà del nostro volere, che è un culmine di attività, in non so quale a parte, isolandoci da Colui senza il quale non possiamo far nulla, se non appunto il nulla e il male”, MARITAIN, L’idea tomista della libertà, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, p. 166. 34 167 In realtà Kant è stato costretto dai suoi stessi principi a fare della libertà di scelta il formale della moralità, mentre in realtà la libertà di scelta non è altro che la possibilità della moralità. Egli riducendo l’uomo ad individuo ha ridotto l’uomo ad individuo non ha realizzato che la libertà dell’uomo va cercata in Dio: “la personalità e libertà d’indipendenza sono cose congiunte e inseparabili”.37 Così mentre la persona umana sceglie per Dio e di conseguenza per diventare “più persona”, l’individuo kantiano formalmente sceglie per scegliere, facendo derivare la libertà di autonomia dal solo esercizio del libero arbitrio, e non accorgendosi piuttosto che il libero arbitrio è la condizione della libertà di svolgimento della persona. 38 Entrambe le libertà sono talmente diverse che nel compimento della libertà della persona ultraterreno il libero arbitrio non potrà più esercitarsi. In una prospettiva politica la libertà della persona, si compie nel rapporto con Dio innanzitutto, e nel servizio del bene comune in secondo luogo. Da questo punto di vista, nella versione liberale dei diritti, visione in cui prevale la concezione di un uomo la cui forma ontologica è quella individuale, non c’è posto né per Dio, né per il bene comune ma solo per il bene particolare dell’individuo. Osserva Maritain, che “l’uomo moderno conduceva nello Stato borghese una vita sociale e politica, una vita comune senza il bene comune ne opera comune, perché lo scopo della vita comune consisteva solamente nel preservare la libertà di ciascuno di gioire della proprietà privata, d’acquistare delle ricchezze e di cercare il proprio piacere”.39 Ciò non significa che l’uomo borghese, l’uomo kantiano era necessariamente immorale e non credeva alla libertà; piuttosto, si evidenzia come prescindendo da Dio si finisca per perdere inevitabilmente la personalità e il bene comune: “come ha osservato Werner Sombart, scrive Maritain, l’uomo del capitalismo aveva perduto il senso dell’essere perché viveva nei segni e per i segni e aveva perduto il senso dell’essere dell’amore perché aveva la sua vita non era quella di una persona in comunicazione spirituale con le altre persone, ma era sottomessa ai lavori forzati dell’arricchimento per l’arricchimento”.40 37 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 13. Scrive Maritain, “nel sistema di Kant, la libertà di autonomia non è il frutto del progresso morale, ma la proprietà o l’espressione della libertà di scelta in temporale di cui l’uomo fruisce nel mondo intellegibile”, MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 29. 39 MARITAIN, Qu’est-ce que l’homme?, in Pour la justice, p. 99. 40 Ibi, p. 101. 38 168 La Rivoluzione francese non può essere in nessun modo “battezzata” dai cristiani, ma respinta e “rifatta” sulla base dello spirito cristiano;41 e ciò non per via della purezza dello spirito ma al fine di non fare fallire quella vera. E’ solo una nuova cristianità che dunque, in virtù della sua concezione dell’uomo, può salvare le aspettative contenute nel liberalismo politico. Le possibilità di liberazione delle libertà passa dunque per una refusione spirituale della modernità che “era solo caricatura e a volte derisione di questa libertà”, 42 refusione che deve avvenire in nome e per conto dello spirito cristiano in cui tutte le libertà, spirituali, sociali e politiche, trovano il loro fondamento positivo: “è assai notevole - scriveva Maritain nel 1935 - che attualmente il cristianesimo appaia in parecchi punti vitali della civiltà occidentale come il solo capace di difendere la libertà della persona e anche, nella misura in cui può irradiare sull’ordine temporale, le libertà positive, che corrispondono nel piano sociale e questa libertà spirituale”.43 Lo sforzo titanico della Ragione che si è auto-attribuita un carattere divino, se dal lato epistemologico ha indebolito la stessa ragione riducendo il suo raggio di osservazione alla Natura, alla realtà fenomenica e quindi alle scienze empiriche, privando così la filosofia del suo valore scientifico; dal lato politico ha ridotto l’uomo ad essere assorbito dall’Umanità. Dopo il liberalismo, queste due dinamiche continueranno a procedere parallelamente fino a sfociare e contraddirsi nel positivismo di Comte, in cui la persona ormai ridotta alla sola dimensione atomistica e materiale chiede la soddisfazione delle sue avidità alla Scienza limitata interamente alla sola realtà positiva. Ultimamente è in Comte, padre del positivismo, che la dialettica liberale trova dunque esito facendo sì che “ogni cittadino diventa così un funzionario sociale”.44 “E’ un’assurdità rimproverare ai cristiani, come si fa sovente oggigiorno, di non aver battezzato la “Rivoluzione”, di non aver dedicato ogni loro attività alla “Rivoluzione”, MARITAIN, Ad alcuni miei contradditori, in Ragione e ragioni, p. 222. 42 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 198. 43 Ibid. 44 A. COMTE, Pol. 3,36 cit. DE LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo, p. 215. 41 169 A ben vedere la reazione di Comte è assai logica perché se l’uomo di Kant è ormai ridotto ad individuo e l’etica ridotta a moralismo idealistico non si vede come ammettere la libertà politica e morale di Kant. Da questo errore sfugge la filosofia dell’essere di san Tommaso edificatat sulla roccia della Realtà. Ha scritto giustamente Bars che “le critiche del positivismo contro il “moralismo” politico valgono in buona parte contro una politica ispirata all’etica acosmico-idealista di Kant. Esse non reggono contro una politica subordinata all’etica cosmico-realista di san Tommaso”.45 Il liberalismo aveva dunque posto le premesse per la distruzione della natura ormai separata da ogni normatività interna e di cui Comte tirerà le conclusioni: “il positivismo non ammette che doveri in tutti verso tutti poiché il suo primo punto di vista, sempre sociale, non può comportare nessuna nozione di diritto costantemente fondata sull’individualità. Su quale fondamento umano potrebbe dunque stabilirsi l’idea di diritto? Poiché non ci sono più diritti divini questa nozione deve scomparire completamente”.46 Era questo il destino della Rivoluzione francese del 1789 che per Comte coincideva con “la nuova Gerusalemme di cui egli si era riservato il privilegio di fondare una nuova Religione. La Religione della Rivoluzione”.47 La religione positivista, in cui si manifestava la prospettiva ultima della Ragione kantianamente intesa, doveva ridurre la politica ad una mera scienza naturale, come la chimica, applicando ad essa il determinismo delle leggi scientifiche, nella quale la dialettica illuministica trovava il suo esito inevitabilmente “inumano”.48 45 BARS, Il pensiero politico di Jacques Maritain, p. 68. A. COMTE, Polit., 3, 499. 47 Così MARITAIN, La filosofia della Rivoluzione, in Théonas, p. 102. 48 MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 130. 46 170 3.2 Il capovolgimento del liberalismo e la sua continuità spirituale: il falso umanesimo di Marx La dottrina liberale che ha fatto del libero arbitrio e della libertà di scelta il principio fondamentale di un umanesimo civile, alla prova dei fatti si è dimostrata fallimentare. Troppo idealistico si era dimostrato il tentativo liberale. Esso chiudendo gli occhi davanti alla naturale fragilità dell'uomo ha preteso di innalzare la Ragione e la Libertà a principio e misura di tutte le cose. Davanti al fallito storico di questo tentativo era del tutto naturale aspettarsi che, proseguendo sulla stessa linea antropocentrica e razionalistica, la deificazione della coscienza procedesse verso un tentativo ancora più titanico e necessariamente più ancora antiteista: “la deificazione della coscienza si era dapprima cimentata con l’ateismo mascherato del kantismo ortodosso e del liberalismo borghese. Dopo il fallimento di questo ateismo, che trovava la religione buona per il popolo, e dopo l’insuccesso della falsa conquista individualistica della libertà e della personalità, era fatale che la falsa deificazione dell’uomo prendesse la forma dell’ateismo patente dell’hegelismo marxista che vede nella religione l’oppio dei popoli”.49 Se la dottrina liberale kantiana nata all’interno della civiltà cristiana né rappresentava un’alterazione, col marxismo ci si avvia verso una rottura definitiva col contenuto dell’Incarnazione in nome di un materialismo spiritualizzato nel quale si compie la dialettica moderna. Nello stesso tempo, l'uomo marxista, smascherando l'incapacità strutturale dell'uomo di deificarsi con le sue forze, intraprenderà l'impresa opposta, trasferendo allo Stato rivoluzionario il compito di trasformare l'uomo, di creare un uomo nuovo di cui l'aseità rappresenta l'esito definitivo. La stessa Rivoluzione francese, in quanto espressione sintetica della modernità, ha seguito questa dinamica inevitabile, risolvendo la crisi della fase liberale del 1789 con l’ingresso sull’arena politica dei giacobini che agiteranno una nuova passione rivoluzionaria, quella 49 Si veda MARITAIN, Professione di fede, in Il filosofo nella società, pp. 19-20. 171 Sociale e Ugualitaria. Il loro successo determinerà il passaggio a quella che deve definirsi la Seconda Rivoluzione che determinerà storicamente la transizione dalla Libertà all'Uguaglianza; e di questa deviazione il responsabile fu Rousseau, il “traditore” come lo ribattezzò Voltaire: “E’ a lui –osservò Proudhon- che va data la colpa, in quanto ne fu la causa prima, della grande deviazione del 1793”.50 Rousseau rappresenta il punto di transizione dall’umanesimo liberale e individualista, il cui fine era la libertà negativa del libero arbitrio, ad umanesimo egualitario di stampo comunitarista e proteso come tale alla libertà dell’uomo collettivamente inteso, in nome dell’Uguaglianza. Dalla libertà senza comunione del liberalismo alla comunione senza libertà del socialismo. Il fallimento politico dell’individualismo liberale anarchico, con la sparizione di ogni bene comune e l’impossibilità manifestata drammaticamente di un ordine politico realmente umanistico doveva proiettare il pensiero moderno verso una nuova sintesi che dall’“individuo perfetto e chiuso”, della versione tipicamente liberale e in cui egli aveva reso testimonianza al suo fondamentale egoismo, volgesse verso una direzione più marcatamente sociale, in cui la società viene intesa in senso esclusivamente collettivista. Il capovolgimento di Rousseau ha determinato così l’avvento di una democrazia di natura totalitaria perché edificata attorno al Potere demiurgico dello Stato che s’impadronisce dell’uomo tutto intero cercando di redimerlo e trasformarlo in un uomo nuovo. In ciò consiste il principio totalitario che confonde la Comunità politica come luogo in cui realizzare messianicamente il Regno di Dio. In questo senso, il totalitarismo politico, “vuole in ogni caso che lo Stato divenga la realtà assolutamente sovrana e il regolatore assolutamente sovrano della vita temporale degli uomini, e dunque degli atti di coscienza che tale vita implica e vuole informare da solo, “anima nell’anima” per la condotta della vita terrena”.51 Cit. da Le Pensée de Proudhon, in J.-J. CHEVALLIER, Storia del pensiero politico,“Un’epoca di transizione 1789-1848”, Vol. III, Il Mulino, Bologna 1986, p. 29. 51 Ciò conduce ad inevitabili ripercussioni con lo spirituale perché domandando l’uomo per intero, lo Stato disputa la persona a Dio: “in virtù di esigenze logiche ineluttabili, (lo Stato) domanderà che lo Spirituale si integri nella coscienza, allo Stato o allo spirito del popolo e li serva”. In tal modo si comprende l’opposizione fra la Chiesa e lo Stato totalitario. E’ questo il senso, ad esempio, del Sillabo dove alla proposizione ottava, si denuncia il principio che regge lo Stato moderno secondo cui “ogni uomo non esiste che grazie allo Stato e per lo Stato. Tutto ciò che egli possiede di diritto deriva unicamente da una concessione dello Stato”, MARITAIN, Umanesimo integrale, pp. 296-297. 50 172 Si nota qui la continuità di fondo del principio di sovranità proprio dell'epoca moderna e che ora verrà riempita d un Potere inteso sempre più in maniera idolatrica. La teoria “democratica” di Rousseau è costruita dunque in modo tale che allo Stato è domandato di “cambiare, per così dire la natura umana; trasformare ogni individuo che per se stesso un tutto perfetto e solitario, in una parte di un tutto più grande da cui l’individuo riceve in qualche modo la vita e l’essere; alterare la costituzione dell’uomo per rafforzarla; occorre insomma togliere all’uomo le forze che gli sono estranee a lui, di cui non possa fare uso se non con l’ausilio altrui”.52 Si evince con ciò che la trasformazione esistenziale dell’uomo operata dallo Stato non è meramente sociale e politica ma innanzitutto spirituale, perché nelle intenzioni dei rivoluzionari dovrà permettere la liberazione spirituale antropocentrica che all’Io non era riuscita e che ora verrà rivendicata sulla base dell’azione provvidenziale del Legislatore civile, autore di quella volontà generale destinata finalmente a rendere gli uomini “cittadini e liberi”.53 Era questo il passaggio dallo stato di natura, in cui si trovava l’uomo liberale che aveva creduto in sé stesso, allo stato Civile e Politico visto come una nuova creazione.54 Qui tuttavia dobbiamo dire che, a nostro avviso, Maritain ha confuso Rousseau con la dottrina liberale, legandolo alla corrente liberale e non piuttosto, come a noi pare, al socialismo.55 52 ROUSSEAU, Il contratto sociale, p. 57. “E’ la volontà generale – assicura Rousseau che fa gli uomini cittadini e liberi”, ibi, p. 157. 54 “Tal passaggio dallo stato di natura allo stato civile produce nell’uomo un mutamento molto notevole, sostituendo nella sua condotta la giustizia all’istinto e conferendo alle sue azioni la moralità di cui prima mancavano. Solo a questo punto, succedendo la voce del dovere all’impulso fisico e il diritto all’appetito, l’uomo che fin qui aveva guardato a se stesso e basta, si vede costretto ad agire in base ad altri principi e ad ascoltare la ragione (Rousseau intende dire lo Stato) prima di ascoltare le inclinazioni. Ma pur privandosi in questo nuovo stato di molti vantaggi che la natura gli accorda, ne ottiene in compenso di tanto grandi, le sue facoltà si esercitano e si sviluppano, le sue idee si ampliano, i suoi sentimenti si nobilitano, la sua anima si eleva a tal segno, che se il cattivo uso della nuova condizione spesso non lo degradasse facendolo scendere al di sotto di quella da cui proviene, dovrebbe benedire senza posa l’istante felice che lo strappò per sempre da là, facendo dell’animale stupido e limitato che era un essere intelligente ed un uomo”, ibi, p. 29. 55 Sia consentito evidenziare brevemente come lo stesso Maritain, e ciò dimostra la misura alta di questo filosofo amico intimo della libertà e della verità, considerava salutare la stessa differenza di vedute fra maestri e discepoli in punti particolari: “tra uomini appartenenti a una stessa famiglia intellettuale possono esserci profonde divergenze in punti particolari, senza che sia con ciò sia spezzata l’unità dei loro concetti fondamentali e del loro comune universo di pensiero. Anzi, questi particolari dissensi sono un buon segno, essi stanno ad indicare che il loro comune sforzo non tende che alla verità, e quindi ignora ogni specie di conformismo e vive di libertà”, J. MARITAIN, Dio e la permissione del male, Morcelliana, Brescia 2000, p. 26. 53 173 Dicendo infatti “non occorre essere discepoli di Rousseau per riconoscere i diritti dell’individuo, come non occorre essere marxisti per riconoscere i diritti economici e sociali”,56 Maritain ha visto in Rousseau un interprete della filosofia liberale, determinato a difendere le libertà particolari e negative dell'individuo. Riteniamo che se Maritain ha ben visto e analizzato i presupposti di Rousseau antropocentrici e antipersonalistici che comportano l'irrigidimento fondamentale del Potere e come tale il paradosso della libertà, tuttavia, Maritain non ha seguito Rousseau fino in fondo, ovvero fino al suo fondamentale processo di trasformazione etica della società che ha fatto transitare la dialettica moderna dal liberalismo verso il socialismo. Il contributo di Rousseau fu proprio quello di far trasmigrare la dottrina liberale e razionalistica verso un approdo socialista in cui si esprime la dialettica propria della modernità, in continuità con gli stessi principi antropocentrici che la specificano. In questo senso, Maritain ha ragione quando afferma che comunque la filosofia sovietica continua a dipendere da una radice rousseauniana e da una filosofia ottimistica-assoluta dell’uomo.57 In tal modo, Cassirer ha potuto osservare che “anche dove combatte e supera l’Illuminismo, Rousseau non ha distrutto il mondo dell’Illuminismo, ne ha soltanto spostato il centro di gravità”.58 La rivoluzione Ugualitaria, ha osservato Maritain “non comporta la scoperta di un principio superiore a quello dell’umanesimo antropocentrico ma al contrario aggrava quest’ultimo cercando la comunione, cui aspira nella pura produttività”.59 Questa continuità spirituale doveva pertanto sfociare nel dispotismo della libertà, perché la rivoluzione socialista, rimanendo nella prospettiva materializzata dell’uomo e della società, dopo il fallimento del liberalismo esige una mutazione integrale dell’uomo attraverso l’azione materiale e coercitiva dello Stato rivoluzionario. Proprio al fine di distinguere queste due correnti diverse, liberalismo e socialismo, Pierre Leroux, discepolo di Saint-Simon, conierà il termine socialismo in opposizione all'individualismo. Mentre quest’ultimo richiede dallo Stato un compito negativo di protezione dei diritti individuali che gli appartengono a priori, il socialismo dal canto suo MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, p. 104. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 123. Questo ciononostante è riferito al pessimismo della filosofia marxista sovietica che ad avviso di Maritain “è contro l’eredità ideologica di J.J. Rousseau”. In ciò sta a nostro avviso l’errore di Maritain. 58 Cit. in CHEVALLIER, Storia del pensiero politico, “L'età moderna”, Vol. II, p. 501. 59 MARITAIN, Il crepuscolo della civiltà, Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 178. 56 57 174 presuppone un compito positivo di riforma della società in nome della Comunità e non attraverso la comunità. L’umanesimo socialista è così fondamentalmente viziato “da una concezione dell’uomo, del lavoro e della società gravata di errori e di deficienze alla quale solo nuove sintesi potranno porre riparo”.60 L'errore di Maritain, che pure ha ben chiaro la differenza tra le due dottrine quella liberale e quella socialista, è stato dunque quello di far coincidere spesso Rousseau con la fase liberale della Dichiarazione dei diritti del 1789 di cui, ad avviso, di Maritain “porta traccia”.61 In realtà, Rousseau è Padre della Seconda Rivoluzione francese del 1792-93, laddove rispetto alla Prima, contraddistinta dalla fase liberale, essa è svolta in nome di principi eminentemente organicisti e fondamentalmente anti-individualisti, secondo i dettami di Rousseau: “la legge considera i sudditi come corpo collettivo e le azioni come astratte, mai un uomo come individuo ne un’azione particolare (corsivo nostro)”.62 Consideriamo così corretta l’opinione di Marcaggi il quale riferendosi alla Dichiarazione dell’uomo e del cittadino ha affermato come “Rousseau non ha la paternità della teoria del contratto d’associazione, e i lavori dell’Assemblea non fanno esplicito riferimento al suo pensiero”.63 Da questo punto di vista, il leader dei giacobini Robespierre, longa manus di Rousseau, distinguendo fra la Rivoluzione liberale del 1789 e la Rivoluzione sociale del 1793, ha efficacemente mostrato come “fine del governo costituzionale è quello di conservare la Repubblica, mentre quello del governo rivoluzionario è quello di fondarla [..] Sotto il regime costituzionale basta più o meno la protezione degli individui dagli abusi del potere pubblico; sotto il regime rivoluzionario, proprio il potere pubblico ha l’obbligo di difendersi da tutte le fazioni che lo attaccano”.64 E' con Rousseau, politicamente attivo attraverso Robespierre, che si realizza la transizione verso una nuova divinità, l'Uguaglianza: “La repubblique, La devolution? Je ne connais pas que la question sociale?”,65 afferma in modo perentorio Robespierre. 60 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 131. Così scrive Maritain: “i “diritti dell’uomo e del cittadino”, sono stati compromessi in quegli spiriti che si credono forti con il roussaeuismo di cui la Dichiarazione del 1789 porta traccia”, MARITAIN, Democrazia e autorità, in L’uomo e lo Stato, p. 50. 62 ROUSSEAU, Il contratto sociale, p. 53. 63 V. MARCAGGI, Les origines de la Déclaration des droits de l’homme, Arthur Rousseau, Paris 1904, p. 72. 64 Cit. in CHEVALLIER, Storia del pensiero politico, “L’Età moderna”, Vol. II, p. 34. 65 Cit in ARENDT, Essai sur la revolution, p. 47. 61 175 Pur non avendo realizzato la transizione dal liberalismo al socialismo compiuta da Roussseau Maritain ha colto tuttavia, la nozione più interessante di Rousseua e tale renderlo di diritto “Padre del mondo moderno”. Egli, trasferendo le concezioni teologiche della grazia e del peccato su un piano interamente naturalizzato, ha conferito alla modernità la sua specificità. “quello che soprattutto importa nel principio roussoiano della bontà naturale, che non è altro se non una naturalizzazione del dogma cristiano dell’innocenza adamitica, non è che Jean-Jacques collochi il suo paradiso filosofico all’inizio della storia umana, ma è invece il fatto che egli considera le perfezioni di quel suo paradiso, l’oziosa innocenza, la bontà la felicità terrena, come una condizione dovuta alla natura umana e da essa esigita”.66 La nuova frontiera della rivoluzione condotta in nome dell’Uguaglianza e aperta da Rousseau è passata pian piano al marxismo e nel quale troverà un apparato dottrinario completo e definitivo. Se la Rivoluzione francese del 1789 rappresenta la manifestazione politica del liberalismo in cui giunge a compimento l'Umanesimo e il Rinascimento sotto la forma della Libertà dell'Uomo-dio, la proposta marxista troverà accoglienza nel 1917 nella “soluzione russa”,67 nella quale la liberazione dell'Uomo non è più cercata sotto la forma della Libertà Individuale, ma sotto la forma dell'Uguaglianza Sociale. L'inevitabilità di questa dialettica moderna è stata autorevolmente analizzata da Solzenicyn il quale, osservando la comune “parentela” materialistica fra le diverse correnti moderne, ha sottolineato come “la corrente materialistica più forte, più attraente, più vittoriosa è sempre quella che si situa più a sinistra, ed è quindi la più conseguente”.68 Così l’autore ha verificato come nel corso dei secoli moderni “il liberalismo è stato inevitabilmente scalzato dal radicalismo, che a sua volta è stato costretto a cedere di fronte al socialismo il quale non ha retto contro il comunismo”. 69 Alla fine di questa parabola storica d'origine illuminista si tratterà con Marx di abolire “la personalità, l’indipendenza, la libertà borghesi”,70 per realizzare il più autentico umanesimo, dimostrando come le dominanti spirituali antropocentriche tendono di per sé a contraddire l'umanesimo professato in teoria. Il merito di Marx consiste proprio nell'aver sistematizzato 66 MARITAIN, Filosofia della Rivoluzione, in Théonas, pp. 114-115. MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 70. 68 Cit. in NOVAK, Coltivare la libertà, riflessioni sull’ecologia morale, p. 224. 69 Ibi, p. 225. 70 K. MARX - F. ENGELS, Il manifesto del partito comunista, parte II, E. Cantimori Mezzomonti (a cura di), Einaudi, Torino 1949, p. 138. 67 176 questa contraddizione in una teoria scientifica e rigorosa in cui trova compimento l'ideale rinascimentale. Egli, scrive Maritain, “ha continuato aggravato e esasperato il movimento della ragione umana secolarizzata, dell’umanesimo antropocentrico, nella direzione che era seguito sin dall’origine nella direzione delle speranze razionalistiche costituite ora non più solamente in ideologia filosofica ma in religione vissuta. Questa tendenza viene a tirare tutte le conseguenze del principio che l’uomo solo e lui solo fa il suo bene”.71 Se Kant si trovava al punto di convergenza di due diverse tradizioni, quella cristiana secolarizzata, che gli dava modo di rivendicare i diritti dell’uomo, e quella adamitica, che chiede all’uomo di farsi centro di tutto, non v’è dubbio che il marxismo rappresenta il punto in cui queste due prospettive si compiono del tutto fino a realizzare un perfetto Umanesimo antropocentrico: “il marxismo è un umanesimo- umanesimo ateo- in cui trova esito l’umanesimo antropocentrico dei secoli razionalisti”.72 L'ideale supremo umanistico non è allora che il punto di arrivo della naturalizzazione cristiana resa perfettamente immanente perché fatta rifluire interamente nel sociale: “nonostante le apparenze, questa soluzione è in continuità con il movimento del Rinascimento: è questo il risultato normale di un umanesimo separato dall’Incarnazione quando lo si spoglia di tutti i residui di cultura teocentrica che aveva dapprima convogliati e che attenuavano e mascheravano le sue energie essenziali”.73 Da questo punto di vista, da Kant a Marx non vi è soluzione di continuità perché l’uomo persegue lo scopo luciferino cui il liberalismo lo aveva avviato, muovendosi ormai attorno a sé stesso, cioè “attorno al suo vero sole”74. Rispetto al liberalismo, l’ateismo dei comunisti è più profondamente un antiteismo, una vera e propria fede a rovescio, fondato sulla divinità dell’autocoscienza umana: è una fede assoluta nell’Uomo, contraria alla fede in Dio, che MARITAIN, Qu’est-ce que l’homme?, p. 102. MARITAIN, L’umanesimo marxista, in La filosofia morale, p. 281. 73 MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 70. 74 K. MARX, Critica alla filosofia del diritto di Hegel, cit. in DE LUBAC, Il dramma dell’umanesimo ateo, p. 348. 71 72 177 finirà per trasferire come tale tutto il cristianesimo su di un piano completamente naturalizzato: “la ricerca del regno di Dio nella storia, la missione redentrice del proletariato, l’universalismo della buona novella rivoluzionaria, la nostalgia della comunione (non “comunione dei santi”, ma comunione nella vita sociale e nell’opera storica) la marcia verso la trasformazione e la trasfigurazione dell’uomo che raggiunge finalmente il suo vero nome, per non parlare di quella specie di simulacro politico della Chiesa che ci è offerto dal Partito e dalla coscienza del Partito, sono altrettanti aspetti che provengono da idee di origine cristiana travisate e rifuse”.75 Tutta la modernità non si spiega senza il cristianesimo, riducendo però quello che è il suo contenuto fondamentale, ovvero l’avvenimento dell’Incarnazione, in una legge morale, in un'etica, tale da farlo passare sotto l’azione delle forze materiali e storiche dell’Autocoscienza umana o dello Stato. In tal modo, il liberalismo prima e il marxismo dopo conducono la loro battaglia subdolamente all'interno del cristianesimo: “a dire il vero quindi è proprio sul terreno ove il cristianesimo è installato, e proprio dal di dentro della civiltà cristiana che esso conduce la sua battaglia, che è un processo di sostituzione e di soppiantamento piuttosto che di aggressione, come se nel giudizio segreto che esso da di se stesso i soli veri cristiani – per la terra e liberati dal Dio trascendente fossero i comunisti ”.76 In definitiva, tutta la teologia cristiana del peccato e della grazia forma interamente la dottrina marxista, trasferita però sul piano naturale e materializzata perché passata dal Cristo all'Uomo: “fu Marx a mettere in luce la missione che incombe all’uomo di trasformare il mondo temporalmente; ma lo fece male a causa del suo ateismo e della sua filosofia in cui ogni natura è riassorbita nel divenire e nel movimento dialettico, non che a causa del suo faustianesimo. L’uomo è allora chiamato ad un’opera titanica che gli darà una piena e intera padronanza del mondo e farà di lui una sorta di dio del mondo”.77 MARITAIN, L’umanesimo marxista, in La filosofia morale, 284. MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 43. 77 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 295. 75 76 178 Si comprende qui che l'impossibilita della riuscita politica di una tale operazione è dovuta fondamentalmente al fatto che questa stessa liberazione politica è subordinata alla liberazione spirituale destinata all'aseità divina. Infatti in quanto la libertà e l’uguaglianza sono cercate sotto la forma antropocentrica moderna, l’azione umana appare dominata dall’azione materiale ad extra e pertanto “alla fine la coscienza sarà soggiogata da una specie di imperialismo demoniaco applicato ad opporsi per porsi e a realizzare se stesso dominando gli altri”.78 Questo carattere conferisce al marxismo, come compimento della modernità, un'essenza religiosa che è al principio della sua dottrina sociale; né è, per così dire, il suo punto di partenza.79 Sintetizzando, ciò che il cristiano si aspetta dal Cristo, il comunismo lo aspetterà dalla Rivoluzione collettiva dello Stato proletario; contemporaneamente, ciò che il cristiano aspetta oltre la storia, ossia quell’umanità liberata e unificata al di là della storia per cui sant’Agostino parlava dell’unus Christus, del Christus integer, Marx lo aspetta nella Storia. In questo modo, è solo un cristianesimo cosciente della sua natura sovrannaturale e nello stesso tempo consapevole della sua missione naturale che può realizzare trasfigurandole le aspirazioni autentiche del comunismo. Per questi stessi motivi, la filosofia dell'analogia dell'essere di san Tommaso d'Aquino fondata sulle relazioni vitali tra grazia e natura, è chiamata qui a mostrare tutta la sua efficacia: “San Tommaso ci fa comprendere che, se il progresso delle società umane deve andare verso quest’affrancamento, quest’ultimo sarà senza dubbio raggiunto quaggiù in un certo modo (voglio dire quanto allo stato e allo statuto sociale del lavoratore) e in una certa epoca (voglio dire dopo la grande liquidazione apocalittica di cui vediamo soltanto gl’inizi), ma un’emancipazione totale e piena non sarà veramente raggiunta; ogni forma e ogni modalità di servitù, cioè di servizio d’altri per il bene proprio o privato d’altri, non saranno abolite per tutti gli uomini; e ciò non soltanto quanto allo stato, ma quanto all’essenza, se non al termine dei progressi della storia umana. Alla fine della storia ”. 80 Ben più che i platonici, i marxisti, hanno visto la meta ma non hanno visto la via. E in tale senso, il marxismo è posto nella menzogna, intesa nell’accezione più etimologica del termine. 78 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 22. “L’ateismo non è richiesto come una conseguenza necessaria del sistema sociale; ma è presupposto al contrario come il principio di questo”, Maritain, Umanesimo integrale, p. 90. 80 MARITAIN, L’idea tomista della libertà, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, pp. 171-172. 79 179 In essa infatti l’uomo cade quando nella speranza di ottenere un bene né ricava un male: “si ha perciò la menzogna, ha scritto sant'Agostino, ogni volta che noi scambiamo per il nostro bene ciò che invece è un male, o quando noi facciamo ciò che crediamo un bene maggiore, mentre al contrario è un male più grande”.81 L’errore marxista in definitiva è quello di voler essere la teologia dell’Uomo in quanto “essere supremo per l’uomo” e non la teologia dell’Incarnazione del Verbo. Esso ha proseguito la dialettica dell’uomo divinizzato dell’umanesimo borghese che attribuiva a se stesso la bontà e la gloria propria di Dio e che Marx ha esasperato fino all’aseità divina affermando che “l’uomo è per l’uomo l’essere supremo”.82 In quanto tale, quella comunista è “l’ultima è più radicale eresia cristiana” ed intrinsecamente nemica del cattolicesimo: “il suo ateismo è un risentimento morale e religioso contro la trascendenza divina”.83 Marx ha così definitivamente completato il tentativo rinascimentale, sopra segnalato, che aveva proiettato nella Natura le aspirazioni religiose e sovrannaturali dell’uomo. Proprio la “scoperta” umanistica fatta da Molina nel XVI sec., secondo cui la creatura reclama la parte d’iniziativa primaria nell’ordine del bene, ha avuto un valore rilevante per la storia della civiltà moderna,84 perché tale da inaugurare l’umanesimo cristiano dei tempi antropocentrici, che l’umanesimo marxista verrà a completare proiettando nell’uomo l’iniziativa esclusiva del bene e rifiutando interamente la causalità divina. Maritain ha osservato così che il problema della “scoperta umanistica” non consiste tanto nell’umanesimo che rivendica, quanto nel fondamento spirituale antropocentrico. L’umanesimo dell’Uomo-dio è perciò in realtà fatalmente destinato al suo esito fallimentare in virtù del fatto che l’uomo non è Dio, e che egli senza Dio può commettere solo il male cioé il nulla.85 Se la creatura si ritiene infatti la sola causa delle sue azioni compie inevitabilmente SANT’AGOSTINO D’IPPONA, De Civitate Dei, XIV, 4. MARITAIN, L’umanesimo marxista, in La filosofia morale, p. 276. 83 MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 43. 84 Si vedano le pagine di Maritain in Umanesimo integrale, pp. 73 e succ.. 85 Maritain, parafrasando le parole di Cristo, “Senza di Me non potete fare nulla”, afferma che esse possono esplicarsi come “Senza di Me potete fare il nulla”, MARITAIN, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, p. 74. 81 82 180 il male, dal momento che, si è già detto, il male propriamente è connotato come una privazione di essere.86 Né consegue che mentre la persona ha la prima iniziativa del male che fa; viceversa, nell’ordine del bene è Dio che è la prima causa dell’atto libero tutto intero, e la volontà umana è causa seconda dell’atto libero ugualmente tutto intero. Nella linea del bene pertanto, la causalità divina non sostituisce la libertà umana, ma la coadiuva. Ecco perché osserva Maritain “buttarsi nel sistema di Molina significa buttarsi nell’assurdo”.87 Assurdo, perché l’uomo non si è creato da solo, ma dipende, ed è proprio nella misura in cui dipende che egli compie la sua natura, realizzando la sua libertà. Assorbendo i valori spirituali nel mito dell’immanenza assoluta Marx, in continuità con Molina, ha distrutto tutti i valori spirituali.88 In tal modo, egli ha proseguito la liberazione del vecchio Adamo iniziata dal liberalismo, terminando di materializzare completamente l’uomo.89 E’ stato scritto giustamente che nel comunismo “non vi è alcun indizio della nascita di un’anima nuova resta la veccia anima del vecchio Adamo, piena di cupidigia, di invidia, di rabbia e di spirito di vendetta [..] Non vi è alcun indizio di una nuova cultura proletaria, non vi è alcuna opera nuova proletaria. Il socialismo vive a spese della cultura borghese e ricava il proprio nutrimento intellettuale dal materialismo dei “lumi” borghesi”.90 Il comunismo rappresenta l’epilogo della linea razionalistica moderna e l’approdo della teologia umanistica assoluta, di una assoluta Libertà (intesa nella sua accezione estesa) senza Riassumendo la posizione di san Tommaso (che gli è giunta tramite sant’Agostino) Maritain conclude: “in ragione di questo nientificare libero la creatura ha una parte d’iniziativa libero”,ibi, p. 90. 87 MARITAIN, Dio e la permissione del male, p. 23. 88 Scrive Maritain, “il mito dell’immanenza distrugge i veri valori dell’immanenza, cioé di spiritualità, perchè questi sono legati alla persona e perché la persona è destinata ad essere messa in pericolo dalla dialettica dell’immanenza pura”, MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 71. 89 Queste passioni materiali sono proprio all’origine del carattere fondamentalmente inumano del comunismo, come spiega Tocqueville in un importante Discorso all’Assemblea Costituente del 12 settembre del 1848, Sul diritto al lavoro: “ho dunque ragione di dire signori, che il tratto caratteristico e generale di tutte le scuole socialiste è un appello energico e continuo alle passioni materiali dell’uomo”. E concludeva, “la rivoluzione di Febbraio deve essere cristiana e democratica; ma non deve essere socialista”, cit. in Scritti e politici di A. De Tocqueville N. Matteucci (a cura di) Vol. I, “La rivoluzione democratica in Francia”, « Classici della Politica », Utet, Torino 1969, pp. 284-294. 90 BERDJAEV, Nuovo medioevo, p. 178. 86 181 la Grazia,91 e contro la Grazia. Maritain ha spesso ravvisato come l’ordine dei mezzi corrisponda all’ordine dei fini; e non si vede come una rivoluzione, che muove da principi che conducono alla divisione e che è portata a considerare la forza e la violenza come “la levatrice di ogni vecchia società in travaglio di parto”, possa instaurare una qualche forma di umanesimo: “i comunisti- afferma Marx- sdegnano di dissimulare le proprie idee ed i loro progetti. Dichiarano apertamente che non possono raggiungere i loro obiettivi che distruggendo con la violenza l’antico ordine sociale. Che le classi dirigenti tremino all’idea di una rivoluzione comunista”.92 Non è il lottare con tutte le forza per il “completo umanesimo” come voleva Marx, che fa di un uomo un vero umanista. Bisogna piuttosto “essere” umani. Ed “essere umano è avere per l’uomo un sentimento d’amore e di pietà”, scriveva san Tommaso.93 Marx è un’anti-umanista perché rifiutando Cristo ha rifiutato l'Amore, impedendo che la rivoluzione fosse “in nome della giustizia, della libertà e dell’amore”, piuttosto che come poi è dimostrata essere in “nome dell’odio, della guerra sociale e del mito della deificazione dell’uomo in virtù dell’avvento messianico del proletariato”.94 Diversamente dall’umanesimo liberale che è una libertà senza comunione, l’umanesimo marxista è una comunione senza libertà. Ciò dimostra che l’unica sintesi in cui è possibile affermare l’uno senza dimenticare l’altro è quella personalista e comunitaria, a cui Marx ha rinunciato nel momento in cui ha rinunciato a Cristo. Marx pur concependo l’individuo umano come un essere sociale, risolve l’essenza umana come insieme dei rapporti, non facendo giustizia alla dignità della persona umana: “l’umanità della natura - scrive Marx – c’è soltanto per l’uomo sociale: giacché solo qui la natura la natura esiste per l’uomo come legame con l’uomo”.95 Nello stesso tempo, a differenza del liberalismo, Marx non è interessato al libero arbitrio ma alla libertà a coatione, alla libertà di indipendenza da lui confusa con l'Uguaglianza e da trovarsi nel vero umanesimo della natura: “la società è la compiuta consustanzazione 91 La teologia di Molina era infatti una teologia umanistica mitigata fondata su compromessi che pian piano saranno superati dalla stessa dialettica moderna, vedi MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 73 e succ.. 92 MARX-ENGELS, Il Manifesto, IV, p. 228. 93 SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II q. 80, a 1, ad 2. 94 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 57. 95 Cit. in MARITAIN, L’umanesimo marxista, in La filosofia morale, p. 282. 182 dell’uomo con la natura, la vera resurrezione della natura, il realizzato naturalismo dell’uomo e il realizzato umanesimo della natura”.96 Da un lato, Marx ha capito che la libertà dell’uomo non si può ridurre alla semplice libertà di scelta iniziale, ma richiede una libertà finale in cui l’esistenza è riconciliata con la sua essenza. D’altra parte l’errore di Marx, intrinseco al suo ateismo, è la riduzione della persona ad individuo, postulando la sua immolazione dialettica nello Stato. Il comunismo posto nella linea razionalista antropocentrica è costretto in forza dei suoi principi a farsi anch’esso un’idea debole e leggera dell’uomo, un’idea individualista e materiale che sopprime la dignità dell’uomo e conduce ai peggiori totalitarismi: “la tragedia del marxismo è in questo: volendo, a ragione- ma senza aver preso coscienza dei problemi propri della persona- trovare una via di uscita da questa disperazione e da questa decomposizione della persona umana nella quale sfocia la dialettica dell’umanesimo antropocentrico e di cui abbiamo parlato, è esso stesso tributario dell’umanesimo borghese nella sua metafisica più aberrante e più inumana e porta quest’ultima: l’ateismo, immanentismo antropocentrismo, al suo più alto punto di esasperazione. Privo delle basi metafisiche indispensabili, il suo sforzo per restaurare l’essere umano nella gioia del lavoro e nella gioia del vivere non può più condurre che a risultati ancora più fallaci di quelli dell’umanesimo classico”.97 Marx è così costretto a concepire la libertà di autonomia al modo dell’azione transitiva produttrice e dominatrice ad extra, come libertà di potenza che lo Stato come vertice politico deve realizzare nella Storia, facendo del comunismo “la verace soluzione del contrasto dell’uomo con la natura e con l’uomo; la verace soluzione del conflitto fra esistenza ed essenza, fra oggettivazione e affermazione soggettiva, fra libertà e necessità, fra individuo e genere. Esso risolve il mistero della storia, e sa di risolverlo”.98 Da una parte, Marx ha avuto il merito di denunciare l’egoismo del liberalismo borghese, dall’altra tuttavia, ha commesso l’errore di voler mutare l’uomo meccanicamente e con mezzi 96 Ibid. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 125. 98 Cit. in MARITAIN, L’umanesimo marxista, in La filosofia morale, p. 277. 97 183 tecnici, attraverso l’azione plasmatrice dello Stato, piuttosto che con l’Amore:99 “il cesaropapismo, nel quale sfocia la dialettica marxista, insulta la persona umana e Dio”.100 Così facendo, Marx “aggredisce non solo quest’uomo borghese ma l’Uomo nella sua stessa natura, e nella sua dignità essenziale, in quanto postulante, per il proprio essere di natura e per il proprio essere di grazia, i beni più elevati della persona”.101 Marx non è così riuscito nel suo intento, nel fare cioé la giustizia dell’uomo perché non ha colto la verità fondamentale della filosofia politica. Essendo costretto dai suoi principi a ridurre la persona ad individuo non ha potuto fare dell’uomo un tutto superiore alle parti. La frase di Marx secondo cui “alla società borghese con le sue classi subentrerà una associazione, nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti”, non significa che il bene comune deve riversarsi sul tutto della persona umana, né lo potrebbe dal momento che l’individuo perduto il rapporto con l’Assoluto non ha un destino superiore al tempo; piuttosto, significa che “nella società comunista il bene del tutto sarà necessariamente il bene delle parti”.102 In questo senso, la liberazione assoluta dell’Uomo, che pretende di essere il Dio della storia, “non può essere che l’uomo collettivo, l’umanità. Gli attributi divini e il governo della storia sono evidentemente troppo pesanti per l’uomo individuale”,103 afferma Maritain. Da questo punto di vista, l’emancipazione politica promessa dal marxismo è resa inefficace da un’etica politica che deifica il movimento della società nel tempo. L’errore di Marx in sostanza è quello di cercare la liberazione assoluta dell’uomo non in quanto persona e quindi di cercarla in Dio, ma nell’umano chiuso in sé stesso cioè poggiando tutto sul mondo. Marx ha finito così per smascherare definitivamente la politica del mondo preso nella sua differenza essenziale dal Cristo, il quale afferma che l’odio è il principio della politica: In ciò, a dire il vero, consiste la differenza fra il Cristo e l’Anticristo come asserisce Berdjaev: “il cristianesimo tiene innanzitutto alla libertà dello spirito umano, e di conseguenza non ammette la possibilità di un’educazione meccanica delle anime per il paradiso terrestre. Lascia all’Anticristo questa incombenza”, BERDJAEV, Nuovo medioevo, p. 173. 100 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 126. 101 Ibi, p. 124. 102 MARITAIN, L’umanesimo marxista, in La filosofia morale, p. 282. 103 MARITAIN, Marx e la sua scuola, in La filosofia morale, p. 278; questo concetto è ripreso in La persona umana e il bene comune con le medesime argomentazioni: “il comunismo può essere considerato come una reazione contro questo individualismo. Pretende di orientarsi verso la liberazione assoluta dell’uomo, che diventerà il Dio della storia. Ma è puramente come immanente al gruppo che esso cerca di liberarlo; se supponiamo compiuta la liberazione che esso si propone, sarebbe in realtà la liberazione dell’uomo collettivo, non della persona individuale”, MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 40. 99 184 “per la politica dell’Impero pagano, l’odio contro il nemico interno od esterno, della comunità scaturisce nello stesso tempo e per la stessa nozione dell’amore verso quest’ultima, gli è unito in modo inseparabile, originario quanto la comunità stessa: nel costituirsi ed a condizione di costituirsi contro il suo nemico, la comunità politica sa veramente con chi essa si costituisce; nel costituirsi ed a condizione di costituirsi, per schiacciare gli altri, lo Stato sa quali sono i suoi. Sovranità dell’odio ”. 104 Ed è al fine di far brillare la vera città umanistica che il Signore ha portato sulla terra il comandamento nuovo dell’amore:105 “il Vangelo, in un’opposizione radicale allo spirito del mondo, apporta quel comandamento nuovo contro il quale s’infrangerà l’impero pagano ed al quale non possiamo sottrarci, proclama che l’amore supera l’odio e che l’amore è diretto a tutti gli uomini perché tutti gli uomini sono figli di Dio, perché ognuno di essi è una persona dotata di un’anima immortale che vale più di tutto l’universo dei corpi, una persona riscattata dal sangue di Cristo e chiamata alla libertà dei figli di Dio, e perché Dio stesso è l’Amore sussistente. Deus caritas est”.106 Per sconfiggere il comunismo, bisogna saper vedere la sua verità, la sua essenza spirituale. Da questo punto di vista, il comunismo non è stato sconfitto dalla caduta del muro di Berlino, né sarà sconfitto da un momentaneo ritorno delle idee illuministiche, da cui piuttosto trarrà sempre alimento. Il comunismo sarà sconfitto soltanto da una rivoluzione religiosa autentica che contrastando la religione dell’Uomo-dio saprà far trionfare la religione Dio fatto uomo in Cristo Gesù. 104 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 22. “Io vi do un comandamento nuovo: che vi amate gli uni gli altri come io vi ho amati”, Gv, 13,34. 106 MARITAIN, Il crepuscolo della civiltà, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 184. 105 185 3.3 La condanna del liberalismo kantiano nel falso cristianesimo di Hegel. “In Europa vi è ancora un paese capace di ricevere una legislazione; è l’isola di Corsica. Il valore e la tenacia con cui questo popolo coraggioso ha saputo riconquistare e difendere la sua libertà meriterebbero proprio che qualche saggio gli insegnasse a conservarla. Ho non so quale presentimento che un giorno questa piccola isola stupirà l’Europa”.107 Rousseau ha profetizzato l’avvento di Napoleone, ha profetizzato cioé l’impossibilità per un popolo che si dichiari sovrano, di governarsi da sé senza un “uomo eccezionale nello Stato”, che costringa in maniera dispotica il popolo alla libertà.108 Di questa contraddizione morirà la modernità. La parabola della Rivoluzione francese ha avuto così almeno un merito: quello di dimostrare l’incompatibilità esistente tra lo spirito della libertà e lo spirito della modernità. Il problema della Rivoluzione francese stava proprio nella sovranità affermata dal Popolo, nella volontà cioè del popolo di considerarsi come dio, piuttosto che nel suo costituirsi ad immagine di Dio. In questo senso, l’interrogativo di Tocqueville si è posto in tutto il suo dramma: “come fare di un popolo il padrone di se stesso se non è sottomesso a Dio?”.109 La torsione in senso dispotico cui Rousseau e i giacobini erano stati “costretti” per affermare la libertà del popolo, e che era terminata nel Terrore, doveva trovare esito definitivo in una metafisica del Potere, che darà al principio totalitario una sua sistematizzazione più coerente con la sua essenza e in cui la modernità troverà la sua forma spirituale più compiuta. Parliamo non più della libertà di potenza proclamata in nome di principi materiali ed economici della lotta di classe che continuano la linea antropocentrica e razionalista del materialismo illuminista, ma della mistica dello spirito del popolo verso cui la Rivoluzione francese dovrà avviarsi con l’altra grande deviazione, quella del 1799. Essa non è più uno spostamento del baricentro all’interno dell’Illuminismo, sull’esempio di Rousseau, ma il suo rinnegamento in 107 ROUSSEAU, Il contratto sociale, p. 73. Ibi, p. 59. 109 TOCQUEVILLE, La democrazia in America, p. 296. 108 186 virtù di una mistica, piuttosto pagana, che trova nella Potenza della Nazione il suo principio animatore. Storicamente, per paradossale che possa sembrare, si è visto come solo in virtù di un rifiuto essenziale dei principi razionalistici e antropocentrici è stato possibile terminer la Révolution; e ciò è il segno più clamoroso del fallimento della Rivoluzione francese.110 Diciamo allora che con Napoleone viene inaugurata una terza fase della Rivoluzione teorizzata da una nuova, la terza, ideologia moderna, che nella volontà di potenza della Nazione consacrerà la nuova divinità della Rivoluzione. Napoleone si considerò infatti Le Saveur della Nazione dall’abisso cui era caduta la Francia negli anni della Rivoluzione.111 Occorre sottolineare che in Napoleone questo mutamento è espresso in forma di transizione; e tuttavia, se si guarda ai suoi principi direttivi più che pratici, alla sua metafisica e alla sua evoluzione, come anche all’opposizione dei liberali d’antan alla B. Constant e alla Madame de Stael, si vedrà come questo processo sia già sufficientemente sviluppato, incarnando una mistica alternativa e contraria alla corrente antropocentrica moderna. Dichiarando che Napoleone è “l’anima che sta nel mondo”, il suo teorico, Hegel, ha voluto affermare che l’Impero napoleonico “è la realizzazione del cristiano regno dei cieli”,112 spostando in una prospettiva diversa, non più sociale ma metafisica, la filosofia politica moderna. Da questo punto di vista, Chateaubriand ha visto in Napoleone l’incarnazione di Machiavelli e quest’osservazione si concilia indirettamente con la riflessione svolta da Maritain che ha visto in Hegel il compimento del machiavellismo.113 A monte dell’ordine politico di Napoleone, c’è l’antiparlamentarismo (contro Rousseau) e a valle c’è la totale avversione del sistema montesquieuiano dei poteri (contro il liberalismo). Il modello cui guarda Napoleone non trova ispirazione dell’Illuminismo ma dall’Impero pagano che verrà consacrato con l’autoproclamazione di Napoleone Imperatore dei Francesi nel 1804. 111 Napoleone non si considerava espressione di una fazione, né l’uomo di un partito; egli era il Le Sauveur e, in quanto tale, aveva come interlocutore la Nazione, intesa come totalità organica. La sua opera sarà incentrata nel restituire un’anima e un prestigio al “grande partito del popolo francese”, dal momento che l’esperienza rivoluzionaria aveva prodotto solo decadenza morale e una assoluta instabilità governativa da far dire a Sieyées che gli serviva una sciabola. Nel ritiro di Sant’Elena riassunse così il motivi del suo ingresso nella scena politica: “Si è discusso in termini metafisici e si discuterà ancora a lungo, se in quell’occasione noi violammo le leggi, se ci comportammo da criminali, ma queste sono altrettante astrazioni buone tutt’al più per i libri e per la tribuna, e che debbono sparire di fronte alle imperiose necessità. Sarebbe come accusare di danneggiamento il marinaio che abbatte gli alberi della nave per non affondare. La verità è che la patria senza noi sarebbe stata perduta, e che noi la salvammo. Noi affermiamo di avere salvato il nostro paese: venite con noi a rendere grazie agli dei”, sul punto vedi L. SCUCCIMARRA, La sciabola di Sieyès. Le giornate di brumaio e la genesi del regime bonapartista, Il Mulino, Bologna 2002. 112 Così pensa Hegel a proposito dell’Impero Napoleonico, MARITAIN, La filosofia morale, p. 199. 113 “Il machiavellismo assoluto è stato preparato, ancora e soprattutto, dalla filosofia romantica tedesca di fiche e di Hegel. Si sa che l’autore dei Discorsi alla nazione tedesca ha scritto un Carattere di Machiavelli. Quanto al 110 187 Fu proprio in Hegel che questa terza ideologia moderna troverà la più completa organicità; ed è solo in tal senso che ad Hegel và l’ammirazione di Maritain,114 “si possono infatti considerare, scrive Maritain, i tentativi di Fichte e di Scelling come preparazioni della filosofia hegeliana, ma nella forma di approssimazioni imperfette e di abbozzi mancati [..] Il colpo di genio di Hegel è stato di fare del pensiero o dello spirito lo stesso Assoluto”.115 Se il problema di Kant è stato quello di fondare la Libertà individuale; se il problema di Marx era quello dell’Uguaglianza sociale, il problema che investe Hegel è il problema di rendere sovrana la Nazione. Esclamando in La Costituzione della Germania che “la Germania non è più uno Stato”, Hegel si dimostrava sensibile all’unità della Stato Nazione tedesco allora frammentata in piccoli regni; un’unità politica che Hegel cercherà non “dal basso” ma dall’“alto”, subordinando l'unità politica alla liberazione spirituale del popolo nazionalisticamente inteso. Possiamo certamente credere che i fallimenti della I e II Rivoluzione francese lo avevano spinto a considerare che “il popolo non sa cosa vuole”; e soprattutto nella fase più drammatica, quella giacobina, era possibile credere, come lui stesso affermava, che l’azione del popolo fosse “elementare, priva di ragione, violenta e terribile”.116 Proprio il falso liberalismo e la falsa democrazia offrirono l'occasione a molti spiriti europei di allontanarsi dall’ideale democratico: “nell’oscuro travaglio che s’è compiuto nel cuore degli uomini e nella loro storia, un tesoro di aspirazioni, di sforzi di realizzazioni sociali ottenute talvolta a prezzo di sacrifici eroici e originariamente culto hegeliano dello stato si tratta di una sublimazione metafisica dei principi di Machiavelli. Così il cerchio si chiude”, MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, pp. 130-131. 114 La grandezza di un filosofo e la verità della sua filosofia sono valori indipendenti. Può capitare che dei grandi filosofi siano nell’errore”. E’ questo il caso di “un grande filosofo ossia Hegel, (..che) ha trascinato il mondo moderno in errori”, MARITAIN, Il filosofo nella società, p. 3; dal punto di vista dei principi politici la visione di Hegel costituisce lo sviluppo dei Discorsi alla nazione tedesca.. Per Fichte infatti lo Stato nazionale tedesco aveva una missione universale ed escatologica che coinciderà con “un mondo nuovo la cui creazione segnerei per lei (si parla dell’indipendenza tedesca) l’origine di una nuova epoca, di un’epoca personale che essa riempirà del suo sviluppo particolare”, J. G. FICHTE, Discorsi alla nazione tedesca, a cura di B. Allison, Einaudi, Torino 1942, p. 28. E’ necessario parlare del fatto che questi discorsi seguirono di poco l’arrivo di Napoleone Bonaparte in Germania? 115 MARITAIN, Hegel e la saggezza, in La filosofia morale, p. 150. 116 Le citazioni sono tratte da SABINE, Storia delle dottrine politiche, pp. 506-507. 188 orientati alla conquista vera della libertà, s’è trovato concettualizzato nella metafisica della falsa conquista della libertà; e nella misura in cui questo travaglio è stato così parassitato e deformato da una falsa filosofia della vita è stato accompagnato da errori e da distruzioni che tendevano alla negazione del suo principio vitale e che alla fine hanno fatto apparire a molti spiriti l’ideale democratico come un’impostura”.117 Da questo punto di vista, il sottofondo di un’opera tanto celebre come Reflections on the revolution in France del 1790, era costituito non solo dalla condanna della nozione astratta e assoluta dei diritti dell’uomo, ma anche dalla condanna degli stessi diritti dell’uomo “falsi moralmente e politicamente”,118 che Burke contrapporrà allo Stato-Nazione, ovvero a quell’“associazione in vista di ogni scienza, di ogni arte di ogni virtù e di ogni perfezione”.119 In Hegel questo processo acquisterà i tratti propri di un sistema filosofico organico esattamente contrario a quella modernità antropocentrica che invece aveva trasportato l’uomo verso l’auto-divinizzazione, generando un’illusione che ora Hegel farà pagare a caro prezzo. Le pur giuste conquiste politiche di questa concezione nazionalista, che il cosmopolitismo liberale e l’universalismo marxista avevano negato, nonché il recupero della spiritualità che la modernità antropocentrica era incapace di assicurare chiusa una visione in cui l’uomo in quanto causa prima assoluta doveva negare Dio, si troveranno così falsate da una mistica che assolutizzando la causalità divina ha cercato la deificazione dell’Uomo in un dio materializzato e protettore della gloria di un popolo. Da questo punto di vista, l’operazione di Hegel è stata quello di misconoscere la trascendenza di Dio, facendo rifluire nel popolo il movimento stesso del divino in quanto tale. Davanti ad un liberalismo individualista che non riusciva a salvare le istanza autentiche dell’uomo, Hegel vi ha opposto una visione che è agli antipodi in quanto fondamentalmente illiberale: “Kant, affermando la dignità assoluta della persona come fine in sé, la aveva divinizzata trasportandola (voglio dire trasportando con un tocco di bacchetta magica, gli io singolari sensibili, inseparabili dall’Io 117 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 17. E. BURKE, cit. in CHEVALLIER, Le grandi opere del pensiero politico, “Da Machiavelli ai nostri giorni”, Vol. IV, p. 235. 119 E. BURKE, cit. in CHEVALLIER, Storia del pensiero politico, “Un'epoca di transizione 1789-1948”, Vol. III, p. 72. 118 189 universali e membri della stessa patria) in un mondo intelligibile nel quale sparivano la singolarità empirica, le differenze connesse allo spazio e al tempo. Hegel procede all’operazione inversa. Davanti ai grandi idoli della personalità sopra-individuale generati dal movimento dell’idea, egli relativizza completamente la persona individuale ”.120 Hegel ha ricusato l’uomo liberale, comprendendo che una trasformazione gli è domandata, e che questa trasformazione spetta a Dio. Tuttavia, egli ha materializzato questo Dio rendendolo immanente allo Stato e fallendo miseramente nel suo obiettivo. In definitiva, l’errore di Hegel è stato quello di aver introdotto “lo stesso movimento della Redenzione nella dialettica della storia, .. (tale da fare) dello Stato il corpo mistico mediante il quale l’uomo raggiunge la libertà dei figli di Dio”.121 La filosofia hegeliana esattamente come quella marxista, ma rovesciata, è tributaria della teologia cristiana del peccato e della grazia. Questa libertà non è la semplice libertà di scelta individuale sul tipo di quella kantiana, ma una libertà a coatione sull’esempio di quella marxista. In quanto tale, il libero arbitrio non è per Hegel che un momento transitorio che corrisponde al secondo stadio della dialettica, allo stadio che rappresenta l’antitesi e che in quanto tale verrà superato dallo stadio superiore e terminale dello Spirito soggettivo; in questo terzo stadio non c’è più libertà di scelta, ma la più perfetta libertà di autonomia che si realizza nello Stato. In ciò si vede come la modernità non sia un processo razionalistico. Come già Kant e Marx, ma questa volta su un piano metafisico, Hegel ha trasferito nella natura ciò che san Paolo ha espresso sul piano religioso e in riferimento alla suprema libertà dei figli di Dio. Per Hegel infatti “non v’è niente di più santo dell’elemento etico e del diritto nello Stato”.122 Da questo punto di vista, osserviamo come il pensiero di Hegel rappresenti un punto di compimento dal lato della “scoperta protestante”, eliminando la Libertà per affermare la Grazia, all’opposto della “scoperta rinascimentale” che piuttosto eliminava la Grazia per affermare la Libertà. In definitiva, se da una parte con “la scoperta rinascimentale” si è fatto della causalità materiale (umana) la causalità esclusiva, fino a compiersi nel marxismo in una teologia della Libertà senza Grazia; così “la scoperta protestante” ha fatto della causalità 120 MARITAIN, Hegel e la persona umana, in La filosofia morale, p. 187. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 78. 122 HEGEL, Filosofia della storia, cit. in MARITAIN, Il Dio di Hegel, in La filosofia morale, p. 222. 121 190 divina la causalità esclusiva, eliminando la partecipazione libera dell’uomo per affermare quella divina. E questa seconda “scoperta” si è compiuta in Hegel.123 Anche in questo caso però “il tentativo è fallito, perché il Weltgeist non è lo Spirito Santo e perché tutta la realtà di ciò che l’amore opera facendo dell’uomo un solo spirito con il Dio infinitamente trascendente diventa un puro miraggio quando una sedicente onto-logia cerca di trovarne l’equivalente nell’autonegazione con la quale l’individuo correndo dietro alla sua essenza, va a raggiungerla nell’universale concreto, anch’esso a sua volta in cammino verso la propria divinità”.124 Osserviamo pertanto, come dal punto di vista politico la naturalizzazione della Grazia, cui Hegel è stato costretto dai suoi principi antropoteisti, ha finito per distruggere quei guadagni politici di cui la sua filosofia politica voleva farsi carico, quali “l’istinto della comunità nazionale e l’amore di patria”.125 Queste aspirazioni, che corrispondono al sentimento civico popolare, possono essere salvati solo da una refusione totale dello spirito di questa metafisica aberrante, attraverso una trasfigurazione operata dall’autentico Spirito Santo, compiendosi tuttavia per gradi ontologici diversi: quaggiù in modo relativo, lassù in modo assoluto. Maritain osserva infatti che “perché alla civiltà capitalistica in decadenza succeda un mondo nuovo superiore al comunismo, non occorre nulla di meno che il principio personalistico e umanistico integrale nel suo significato più esteso; nulla di meno delle energie di resurrezione spirituale e sociale di cui l’uomo non diventa capace per la grazia dello Stato, ma per l’amore che vivifica la sua libertà di persona, e che fissa il centro della sua vita infinitamente al di sopra dello Stato”.126 Se la mistica antropocentrica, liberale prima e comunista dopo, nega il cielo e quindi la persona, dal momento che essa è “un fuscello di paglia nel quale abita il cielo”;127 la mistica “Hegel ha ora finito di tracciare la parabola e ha chiuso il cerchio”, MARITAIN, Hegel e la persona umana, in La filosofia morale, p. 201. 124 Ibi, p. 210. 125 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 293. 126 Ibid. 127 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 12. 123 191 nazionalistica nega in primo luogo la terra, e perciò il suo nemico è la persona umana, e di conseguenza odia il cielo perché reo di disputargli il possesso dell'uomo. Hegel ad esempio rimprovererà al cattolicesimo di essere baluardo della coscienza contro le leggi dello Stato, diversamente dal protestantesimo dove “la coscienza religiosa non si oppone più al razionale che può, con tutta tranquillità, svilupparsi sul suo terreno, senza dover usare la forza contro ciò che lo contrasta”.128 Per via del suo carattere metafisico, la prospettiva hegeliana così è maggiormente anticristica e anche più tentante, come avverte Péguy: “il materialismo ha una mistica (che nega l’eterno nel temporale), ma è una mistica che non è affatto pericolosa. Essa è incapace di offendere a causa della sua grossolanità. Tutt’altra è la mistica contraria quella che nega il temporale dell’eterno, come e più propriamente anticristiana. Negare il cielo è quasi certamente pericoloso. E’ una eresia senza avvenire. Negare la terra invece è tentante”.129 Negando l’eterno nel temporale Hegel ha negato l’elemento qualificante della persona umana, riducendola ad un individuo la cui essenza ontologica è la materia. Egli in verità ha portato alle estreme conseguenze il principio spirituale moderno, relativizzando completamente l’uomo in nome di una metafisica fondamentalmente pseudo-religiosa. In tal modo, la posizione dello Stato-Nazionalistico è più perniciosa di quella comunista perché spirituale e quindi capace di trovare un fondamento più adeguato per cementare l’organicità della Nazione, assunta ora come divinità. Fu proprio a motivo delle difficoltà inerenti alla concezione materialista della società, cui era condannato il pensiero marxista, che ad esempio Mussolini finì per aderire ad una “concezione religiosa in cui l’uomo è veduto nel suo rapporto immanente con una legge superiore, con una volontà obiettiva, che trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale”.130 128 Così Hegel cit in MARITAIN, in Hegel e la persona umana, in La filosofia morale, p. 197. CH. PEGUY, Veronica, dialogo della storia con l’anima carnale, Micella, Lecce 1994, p. 117. 130 Cit. in SABINE, Il fascismo e l’hegelismo, in Storia delle dottrine politiche, p. 607. 129 192 Questo processo pseudo-metafisico passerà nel fascismo per poi completarsi nel nazismo.131 Nondimeno, in riferimento a questo indirizzo dottrinario, Maritain dirà che “il caso più puro di questa tendenza è il nazismo”.132 In tal modo, possiamo concludere che allo stesso modo di come Napoleone ha vinto la Rivoluzione francese, così il falso umanesimo di Marx è stato vinto dal falso Dio di Hegel.133 Sia il regno della falsa religione dell’uomo che della falsa religione di Dio costituiscono gli epigoni emblematici del totalitarismo, richiedendo per la Comunità Politica l’amore messianico proprio del regno di Dio. Allo stesso modo, mentre il totalitarismo comunista è una fatalità e un vizio, il totalitarismo cui giunge il nazionalismo è la spada e la sua bandiera,134 dal momento che mentre il comunismo è situato su una linea umanistica per quanto sviata, il nazionalismo viceversa si oppone fondamentalmente all'umanesimo in nome di un dio che si nutre dell'uomo. La Rivoluzione nazista del 1933 costituirà così fatalmente il momento nel quale giungono a realizzarsi e a compiersi i principi metafisici di Hegel. Maritain ha analizzato questa escalation inevitabile dell'ideologia nazionalista nella stessa andatura ambiziosa della filosofia hegeliana. Se al tempo della Fenomenologia la manifestazione dello Spirito sembrava essere quella dell’età di Napoleone, a sistema costituito, al tempo cioè della Filosofia della Storia, la stessa manifestazione dello Spirito sarà lo stato cristiano-germanico prussiano, e da qui “qualche altra forma da venire chiamata un giorno ad imporsi al mondo intero come Stato universale e omogeneo”.135 Questa stessa linea storica moderna si ricollega alla “scoperta protestante”. In effetti, una volta che Lutero ha ottenuto dai principi la protezione della fede protestante e dopo la relativa confusione generata in quest’ambito fra spirituale e temporale, era inevitabile che il processo di secolarizzazione moderno comportasse la crescita dei compiti spirituali dello Stato Maritain in generale si sofferma poco sul fascismo perché “il fascismo italiano non sembra in grado di sostenere, come i totalitarismi rivali di Germania e di Russia, la sua pretesa di portare al mondo una forma di civiltà fondamentalmente nuova, ed è piuttosto ridotto ad utilizzare, dell’idea imperiale antica, quegli elementi che sono i più idonei a procurare un vantaggio immediato, ma i meno ricchi di vitalità mistica (pagana)”. J. MARITAIN, La Chiesa cattolica e le civiltà, in Questioni di coscienza, p. 62. 132 MARITAIN, Qu’ est-ce que l’homme?, in Pour la justice, p. 104. 133 MARITAIN, Marx e la sua scuola, in La filosofia morale, p. 275. 134 Ciò appare evidente in virtù delle considerazioni sopra esposta in riferimento alla natura metafisica e divina dello stato nazionalista rispetto a quello comunista, MARITAIN, La Chiesa cattolica e le civiltà, in Questioni di coscienza, p. 61. 135 MARITAIN, Hegel e la persona umana, in La filosofia morale, p. 198. 131 193 nazionalisticamente inteso: “la Germania della croce uncinata è la continuazione della Germania di Guglielmo II, e della Germania della rivoluzione luterana”.136 Così lo Stato d’ispirazione protestante tenderà sempre più ad essere unito con lo Stato tedesco che dovrà realizzarsi nello Storia come l’Universale fino ad omologarsi nel 1933: “i caratteri della comunità protestante passano allo Stato germanico, La soggettività collettiva nella quale Cristo abita si trova, in forma razionale, nello Stato dove forma il noi dello Spirito e dove si riconcilia con l’oggettività della legge”.137 In questa prospettiva, La decisione della chiesa evangelica nel 1933 di aderire al nazismo, chiude di fatto la parabola protestante. Dal punto di vista politico, in questa visione organicistica della Nazione il popolo è concepito come il Volk; vale a dire non come un insieme di persone ma come una comunità di individui materialisticamente definiti e come tale sottomessi allo Stato. In tal modo, lo spirito del popolo non è il popolo autonomamente libero, ma è lo Stato nella sua razionalità sostanziale,138e chiamato a espandersi universalmente. In questo senso per Hegel la storia della civiltà è la successione dei spiriti di popoli che incarnano il principio più alto della storia universale in una data epoca.139 Ed è proprio questa concezione che dovrà portare naturalmente allo scatenamento delle guerre mondiali di cui storicamente la Germania è stata protagonista; quella Germania che per Hegel aveva il compito di far entrare il mondo in una Nuova Epoca della Storia: “questo popolo, scrive Hegel, è nella storia del mondo, per questa epoca il popolo dominante. Di fronte a questo suo diritto assoluto di essere rappresentante del presente grado di sviluppo dello spirito del mondo, gli altri popoli sono privi di diritti, ed essi, come coloro la cui epoca è passata, non contano più nella storia del mondo”.140 136 MARITAIN, La Chiesa cattolica e le civiltà, in Questioni di coscienza, p. 69. MARITAIN, Hegel e la persona umana, in La filosofia morale, p. 200. 138 “Il popolo come Stato – dice Hegel- è lo spirito nella sua razionalità sostanziale e realtà immediata, perciò la potenza assoluta sulla terra; conseguentemente uno Stato è di fronte all’altro in indipendenza sovrana”, Lineamenti di Filosofia del Diritto, trad. da F. Messineo, Laterza, Bari 1954, p. 331. 139 Nel rintracciare le origini culturali del Terzo Reich, L. Mosse ha scritto che proprio nell’essenza del Volk nazional- patriottico, esse vanno rintracciate, Le origini culturali del terzo Reich, Il saggiatore, Milano 1994, p. 13. 140 HEGEL, Lineamenti di Filosofia del Diritto, p. 347. 137 194 Hegel ha assurto a rango scientifico il fatto che lo Stato è un individuo, e che, come egli afferma, “nell’individualità è contenuta la negazione”. Appare pertanto scontato che lo Stato nazionalistico “in quanto individualità deve crearsi un’antitesi e generare un nemico”.141 Quella di Hegel è la legge transitiva propria del mondo governata dall’odio cui la politica cade necessariamente allorquando si separa dal Cristo. Maritain ci avverte infatti che “l’uomo senza Dio non può infatti unirsi se non contro qualcuno”.142 Hegel ha dato a questo principio demoniaco una dignità filosofica. Lo spirito del popolo è chiamato così ad imporsi nella storia universale tramite la guerra contro gli altri popoli e in vista del trionfo del popolo che incarna il principio universale della storia. In definitiva “Marx ha soltanto trasferito alla guerra sociale, alla guerra delle classi, la missione sacra che Hegel conferiva alla guerra tra nazioni ed imperi”.143 Questa ideologia ha preso forma pura in Hitler, nel quale lo spirito del popolo si è materializzato fino alla sua forma più irrazionalistica e terrena, coincidente con il sangue della Razza. La sua essenza è così una “violenta reazione contro tutte le specie di razionalismo e di umanesimo. Le sue origine sono pessimiste, corrisponde ad un processo di animalizzazione dell’immagine dell’uomo, nella quale una metafisica larvata tirata a profitto da tutte le false interpretazioni dei dati scientifici e sociologici per soddisfare un risentimento ché contro la Ragione e contro la dignità dell’uomo ”.144 L’uomo, perduta ogni traccia di trascendenza, deve ormai realizzarsi nella totalità dell’Universale ovvero nello Stato: “Hegel, che ne è il fondatore, ha respinto la verità fondamentale della filosofia politica e cioè che il corpo politico (perniciosamente da lui confuso con lo Stato) è un tutto fatto parti che sono a loro volta dei tutti, un tutto composto di tutti. Lo Stato a suo avviso è un tutto le cui parti non sono che delle pure parti, cioè non sono persone e non acquisiscono personalità se non in quanto sono e si vogliono integrare nel Sé sopra-individuale dello Stato”.145 141 HEGEL, FD, p. 324 e aggiunta. MARITAIN, Il crepuscolo della civiltà, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 183. 143 MARITAIN, Marx e la sua scuola, in La filosofia morale, p. 275. 144 MARITAIN, Qu’ est-ce que l’homme?, in Pour la Justice, p.103. 145 MARITAIN, Hegel e la persona umana, in La filosofia morale, p. 206. 142 195 Una tale concezione assoluta e divoratrice dello Stato Nazione di Hegel dovrà in effetti sostenersi reciprocamente con una materializzazione estrema dell’individuo confuso con un animale, e disponibile a piegarsi allo Stato idolatrico. Facendo dello Stato “l’ingresso di Dio nel mondo”, “l’idea divina che esiste sulla terra”, Hegel ha dovuto necessariamente annichilire la persona privandola di ogni dignità per poter essere divorato dallo Stato. Pertanto, nella misura in cui nel sistema hegeliano lo Stato deve essere un dio, è necessario che la persona sia equiparata ad un individuo della peggior specie: “l’uomo, scrive Hegel, è questa notte, questo nulla vuoto che tutto contiene nella sua semplicità-indivisa: una ricchezza da un numero infinito di rappresentazioni, di immagini, nessuna delle quali gli viene appunto in mente [..] questa è la notte che si percepisce quando si guarda un uomo negli occhi: si affondano allora i propri sguardi in una notte che diventa terribile; ed è la notte del mondo che così si presenta a noi”.146 Hegel pertanto non solo non riconosce all’uomo che una dimensione sola, quella individuale; ma questa concezione è funzionale allo Stato nel senso che l’uomo non esiste se non è riconosciuto dallo Stato: “tutto ciò che l’uomo è lo deve allo Stato. Ha il suo essere soltanto in esso. Tutto il valore che l’uomo possiede, tutta la sua realtà spirituale non l’ha che per mezzo dello Stato”.147 Dal momento che tutto ciò che egli è lo deve allo Stato, il primo dovere dell’uomo è quello di essere “componente dello Stato”, fino alla completa libertà consumata e realizzata nella morte per lo Stato: “è morendo per il Tutto, osserva Maritain, che essi (i cittadini) raggiungono il supremo riconoscimento da parte del tutto”.148 Dobbiamo quindi ad Hegel, da alcuni dipinto come liberale,149 la vera concezione totalitaria e moderna dello Stato. Egli è in senso proprio “il profeta e il teologo dello Stato totalitario divinizzato”,150 la cui filosofia politica è “la formula originaria del totalitarismo politico”,151 146 Cit. in MARITAIN, Hegel e la persona umana, in La filosofia morale, p. 185. Ibi, p. 199. 148 Ibi, p. 204. 149 Lo si può considerare liberale al prezzo però di escludere tutta la sua filosofia politica, affermerà Maritain,, La filosofia morale, p. 207. 150 MARITAIN, Il popolo e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 14. 151 MARITAIN, Hegel e la persona umana, in La filosofia morale, p. 199. 147 196 esprimendo il principio puro della massima di Mussolini: “tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato”.152 Facendo coincidere lo Stato Nazione con “l’ingresso di dio nel mondo”, di un dio completamente immanente al mondo, Hegel ha fatto di Dio lo spirito del mondo,153 responsabile, come tale, di ogni male e di ogni atrocità e nello stesso tempo menzognero. Osserviamo di passaggio che una tale concezione era sconosciuta alla tradizione umana che non aveva mai raggiunto questa forma di panteismo, riconoscendo sempre a Dio una qualche forma di trascendenza. Da questo punto di vista, rispetto al falso dio dell’antichità pagana, che da una parte coincideva col mondo e dall’altra era il vero Dio della ragione, lo Spirito di Hegel coincide esattamente con lo Spirito del mondo, secondo tutte le implicazioni che questo termine comporta nel vocabolario del Vangelo. Hegel così è riuscito in un’operazione totalmente nuova, facendo dello Spirito di Dio lo spirito immanente al mondo. Lo spirito di divino è ormai l’Entelechia del mondo è lo Spirito di questo Mondo. In altre parole, il Dio che Hegel ci domanda di adorare, è “l’Imperatore di questo mondo”.154 Ecco che il cerchio della modernità è ormai chiuso; il falso Dio, la Menzogna secondo il Vangelo, “viene investita di piena autorità filosofica”.155 Sotto le apparenze del razionalismo Hegel nasconde perciò la metafisica propria del paganesimo giunta ad una completezza sistematica definitiva. Diciamo solo che davanti a questo falso Dio, il cristiano è un perfetto ateo, allo stesso modo di come gli Ebrei e i primi cristiani si ritenevano atei rispetto ai falsi dei dell’Impero Romano.156 Hegel ha misconosciuto Dio perché lo ha fatto a sua immagine e cioè confondendolo con la Potenza piuttosto che con l’Amore, con lo Stato piuttosto che con Cristo: “grazie ad un fenomeno spirituale straordinario vediamo dunque che si crede in Dio e che non lo si B. MUSSOLINI, “Discorso al teatro La Scala di Milano”, cit. in MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 297; il filosofo Gentile ad avviso di Maritain, ha espresso i principi “centrali nella concezione fascista dello Stato”, che poi giungeranno ad un compimento ancora maggiore col nazismo, ibid.. 153 MARITAIN, Il Dio di Hegel, in La filosofia morale, p. 228. 154 Ibi, pp. 228-229. 155 Ibi, p. 229. 156 Si veda in tal senso Il significato dell’ateismo contemporaneo, pp. 30-31; davanti ad un dio completamente immanente come quello di Hegel si pone il problema del male morale di cui un tale dio finisce per esserne l’autore. Da questo punto di vista, la prospettiva cristiana in quanto assolutamente trascendente assicura l’assoluta innocenza di Dio davanti alla libertà creata che è assolutamente altro da Dio che entrambi possono isolarsi reciprocamente: in tal senso, si veda l’opera organica, MARITAIN, Dio e la permissione del male. 152 197 conosce. L’idea di Dio viene affermata ma al contempo sfigurata e pervertita”. 157 In questo senso, Hegel crede di credere in Dio ma in fondo divinizza sé stesso rendendo il suo sistema ateo come quello comunista. A ben vedere, in questa forma filosofica, troviamo la seconda manifestazione de La città dell’uomo descritta da sant’Agostino, la quale s’inganna sulla natura di Dio esaltando sé stessa. In quanto pseudo-religiosa essa è più insidiosa e più perfida ma non meno terribile: “c’è un ateismo che dichiara che Dio non esiste e che fa di un idolo il suo Dio; e c’è un ateismo che dichiara che Dio esiste, ma che fa di Dio stesso un idolo, perché nega coi suoi atti, se non colle sue parole, la natura e gli attributi di Dio, e la sua gloria; invoca Dio, ma come un genio protettore addetto alla gloria di un popolo o d’uno stato contro tutti gli altri, o come un demone della razza ”.158 Così, pur partendo da prospettive diverse, il comunismo e il nazionalismo finiscono per essere accomunati da “profonde analogie” e da fenomeni di “osmosi”,159 che da una parte promettono all’uomo l’assoluta Libertà divina collettiva alla fine della Storia e dall’altra chiedono che questa promessa sia realizzata attraverso l’immolazione totale dell’uomo, palesandoci così “il significato supremo dell’impero pagano e di qualunque impero paganizzato o di qualunque cosiddetto Sacro Impero dal momento che il suo Cesare vuole stabilire ed organizzare sulla terra il regno finale di Dio, o il regno finale dell’uomo che è lo stesso regno finale”.160 Alla fine dell’età moderna e nel momento in cui la modernità ha mostrato il suo volto anticristico, Maritain ha individuato quella che è a suo avviso un’alternativa inevitabile che si pone nel cuore di ogni uomo: “lo si voglia o no gli stati saranno obbligati a scegliere d’essere pro o contro il Vangelo; o saranno formati dallo spirito totalitario o dallo spirito cristiano”.161 Maritain ha visto l’opposizione fondamentale fra il mondo e il Cristo, fra l’odio e l’Amore, fra la schiavitù e la Libertà, tra il totalitarismo e la cristianità, ripetendo le parole eterne di De Maistre: 157 MARITAIN, Il crepuscolo della civiltà, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 177. MARITAIN, Umanesimo integrale, pp. 295-296. 159 MARITAIN, Il crepuscolo delle civiltà, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 175. 160 MARITAIN, La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 133. 161 MARITAIN, I diritti dell'uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 79. 158 198 “ovunque regni un’altra religioni che non sia la cristiana la schiavitù è un diritto, e ovunque questa religione venga meno la nazione si allontana proporzionalmente dalla libertà.. l’uomo in generale se viene ridotto a se stesso è troppo cattivo per essere libero…L’universo, fin dall’epoca del cristianesimo, è sempre stato coperto di schiavi e mai i saggi hanno biasimato questo uso..Il governo solo non può governare..ha bisogno o della schiavitù che disunisce il numero delle volontà agenti nello Stato della forza divina che con una specie di innesto spirituale distrugge l’asprezza naturale di queste volontà e le pone in istato di agire insieme senza nuocersi”.162 In conclusione, l’ideologia nazionalista, qui presentata come la terza e più radicale ideologia moderna, sfocia fatalmente nell'irrazionalismo e nel totalitarismo, in quanto tale essa rappresenta la sconfessione più clamorosa dei principi illuministici, di cui la stessa filosofia di Hegel non è che la condanna definitiva. 162 J. DE MAISTRE, Le pape, cit. in MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, pp. 34-35; anche MARITAIN, Democrazia e autorità, in L’uomo e lo Stato, p. 40. 199 3.4 Liberazione della democrazia e nuova cristianità nel pensiero politico di Jacques Maritain. Maritain ha compreso l'irriducibilità della crisi della modernità, comprendendo che solo l'integralità della proposta cristiana con la sua specifica Weltanschauung, con la sua “teologia del mondo”, adeguatamente aggiornata, era capace di risolvere le dicotomie delle filosofie politiche moderne. Egli ha realizzato in sostanza che per essere ultra-moderni occorreva essere anti-moderni, ovvero di spirito medievale.163 Da questo punto di vista, l’opera di Maritain è stata giustamente considerata la “più grande sintesi moderna della comprensione cattolica”.164 Maritan ha così guardato oltre il novecento e oltre la modernità; ha guardato verso un nuovo umanesimo, un umanesimo integrale, a partire non da “una disposizione ottimistica dello spirito ma dalla speranza e della ragionevole volontà di sperare”.165 Speranza tanto meno illusoria quanto più fondata sulla speranza terrestre del Vangelo, sulla Realtà. Come tale, l’ideale storico concreto di un umanesimo integrale, che corrisponde alla vocazione della società politica giunta alla sua maggiorità, “presto o tardi finirà con l’imporsi”.166 Maritain, in quanto filosofo politico, ha dovuto risolvere il problema innanzitutto ontologico rispondendo alla domanda chi è l’uomo e quale sia la verità dell’uomo. Ed è proprio qui che l’Incarnazione esprime tutta la sua incidenza liberatoria, perché essa ha il duplice privilegio di rivelaci chi sia l’uomo e chi sia Dio. In tal modo, la sapienza di cui Maritain si è fatto fedele interprete è il risultato di un lavoro di millenni giunto in san Tommaso d’Aquino al suo vertice. Il privilegio di san Tommaso consiste così nell’aver “completato dottrinalmente”167 la sapienza profetica di san Paolo e teologico-mistica di sant’Agostino non solo sotto il profilo prettamente speculativo, ma anche pratico. Il Dottore angelico ha sistematizzato in un ordine scientifico la sapienza cristiana, impropriamente detta tomista in quanto corrisponde a quello del Divino Maestro. Il suo pensiero segue il movimento stesso dell’Incarnazione, tradotto da “Ciò che qui chiamiamo antimoderno avrebbe potuto essere chiamato ultramoderno”, MARITAIN, Antimoderno, p. 12. 164 I. MANCINI, Come leggere Maritain, Morcelliana Brescia 1993, p. 15; l’autore aggiunge anche Rosmini. 165 MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, prefazione. 166 MARITAIN, Esistere col popolo, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 119. 167 MARITAIN, La filosofia morale, p. 96. 163 200 san Tommaso in una sintesi magistrale: “In mysterio incarnationis magis consideratur descensus divinae plenitudinis in naturam humanam quam profectus humanae naturae, quasi praeexistentis, in Deum”.168 Tutta la sintesi tomista partecipa a questo movimento, che è un movimento di discesa ed effusione di Dio nelle profondità della natura tale da sopraelevare l'intero ordine naturale nel suo stesso ordine ontologico. Questa discesa della fede nelle strutture di ordine culturale ha dovuto affrontare la sfida della sviluppo moderno per compiersi in un ordine non più teologico ma pienamente filosofico e naturale giungendo in Maritain ad una completezza tale che permette oggi di riproporre il contenuto essenziale della tradizione cristiana secondo l’urgenza dei tempi nuovi, integrando e trasfigurando per mezzo delle virtù teologali le verità presentite dalla modernità. Sul fondamento della dottrina cristiana elaborata da san Tommaso, Maritain è riuscito a ristabilire l’ordine e la gerarchia tra il regno dell’uomo e il regno di Dio; ordine che la modernità ha negato, e di cui è perita. Riferendosi all'oggetto pratico della filosofia politica ovvero all'uomo, Winsnes ha osservato che “il fondamento teologico di tal concetto (Maritain) lo deriva da Paolo e da Agostino. E l’elaborazione filosofica la deriva dall’antropologia di Tommaso d’Aquino”.169 Proprio per aver assunto i principi di san Tommaso, l’umanesimo dell’Incarnazione perseguito da Maritain non è che la versione aggiornata dell’umanesimo di san Tommaso d’Aquino, il quale, nella misura in cui si affermerà storicamente, coinvolgerà il destino di una nuova era di cristiana il cui ideale storico concreto coinciderà con l’ideale democratico definitivamente liberato perché riconciliato col suo spirito cristiano. Pertanto, il dibattito con la modernità non è stato, osserva Maritain, fra umanesimo e cristianesimo ma fra umanesimo antropocentrico e “umanesimo teocentrico, radicato laddove l’uomo ha le sue radici, umanesimo che si potrebbe chiamare umanesimo dell’Incarnazione e di cui vedo il dottore in San Tommaso d’Aquino”.170 SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, III, 34, I, ad 1. WINSNES, Jacques Maritain, saggio di filosofia cristiana, p. 160. 170 MARITAIN, L’umanesimo di san Tommaso d’Aquino, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino,p. 245. 168 169 201 3.4.1 Natura umana e diritti universali Davanti alle dicotomie moderne Maritain ha riconciliato il cielo e la terra ovvero la “visione di un Joseph de Maistre e quella di un Lamennais nell’unità superiore della grande saggezza di cui San Tommaso d’Aquino è l’araldo”.171 Attraverso la fondamentale guida del suo maestro, Maritain ha fatto con la modernità ciò che san Tommaso fece col pensiero antico e con Aristotele in particolare. Egli ha riconosciuto le esigenze legittime del pensiero moderno giunte a compimento in Marx, subalternandole alla fede per purificarle e renderle vere. In ciò si dimostra l’importanza capitale che ha avuto la rinascita tomista avviata da Leone XIII e l’immenso lavoro, per profondità ed estensione, compiuto da Maritain,172 il quale non ha negato i principi medievali né la democrazia moderna, facendoli incontrare nella sapienza cristiana di san Tommaso, ripetendo la celebre affermazione di Lord Acton, secondo cui “non è il diavolo ma san Tommaso, il primo Wigh”. E aggiungendo, da parte sua, che “la filosofia di san Tommaso d’Aquino è stata la prima filosofia autentica della democrazia”.173 In consonanza con l’atteggiamento fondamentale di san Tommaso, Maritain da una parte ha riconosciuto i vantaggi dell’umanesimo liberale e marxista e dall’altra ha ribaltato i principi hegeliani, senza confondere né separare, ma unendo e distinguendo il Regno di Dio e il Regno dell’uomo.174 Non si è trattato quindi di riequilibrare i due errori ma di abbracciare una prospettiva di trasformazione non più materiale ma spirituale l'uomo intero, in un compito a cui solo l’Incarnazione poteva offrire risposta in quanto “bisogna trasformare l’uomo- soltanto questo in fondo ci interessa- cioè, in senso cristiano far morire l’uomo vecchio e dar posto all’uomo 171 MARITAIN, La filosofia morale, p. 97. Riteniamo infatti che tutta l’opera di Maritain abbia riposto alle attese di Gilson il quale osservava che “rifare oggi ciò che fece san Tommaso, è ridiscendere dalla verità rivelata verso le filosofie del nostro tempo per illuminarle, purificarle e salvare le verità che esse tenevano prigioniere. Compito immenso ma in cui san Tommaso d’Aquino ci precedette e in cui può ancora guidarci”, E. GILSON, Trois leçons, sur le thomisme et sa situation présente (1965), cit. in MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 219. 173 MARITAIN, Democrazia e autorità, in L’uomo e lo Stato, p. 32. 174 Parlando dell’opera Umanesimo integrale in cui possiamo sintetizzare tutto il suo umanesimo politico, Maritain ha riconosciuto candidamente di essersi ispirato “sia ai principi generali di San Tommaso d’Aquino, sia alla sua reazione personale di fronte ai conflitti della storia umana. Non ha egli costantemente lottato contro due eterni e opposti istinti d’errore, e cioè contro l’istinto d’inerzia accumulativa d’una scolastica rimasta alle vecchie posizioni e che s’attaccava, nella tradizione cristiana, ad elementi accidentali e caduchi; e contro l’istinto di dissociazione dispensiva rappresentato in quel tempo dal movimento averroista e che ha dato più tardi i suoi frutti nell’umanesimo antropocentrico dei tempi moderni?”, MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 233. 172 202 nuovo il quale si forma lentamente – nella storia del genere umano, come in ciascuno di noisino alla pienezza dell’età, e nel quale si compiono i voti più profondi della nostra essenza”.175 Con una frase sintetica, che esprime tutto il lavoro di purificazione svolto da Maritain, si può dire che “sarebbe indegno dell’uomo rinunciare ad aspirare ad un regime eccellentemente umano; è a farlo ateo che si deve rinunciare”.176 In questo senso, Maritain ha riconosciuto i diritti dell’uomo ma in quanto appartengono a Dio e non all’Uomo. Ecco la prima regola fondamentale di una sana filosofia politica: “come ogni creatura agisce in virtù del suo principio, che è l’atto puro; come ogni autorità degna di questo nome, vale a dire giusta, obbliga in coscienza in virtù del Principio degli esseri, che è la pura sapienza, così ogni diritto posseduto dall’uomo è posseduto in virtù del diritto che Dio il quale è la pura giustizia, ha di vedere negli esseri l’ordine della Sua Sapienza ubbidito rispettato e amato da ogni intelligenza”.177 E’ solo all’interno della verità che i diritti possono avere un riconoscimento legittimo, e tale riconoscimento si trova soltanto nell’ordinazione diretta della persona a Dio che trascendendo l’ordine naturale è in grado di attirare tutto il creato a sé. In questa prospettiva, che richiede tutta la teologia dell'Incarnazione redentrice, i diritti di Dio postulano i diritti dell'uomo, dal momento che appunto l'uomo è una totalità abitata dall’Assoluto e in quanto tale destinataria di diritti di libertà. Un autentico personalismo è radicato dove l’uomo ha le sue radici e la sua “vite”, ovvero in Dio. Rispetto alle filosofie materialiste che hanno preteso di fondare i diritti dell’uomo occorre qui una refusione sostanziale che poggi sul dato ontologico dell’uomo in quanto persona, la cui radice è Dio perché è in Lui che i diritti dell’uomo godono di un’assoluta garanzia e indisponibilità: “in realtà scrive Maritain, i diritti primari della persona, in quanto membro della città esprimono l’inalienabile autorità dell’immagine di Dio”.178 Notiamo dunque come il significato che Maritain attribuisce al termine democrazia sia molto più ampio di quello fornito dai testi della scienza politica moderna, e mira a fare della 175 Ibi, p. 136. MARITAIN, Democrazia e autorità, in L’uomo e lo Stato, p. 39. 177 MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, p. 95. 178 MARITAIN, Democrazia e autorità, in L’uomo e lo Stato, p. 50. 176 203 democrazia il regno della libertà integrale dell’uomo. Da questo punto di vista, la democrazia non è un sistema sociale definito da procedure, ma innanzitutto esprime un ethos eminentemente umano implicando “una filosofia generale della vita umana, e della vita politica, e anche uno stato d’animo”.179 La democrazia è la buona vita umana della moltitudine; ed è così che il termine democrazia si confonde con la parola civiltà, ovvero con il compimento integrale della natura razionale della persona.180 Per quanto possa sembrare allo spirito moderno un po’ paradossale, il valore primario conferito all’anima democratica può benissimo convivere con un regime che si esprime in forma monarchica, se questa forma concreta si accorda con i principi di questa filosofia. La realizzazione della democrazia in campo politico è così sospesa al riconoscimento dalla natura personale dell’uomo, e presuppone come tale che “Dio sia accessibile alla nostra ragione e che sia il fine ultimo della nostra esistenza”.181 Eccoci alla contrapposizione fondamentale che sottolinea Maritain. Da una parte, abbiamo la concezione liberale e democratica antropocentrica, secondo cui la divinizzazione dell’individuo poggia sull’Uomo che obbedisce a sé stesso. Questa soluzione, di cui si è servita la modernità, si presenta come una falsa filosofia della vita perché fonda la dignità sulla sua natura individuale, conducendo inevitabilmente alla falsa città dei diritti umani,182 fino a concludersi nell’esperienza dei regimi totalitari. La tragedia della democrazia moderna osserva Maritain è quello “d’aver cercato qualcosa di buono sotto la specie di un errore fondamentale che conduce di per sé a delle terribili liquidazioni”.183 Dall’altra parte, vi è un principio opposto, cristiano e conforme alla natura delle cose perché fondamentalmente teocentrico. Questa concezione, per cui la città non riconosce per Dio che 179 MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 14. I termini cultura e civiltà, che Maritain adopera come sinonimi, sono afferenti al concetto di umanesimo: “la cultura o la civiltà, è la fioritura, la fruttificazione terrestre della vita umana; essa perciò comprende non solo lo sviluppo materiale necessario e sufficiente per consentirci di vivere quaggiù una vita retta morale e intellettuale, quello sviluppo delle opere di giustizia e di nobiltà di cuore, di sapienza di scienza e di arte, che propriamente meritano il nome di sviluppo umano”, MARITAIN, Cristianesimo e cultura, in Questioni di coscienza, p. 232. 181 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 19. 182 “Una falsa filosofia della vita, che faceva della libertà umana la regola sovrana di tutto l’ordine morale e sociale- della moltitudine un dio pigro a niuno obbediente, ma interamente rimesso al potere dello Stato che l’incarna, di tutti i valori umani e, in particolare del lavoro, una merce da scambiare con ricchezze e con la speranza di possedere in pace la materia – della Democrazia e della Rivoluzione una Gerusalemme celeste dell’Uomo senza Dio- questa filosofia della vita ha così ben alterato il principio vitale delle democrazie moderne che si è potuto a volte confonderla con la Democrazia stressa mutata in Democratismo”, MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 49. 183 MARITAIN, La persona e il bene comune, p. 45. 180 204 Dio e nessuna cosa creata e in cui la persona si realizza servendo il bene comune, è alla base della vera città dei diritti umani, conducendo all’emancipazione politica. Assistiamo così alla contrapposizione fondamentale tra i principi spirituali della democrazia moderna fondata sulla sovranità del popolo e i principi cristiani fondati sulla sovranità di Dio, assolutamente opposti e tendenti inevitabilmente il primo al totalitarismo e il secondo alla democrazia.184 Pertanto, osserva Maritain, “la causa principale a cui addebitare il fallimento delle democrazie moderna è d’ordine spirituale: essa risiede nella contraddizione interna e nel tragico malinteso, di cui sono state vittime le democrazie moderne, particolarmente in Europa. Nel suo principio essenziale questa forma, questo ideale di vita comune che si chiama democrazia deriva dall’ispirazione evangelica, senza la quale non può sussistere”.185 Nel rinnegamento della sua essenza spirituale consiste il vizio fondamentale delle democrazie moderne.186 In virtù di ciò, Maritain non ha mutato il nome democrazia ma la natura, trasfigurandola dall'interno per far vincere la vera democrazia: “perciò –conclude Maritain- è soltanto in una nuova cristianità, ancora da venire, che potrebbe realmente essere salvato questo valore etico e affettivo della parola democrazia, che risponde a ciò che si potrebbe chiamare il sentimento civico popolare”.187 Ciò detto, occorre sostenere che la democrazia, in quanto volta alla realizzazione integrale della persona umana, per sussistere realmente necessita non solo di un'anima, ma nello stesso tempo di forme concrete di realizzazione che corrispondono pienamente alla dignità della persona umana. Da questo punto di vista, il primato ontologico della persona umana postula la difesa e la garanzia stabili di una serie di categorie di diritti tra le quali Maritain né ammette tre, e che si possono arricchire, e si sono arricchite nello sviluppo della legge naturale, sviluppo che è Rousseau ha divinizzatolo la volontà del popolo e reso impossibile la democrazia cui aspirava; “e’ questo infatti dice Maritain, il mito proprio della Democrazia moderna, assolutamente opposto al diritto cristiano che vuole che la sovranità derivi da Dio come dalla sua prima origine,e che essa passi solamente nel popolo per andare a stabilirsi in colui, o in coloro che sono incaricati di vigilare sul bene comune”, MARITAIN, Tre Riformatori, p. 171. 185 MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 10. 186 Ibi, p. 9. 187 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 228. 184 205 corrispettivo all'idea dei diritti.188 In linguaggio giuridico si direbbe che queste tre categorie di diritti sono norme a fattispecie aperte. La prima categoria è comprensiva dei diritti della persona umana: diritto alla libertà personale o diritto di dirigere la propria vita come signore di se stesso e padrone dei propri atti, essendo in ciò responsabile davanti a Dio e alla comunità politica, diritto di proprietà, diritto di integrità corporale, ecc.. La seconda categoria comprende i diritti della persona civica: diritto di partecipazione alla vita pubblica, diritto del popola a stabilire la costituzione e a decidere della forma di governo, diritto di associazione e di espressione, ecc. La terza categoria corrisponde ai diritti sociali: diritto di scegliere liberamente il proprio lavoro, diritto di raggrupparsi in unioni sindacali e professionali, diritto all’assistenza nella malattia e nella vecchia ecc.. Possiamo quindi definire la democrazia come la città di quel tutto di libertà, positivo e negativo, che è la persona umana. Essa deve nutrire il comune credo umano, il credo della libertà,189 ed in quanto tale lo Stato è limitato ad agire come strumento al servizio dei diritti della persona e della sua libertà di sviluppo. La teoria strumentalista, altrove discussa, ha qui il suo fondamento. Il concetto di dignità della persona umana è così speculare alla nozione dei diritti, dal momento che, sostiene Maritain, la dignità dell’uomo è un’espressione che rischia di “non vuol dire nulla se non significa che per legge naturale, la persona umana ha il diritto di essere rispettata, è soggetto di diritto e possiede dei diritti”.190 Dio, infatti, comunicando alla persona umana la Sua dignità, costituisce la salvaguardia dei diritti dell’uomo: “il valore della persona la sua dignità, i suoi diritti procedono dall’ordine delle cose naturalmente sacre che portano l’impronta del Padre degli esseri e che hanno in Lui il termine del loro movimento”191. In modo sintetico i diritti dell’uomo sono naturali perché ricevono il loro fondamento nella legge naturale che la ragione è chiamata a riconoscere in Dio attraverso la dimensione spaziale e temporale, attraverso cioè l’Umanità di Cristo. La storia dei diritti dell’uomo si rivela essere MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, pp. 142-144. MARITAIN, La carta democratica, in L’uomo e lo Stato, p. 109. 190 MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 111; continua Maritain, “se l’affermazione del valore e della dignità è un non senso, l’affermazione dei diritti naturali dell’uomo è anch’essa un non senso”, ibi, p. 90. 191 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per un politica più umana, p. 12. 188 189 206 la storia della legge naturale creata cioè voluta da Dio: la legge naturale “non è legge se non perché è una partecipazione alla legge eterna”.192 Gli antichi sapevano che la natura umana dipende dall’ordine trascendente; e tuttavia, essendo il Dio d’Israele un “Dio nascosto”, solo tramite l’Incarnazione è stata possibile svelare pienamente la legge naturale. Maritain può dunque benissimo affermare che “quando il Vangelo sarà penetrato fino al fondo della sostanza umana allora il diritto naturale apparirà nel suo fiore e nella sua perfezione”.193 Di conseguenza, il vero concetto di legge naturale pur avendo la sua origine molto lontana nel tempo, ha trovato solo in san Tommaso la sua forma propria e definitiva: “lui solo ha dato una dottrina dell’argomento una dottrina del tutto coerente”.194 E un giudizio simile è stato ammesso anche da Pietro Piovani, il quale, pur criticando la scuola del diritto naturale, “riconosceva che la sua teoria aveva raggiunto un punto apogeo nella dottrina tomista”.195 La legge naturale non è solo naturale perché esprime la normalità di funzionamento della natura umana, ma è naturale anche perché è conosciuta naturalmente. Sono questi i due capisaldi della legge naturale.196 La legge naturale si conosce pertanto a partire dall'esperienza reale, e richiede il matrimonio tra la ragione e la realtà; è soprattutto per questo dato esperienziale che “questa conoscenza, afferma Maritain, è classica della scuola tomista”.197 Da questo punto di vista, il compito della modernità è stato un compito sostanzialmente ingannevole perché per affermare i diritti dell’uomo ha finito per separare la legge naturale dalla Ragione divina, facendola coincidere con un codice di prescrizioni e di decreti emessi dalla Ragione a priori, col risultato di materializzare la legge naturale ponendola su di un piano inclinato che ha coinciso con la moltiplicazione delle leggi naturali fino a farla apparire una superstizione.198 MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, p. 95. MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 111. 194 MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, p. 83. 195 Cit. in POSSENTI, Le società liberali al bivio, p. 52. 196 Vedi MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 160. 197 “Tommaso d’Aquino si riferisce in questo caso allo pseudo-Dionigi de divinis nominibus (capitolo II) ed all’Etica Nichomachea (libro X capitolo V), dove Aristotele afferma che l’uomo virtuoso è la regola e la misura delle azioni umane”, MARITAIN, La conoscenza per connaturalità, in I diritti dell’uomo e la legge naturale, p. 152. 198 “Il razionalismo del XVIII sec. ritenne che la legge venisse o scoperta in Natura o dedotta a priori dalla conoscenza concettuale o razionale da qui imposta alla vita umana dai filosofi e dai legislatori come un codice di 192 193 207 In realtà essa non è una superstizione ma la verità reale, comprensibile come tale dalla ragione, la quale prende atto che ogni natura ha una sua normalità di svolgimento, ciò che accade anche per la natura umana. Ogni uomo infatti è dotato di essenza e di strutture intelligibili per cui è uomo; egli possiede una legge naturale, necessaria per il suo svolgimento fondamentale. Questo carattere, chiamato elemento ontologico, è il primo elemento fondamentale della legge naturale, ed è oggettivo. Tuttavia, tale natura deve essere conosciuta dalla ragione, ed è questo il secondo elemento fondamentale; un elemento gnoseologico che, a differenza del primo non impegna più l’oggetto, ma impegna il soggetto umano, la ragione. La legge naturale non è infatti una legge scritta, ma essa gradatamente si accresce a mano a mano che si sviluppa la coscienza morale. Essa dunque postula la libertà del soggetto attivo chiamato nel tempo a riconoscere l'oggetto che al tempo stesso non è passivo dal momento che coincide con una Persona, il Cristo. Da questa legge discendono le cose da fare e da non fare e l’uomo possedendone, allo stato naturale, una conoscenza crepuscolare riesce soltanto a determinare che bisogna fare il bene ed evitare il male. Pertanto, osserva Maritain, “fu necessario che Dio stesso intervenisse per aiutare la povera natura umana nella sua ricerca di questa legge. Poiché Dio ha parlato agli uomini, ha dato loro, per tutto quello che riguarda la loro salvezza, la sua Legge positiva rivelata. E questa, certo, trascende la legge naturale: essa infatti comunica dei misteri che toccano la vita stessa di Dio. Ma lungi dal contraddire la legge naturale, essa la esprime, ne sollecita l’espressione, potremmo dire”.199 Vi sono così, per riassumere, due ordini che bisogna tenere ben distinti, il primo oggettivo, quello della legge naturale in quanto tale; il secondo soggettivo, ovvero della legge naturale in quanto conosciuta. Questo secondo requisito è vieppiù necessario, dal momento che la legge deve essere conosciuta per poter avere forza di legge. E più ancora, la conoscenza della legge naturale non avviene in modo astratto e teorico, alla maniera geometrica, o per concetti o dimostrazioni, ma attraverso inclinazione e tramite l’esperienza. proposizioni geometriche. Non c’è da stupirsi, quindi che alla fine otto o più nuovi sistemi di legge naturale facessero la loro apparizione ad ogni fiera dei venditori di libri di Lipsia alla fine del XVII, secolo”, MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 164. 199 MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, p. 89. 208 In una formula sintetica, la coscienza morale diventa conoscenza attraverso l’esperienza per connaturalità.200 Accade così che l’intelletto per formare un giudizio “ascolta e consulta quella specie di canto prodotto nel soggetto dalla vibrazione delle sue tendenze interiori”,201 per poi affermare ita est. La funzione del giudizio non è una mera funzione intellettuale, piuttosto è una funzione vitale ed esistenziale, capace di espandere tutto l'uomo. Dobbiamo quindi ritenere che soltanto con la manifestazione integrale della capacità della ragione che avviene nello spazio, attraverso il contributo dell’umanità, e nel tempo per via della progressività temporale dell’intelletto, la legge naturale manifesterà tutta la sua estensione, liberando progressivamente i diritti dell’uomo. Nondimeno, questo sviluppo della legge naturale avviene liberamente per via del fatto che l’uomo è persona e in quanto tale interiorizza la legge naturale.202 In questo senso, Rosmini ha potuto affermare che la persona non ha dei diritti ma è essa stessa fonte di diritto; è diritto cioé sussistente, nozione che trova fondamento nel concetto stesso di persona umana: “la persona umana, dice Rosmini, è un diritto umano sussistente: quindi anche l’essenza del diritto”.203 L’uomo ha quindi per natura il diritto di compiere liberamente e senza alcun ostacolo esterno la sua natura, di servire l’essere liberamente, in virtù della sua esistenza personale. I diritti dell’uomo vivono e si affermano all’interno di questo ethos costruito attorno alla dignità della persona umana di seguire liberamente le inclinazioni essenziali della sua natura umana: “la persona umana ha dei diritti per il fatto stesso che è persona: un tutto signore di se stesso e dei suoi atti; e che per conseguenza non è soltanto un mezzo, ma un fine, un fine che deve essere trattato come tale. La dignità della persona umana: questa espressione non vuol dir nulla se non significa che, per legge naturale, la persona umana ha il diritto di essere rispettata, soggetto di diritti e possiede dei diritti ”.204 200 Spiega Maritain: “quando un uomo adotta una libera decisione, egli prende in considerazione non solamente tutto ciò che possiede di conoscenza morale e d informazione effettiva, e che si manifesta in lui per mezzo di concetti e di nozioni, ma anche tutti gli elementi segreti di valutazione che dipendono da ciò che egli è, e che vengono conosciuti da lui attraverso l’inclinazione, attraverso le proprie effettive e le proprie virtù”, MARITAIN, La conoscenza per connaturalità, in I diritti dell’uomo e la legge naturale, p. 160. 201 MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, p. 90. 202 Queste riflessioni sono già state per lo più svolte precedentemente (cap. II par. 3), ma richiedono qui un ulteriore sviluppo per via della capitale importanza che esse assumono in riferimento ad una democrazia degna di definirsi tale. 203 A. ROSMINI, Filosofia del diritto, Vol. I, n. 49. 204 MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 111. 209 Da questo punto di vista, un tragico malinteso accompagnerà l’epoca moderna, laddove il momento della crescita dalla parte soggettiva non è coincisa, anzi si è opposta, al momento dello sviluppo oggettivo della legge naturale. La disavventura della conoscenza umana, che ha specificato l’intera epoca moderna, ha comportato che “l’attenzione si è spostata addirittura dai doveri dell’uomo ai soli diritti. Piuttosto, per arrivare ad una visione autentica e comprensiva, bisognerebbe fermare l’attenzione contemporaneamente sui doveri e sui diritti inclusi nelle esigenze della legge naturale”.205 La declinazione in senso razionalista della conoscenza è la conseguenza inevitabile del trasferimento moderno del baricentro della legge naturale passato da Dio all'Io. Da una parte ciò ha fatto maturare la presa di coscienza dei diritti, ciò che è storicamente dimostrato dal fatto che “non è stato concesso a dei credenti integralmente fedeli al dogma cattolico, ma bensì a dei razionalisti, di proclamare in Francia i diritti dell’uomo e del cittadino, a dei puritani di dare in America l’ultimo colpo allo schiavismo”.206 D'altra parte, questi stessi sforzi, dimenticando le esigenze oggettive della legge naturale, non hanno fatto salve le dimensioni integrali dell'uomo, finendo per distruggere il più delle volte gli stessi diritti, secondo un paradosso tipicamente moderno. “Essi hanno preparato il totalitarismo”.207 3.4.2 La conquista delle libertà Parlando della conquista della libertà occorre subito sottolineare come il cristianesimo abbia finalmente rivelato in cosa consista la libertà della persona e come essa realizza in Dio, indicando un cammino ascendente, secondo cioè gradi ontologici diversi: Due ordini, naturale e sovrannaturale, nei quali si conquista della libertà di autonomia, come osserva Maritain: MARITAIN, I diritti dell’uomo, in L’uomo e lo Stato, p. 93. MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 17. 207 “Questi errori (tra cui la fondazione antropocentrica e non teocentrica dei dritti dell’uomo), che coincidevano coll’avvento della classe borghese e dell’ideologia borghese, lungi dal far corpo con la democrazia, sono elementi distruttori della democrazia”, ibi, p. 41. 205 206 210 “il vero modo d’intendere la conquista della libertà si fonda su una filosofia dell’analogia dell’essere e della trascendenza divina, per la quale l’indipendenza e la libertà si realizzano nei diversi gradi dell’essere secondo tipi essenzialmente diversi: in Dio in modo assoluto e perché, essendo sovraeminentemente tutte le cose, è l’interiorità sovrana della quale tutto ciò che è, è una partecipazione; in noi in modo relativo e grazie ai privilegi dello spirito che a qualsiasi dipendenza sia esso sottoposto dalla natura delle cose, si rende indipendente mediante la sua operazione propria, quando interiorizza con la conoscenza e l’amore la legge alla quale obbedisce”.208 La libertà di autonomia è cosa assai diversa da quella immaginata da Kant, confusa con il libero arbitrio. La libertà di autonomia è la libertà d’indipendenza della persona metafisica e richiede per essere esercitata un’altra libertà, quella detta iniziale o di scelta. Ambedue le libertà sono così diverse che se tramite la libertà di scelta la persona è causa di sé stessa, tramite la libertà di autonomia egli compie sé stessa. Pur essendo diverse tuttavia fra le due libertà, quella iniziale e quella finale, vi è una relazione di stretta funzionalità, secondo cui la prima è ordinata alla seconda giacché la formale libertà di scelta non è la pienezza della libertà, ma soltanto la “possibilità”, la condizione della vera libertà che consiste nella libertà di autonomia, come libertà di essere sé stessi. La libertà vera non consiste pertanto nel seguire l’arbitrio individuale o quello politico, ma consiste nel compiere ciò che è richiesto alla natura dell’essere; d'altra parte, come detto, il libero arbitrio è lo strumento attraverso cui siamo chiamati a diventare ciò che siamo, secondo il famoso detto di Pindaro.209 L’uomo in quanto persona è chiamato a compiere pienamente la propria natura, realizzando sé stesso. In ciò si esplicita la dignità dell’uomo, come afferma san Tommaso: “è questo il vertice della dignità umana: di essere indotti al bene non da altri, ma da se stessi”.210 Il libero arbitrio, che Dante chiamava il principio primo delle nostre libertà e che Kant non ha fondato, è un privilegio dello spirito, radicato nella natura metafisica della persona umana e 208 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 15. Maritain sottolinea che “è importante notare che l’uomo deve realizzare mediante la sua volontà, ciò che la sua natura è allo stato di abbozzo. Secondo un luogo comune che risale a Pindaro e che è un luogo comune molto profondo egli deve divenire ciò che è”, MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 19. 210 SAN TOMMASO D’AQUINO, ad Rom 2,14 Lect. 3, n. 217. 209 211 derivante dall’unione fra intelletto e volontà. L’intelletto vede l’oggetto rendendo possibile la scelta che però è resa efficace dalla volontà.211 La persona gode di una natura metafisica per la quale si governa per mezzo della libertà e della ragione, all’opposto dell’individuo che alla maniera animale è schiavo delle circostanze e degli istinti, incapace di dirigersi da sé stesso. L'uomo è un essere padrone del proprio giudizio, e questa nozione non implica l’assenza di costrizione ma l’assenza di necessità.212 Da questo punto di vista, il libero arbitro è la prima libertà in ordine di tempo, finalizzata alla libertà propria della persona umana, che è una libertà di spontaneità, definita, questa sì, come assenza di costrizione. Essa è “la libertà della natura d’essenza, la libertà della persona umana”.213 Queste nozioni, fondamentali per la comprensione della dignità dell'uomo, sono tuttavia sospese alla transpenetrazione del divino in noi per il fatto che l’uomo non è pura persona. Egli porta le ferite mortali del peccato originale e ciò lo fa essere al grado più basso degli spiriti. Sin da quaggiù, pertanto, il fardello della natura materiale infligge all’uomo una pesante disfatta: “l’uomo, ha scritto Maritain, non nasce libero se non se non nelle potenze radicali del suo essere: diventa libero; e facendo la guerra a se stesso e grazie a molti dolori: con lo sforzo dello spirito e della virtù, esercitando la sua libertà conquista la sua libertà: perché alla fine gli sia data migliore ancora di quanto non la sperasse. Dall’inizio alla fine è la verità che libera”.214 Che la verità liberi è possibile unicamente grazie all’inclinazione conforme fra la natura umana e quella divina cosicché l’operazione dello Spirito Santo muove la persona non servilmente con la costrizione, ma liberamente con l’amore: “ove è lo spirito di Dio del Signore scrive l’apostolo, ivi è la libertà… se voi siete condotti dallo Spirito voi non siete più “Maritain, seguendo l’insegnamento di san Tommaso, definisce la libertà partendo dalla volontà e dall’intelligenza. La libertà infatti, è radicata nella volontà e non può prescindere dall’intelligenza”, M. LORENZINI, L’uomo in quanto persona, L’antropologia di J. Maritain, ESD, Bologna 1990, p. 63. 212 Distinguendo le accezioni della parola libertà Maritain avverte infatti che “l’una concerne la libertà come assenza di costrizione; così un uccello è libero quando non è in gabbia; ciò che non significa che egli goda anche del libero arbitrio. L’altra riguarda la libertà come assenza di necessità o di necessitazione, che è esattamente il caso del libero arbitrio”, MARITAIN, L’idea tomista della libertà, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, p. 171. 213 P. VIOTTO, Maritain, La Scuola, Brescia 1976, p. 121. 214 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 16. 211 212 sotto la legge”.215 Questa libertà di autonomia, alla quale l’uomo è davvero interessato come a suo fine ultimo assoluto, coincide con il compimento di sé come cioè “perfezione di ciascuna cosa”,216 che poi è l’ultimo traguardo del viaggio intramondano della Commedia di cui Dante darà testimonianza a Beatrice: “tu m’ai de servo tratto a libertade”.217 Così, secondo le ordinazioni della volontà e del bene, la libertà consiste nel fare ciò che si vuole facendo ciò che si deve, secondo la formula che san Tommaso chiama “agere ex sceipso”. Ciò può avvenire solo attraverso la Grazia il cui abito è conforme alla natura umana e richiede che la natura umana non si sia interamente corrotta col peccato originale. La causalità divina non è pertanto estranea agli uomini creati imago Dei; e per questo tramite la Grazia siamo liberati dalla proprietà su noi stessi diventando liberi della stessa libertà di Dio.218 Da questo punto di vista, non v’è personalità supremamente realizzata che nei santi.219 In sostanza, san Tommaso ha individuato la giusta nozione di autonomia che possiamo definire come la perfetta spontaneità di una natura spirituale, ed è questo che rende l’uomo pienamente una persona in quanto persona. Non è pertanto lo Stato come pretende il totalitarismo che conduce l’uomo alla libertà a coatione, ma Cristo secondo la Sua Parola: “se il Figlio vi libera sarete liberi davvero”.220 Non bisogna pertanto rinunciare alla perfetta libertà, ma realizzarla ben sapendo che essa non è collocata in terra ma in cielo e che si acquista non attraverso la Ragione (Kant) e lo Stato (Hegel e Marx), ma tramite l’Incarnazione. Ci assicura infatti san Tommaso che: “sì l’uomo è chiamato a divenire dio, ma per partecipazione di grazia alla natura di un dio trascendente, personale e libero”.221 E’ questa la conclusione di san Tommaso, Summa contra Gent. IV. 22. DANTE, Convivio, 16, 4. 217 DANTE, Divina commedia, XXXI, 85. 218 Commenta definitivamente san Tommaso: “Secondo il filosofo, “libero è colui che è per se stesso”. Perciò agisce liberamente chi agisce per se stesso. Ora, quando un uomo agisce per abito, agisce per se stesso, se codesto abito è consono alla natura umana: poiché l’abito da un’inclinazione conforme alla natura. Se invece codesto abito fosse contro natura, l’uomo non agirebbe secondo quello che egli è, ma secondo una corruzione a lui accidentale. E poiché la grazia dello Spirito Santo è come un abito interiore infuso in noi che ci spinge a ben operare, esso ci fa compiere liberamente gli atti che sono in armonia con essa e ci fa evitare quelli che ad essa si oppongono”, SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, II q. 108 a.a. 1-2. 219 Maritain ha scritto infatti che “non v’è personalità veramente perfetta che nei santi. I santi hanno acquistato in un senso, e in un altro ricevuto per grazia, ciò che Dio possiede per natura: l’indipendenza verso tutto il creato, non più soltanto verso i corpi, ma anche verso le intelligenze”, MARITAIN, Tre Riformatori, p. 64. 220 Gv 8, 36. 221 MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 30. 215 216 213 Questo movimento verticale è un fine assoluto e primario, ed è superiore al fine relativamente ultimo allo stesso modo di come l’attività contemplativa è più elevata di quella propriamente attiva.222 La superiorità della contemplazione non esclude tuttavia la necessità di una libertà di autonomia della persona in quanto umana, dotata cioé di aspirazioni riferite alla natura umana, realizzando, in quest’ordine terreno, una libertà secundum quid, secondo il suo grado specifico. Da questo punto di vista, la società politica costituisce un annuncio, una promessa della perfetta libertà di autonomia, laddove nel suo grado specifico umile quanto si vuole ma pur sempre divino, interessa la vita morale e razionale nel mondo terreno, Così, da una parte “le aspirazioni connaturali tendono ad una libertà relativa compatibile con le condizioni di quaggiù”;223 dall’altra questa libertà di autonomia specificamente umana è finalizzata, come fine infravalente, alla realizzazione delle “aspirazioni trasnaturali della persona (che) in noi tendono ad una libertà sovraumana, alla libertà pura e semplice”.224 La specificità propria della dottrina cristiana (tomista) salvaguarda l'autonomia di questi due ordini distinti ma non separati, ordini che al di fuori del cristianesimo non trovano alcun fondamento, collocando l’uomo nella sola dimensione mondana. In un testo assai importante Maritain, parlando della relazione intrinseca che unisce l’ordine della grazia all’ordine del creato per effetto dell'Incarnazione redentrice, afferma che nella misura in cui l’ordine divino assume trasfigurando l’ordine umano, “in questa stessa misura il movimento storico della civiltà verso la conquista della libertà relativa, che risponde alle aspirazioni connaturali dell’umana personalità, è in accordo e in reciproco concorso con il movimento soprastorico dell’anima verso la conquista della libertà assoluta, che risponde trascendendole divinamente, alle aspirazioni trasnaturali della persona in quanto persona”.225 Questo principio della superiorità dell’attività contemplativa è stato affermato da Maritain in modo assoluto: “In virtù della sua perfetta immanenza, osserva Maritain, e del suo grado eminente d’immaterialità, l’attività contemplativa è la più elevata delle attività umane. Essa unisce l’uomo alle cose divine, essa è migliore della vita secundum hominem; nella contemplazione soprannaturale essa ha luogo secondo un modo esso stesso sovraumano, mediante la connaturalità d’amore con Dio e mediante l’azione dei doni dello Spirito Santo, e fa dell’anima trasformata un solo spirito con Dio”, MARITAIN, La persona umana e il bene comune, p. 12; sull’argomento vedi anche MARITAIN, Azione e Contemplazione, in Questioni di coscienza, pp. 113 e succ.. 223 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 14. 224 Ibid. 225 Ibi, p. 27. 222 214 Queste concezioni richiedono evidentemente una filosofia dell’analogia dell’essere e della trascendenza divina per la quale la libertà ora della persona in quanto umana, ora della persona in quanto persona, si realizza, secondo un dinamismo ad esso proprio, in gradi ontologici diversi: in Dio in modo assoluto, nell’uomo in modo relativo. In definitiva, l’Incarnazione, in quanto “centro della realtà e dell’esistenza umana”,226 si presenta come senso totale e universale dell'uomo, come Fatto storico in cui la vocazione divina e ultraterrena si incontra tramite l’umanità di Cristo con la vocazione umana e terrena, e la realizza! Il cristianesimo è la vocazione ultra terrena del genere umano perché è anche quella terrena. 3.4.3 Cristianesimo e democrazia L'incontro tra cristianesimo e democrazia è l'incontro tra verità e libertà intese non in senso separato ma correlative in quanto la libertà si esplica nella verità. Chateaubriand, da questo punto di vista, ha osservato come “non esiste vera libertà senza religione, né esiste vera religione senza la libertà!”.227 Gli Stati uniti storicamente nella modernità hanno rappresentato un terreno fecondo in cui queste due ali dello spirito hanno potuto incontrarsi. E ciò ha unito la vicenda di Tocqueville e Maritain. In effetti per i due pensatori francesi gli Stati Uniti hanno raffigurato in maniera più o meno limpida la stretta affinità tra lo spirito di religione e lo spirito di libertà, che se in Europa procedevano clamorosamente in senso contrario, negli Stati Uniti risultavano piuttosto compagni di viaggio. Dopo il viaggio negli Stati Uniti, Tocqueville consolidò tale convinzione: “credere- scriveva in uno degli ultimi lavori- che le società democratiche siano naturalmente ostili alla religione è un grave errore”.228 226 Sturzo, alla stregua di Maritain, afferma che il primato della persona si fonda nella vita divina a cui si giunge tramite il Cristo. Da questa unità iniziale sgorgano poi le necessarie distinzioni fra vita naturale e soprannaturale. Pertanto continua Sturzo, “da allora la natura umana senza cessare di essere tale, fu assunta ad una vita più elevata, con adeguate potenzialità e attitudini per un nuovo destino”, L. STURZO, La vera vita, Sociologia del soprannaturale, Zanichelli, Bologna 1960, p. 26. 227 Cit. in CHEVALLIER, Storia del pensiero politico, “Un’epoca di transizione 1789-1848”, Vol. III, p. 264. 228 TOCQUEVILLE, L’antico regime e La rivoluzione, p. 43. 215 Tuttavia, ci piace sottolineare una sostanziale differenza fra i due, ossia che mentre Tocqueville negli Stati uniti troverà il senso della fede (per quanto naturalizzata) come garanzia dell’ideale democratico,229 Maritain, da parte sua, vi troverà soprattutto il gusto della libertà: “durante la mia prima visita a New York- scriverà Maritain più tardi in Réflexion sur l’Amerique- venni preso da palpitante entusiasmo da vero e vivo senso di piacere nell’improvviso accorgermi che qui si era ormai liberi dalla storia. Per un europeo assuefatto alle ormai logore eppur tenaci pastoie di passati eventi, passati rancori, passate consuetudini, passate glorie e passate angustie: di tutto ciò insomma che costituisce una sorta di opprimente eredità storica, il primo contatto con l’America è tale da provocare una delirante ebbrezza, direi, un’esaltazione, una vera e propria voluttà nell’atto di assaporare una libertà neonata”.230 D’altra parte Maritain, ha sottolineato che se il problema dell’America non era quello di fondare la democrazia, tuttavia negli Stai Uniti bisognava “rimettere il cristianesimo al livello delle esigenze divine e risollevare fino all’altezza della croce di Cristo il potenziale religioso e spirituale della sua democrazia. Il problema, per l’Europa (viceversa) è ritrovare la forza vivificante del cristianesimo nell’esistenza temporale, e nello stesso tempo farla finita con l’ondata di barbarie anticristiana e l’ondata di schiavismo antidemocratico. Sia qui che là si esige una trasformazione radicale, una resurrezione delle energie spirituali, una nuova cavalleria sorgente dal popolo”.231 Questi due esempi rappresentano dunque una testimonianza ineliminabile del fatto che fede e libertà s’incontrano in Cristo. Proprio il lievito evangelico attraverso quel “supplemento d’anima” opera in direzione opposta ad una natura la cui legge è l’avidità di essere, il farsi centro di tutto; opposta ma non contraria, dal momento che “la filosofia democratica dell’uomo e della società confida nelle risorse e nella vocazione della natura umana”.232 “La libertà vede nella religione la compagna delle sue lotte e dei suoi trionfi; la culla della sua infanzia, la fonte divina dei suoi diritti”, TOCQUEVILLE, La democrazia in America, p. 55. 230 J. MARITAIN, Réflexion sur l’Amerique, O.C., Vol. X, p. 20. 231 MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 13. 232 Ibi, p. 37. 229 216 Per far trionfare la democrazia è necessario allora vincere innanzitutto il cuore dell’uomo ferito dal peccato ed è per questo che una tale democrazia non saprebbe vivere se non all’interno di un umanesimo eroico transpenetrato dal fermento evangelico.233 Il progresso della società democratica necessità quindi di un’ascesi della persona al fine di far prevalere il primato dello spirito sulla materia. In questo senso, Maritain ha osservato con Bergson che “la democrazia è di essenza evangelica e ha l’amore come motivo determinante”.234 La democrazia, afferma Maritain, è l’espressione politica del cristianesimo,235 l'espressione della verità dell'uomo e della sua dignità. Di conseguenza, il presupposto fondamentale pertanto dell’imporsi della vera democrazia è per Maritain collegato alla refusione della civiltà moderna e alla resurrezione dello spirito cristiano,236 verso una nuova cristianità. In questo senso, contrasta con la realizzazione della democrazia la pretesa giustificazione relativistica che ha trovato in Kelsen il suo maggiore teorico. La teoria di Kelsen è stabilita sul presupposto erroneo secondo cui ogni metafisico o credente che creda o difenda una verità eterna e assoluta tenderebbe necessariamente ad imporla ad altri. Così, ad avviso di Kelsen, soltanto se consapevoli della nostra ignoranza di fronte al bene sapremo essere democratici. Questa soluzione, giudicata da Maritain “barbara e sbagliata” perché gli uomini non sono “L’opera alla quale siamo chiamati.. l’opera che dovremo compiere.. dovrà avere per obiettivo se vogliamo che la civiltà sopravviva, un mondo di uomini liberi, la cui sostanza profana sia penetrata da un cristianesimo vivo e reale, un mondo in cui l’ispirazione evangelica orienti la vita comune verso un umanesimo eroico”. MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 59. 234 H. BERGSON, Le due fonti della morale e della religione, Comunità, Milano 1950, p. 310; dal canto suo, Maritain ha scritto che “la democrazia, ha scritto Maritain, è sorta nella storia come manifestazione temporale dell’ispirazione evangelica”, MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 17. 235 Ibi, p. 32. 236 Si veda ad esempio come nel testo Cristianesimo e democrazia scritto nelle more della seconda guerra mondiale, Maritain proceda parallelamente ad un’analisi stringente di filosofia della storia in cui vedeva la guerra come il prodotto catastrofico di una intera età: “noi assistiamo alla liquidazione del mondo moderno, di quel mondo che è stato indotto dal pessimismo di Machiavelli a scambiare la forza ingiusta per l’essenza della politica; a cui lo scisma di Lutero, tagliando fuori la Germania dalla comunità europea, ha fatto perdere l’equilibrio; in cui l’assolutismo dell’ancien regime ha mutato a poca poco l’ordine cristiano in un ordine di costrizione sempre più lontano dalle sorgenti cristiane della vita; di quel mondo che il razionalismo di Cartesio e degli Enciclopedisti ha gettato in un ottimismo illusorio, che il naturalismo pseudo cristiano di Jean Jacques Rousseau ha indotto a confondere le sacre aspirazioni del cuore umano con l’attesa di un regno di Dio sulla terra procurato dallo Stato e dalla rivoluzione, al quale il panteismo di Hegel ha insegnato a deificare il proprio movimento storico, e di cui hanno affrettato la rovina l’avvento della classe borghese, il regime del profitto capitalistico, i conflitti imperialistici e l’assolutismo sfrenato degli stati nazionali”, MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, pp. 5-6. 233 217 individui che si fanno violenza ma persone umane che dialogano,237 è la soluzione relativista, contraria e ugualmente falsa di quella assolutista. Entrambi infatti rispettivamente confondono e separano, sotto aspetti diversi, soggetto e oggetto, persona e verità.238 La soluzione a questi due errori contrari è la soluzione dell’Incarnazione del Verbo capace di dignificare la natura umana e compierla distinguendo la sfera umana e quella divina: “l’uomo che, come Pilato, dice: “che cos’è la verità?”, non è un traditore tollerante, ma un traditore del genere umano. Non c’è tolleranza reale e autentica se non quando un uomo è fermamente e assolutamente convinto di una verità, o di quella che ritiene una verità, e quando nel medesimo tempo, riconosce a quelli che negano questa verità il diritto di esistere e di contraddirlo e quindi di esprimere il loro pensiero, non perché siano liberi nei confronti della verità, ma perché cercano la verità a modo loro e perché e perché rispetta in essi la natura umana e la dignità umana, e quelle risorse e quelle sorgenti vive dell’intelligenza e della coscienza che li rendono in potenza, capaci di attingere anche loro la verità che egli ama, se un giorno arriveranno a vederla”.239 E' qui appena il caso di ricordare come non solo Maritain ma una serie di autori cattolici ebbero modo di verificare come lo spirito cattolico costituiva l’essenza della democrazia. Acton collegò dichiaratamente il Bill of Righs inglese del 1688 ai principi medievali del cattolicesimo, osservando che “il pericolo da cui è minacciata la stabilità della nostra costituzione deriva soltanto dall’abbandono di quelle idee cristiane che la ispirarono originariamente. Sembrerebbe quindi che per i cattolici sia un dovere tanto religioso quanto “Se fosse vero che chiunque conosce o pretende di conoscere la verità e la giustizia non può ammettere la possibilità di un punto di vista diverso dal proprio ed è quindi tenuto ad imporre il proprio punto di vista vero agli altri con la violenza allora l’animale ragionevole sarebbe il più pericoloso di tutti gli animali. In realtà, l’animale ragionevole è tenuto, in virtù della sua natura, a cercare di condurre i propri compagni a partecipare di ciò che egli conosce o pretende di conoscere come vero e come giusto , non con la coercizione, ma con mezzi razionali, e cioè con la persuasione”, MARITAIN, Il filosofo nella società, p. 65. 238 Così scrive Maritain a proposito dei due errori: “da un lato l’errore degli assolutisti che vogliono imporre la verità con la costrizione deriva dal fatto che essi trasferiscono dall’oggetto al soggetto i sentimenti che provano a buon diritto nei confronti dell’oggetto; essi pensano che come l’errore non ha per sé diritti di sorta e deve essere bandito dallo spirito (con i mezzi dello spirito), così l’uomo quando è nell’errore non gode di diritti propri e deve essere bandito dal consorzio degli uomini (con i mezzi del potere umano). Da un altro lato, l’errore dei teorici che fanno del relativismo, dell’ignoranza e del dubbio la condizione necessaria per la reciproca tolleranza, deriva dal fatto che essi trasferiscono dal soggetto all’oggetto i sentimenti che a buon diritto provano nei confronti del soggetto all’oggetto ,- che deve essere rispettato anche quando è nell’errore; e così privano l’uomo e l’intelletto umano di quell’atto – l’adesione alla verità- nel quale consistono ad un tempo la dignità dell’uomo e la sua ragione di vivere”, ibi, pp. 65-66. 239 Ibi, pp. 66-67. 237 218 politico cercare i scongiurare questa minaccia, e difendere dagli attacchi dei radicali e da disprezzo dei tori l’unica costituzione che ha qualche somiglianza con quelle dei tempi cattolici”.240 Da questo punto di vista, lo spirito cristiano deposto nei secoli medievali animò anche i pionieri americani come osserva Maritain, “la Dichiarazione americana, per rimarchevole che sia in essa l’influenza di Locke e della religione naturale, era rimasta più vicina al carattere originalmente cristiano dei diritti umani”.241 Tuttavia, in quanto moderni essi si sono tutti più o meno separati dal fondamento originario di tali diritti, posto nell'Incarnazione e vivo nella Chiesa cattolica. Questa rottura si è evoluta fatalmente fino al XX sec, al punto che la democrazia è stata concepita come un Mito, “come forma platonica ideale o idealistica o idolatria che il popolo dovrebbe servire e per la quale sacrificarsi, come se la democrazia fosse al modo di Dio il bene comune separato del genere umano”.242 Da questo punto di vista, osserva Maritain, “né Locke né Rousseau né gli Enciclopedisti possono passare per pensatori fedeli all’eredità cristiana nella sua integrità. Anche in questo campo tutto indica che si sta producendo un grande rinnovamento dello spirito, tendente a riportare la democrazia alla sua vera essenza e a purificarne i principi”.243 Non è pertanto un’altra filosofia politica moderna ma una nuova civiltà, che può salvare il valore della democrazia; una nuova civiltà che richiede un “capovolgimento copernicano”, capace così di creare un nuovo clima culturale costruito attorno ai principi cristiani, riconciliando la democrazia con il suo spirito. Quest’opera, già riuscita sul piano intellettuale, attende la sua realizzazione storica in un nuovo evo della storia, una nuova cristianità perché opera di: “quella rivoluzione spirituale di cui Cristo è stato l’autore e che san Tommaso d’Aquino mette in luce quando stabilisce che ciò che è precipuo nella Nuova Legge e ciò in cui consiste tutta la sua virtù è la grazie dello Spirito Santo operante nelle anime per mezzo della fede e della carità. Se una nuova 240 ACTON, Cattolicesimo liberale, p. 118. MARITAIN, I diritti dell’uomo e la legge naturale, in Cristianesimo e democrazia, p. 122. 242 MARITAIN, Democrazia e autorità, in L’uomo e lo Stato, p. 47. 243 MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 19. 241 219 cristianità deve sorgere nella storia..sarà in virtù della potenza del Vangelo rigenerante, dall’interno le strutture temporali del mondo”.244 In definitiva, non c’è più scampo per l’umanità. Al di fuori di ogni dualismo fra natura e grazia, la democrazia vivrà a condizione che l’uomo viva di una “fede reale, viva pratica. Credere in Dio deve significare vivere in maniera tale che la vita non potrebbe essere vissuta se Dio non esistesse. La speranza terrestre del vangelo potrà così divenire la forza vivificatrice dell’esistenza temporale”.245 A motivo di tale speranza, Maritain, parlando ai Piccoli fratelli, poteva lasciare il suo testamento spirituale e politico: “verrà il giorno un giorno in cui questa grande patria, che è il mondo, ritroverà buona parte, in mezzo a mali anch’essi nuovi, secondo la legge della storia del mondo, il fine vero per cui è stata creata; un giorno in cui una nuova civiltà darà agli uomini, non certo la felicità perfetta, ma un ordinamento più degno di loro e li renderà più felici sulla terra. Poiché io penso che la meravigliosa pazienza di Dio non sia ancora esaurita, e che il giudizio di Dio non avverrà domani”. 246 MARITAIN, Aspetti contemporanei del pensiero religioso, in Da Bergson a Tommaso d’Aquino, pp. 125126. 245 MARITAIN, Il significato dell’ateismo contemporaneo, p. 48. 246 MARITAIN, Les deux grandes Patries, « Le Monde », 2-3 settembre 1973. 244 220 3.5 Il crepuscolo di una civiltà: la fine dell’epoca moderna. (umanitarismo contro umanesimo cristiano prendere dal libro il padrone del mondo) Con ammirevole acutezza agli inizi degli anni ’20 del XX sec. Berdjaev, nell’assistere alla contraddizione tra l’umanesimo sbandierato e il totalitarismo in cui terminavano le filosofie politiche moderne, poteva concludere: “la modernità che sta giungendo alla propria fine, venne concepita all’epoca del Rinascimento. Noi oggi stiamo assistendo alla fine del Rinascimento […] la fine del Rinascimento è precisamente la fine di quell’umanesimo che era la sua base spirituale”.247 Le parole di Berdjaev segnano la fine di un’epoca storica che non è stata l’epoca della libertà dell'uomo come lasciava sperare, ma l’epoca del Potere che all’apice della modernità ha mostrato la sua forma più tirannica che la storia umana abbia mai conosciuto, il totalitarismo. Tutta la storia moderna trova la sua caratterizzazione positiva nella liberazione progressiva di questo dio dell’immanenza, il Potere, che ha trovato la sua origine nella separazione tra il regno della natura e il regno di Dio. Ciò era inevitabile dal momento che nella misura in cui la natura si separa da Dio Lo combatte e di conseguenza combatte anche il fine naturale del mondo: la libertà della persona umana. Questa legge è la legge basica di quello che abbiamo chiamato il mistero del mondo per cui il mondo non può rimanere neutro nei riguardi di Dio: o tende a Lui o Lo combatte, e niente può sfuggire a quest’alternativa.248 Pertanto, “la relazione del mondo all’universo della grazia, scrive Maritain, è o una relazione di unione e di inclusione, oppure una relazione di separazione e di conflitto”.249 Il movimento orizzontale della società nel tempo necessita di essere sopraelevato dal movimento verticale della società verso Dio, pena la distruzione di tutto ciò che richiama la presenza di Dio, a partire dalla persona umana in quanto in senso proprio immagine di Dio. Così, la separazione moderna tra ideale e reale, tra libertà e verità, tra natura e grazia, avviata in ambito politico da Machiavelli, ha finito inevitabilmente per creare un irrigidimento del rapporto fra potere politico e libertà precipitando la persona nella più completa immolazione 247 BERDJAEV, Nuovo Medioevo, p. 5. “Chi non è con me è contro di me”, Mt 12, 30. 249 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 106. 248 221 alle forze cosmiche del divenire e allo Stato, secondo una direzione che Guardini ha indicato in maniera assai limpida: “uno sguardo d’insieme ci dà l’impressione che sia la natura sia l’uomo stesso siano sempre più alla mercé dell’imperiosa pretesa del potere, economico tecnico organizzativo statale. Sempre più nettamente si delinea una situazione per cui l’uomo tiene in suo potere la natura, ma insieme l’uomo tiene in suo potere l’uomo, e lo stato tiene in suo potere il popolo e il circolo vizioso del sistema tecnico economico tiene in suo potere la vita”.250 Il compito di Machiavelli è stato così prettamente un compito di liberazione del Potere rinchiuso in sé stesso e perciò di liberazione della politica di potenza di cui i capi politici moderni gli saranno riconoscenti, benché lo stesso Machiavelli non né abbia avuto, forse, piena consapevolezza: “dopo Machiavelli, scrive Maritain, non soltanto i principi e i conquistatori del ’500, ma i grandi capi creatori degli Stati moderni e della storia moderna, ricorrendo all’ingiustizia per stabilire l’ordine, o al male in ogni sua forma, purchè utile a soddisfare la loro volontà di potenza, avranno la coscienza tranquilla e saranno persuasi di adempiere al loro dovere di capi politici ”.251 Lo stesso Lord Acton ha saputo efficacemente osservare che “l’autentico interprete di Machiavelli è stata tutta la storia che è venuta dopo di lui”,252 la storia cioè che prende il nome di “machiavellismo”, ossia di una irrefrenabile ambizione del Potere politico a distruggere la persona. Si comprende allora perché un dittatore come Mussolini in Preludio a Machiavelli ha potuto scrivere che “la dottrina di Machiavelli è più viva oggi che non quattro secoli fa”.253 Ed è allora che ci chiediamo se il cardinale arcivescovo di Canterbury, Reginald Pole, non abbia visto giusto giudicando il Principe uscito “dalle mani del Diavolo”.254 R. GUARDINI, La fine dell’epoca moderna, il Potere, p. 160. MARITAIN, La fine del Machiavellismo, in Per una politica più umana, p. 119. 252 Ibi, p. 130. 253 Testo riportato in, in cui si legge: “la seconda gigantesca guerra di questo secolo si è conclusa con la sanguinosa sconfitta del fascismo e dell’impresa Hitleriana di asservimento al mondo In questa impresa si è potuto riconoscere un nuovo volto il più terribile del machiavellismo, machiavellismo sregolato e divenuto come pazzo. Disfatta di Hitler disfatta di Machiavelli.. Quanto a Stalin, se vogliamo credere a quello che Arthur Koestler ne lo zero e l’infinito fa dire a Roubachov: si dice che il N.1 (Stalin tenga sempre sotto il cuscino il 250 251 222 Ciò è un'evidenza che si è dimostreta sempre più palesemente nel corso della modernità fino allo sterminio del popolo eletto, gli Ebrei, segno inequivocabile della presenza di potenze sovrannaturali e oscure dietro il fenomeno moderno. E da questo punto di vista, la fonte và cercata proprio nelle separazioni prodotte all'alba della modernità, “divisioni che causano il successo e la gioia del diavolo”.255 Le rivoluzioni moderne, ispirate dallo spirito di Machiavelli, partendo dalla separazione, riposano, che lo sappiano o meno, sul Male. Di conseguenza, esse sono fatalmente destinate a fallire, e ciò per due motivi fondamentali. Innanzitutto, perché il Male ha come unico obiettivo quello di distruggere; “e distruggere, constata Maritain, non è riuscire”.256 E’ questa la chiosa di Maritain sul machiavellismo in cui egli vede il principio di ciò che maturerà nella catastrofe totalitaria. In secondo luogo, il Male non riesce perché non essendo metafisicamente una causalità di essere non può durare: “il machiavellismo è un’illusione, perché riposa sul potere del male e perché metafisicamente, il male come tale non ha potere di essere causa di essere; praticamente, il male non ha il potere di produrre alcuna realizzazione duratura”.257 Se Machiavelli è il padre della scienza politica moderna, tuttavia la forma moderna ha radici profondamente teologiche, secondo le caratteristiche comuni di ogni epoca storica. Come ha sottolineato lo storico Dawson, “i momenti di fusione vitale tra una religione vissuta e una civiltà operante costituiscono gli eventi creatori della storia, a confronto dei quali tutto ciò che è realizzazione esterna, tanto nell’ordine politico quanto in quello economico, è transitorio e insignificante”.258 Il padre spirituale della modernità è Lutero, la cui creatura, la Riforma protestante, né è stata il motore, l'essenza che l'ha specificata in proprio. Alla domanda quale sia la religione dell’evo moderno, la risposta di Maritain è stata decisa: il protestantesimo, perché dal punto di vista spirituale Lutero ha spezzato definitivamente Principe di Machiavelli”, CHEVALLIER, Le grandi opere del pensiero politico, “Da Machiavelli ai nostri giorni”, Vol. IV, p. 52. 254 Ibid. 255 J. MARITAIN, De la pensé catholique et sa mission (1930), in O.C, Vol. IV, p. 1118. 256 MARITAIN, La fine del machiavellismo, p. 135. 257 “Il machiavellismo è un’illusione, perché riposa sul potere del male e perché metafisicamente, il male come tale non ha potere di essere causa di essere; praticamente, il male non ha il potere di produrre alcuna realizzazione duratura”, ibi, pp. 153-154. 258 DAWSON, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, p. 292. 223 l’unità dell’Incarnazione, separando a livello teologico il Verbo dalla carne e chiudendo con così cura l’io nell’immanenza.259 Occorrerebbe qui pure menzionare il ruolo né politico né religioso ma filosofico di Cartesio in quanto le due fonti principali della chiusura dell’Io nell’immanenza sono la concezione immanentistica della coscienza avviata dalla rivoluzione luterana come detto, e la rivoluzione cartesiana della Ragione misura di tutte le cose. Ambedue liberano l’uomo da ogni trascendenza per affermare unicamente l’interiorità dell’uomo.260 Nel complesso insomma, l’epoca moderna ha avuto come effetto quello di sciogliere le catene al vecchio Adamo, facendo cadere in illusione “le idee di libertà, d’interiorità, di spirito”.261 In questo senso, da qualsiasi angolo la si guardi la modernità ha come unico risultato quello di eliminare Dio dal centro della vita; ed in ciò si rivela il suo carattere sostanzialmente anticristiano e perciò anti-umanista, giacché il cristianesimo ha rivelato che l’unica modalità per realizzare in maniera eminente la propria personalità consiste nella perdita di sé stessi a vantaggio di Cristo: “se noi, ha scritto in una pagina fondamentale Maritain, pretendiamo trovare la nostra anima, e se prendiamo il nostro io per centro, la nostra sostanza si dissipa, e passiamo al servizio delle forze cieche dell’universo”.262 Da questo punto di vista, la storia di Lutero, come quella di Rousseau, è una meravigliosa illustrazione di questa dottrina. “Egli non ha liberato, ma sviato la personalità umana”.263 Maritain ha saputo che “ogni grande epoca culturale riceve il suo significato più profondo e la sua direzione da una particolare direzione di fattori spirituali e idee dominanti, diciamo da un clima storico particolare. E il fattore più significativo da considerare in questi mutevoli aspetti dello zodiaco della storia è il particolare approccio a Dio che caratterizza un determinato periodo culturale”.264 “In pratica fu lui (Lutero) a introdurre questo principio (immanenza) nel pensiero moderno sotto una forma tutta speciale ed ancora tutta teologica, sollevando la fede contro opere, il Vangelo contro la Legge”, MARITAIN, Tre Riformatori, p. 86. 260 Cfr. MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 22. 261 Per Maritain, “l’essenza della Riforma è d’innalzare lo spirito contro l’autorità, l’energia interiore dell’uomo, padrone del suo giudizio, contro idee morte o convenzioni menzognere imposte dal di fuori”, MARITAIN, Tre Riformatori, p. 85. 262 Maritain ha insistito sul carattere fondamentalmente opposto tra la modernità e il cristianesimo che rilevano in riferimento alla personalità: “noi non conquisteremo la nostra anima che a condizione di perderla; una morte totale ci è richiesta prima che noi possiamo trovare noi stessi. E quando siamo spogliati, perduti, staccati da noi stessi, allora tutto è per noi che siamo di Cristo, e Cristo medesimo e Dio medesimo è il nostro bene”, ibi, p. 65. 263 Ibid. 264 MARITAIN, Un nuovo approccio a Dio, in Ragione e ragioni, p. 141. 259 224 La civiltà moderna separando il Verbo dalla carne e proclamando l’avvento dell’Io, ha liberato l'uomo carnale di cui parla san Paolo finendo necessariamente per farsi di Dio un’immagine carnale e fisica, la quale ha finito per avere riflessi sulla concezione dell’uomo medesimo.265 Davanti a questo falso dio, l’uomo governato da forze fisiche e individuali e possedendo sempre al suo interno un fermento divino, ormai materializzato, chiederà come tale la deificazione e l’emancipazione attraverso forze eteronome o autonome, i due poli che specificano l'uomo carnale e nello stesso tempo la civiltà moderna, verso i quali si dirige inevitabilmente Lutero. Maritain, cogliendo questa dinamica spirituale ha osservato come “lo spaventoso conflitto che affligge oggi il mondo, appare come lo scontro delle due forme opposte della Rivoluzione europea inaugurata da Lutero: della forma negativa, democratica, razionalistica, e della forma positivistica, imperialistica, volontaristica”.266 In questi due versanti, antropocentrico l’uno e panteista l’altro, si ricollegano le due forme spirituali della modernità. Ambedue le forme, quant’anche protese ad affermare i postulati culturali dell’Incarnazione, né negano tuttavia il contenuto più profondo, ovvero l’unione ipostatica di Gesù con Verbo (due nature in una sola persona): “il primo errore è come un misconoscimento del Verbo dal quale tutto è formato, e dalla cui Croce il mondo è vinto; renderebbe il pensiero cristiano impotente e volubile di fronte al mondo. Il secondo è come un misconoscimento dello Spirito che aleggia sulle acque e che rinnova la faccia della terra; renderebbe il pensiero cristiano ingrato ed ostile di fonte al mondo ”.267 Questi due errori costituiscono pertanto la modernità come essenzialmente anticristica perché di fatto mirano a separare e contrapporre Gesù e Cristo, il Verbo dalla carne, la teologia dalla Dio è diventato, osserva Maritain, una “causa come le altre, una persona come le altre, un monarca come gli altri, semplicemente portato all’assoluto, allora è causa onnipotente perché impone la costrizione a tutte le creature, non è sovranamente libero se non perché regola il bene e i male con un atto di piacere arbitrario, non è degno di adorazione se non perché annichila l’uomo davanti a se”, MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 73. 266 Cfr. MARITAIN, Antimoderno, “dopo l’atto iniziale di rottura compiuto da Lutero e in occasione del quale tanti ditirambi sono stati cantati in onore della coscienza dell’individuo, il pensiero protestante a forza d’insistere sull’interiorità della coscienza, era approdato alla libertà di coscienza”; finita l’epoca dell’individualismo, “con Hegel il pensiero protestante tedesco ha compiuto una svolta storica d’importanza cruciale”, MARITAIN, La filosofia morale, p. 199. 267 MARITAIN, Religione e cultura, p. 49. 265 225 filosofia.268 Parlando delle dominanti spirituali di queste due forme, Maritain dirà che entrambe “nel loro principio sono delle forze anticristiane. Sarebbe forse meglio chiamarle ‘anti-cristiche’, perché si tratta meno di un’opposizione dottrinale al cristianesimo quanto più un’opposizione esistenziale alla presenza e all’azione di Cristo entro la storia umana”.269 In quanto tale, pur nella ricerca del bene in virtù di una natura umana essenzialmente buona, che si esprime ora nella direzione di un umanesimo e ora nella direzione del cristianesimo, la modernità rimane privata della pienezza della verità. Ed è proprio questa, a ben vedere, la caratteristica che noi abbiamo visto essere propria del Male; quella cioè di non avere una causalità, fondamentalmente di “non essere”, “limitandosi” a corrompere il bene. Ciò fa sì che mentre nella direzione razionalistica e antropocentrica assistiamo ad un umanesimo senza cristianesimo e pertanto un falso umanesimo, dall’altra parte, nella direzione panteistica, osserviamo un cristianesimo senza umanesimo, e di conseguenza un falso cristianesimo. Pertanto, la modernità nella sua manifestazione politica non è che una falsa cristianità dovuta alla corruzione e alla materializzazione del cristianesimo,270 impossibilitato a realizzarsi per via di una negazione: “aggiungete alla cristianità e al pensiero cristiano un segno meno, una negazione e voi avrete il mondo e lo spirito specificamente moderni”.271 Seguendo questa prospettiva, ad un livello ancora più profondo diremo che la modernità da una parte e dall’altra ha rinunciato rispettivamente ad uno dei due comandamenti che Dio ha dato all’uomo: amare il Signore sopra se stessi e amare il prossimo come se stessi. 272 Ognuno di questi due comandamenti è stato infatti assolutizzato contro l’altro. Se da una parte, la tesi falsamente teistica ha preteso di amare Dio senza amare l’uomo e contro l’uomo; dall’altra parte la tesi falsamente umanistica ha preteso di amare l’uomo contro Dio. Tutte le filosofie moderne che lo sappiano o meno devono al cristianesimo la loro ispirazione, ma ad un cristianesimo totalmente deviato perché posto fuori dall’Incarnazione e diretto alla fine contro “Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo?.. questo è lo spirito dell’anticristo ”, dice san Giovanni; di contro avverte, “da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio...”, 1Gv 2,22-4,3. 269 MARITAIN, Il crepuscolo della civiltà, in Scritti e manifesti politici (1933-1939), p. 176. 270 “Da questo punto di vista, osserva Maritain, risponde al vero il dire che la rivoluzione non ha niente da inventare e che ha dovuto prendere tutto dal suo vecchio avversario, il cristianesimo. Il suo mito dell’Umanità e della città futura non sono altro che l’idea della Chiesa e quella della Gerusalemme celeste cadute dal piano divino a un progetto terreno; la stessa Rivoluzione viene concepita come un giudizio universale; la rigenerazione del genere umano, posta come meta delle nostre speranze, è la contropartita della rigenerazione battesimale”, MARITAIN, Filosofia della Rivoluzione, in Théonas, pp. 112-113. 271 Così Maritain, cit. in A. PAVAN, La formazione del pensiero di J. Maritain, Cedam, Padova 1967, p. 188. 272 Lc 10, 27. 268 226 il contenuto più profondo di esso. Viceversa, questi due comandamenti abitano nel cuore della stessa Incarnazione, di modo che civiltà autenticamente cristiana non è “un’età teocratica e non un età umanistica, ma un’età più umana dell’umanesimo e più divina di quella della teocrazia, un’età in cui l’importanza e la nobiltà della creatura saranno riconosciute più che mai, ma in quanto essa viene da Dio ed egli vive in essa; umanesimo, ma dell’Incarnazione, teocrazia, ma dell’amore divino comunicato al cuore”.273 E' l'incarnazione dunque che acquistando al prezzo della croce tutto l'umano lo ha riempito di Sé, come ha brillantemente esposto Péguy: “il cristiano è profondamente umano; esso è anche, assolutamente, tutto ciò che vi è di più umano, di più profondamente umano. Poiché è il solo che abbia messo l'umanità al prezzo di Dio. L'uomo, l'ultimo dei poveri, il più miserabile dei peccatori, al prezzo stesso di Dio”. 274 Se il Fatto dell’Incarnazione stabilisce l’incontro definitivo fra la creatura e il Creatore, viceversa la modernità ha separato la grazia dalla libertà da una parte e la libertà dalla grazia dall’altra; in ambedue i casi il risultato non è stato né umano e né divino in quanto, spiega Maritain, “il mistero nel quale queste cose consistono è che la suprema libertà e la suprema indipendenza del mondo vengono guadagnate dalla suprema realizzazione spirituale della sua dipendenza – della sua dipendenza da un essere che essendo la Vita stessa, vivifica ed essendo la Libertà stessa, libera tutto ciò che partecipa alla sua essenza”.275 Ed è proprio nella Rivoluzione francese in quanto espressione sintetica della modernità che l'opposizione fra libertà e grazia, nata nelle intenzioni dei suoi autori per sopprimere il potere in nome della libertà, si è realizzata nel suo contrario con l’assolutizzazione del Potere contro la libertà: “non si tratta di abbattere il potere assoluto ma di convertirlo”, ha scritto in maniera limpida Tocqueville,276manifestando il carattere paradossale di un’intera epoca. 273 MARITAIN, Strutture politiche e libertà, pp. 118-119. CH. PEGUY, L'umanità al prezzo di Dio, in Lui è qui, Rizzoli, Milano 2009, p. 98. 275 MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 24. 276 TOCQUEVILLE, L’antico regime e la Rivoluzione, p. 199; in ciò stato il paradosso della modernità, per cui continua Tocqueville “l’accentramento non è perito nella Rivoluzione perché esso stesso era il principio e il segno della Rivoluzione”, ibi, p. 99. 274 227 In realtà, la Rivoluzione francese esprime già anche se in via embrionale, le tre forme principali entro cui è racchiusa l'intera epoca moderna, ovvero liberalismo, socialismo e nazionalismo rispettivamente 1789, 1793 e 1799. Da qui “la Rivoluzione (con l’erre maiuscola) trova naturalmente la sua carica in rotture sempre più profonde con il cristianesimo”.277 Del carattere complessivo della Rivoluzione si era reso ben conto De Maistre il quale comprese come essa non era un episodio che si poteva circoscrivere ma la sintesi di una epoca storica: “bisogna avere il coraggio di ammetterlo [..] a lungo non abbiamo capito a rivoluzione di cui siamo testimoni; a lungo l’abbiamo presa per un avvenimento. Sbagliavamo essa è un’epoca”.278 Ognuna di queste tre ideologie è andata così fatalmente rafforzandosi nello spirito anticristiano come nelle pretese aspirazioni divine e umane, fino a compiersi definitivamente nel novecento nelle due forme totalitarie moderne naziste e comuniste.279 Di certo è con la loro affermazione che si delinea in maniera chiara l’opposizione tra totalitarismo e cristianesimo, tra la concezione mondana secondo cui lo Stato rivendica per sé il cittadino tutto intero per ridurlo in schiavitù e la concezione cristiana di un Dio che lo ama al punto da morire per la sua libertà. Siamo così in grado di leggere il movimento storico dell’epoca moderna caratterizzato da tre fasi successive della modernità: liberalismo, comunismo e nazismo comprensive di tutta un’epoca e che Maritain ha esplicitato sinteticamente: “nel primo momento della dialettica umanistica Dio divenne il garante del dominio sull’uomo sulla materia. Era un Dio trascendente, ma chiuso nella sua trascendenza e al quale si impediva l’intervento negli affari umani. Era un Dio decorativo, il Dio del mondo borghese classico. Nel secondo momento, con la filosofia romantica e i grandi metafisici idealisti, Dio divenne un’idea… Questo Dio del panteismo 277 MARITAIN, Ad alcuni miei contraddittori, in Ragione e ragioni, p. 222. J. DE MAISTRE, Discours à Mme la Marquise de Costa, in Oeuvres, Vitte, Lyon 1884,Vol VII, p. 273. 279 “Essa si era dapprima cimentata con l’ateismo mascherato del kantismo ortodosso e del liberalismo borghese. Dopo il fallimento di questo ateismo, che trovava la religione “buona per il popolo” e dopo l’insuccesso della falsa conquista individualistica della libertà e della personalità, era fatale che la falsa deificazione dell’uomo prendesse la forma dell’ateismo patente dell’hegelismo marxista che vede nella religione “l’oppio del popolo”. Ma era altresì fatale che prendendo la forma della negazione e derisione dell’uomo, essa si affermasse meglio ancora con l’epopea della Morte e della Distruzione e con il paganesimo perverso del razzismo che trasforma la religione in idolatria dell’anima del popolo”, MARITAIN, La conquista della libertà, in Per una politica più umana, p. 22. 278 228 e del mondo borghese romantico non era che il limite ideale dello sviluppo dell’umanità; ed era la giustificazione assoluta, totale e inflessibile del bene e del male, di tutti i crimini, le oppressioni e le iniquità della storia, come delle sue conquiste e dei suoi progressi, soprattutto dei suoi progressi nel conseguire ricchezze e potere. Nel terzo momento Feuerbach doveva scoprire che Dio- un Dio così concepito alienava l’uomo da se stesso; Marx che questo Dio non era che una proiezione ideologica dell’alienazione o disumanizzazione dell’uomo prodotta a suo giudizio sulla proprietà privata ”.280 E’ una nozione di filosofia della storia fondamentale assumere come dato il fair play di Dio che concede a tutti coloro che hanno liberamente scelto per il male il tempo di far maturare i suoi frutti. E’ la cosiddetta legge storica della fruttificazione del bene e del male, che abbiamo già analizzato nel corso del capitolo primo e tramite la quale Maritain profetizza la conclusione apocalittica dell’epoca moderna: “gli atti e i confitti delle energie della storia devono recare il loro frutto nel tempo. E non si vede come l’assoggettamento religioso dell’uomo alla materia, sia che prenda forme scientifiche o forme statali, non finirebbe in un supremo sforzo – inevitabilmente catastrofico- dell’iniziativa umana per salvare da sola un mondo senza Dio”.281 Tale legge merita di essere collocata alla luce delle altre leggi storiche sopra elencate, tra cui la legge del doppio progresso contrastante con cui comprendiamo come “nello stesso tempo in cui nel mondo moderno fruttificavano i mali di cui esso portava il germe, pure la crescita naturale e il lavorio interno dovuto al lievito evangelico non cessavano”.282 Ciò dimostra la fondamentale bontà della natura umana e lo sviluppo di un certo bene nell’età moderna nonostante i principi spirituali erronei, di cui nazismo e comunismo rappresentano il compimento:283 “mentre vedo nel nazismo l’ultima tappa di una reazione implacabile di una 280 MARITAIN, Un nuovo approccio a Dio, in Ragione e ragioni, pp. 146-147. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 262; scrive Maritain, “checché ne sia, per una successione dialettica notevole, l’assolutismo cristiano (cristiano almeno d’apparenza) che è venuto dopo il mondo medievale, è stato soppiantato da un liberalismo anticristiano e questo essendo stato eliminato a propria volta dal solo fatto della sua riuscita, il posto è pronto per un nuovo assolutismo, questa volta materialistico (d’un materialismo confessato o di un materialismo nascosto) e più nemico che mai del cristianesimo”, ibi, p. 192. 282 MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 7. 283 “Il mondo moderno non è una creazione polemica come non lo è la filosofia moderna: è un certo tipo storico di civiltà, spiritualmente dominato sin dalle sue origini dall’Umanesimo del Rinascimento, dalla Riforma protestante e dalla Riforma cartesiana. [..] C’è in esso, come in ogni civiltà un elemento positivo di tensione 281 229 reazione implacabile contro il principio democratico e contro il principio cristiano, vedo nel comunismo l’ultima tappa della distruzione interna del principio democratico dovuta al rinnegamento del principio cristiano”.284 Nazismo e comunismo rappresentano così “le due corna dello stesso diavolo”,285 dal momento che fuoriescono dalla stessa Rivoluzione moderna anticristiana e la concludono. Ciò è ben visibile dal patto russo-tedesco del 1939, in cui queste due forme hanno trovato la loro unità “essenzialmente rivolta contro i principi primi di tutta la civilizzazione cristiana, contro tutto ciò che porta il marchio di Dio nell’uomo, contro tutto ciò che indica il rispetto della persona umana, della giustizia e della verità contro tutto ciò che importa e alla grandezza dell’anima umana”.286 La tragedia dell’epoca moderna ci costringe a prendere coscienza della refusione dei principi spirituali richiesta ad una nuova epoca di civiltà, che sappia guardare oltre l’eteronomia e l’autonomia, instaurando un nuovo approccio a Dio, teonomico, in cui l’uomo verrà riabilitato in Dio visto nella sua reale essenza, ovvero come “causa onnipotente perché dà a tutte le cose il loro essere e la loro stessa natura ed agisce in loro, più intimo ad esse stesse, secondo il modo della loro essenza, assicurando, dal di dentro, l’agire libero di quelle che sono libere per natura”.287 Solo attraverso la ricomposizione cattolica tra il Gesù storico e il Gesù della fede che sappia ricucire lo strappo protestante è possibile sciogliere il dramma storico non solo della civiltà moderna ma di ogni civiltà. Da questo punto di vista, il cristianesimo ha un missione temporale che gli appartiene in proprio e che solo esso può svolgere chiedendo agli uomini “di lavorare per trasformare le condizioni della vita quaggiù in un’ispirazione che sia in sé cristiana e per un ideale temporale sia pure cristiano, riprendendo al mondo quello che loro appartiene, e alla Rivoluzione i valori cristiani da essa assorbiti e rovinati”.288 Dopo la completa materializzazione del cristianesimo in cui si è espressa la modernità, il compito richiesto ai cristiani oggi è quello di riportare in cielo il cristianesimo applicandolo ontologica e di vitalità, che qui ci sembra costituito da uno sforzo coraggioso e instancabile per far produrre alla natura umana il suo maximum di rendimento terrestre”, MARITAIN, Religione e cultura, p. 23. 284 MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, p. 48. 285 Così J. MARITAIN in Une interiew de Jacques Maritain, pubblicata nella rivista americana The Commonwheal, dicembre 1938, ora in O.C, Vol. II, p. 1087. 286 J. MARITAIN, De la justice politique, Paris, Plon 1940, pp. 290-291. 287 MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 73. 288 MARITAIN, Ad alcuni miei contraddittori, in Ragione e ragioni, p. 222. 230 analogicamente nella sfera temporale secondo i principi espressi da san Tommaso, congiungendo senza confondere il regno della natura con quello della grazia. Alla naturalizzazione della grazia una nuova cristianità risponderà così con una cristianizzazione della natura: “l’ordine della grazia, ha scritto Maritain, è altro da quello della natura, ma essendo soprannaturale vi si aggiunge e lo perfeziona senza distruggerlo. Se ora si considera come naturale ciò che attiene alla grazia, e nel contempo si pretende di conservarne il simulacro e di sovrapporlo alle cose, allora ci si adopera per sostituire a viva forza un altro ordine della natura, e si rovinerà l’ordine naturale, in nome di un principio divino e di una virtù divina: è tutta qui la rivoluzione”.289 Non quindi rinunciando ai principi o compromettendoli con le forme morte della modernità, ma applicandoli integralmente che i cristiani, e solo essi, potranno operare in funzione da una parte della redenzione della modernità e dall’altra della liberazione della vocazione temporale dell’umanità, parimenti allo sforzo speculativo compiuto da Maritain: “(il cristiano) lavorando a diventare ciò che egli è, libera il proprio personaggio dalle parti d’iniquità e nel contempo toglie alle maschere d’iniquità le parti di giustizia”.290 Maritain non ha infatti soppiantato la modernità ma l'ha superata, perché non ha cercato di opporgli una rivoluzione contraria, secondo l'errore dei controrivoluzionari. Come ha giustamente rivelato Boffa “i controrivoluzionari non aspirano ad arrestare la rivoluzione. A dispetto del mito che proclamano, essi vogliono una rivoluzione contraria”.291 Da questo punto di vista, Maritain ha perseguito un programma autenticamente cattolico, vale a dire non contro la Rivoluzione ma contro i principi della Rivoluzione, come lui stesso ha osservato: “Principiis obsta: questa massima non è rivoluzionaria, anzi il suo scopo è di prevenire le rivoluzioni sanguinose. Essa non ci impone di rovesciare i principi, bensì di contrastare i principi; e non i buoni principi ma i cattivi”.292 Un primo momento di riorientamento della modernità è seguito alla conclusione della seconda guerra mondiale. In particolare, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e 289 MARITAIN, Filosofia della Rivoluzione, in Théonas, p. 113. MARITAIN, Religione e cultura, p. 58. 291 M. BOFFA, La rivoluzione e la controrivoluzione, in F. Furet, (a cura di), L’heritage de la Révolution francaise, p. 101 292 MARITAIN, I puntini sugli i, in Ragione e ragioni, p. 201. 290 231 delle libertà fondamentali del 1948, a cui contributi lo stesso Maritain come delegato dello Stato francese, ha rappresentato un punto di non ritorno per un primo versante dell’epoca moderna, perché segna la fine di quattro secoli di storia iniziati il 1648 con la pace di Westfalia e l’ascesa al trono di Luigi XVI. Questi due avvenimenti contemporanei segnano l’affermazione storico-politica dei principi protestanti su quelli cattolici a partire dalla quale vengono istituzionalizzati in Europa gli Stati nazionali sovrano.293 Il medioevo è ufficialmente terminato ora anche politicamente. La Dichiarazione costituisce un documento storico d’importanza fondamentale in quanto per primo ha proclamato l’idea di persona in un documento ufficiale, a dispetto delle Costituzioni liberali e marxiste che invece faranno riferimento all'idea di individuo. Proprio nel fondamento politico costituito dalla persona come soggetto di diritto, con delle obbligazione che le derivano ipso facto dalla nascita, è possibile datare la fine dell’ideologia nazionalistica, nemica assoluta della dignità dell’uomo. Tuttavia, Maritain era consapevole del fatto che la seconda guerra mondiale non avrebbe potuto da sola determinare in un solo istante la fine dell’età moderna. Egli si persuase piuttosto come la fine della guerra mondiale costituisse un primo passo verso la direzione giusta nel movimento orizzontale della società nel tempo.294 293 MARITAIN, Antimoderno, p. 111. Con Luigi XIV il culto di Versailles soppiantò il culto di Reims. Luigi XIV veniva chiamato Re sole, Apollo, Marte, Ercole e l’etichetta di corte assumeva le forme di una liturgia, e ciò contraddistinguerà più o meno tutte le monarchie “cattoliche” dell’età moderna. E’ evidente che la Chiesa, in un’epoca ostile come quella moderna, abbia dovuto stringere accordi con questi regimi. Tuttavia, non era certo da essi che Ella si aspettava la cristianità. Non a caso Lord Acton scriveva, nel pieno dell’epoca moderna, come “l’aspirazione a un sistema realmente cattolico comporta la più radicale condanna degli Stati cattolici”, Lord Acton, Cattolicesimo liberale. Nondimeno, Rosmini riferendosi alla Santa Alleanza, mostra i limiti degli Imperi detti cattolici e in realtà spiritualmente ostili alla Chiesa: “se si prende sott’occhio il trattato così detto della Santa Alleanza, conchiuso tra i tre potentati del settentrione a Parigi il 26 settembre 1815, a prima giunta si resta commossi della santità delle massime cristiane che vi si proclamano…Ma quando lo si esamina più da vicino… se ne discopre facilmente l’imperfezione. Mentre vi si parla della religione di G. C. e dei principi ch’ella insegna ai monarchi non meno che ai loro soggetti, neppure una sola parola vi si incontra DELLA CHIESA. Ma senza Chiesa vi ha anche cristianesimo? Non resta che un’astrazione di religione cristiana inefficace a comprimere il dispotismo dei principi da una parte e le passione dei popoli dall’altra”, in A. ROSMINI, Progetti di Costituzione, saggi editi ed inediti sullo Stato, introduzione C. Gray, Rocca, Milano 1952, p. 92. 294 “Una volta liberata dai pericoli di distruzione totale e irrimediabile, come quelli contro quali essa lotta oggi, scriveva Maritain, nel 1943- la civiltà umana ha molto tempo dinanzi a sé. Una piena realizzazione dell’ideale storico nel quale speriamo non può attendersi, a parer nostro, prima di quel tempo che l’apostolo Paolo annuncia come la ricchezza del mondo e una resurrezione dalla morte: intanto bisogna agire lottare e avanzare nella direzione giusta. Le energie creatrici devono rimettersi all’opera e il movimento della comunità temporale ritrovare la sua linea normale di sviluppo”, MARITAIN, Cristianesimo e democrazia, introduzione, pp. XI-XII. Questa lezione, scriverà qualche anno più tardi Maritain, non poteva essere compresa “dopo la guerra lo spirito non avrebbe potuto prendere il controllo delle forze scatenate nel mondo malato se non mediante un eroismo che era impossibile pretendere dalle nazioni”, MARITAIN, Un filosofo nella società, p. 107. 232 Bisognerà attendere la caduta del muro di Berlino nel 1989 per assistere alla conclusione dell’altro errore moderno, quello dell’umanesimo antropocentrico che nel comunismo trova il suo esito definitivo. Se infatti nel 1789, con la Rivoluzione francese, giungono a maturazione gli ideali rinascimentali e umanistici, nel 1989, con la caduta del comunismo, quest’altra linea moderna di un umanesimo cercato sulla frattura antropocentrica si conclude paradossalmente nel suo contrario, il totalitarismo. Così nell’ “anno 1989”, per usare le stesse parole di un importante enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II, 295 le dominanti culturali antropocentriche entrano definitivamente e irrimediabilmente in crisi, determinando quella che è stata chiamata la catastrofe della coscienza umanistica areligiosa.296 Per riassumere, le tre filosofie politiche quella liberale, quella fascista e quella comunista hanno finito per liquidarsi rispettivamente con la prima guerra mondiale, con la fine del secondo conflitto mondiale e con la caduta del muro di Berlino. La storia ha così condannato la modernità, secondo lo stesso dinamismo manifestatosi di per sé stesso, anche se in forma di annuncio, nel fallimento della Rivoluzione francese e ora compiuto definitivamente. Le germinazioni dell’epoca moderna hanno così ormai recato il loro frutto nel tempo rivelando pienamente il traviamento della vita umana dovuto all’asservimento dello spirito umano alla materia di cui la modernità è espressione e dimostrando nello stesso tempo la verità delle osservazioni in merito svolte da Maritain secondo cui le società moderne “secernono la miseria come prodotto normale del loro funzionamento”.297 Tuttavia, Maritain ha fatto notare come tutte le forze all’opera nella storia moderna hanno lavorato per purificare lo spirito della libertà e ricondurlo alla sua fonte originaria, e d’altra parte il lavoro stesso di Maritain e dei Papi, con l’impulso decisivo dato da Leone XIII, è consistito nell’aggiornamento cattolico che la modernità ha stimolato e che il suo fallimento ha reso urgente. Oltretutto bisogna qui prendere in considerazione una variabile della legge del duplice movimento antagonista della storia che abbiamo altrove segnalato. Ci riferiamo 295 GIOVANNI PAOLO II, Enciclica, Centesimus annus, n. 22. A. SOLZENICYN, L’errore dell’occidente, La casa Matriona, Milano 1980, p. 103. 297 MARITAIN, I puntini sugli i, in Ragione e ragioni, p. 198. 296 233 alla “legge secondo cui l’errore assolve, come parassita, una funzione nel progresso della conoscenza speculativa e teorica”.298 In un certo senso, Maritain considera che nell’ambito della nostra conoscenza della natura e in quella della filosofia una certa verità riceve uno straordinario slancio da parte dell’errore che vive di lei come un parassita e che pur sembrando in principio da lei inseparabile, alla fine del suo normale sviluppo dialettico finisce per distruggere la stessa verità di cui si serviva.299 Ecco l’utilità del fair play di Dio concesso al fine di poter comprendere dove collocare il fondamento di un’autentica civiltà umanistica.300 Da questo punto di vista, lo sviluppo della modernità, mostrando definitivamente il volto omicida e menzognero dell'Anticristo in cui si compie la dialettica moderna,301 costituisce una formidabile occasione storica di riconciliazione fra libertà e verità: “oggi le forze cieche che da duecento anni le hanno dato l’assalto (alla Chiesa) in nome della libertà e della persona umana deificata, lasciano cadere la maschera. Ora si presentano per quello che sono. La loro sete è di asservire l’uomo. I tempi attuali pur miserevoli che siano, hanno di che esaltare coloro che amano la Chiesa e che amano la libertà. La situazione storica da essi affrontata è definitivamente chiara. Il grande dramma del nostro tempo è il confronto fra l’uomo è lo stato totalitario, il quale non è altro che 298 MARITAIN, Per una filosofia della storia, p. 46. Da questo punto di vista, Lord Acton aveva assai bene osservato come i guadagni materiali procurati dall’epoca moderna non avrebbero potuto trovare la loro efficacia se non alla fine della civiltà moderna e dentro una nuova cristianità, perché essi si realizzano soltanto in un regime cristiano: “non abbiamo davvero ragione né di meravigliarci né di rallegrarci se tre secoli di protestantesimo non hanno interamente cancellato le antiche caratteristiche del nostro governo, se non vi è stata mancanza di progresso politico così assoluta come alcuni dei suoi nemici vorrebbero farci pensare. I protestanti possono anche avere sui cattolici, sotto certi punti di vista, la stessa superiorità mondana che i Gentili avevano sul popolo di Dio; ma come alla caduta del Paganesimo i tesori che esso aveva prodotto ed accumulato per venti secoli divennero le spoglie del vincitore, così, quando verrà il giorno del giudizio per la grande apostasia moderna, questa dovrà rendere tutto ciò che ha raccolto diligentemente alle cose di questo mondo; e coloro che avranno conservato la loro fede trarranno frutto da quegli elementi della civiltà protestante sui quali si basa la sua presunta superiorità”, ACTON, Cattolicesimo liberale, p. 119. 300 Non a caso Maritain noterà come “giunti al termine d’una evoluzione storica secolare, ci troviamo in presenza di due posizioni pure: la posizione atea pura e la posizione cristiana pura”, MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 86. 301 Péguy, da questo punto di vista, ha colto il carattere anticristiano di un mondo, il mondo moderno, in pagine brillantissime: “ciò che si vuol dire, ciò che si dice, ciò che si costata, è che vi è ormai un altro mondo, un mondo nuovo, è che vi è un mondo moderno e che questo mondo moderno non è solo un cattivo mondo cristiano, ciò non sarebbe niente, ma un mondo incristiano, decristianizzato, assolutamente, letteralmente totalmente incristiano. Ecco ciò che si vuol dire. Ecco ciò che si vuol dire. Ecco ciò che si bisogna dire. Ecco ciò che bisogna vedere”, PEGUY, Il peccatore e il santo due elementi propri del cristianesimo, in Lui è qui, p. 102. 299 234 il vecchio e bugiardo dio dell’impero pagano senza legge che esigeva per sé l’adorazione di tutte le cose”.302 Di certo, nella misura in cui la modernità ha via via liberato il suo spirito esso ha indirettamente lavorato per il cristianesimo fino far comprendere a contrario come “la Chiesa e la libertà s’incontrano nella difesa dell’uomo”.303 Alla fine della modernità si comprende definitivamente come separazione dell’uomo da Dio produce il conflitto e annichila l’uomo. Ad una nuova età di spirito cristiano, e che pertanto non saprebbe essere se non una nuova cristianità, il compito di dimostrare in positivo come l’unione con Dio è il fondamento dell’umanesimo vero cioè integrale, come ha scritto in maniera insuperabile Guardini: “se l’umano potere e la potenza che ne deriva ha la sua radice nella somiglianza con Dio, esso non è un diritto autonomo dell’uomo, ma qualche cosa che gli è stato prestato. Per la grazia egli è signore, e la sua signoria egli deve esercitare facendosene responsabile di fronte a Colui che è Signore per essenza. Il potere si fa allora obbedienza e servizio”.304 Ogni potere civile e temporale è al servizio della persona umana,305 e ciò è possibile nella misura il potere si subordina a Dio. Ed è per questo che il medioevo va considerato come un’epoca tra le più alte della storia.306 Aristotele conosceva bene la legge dell’essere, generatio unius corruptio alterios. Ciò dimostra che non v’è produzione di una forma nuova senza la distruzione della forma antica. MARITAIN, La Chiesa e lo Stato, in L’uomo e lo Stato, p. 184. Ibi, p. 185. Soloviev ha messo ben in evidenza la il punto sorgivo di una trasformazione sociale autentica procede dall’Incarnazione che “è l’unione intima intima e completa del divino e dell’umano senza confusione e senza divisione. La necessaria conseguenza di questa verità .. è la rigenerazione della vita sociale e politica per mezzo dello spirito del Vangelo”, V. SOLOVIEV, La Russia e la Chiesa universale, p. 30. 304 GUARDINI, La fine dell'epoca moderna, Il potere, p. 130. 305 “Voi sapete, dice il Signore, che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere vuol essere grande tra voi si faccia vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi si faccia servo di tutti”, Mc 10, 42-45. 306 E’ stato a proposito ben sottolineato come “la singolarità della persona, unica e irripetibile e, di conseguenza, la sostanziale uguaglianza in dignità e nobiltà di ogni esponente della specie umana, il suo valore assoluto, è una portata, affermata e diffusa dal cristianesimo, e fu una verità carica di un potere sovversivo come poche altre nella storia: man ano che essa riuscì a farsi strada e penetrare nella cultura pagana. La trasformò profondamente, sostanzialmente, dando origine a una nuova cultura e a una nuova società che prenderanno forma nella respubblica christiana del medioevo”, B. MONDIN, voce “Persona” in Dizionario enciclopedico del pensiero di san Tommaso d’Aquino, II ed., ESD, Bologna 2000. 302 303 235 Questa legge assume una chiarezza autentica e una realizzazione pura soltanto nel cristianesimo. Ed è in questa luce che Maritain ha considerato come non ci può essere riconciliazione dell’uomo con Dio senza redenzione della modernità.307 La nuova cristianità, destinata a subentrare alla modernità che da parte sua volge al termine in quella che in linguaggio biblico viene chiamata Apocalisse, richiede così un capovolgimento cosmico, una resurrezione dei morti, in quanto appunto chiamata a redimere un'epoca spiritualmente e temporalmente anticristica. Da questo punto di vista, già un secolo addietro con profonda lucidità scriveva Berdjaev: “oggi assistiamo non tanto alla nascita di un nuovo mondo quanto piuttosto alla fine di uno mondo vecchio. La nostra epoca ricorda la fine del mondo antico, la caduta dell’Impero Romano, l’esaurimento e l’inaridirsi della cultura greco romana, sorgente eterna di ogni cultura umana. Le correnti moderne dell’arte ricordano la scomparsa della perfezione formale degli antichi e il suo imbarbarimento. I sistemi sociali e politici del nostro tempo ricordano quelli che regnavano all’epoca dell’Imperatore Diocleziano, e che umiliavano l’uomo. Le ricerche religiose e mistico-filosofiche del nostro tempo ricordano la fine della filosofia greca e l’investigazione dei misteri quando cominciò a manifestarsi il bisogno dell’Incarnazione e dell’avvento del Dio-Uomo”.308 Il paragone con la caduta del paganesimo s’impone ai nostri occhi. Allora al IV-V sec. d. C., la civiltà greco-romana era giunta al suo culmine e i barbari come flagelli di Dio ne approfittarono per asserragliare l’Europa da tutte le parti. Si è osservato giustamente che non sono stati i barbari, ma la crisi spirituale dell’Impero Romano a far cadere Roma e il paganesimo precristiano.309 La redenzione comporta inevitabilmente la croce e il sangue: “se il mondo purifica i cristiani collo spargere il loro sangue, nello stesso tempo il sangue dei cristiani purificherà il mondo. E forse da questa doppia purificazione nascerà la nuova cristianità che deve venire”, J. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 300. 308 BERDJAEV, Nuovo medioevo, p. 49. 309 Riproponiamo qui la lucidissima analisi di Daniel Rops che spiega sinteticamente il motivo della fine dell’epoca pagana: “la verità è stata formulata in termini nettissimi da uno di quei pochi uomini lucidi che anche il V secolo può contare. Si chiamava S. Euchero ed era Vescovo di Lione. Un giorno gridò: viviamo in un mondo dai capelli bianchi”. Esattamente: la società antica, il mondo greco romano aveva raggiunto quel punto di decrepitezza in cui non esistono più rimedi possibili, perché l’usura fisiologica li rende tutti inefficaci. Questa è la verità: non sono i Barbari che hanno ucciso Roma; politicamente smembrata, socialmente ingiusta, in preda a una grave disgregazione e tagliata fuori da ogni base spirituale, la società antica si era da se stessa condannata a morte. Questa rapida analisi delle ragioni profonde del crollo è sufficiente, nello stesso tempo, a far presentire perché una sola forza si sarebbe rivelata capace di lavorare alla futura resurrezione: la Chiesa di Cristo” D. ROPS, Quando un mondo crolla, in Il traguardo della felicità, Massimo, Milano 1960, p. 323. 307 236 Nell’ora attuale ci ritroviamo nella medesima situazione della caduta dell’Impero romano, laddove alla fine della civiltà greco-romana corrisponde la fine della civiltà moderna. Da questo punto di vista, la nuova cristianità appare provvidenzialmente dall’intersezione di due momenti storici: se infatti la fine del comunismo (1989), ci fa comprendere che le sorti della vera libertà coincidono con quelle della vera religione, allo stesso tempo la reazione fondamentalista (2001), ci aiuta a comprendere appieno come le sorti della religione cattolica coincidono con quelle della libertà. Tale contraddizione è utile che si mostri in tutta la sua drammaticità, affinché venga in piena luce quella slealtà di fondo, di cui parlava Guardini, per cui la modernità ha assunto i valori cristiani contro il contenuto dell’Incarnazione: “il tempo che viene, scriveva Guardini, creerà qui una chiarezza terribile ma salutare. Nessun cristiano può rallegrarsi dell’avvento di una radicale negazione del cristianesimo. Poiché la Rivelazione non è un’esperienza soggettiva, ma la verità assoluta, manifestata da colui che ha anche creato il mondo; ed ogni ora della storia che rende impossibile l’influsso di questa verità è minacciata nel suo intimo. Ma è bene che si metta a nudo quella slealtà. Poiché allora si vedrà quale è effettivamente la realtà, quando l’uomo si è distaccato dalla Rivelazione, e vengono a cessare i suoi frutti”.310 Nel giorno del giudizio della grande apostasia moderna di cui parlava Lord Acton, che segue l’esaurimento delle tre ideologie specificanti dell’età moderna, il cristianesimo è pronto a rinnovare la creazione: “quando si sente che tutto è stato sperimentato ed esaurito, quando la terra cede sotto i piedi, come succede ai nostri giorni, quando non vi sono più ne speranze ne illusioni, quando tutto è messo a nudo e smascherato, allora i tempi sono maturi per un movimento religioso nel mondo. Siamo arrivati a questo punto, e sarebbe bene ce ne rendessimo conto”.311 Da questo punto di vista, il compito dei cristiani non sarà quello di “battezzare la Rivoluzione ma di fare essi stessi le rivoluzioni di cui il mondo ha bisogno”.312 E i cristiani rifaranno la GUARDINI, La fine dell’epoca moderna, il Potere, p. 101. BERDJAEV, Nuovo medioevo, p. 189. 312 MARITAIN, Ad alcuni miei contraddittori, in Ragione e ragioni, p. 222. 310 311 237 Rivoluzione, entrando in una nuova epoca “in cui gli uomini leggeranno e mediteranno il Vangelo più di quanto non abbiano mai fatto”.313 Nel ritorno della nuova cristianità vediamo il ritorno di Maritain perché, come è stato recentemente scritto, “è a Maritain che appartiene infatti la concezione secondo cui il cristianesimo può di nuovo tornare ad essere l’ispiratore e la forza della civiltà del XXI sec”.314 Questa nuova epoca è oggi la speranza della Chiesa, come ha ribadito di recente Benedetto XVI, rilanciando il programma del terzo millennio della storia cristiana: “rafforzata dallo Spirito e attingendo ad una ricca visione del mondo, una nuova generazione di cristiani è chiamata a contribuire all’edificazione di un mondo in cui la vita sia accolta, rispettata e curata amorevolmente, non respinta o temuta come una minaccia e perciò distrutta. Una nuova era in cui l’amore non sia avido ed egoista, ma puro fedele e sinceramente libero, aperto agli altri rispettoso della loro dignità , un amore che promuova il loro bene e irradi gioia e bellezza. Una nuova era nella quale la speranza ci liberi dalla superficialità, dall’apatia dall’egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani”.315 Di questa nuova epoca, profetizzata da Maritain e dalla Chiesa, noi vediamo soltanto le prime luci, ovvero il momento propriamente embrionale che per instaurarsi completamente attende il crollo di quel mondo moderno che sta già cedendo sotto i nostri occhi, e di cui le date 1989, (caduta dell’ultima eresia moderna), 2001 (scontro tra civiltà), e 2008 (crollo dell’economia globale e della cosiddetta post-modernità) appaiono come i segni indiscutibili della sua dissoluzione. O forse non ha scritto Péguy, il maestro della vocazione temporale del cristianesimo, che “quando l’angoscia appare è la cristianità che ritorna”?316 Il diavolo infatti cammina davanti ai passi di Dio, né prepara le vie da traditore: et egredietur diabolus ante pedes ejus, secondo l’espressione del cantico di Abacuc.317 Non sta a noi prevedere i tempi e i modi di realizzazione. Ciò che noi intendiamo sottolineare è individuare la dinamica storica che si sta svolgendo nella direzione prevista da Maritain. 313 MARITAIN, Una fede di cui vivere?, in Il filosofo nella società, p. 107. POSSENTI, Editoriale, Il ritorno della religione?, p. 11. 315 BENEDETTO XVI, Omelia celebrazione eucaristica, Ippodromo di Randwick, 20 luglio 2008. 316 Cit. MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 193. 317 Cit. MARITAIN, Strutture politiche e libertà, p. 67. 314 238 “ravvicinandosi insieme alla sua doppia consumazione: nell’assoluto di quaggiù, ove l’uomo è dio senza Dio; e nell’assoluto dell’alto, ove l’uomo è dio in Dio”.318 APPENDICE Un caso speciale è l’Italia. Appendice all’Italia con Scoppola, Dossetti, Lazzati, Del Noce e don Gianni e il libro umanesimo integrale e nuova cristianità” citare poi di Borne “il filosofo cristiano della democrazia” più la mia parte alla fine della vecchia tesi. Per tutto il novecento egli non si riconoscerà nei partiti che pure diranno di ispirarsi a Maritain non troverà alcuna ispirazione realmente cristiana nei partiti politici europei, esprimendo la loro condanna più netta: 318 MARITAIN, Umanesimo integrale, p. 303. 239 “fino ad ora- e nonostante (o a motivo) dell’entrata in scena in diversi paesi di partiti politici detti “cristiani” - la maggior parte dei quali è frutto di calcoli di interessi elettorali- la speranza nell’avvento di una politica cristiana (rispondente all’ordine pratico a quello che è una filosofia cristiana nell’ordine speculativo) è stata completamente delusa”.319 Per riprendere una citazione decisiva e ormai classica di E. Borne, “Maritain non è il filosofo della democrazia cristiana, ma il filosofo cristiano della democrazia”.320 E' dunque nel prevalere di queste forze storiche che si spiega il ripensamento di una certa élite di intellettuali cattolici negli anni ottanta, con cui si arriverà a dichiarare la scomparsa la categoria di “nuova cristianità”. Ciò fu vero innanzitutto per l’Italia, dove la ricostruzione dalla seconda guerra mondiale fu opera di cattolici che in maniera più o meno dichiarata rinnegavano la portata esistenziale del cristianesimo, rinnegavano cioè la nuova cristianità. Tale fu il tentativo dichiarato di Dossetti. Dietro l’azione di Dossetti c’era una sua visione della libertà non come fine ma come mezzo per la giustizia sociale, in quello che veniva ad essere un progetto di trasformazione dello Stato, secondo una prospettiva ideologica che si incontrava pericolosamente sulla strada della sinistra massimalista. Questi compromessi erano stati censurati da Maritain ante litteram, osservando in Umanesimo integrale che “accordi con le une o con le altre forze (spiritualmente nemiche del cristianesimo) non potrebbero essere esaminati se non nei confronti di obiettivi non solo limitati, ma neutri o non aventi significato “materiale”. Ed appena si trovi in gioco il “formale”, cioè l’elemento specificatore e animatore dell’azione, le nuove formazioni politiche dovrebbero affermare innanzitutto la loro indipendenza e la loro fondamentale irriducibilità”.321 La lezione di Maritain non fu compresa e nel dopoguerra democristiani e comunisti troveranno un’intesa nel cercare gli spazi politici per qualcosa di più ambizioso che non fosse un accordo neutro; e tutto ciò in nome dell’umanesimo integrale privato di fatto del suo fondamento primo e abbassato ad un naturalismo integrale. 319 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 41. BORNE, La filosofia politica di Jacques Maritain, p. 34. 321 MARITAIN, Umanesimo integrale, 289. 320 240 Quando al terzo congresso nazionale della democrazia cristiana, svoltosi dal 2 al 6 giugno 1949 a Venezia, il presidente Attilio Piccioni chiese alla sinistra del partito guidata da Dossetti: “voi dossettiani, che volete?”; la risposta della sala fu: “vogliamo l’umanesimo integrale”.322 In realtà, Dossetti e il gruppo di « Cronache sociali » auspicavano un naturalismo integrale fornendo i presupposti di quello che sarà un certo fraintendimento di Maritain.323 Costoro infatti giocheranno un ruolo decisivo per l’interpretazione “debole” di Maritain, facendone un uso ideologico che Baget-Bozzo ha apertamente denunciato: “pensiamo, ha scritto il sacerdote e politologo insigne, che l’uso ideologico da parte dei partiti cristiani del pensiero di Maritain sia un uso spurio, un uso del pensiero di Maritain contro la sua intenzionalità e la sua coerenza. Martain ha pensato i problemi della politica da teologo e da uomo di Chiesa”.324 E' appena il caso di evidenziare come Journet, in una corrispondenza con Maritain, allora in America, illustrando la complessa situazione italiana, definì il dossettismo come il “nemico”.325 Questo tentativo latente di protestantizzazione del cristianesimo, col quale lo si riduceva ad una legge etica conservando i suoi valori contro il contenuto dell'Incarnazione secondo il dualismo tipicamente moderno, arriverà fatalmente a rinnegare la cristianità, come espliciterà lo stesso Dossetti: “la cristianità è finita. E non dobbiamo pensare con nostalgia ad essa. E neppure dobbiamo ad ogni costo darci da fare per salvare qualche rottame della cristianità. Il sogno dello storico Eusebio di Cesarea è finito, irrimediabilmente finito. E’ finito dappertutto”.326 I termini del dibattito compaiono in PH. CHENAUX, L’umanesimo integrale di Jacques Maritain, Jaka Book, Milano 2006, p. 83. 323 Viotto ha testimoniato come “questi professorini (La Pira, Dossetti, Lazzati) a cui bisogna aggiungere A. Fanfani furono probabilmente la causa remota del violento attacco di P. Messineo su Civiltà cattolica”, P. VIOTTO, Testimonianza di Jacques Maritain filosofo cristiano in G. G. Curcio (a cura di) La laicità ne Le paysan de la garonne, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008, p. 73. 324 G. BAGET-BOZZO, J. Maritain e la politica dei cattolici in Italia, in AA.VV. J. Maritain e la società contemporanea, pp. 235-236. 325 “Per il “temporale cristiano”, la questione è posta, lo sento si tratta di affrontare il comunismo. Bisogna opporsi al comunismo con un raggruppamento di partiti di destra che non sono mai stati condannati. In Italia la democrazia cristiana la Democrazia cristiana per poter fare una maggioranza deve fare deve allearsi o ai neofascisti o ai monarchici o ai socialisti: è questo spostamento a sinistra che si teme. Non sono consegne dottrinali ma pastorali che vengono date. Si teme il dossettismo, ecco il nemico”, Lettera di Ch. JOURNET a J. MARITAIN, in Correspondance Journet-Maritain Vol V, 1958-1964, « Fondaction card. Journet », Saint Augustin, Saint-Maurice 2006, p. 356. 326 L. ELIA, P. SCOPPOLA, A colloquio con Dossetti e Lazzati, Bologna, Il Mulino 2003, p. 124. 322 241 In questo senso, Maritain, che della cristianità aveva fatto la sua proposta politica, non poteva certo essere un alleato di Dossetti; ed in realtà, Dossetti stesso ammetterà negli anni di non averlo bene inteso: “il mio ripensamento nei confronti di Maritain è legato a tutti mutamenti della mia vita e soprattutto non riguarda la politica, riguarda la sua tesi fondamentale, cioè la distinzione tra il fine e il fine infravalente”.327 Da qui il suo tentativo di andare “oltre Maritain” come lui stesso affermerà: “occorre andare oltre Maritain...bisogna passare attraverso la Sinistra cristiana per poter criticare Maritain”.328 Dossetti è stato l’anima del compromesso costituzionale del 48, un'anima che uscita vincente doveva determinare l’evoluzione della I Repubblica italiana, specificandone il suo ethos. Da questo punto di vista, i tre volumi, La nuova cristianità perduta, l’Intervista sulla Dc di Ciriaco de Mita e le Ipotesi per una politica culturale, apparsi negli anni ottanta, costituiscono la naturale evoluzione culturale di tutta una corrente ideologica uscita vincitrice dal ’48 e ormai prevalente negli anni settanta in Italia. 329 Allo stesso modo, esso segnò il tentativo certamente più forte in Europa di considerare fallito il progetto di Maritain e quindi l’autentico progetto conciliare in nome di “un progetto laico di risposta agli eventi, da rispettare nei partiti più rispettosi dei valori universalmente umani”.330 In particolare, Scoppola formulava la tesi, surrettiziamente articolata, secondo cui il nuovo compito imposto ai cattolici era quello di passare “dalla cultura del progetto alla cultura del comportamento”.331 Tale obiettivo costituiva invero l’ultima frontiera di quella crisi neomodernista che Maritain aveva denunciato all’indomani del Concilio e che era ancora più pericolosa perché immanente al cattolicesimo stesso, fatta cioé da apostati decisi a rimanere cristiani. Per Scoppola, (ma si potrebbe aggiungere Campanini332), la perdita della nuova cristianità veniva considerata come un progresso del cristianesimo stesso compiuto “sotto la 327 Cit. in VIOTTO, Le grandi amicizie, p. 227. P. PRODI, Crisi epocale e abbandono dell’impegno politico. Riflessioni di Giuseppe Dossetti nei ricordi dei primi anni ’50, in « Rivista di storia del cristianesimo », n. 1, 2004, p. 455. 329 Cfr. G. BAGET BOZZO, P. P. SALERI, Giuseppe Dossetti, La costituzione come ideologia politica, Ares, Milano 2009. 330 G. MORRA, Politica cristiana politica dei cristiani, politica da cristiani, in Umanesimo integrale e nuova Cristianità, p. 266. 331 P. SCOPPOLA, La nuova cristianità perduta, Studium, Roma 1985, p. 199. 332 CAMPANINI, L’utopia della nuova cristianità. 328 242 spinta dell’evoluzione e dell’ecclesiologia conciliare e post-conciliare”333. Pertanto, in nome di questa fantomatica “evoluzione post-conciliare”, si cercava di svuotare di contenuto l’Incarnazione del Verbo cercando di appiattirlo esclusivamente su un “piano etico culturale”, e perciò orientando la stessa Chiesa verso “una nuova progettualità”, come si disse.334 Si era decisi così a far scomparire il termine cristianità dal vocabolario politico, ritornando a quel dualismo ultimo fra natura e grazia che il Concilio e l’opera di Maritain avevano appena ricucito. E’ appena il caso di ricordare che questo tentativo italiano fu compreso e denunciato ante litteram dallo stesso Maritain: “ci sono delle persone in Italia che pretendono che io abbia rinnegato Umanesimo integrale. E’ una stupidità è una calunnia. Io tengo più che mai a tutte le posizioni di Umanesimo integrale, è della crisi attuale dell’intelligenza e della fede che io mi occupo ne Il contadino (crisi molto più grave dal momento che moli del clero non la vedono)”.335 In conclusione, la tesi sulla perdita della nuova cristianità era un attacco al cristianesimo e all’opera di Maritain, compiuto soprattutto dai discepoli di Mounier, sociologo francese che raffigura in modo sintetico l’orientamento di coloro per paura del Santo Impero si giocheranno la carta delle democrazie popolari raffigurando un cedimento del cristianesimo davanti al mondo anche qui ante litteram e tale da favorire la grande crisi del post-concilio336. Ciò che Maritain rimprovererà a Mounier sarà proprio la sua incapacità di cogliere la grandezza dei mutamenti richiesti all’ordine temporale e che spingeranno Mounier a cercare “un dialogo impossibile con i comunisti”.337 Maritain censurerà la debolezza della filosofia politica di Mounier sin dai primi anni della fondazione della rivista Esprit diretta da Mounier e inizialmente sostenuta da Maritain, per poi avvedersi: “continuo a temere che all’origine della rivista vi sia qualcosa di pericoloso e di equivoco in ciò che concerne la vostra posizione “La cristianità è davvero perduta come realtà sociale, come mondo di valori vissuti, come mondo di vita di una comunità nel suo insieme. E’ perduta in ragione dei caratteri che ha assunto nel nostro paese il processo il secolarizzazione”, SCOPPOLA, La nuova cristianità perduta, p. 141. 334 G. CAMPANINI - P. NEPI, Cristianità e modernità, religione e società civile nell’epoca della secolarizzazione, A.V.E., Roma 1992, p. 174. 335 Lettera di J. MARITAIN, a P. BARRAU, in O.C, Vol. XII, p. 1263. 336 Sul punto BARS, Maritain en notre temps, p. 266. 337 Lettera di MARITAIN a PECES BARBA MARTINEZ, in O.C., Vol. XII, p. 1236. 333 243 nei riguardi del cattolicesimo, qualcosa che vi travaglia vostro malgrado e inconsciamente”.338 Mounier aveva una posizione di neutralità e di relativismo, che non poteva soddisfare il filosofo della nuova cristianità: “lasci che io torni alla mia antifona. Voi non siete una rivista neutrale e siete perduti se lasciate annidarsi in voi, sotto qualsiasi pretesto, il minimo germe di neutralità o di interconfessionalismo…La vostra sola forza è lo abbiamo detto mille volte la Fede e il Vangelo. Per la ragione stessa della grandezza implacabile delle cose dello spirito la questione: Dio o ateismo crea una linea divisoria inevitabile”.339 Mounier resterà confinato spesso al di qua della linea divisoria, finendo per subire direttamente o indirettamente l’influenza di Troisième Force, un movimento che promuoveva una rivoluzione personalista e collettivista, in cui un primo tempo, in nome del collettivismo, auspicava di avvalersi dell’apporto dei comunisti per poi operare in solitario, in nome del personalismo. La risposta di Maritain che invierà a Mounier, sarà netta e senz’appello. Egli, giudicando “equivoca” tale posizione, la connota come “una forza 2 bis che in mancanza di un sufficiente approfondimento spirituale e intellettuale subirebbe il prestigio della rivoluzione comunista”.340 Mounier, pur animato da grande fede teologale, che gli verrà sempre riconosciuta dai suoi amici, non seguiva fino in fondo tutto il movimento dell’Incarnazione, movimento di discesa dello Spirito Increato nelle profondità della natura per sopraelevarla nel proprio ordine: “più aspetterà e più le sarà difficile dirsi cristiano”,341 ammoniva Maritain, intravedendo l’itinerario di fuga verso Feu de la chretienté (1950), il saggio in cui Mounier, condannando “l’utopia teocratica di Maritain” e la nozione stessa di civiltà cristiana, portava a maturazione la sua diversa sensibilità ai problemi culturali rispetto a Maritain compiendo un dualismo pratico da sempre presente nel pensiero di Mounier. Così da Strutture politiche e libertà fino a Il contadino della Garonna Maritain indicherà in Mounier il capofila di una generazione di cattolici che hanno fatto del personalismo una dottrina privata del suo fondamento trascendente e che perciò dovrà fatalmente declinare in senso comunitarista: 338 Lettera di J. MARITAIN a E. MOUNIER 27 ottobre 1932, in Maritain- Mounier corrispondenza 1929-1939, Morcelliana, Brescia 1976, p. 65. 339 Ibid. 340 Lettera di J. MARITAIN a E. MOUNIER 19 maggio 1933, ibi, p. 92. 341 Lettera di J. MARITAIN a E. MOUNIER 2 novembre 1932, ibi, p. 69. 244 “grazie soprattutto, credo, a Emmanuel Mounier, l’espressione personalista e comunitario è diventata una torta alla crema per il pensiero cattolico e la retorica francese: Io stesso non sono in questo esente da responsabilità. In un’epoca in cui importava opporre agli slogan totalitari un altro slogan, ma vero, avevo gentilmente sollecitato le mie cellule grigie e finalmente lanciata in uno dei miei libri d’allora quella espressione, e penso che Mounier l’avesse presa da me. Essa è esatta ma a vedere l’uso che se ne fa ora non ne sono molto fiero. Infatti dopo aver pagato un lip service al “personalista”, è chiaro che tutte le simpatie vano al comunitario”.342 E’ tuttavia da riconoscere che la tesi soprattutto italiana della scomparsa della nuova cristianità e della cristianità tout court non trovò unanime consenso. Possenti, ad esempio, ad un anno dalla pubblicazione del libro di Scoppola, concludeva sulla necessità di tornare al progetto maritainiano della nuova cristianità che la secolarizzazione rendeva ad un tempo “più difficile e più urgente.343 Pur costatando la crisi del pensiero cattolico, la nuova cristianità rimaneva per Possenti un tema quanto mai aperto. A suo avviso “quella parte della cultura cattolica … compiendo un errore di valutazione sul significato attuale del processo di secolarizzazione…rischia di condurre ad un deserto etico e al nichilismo”.344 Del resto, lo stesso Maritain, constatando il clima nel quale si svolse il Concilio, denunciò quello che lui definì l’inginocchiamento davanti al mondo dei cristiani, ma dal quale ci si sarebbe comunque rialzati: “circa la durata della crisi di cui ho appena parlato le reazioni che essa produrrà, i rifiuti che lascerà dietro di sé, la gravità che può assumere in certi momenti o in certi paesi bisognerebbe essere profeti per osar formulare la minima opinione (….) Ma è comunque certamente sicuro che la Chiesa ne uscirà purificata da questa crisi e l’errore non avrà il sopravvento”.345 Nel momento in cui le forze spirituali e storiche sono al lavoro per ritrovarla, riteniamo, come si vedrà, che la nuova cristianità corrisponde all'ideale storico e al clima spirituale dei tempi nei quali entriamo, auspicando di conseguenza un ritorno in grande stile di Maritain. Del resto, decenni or sono, Buttiglione osservava che la nuova cristianità era sì perduta ma ciò non doveva essere tanto un giudizio di valore definitivo come pretendevano Scoppola e 342 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 83. V. POSSENTI, Nuova cristianità come compito da intraprendere, « Il Tempo », 17 febbraio 1987, p. 5. 344 Ibid. 345 MARITAIN, Il contadino della Garonna, p. 101. 343 245 Campanini, quanto piuttosto una constatazione empirica che lasciava quanto mai aperto il dibattito su una nuova cristianità da ritrovare.346 Del resto, lo stesso Del Noce negli ultimi anni aveva ripreso con insistenza la categoria di nuova cristianità perché in essa ravvisava l’unica adeguata risposta al nichilismo conseguente al suicidio della rivoluzione, per cui l’alternativa era tra nichilismo o nuova cristianità: “l’alternativa che oggi si presenta è quella di nichilismo e di nuova cristianità; il suo approfondimento rigoroso è il problema essenziale del pensiero cattolico e perciò può ancora ravvisare in Maritain il suo promotore iniziale”.347 Bibliografia348 346 R. BUTTIGLIONE, La nuova cristianità perduta ma da ritrovare, « Il Sabato », 8-14 giugno 1985. A. DEL NOCE, Nichilismo o nuova cristianità, in AA.VV. Umanesimo integrale e nuova cristianità, p. 245. Qualche anno prima, 1986 in un articolo, apparso sul Sabato e dal titolo Cristianità o precipizio, Del Noce aveva maturato lo stesso giudizio, “i termini complessivi della lotta presente sono dunque il secolarismo (che coinvolge marxismo e laicismo) e l’idea della nuova cristianità”; per un’ampia ricostruzione dei rapporti fra Del Noce e Maritain, V. POSSENTI, Cattolicesimo e modernità Balbo Del Noce e Rodano, Ares, Milano 1996, in cui l’autore mette in parallelismo la categoria di risorgimento in Del Noce con quella di nuova cristianità in Maritain: “la miglior attuazione orientata al futuro della idea del nociana di risorgimento è la nuova cristianità”, p. 53. 348 Per una completa bibliografia che comprenda non soltanto gli scritti di carattere filosofico-politico qui raccolti, si rinvia a Notes et documents, pour une recherche personaliste, 49/50, maggio-dicembre, 1997; per un’organica esposizione ed una sintesi di ciascuna opera si veda P. VIOTTO, Jacques Maritain, Dizionario delle opere, Città Nuova, Roma 2003. 347 246 I. Opere fondamentali di Jacques Maritain 1. Du régime temporel et de la liberté, Desclée de Brouwer, Paris 1933, pp. 268. 2. Humanisme intégral: problèmes temporels et spirituels d’une novelle chrétienté, Aubier, Paris 1936, pp. 334. 3. Les droits de l’homme et la loi naturelle, Editions de la Maison Françasie, New York 1942, pp. 142; Hartmann, Paris 1945, pp. 116. 4. Christianisme et démocratie, Editions de la Maison Française, New York 1943, pp. 108; Hatmann, Paris 1945, pp. 92. 5. Principes d’une politique umaniste, Editions de la Maison Française, New York 1944, pp. 232; Hartmann, Paris 1944, pp. 206. 6. La personne et le bien commun, Desclée de Brouwer, Paris 1947, pp. 93. 7. Man and the State, University of Chicago Press, Chicago 1951, pp. 219; Hollis and Carter London 1954, pp 197. 247 II. Opere minori 8. Une opinion sur Charles Maurras et le devoir des catholiques, Plon, Paris 1926, pp. 75. 248 9. Primauté du spirituel, Plon, Paris 1927, pp. 315. 10. Réligion et culture, Desclée de Brouwer, Paris 1930, pp. 115. 11. Some Reflections on Culture and Liberty, University of Chicago Press, Chicago 1933, pp. 50. 12. Lettre sur l’indépendance, Desclée de Brouwer, Paris 1935, pp. 66. 13. Les Juifs parmi les nations, Editions du Cerf, Paris 1938, pp. 48. 14. Questions de coscience: essai et allocutions, Desclée de Brouwer, Paris 1938, pp. 279. 15. Le crépuscule de la civilisation, Editions Les Nuovelles Lettres, Paris 1939, pp. 31; Editions de l’Arbre, Montreal 1941, pp. 93. 16. De la justice politique: notes sur la présente guerre, Plon Paris 1940, pp.XIII-114; Hartmann, Paris 1945. 17. A travers le désastre, Editions de la Maison Française, New York 1941, pp. 149; Editions de Minuit, Paris 1942 e 1945, pp. 91; Editions les Deux-Rivers, Paris 1949, pp. 137. 249 18. A travers la victoire, Hatmann, Paris 1945, pp. 57; Egloff, Paris 1945, pp. 69. 19. Messages 1941-1945, Editions de la Maison Française, New York 1945, pp. 221; Hartmann, Paris 1945, pp. 200. 20. Pour la justice, articles et discours: 1940-1945, Editions de la Maison française, New York 1945, pp. 367. 21. La voie de la paix. Discours prononcé à la séance inaugurale de la seconde conférence internationale de l’Unesco, Mexico Librairie Française, Ciudad de Mexico 1947, pp. 47. 22. La signification de l’athéisme contemporain, Desclée de Brouwer, Paris 1949, pp. 42. 23. On the Philosophy of History, Charles Scribner’s Sons, New York 1957, pp. XI-180: The Centenary Press, London 1959, pp. 143. 24. Reflections on America, Charles Scribner’s Sons, New York 1958, pp. 205. 25. Le philosophe dans la cite, Alsatia, Paris 1960, pp. 205. 26. Maritain Mounier, correspondence 1929-1939, a cura di J. Pétit, Desclée de Brouwer, Paris 1973, pp. 215. 250 27. Cocteau-Maritain, I contadini del cielo, Locusta Vicenza 1979 p. 128. 28. Green-Maritain, Une Grande Amitié, Correspondance 1926-1972, (presentée et annotée par Jean-Pierre Piriou, précédée de “Jacques Maritain vivant” de Julen Green) Plon, Paris 1979, p. 222 ; pubblicato con lo stesso titolo per Gallimard, Paris p. 352. 29. L’Humanisme intégrale de Jacques Maritain, Colloque de Paris et trois textes de Jacques Maritain, Paris-Fribourg, Editions Saint Paul 1988, p. 180. 30. “Cahiers Jacques Maritain”, (Kolbsheim) n. 16-17 (avril), 1988, p. 120 Mougel René, Correspondence entre Jacques Maritain et le général de Gaulle, 1941-1942, p.59-78. 31. Gilson Etienne-Maritain Jacques, Deux Approches de l’etre, Correspondance 1923-1971, (Editée et commentée par Géry Prouvost), Paris Vrin 1991, p. 304. 32. “Cahiers Jacques Maritain”, (Kolbsheim) n. 24 (juin) p.68: Mougel René, Correspondance Jacques Maritain-Henry Bars, 1992, p. 13-60. 33. Corrispondenza Péguy-Jacques Maritain, 1901-1910 (a cura di Bernardo Razzotti) Napoli, Edizioni scientifiche italiane 1995, p. 128. 34. Journet Charles, Maritain Jacques, Correspondence, Vol. I (1920-1929), Vol. II (1930-1939), Vol. III (1940-1949), Vol. IV (1950-1958), Vol. V (1959251 1965), VI ( 1966-1973) (Editions publiée par la foundation Cardinal Journet sous la direction de Pierre Mamie et Georges Cottier) Fribourg (Suisse), Editons universitaires, Editions Saint Paul, Paris 1996 e succ. . III. Testi politici in scritti vari 252 27. Théonas, ou les entretiens d’un sage et de deux philosophes sur diverses matieres inégalement actuelles, Nouvelle Librairie Nationale, Paris 1921, pp. 220; Desclée de Brouwer, Paris 1932, pp. 220 (cfr. i capitoli: I. “La liberté de l’intelligence”, pp. 7-21; VII. “Le mithe du progrès necessaire”, pp. 116-127; VIII. “Les antinomies du progrès”, pp. 128-142; IX. “Philosophie de la Révolution”, pp. 143-161). 28. Antimoderne, Editions de la Revue des Jeunes, Paris, pp. 247; seconda edizione in pari data con varianti, pp. 266 (cfr. in particolare il capitolo V. “Réflections sur le temps présent”, pp. 195-236). 29. Réflections sur l’intelligence et sur sa vie propre, Nouvelle Librairie Nationale, Paris 1924, pp. 380, Desclée de Brouwer, Paris 1926, pp. 378 (cfr. il capitolo V “La politique de Pascal”, pp. 160-173). 30. Trois réformateurs: Luther, Descartes, Rousseau, Plon, Paris 1925, pp. 284; nuova edizione ampliata 1939, pp. 332 (cfr. il capitolo III, par. 2, “La solitude et la société”, pp. 170-200). 31. Education at the Crossroads, Yale University Press, New Haven 1943, pp x120; Oxford Uneversity Press, London 1943, pp, x-120; L’education à la croisée des chemins, Egloff, Paris 1947, pp. 239 (cfr. il capitolo IV. “Les épreuves de l’éducation aujourd’hui”, pp. 111-145, e l’annesso all’edizione francese “Le probleme de l’école publique en France”). 253 32. Raison et raisons: essai détachés, Egloff, Paris 1947, pp. 358 (cfr. i capitoli IV. “Cooperation philosophique et justice intellectuelle”, pp. 67-103; XI. “Exister avec le peuple”, pp. 239-250; XIII “A quelques contradicteurs”, pp. 257-285; xiv. “L’Eglise catholique et le progrès social”, pp. 289-326; XV. “Le role du principe pluraliste en démocratie”, pp. 327-338. 33. La philosophie morale. Examen historique et critique des grands systèmes, Gallimard, Paris 1960, pp. 588 (cfr. I paragrafi: capitolo II. “Platon- L’utopie platonicienne”, pp. 44-49; III “Aristote- Le sage et la cite”, pp. 64-70; IV “Stoiciens et éepiciriens – La loi naturelle”, pp. 81-88. “L’idéalisme hégelienL’immolation diaectique de la persone- L’Etat comme objectivation de l’esprit”, pp. 193-226; IX “L’idéalisme hégélien- Le dieu de Hegel”, pp. 227-262; X “Le materialisme dialectique- L’humanisme marxiste”, pp. 292-303). 34. Pour une philosophie de l’éducation, Fayard, Paris 1969, pp. 198 (cfr. Capitolo IV “Les requetes du present et de l’avenir”, pp. 101-123). 35. Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, Paris 1969, pp. 380 (cfr. i capitoli: II, paragrafo “Au temps de la lettre sur l’indépéndance”, pp. 38-48; III., paragrafo “ La mission temporelle du chrétien”, pp. 68-71; IV “Chrétiens et non chrétiens”, pp. 101-128). 36. De L’Eglise du Crist. La personne de l’Eglise et son personel, Desclée de Brouwer, Paris 1970, pp. 280 (cfr. i capitoli: VII., paragrafo “L’autorité dans l’orde temporel et dans l’ordre spiritual”, pp. 73-74; IX., paragrafo “Les laics et 254 l’oeuvre temporel”, pp. 101-103; XII-XII-XIV. “Une regard sur l’histore”, pp. 169-265). 37. Approches sans entraves, Fayard, Paris 1973, pp. XXVII-598 (cfr. i capitoli: VIII. “Faisons-lui une aide semblable à lui”, pp. 185-201; X. “Les conditions spirituelles du progres et de la paix”, pp. 240-246). IV Articoli da riviste 255 38. Les mythes du Contract social, “La Revue Universelle”, 1921, 7, pp. 776786. 39. Jean-Jacques Rousseau et la pensée moderne, “Annales de l’Institut Superior de Philosophie”, 1921, 5, pp. 221-262. 40. De l’obéissant au Pape: à propos du pouvor indirect, “La vie spirituelle”, 1927, 15, pp. 755-757. 41. Letters sur le monde bourgeois, “Esprit”, 1933, 6, pp. 897-908. 42. A note de Revolution, “The Colosseum”, 1934, pp. 37-38. 43. Réflections sur la personne humaine et la philosophie de la culture, “Cahiers Laennec”, 1935, 4, pp. 25-42. 44. Lettre à Vendredi, “Vendredi”, 8 novembre 1935. 45. Conferencia de J. Maritain a proposito de la Canta sobre la independencia, “Sur”, dicembre, 1936, 5, pp. 131-139. 46. Nature de la politique, “La releve”, 1936, 5, pp. 131-139. 47. De nuovo humanismo, “Sur”, aprile 1937, 22-49; pubblicato anche in “Bullettin de l’Union pour la Vérité”, giugno-luglio 1937, pp. 359-418. 256 48. The Menace of Racialism, “Interracial Review”, maggio 1937, 70-71; pubblicato anche in “The Catholic Mind”, gennaio 1939, pp. 505, 506. 49. De la guerre sainte, “La nuovelle revue française”, luglio 1937, 21-37; pubblicato anche in “Sur”, agosto 1937, 98-117, e in “The Colosseum”, 1937,pp. 118-130. 50. La cité des personnes, “Temps Présent”, 14 gennaio 1938. 51. Communion et liberté, “Temps Présent”, 25 febbraio 1938. 52. L’Espagne agonisante: une lettre de J. M. au “Times”, “Temps Présent”, 13 maggio 1938; pubblicato anche in rivista del Colegio Mayor de Nuestra Senora del rosario”, agosto-settembre 1938, p. 603. 53. Les principes totalitaires et la religion “Temps Présent”, 1 luglio 1938. 54. War and the bombardment of Cities, “The Commonweal”, 2 settembre 1938, pp. 460-461. 55. To My American Friend: View of the Importance of the present Conflict, “The Commonweal”, 13 ottobre 1939, pp. 551-552. 257 56. Religion is the Best Defender of Personal Freedom, “The New World”, 17 gennaio 1941, 7; pubblicato anche in “The Journal of Religion”, ottobre 1941, 364-372. 57. On Autority, “The Review of Politcs”, aprile 1941, 250-254. 58. Politique et Religion, “Lettres Française”, aprile 1942, 4-14. 59. Si la democracia tiene una realidad, ésta es cristiana, “Lectura”, 15 ottobre 1942, 158-161. 60. Whence this Cristis?, “The Catholic Universe Bulletin”, 18 dicembre 1942, 158-161. 61. An open letter to Frenchemen, “The Atlantic Monthly”, 1943, 171, 44-48. 62. The committee of Liberation, Trustee of French Interest, “Free World”, agosto 1943, 114-116. 63. Bien commun national et bien commun international. “La vie intellectuelle”, 1945, 7-8, 103-108. 64. Reply with a rejoinder, “The Tablet”, 13 ottobre 1945, 175-176. 65. Etats démocratiques et états totailiteres, “Bulletin de la Sociéte Française de philosophie”, aprile-maggio 1946, 59, ss. 258 66. Le civiltà umane e il compito dei cristiani, “Studium”, 1947, 2, 187-194. 67. The Rights of Man, “The United Natons Bulletin”, 18 novembre 1947, 672674. 68. La réeducation de l’Allemagne exige celle de l’Europe, “La semaine dans le monde”, 4 gennaio 1947. 69. Sozialistischer Humanismus und integraler Humanismus, “Dokumente. Internationale Beitrange zu Rulturellen und sozialen Fragen”, 1948, 5, 374, 377. 70. Les droits de l’homme, “La république française”, gennaio 1950, 6-24. 71. Le problème du gouvernement mondial ou le problème d’une paix durable, “Nova et Vetera”, luglio-settembre 1951, 161-184; pubblicato anche in “The Dublin Review”, 1951, 225, 1-21. 72. Western Civilization and Religious Faith, “The Library Journal”, 1-15 settembre 1951, 1284-1289, 1380-1385, 1402-1403; pubblicato anche in “The Jornal of Arts and Letters”, primavera-estate 1952, 47-55; “The Commonweal”, 11 luglio 1952, 342-344. 73. Mankind’s Illusion. “The’ Saturday Review of Literature”, gennaio 1952, 19-29. 259