Maritain persona e bene comune

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LA PERSONA E IL BENE COMUNE
JACQUES MARITAIN
“La persona e il bene comune” (titolo originale: “La personne et le bien commun”) di Jacques Maritain è un
libro tanto agevole nella lettura quanto ricco per le meditazioni che si possono rintracciare al suo interno e
le domande che è capace di porre ai lettori di ogni epoca.
L’opera, edita in Italia da Morcelliana, fu pubblicata per la prima volta in Francia nel 1947, ma rappresenta
la rielaborazione dei testi di due conferenze tenute precedentemente da Maritain, La persona umana e la
Società, tenuta ad Oxford nel 1939, e Persona e Individuo, tenuta a Roma nel 1945, oltre a recepire anche i
risultati cui la riflessione teorica maritainiana era già pervenuta con opere anteriori come Umanesimo
integrale (1936).
Maritain avvia la sua opera partendo da alcune premesse e domande funzionali allo svolgimento
dell’indagine.
La società contemporanea ha perso di vista una distinzione fondamentale: quella tra individualità e
personalità.
Una cultura eccessivamente incline ad una interpretazione dell’uomo marcatamente individualista, a
scapito della valorizzazione dell’elemento personale, ha portato ad alcuni errori di valutazione
esemplificabili da un lato con la concezione totalitaria dell’individuo, dall’altra con una concezione
esclusivamente comunitaria di quest’ultimo.
Contro queste due derive del pensiero moderno ecco farsi strada la necessità di una visione più completa
dell’uomo che valorizzi la sua componente personale.
Una precisazione. Il personalismo, afferma Maritain, non è un scuola. Non esiste un solo personalismo. C’è
un personalismo a tendenza nietzscheana, un altro a tendenza proudhoniana ecc. infine un personalismo
tomista, a cui lo stesso Maritain dichiara di ispirarsi e di cui fa propria la distinzione metafisica tra
individualità e personalità e l’identificazione in Dio del fine ultimo della persona umana. Le creature
intellettuali infatti prima che al bene comune immanente dell’universo sono ordinate al Bene comune
separato, che è Dio.
la creatura intellettuale, quae est capax summi boni, è più simile alla perfezione divina che non l’universo
intero: essa sola è propriamente l’immagine di Dio. (Maritain, La persona e il bene comune, p. 13)
Prima di procedere ad affrontare nel dettaglio il tema che dà il titolo all’opera, l’autore insiste molto sulla
distinzione tra individualità e personalità.
L’essere umano è al tempo stesso infatti individuo e persona a seconda che si punti l’attenzione
rispettivamente sulla sua dimensione materiale o sulla sua componente spirituale. Bisogna precisare però
che l’uomo non è mai solo l’uno o l’altro e che individualità e personalità non sono affatto due cose
separate ma
è lo stesso essere intero che in un senso è individuo e nell’altro senso è persona. Io sono tutto individuo in
ragione di ciò che mi viene dalla materia e tutto persona in ragione di ciò che mi viene dallo spirito. (op. cit.
p.26)
L ’individualità affonda le sue radici nella materia, ma, sia ben chiaro, non è assolutamente qualcosa di
negativo, anzi è ciò che rende possibile l’esistenza. Negativa è la preponderanza assoluta accordata a
questo polo dell’umano. La personalità, “mistero ancor più profondo” ha a che fare con la dimensione più
intima dell’essere, quella che nella relazione con gli altri e con Dio diventa l’oggetto d’amore.
Pascal ha detto “On n’aime jamais personne, mais seulment des qualities”. Questa parola è falsa, essa è in
Pascal una traccia di quel razionalismo contro il quale egli si difendeva. L’amore non va a delle qualità, non
si amano, ciò che io amo è la più fondamentale realtà, sostanziale e nascosta, la più esistente dell’essere
amato – un centro metafisico più profondo di tutte le qualità e le essenze che io posso scoprire ed
enumerare nell’essere amato; ecco perché queste specie di enumerazioni non finiscono mai in bocca agli
innamorati. È a questo centro che va l’amore, - senza separarlo dalle”qualità” senza dubbio, ma come
nucleo che fa tutt’uno con esse. Un centro, in certo modo inesauribile, di esistenza, di bontà e di azione,
capace di dare e di darsi, - e capace di ricevere non solo questo o quel dono fatto da un altro, ma un altro se
stesso come dono, un altro se stesso come donantesi. Eccoci introdotti dalla considerazione della legge
propria dell’amore nel problema metafisico della persona. L’amore non va a qualità, né a nature e ad
essenze, ma a persone.
Ciò detto, cos’è questo bene comune a cui si allude fin dal titolo e quale rapporto ha con esso l’individuo
/persona?
Il Bene comune è in ultima analisi il fine ultimo del tutto sociale ed è ben distinto sia dal bene individuale
che dalla somma di tutti i beni individuali.
Ma, soprattutto, il bene comune non può mai essere il bene del tutto a prescindere dalle singole parti. Su
questo punto si gioca la cruciale distinzione tra bene comune e bene pubblico per la quale Maritain utilizza
la metafora dell’alveare.
Il concetto di bene pubblico è esemplificabile dall’immagine dell’alveare in cui tutte le parti (le api) sono
subordinate al tutto (l’alveare) e agiscono esclusivamente per il bene di questo a prescindere dal bene delle
parti. Questo tipo di bene “non giova alle parti per esse stesse nel momento stesso che per il tutto, secondo
le esigenze tipiche d’un tutto fatto di persone. Esso è piuttosto il bene proprio del tutto, - non estraneo alle
parti, certo, ma tale da beneficarle soltanto per se stesso e per il tutto”. (op.cit. pag. 30-31, nota)
Il bene comune invece “implica ed esige il riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone” . In altre
parole può darsi bene comune solo se il bene della collettività si riversa sulle singole persone e le
presuppone.
Di conseguenza esso non si limiterà ad una serie di vantaggi e utilità del sistema (nel concreto
dell’esperienza umana: l’insieme dei beni e dei servizi di pubblica utilità, le buone finanze dello Stato, l
tessuto di leggi giuste ecc.), ma comprenderà al suo interno anche “tutto ciò che vi è di coscienza civica, di
virtù politiche e di senso del diritto e della libertà, e di tutto ciò che v’è di attività, di prosperità materiale e
di ricchezze dello spirito, di sapienza ereditaria messa inconsciamente in opera e di rettitudine morale, di
giustizia, di amicizia, di felicità e di virtù di eroismo , nelle vite individuali dei membri della comunità, in
quanto tutto questo sia, in una certa misura, comunicabile, e si riversi in una certa misura su ciascuno, ed
aiuti così ciascuno a completare la sua vita e la sua libertà di persona” (op. cit. pag. 32).
Ne deriva un’idea di bene comune come qualcosa di intrinsecamente buono dal punto di vista etico. Esso è
ben lontano dall’idea di una ragion di stato perseguita con mezzi moralmente discutibili: anche ammesso
infatti che questa riesca a recare vantaggi a un determinato popolo, in ogni caso con la sua condotta
porterebbe alla distruzione del bene comune di questo.
Ma il punto fondamentale della riflessione mira a stabilire che il bene comune si realizza autenticamente
solo allorché esso, riconoscendo la naturale tendenza della persona umana a trascendere ogni bene
eminentemente pratico, per onesto e nobile che sia, rispetta ciò che lo sorpassa e accetta di rimanere
subordinato ai beni eterni a cui la persona è chiamata per sua natura a elevarsi. Il bene comune che sia
veramente tale accetta di buon grado di far posto a ciò che di per sé trascende la società politica, vale a dire
la legge naturale, la regola della giustizia, la vita dello spirito e tutto ciò che è “incoazione naturale della
contemplazione” : la dignità immateriale della bellezza e la dignità immateriale della verità.
Ne consegue che la vita politica, per quanto nobile, non potrà mai essere superiore alla vita contemplativa,
che ha per oggetto non un bene pratico, ma il bene assoluto dell’uomo.
Se un uomo è chiamato a lasciare la contemplazione per venire al soccorso dei suoi fratelli o per servire il
bene della comunità, non si pensi che questo bene d’ordine pratico sia superiore di per sé alla sua
contemplazione solitaria , bensì che può essere richiesto all’ordine della carità dare il passo, in ragione delle
circostanze, ad una necessità urgente concernente dei beni meno elevati. E a dire il vero questo uomo, se
fosse entrato nella via dei perfetti, lascerebbe allora le condizioni e gli agi della contemplazione più che la
contemplazione stessa, che resterebbe nelle altezze dell’anima la sorgente donde discende la sua attività
pratica inter homines. (op. cit. p. 17)
Questo anche nel caso in cui sia richiesto alla persona di impegnarsi direttamente nel saeculum e perdersi
in esso temporalmente in misura tale da donare la propria vita.
Quando la persona umana mantiene contro le pressioni sociali il diritto o la giustizia o la carità fraterna,
quando entra al di sopra della vita sociale nella vita solitaria dello spirito, quando abbandona i banchetti
della vita comune per nutrirsi dei trascendentali, quando aderisce, sembrando dimenticare la città,
all’oggettività adamantina della bellezza e della verità, quando obbedisce a Dio piuttosto che agli uomini,
anche in questo caso serve ancora il bene della città in modo eminente.
E quando essa sacrifica ciò che ha di più caro al bene comune della città, e sopporta la tortura e dà la sua
vita per essa, proprio in questo, perché vuole fare ciò che è bene e agire secondo la giustizia, essa ama
ancora la propria anima secondo l’ordine della carità, più che la città e il bene comune della città. […]
E quando l’uomo, come dicevamo un momento fa, accetta liberamente, non come schiavo reso fanatico, o
come vittima cieca, ma come uomo o cittadino, la morte per il suo popolo e la sua patria, egli afferma al
tempo stesso, mediante un atto di sì alta virtù, la suprema indipendenza della persona riguardo alle cose del
mondo; perdendosi temporalmente per la città, la persona si sacrifica nel modo più reale e più completo,
eppure non perde la partita, e la città la serve ancora, perché l’anima dell’uomo è immortale e perché il
sacrificio dà una probabilità di più alla grazia. (op. cit. pagg. 39-40)
Dunque il bene comune è tale solo se si redistribuisce alle parti e opera il bene di queste (le persone) e se
riconosce ciò che lo travalica e lo sorpassa (i valori eterni immutabili).
L’uomo costituitosi in società si rapporta a questa secondo un duplice atteggiamento. Come persona è
infatti chiamato a servire la comunità liberamente, liberamente comunicando e donando la ricchezza del
suo essere persona. Come individuo invece deve farlo forzatamente, per poter trarre a sua volta beneficio
dal tutto sociale sopperendo alle inevitabili indigenze di cui è portatore.
Si genera così un paradosso relativo alla libertà dell’uomo nel suo agire sociale dal momento che questi
sembrerebbe al tempo stesso costretto e libero nel suo approcciarsi al bene comune e alla società.
La soluzione di questo paradosso, dice Maritain, è dinamica e si ottiene in base a un doppio movimento. Il
primo tende a soddisfare l’aspirazione dell’uomo ad essere trattato come un “tutto” e non come una parte
e si realizza attraverso lo sviluppo del diritto e della giustizia, nonché dell’amicizia civica.
Infatti:
[…]la giustizia e il diritto, imponendo la loro legge all’uomo come ad un agente morale, e rivolgendosi alla
ragione e al libero arbitrio, riguardano come tali la personalità e trasformano in una relazione tra due
“tutti” – il tutto della persona individuale e il tutto sociale- ciò che altrimenti sarebbe soltanto una pura
subordinazione della parte al “tutto”; e l’amore, assumendo volontariamente ciò che sarebbe servitù, lo
trasfigura in libertà e in libero dono.
Il secondo promuove il progredire dell’uomo nella sua dimensione sociale, facendolo passare dalla società
familiare, alla società civile, a una schiera più ristretta di co-amicizie scelte, grazie a cui l’uomo appaga la
sua sete intellettuale e morale, la società degli spiriti, fino a permettergli di superarsi ulteriormente per
giungere oltre la società civile a una società di pure persone, quella delle Persone divine, l’unica che può
davvero colmare i più profondi bisogni dell’uomo.
Alla fine del libro Maritain passa rapidamente in rassegna le specifiche derive del pensiero filosofico
materialista nelle sue tre forme principali: l’individualismo borghese, l’anti-individualismo comunista e
l’anti-individualismo totalitario o dittatoriale.
Tutti e tre sono contraddistinti da un fraintendimento a partire dal quale ci si relaziona all’uomo solo
secondo la sua individualità e mai secondo la personalità. Tutti e tre inaspriscono, in modi diversi, il
conflitto del tutto con la parte, il primo difendendo a spada tratta una illusoria onnipotenza e assolutezza
dell’individuo, gli altri due, per ragioni e finalità diverse, tentando di ridurre al minimo lo spazio d’azione di
questo e, nel tentativo di eliminarne la presenza scomoda, sacrificando con esso anche la persona.
Un passaggio di grandissima attualità è quello in cui Maritain analizza il rapporto con la cristianità di queste
tre filosofie politiche.
L’individualismo borghese è, delle tre, la più irreligiosa. È stato praticamente ateo e decorativamente
cristiano. Troppo scettico per perseguitare, se non quando era in causa un profitto materiale, non rivolgeva
una sfida ala religione, la credeva inventata dai preti e progressivamente spodestata dalla ragione e si
serviva di essa come di una forza di polizia che facesse la guardia alla proprietà o come una banca dove
dopo tutto ognuno, mentre si arricchiva in questo mondo, poteva assicurarsi ad ogni buon fine contro i rischi
inconoscibili dell’al di là.(op. cit. p.58-59)
Chi ha gettato realmente una sfida al cristianesimo sono state le altre due filosofie. L’anti-individualismo
totalitario nel tentativo di “asservire il cristianesimo e annientarlo in nome del Potere politico divinizzato”;
il comunismo in quanto a tutti gli effetti si può considerare “l’ultima e più radicale eresia cristiana” , che ha
tentato di battere il cristianesimo sul suo stesso terreno (complice a volte una trascuranza della propria
missione temporale da parte dei cristiani), nel tentativo di operare una trasformazione dell’uomo in questo
mondo, mettendo del tutto da parte la dimensione trascendente che sola può innalzare l’individuo allo
status di persona e rendere ragione della dignità inalienabile dell’uomo.
La descrizione di queste tre “tragedie”, come tutta la riflessione condotta nel libro, rivela la sua capacità
profetica a maggior ragione se si tiene conto del fatto che una delle conferenze della cui rielaborazione
questo libro è il frutto, quella intitolata “La persona umana e la società”, risale al 9 Maggio 1939, alla vigilia
della Seconda Guerra Mondiale e di tutta una serie di eventi storico-politici che avrebbero, nel bene e nel
male, segnato la storia dell’Europa e del mondo.
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