INTRODUZIONE Il Libro Persona ed educazione in Pour une philosophie de l’éducation di Jacques Maritain, che prende il nome dal volume del filosofo francese, raccoglie alcuni saggi scritti per il convegno nazionale tenuto dal Centro Studi e Ricerche di Pedagogia sociale di Potenza per ricordare il 50° dell’opera. La scelta di questo tema, in linea con il progetto culturale della Chiesa Italiana in questo ultimo decennio, vuole mettere in luce come l’educazione, oggi, sia in crisi come ai tempi di Maritain. I due libri di Maritain sulla pedagogia, chiariscono già in modo esemplare la crisi sul tema. L’educazione al bivio, che poi rifluirà nel secondo volume Per una filosofia dell’educazione evidenzia già come la parola “bivio” sia l’idea intorno a cui si trova l’educazione: una vera e propria crisi storica dell’educatore. Maritain da un verso coglie lo specifico della situazione storica, in cui collocare il problema e che si esprime nella idea di bivio, e dall’altro verso coglie la portata universale del problema nell’idea di filosofia dell’educazione, da cui può nascere la soluzione. Maritain considera la situazione pedagogica del suo tempo innanzi ad un bivio, pertanto il problema è comprendere quale strada seguire, poiché non si è innanzi ad un percorso obbligato, ma bisogna capire quale cammino sia ottimale per il soggetto in questione. Il bivio innanzi a cui si trova Maritain è quello tra personalismo o antipersonalismo. La risposta di Maritain sarà l’edizione definitiva di Per una filosofia dell’educazione (1969), che viene stesa tra due periodi cruciali: la seconda guerra mondiale e la contestazione studentesca. Due momenti caratterizzati l’uno dalla cultura della morte, espressa nel totalitarismo dello Stato nazista e l’altro dalla cultura del vuoto, sottesa al totalitarismo della società consumistica; entrambe contrarie alla cultura dell’amore. Di fronte a questo bivio Maritain pone una riflessione teoretica sul concetto di educazione in cui vogliono confluire tutte le altre riflessioni empiriche, scientifiche e tecnologiche del tempo. La filosofia dell’educazione vuole unificare tutti gli apporti non ritenendoli meno importanti, ma ampliando l’azione pedagogica anche a sfere diverse dalla semplice tecnica, scienza o altro ponendo la persona fine e mezzo di tutte le scelte educative. Come ai tempi di Maritain, anche oggi, l’emergenza educativa nasce dal fatto che, nel contesto culturale postmoderno, la definizione dell’uomo come persona, fine, valore, libertà, interiorità, amore, sembra non avere la capacità di attrarre, di richiamare la coscienza dei singoli e della società in modo consapevole e, soprattutto, di essere punto di partenza per le conseguenti mediazioni scientifiche, normative, istituzionali, didattiche, sul piano etico ed educativo. Bisogna prendere atto di questa difficoltà e rimboccarsi le mani per poter affrontare «le tendenze soggettivistiche, relativistiche e utilitariste, oggi ampiamente diffuse e che si presentano non semplicemente come posizioni pragmatiche, come dati di costume, ma come concezioni consolidate dal punto di vista teoretico che rivendicano una loro legittimità culturale e sociale» 1. Nella nostra epoca, continua Benedetto XVI, diviene un ostacolo davvero insidioso il relativismo, che uccide la persona e mette in auge il solo individuo. Il relativismo non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e, sotto l’apparenza della libertà, diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità, prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune2. Questo volume, racchiudendo le relazioni del IV convegno nazionale dedicato all’educazione in Maritain, vuole porre le basi per un ripensamento, oggi, della pedagogia, senza dare delle risposte univoche, ma nella ricerca di un cammino unitario per poter uscire da quest’impasse in cui tutte le sfere educative si sono imbrigliate. L’elemento uomo diviene il punto di riferimento per tracciare una linea fuori da questo relativismo, che attanaglia la nostra epoca e il nostro agire. La prima sessione, dedicata all’essere umano e alla ricerca di “chi è l’uomo”, è il fondamento su cui si reggerà, poi, la seconda sessione strutturata sull’educazione oggi. Un primo riferimento è quello di Renato Serpa, che cerca subito di mettere in luce il problema e fa emergere che non è il significato di natura a decidere chi è l’uomo, piuttosto quello di uomo a decidere il significato di natura, ossia la indagine sulla natura dell’uomo percorre non il metodo dal basso delle realtà umane, ma quello dall’alto che, invece, costituisce l’originalità e l’originarietà dell’uomo: un’identità in cui il senso della natura scaturisce dal senso dell’uomo. La 1 2 GIOVANNI PAOLO II, Veritas splendor, n. 106. BENEDETTO XVI, Discorso, 6 giugno 2005. persona è l’essere che, essendo per sé e sussistente come spirito, cioè come autocoscienza e autopossesso, sussiste insieme come corporeità e psichicità in un rapporto di squilibrio tra il centro e la periferia, ossia tra l’anima spirituale e la dimensione psico-biologica. La metafisica della persona diviene l’emblema per poter ridurre lo stesso relativismo ad un’apertura verso l’altro e dare spazio ad una vera e propria filosofia della persona e della società. L’uomo, infatti, non si esaurisce nel sociale, anche se portato ad una “comunione sociale”; al punto che si può parlare di una extraterritorialità della persona nei confronti dei mezzi temporali e politici. In sintesi, dice Roberto Papini, per Maritain la società è per le persone e non le persone per la società. Tema di grande attualità nelle nostre società postcristiane e postmoderne in cui si considera l’uomo un prodotto sociale e un modo per poterlo “migliorare” sarebbe quello di cambiare la società, naturalmente attenendosi ai criteri culturali dominanti: il societalismo, l’individualismo, spesso narcisistico, il materialismo e il relativismo con il conseguente fenomeno della desocializzazione, della deculturazione e della solitudine. E il bene comune non è il “bene totale”, come oggi si usa dire, non consiste solo cioè in una redistribuzione del benessere materiale, ma punta soprattutto alla promozione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. In continuità con il pensiero maritainiano, Antonio Pavan, inserisce una linea sicura di lettura per poter approfondire e far emergere il vero Maritain. Delinea tre piste. La prima ha a che vedere con la necessità di mettere a fuoco la nostra postura rispetto alle tradizioni da cui veniamo formati all’intelligenza delle cose e della vita. Una seconda pista ha a che vedere con la tesi che per dar seguito all’innovazione occorre mettersi all’ascolto dell’uomo, dei nuovi alfabeti con i quali persegue la sua ricerca di umanità; occorre pensare con l’uomo piuttosto che per l’uomo; ascoltare, insomma più che “chiacchierare” e fabbricare risposte. L’ultima pista, infine, ha a che vedere con la necessità di Maritain di rifondere profondamente il nostro vivere insieme; che è poi la necessità di reinventare la democrazia per il XXI secolo, nella sua “nuova mondialità” e nella nuova e controversa stagione della dignità umana. Occorre dire che rispetto a queste piste la proposta umanistico-integrale è un invito a prendere il largo della creatività e dello sforzo verso la storia. Di stampo diversa, ma con uno stesso fine la riflessione di Giuseppe Acocella, invita a tornare a Vico e al suo lascito prezioso. Nella riflessione capograssiana, a testimonianza della vitalità del pensiero vichiano nel Novecento, la varietà delle questioni suscitate dalla lettura di Vico riporta tutto al concetto dell'azione: è nello spazio aperto dallo scarto tra il singolo dispiegarsi dell’azione e la costanza profonda dell’origine che la rende possibile, e quindi nell’ambito, perennemente schiuso dall’esperienza, dell’autosufficienza che coglie e suggella l’azione nel suo culmine, che si innesta la presenza provvidenziale. Nell’alternarsi di cadute e resurrezioni, che la storia della vicenda umana continuamente registra alla ricerca del vero, è racchiuso lo svolgimento della lotta per il superamento delle utilità che l’individuo ingaggia per sfuggire al male, fino a compiere il significato dell’azione che può giungere finalmente alla scoperta del vero, che fonda la Civitas magna nella quale trovano finalmente chiara definizione i diritti della persona, fondamento e garanzia degli ordinamenti umani. La storia diviene il vero campo in cui l’individuo si intreccia con la persona ritornando ai veri valori della stessa. Sulla base di queste riflessioni profonde si tiene in vita un tipo di educazione integrale e umanista. Mauro Grosso vede la storia come il luogo in cui si fonda l’educazione, proprio in relazione alla riflessione di Acocella. Le stesse “sfere extra-educative” richiamano anzitutto al loro denominatore comune, l’esperienza, che radica la persona nel mirabile scambio, capace di costruirla nella saggezza e non solo nella conoscenza, a partire da una relazione. Ma questo processo si gioca sulla nostra libertà, che deve essere sempre rimessa in discussione, esercitata e, guarda caso, educata. L’educazione è una questione di esperienza: è un’arte e non un insieme di tecniche e chiama in causa il soggetto, di cui va risvegliata la libertà. Tuttavia, non c’è libertà senza verità. E questo è un ulteriore nodo di fondo della questione. La libertà, infatti, è da porre sempre in collegamento con la verità della persona, là dove è in gioco la risposta alla domanda: “perché vivere?”. La verità della persona non può essere infatti ridotta alla migliore, e magari anche pregevole, risposta del “come vivere”. Verità è verità della persona, secondo una sana antropologia3; sono ancorate alla realtà, così come essa è4 e non ad un’idea o, peggio, ad un’ideologia. Dall’altra parte Gennaro Curcio propone un nuovo itinerario per l’educazione. Una pedagogia che possa trovare nella bellezza e nella responsabilità il perno educativo e come esse 3 Un’eccellente sintesi dell’antropologia maritainiana si può efficacemente vedere in P. VIOTTO, Per una filosofia dell’educazione secondo J. Maritain, Vita e Pensiero, Milano 1985, al cap. II: “L’antropologia integrale e la condizione umana”, pp. 63-81. 4 Un ottimo trattato di epistemologia è il volume – bello come un romanzo, profondo come la più ardita contemplazione, reale come la verità – di G. GRANDI, Ontosofia uno. Saggio per una architettura del conoscere, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007. possano essere la base su cui poter costruire e dare vita ad una vera e propria virtù politica. Infatti tra conoscenza poetica e conoscenza politica, tra poiesi e pratica, emerge una profonda unità che porta l’individuo-persona sempre alla ricerca del “bello sociale”. Il “bello” vissuto nella “società” diviene incontro tra individui, che nella relazione e nel dialogo continuo trovano la forza e il sostegno per progettare una via che educhi alla e nella verità. Educare a vivere i valori e il rispetto per l’amore verso la verità, partecipare e far risplendere la propria interiorità, divengono il mandato particolare e assoluto da parte dell’artista poeta, musicista o pittore, e dunque anche del politico nei confronti della società. La responsabilità diviene anello di congiunzione tra l’artista e il politico, i quali hanno, dunque, la stessa responsabilità a livello pedagogico: raggiungere il “bello”. Entrambi ricercano il bello e come rendere il proprio oggetto da produrre o da ricomporre più splendente. Per l’artista sarà l’amore verso l’opera d’arte da raffigurare e per il politico l’amore verso la società per renderla più giusta. La responsabilità dell’uno e dell’altro, che è situata nell’uomo virtuoso, rende la ricerca della bellezza e della giustizia sempre più alta e autentica. In questo l’abilità del politico coincide con quella dell’artista: saper cogliere naturalmente le esigenze di una società che ama vivere virtuosamente. In questo senso la persona educa nell’amore e nella tenerezza in ogni luogo e in ogni momento non per quello che sa, ma per quello che è. Tutta la riflessione maritainiana, continua Piero Viotto, si sviluppa sulla correlazione tra la verità che l’educatore deve testimoniare e la libertà del discepolo che deve rispettare, filosoficamente tra l’oggettività e la soggettività e la relazione tra questi due aspetti del processo educativo è l’amore. Gli uomini hanno bisogno non solo di parole e di verità, ma soprattutto di condivisione e di amore. Il Viotto considera il pensiero di Maritan nella prospettiva della scienza, considerando i segni linguistici, dove l’oggettività della realtà prevale sulla soggettività e nella prospettiva della virtù, considerando le norme morali, dove la soggettività dell’intenzione prevale sull’oggettività, ma indicando anche che la mediazione tra le cognizioni intellettuali e le convinzioni morali consiste nell’amore. Infine, il convegno, si conclude ponendo le basi per un’educazione forte anche nella politica, affinché gli stessi uomini che stanno al potere possano incontrare il senso buono del vivere la società e le relazioni umane. Più che mai, oggi, il popolo cerca il senso della politica facendo emergere come debba esserci un intreccio tra essa e l’etica. In quest’ottica s’inserisce l’intervento di Giuseppe Cantillo che vede nelle idee dei diritti umani universali “un nucleo morale che non si può perdere” anche se queste idee trovano difficoltà a realizzarsi, anche se vengono stravolte e strumentalizzate, anche se di esse si è fatto un abuso, non possono essere abbandonate. Oggi, più che in altri momenti storici, continua Cantillo, sembra indispensabile lo sforzo di riflettere sul significato dell’agire politico e sulla sua ineliminabile connessione con la morale, per contrastare non tanto l’idea, quanto la pratica nichilistica della politica come mero esercizio del potere e mero scontro di interessi particolari. Ma questa riflessione non può poi evitare di investire la questione pin ampia di una complessiva visione dell’uomo e del mondo umano, di una antropologia filosofica, entro cui si situano anche l’etica e la politica - la questione cioè della fondazione dell'etica. Lo studioso napoletano intravede nella via kantiana, cioè nella via della fondazione trascendentale dell’universalizzazione dei principi soggettivi dell'agire, quella più valida e convincente, e come sia qualcosa di più di una “semplificazione”, come è stato detto. Perché è un fatto, che la vissuta esperienza morale ci insegna, che non si può fare a meno del principio dell’universalizzazione, del suo essere avvertito come dovere, e che sentiamo come un inevitabile contraccolpo quando ci chiudiamo nel cerchio del nostro Sé, del nostro Io, del nostro egoismo. Con queste relazioni, sinteticamente espresse, si è cercato, ancora una volta, di dare un piccolo contributo per aiutare la società sul tema dell’educazione, che come dicevamo all’inizio è in continuo mutamento e in via di transizione per il continuo cambiamento dell’umanità e del nostro modo di vivere il mondo. L’approfondimento e la ricerca di nuovi metodi educativi, senza perdere di vista l’essenzialità dei valori fondamentali del nostro esistere, certamente potrà aiutarci a consolidare la nostra vita e migliorarla in modo virtuoso. Gennaro Giuseppe Curcio Mauro Grosso