Laboratorio Didattica Ambientale Corso di introduzione all’Astronomia Lorenzo Brandi - Piero Ranfagni Qualche considerazione sull’occhio come rivelatore Nella lezione precedente abbiamo visto che l’occhio risponde, come tutti i sensori biologici, non in modo proporzionale allo stimolo, ma al logaritmo dello stimolo, in questo modo l’intervallo di intensità a cui l’occhio può rispondere è molto ampio, 9-10 ordini di grandezza! Questo comportamento genera qualche sorpresa. Vediamo l’esercizio assegnato Due stelle di magnitudine 8.5 vengono viste separate con un telescopio. Con un telescopio meno potente vengono viste come una sola stella. Quale è la sua magnitudine? Verrebbe voglia di rispondere 17, cioè di sommare le due magnitudini, poi pensando che la magnitudine cresce in modo inverso rispetto al flusso, si potrebbe rispondere la metà di 8.5. Sono entrambe risposte errate. Chiamiamo m1 la magnitudine di ogni singola stella e m2 la magnitudine corrispondente alla somma delle due ed ancora I1 ed I2 le densità di flusso corrispondenti. m1 I1 m2 I2 = 2.I1 (m1-m2) = -2,5 log (I1/I2) =-2.5 log (0.5) m2 = m1 + 2.5. (- 0.301) m2 = 8.5 - 0.752 = 7.747 I rivelatore della luce sono di due tipi: quantici e termici. L’occhio è un rivelatore quantico come la pellicola fotografica, i fotomoltiplicatori, i fotodiodi e gli ultimi arrivati i CCD. Sono invece rivelatori termici le termocoppie ed i bolometri, tanto usati per studiare il Sole. La differenza sta nel fatto che i rivelatori termici assorbono la luce con un aumento della loro temperatura che viene misurata più o meno direttamente. I rivelatori quantici mostrano nel loro funzionamento la natura quantica della luce, cioè che vine emessa ed assorbita in quantità discrete, i fotoni. I rivelatori quantici sono più veloci e sensibili di quelli termici. Le unità di rivelazione della luce si trovano nello strato che tappezza la parte interna dell’occhio e che prende il nome di retina. Si tratta di due tipi di cellule, i coni ed i bastoncelli. I coni sono responsabili della visione a colori e i bastoncelli di quella in bianco e nero. Entrambi contengono pigmenti colorati, cioè proteine ad alto peso molecolare che si deformano sotto l’azione della luce. I bastoncelli contengono rodopsina ed i coni iodopsina, ma esistono tre tipi di coni, ognuno sensibile ad uno dei tre colori fondamentali, rosso, blu e verde, con pigmenti leggermente diversi. Il funzionamento dei bastoncelli è più semplice e abbastanza ben compreso: la luce in arrivo, se assorbita, spezza la molecola della rodopsina ed il frammento più leggero modifica la sua geometria. Questa reazione modifica la permeabilità della cellula agli ioni sodio e genera un’onda di depolarizzazione che si propaga lungo il nervo fino al cervello. A bassa intensità luminosa solo i bastoncelli rispondono ed il mondo viene visto in bianco e nero. Quando la luce è intensa quasi tutta la rodopsina e’ scomposta e funzionano solo i coni la cui sensibilità è solo l’1% di quella dei bastoncelli. Quando siamo in piena luce il picco di sensibilità è su i 550 nm, quello dei coni. Se entriamo in un ambiente buio l’occhio in circa mezz’ora si adatta, la sensibilità aumenta ed il picco si sposta a 510 nm, il picco dei bastoncelli. Questo spostamento della sensibilità rispetto al colore è chiamato effetto Purkinje ed è uno dei tanti aspetti fisiologici dell’occhio di cui tener conto se lo vogliamo usare come rivelatore astronomico Coni e bastoncelli non sono distribuiti in modo uniforme nella retina ed inoltre solo in alcune zone un sensore è collegato direttamente al nervo. Generalmente più sensori sono collegati allo stesso nervo e interconnessioni raggruppono numerosi ricettori. Tutti questi accorgimenti anatomici e fisiologici sono molto utili nella vita quotidiana, ma peggiorano il rendimento dell’occhio come strumento astronomico. Generalmente ci vogliono più fotoni per generare la sensazione visiva il che significa che l’efficenza quantica dell’occhio è almeno un ordine di grandezza inferiore a quella dei rivelatori elettronici moderni che sfiorano l’efficenza del 100%, ma che non hanno mai un intervallo di funzionamento di 9-10 ordini di grandezza come l’occhio. I bastoncelli sono i sensori che in pratica vengono usati nell’osservazione astronomica; si trovano addensati ed innervati uno a uno alla periferia del campo visivo. Ciò da luogo alla grande sensibilità della visione indiretta.