Introduzione a Gottfried Wilhelm Leibniz

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Introduzione a Gottfried Wilhelm Leibniz1
QUESTO MONDO? E’ IL MIGLIORE DEI MONDI CHE
DIO POTESSE CREARE!
Siamo a Leibniz, "lo spirito più universale che i popoli moderni hanno prodotto fino a Goethe"
(così lo definisce Dilthey). In altre parole un genio enciclopedico che ha dimostrato un alto
grado di competenze nei più diversi campi del sapere: dalla matematica alla teologia, dalla
biologia alla logica, dal diritto all'arte militare. Naturalmente noi cerchiamo di esplorarlo
soprattutto sotto il profilo filosofico, in particolare sulle problematiche che si sono sviluppate
dalla svolta cartesiana. Considerato che hai ancora "caldo" il pensiero di Spinoza, ti propongo
di partire da qui.
Leibniz, convinto cristiano (confessione protestante), ha la piena consapevolezza della radicale
demolizione del patrimonio ebraico-cristiano operata da Spinoza, patrimonio che egli intende
salvare. Da qui la sua polemica contro Spinoza. Da qui il suo attacco, soprattutto, contro la
concezione spinoziana secondo cui tutto è regolato da leggi necessarie, leggi che hanno una
necessità di tipo geometrico. Puoi intuire il tipo di attacco?
Il tallone di Achille di Spinoza mi sembra fin troppo chiaro: ha applicato, in modo scorretto, alle
leggi della fisica la ferrea logica delle deduzioni della geometria.
L'osservazione è pertinente: vi è chi, già al tempo di Spinoza, non conferisce per nulla questa
logica matematica alle leggi della fisica.
Leibniz - e non è il solo al suo tempo - non crede affatto che le leggi della fisica abbiano una
valore di necessità. Per lui tutte le proposizioni che riguardano "fatti" dell'esperienza non
hanno nulla di necessario. Per lui "necessario" è ciò la cui negazione è una contraddizione. E
dov'è che si possono trovare proposizioni necessarie, proposizioni, cioè la cui negazione è una
contraddizione? Per Leibniz solo nella matematica e nella logica. Perché? Prova a rispondere.
La risposta è ovvia: le proposizioni matematiche sono tautologiche, nel senso che il predicato
non fa che ripetere il soggetto.
E' quanto pensa Leibniz: le proposizioni matematiche sono delle tautologie e, quindi - proprio
perché non dicono nulla di nuovo - sono sempre valide.
Le proposizioni matematiche presentano, quindi, nessi di necessità. Un altro esempio
semplicissimo? Un triangolo ha tre angoli: "l'esistenza di tre angoli", proprio perché sta nella
definizione di "triangolo", è collegata al soggetto "triangolo" in modo necessario. La necessità
si trova pure nelle proposizioni logiche. Puoi fare un esempio di proposizione logica?
Certo: il tutto è maggiore della parte.
L'esempio è corretto: è nella definizione di tutto che il tutto è maggiore della parte. Per dire,
quindi, che il tutto è maggiore della parte non ho bisogno di ricorrere all'esperienza.
Le proposizioni logico-matematiche sono necessarie perché sono tautologiche. Questa la
convinzione di Leibniz, che si trova in compagnia di molti altri. Ma perché mai la negazione di
tali proposizioni è una contraddizione?
Perché sostenere che 2+3=6 significa dire che “2+3 - che per definizione significa “5” - è “non
5”.
E' così: se “2+3” è, per definizione, “5”, allora se dicessi che 2+3 fosse uguale a 6, arriverei a
dire che 2+3 che è uguale a 5 non è 5.
Queste proposizioni necessarie Leibniz le chiama "verità di ragione", verità che sono fondate
sul principio di non contraddizione (o di identità). Si tratta di verità sempre... vere: non potrà
mai succedere che la somma degli angoli interni di un triangolo non faccia 180 gradi. Sono
1
Nasce a Lipsia nel 1646. Il padre è docente di diritto all'università. Viene educato alla fede protestante. Enfant prodige,
legge con avidità i libri più diversi. Studia presso le università di Lipsia e di Jena. Si laurea in filosofia e in
giurisprudenza. Intraprende la carriera politica e diplomatica. In questa veste combatte il disegno espansionistico - ai
danni degli Stati tedeschi - del Re Sole, si impegna a superare le divisioni delle Chiese cristiane e si adopera per far
nascere anche in Germania un'Accademia scientifica sul modello di quella francese e inglese. E' letteralmente
corteggiato dallo zar di Russia Pietro il Grande e dall'imperatore austriaco. Negli ultimi anni subisce l'ingiusta polemica
da parte dei newtoniani a proposito della scoperta del calcolo infinitesimale. Tra le sue numerosissime opere: De arte
combinatoria, la Monadologia, Dizionario storico-critico, Saggi di teodicea. Muore ad Hannover nel 1716.
sempre vere perché, secondo Leibniz, non hanno nulla a che fare con realtà esistenti, ma solo
con realtà possibili. In che senso? Prova ad intuire.
Quando parlo delle proprietà di un triangolo - immagino sia così - parlo non di un triangolo
reale, ma di un triangolo ideale.
E' così: il triangolo di cui si parla è un triangolo perfetto, con lati che non hanno alcuna
dimensione, un triangolo quindi non reale.
Per Leibniz “possibile” è ciò che può essere pensato senza contraddizione, mentre “attuale” è
ciò che oltre ad essere possibile, “esiste nella realtà”. Le proposizioni logico-matematiche,
allora, sono vere perché non riguardano il reale, ma solo il possibile. Ma... da dove derivano
dette verità necessarie?
Se non derivano da cose reali - da cose dell'esperienza -, non possono che essere innate.
E' quanto pensa Leibniz. Si tratta di un innatismo sui generis, per certi aspetti molto diverso da
quello che hai incontrato in Platone e in Cartesio.
I fatti – per Leibniz - sono contingenti (o accidentali) nel senso che esistono, ma avrebbero
potuto non esistere. In altre parole contingente è ciò la cui negazione non comporta alcuna
contraddizione. Un esempio?
Io oggi sono andato al mercato, ma avrei potuto benissimo non andare. La negazione del fatto,
quindi, non implica contraddizione.
E' quanto pensa Leibniz: l'opposto di questo fatto era possibile e quindi non vi è alcuna
necessità che accadesse questo fatto.
Un fatto, secondo Leibniz, è contingente perché avrebbe potuto verificarsi il fatto opposto
senza alcuna contraddizione. Ma perché si verifica un fatto, invece di un altro? Per Leibniz
quelle che egli chiama “verità di fatto” (cioè proposizioni che riguardano fatti e non relazioni
logico-matematiche) si fondano sul “principio di ragion sufficiente”: se un fatto è accaduto, ci
deve essere una ragione sufficiente che spieghi perché è successo e non si è verificato, al suo
posto, un altro fatto. E' un principio che hai compreso bene?
Certo: io avrei potuto decidere di non andare al mercato, ma se ho deciso di andare, vi è
indubbiamente una ragione che mi ha indotto a decidere in tal senso invece che nel senso
contrario.
Questo è il senso che ne dà Leibniz. Val la pena, tuttavia, che tu rifletta anche su quanto
afferma la seconda risposta: non ti sembra una buona obiezione?
Ti propongo un altro esempio: Napoleone è stato sconfitto a Waterloo. Si tratta, ovviamente, di
una verità di fatto, una verità che noi conosciamo “a posteriori” (una volta il fatto è successo),
non “a priori” (come le verità di ragione che non derivano dall'esperienza). Se Napoleone è
stato sconfitto - ed è stato sconfitto -, vuol dire che vi è stata una ragione che spiega tale
fatto. Ma secondo Leibniz avrebbe potuto accadere anche il fatto contrario: cioè la vittoria di
Napoleone. Cosa ne dici?
Non mi convince: come avrebbe potuto vincere Napoleone se si sono verificate le condizioni
della sua sconfitta?
Per Leibniz si sono verificate delle condizioni che hanno determinato la sconfitta (la ragione
sufficiente), ma avrebbero potuto verificarsi delle condizioni opposte.
Per Leibniz le verità di fatto sono “a posteriori”: le conosciamo, cioè, una volta che i fatti sono
accaduti. Dio, invece, conosce da sempre i fatti: per lui cioè le verità di fatto sono... verità a
priori, nel senso che l'essere sconfitto a Waterloo, per Dio, è iscritto nell'idea di Napoleone che
Dio ha da sempre. Cosa ne dici?
Ho la sensazione che il grande sforzo di Leibniz per demolire il blasfemo Spinoza non approdi a
granché: come avrebbe potuto Napoleone vincere a Waterloo, se per Dio le verità, che per noi
sono a posteriori, sono a priori?
Si tratta di un’osservazione che anche altri hanno formulato: come avrebbe potuto Napoleone
vincere a Waterloo se per Dio le verità - che per noi sono a posteriori - sono a priori?
Lo sforzo profuso da Leibniz per salvare la "contingenza" dei fatti non pare molto convincente.
Almeno in questo momento della ricerca. Chissà che, nello sviluppo della ricerca, non troviamo
qualche argomentazione più persuasiva. Vediamo di fare un passo avanti. Passiamo dai singoli
"fatti", al "mondo". Il mondo esiste: si tratta di una proposizione...
“di fatto”: il mondo, infatti, avrebbe potuto non esistere.
Questa è la convinzione di Leibniz. Per Leibniz la proposizione “il mondo esiste” è una verità “di
fatto”, una verità che richiede una “ragione sufficiente” per essere spiegata, una ragione che
non può che essere Dio. Prova a riflettere, comunque, sull'obiezione contenuta nella seconda
opzione: dato che vi è una ragione sufficiente che spiega l'esistenza del mondo, questo vuol
dire che il mondo non avrebbe potuto non esistere.
Leibniz arriva a Dio anche facendo ricorso alla prova ontologica (anselmiana e cartesiana). Con
una correzione: prima di dimostrare l'esistenza di Dio occorre dimostrare che la stessa idea di
Dio è "possibile", cioè "non contraddittoria". Ora secondo Leibniz non vi è alcun motivo per
sostenere che l'idea di Dio sia contraddittoria. Ergo... l'idea di "essere perfettissimo" (anche
per Leibniz, come per Cartesio, questa è l'idea di Dio) implica la stessa esistenza di Dio. L'idea
di Dio, quindi, per Leibniz, non è un'idea contraddittoria. Tu cosa ne dici?
A me pare contraddittoria: come è possibile un essere che, proprio perché spirituale, non è in
alcun posto?
E' un'affermazione che ha una sua coerenza. Tu cioè ritieni che un essere per esistere abbia
bisogno di un luogo fisico. Di questo passo, però, dovresti negare anche l'universo: dove si
trova l'universo?
Per Leibniz Dio, prima della creazione, ha nella sua mente infiniti mondi possibili. Ora Dio
avrebbe potuto scegliere di non creare alcun mondo. E' un "fatto" che Dio ha scelto di creare
uno dei questi infiniti mondi possibili. Quale ragione mai ha indotto Dio a scegliere di creare
questo mondo invece di un altro possibile? Quale, secondo te?
Perché questo era il migliore dei mondi possibili.
Questa è la convinzione di Leibniz: non può che essere questa la ragione per cui Dio ha scelto
questo invece degli altri infiniti mondi possibili.
Per Leibniz il fatto che Dio ha scelto di creare questo mondo perché questo è il migliore dei
mondi possibili, non significa che Dio era necessitato ad effettuare questa scelta: Dio, cioè, ha
scelto liberamente in sintonia con la sua natura perfetta. Sotto questo profilo, quindi - se Dio
ha creato questo mondo perché questo è il migliore - Dio ha agito per un “fine”. Leibniz,
dunque, crede di salvare il finalismo cristiano contro il determinismo spinoziano.
Uno sforzo notevole - quello di Leibniz - per salvaguardare il patrimonio cristiano contro il
sacrilego Spinoza: la contingenza del mondo, Dio come Persona che agisce liberamente in
funzione di fini. Compresa la libertà umana. Vediamo un esempio: io decido di studiare invece
che svagarmi. Si tratta ovviamente di una verità di fatto, e quindi contingente (l'opposto è
sempre possibile senza contraddizione). O... no?
Quanto abbiamo detto a proposito di Dio, dovremmo dirlo anche a proposito della decisione
umana: se ho fatto una determinata scelta, questo significa che l'ho fatta perché in quel
momento era per me migliore e quindi non avrei potuto non farla. Qualsiasi scelta si fa, la si fa
perché è la migliore: perché, altrimenti, la si sceglierebbe?
Leibniz è convinto che anche l'uomo sceglie in base al criterio del meglio, che è la "ragion
sufficiente". Leibniz, tuttavia, è convinto che l'uomo rimanga in definitiva libero.
Un grande sforzo - dicevamo - per salvaguardare il patrimonio cristiano. In questa ottica si
comprende anche la fatica di Leibniz per salvare l'individualità, ogni individualità: le cose non
sono "parti" di Dio, gli "io" non sono "parti" di Dio. Per lui la sostanza non è una: di sostanze
ve n’è un'infinità (ognuna con la sua individualità). Su che cosa potrebbe poggiare questa tesi?
Immagino che Leibniz - da buon matematico - sostenga la divisibilità all'infinito e quindi
affermi una infinità di sostanze.
Leibniz sostiene non solo la divisibilità di ogni parte della materia all'infinito, ma l'attuale
divisione infinita. Per lui la soluzione atomistica non può reggere in quanto il concetto di atomo
inesteso è contraddittorio: se è esteso, come potrebbe essere indivisibile?
Siamo ad un punto delicatissimo della ricerca leibniziana: qualsiasi porzione di materia,
qualsiasi, cioè, porzione estesa è costituita in ultima analisi da infinite particelle (il concetto di
"atomo" - e in questo ripete Cartesio - è contraddittorio). In che cosa consisteranno tali
particelle?
Si tratta di particelle immateriali: non vedo altre soluzioni logiche.
E' la conclusione logica di Leibniz: per lui gli atomisti si fermano nella divisione all'infinito abbiamo detto - perché partono da un presupposto non dimostrato che tutto è materia.
Una conclusione, indubbiamente, paradossale, contro il senso comune, contro ciò che appare
come l'evidenza dei sensi. Le sostanze sono proprio questi atomi (pardon, particelle), punti
spirituali. Si tratta di sostanze semplici (appunto non divisibili), spirituali. E si tratta di sostanze
infinite, ognuna con una sua individualità: non possono esistere due sostanze identiche, perché
se esistessero, non vi sarebbe niente che li differenzierebbe.
Per Leibniz ad esistere sono gli esseri "singoli", cioè solo le sostanze semplici, spirituali: le cose
non sono sostanze in quanto... composte di sostanze semplici. Leibniz chiama "monadi" queste
sostanze semplici, immateriali, infinite, individuali. Quale potrebbe essere la loro natura?
Se sono spirito, immagino che consistano nel pensare.
E' proprio così. O meglio la natura delle monadi consiste, per Leibniz, nel... percepire,
nell'essere delle rappresentazioni, nell'aver presente, cioè, qualcosa.
Immagino che tu sia sempre più... sconcertato. Ti chiedo, tuttavia, di fare un grande sforzo per
cogliere la coerenza (anche se tutto ti potrebbe sembrare demenziale) del discorso di Leibniz.
Le sostanze - semplici, immateriali, infinite... - percepiscono. Si può allora concludere che le
sostanze (anche quelle presenti in un sasso) sono infiniti... io?
Mi pare assurdo sostenere che gli ingredienti ultimi di un sasso siano degli "io": l'io, infatti, non
solo percepisce, ma percepisce di percepire (il cogito cartesiano non è una consapevolezza di
sé?).
Leibniz distingue, è vero, la percezione della percezione (l'autocoscienza) che è specifica della
monade "io umano", dalla semplice percezione in cui consistono le sostanze-sasso. Si tratta,
comunque, sempre di spirito, di percezione.
Tutte le sostanze semplici percepiscono. Non tutte, però, percepiscono di percepire. Per
Leibniz, in natura esiste una gerarchia di monadi: si va da quelle in cui la percezione è confusa
alle menti umane che arriva ad avere idee chiare fino alla monade-Dio che è consapevolezza
infinita (senza alcuna zona d'ombra). Vi è una gerarchia, ma non vi è nessun salto: materia e
spirito non sono due sostanze eterogenee, ma dalla materia allo spirito vi è una gradualità.
La “natura” - secondo Leibniz – “non fa salti”: non si passa, quindi, con un salto dalla materia
allo spirito. Cerchiamo di cogliere un'altra conseguenza dalla negazione leibniziana della
sostanza-estensione (una conseguenza, naturalmente, anti-cartesiana). Quale potrebbe
essere?
Se il sasso non è estensione, ma in ultima analisi spirito, percezione, allora anche il sasso non
è qualcosa di statico, ma di dinamico.
Mi sembra coerente il tuo discorso: se il sasso non è estensione ma in ultima analisi spirito,
anche il sasso - come lo spirito - deve essere qualcosa di dinamico. Vedremo tra poco come
Leibniz arriva a tale approdo.
Leibniz arriva a sostenere - contro la concezione geometrico-statica della materia tipica di
Cartesio - che la sostanza è attività seguendo una via "scientifica": confutando (o meglio
facendo propria la dimostrazione già fatta da Huygens) la legge cartesiana secondo cui
nell'urto dei corpi la quantità di movimento rimane costante. A rimanere costante, per Leibniz,
non è la quantità di moto, ma la “forza viva” (l'energia cinetica, diremmo oggi).
Secondo Leibniz la "forza viva" produce il moto, ma non si identifica affatto con esso: se la
materia fosse semplice estensione - dice Leibniz - non si spiegherebbe come mai i corpi
oppongano “resistenza” al movimento ed abbiano bisogno di una “forza” per iniziare a
muoversi. Vi è qualcosa, quindi, al di là dell'estensione e del movimento: è la “forza”. Le
sostanze semplici, dunque, sono, in ultima analisi “centri di forza”, “energia”.
Leibniz arriva addirittura ad affermare che la “forza” non solo è la fonte stessa del movimento
(ad esempio il sollevamento di un peso), ma è anche “più reale” del movimento stesso, in
quanto quest'ultimo è un semplice spostamento nello spazio. Perché mai lo spostamento nello
spazio non sarebbe reale o non così reale come la forza?
Sulla base di quanto detto, non vedo altra risposta che questa: lo spazio è qualcosa di
soggettivo.
Sì. Leibniz arriva a negare il valore oggettivo dello spazio: lo spazio, per lui, non è che un
fenomeno, il modo cioè con cui le cose si presentano alla coscienza in relazione tra loro.
Per Leibniz reali sono le monadi, i centri di forza, mentre lo spazio non è che un “fenomeno”, il
modo con cui le cose si presentano alla coscienza secondo un ordine, con relazioni tra loro.
Soggettivo è lo spazio. E soggettivo è anche il tempo: lo spazio è l'ordine - come si presenta
alla coscienza - delle cose che coesistono nello stesso tempo, il tempo è un fenomeno che
deriva dalla "successione" delle cose.
Siamo ad un'altra svolta radicale di Leibniz: la demolizione del valore oggettivo di spazio e
tempo. Leibniz, comunque, si appresta a dire che non si tratta di "illusioni", ma di “fenomeni
bene fondati” (fondati su effettive relazioni). Fenomeni ben fondati, ma sempre fenomeni: non
sono, cioè, di per sé, enti reali. Il tempo ad esempio è fondato sul fatto che le cose si
succedono: il tempo non è che un'idea che l'uomo ricava da tale successione. Siamo, quindi,
alla distruzione della concezione scientifica?
Mi pare di sì: su cosa poggerebbero le leggi scientifiche se l'universo non avesse una struttura
matematica, quantitativa, legata alla concezione della materia intesa nei suoi aspetti
quantitativi, matematizzabili, se non fosse un libro scritto con un linguaggio geometrico?
La tua osservazione è pertinente: se la scienza moderna si basa sulle cosiddette "qualità
oggettive", su che cosa potrebbe basarsi se dette qualità vengono considerate non oggettive?
Le monadi - dicevamo - sono centri di forza, energia. Questa forza si manifesta nel "percepire"
e nel "percepire del percepire". Non solo, però: tale forza si esprime in un "appetito", cioè in
una tendenza all'azione. In altre parole le monadi tendono a passare da una percezione
all'altra, a passare ad esempio da una percezione confusa ad una chiara. Una puntualizzazione:
Leibniz considera le monadi dei mondi chiusi, "senza porte e senza finestre". Come mai? Prova
ad intuire.
Immagino perché, essendo semplici, non possono essere modificate dall'esterno.
E' questa la convinzione di Leibniz: se le monadi non sono composte, come potrebbero entrare
in esse altre monadi per influenzarle? Le monadi, quindi, non possono che essere... senza
porte e senza finestre.
Allora come si può spiegare il passaggio, all'interno di ogni monade, da una percezione
all'altra? Ovviamente - non vi è altra possibile soluzione - per Leibniz ogni monade ha una
capacità interna di evolversi. Ma cos'è che percepiscono le monadi? Per Leibniz tutte
percepiscono il Tutto. Cosa ne dici?
Mi sembra un'altra trovata... demenziale (chiedo scusa al matematico Leibniz!): non è fuori dal
mondo pensare che i sassi siano in grado di percepire addirittura Dio (il Tutto)?
Comprensibilissima la tua reazione. Per Leibniz, tuttavia, dato che ogni monade è spirituale e
non è influenzabile dall'esterno, ogni monade ha tutto in sé, cioè Dio l'ha creata con la
percezione del tutto. E' chiaro, però, che il modo di percepire il tutto varia: ogni monade ha un
punto di vista del Tutto.
Le monadi, quindi, percepiscono tutte l'Intero, ma ognuno di loro rispecchia l'Intero in modo
diverso: si va dalla percezione oscura e confusa delle monadi-sasso alla percezione più chiara
della monade-mente umana alla percezione chiarissima della monade-Dio. Precisiamo:
l'esistenza delle monadi è un "fatto" e quindi ogni monade ha bisogno di una ragione
sufficiente per essere spiegata. Tale ragione non può che essere Dio. E' Dio che crea le
monadi. Una volta create, sono immortali o no?
Non vedo perché non debbano essere immortali: come potrebbero delle sostanze semplici
disgregarsi, decomporsi, cioè morire?
Un'osservazione intelligente: di per sé le sostanze semplici non possono decomporsi e quindi
morire. Leibniz, tuttavia, non esclude che Dio possa annichilirle: è lui il Creatore.
Ogni monade - abbiamo detto - è un microcosmo del tutto autonomo. Essa ha, quindi, in sé la
"ragione sufficiente" di tutto ciò che avviene in essa. In ogni monade tutto ciò che avviene non
è che il risultato di percezioni precedenti ("il presente è gravido di avvenire" dice Leibniz). Per
cui tutti i "predicati" di una monade sono connessi logicamente alla monade stessa. Cosa ne
dici?
Non voglio più offendere il genio di Leibniz, ma sono sempre più sconcertato dal suo ragionare:
se tutto ciò che avviene nella monade è un predicato essenziale della monade stessa, allora il
pensiero di Leibniz è un boomerang perché arriva a coincidere con quello del sacrilego Spinoza
(tutto è necessario).
Non hai torto: così impostato, il discorso porta diritto alla tesi secondo cui tutto è necessario,
anche se Leibniz si affretta a dire che solo Dio conosce i nessi necessari tra le infinite monadi
contenute ad esempio nel "soggetto Napoleone".
Per Leibniz non solo tutti i predicati di una monade sono logicamente impliciti nella monade
stessa, ma dato che ogni monade è uno specchio dell'universo, se noi fossimo in grado di
conoscere bene una monade, potremmo conoscere tutti gli eventi (passati, presenti e futuri)
dell'universo stesso. In ogni cosa c'è tutto: una tesi questa che, anche se in un altro contesto,
era già presente nel filosofo greco Anassagora.
PERCHE' TRA IL CORPO E LA MENTE NON POTREBBE ESSERCI UNA CONTINUITA’?
Sulla base dell'esplorazione che hai fatto del pensiero di Leibniz come ritieni abbia affrontato il
"mind-body problem" fatto esplodere da Cartesio?
Mi pare che per Leibniz non esiste più in quanto per lui il corpo si riduce in ultima analisi a
spirito per cui viene meno il dualismo cartesiano.
Sicuramente il dualismo cartesiano nella concezione leibniziana viene meno. Non viene,
tuttavia, del tutto meno la distinzione tra il corpo e la mente umana.
Scaviamo. In che cosa si distinguono le monadi-corpo dalle monadi-mente?
Non mi sbaglio: le monadi-corpo sono percezioni oscure e confuse, mentre le monadi-mente
umana sono percezioni chiare e distinte.
E' vero, ma è anche vero che le percezioni confuse (Leibniz le chiama "piccole percezioni")
sono presenti anche nella mente umana.
Leibniz - in qualche modo anticipatore di Freud - sostiene che esistono percezioni umane
inconsce, cioè oscure e confuse, percezioni cioè di cui non abbiamo consapevolezza. Tra corpo
e mente umana, quindi, non vi è alcun "salto" non solo perché in ultima analisi ambedue sono
costituiti da monadi immateriali, ma anche perché la mente umana è costituita, come il corpo,
anche da percezioni inconsapevoli. Cosa dici di questo annullamento del "salto" tra la mente e
il corpo?
Mi sembra una soluzione brillante, oltre che definitiva, al problema scoppiato con Cartesio: una
soluzione che supera anche il residuo di dualismo conservato da Spinoza.
Un'opinione legittima. Rifletti, comunque, anche sull'obiezione evidenziata dalla seconda
opzione: si tratta di una soluzione che fa cadere la supremazia dell'uomo sul resto del creato.
La soluzione leibniziana - a questo punto della nostra ricerca - può apparire come una trovata
che ha un suo fascino. Vi è, tuttavia, il rovescio della medaglia: dove va a finire l'originalità
dell'uomo rispetto al creato se tutte le cose (anche il sasso, anche i tuoi fiori, anche il tuo
cagnolino) sono costituite da anime immateriali - e quindi per natura immortali - come l'anima
dell'uomo?
Leibniz, è vero, distingue l'uomo dalle cose e dagli animali, ma non tanto per la natura, quanto
per la consapevolezza delle sue percezioni. L'annullamento del salto tra corpi e spirito forse
non ti convince. Forse non riesci a comprendere come mai i corpi - che sono spirito - si
presentano come corpi, come materia. Come può essere spiegato tale fatto? Prova a
rispondere tu tuffandoti nell'impostazione leibniziana.
Forse Leibniz applica ai corpi quello che ha detto a proposito dello spazio, cioè dell'estensione:
i corpi, cioè, sono meri fenomeni, cioè modi con cui i corpi si presentano alla coscienza umana.
Sì: Leibniz applica ai corpi lo stesso discorso fatto per lo spazio e per il tempo: si tratta di
fenomeni, anche se bene fondati.
La monade, per Leibniz, è attività. Ma l'attività non è la stessa in tutte le monadi: si va
dall'attività della monade-Dio - che è solo attività ed attività infinita - all'attività del sasso che
convive con un'ampia passività (si vedano appunto le percezioni inconsce della materia). La
materia, quindi, si caratterizza per la sua passività, cioè per il suo percepire in modo confuso,
non consapevole. La pianta, naturalmente, ha un grado di attività (di percezione) più elevato.
Un grado ancor più elevato è rappresentato dagli animali. Cosa ne dici?
Mi pare una tesi modernissima che è in piena sintonia con la teoria evoluzionistica: l'uomo non
costituisce un vero e proprio salto di qualità rispetto agli animali, ma è il prodotto più maturo
di un'evoluzione durata milioni di anni.
Una valutazione coerente: non sei il solo a credere che l'uomo non abbia nulla di
qualitativamente superiore a determinati animali non essendo altro che un prodotto di una
lenta e graduale evoluzione.
L'abbattimento del dualismo cartesiano non conduce, tuttavia, Leibniz a far cadere il problema.
Il problema, in Leibniz, infatti sopravvive come conseguenza della tesi secondo cui le monadi
sono mondi del tutto chiusi. Come si spiegano allora le corrispondenze tra monadi? Puoi
pensare al nostro trito e ritrito esempio della decisione di muovere il braccio e del braccio che
si muove.
Se le monadi non si influenzano tra loro, non vedo altra soluzione che nella monade-Dio:
immagino una soluzione analoga all'occasionalismo.
E' vero che Leibniz trova la soluzione in Dio. Non riprende, tuttavia l'occasionalismo. Egli fa
ricorso ad una nuova dottrina: l'armonia prestabilita: Dio, cioè, non interviene ogni qualvolta vi
è da spiegare una corrispondenza, ma una volta per tutte, dall'eternità.
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