rivelatori ottici - Dipartimento di Ingegneria dell`Informazione

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Capitolo 3
DISPOSITIVI DI RIVELAZIONE
Si tratta di un aspetto duale all’emissione di luce: nell’optoelettronica, come abbiamo visto a
suo tempo esiste una relazione funzionale tra mondo elettrico e mondo elettronico (escludendo tutti
i problemi di alimentazione). Per quanto riguarda i rivelatori, al contrario di quanto si aveva per gli
emettitori, la grandezza ottica è in ingresso e quella elettrica è in uscita (corrente o tensione).
MECCANISMO DI RIVELAZIONE:
A partire da un fascio di fotoni incidenti dobbiamo ricavare una grandezza elettrica proporzionale, o
almeno dipendente con una relazione nota a priori, al numero di fotoni incidenti. Più che
l’emissione stimolata si tende a sfruttare come meccanismo principale l’assorbimento: grazie
all’energia del fotone riusciamo ad avere a disposizione delle cariche elettriche in grado di
trasportare una corrente.
Quando arriva un fotone, interagisce
con un elettrone in banda di valenza, gli
fornisce l’energia necessaria ad andare in
banda di conduzione, il fotone scompare, e
ci ritroviamo con una coppia elettrone –
Fig.1
lacuna, l’uno in banda di conduzione,
l’altra in banda di valenza.
Il problema è che questo accade all’interno del materiale: sta a noi progettare un sistema che
ci permetta di rendere la coppia elettrone – lacuna effettivamente utile. Supponiamo infatti di avere
un cristallo inerte: il fotone arriva, si ha l’assorbimento e ci ritroviamo con una coppia elettrone
lacuna che è stata generata da un evento diverso dall’agitazione termica, ma il suo destino è quello
di ricombinarsi dopo un tempo di vita medio, senza che dall’esterno ci venga data la possibilità di
accorgersi che c’è stato un fotone.
PROBLEMI A BASSE FREQUENZE
I rivelatori si basano su strategie diverse a seconda della lunghezza d’onda che vogliamo
rivelare. In prima approssimazione per radiazioni molto energetiche (alte frequenze, ultravioletto, e
quindi basse lunghezze d’onda) non ci sono grossi problemi di rivelazione. Problemi a rivelare si
presentano per basse energie e quindi alte lunghezze d’onda.
Prendiamo un cristallo a semiconduttore. Per fare una buona rivelazione abbiamo bisogno
che hν≥Eg, ma se hν è piccolo (ci stiamo riferendo ad una banda che sta nel lontano infrarosso
λ>2.5µm) non solo non si riesce ad instaurare assorbimento dato che hν<Eg, ma anche se ci si
riuscisse sarebbe necessario fare i conti con il rumore: se λ è grande infatti, allora è piccolo il gap
del materiale il che significa che anche a temperatura ambiente ci sono tanti portatori liberi che
nascondono l’effetto dovuto all’assorbimento dei fotoni. Si ha dunque un elevato rumore di fondo
alla rivelazione.
APPLICAZIONI DI RIVELAZIONI NEL LONTANO INFRAROSSO
Abbiamo bisogno di lavorare bene anche nel lontano infrarosso, ad esempio in tutto il
campo che riguarda i problemi termografici: per fare la mappatura termica di un oggetto che si
scalda è necessario rivelare la sua emissione nel lontano infrarosso; ci sono delle pellicole sensibili
a tali lunghezze d’onda ma questo non ci basta se vogliamo realizzare strumentazioni raffinate, con
un’alta risoluzione spaziale, ci servono quindi dei rivelatori elettronici.
ASSORBIMENTO ANCHE SE hν<Eg
La strategia è quella sfruttare i
livelli donatori o accettori di shellow.
BC
Drogando opportunamente il materiale
è possibile inserire dei livelli donatori al
di sotto della banda di conduzione o dei
livelli accettori al di sopra della banda
di valenza. Quando il livello donatore
hν
non è ionizzato c’è un elettrone. A
BV
temperatura ambiente però, dato il
piccolo salto di energia che li separa
Fig.2
x
dalla banda di valenza tutti i livelli
donatori sono ionizzati.
Mantenendo invece il materiale ad una temperatura molto bassa (elio liquido, quindi
strumentazione molto costosa) possiamo inibire la ionizzazione termica dei livelli donatori, che
quindi risultano essere tutti occupati dagli elettroni. Abbiamo quindi a disposizione un oggetto che
possiede un elettrone sul livello accettori che grazie all’energia fornitagli dal fotone è in grado di
liberarsi data la piccola distanza dalla banda di conduzione. In modo duale, posso essere in grado di
liberare una lacuna in banda di valenza.
Questo tipo di rivelatori sono quindi realizzati con un semiconduttore drogato
opportunamente in modo tale che la radiazione voluta possa essere rivelata, inserito in un ambiente
a bassa temperatura che consente di mantenere basso il livello di ionizzazione di natura termica.
ETOT
Senza
V
UTILIZZO PRATICO
Analizzando l’oggetto in sezione
possiamo
osservare
come
sottoponendo il semiconduttore ad
un campo elettrico, le cariche
prodotte dalla ionizzazione dovuta
all’illuminazione assumono una
velocità di drift. Tendono quindi a
separarsi e se non si ricombinano
prima, raggiungono i terminali
esterni, fornendo una corrente
misurabile dall’esterno con un
amperometro.
V
A
y
p
ed
x
Fig. 3
ETOT
con
V
x
Fig.4
A seguito della presenza della
differenza di potenziale si ha
un piegamento lineare delle
bande (lineare perché c’è solo
un campo elettrico, e non una
distribuzione di carica).
Ricordandosi che ritratta di
una grafico dell’energia totale
dell’elettrone, sappiamo che
possiamo trattarlo come una
pallina pesante, mentre la
lacuna come una bolla d’aria.
L’elettrone quindi scivola seguendo in realtà una traiettoria a scalini, perché fintanto che non
urta con nessuno viene accelerato dal campo elettrico, acquista quindi energia cinetica perdendone
di potenziale; ogni caduta invece indica un urto con il reticolo. Ma come rappresentazione
“pittorica” possiamo vederlo scivolare semplicemente.
La distanza d (vd. Fig. 3) è frutto di un compromesso: se fosse troppo piccola ci sarebbe
poco spazio, ovvero poco materiale per assorbire la luce. Ma se fosse troppo grande, avrei da una
parte la ricombinazione degli elettroni o delle lacune prima dell’arrivo al terminale e dall’altra un
problema prettamente elettrico:
Supponendo che l’evento di
scissione elettrone lacuna avvenga
Iν
all’istante t0 esso viene rivelato con un
W/
tempo di ritardo trit dovuto al tempo di
m2s
attraversamento del semiconduttore.
Ovvero il sistema si comporta dal punto
di vista elettrico come se avesse una
grossa capacità in parallelo.
t
La risposta all’impulso quindi
sarà qualcosa di questo tipo, ovvero una
I
sorta di effetto passabasso, che è tanto
Amp.
più marcato quanto più è grande il
valore di d.
Fig. 5
t
Vale la pena spendere due parole per i rivelatori di luce storici:
ASSORBIMENTO PER RADIAZIONI ENERGETICHE hν≥ΦM ≅4eV
CELLULA FOTOELETTRICA
hν
ΦM
EF
Fig. 6
E’ costituita da un metallo sul quale incide
fascio di luce che fornisce energia all’elettrone
sufficiente a superare la funzione di lavoro.
Ricordiamo che il metallo è caratterizzato da una
buca di potenziale che allo 0K è piena di elettroni
fino al livello di Fermi EF dove la funzione di
lavoro è la distanza tra il livello di Fermi e quello
del vuoto, mentre a temperatura ambiente gli
elettroni sono distribuiti secondo la Fermi Dirac.
Una radiazione incidente che abbia energia hν≥ΦM
fornisce all’elettrone energia sufficiente a sfuggire
dal reticolo in modo tale da essere emesso per
effetto fotoelettrico appunto.
Anche in questo caso dobbiamo fare
in modo da raccogliere gli elettroni che
vengono prodotti sul catodo (elettrodo
inferiore)a seguito dell’illuminazione, grazie
all’accelerazione fornita dall’anodo (elettrodo
superiore).
Fig. 7
ASSORBIMENTO PER RADIAZIONI INTERMEDIE
Dopo aver considerato i due casi limite, vediamo ora che tipo di rivelatori abbiamo a
disposizione lavorando nelle zone di nostro interesse, ovvero nel VICINO INFRAROSSO, cioè
nelle solite 3 finestre che abbiamo sempre considerato: 0.8 1.3 1.5 µm. In questo caso dobbiamo
lavorare con semiconduttori opportuni.
L’oggetto tipico che ci permette di raccogliere la corrente è la zona di svuotamento di un
diodo pn polarizzato in inversa:
Quello che vogliamo è che la luce venga assorbita nella zona di svuotamento perché se viene
assorbita nelle zone neutre, lì è persa in quanto non riusciremo a raccogliere le cariche frutto della
collisione.
MECCANISMO DI COLLISSIONE
Supponiamo di illuminare il nostro
dispositivo con dei pacchetti di 100 fotoni
l’uno, ed andiamo a contare, con un
misuratore di carica, o con un amperometro
molto fine, il numero di coppie lacune
elettroni prodotte. Ripetendo più volte lo
stesso esperimento troviamo ad esempio:. La
prima volta 90 coppie, la seconda 22, la terza
53, poi 45, 10 e così via…. Il numero di
coppie lacune elettroni è quindi una variabile
aleatoria.
Facendo riferimento alla figura 8 vediamo che cosa può capitare:
1.
il fotone può essere assorbito dalle
zone neutre, quindi dar luogo ad una ricombinazione elettrone lacuna prima che questi siano
stati catturati dai terminali
2.
il fotone può essere assorbito dalla
zona di campo creando così una coppia elettrone lacuna, che cercando di raggiungere il
limite della zona neutra incontra una trappola (stato al metà del gap) luogo di appuntamento
dove avviene una ricombinazione prima di dar luogo ad una corrente positiva ai terminali
3.
il fotone può essere assorbito da
un’impurezza o cedere la sua energia al reticolo cristallino, e in questo caso l’oggetto tende
a scaldarsi
Vi sono quindi diversi fattori che si oppongono la presenza ai terminali della coppia lacuna
elettrone. Studiando le statistiche di questo esperimento troviamo che in termini medi il numero di
coppie che si raccoglie ai terminali è proporzionale ai fotoni mandati, ma solo in termini medi.
Se vogliamo esprimere la corrente dovuta all’assorbimento dei fotoni:
IP/q = N.O. di coppie el. lac. prodotte per 1 di t.
Fotocorrente:
Pot. Ottica/hν = N.O. fotoni che arrivano per 1 t.
η ∈ [0,1] = valor medio del processo aleatorio
Il rendimento η, che indica la frazione utile di fotoni che vengono assorbiti e che danno
luogo ad una coppia lacuna elettrone, è detto efficienza quantica del rivelatore.
Il grosso problema è che si tratta proprio di un valore medio che quindi si porta dietro
intrinsecamente del rumore, la cui densità spettrale di potenza è proporzionale al numero di fotoni
incidenti NI =2 q IP. Si tratta di un processo di Poisson, ovvero di natura corpuscolare.
IP = q ⋅
Pot.ottica
η
hν
Dunque tutti i problemi che vanno contro alla rivelazione fanno riferimento a questo
processo aleatorio.
Vogliamo sottolineare che tutti gli sforzi per portare le comunicazioni in fibra ottica alle
singole utenze sono legati alla necessità di ridurre al minino questo rumore, ritardando il più
possibile la conversione da grandezza ottica ad elettrica, in quanto il processo di rivelazione è
intrinsecamente rumoroso e peggiora il rapporto segnale rumore.
RAFFIGURAZIONE CANONICA: giunzione P-N polarizzata inversamente
Carica fissa
Zona neutra P
Zona neutra N
Fig. 9
-
+
Dato che la giunzione PN risulta essere polarizzata inversamente (fig. 9) essa è attraversata
dalla corrente inversa di saturazione, che ha origine grazie agli elettroni minoritari della zona neutra
p che nel loro vagare giungono fino al limite della zona neutra, venendo catturati dalla zona di
svuotamento per essere emessi dall’altra parte. Una situazione del tutto duale si verifica per le
lacune.
La corrente inversa di saturazione, per il nostro dispositivo, è una corrente di buio, dark
current, ovvero quando non ci sono fotoni assorbiti il sistema rivela questo tipo di corrente. Tale
corrente di buio altro non è che il limite minimo della capacità di rivelazione del nostro dispositivo.
Sottoponendo ad illuminazione il dispositivo la fotocorrente si aggiunge alla corrente inversa di
saturazione, dato che ha lo stesso comportamento. Non è dunque possibile rivelare una potenza
ottica che generi una corrente inferiore alla corrente inversa di saturazione: tanto maggiore è la
corrente di buio e tanto peggiore è il dispositivo in termini di sensibilità. Si noti che anche
polarizzando direttamente il diodo la fotocorrente va sempre a sommarsi alla corrente presente.
Consideriamo la caratteristica del diodo:
I
Buio
Luce
V
IP
Fig. 10
QUI
I=I0 (e v/vt-1)
a riposo (al buio)
v/vt
I=I0 (e -1) - IP
sollecitata (illuminata)
La fotocorrente si somma al verso della corrente
inversa di saturazione, quindi la caratteristica trasla
in basso di IP. A seguito della traslazione verso il
basso esiste ora una zona della caratteristica che va
ad interessare il secondo quadrante, caratterizzato
dall’avere una tensione applicata positiva ed un
corrente generata negativa. Polarizzando il
dispotivo in questa zona dunque (QUI), esso non
assorbe potenza dal mondo esterno ma la eroga.
Questo è il principio di funzionamento della
CELLA SOLARE.
Qui si apre il dibattito ecologista sull’energia pulita, ma il problema sta nel fatto che tale
energia gratis è a bassa entropia e non è in grado di pilotare l’industria pesante. Per avere alte
energie non solo dovrei avere delle superfici illuminate molto grandi ma dovrei anche avere una
buona efficienza quantica e questo è il collo di bottiglia del nostro dispositivo.
Per rivelare una grandezza ottica dunque, tramite il fotodiodo abbiamo due diverse strategie:
STRATEGIA FOTOAMPEROMETRICA O FOTOCONDUTTIVA
A
Fig. 11
Il nostro rivelatore viene messo in corto e chiuso su di un
amperometro. Questo implica la misurazione della corrente
che passa nel circuito.
Si ha in questo caso V = 0
e quindi I = IP
Dunque la grandezza misurata è direttamente proporzionale
alla potenza ottica incidente
STRATEGIA FOTOVOLTAICA O FOTOVOLMETRICA
V
Fig. 12
In questo secondo caso la strategia è del tutto duale, il
circuito viene lasciato aperto, e viene misurata la differenza
di potenziale ai capi del circuito.
Stavolta I = 0
E quindi V = VT ln (IP/Io + 1)
Il problema di questa seconda strategia è che la grandezza
misurata non è direttamente proporzionale alla potenza
ottica.
In generale si preferisce la prima strategia rispetto alla seconda proprio grazie alla sua dipendenza
lineare, e alla miglior sensibilità.
OSSERVAZIONE riguardante la strategia fotovoltaica:
Nonostante la tensione applicata sia nulla e la corrente è forzata ad essere nulla, si ha un piegamento
delle bande, e si stabilisce una differenza di potenziale ai capi del dispositivo diversa da zero. A che
cosa è dovuta la d.d.p.? La giunzione è comunque attraversata dalle cariche ma c’è un perfetto
bilanciamento tra la corrente di diffusione e quella di drift, Se creiamo coppie lacune elettroni
tramite irraggiamento esse vanno a creare una corrente che si va ad aggiungere alla corrente di drift,
come se si avesse una corrente di drift maggiore. Per controbilanciare questo aumento della corrente
di drift si deve avere una maggior corrente di diffusione che si realizza soltanto diminuendo la
barriera di potenziale dei portatori maggioritari, che non fa altro che creare una d.d.p. ai capi del
dispositivo.
STRUTTURA PIN
Abbiamo più volte osservato che la zona utile dove deve avvenire l’assorbimento del fotone
e la conseguente generazione della coppia elettrone lacune è la zona di svuotamento dove c’è il
campo elettrico capace di trascinare le cariche.
Se la zona di svuotamento è troppo sottile allora il dispositivo non ha spazio a sufficienza
per assorbire i fotoni, che verrebbero assorbiti nelle zone neutre, senza che se ne possa cogliere
l’effetto dall’esterno.
Se invece è troppo larga allora la radiazione luminosa verrebbe sì ad essere assorbita nella
zona di campo, ma il dispositivo viene rallentato in quanto le cariche ci metterebbero un tempo di
transito troppo elevato per raggiungere i terminali.
Inoltre risulta opportuno sottolineare un
altro aspetto: sappiamo che l’intensità luminosa
diffonde all’interno del semiconduttore secondo
una legge esponenziale:
Iν(x)=Iν(0) e-αx
Dunque i fotoni che risultano essere
assorbiti all’interno della zona di svuotamento
sono soltanto Iass, piccola porzione dell’intensità
luminosa incidente Iν(0).
La zona di svuotamento deve quindi avere uno spessore ottimale, a seconda delle diverse
esigenze. Per regolarne lo spessore possiamo fare una zona p molto drogata e molto sottile, in modo
tale che la zona di svuotamento si estenda tutta nel lato n, e regolare il drogaggio della zona n. In
questo modo però risulteranno variate le resistenze serie del dispositivo.
Per poter ovviare a questi inconvenienti viene introdotto un miglioramento al diodo a
giunzione pn, che si identifica nella struttura pin:
Come è evidente dalla figura 14 è stata introdotta, in una omogiunzione, un’ampia zona
intrinseca tra una zona p fortemente drogata e sottile (in modo tale da avere in tale zona pochissimo
assorbimento) e una zona n.
Polarizzando inversamente questo oggetto, si osserva un piegamento delle bande con la
concavità rivolta verso il basso (verso l’alto) nella zona in cui vi è una carica spaziale negativa
(positiva). Mentre all’interno della zona intrinseca le bande sono rettilinee ad evidenziare
un’assenza densità di carica, ma piegate a causa del campo elettrico.
La zona utile per l’assorbimento è quella evidenziata che riguarda per la maggior parte la
zona intrinseca, ma anche le due piccole zone di svuotamento nell’n e nel p.
Con questo tipo di struttura siamo in grado di tarare a piacimento lo spessore della zona
utile.
Dal grafico della diffusione dell’intensità luminosa si ricava qual è la porzione di I ν(0) che
Pass
costituisceI Pla=Iass
nella formula della fotocorrente
q ⋅da inserire
η
hν
Dove Pass = Iass A
La potenza ottica che viene persa è quella che si estende nella testa della zona p e la coda
che arriva nella zona n, ma come volevamo questa potenza è molto esigua (anche se la figura non è
in scala).
p+
i
n
ET
x
ρ
x
Ipersa
Iass
x
Fig. 14
STRUTTURA MESA
Tale struttura viene chiamata MESA a causa della somiglianza con gli altopiani del Nuovo
Messico e dell’Arizona, vedi figura 17.
Si tratta dell’utilizzo pratico della struttura teorica del diodo PIN utilizzato per la seconda e
terza finestra; a causa della finestra di utilizzo il substrato di cui è costituito è quindi Fosfuro di
Indio.
TECNOLOGIA
p+
intrinseco
n
InGaAs
InP
Fig. 15
Sul substrato di InP di tipo n, vengono
accresciuti per epitassia uno strato intrinseco ed
uno sottile di tipo p+. Dato che lo strato
intrinseco è quello che deve assorbire va curato
anche dal punto di vista della difettosità e in
genere si utilizza il ternario corrispondente alla
linea dell’InP per evitare gli stress meccanici:
l’InGaAs. Osserviamo in fig 16 che l’InGaAs
ha un gap minore dell’energia fotonica
incidente, quindi questo ternario è in grado di
assorbire bene entrambe le luci della seconda e
terza finestra.
La struttura così ottenuta viene
sottoposta ad attacco in ambiente acido che
tolga l’InGaAs ma non l’InP, fino ad ottenere la
vera e propria struttura MESA (figura 17).
La metallizzazione viene fatta a corona
in modo tale che nella gran parte della zona p+
sia abbastanza sottile da essere trasparente alla
luce o anche del tutto assente. Il fatto che la
zona sia p+ è un ulteriore vantaggio per non
creare zone di addensamento della corrente,
ovvero tale zona si comporta come il CAP nei
laser.
Ai bordi dello strato intrinseco è necessaria la presenza di strati di passivazione di materiale
dielettrico.
A differenza di quanto
detto in realtà lo strato p+ non
viene deposto per epitassia ma è
risultato di un processo diffusivo
che non coinvolge i bordi esterni
della struttura MESA. Inoltre lo
strato intrinseco è deposto per
epitassia, non direttamente sul
substrato ma si di uno strato di
tipo n che ci funziona anche da
buffer tenendo lontane le
eventuali impurezze del substrato
stesso.
Il problema è che in un dispositivo di questo tipo, che deve essere polarizzato in inversa, deve
essere tenuta quanto più possibile bassa la corrente inversa di saturazione, che funziona da corrente
di buio in quanto tanto essa è minore, tanto migliore è la sensibilità del dispositivo.
Le diverse componenti della corrente di buio, che danno differenti contributi di rumore, sono
due: facendo riferimento alla figura 17 si ha:
•
Il contributo A, che è la classica corrente di buio presente in un dispositivo massivo ovvero
di tipo bulk, che quindi è detta IDB (CORRENTE DI DARK BULK). Riguardo alla minimizzazione
di questo contributo, poco ci possiamo fare, dato che esso dipende dal valore del gap, dalla
temperatura e da altri noti fattori.
•
La seconda componente è la B che è detta CORRENTE DI LEAKEAGE, ed è quella che
cortocircuita la giunzione PIN passando attraverso gli strati interfacciali alla superficie del
semiconduttore. Il problema sta nel fatto che alla superficie nel gap ci sono tantissime trappole ed
impurezze che non fanno altro che diminuire l’efficienza quantica. Lo scavo deve quindi essere fatto
con attacco umido ed isotropo, che porta al formarsi di questa struttura a mesa e sovrastato da uno
strato di passivazione che ha la funzione di colmare gli stati appesi dovuti all’interruzione della
struttura cristallina. Il problema è che questo non è silicio (se lo fosse basterebbe stenderci SiO 2) ma
un ternario che non ha un ossido stabile. Si utilizzano quindi ossidi deposti da fase vapore di Nitruro
di Silicio SiNx. La deposizione avviene in camere con Ammoniaca e Silano fornendo energia per
promuovere il legame, o aumentando la temperatura (con problemi per i semiconduttori) o
illuminando con raggi ultravioletti in modo tale che l’impatto con i fotoni energetici favorisca la
formazione del precipitato. Se la deposizione del dielettrico non è ottima si possono avere al suo
interno delle cariche fisse che tendono a formare nel semiconduttore uno strato di inversione. Questo
comporta la creazione di un canale, e quindi la corrente di leakeage passa attraverso questo canale.
OSSERVAZIONE
In riferimento dalla figura 16 abbiamo
visto che per lavorare in seconda e terza
finestra si usa il ternario e non il quaternario.
Perché? Prima di tutto perché il ternario è più
facile da fare del quaternario, ma anche perché
essendoci un componente di meno, c’è minore
probabilità di avere difetti di dislocazione
degli atomi che inducono la presenza di stati
all’interno del gap, il che implica la
ricombinazione che causa quindi la
diminuzione dell’efficienza quantica. Per
evitare questo si usa il ternario.
Osserviamo che l’efficienza quantica è funzione di λ, figura 18, il crollo si ha a valori di
lunghezza d’onda corrispondenti al gap, per λ maggiori (e quindi energie minori del gap) l’efficienza
quantica è bassa perché il semiconduttore non assorbe nulla.
FASE DI PROGETTAZIONE
Il problema principale è stabilire quanto
deve essere spesso lo strato intrinseco per avere
la miglior sensibilità a parità di potenza ottica
iniettata PO per la fotocorrente.
In riferimento alla figura 19, conoscendo
l’andamento della potenza ottica che diffonde
nel materiale, osserviamo che maggiore
facciamo lo strato intrinseco e maggiore è la
potenza ottica assorbita.
Ma se facciamo uno spessore troppo
ampio
abbiamo
la
grossa
controindicazione del tempo di ritardo
dovuto al transito.
Ma se lo spessore dello strato è
troppo scarso ci ritroviamo con un
oscillogramma di questo tipo, con una
salita veloce ed una lenta coda, tanto
più marcata quanto più è stretta la
zona intrinseca.
Che cosa è peggiorato?
Facendo riferimento alla figura 21 il contributo alla
fotocorrente è dovuto non solo ai fotoni che vengono
assorbiti nella zona di campo, ma anche a quelli che
vengono assorbiti nella zona neutra ad una distanza
minore o uguale a LP (lunghezza di diffusione delle
lacune nella zona n), dove c’è assenza di campo
elettrico. Questo secondo contributo è molto lento. Per
quanto riguarda invece le lacune, quelle che nascono
nella zona 2 e casualmente si incamminano verso la
zona intrinseca, non danno contributo in quanto si
ricombinano prima di arrivarci.
La lacuna che nasce nella zona 1 invece, che magari si incammina verso l’intrinseco, può venire
catturata, ed il suo contribuito si aggiunge a quello di drift, ma esso è lento.
L’eccessiva diminuzione dello spessore d ha dunque tre diverse controindicazioni:
•
la diminuzione globale della potenza assorbita nella zona di campo, a causa dell’effettiva
riduzione spaziale
•
la lentezza del contributo delle lacune create nella zona di diffusione
•
l’aumento della capacità di giunzione (C = ε A/d) che implica una diminuzione della
frequenza di taglio
Di fatto dunque è necessario scegliere una
soluzione di compromesso: detto α il coefficiente
di assorbimento la scelta tipica ricade
nell’intervallo:
2 10
÷
α α
OSSERVAZIONE
Quello che abbiamo visto fin’ora non è altro che un tipo di rivelatore, non l’unico possibile.
E’ importante sottolineare il fatto che un rivelatore non deve essere necessariamente costituito da un
semiconduttore a gap diretto, tant’è vero che i primi fotorivelatori erano fatti di Silicio.
SVANTAGGIO DELLA STRUTTURA MESA:
Abbiamo in media (grasso che cola!!!) mezza coppia lacuna elettrone per ogni fotone assorbito, dato
che l’efficienza quantica massima ottenibile è 0.5. Il che significa che la corrente è molto bassa
L’evoluzione di questo dispositivo si incammina verso dispositivi che generano un numero
maggiore di 1 di coppie elettrone lacuna, per ogni fotone assorbito.
Per farlo si sfrutta l’effetto valanga.
Si entra quindi nel campo dei
FOTOMOLTIPLICATORI
I fotomoltiplicatori sono l’equivalente del diodo a moltiplicazione nel campo dei tubi a
vuoto.
La tipica struttura è quella di
figura 23: ricordando la
struttura della figura 7 in cui
gli elettroni prodotti sul catodo
venivano raccolti sull’anodo,
anche in questo caso quello
che viene illuminato è il
catodo, ma il sistema non ha
un solo anodo, ma una catena
di anodi, ciascuno polarizzato
a tensioni elevate e via via
crescenti.
Quello che succede dopo l’arrivo del fotone sul catodo è che l’elettrone in viaggio dal
catodo verso il primo anodo viene accelerato acquistando energia, nell’impatto con l’anodo
vengono emessi per urto altri elettroni. Replicando questo processo, si riescono ad ottenere tanti
elettroni a seguito dell’assorbimento di un solo fotone.
Lo stesso principio viene applicato nel seguente dispositivo, che sfrutta la moltiplicazione a
valanga.
SAM - APD
Questo dispositivo si chiama Separated Absorbtion Moltiplication - Avalanche Photo Diode, il che
significa che si tratta di un fotodiodo che funziona tramite moltiplicazione a valanga, nel quale
vengono tenute separate spazialmente le funzioni di assorbimento e di moltiplicazione.
STRUTTURA
Abbiamo uno strato p+, uno n+ molto sottile, poi l’intrinseco, quindi l’n e l’n+ per il contatto. Il
dispositivo è composto da una giunzione pn molto drogata e da una zona intrinseca.
La funzione di questo oggetto si comprende andandolo a polarizzare inversamente.
In figura 24 viene riportato l’andamento del campo elettrico: applicando una polarizzazione
inversa abbastanza grande la zona di svuotamento viene ad interessare completamente la zona n+.
Il massimo del campo elettrico si ha in corrispondenza della giunzione metallografia, ed è tanto
maggiore, quanto più sono drogate le zone p e n.
p+
E
n+
i
n
n+
EG
EMAX
Eo
BC
BV
Fig. 24
La zona di assorbimento è sempre la zona intrinseca, mentre la zona di moltiplicazione risulta
essere la zona interessata dal p+ e dall’n+, in quanto in tale zona io riesco a superare il fatidico
punto di moltiplicazione a valanga. Si osserva quindi la separazione spaziale delle due funzioni.
Se il campo elettrico applicato supera il valore di soglia si ha la moltiplicazione a valanga, di
fatto quindi il numero di coppie lacuna elettrone che si riesce ad ottenere è proporzionale al fattore
di moltiplicazione a valanga M, valor medio di un processo aleatorio. In figura è riportato anche
l’andamento della struttura a bande.
Le condizioni ottimali di polarizzazione inversa sono quelle che prevedono drogaggi tali che il
campo elettrico massimo presente alla giunzione metallografia E G sia maggiore del campo elettrico
massimo della moltiplicazione a valanga EMAX, ma il livello di campo elettrico presente nella zona
intrinseca E0 deve essere comunque minore di EMAX, altrimenti non funziona più nulla.
Infatti, all’aumentare del campo elettrico
applicato, le bande si inclinano sempre di più
fino a promuovere il passaggio per effetto
tunnel con l’effetto di creare delle coppie lacuna
elettrone che non sono di origine fotonica: allora
nella zona di assorbimento non si deve superare
tale valore di campo elettrico.
Il fattore di moltiplicazione dipende dalla
tensione applicata secondo l’andamento riportato
in figura 25, che sembrerebbe garantire la
possibilità di realizzare un dispositivo con M
grande a piacere. Vediamo che non è così.
Consideriamo il processo in cui la luce è il nostro segnale da rivelare e quindi la fotocorrente è
il segnale utile che porta l’informazione. Abbiamo detto che il processo di fotorivelazione da solo è
un processo rumoroso, in più si sovrappongono due diversi processi aleatori anch’essi rumorosi, che
rendono imponderabile la quantità di fotoni che si aggiungono al segnale. Si parla di due diversi
processi incorrelati , in quanto abbiamo due diverse specie in grado di fare valanga: elettroni e
lacune. Comunque tanto maggiore è il fattore di moltiplicazione e tanto maggiore è la densità
spettrale di potenza del rumore.
Valori medi
Fotocorrente
IP
Corrente di dark-bulk IDB
Corrente di leakeage IL
PIN
Dens. Spettr. Pot.
2 q IP
2 q IDB
2 q IL
SAM - APD
Valori medi
Dens. Spettr. Pot.
M IP
2 q IP M2 F(M)
M IDB
2 q IDB M2 F(M)
IL
2 q IL
Ricordiamo che M è il fattore di moltiplicazione, ovvero è il numero di coppie elettrone
lacuna presenti alla fine rapportato al numero iniziale, ma è un valor medio del processo.
Nell’APD solo la corrente di bulk è affetta dalla moltiplicazione, la corrente di leakeage no.
Dobbiamo osservare che la densità spettrale di potenza della fotocorrente e della corrente di
dark-bulk nel SAM – ADP è proporzionale al valore quadratico medio ovvero il valor medio del
processo al quadrato, e non al quadrato del valor medio:
<m>= M quindi <m>2=M2
ma <m2>≠M2 dato che <m2>≥<m>2
poniamo quindi <m2>=F(M) M2
essendo F(M) il fattore di rumore in eccesso fattore importantissimo nell’APD che quantifica il
rumore introdotto in più. Drammaticamente l’F(M) è una funzione crescente di M e quindi è
opportuno valutare in fase di progetto qual è il valore ottimale del fattore M.
L’F(M) dipende dal materiale perché dipende dalle probabilità di fare valanga di elettroni e
lacune. Se le due specie hanno uguale probabilità di fare valanga allora il fattore di rumore in
eccesso è massimo. Se invece c’è una sola delle due specie che ha probabilità di fare valanga allora
il fattore di rumore in eccesso è minimo, e tendente all’unità.
L’ideale è trovare un materiale che minimizzi il fattore di rumore in eccesso avendo una sola
delle due specie di cariche con probabilità non nulla di fare valanga.
Questa condizione è irraggiungibile con i materiali singoli, ma ci viene in aiuto l’ingegneria
delle bande: viene creato un dispositivo in cui viene completamente inibita alle lacune la possibilità
di fare valanga ma essa viene promossa per gli elettroni.
Quest’oggetto è composto da un’alternanza di zone di accelerazione e di zone di
assorbimento.
La struttura viene realizzata con la tecnica del CBE, che altro non è che una specie di MBE
(epitassia a fasci molecolari) con la variante della Chemichal, ovvero con sorgenti di tipo chimico
che mi permettono di controllare bene la quantità di materiale. In questo modo ci è concesso di
realizzare una transizione graduale da un materiale ad un altro in modo tale da far variare lentamente
il gap, senza realizzare scalini.
La figura 26 mostra la struttura a bande all’equilibrio e di seguito quella in polarizzazione
inversa.
La zona 1 è composta da
InGaAs e la 2 da InGaAsP,
ma il P è aggiunto
gradualmente Sappiamo che
il primo ha gap minore del
secondo e all’aumentare della
concentrazione di P il gap
aumenta sempre di più.
Drogando il semiconduttore
di tipo p e mantenendo quindi
costante il livello ci Fermi,
abbiamo il tipo di diagramma
a bande mostrato in figura
dato che il drogaggio di tipo
p avvicina il livello di Fermi
alla banda di valenza.
Polarizzando la struttura,
le bande vengono inclinate,
ma è necessario polarizzarla
al di sopra di un certo valore
minimo (è quello che rende
piatto il pianerottolo)
prima di riuscire ad ottenere valanga, infatti dobbiamo riuscire a fare in modo che la pendenza
della BC della parte 2 risulti ad essere negativa.
In questo modo gli elettroni scendono attraverso il pianerottolo, ma in corrispondenza del
gradino quantico si ritrova ad avere molta meno energia potenziale, indicata dalla BC, e acquista
quindi una notevole energia cinetica, e acquista velocità. Da qui in poi si chiama elettrone caldo,
dato che ha una notevole energia cinetica. Da questo punto in poi può fare valanga per impatto. La
zona in cui avviene la valanga è l’inizio della zona di assorbimento.
Al contrario le lacune si ritrovano a dover risalire attraverso una struttura che non gli
consente di fare valanga, dato che la pendenza della BV è bassa.
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