mente. La ψ infatti è, secondo Born, un`ampiezza di probabilità. Il

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  ’   ψ : 
mente. La ψ infatti è, secondo Born, un’ampiezza di probabilità. Il suo
modulo al quadrato non indica una densità di carica, ma una densità
di probabilità. Quindi, nella prospettiva adottata da Born, la natura
degli oggetti quantistici è corpuscolare, ma i corpuscoli non si evolvono nel tempo secondo leggi deterministiche. Possiamo solo pesare
la probabilità che essi seguano, fra le traiettorie permesse dalle leggi
di conservazione dell’energia e della quantità di moto, una traiettoria
piuttosto che un’altra. Born scrive:
Le traiettorie di questi corpuscoli sono determinate solo nella misura in cui
sono circoscritte dalle leggi di conservazione dell’energia e della quantità di
moto; altrimenti, per il verificarsi di una certa traiettoria viene determinata
solo una probabilità attraverso i valori assunti dalla funzione ψ. Si potrebbe,
in modo alquanto paradossale, riassumere ciò nel modo seguente: il moto
delle particelle segue leggi di probabilità, ma la probabilità stessa [la ψ] evolve
in accordo con la legge causale.
Come abbiamo detto nel precedente capitiolo, un problema che affliggeva l’interpretazione realistica della ψ proposta da Schrödinger era la
dispersione del pacchetto d’onde che rappresenterebbe la particella come fenomeno ondulatorio. Ma nella prospettiva di Born, in cui la ψ è
interpretata epistemicamente, la dispersione viene semplicemente vista
come deterioramento nel tempo dell’informazione sulla posizione.
Torniamo ora a considerare l’esperienza delle due fenditure e
‘‘leggiamola’’ secondo un’interpretazione corpuscolare alla Born (cfr.
. .). Ricordiamo che in questa esperienza un fascio monoenergetico di elettroni viene fatto incidere contro uno schermo in cui sono
praticate due fenditure. A valle abbiamo poi uno schermo che ci consente di rivelare dove impattano gli elettroni dopo aver attraversato le
fenditure. Proviamo a ostruire la fenditura 1. Il risultato del conteggio
è dato da una curva P2 a campana il cui massimo è posizionato davanti
alla fenditura 2. Questo risultato non ci stupisce. Nell’interpretazione
corpuscolare il fascio di elettroni è costituito da piccoli proiettili sparati tutti con la stessa velocità contro lo schermo. I proiettili vengono
schermati, tranne quelli che si infilano nella fenditura 2 da cui escono
con una certa dispersione nella direzione (dovuta all’interazione con i
bordi della fenditura?). Ripetendo il ragionamento per la fenditura 2
otteniamo la curva a campana P1 .
Ora teniamo aperte le due fenditure. Che cosa ci aspettiamo secondo la fisica classica? Ebbene, possiamo ragionare nel modo seguente.
Metà delle particelle passeranno dalla fenditura 1, metà dalla fenditura
2. Le prime impattano sullo schermo con una distribuzione data dalla

 
 .
Risultati dei conteggi per l’esperienza delle due fenditure eseguita con elettroni
x
rivelatore
x
P1
P12
1
S
fonte di
elettroni
2
primo
schermo
(a)
P2
secondo
schermo
(b)
(c)
Fonte: Feynman, Leighton, & Sands (), vol. , pp. -.
curva P1 . Le seconde impattano sullo schermo con una distribuzione
data dalla curva P2 . Quando teniamo aperte le due fenditure avremo
una distribuzione di particelle sullo schermo data dalla somma delle
curve P1 + P2 .
Ma, come ben sappiamo dal Capitolo , i risultati sperimentali sono
in contraddizione con le aspettative classiche. Quando teniamo aperte
le due fenditure il conteggio degli elettroni che impattano lo schermo
segue una distribuzione data dalla curva P12 dove si osservano delle
frange di interferenza. In alcuni punti abbiamo un numero di conteggi
superiore alla somma di P1 e di P2 . In altri punti non abbiamo alcun
conteggio!
Rifacciamoci ora all’interpretazione di Born. La |ψ|2 ci dà la probabilità di osservare l’elettrone sullo schermo. Il fenomeno di interferenza
che abbiamo osservato è dovuto al fatto che le ampiezze di probabilità
ψ1 (l’onda che si propaga dalla fenditura 1) e ψ2 (l’onda che si propaga
dalla fenditura 2) interferiscono. In alcuni punti si ha un rafforzamento
della probabilità, in altri punti un annullamento. Si noti che la probabilità si sviluppa deterministicamente, secondo un’equazione d’onda,
mentre le particelle seguono traiettorie di cui è possibile solo prevedere
la probabilità. Alcune traiettorie sono più probabili, altre meno.

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 .
Figura d’interferenza ottenuta con elettroni singoli
Manca figura!
Gli elettroni passano attraverso uno schermo con due fenditure. a) 10 elettroni, b) 100
elettroni, c) 3000 elettroni, d) 20 000 elettroni, e) 70 000 elettroni.
Fonte: Tonomura A., Endo J., Matsuda T., Kavwasaki T. Ezawa H., Demonstration of singleelectron build-up of an interference pattern, ‘‘American Journal of Physics’’, , , pp.
-.
Si noti che, secondo l’interpretazione di Born, tutte le particelle sono
preparate nello stesso stato. Esse sono tutte sparate con la stessa velocità
e nella stessa direzione. Non c’è nulla che le distingua una dall’altra nel
loro stato iniziale. Ma la loro evoluzione temporale non è determinata
in modo univoco dalle condizioni iniziali. La meccanica ondulatoria
ci consente solo di prevedere la probabilità di una traiettoria rispetto a
un’altra. Se spariamo molte particelle otterremo infine, in accordo con
l’equazione di Schrödinger, una distribuzione data dalla curva P12 .
A questo punto sorgono spontanee alcune domande: se la ψ è una
grandezza con una interpretazione epistemica, perché ha effetti fisici?
Perché l’ampiezza di probabilità segue uno sviluppo ondulatorio? La
risposta di molti fisici (per esempio di Feynman) è che . . . la natura si
comporta così! In questa prospettiva non c’è proprio nulla da spiegare!
Dobbiamo solo accettare che le particelle evolvono in modo non deterministico (le condizioni iniziali non determinano in modo univoco
le traiettorie) e che seguono una distribuzione di probabilità regolata
da una funzione d’onda.

 
Una possibile risposta (ma, ahimè, una risposta sbagliata) consiste nel
dire che gli effetti di interferenza sono dovuti al numero elevato di particelle coinvolte. Potremmo ipotizzare che gli elettroni siano dei corpuscoli che, per qualche motivo da chiarire, manifestano un comportamento ‘‘collettivo’’ ondulatorio. Questa ipotesi era già stata avanzata da Einstein nel caso dei quanti di luce. Einstein osservava infatti che i fotoni manifestano un comportamento particellare in fenomeni in cui sono coinvolti pochi fotoni (effetto fotoelettrico, effetto
Compton ecc.), mentre manifestano un comportamento ondulatorio
in fenomeni con un elevatissimo numero di fotoni.
Questa ipotesi di Einstein era stata subito confutata nel  da
Geoffrey Ingram Taylor, che aveva eseguito l’esperienza delle due fenditure con una fonte di fotoni a bassissima intensità. In questa esperienza (si dice che si tratta di un’esperienza a ‘‘fotone singolo’’) solo
un fotone per volta è in volo dalla sorgente allo schermo. L’esperienza
durò più di tre mesi. Quando Taylor sospese l’esperienza si era formata
la figura di interferenza. ˚Le esperienze successive mostrano che la figura di interferenza si forma sempre nello stesso modo, con massimi e
minimi ben marcati, anche se si diminuisce progressivamete l’intensità
della sorgente. Occorre solo aspettare un tempo sufficiente perché la
figura di interferenza sia distinguibile. E lo stesso vale per le particelle
massive.
Si è detto che Born privilegia l’interpretazione particellare. Va anche
detto però che – come Born non manca di osservare – tale intrepretazione non può essere difesa senza ulteriori qualificazioni. Il punto
che stiamo per toccare è di cruciale importanza e ci serviremo, ancora una volta, dell’esperienza a due fenditure per illustrarlo. Il fatto è
che gli elettroni vengono rivelati come particelle all’atto della misurazione sullo schermo, ma non sembra possibile attribuire ad essi caratteristiche
particellari prima della misura. Infatti, non sembra possibile affermare
che essi percorrano traiettorie continue nello spazio fra la sorgente e
il rivelatore. Se percorressero delle traiettorie – così ragionano i seguaci dell’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica – ciascun
elettrone passerebbe o dalla fenditura 1 o dalla fenditura 2. Avremmo
quindi che il 50% degli elettroni passa dalla fenditura 1 (generando
la curva di conteggio P1 ), e il 50% passa dalla fenditura 2 (generando
la curva di conteggio P2 ). Il conteggio finale dovrebbe quindi dare la
distribuzione P1 + P2 , il che è confutato dall’esperienza. La situazione
bizzarra di fronte a cui ci troviamo può essere compendiata dicendo
che: non è vero che ciascun elettrone passa dalla fenditura 1 o dalla
fenditura 2 (in questo caso avremmo la curva P1 + P2 , e non la curva

  ’   ψ : 
P12 ); non è vero che ciascun elettrone non passa nè dalla fenditura 1
nè dalla fenditura 2 (in questo caso tutti gli elettroni sarebbero schermati); non è vero che ciascun elettrone passa sia dalla fenditura 1 sia
dalla fenditura 2 (un elettrone è sempre rivelato come una particella
concentrata nello spazio e non può trovarsi contemporaneamente in
due punti distinti).
Ecco perché l’interpretazione a disturbo del principio di indeterminazione – favorita da alcune infelici espressioni di Heisenberg – non
può essere mantenuta. Non è possibile attribuire all’elettrone ad ogni
istante una posizione e una velocità ben definite (come dovrebbe essere
se esso percorresse una traiettoria), non perché nel processo di misura
disturbiamo il micro-oggetto, ma perché una tale attribuzione è in contrasto con l’esperienza. Le esperienze relative ad effetti di interferenza
sarebbero in contrasto con l’affermazione che gli elettroni percorrono
traiettorie continue nello spazio.
Tecnicamente si dice che l’elettrone, prima della misura che avviene sullo schermo, si trova in uno stato di sovrapposizione. Cerchiamo
di capire questo aspetto matematico della meccanica quantistica. Come sappiamo l’evoluzione temporale dell’elettrone è data dalla ψ soluzione dell’equazione di Schrödinger. La ψ può essere rappresentata
come combinazione lineare di onde, ciascuna delle quali rappresenta un possible stato dell’elettrone. Lo abbiamo visto quando abbiamo
costruito un pacchetto d’onde. Allora avevamo costruito una ψ ben
localizzata nello spazio sommando onde sinusoidali che rappresentano la particella in uno stato di momento ben definito. Si dice che la
particella si trova in una sovrappopsizione di questi stati. La particella non si trova in nessuno di questi stati. La meccanica quantistica ci
dice solo qual è la probabilità che la particella si trovi – all’atto della
misurazione – in uno stato invece che in un altro. Il caso dello spin ci
può aiutare a capire. Si può dimostrare che una particella con numero quantico di spin pari a 1/2 preparata con la componente del momento angolare di spin positiva nella direzione verticale z (Sz = +1,
nella nostra notazione abbreviata) si trova in uno stato di sovrapposizione degli spin orizzontali, in modo tale che si ha il 50% di probabiltà
che venga misurato lo spin a destra (S x = +1), e 50% di probabiltà
che venga misurato lo spin a sinistra (S x = −1). La particella non
ha spin orizzontale a destra, non ha spin orizzontale a sinistra, non
lo ha sia a destra che a sinistra, e non lo ha nè a destra nè a sinistra.
Ma se misuriamo il suo spin orizzontale essa si rivelarà con uno spin
ben definito (o a destra o a sinistra). Torneremo su questi temi nel
Capitolo .

 
L’atto della misurazione fa quindi ‘‘precipitare’’ la particella da uno
stato di sovrapposizione di più stati in un ben preciso stato. Tecnicamente si dice che l’atto di misurazione fa collassare, o riduce, il pacchetto d’onde. Questa terminologia dipende da quello che avviene quando
si misura la posizione di una particella. Prima della misura la particella è rappresentata dalla |ψ|2 apprezzabilmente diversa da zero su una
regione estesa. Dopo la misura di posizione la ψ ‘‘collassa’’ nel punto
in cui la particella è rivelata, o meglio in una ragione la cui estensione
dipende dal potere di risoluzione dell’apparato di misura.
Si noti che l’atto di misurazione ha un carattere discontinuo e irreversibile. Quindi la misura interrompe bruscamente lo sviluppo deterministico e continuo della ψ, sviluppo che – come sappiamo – è previsto dall’equazione di Schrödinger. In altre parole, all’atto della misurazione la dinamica regolata dall’equazione di Schrödinger è interrotta.
Riconsidereremo il problema della misura nel Capitolo .
Queste brevi considerazioni sul problema della misura fanno sorgere spontanee quella serie di questioni che avevamo già incontrato nel
Capitolo , e che possiamo riformulare qui come segue:
• che cos’è una particella quantistica prima della sua misurazione
(ovvero, che cosa è uno stato di sovrapposizione)?
• in che senso possiamo attribuire a una particella quantistica
prima della sua misurazione delle proprietà (per esempio, quella di passare o non passare dalla fenditura 1, o quella di avere,
o non avere, momento angolare di spin orientato a destra)?
• che cosa avviene all’atto della misura?
• l’equazione di Schrödinger vale universalmente, o i processi di
misura sfuggono alla sua applicazione?
Come possiamo scoprire che cosa è un elettrone prima della misura?
Esso è una particella localizzata, o un’onda distribuita nello spazio?
Proviamo ad escogitare un trucchetto e ritorniamo all’esperienza delle
due fenditure. Abbiamo ormai eseguito l’esperienza con le due fenditure aperte e siamo rimasti sbalorditi nel vedere formarsi la figura di
interferenza. Proviamo a scoprire da che fenditura passa l’elettrone riflettendo su un divertente esperimento mentale elaborato da Richard
Feynman (cfr. . .).
Aggiungiamo una sorgente di luce all’apparato utilizzato nell’esperienza delle due fenditure. Abbiamo quindi: un ‘‘cannone’’ che spara
elettroni aventi la stessa velocità, uno schermo con due fenditure 1 e 2,
una sorgente luminosa monocromatica posta a ridosso dello schermo, e
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 .
L’esperienza delle due fenditure secondo Feynman
x
x
P'1
sorgente
1 di luce
S
fonte di
elettroni
2
A
P'2
P'12=P'1+P'2
Si tenta di scoprire da quale apertura passa l’elettrone.
Fonte: Feynman, Leighton, & Sands (), vol. , pp. -.
uno schermo sul quale posizioniamo un rivelatore che consente di eseguire i conteggi degli elettroni. Come sappiamo, i fotoni interagiscono
con gli elettroni (classicamente: le particelle cariche vengono accelerate dal campo elettromagnetico). Inizialmente usiamo una sorgente luminosa che emette fotoni con una lunghezza d’onda sufficientemente
corta da consentirci una buona localizzazione dell’elettrone : ovvero,
la lunghezza d’onda è così corta da consentirci di sapere se l’elettrone
è passato dalla fenditura 1, dalla fenditura 2, o – caso strano, ma non
da escludere – si è diviso in due . . . passando da tutte e due le fenditure! Inoltre usiamo una sorgente abbastanza intensa da consentirci
di localizzare tutti gli elettroni: ovvero, la sorgente emette nell’unità di
tempo un numero così alto di fotoni da fare in modo che nessun elettrone arrivi al rivelatore sul secondo schermo senza essere localizzato
da una collisione con un fotone, senza averci detto da che fenditura
è passato. Bene, facciamo questo esperimento. Quello che vediamo è
– per ciascun elettrone che passa dal cannone al rivelatore – un flash di
luce (dovuto alla collisione fra fotone ed elettrone) localizzato o presso
la fenditura 1, o presso la fenditura 2. Quindi l’elettrone non si divide in due. Inoltre, per ciascun elettrone possiamo stabilire da quale
fenditura è passato. Se il flash è vicino alla fenditura 1 allora vuol dire

 
che il fotone emesso dalla sorgente ha raggiunto il nostro occhio dopo una collisione con un elettrone che è passato dalla fenditura 1. Se
il flash è vicino alla fenditura 2, allora vuol dire che il fotone emesso
dalla sorgente ha raggiunto il nostro occhio dopo una collisione con
un elettrone che è passato dalla fenditura 2. Se andiamo a contare gli
elettroni passati da 1 e quelli passati da 2, otteniamo le due curve di
conteggio P1" e P2" . Il conteggio totale degli elettroni rivelati sul secondo schermo è dato dalla curva P12" , che non è altro che la somma di
P1" e P2" . L’introduzione della sorgente di luce nel nostro apparato ha
distrutto le frange di interferenza osservate in precedenza! Gli elettroni
– ora che abbiamo escogitato un trucchetto per capire da quale fenditura passano – si comportano come particelle classiche! Lo strano
comportamento ondulatorio caratteristico della particelle quantistiche
se ne è andato via.
L’obiezione che a questo punto si potrebbe sollevare è che la fonte di
fotoni ha disturbato il cammino degli elettroni, ed ha quindi cancellato
il loro comportamento ondulatorio. Proviamo a diminuire il disturbo
dovuto all’interazione fra fotone ed elettrone. Abbiamo due strade: o
diminuiamo l’intensità della sorgente luminosa, o diminuiamo l’energia dei fotoni. Nel primo caso utilizziamo una sorgente che emette,
nell’unità di tempo, un numero inferiore di fotoni (tutti della stessa
lunghezza d’onda). In questo caso alcuni elettroni riescono a passare
dal cannone al rivelatore posto sul secondo schermo senza interagire
con alcun fotone. Eseguiamo, dunque, questa esperienza. Che cosa vediamo? Ebbene, per alcuni conteggi osserviamo un flash in prossimità
di una delle due fenditure (l’elettrone ha avuto una collisione con un
fotone) e – in coincidenza – registriamo un click del contatore di elettroni. Per altri conteggi non osserviamo alcun flash, ma solo il click
del contatore di elettroni (l’elettrone non ha avuto una collisione con
un fotone). Che forma ha la curva che rappresenta il conteggio totale degli elettroni? Ebbene, essa presenta delle frange di interferenza,
ma queste sono meno marcate. Per capire questo risultato possiamo
dividere gli elettroni in due classi: elettroni che hanno avuto una collisione con un fotone (chiamiamoli ‘‘elettroni flash-click’’) , ed elettroni
che non hanno avuto una collisione con un fotone (‘‘elettroni click’’).
Ora, gli elettroni flash-click si comportano come particelle classiche, e
non danno luogo a frange di interferenza (curva di conteggio del tipo
P12" ), mentre gli elettroni click hanno un comportamento ondulatorio,
e danno luogo a frange di interferenza (curva di conteggio del tipo P12 ).
La somma di queste due curve è appunto la curva di conteggio totale

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nella quale le frange di interferenza della P12 vengono ‘‘sporcate’’ dalla P12" . Diminuendo l’intensità della sorgente, le frange di interferenza
tendono a mettersi in evidenza.
Abbiamo detto sopra che possiamo cercare di diminuire il disturbo,
causato dall’impatto dei fotoni con gli elettroni, diminuendo l’energia
dei fotoni. Questo significa che, per le relazioni di de Broglie-Einstein
([.] e [.]), dobbiamo usare una luce più ‘‘rossa’’ (dobbiamo, cioè,
usare fotoni con una lughezza d’onda maggiore). Ma anche questa strada porta alla comparsa di frange di interferenza. Infatti, se aumentiamo
la lunghezzo d’onda del fotone, diminuisce la nostra informazione sulla
localizzazione dell’elettrone (abbiamo un apparato di misura di posizione con un potere di risoluzione inferiore). In pratica, otteniamo dei
flash sempre meno localizzati in prossimità di una delle due fenditure
e, per una lunghezza d’onda comparabile alla distanza delle due fenditure, otteniamo un flash così esteso da non cosentirci la localizzazione
della fenditura da cui passa l’elettrone. Ebbene, man mano che diminuiamo l’energia dei fotoni (aumentando la loro lunghezza d’onda),
vediamo comparire le frange di interferenza. Quando perdiamo informazione sulla fenditura da cui è passato, l’elettrone si comporta come
un’onda, dando luogo alle caratteristiche frange di interferenza.
Da questo esempio, dovuto a Feynman, si deduce che l’atto di misurazione della posizione fa comportare l’elettrone come corpuscolo.
Se, invece, non misuriamo la posizione, l’elettrone si comporta come
un’onda. Il comportamento delle particelle quantistiche sembra, dunque, in qualche modo influenzato dalle procedure di misura, ed è su
questo tema che si concentrò l’attenzione di Bohr, quando formulò
il ‘‘principio di complementarietà’’, al quale sarà dedicato il prossimo
capitolo.
Si potrebbe pensare che tutto ciò sia dovuto al disturbo indotto dall’atto di misurazione, dall’interazione fra apparato di misura e microoggetto. Ma, come vedremo meglio in seguito nei Capitoli  e ,
esistono una serie di tecniche (esperienze negative, misurazioni di particelle entangled (effetto EPR)) con cui possiamo misurare un’osservabile di una particella senza disturbarla, senza che vi sia una interazione
che comporta uno scambio di energia fra rivelatore e particella. D’altronde il fatto che nell’esperienza di Feynman le frange di interferenza
ricompaiono esattamente quando il potere di risoluzione è tale da non
consentire l’informazione sul cammino percorso dalla particella fa sospettare che ci sia qualcosa di più profondo e misterioso, qualcosa che
ha che fare con l’informazione che il dispositivo sperimentale riesce ad
estrarre dal sistema microfisico.
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