Onde di probabilità

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Onde di probabilità
Si è visto ( particelle e pacchetti d’onda) che può essere data la descrizione ondulatoria di una
particella, riferendosi ad un pacchetto d’onde.
Dal punto di vista matematico, se in una regione di spazio di volume  V è presente in un
certo istante un’onda , la quantità
p = |  | 2 V
(1)
rappresenta la probabilità di trovare in quella regione e in quell’ istante la particella a cui
l’onda è associata.
La quantità |  | 2 è detta densità di probabilità.
Le onde a cui si fa riferimento non appaiono pertanto come oggetti fisici, associabili a una
grandezza misurabile, come per esempio l’ energia, ma si riducono a enti puramente
matematici utili per descrivere statisticamente il moto di una particella.
Consideriamo, per esempio, la riflessione parziale della
luce: un raggio luminoso che incide su un corpo
trasparente si divide in un raggio riflesso e uno trasmesso
le cui intensità relative dipendono dall’angolo
d’incidenza. Esaminato in base alla teoria ondulatoria
della luce il fenomeno non presenta difficoltà
d’interpretazione. Se invece consideriamo il raggio
luminoso come uno sciame di fotoni, sorge una difficoltà:
poiché un fotone è indivisibile, in corrispondenza della
superficie del corpo, esso verrà o riflesso interamente o
trasmesso interamente; bisogna allora ammettere che dei
vari fotoni incidenti alcuni vengano riflessi e altri no,
anche nell’ipotesi che tali fotoni siano tutti eguali e
incidano tutti esattamente nelle stesse condizioni.
La meccanica quantistica non ci spiega perché un certo fotone viene riflesso e un altro, nelle
stesse condizioni, viene trasmesso: ci dice soltanto con quale probabilità avverrà una cosa,
oppure l’altra. Infatti quando il fotone giunge sulla superficie del corpo trasparente, l’onda
associata si divide in un’onda riflessa r e in una trasmessa t. Le rispettive intensità |r| 2 e
|t| 2 sono proporzionali alla probabilità che il fotone venga, rispettivamente, riflesso o
trasmesso. In altre parole, se inviamo n fotoni, con n molto grande, il rapporto fra il numero
nr di quelli riflessi e il numero nt di quelli trasmessi sarà dato da:
r
nr

(2)
2
nt
t
Naturalmente, se n non è abbastanza grande, il rapporto n r / n t potrà risultare sensibilmente
diverso dal valore dato dalla (2): nel caso estremo, ossia per un solo fotone, si ha nr = 0,
oppure nt = 0, il che corrisponde, rispettivamente, ad un’intensità nulla del raggio riflesso o di
quello trasmesso. In pratica il numero dei fotoni che compongono un raggio di luce, anche
d’intensità assai piccola, è sempre molto grande e pertanto l’intensità dei due raggi non si
discosta sensibilmente dai valori previsti dalla teoria ondulatoria della luce.
2
In conclusione, viene messo in evidenza l’aspetto corpuscolare del fenomeno quando
consideriamo un singolo fotone, mentre prevale l’aspetto ondulatorio quando studiamo il
comportamento di molti fotoni.
La stessa cosa vale per gli altri fenomeni legati alla propagazione della luce, come la
diffrazione, l’interferenza e la polarizzazione.
Nel caso dell’interferenza degli elettroni, vediamo che l’onda  associata all’elettrone
uscente dalla sorgente di elettroni, si riduce, al di là delle fenditure, a due onde 1 e  2 che
danno origine a una figura di interferenza.
L’onda risultante dalla sovrapposizione sarà data da  = 
pertanto
 = | 1 +  2 | 2 .
1
+
2
e la sua intensità sarà
(3)
Questa espressione dà la probabilità che un elettrone giunga in un generico punto del
rivelatore. Tale probabilità è alta dove si ha interferenza costruttiva, pressoché nulla dove si
ha interferenza distruttiva ; ciò significa che alla fine dell’esperimento, i contatori posti in
corrispondenza dei massimi d’interferenza avranno registrato molti elettroni, mentre quelli
posti in vicinanza dei minimi ne avranno registrati assai pochi.
Naturalmente, poiché il singolo elettrone viene rivelato in un punto preciso, per osservare la
formazione delle figure d’interferenza, è necessario compiere l’esperimento con molti
elettroni; anche in questo caso, quindi, l’aspetto ondulatorio del fenomeno si manifesta
quando il numero di particelle è abbastanza grande.
A differenza dell’esperimento con i fotoni, tuttavia, il risultato ottenuto è del tutto diverso da
quello previsto dalla fisica classica.
Immaginiamo, infatti, di ripetere 1’esperimento usando, al posto degli elettroni, proiettili di
fucile sparati a caso in tutte le direzioni; in questo caso è evidente che la probabilità che un
proiettile giunga in un certo punto è data semplicemente dalla somma della probabilità che
esso giunga attraverso la fenditura 1 e della probabilità che giunga attraverso la fenditura 2.
In altre parole, dette | 1 |
| | 2 sarà allora data da:
2
e |  2 | 2 le rispettive densità di probabilità, la densità totale
| | 2 = | 1 | 2 + |  2 | 2
(4)
Come si vede, la densità di probabilità “classica”, a differenza di quella “quantistica”, non dà
origine a figure di interferenza in quanto le componenti  1 e  2 nel caso classico
vengono prima elevate a quadrato e poi sommate.
Dobbiamo allora concludere che i singoli elettroni non si comportano come i proiettili di
fucile e, più in generale, come le particelle della fisica classica.
Questo fatto può anche essere accettato, in quanto non è difficile ammettere che leggi
ricavate osservando fenomeni che avvengono su scala macroscopica, come il moto di un
proiettile, possono cessare di valere su scala microscopica: un elettrone può essere un oggetto
molto diverso da un proiettile di fucile. Se però esaminiamo più attentamente l’esperimento
d’interferenza con elettroni arriviamo a conclusioni che non soltanto sono incompatibili coi
concetti della fisica classica, ma appaiono in contrasto con lo stesso senso comune.
Infatti, anche ammesso che l’elettrone sia una particella e che l’onda ad esso associata
descriva, sia pure in modo statistico, un complicato processo microscopico, peraltro
sconosciuto, che determina il suo moto, ha senso chiedersi “con che cosa” interferisce un
certo elettrone.
Poiché un pennello di raggi catodici è in genere formato da molti elettroni, così come un
raggio di luce è formato da molti fotoni, potremmo pensare che l’interferenza avvenga fra le
varie particelle presenti in un certo istante nello spazio compreso fra la sorgente e il
rivelatore.
Tuttavia questa spiegazione è errata.
Infatti l’interferenza avviene fra le due onde  1
e 2
generate dalla diffrazione
attraverso le due fenditure e associate alla stessa particella; in altre parole, ogni elettrone,
interferisce con se stesso.
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