Aristofane sottosopra

annuncio pubblicitario
Aristofane sottosopra.
Quaderni di Storia n.61, gennaio - giugno 2005, pp. 283-302.
1. Oxford, Magdalen College, 16 settembre 2004. Il pubblico dell’Auditorium vede
comparire sul grande schermo un curioso disegno: una rana che emerge da un vaso greco,
come affacciata a un davanzale, reggendo in una zampa un bicchiere da cocktail, nell’altra
un libro. Siamo in un antico college inglese, ad un convegno internazionale di studi classici.
E l’immagine citata –a prima vista fuori contesto– è la locandina di un musical, The Frogs,
in scena in questi stessi giorni a New York (al Lincoln Center, Vivian Beaumont Theater,
dal 22 giugno al 10 ottobre 2004).
“Un musical nuovo e attuale, che viene dal passato” –recita il programma dello
spettacolo– e ancora “Il tempo è il presente, il luogo è l’antica Grecia”. A dire il vero,
scopriamo, il musical come tale compie trent’anni (la prima versione è del 1974) e ha più di
venticinque secoli la commedia di Aristofane -Le rane- che è alla base del testo
“liberamente tratto da Burt Shevelove, e ancor più liberamente adattato da Nathan Lane”1. E
proprio per la storia complessa del testo –su cui torneremo– possiamo annoverare il musical
tra i più importanti e longevi rifacimenti aristofanei negli Stati Uniti, se non nel mondo.
Facciamo un passo indietro: è un dato di fatto che la commedia antica, e non solo
Aristofane, sia stata in passato ‘discriminata’ da pubblico e critica rispetto alla tragedia. In
anni recenti, tuttavia, adattamenti e allestimenti aristofanei si sono vistosamente moltiplicati
e in particolare alcune commedie cosiddette ‘pacifiste’ sono tornate d’attualità –verrebbe da
dire “tristemente”– per i conflitti in atto in tutto il pianeta2.
È dunque più che comprensibile che l’APGRD (Archive of Performances of Greek
and Roman Drama) dedichi proprio ad Aristofane il suo terzo convegno internazionale,
organizzato in collaborazione con l’Università di Oxford e il Network Europeo di Ricerca
sui Teatri Antichi. E già sulla carta è ampiamente prevedibile l’impostazione del convegno,
poiché le componenti spettacolari del teatro antico sono da sempre oggetto privilegiato di
studio dell’APGRD e i suoi fondatori sono particolarmente attenti alle implicazioni
politiche, ideologiche e sociali delle interpretazioni moderne dei classici3. Non a caso,
infatti, il sottotitolo del convegno rimanda esplicitamente alle ‘rappresentazioni antiche e
moderne’ delle commedie, o meglio di una selezione di commedie4.
1
“A comedy written in 405 B.C. by Aristophanes. Freely adapted by Burt Shevelove. Even more freely
adapted by Nathan Lane. Music and Lyrics by Stephen Sondheim. Direction and Choreography by Susan
Stroman” recita il programma dello spettacolo. Locandina, foto e recensioni sono visibili on-line (Lincoln
Center Theater Review, www.lctreview.org. Cf. anche il sito Lincoln Center Theater, http://www.lct.org).
2
Basti qui citare la mobilitazione internazionale contro la guerra in Iraq nota come Lysistrata Project, che nel
marzo 2003 ha registrato migliaia di rappresentazioni della stessa commedia in contemporanea in tutto il
mondo: da Londra (con l’anteprima del testo di Tony Harrison) alla California (con il coinvolgimento di star
del cinema come Julie Christie e Sean Penn).
3
Si vedano ad esempio le pubblicazioni curate dai membri dell’APGRD: Dionysus Since 69: Greek Tragedy
at the Dawn of the Third Millennium, a cura di E. HALL, F. MACINTOSH e A. WRIGLEY, Oxford, Oxford
University Press, 2004 e E. HALL-F. MACINTOSH, Greek Tragedy and the British Stage, 1660-1914, Oxford
University Press, 2005 (in corso di pubblicazione).
4
Il titolo completo del convegno è “Aristophanes Upstairs and Downstairs: Peace, Birds, and Frogs in
Ancient and Modern Performance”, Magdalen College, Oxford, 16-18 Settembre 2004. Gli atti dei primi due
convegni –Medea (1998) e Agamennone (2001)- sono rispettivamente già pubblicati (Medea in Performance,
1500-2000. E. HALL, F. MACINTOSH e O. TAPLIN, Oxford, Legenda, 2000) e in corso di pubblicazione
1
Quest’ultimo punto richiede però una precisazione, preliminare alla cronaca del
convegno: l’attenzione del comitato scientifico si concentra su tre commedie, Pace, Uccelli
e Rane, accomunate dalla presenza di una dimensione ‘ultraterrena’, infera o celeste (cui
allude il bizzarro titolo del convegno5). Questa scelta può tuttavia costituire una sfida
difficile per i relatori, se non una limitazione, considerata la storia delle rappresentazioni
aristofanee nei rispettivi Paesi di provenienza.
In linea generale infatti molti allestimenti e adattamenti di Aristofane –specie se
mirati a una critica sociale o politica– tendono a ‘tradurre’ nel proprio contesto alcuni tratti
dell’originale, privilegiando quelli ‘locali’ –come lo psògos e la caricatura– nonostante le
difficoltà inevitabili che la trasposizione comporta. Nell’opinione comune, dunque,
sembrerebbero prestarsi poco ad attualizzazioni e adattamenti proprio le commedie
contraddistinte da un’ambientazione in apparenza più lontana dalla realtà ateniese, e più
marcatamente segnate dalla fantasia comica o –per dirla con un termine ormai sin troppo
usato, almeno in Italia– dalla cosiddetta ‘utopia’.
Per tali motivi preferiamo privilegiare –nella cronaca del convegno– le poche
relazioni che raccolgono la sfida del titolo e si concentrano sugli allestimenti delle tre
commedie in questione nel periodo o nel Paese di cui si occupano. L’analisi di singoli casi,
peculiari o esemplari, non solo offre maggiori spunti alla discussione –come si vedrà– ma
risulta di grande interesse dal nostro punto di vista, che è ovviamente di una parte in causa.
Dal confronto tra le relazioni potremo poi trarre alcune conclusioni personali sulla moderna
ricezione e rappresentazione di Aristofane, in particolare in Italia.
2. Il programma del convegno –riportato in appendice– fornisce già di per sé un
quadro prezioso dello ‘stato dell’arte’ in molti Paesi del mondo. Ma è un mosaico
composito e non omogeneo dove ciascuno dei relatori, nel prospettare la situazione attuale o
nel fornire retrospettive storiche, procede con diverso metodo ed evidenzia i tratti specifici
del proprio contesto. Del resto l’internazionalità dei relatori e la molteplicità dei punti di
vista è senza dubbio il punto di forza del convegno: lo studio aristofaneo si declina in molte
competenze specifiche e di differente origine –estese di volta in volta ai vari ambiti della
interpretazione, riscrittura, traduzione e tradizione– e non di rado dai risvolti ‘ideologici’.
La discussione dopo gli interventi, non a caso, è sempre molto accesa –Aristofane riesce
sempre a scuotere le nostre presunte certezze e a riservare sorprese– e prosegue
regolarmente negli intervalli e negli spazi comuni del college, dove si mischia a temi
contemporanei quali le imminenti elezioni americane.
Fra i molti temi da approfondire, emersi da relazioni e discussione, vi sono i legami
sottili e talvolta insospettabili tra Aristofane e gli autori successivi, o la maggior fortuna di
alcune commedie rispetto ad altre in certe aree geografiche o momenti storici o presso
(Agamemnon in Performance, 458 B.C.-2002 A.D., a cura di F. MACINTOSH, P. MICHELAKIS, E. HALL e O.
TAPLIN, Oxford, Oxford University Press, 2005). Anche gli interventi di questo terzo congresso dovrebbero
confluire in un volume di prossima pubblicazione. Per l’elenco aggiornato delle pubblicazioni e delle attività
si veda il sito dell’APGRD: http://www.apgrd.ox.ac.uk.
5
Il titolo, scelto da Peter Brown, è ispirato a una celebre serie televisiva britannica, “Upstairs, Downstairs”,
trasmessa in Europa e negli Stati Uniti dal 1971 al 1974 e contraddistinta da un’accurata ambientazione
storica e sociale: nella Londra d’inizio secolo (dal 1903 al 1930 circa) la stessa casa ospita una famiglia della
upper class al piano di sopra e la servitù al piano di sotto (si veda per la sinossi e maggiori dettagli il sito
http://www.updown.org.uk). Come termine di confronto recente si può richiamare il film “Gosford Park” di
Robert Altman, del 2001, dove servitù e nobiltà sono ritratti nei rispettivi alloggi, a due distinti piani di una
tenuta di campagna inglese.
2
determinati autori. Così ad esempio l’indagine di EWEN BOWIE mette in luce l’ispirazione
aristofanea rintracciabile in Luciano e Antonio Diogene, e gli influssi di cui a loro volta si
fanno portatori. O ancora MATTHEW STEGGLE evidenzia la fortuna di Aristofane in età
rinascimentale e presso alcuni drammaturghi inglesi –in particolare Ben Jonson– che lo
adottano a modello di critica sociale (e tuttavia –come si sottolinea poi nella discussione–
tra tutte le commedie la più letta e imitata è il Pluto, ossia quella meno contraddistinta da
satira e psògos). Restando in ambito britannico, inoltre, il convegno ospita anche diversi
autori di traduzioni e adattamenti inglesi da Aristofane: MICHAEL SILK e SEAN O’BRIEN
espongono rispettivamente le proprie linee guida e portano esempi del loro modus operandi;
poi il commediografo MIKE POULTON con due attori legge in anteprima alcuni esilaranti
dialoghi dei suoi Uccelli (trasposti efficacemente nell’Inghilterra moderna, anzi a Leeds
nello Yorkshire, dove dovrebbero andare in scena al Northern Broadside Theatre).
Al di fuori del Regno Unito, ma sempre nell’ottica della performance, BETINE VAN
ZYL SMIT fornisce una rassegna esaustiva delle moderne produzioni aristofanee in
Sudafrica. Tra le molte versioni in afrikaans e in inglese –in gran parte circoscritte ad ambiti
universitari e elitari– spicca un adattamento degli Uccelli in zulu (Izinyoni, di Themi Gwala,
Casa cinema, Port Shepstone, 1974). A quanto pare qui in linea generale non si mette in
luce tanto l’ambiguità dell’originale aristofaneo –dove la promessa di libertà e sovranità può
celare una nuova dittatura– quanto piuttosto le associazioni simboliche immediate connesse
alla natura del coro e all’ambientazione, che si prestano a incarnare l’aspirazione alla libertà
e la ribellione all’apartheid e hanno maggior presa sulla popolazione segregata nei ghetti.
E tuttavia la metamorfosi più singolare, sempre in merito agli Uccelli, è forse quella
analizzata da GONDA VAN STEEN (Università dell’Arizona). Si tratta di un caso ben noto, e
tuttavia capace di riservare sorprese: la lunga e complessa storia di uno spettacolo di
Karolos Koun –gli Uccelli del 1959– dall’iniziale censura fino alla moderna consacrazione.
La Van Steen comincia col ricordare la profonda crisi economica e politica della Grecia
nell’immediato dopoguerra; in questo contesto viene concepita l’astuta operazione di
marketing che si nasconde sotto il marchio “Made in Greece”: si decide a tavolino di
‘esportare’ il teatro greco –o meglio alcune selezionate tragedie– e sfruttarlo come ‘capitale
culturale’ (citando Pierre Bourdieu). L’intento dichiarato è promuovere l’immagine della
Grecia all’estero e incentivare il turismo straniero, ma ancor più vitale è la ricerca di aiuti
economici e sostegno politico, specie negli Stati Uniti, in funzione ‘anti-comunista’.
Aristofane, naturalmente, al contrario dei tragici non si presta affatto a simili operazioni; è
anzi accuratamente occultato come merce scomoda, potenzialmente pericolosa e
controproducente.
In simili condizioni matura e scoppia il ‘caso’ degli Uccelli di Koun. Pietra dello
scandalo è in apparenza l’ormai celebre scena in cui il venditore di oracoli veste i panni di
un prete ortodosso e canta i versi aristofanei sul motivo di una litania liturgica. La scena
viene accolta da fischi e applausi, rispettivamente da conservatori e progressisti, e le
rappresentazioni sono immediatamente sospese. Le polemiche che seguono mostrano bene i
veri motivi della censura, al di là delle accuse ufficiali di blasfemia e sacrilegio. Lo
spettacolo, sotto il vessillo della libertà dell’arte, diventa simbolo dello scontro politico in
atto. In un clima via via più acceso vengono ‘schedati’ come sovversivi non solo il regista e
il traduttore, ma lo stesso commediografo antico (subito ribattezzato ironicamente
aristerophanes, cioè “colui che si rivela di sinistra”).
Gli anni successivi vedono Koun impegnato in una lunga tournée all’estero, bandito
dalla Grecia sotto i colonnelli, accolto come un trionfatore nei maggiori teatri greci 3
all’indomani del regime- e infine avviato alla definitiva consacrazione. Ben presto lo
spettacolo diventa a sua volta un ‘classico’ autoreferenziale che cita se stesso: talvolta lo fa
esplicitamente e con ironia (in una recente rappresentazione Pistetero dice al sacerdote –e
idealmente al pubblico- “Tu sei troppo giovane per ricordare cosa ci hanno fatto vent’anni
fa!”). Talvolta però l’eccessiva reverenza verso il Maestro finisce col trasformare le sue
regie –riproposte ‘filologicamente’ da decenni– in veri e propri pezzi da museo o perfino
reliquie da venerare. Si arriva così a una sorta di paradosso: l’irriverente parodia,
sopravvissuta alla censura e vessillo di trasgressione, finisce coll’incarnare la tradizione
consolidata. Non a caso è oggi riprodotta su un francobollo l’effigie di Aristofane: è ormai
simbolo acquisito del patrimonio nazionale greco e perfettamente integrato in quel capitale
culturale da cui pochi decenni fa era del tutto bandito6.
3. All’intervento citato se ne possono accostare altri due, per certi versi analoghi, che
analizzano allestimenti significativi di un’altra commedia oggetto del convegno –la Pace–
nel contesto storico del proprio Paese d’origine (rispettivamente la Francia e la Germania).
MALIKA HAMMOU sottolinea la predilezione dei registi francesi del Novecento per la
commedia del 421, e la riconduce a precise condizioni storiche. La tendenza a ‘politicizzare’
Aristofane sembra comune ai registi dei principali allestimenti della Pace, che si
intensificano in corrispondenza di guerre e crisi politiche, nazionali e mondiali: dopo
l’esordio con Dullin nel dicembre 1932 –poco prima dell’ascesa di Hitler a Weimar– le
regie di Vilar nel ’61, Fontayne e Vitez nel ’62, Maréchal nel 1969 e poi nel 1991
richiamano rispettivamente le guerre in corso in Algeria, in Vietnam e in Iraq. Al tempo
stesso sono però rilevabili differenze anche notevoli fra le rappresentazioni, incluse quelle
tra loro contemporanee o firmate dallo stesso regista in anni successivi. Soprattutto le scelte
testuali da parte dei singoli traduttori o registi –che sempre più spesso lavorano fianco a
fianco su un testo creato appositamente per lo spettacolo– sono ben evidenziate dalla
relatrice, grazie anche alla sua personale esperienza7.
In ambito tedesco, invece, l’attenzione di BERND SEIDENSTICKER (Freie Universität,
Berlino) si concentra sul sensazionale successo della Pace del 1962, scritta da Peter Hacks e
diretta da Benno Besson. Dopo il debutto e la tournée trionfale in Europa lo spettacolo calca
le scene della Repubblica Democratica Tedesca per ben venticinque anni (tra il 1962 e il
1987 si registrano 40 produzioni e 716 allestimenti)8. Si tratta senza dubbio di un casorecord, tanto più sorprendente perché assolutamente isolato (nella storia delle
rappresentazioni in Germania, precedenti e successive, Aristofane è pressoché ignorato
tranne pochissime eccezioni, tra cui spicca una Pace diretta da Max Reinhardt nel 1908,
nello stesso Deutsches Theater dove poi debutteranno Hacks e Besson).
6
Si vedano anche G. VAN STEEN, Venom in Verse. Aristophanes in modern Greece, Princeton, Princeton
University Press, 2000 (in particolare il quarto capitolo, pp.124-189) e il volume in corso di pubblicazione
Playing by the Censors’ Rules? Classical Drama Revived under the Greek Junta (1967-1974).
7
Malika Hammou (Maître de conférences di lingua e letteratura greca all’Università di Toulouse II, dove ha
curato nell’ottobre 2004 una giornata di studi sulle letture antiche di Aristofane), ha collaborato alla
drammaturgia di vari allestimenti ed è tra l’altro autrice con Irène Bonnaud di un’Antigone attualmente in
tournée in diversi teatri francesi (si veda a riguardo http://www.theatre-manufacture.fr).
8
Anche in seguito, malgrado il successo di Besson, Aristofane non gode di buona fama in Germania: negli
anni successivi si contano poche produzioni di Lisistrata, e una sola della Pace, nel 50° anniversario di
Reinhardt, per la regia di Rudolf Sellner e la traduzione di Wolfgang Schadewaldt (Festival di Schwetzingen,
Darmstadt, Berlino e Fiera mondiale di Bruxelles).
4
Le ragioni di tale successo sono da ricercare senz’altro nel particolare contesto
storico e geopolitico –Berlino e la Germania divisa dal muro– ma anche nella libera
reinvenzione di Aristofane da parte di drammaturgo e regista, che accentuano i tratti più
gioiosi e liberatori presenti nel testo, come i giochi scatologici e sessuali, e sfruttano bene le
potenzialità allegoriche dell’originale. Lo stesso Hacks giustifica i suoi interventi sul testo
affermando a più riprese che una fedeltà sostanziale ad Aristofane implica un ‘tradimento’
formale: è dunque non solo legittimo, ma necessario, ‘aggiornare’ i suoi testi per poterne
rispettarne lo spirito comico e perpetuare l’efficacia della satira.
A tale riguardo tuttavia Seidensticker nota giustamente che le allusioni al presente
aggiunte nel testo sono in realtà indirette e limitate (d’altronde in quel contesto il pubblico
le coglieva al volo, senza bisogno di introdurre riferimenti espliciti). Anziché attaccare
direttamente il potere, inoltre, Hacks sembra piuttosto blandire i vertici della burocrazia
chiedendo di allentare il rigido controllo sull’artista, cioè su se stesso, e accogliere con
benevolenza le sue licenze. La strategia a posteriori si rivela vincente per entrambi, regista e
drammaturgo: lo spettacolo segna la consacrazione ai vertici del teatro della RDT e il
definitivo affrancamento dalla scuola di Brecht (anche se dal nostro punto di vista
l’impronta brechtiana è riconoscibile nella drammaturgia e nell’allestimento, a giudicare
dalle testimonianze rimaste, come pure nella scelta stessa della Pace, la più didascalica e
allegorica delle commedie anche a giudizio del relatore). In ogni caso la sorte dello
spettacolo sembra seguire quella della RDT, poiché non si registrano repliche nella
Germania riunificata (se si eccettua una riproposizione con varianti portata in scena a
Recklinghausen nel 2001 dalla figlia di Besson, l’attrice e regista Katharina Thalbach, per
festeggiare l’ottantesimo compleanno del padre).
4. Ben più longevo, per contrasto, ci appare il musical newyorkese The Frogs citato
in apertura: ne dà il resoconto con verve e intelligenza una spettatrice d’eccezione, MARYKAY GAMEL, docente e coordinatrice del gruppo teatrale all’Università di Santa Cruz,
California (dove dirige regolarmente spettacoli classici e adattamenti tra cui “The JulieThesmo Show”, dalle Tesmoforiazuse di Aristofane, prodotto nel 2000). Dapprima
ripercorre la storia dello spettacolo, dal 1974 a oggi, con l’aiuto di brani testuali e
audiovisivi (i testi delle canzoni e le splendide musiche di Steven Sondheim restano forse il
maggior punto di forza del musical). Le successive versioni del testo vengono poi sottoposte
a un puntuale confronto sul piano drammaturgico e registico, che evidenzia via via le
diverse tecniche di attualizzazione adottate.
Già il primo adattamento di Shevelove, in particolare, ‘trasforma’ Eschilo e Euripide
in due poeti moderni, rispettivamente Shakespeare e Shaw, e di conseguenza costruisce la
gara poetica sulle citazioni più note delle loro opere. E tuttavia, nota giustamente la Gamel,
rispetto a trent’anni fa lo spettatore medio di oggi probabilmente stenta a capire le sottili
differenze di poetica e stile che rendono godibile la parodia. Per maggiore efficacia si
sarebbero dovuti contrapporre, a suo avviso, due drammaturghi contemporanei –o registi o
attori– di opposte tendenze ideologiche e magari anche politiche, visto l’orientamento dello
spettacolo odierno. Se infatti il testo del 1974 era privo di spunti d’attualità –fatto alquanto
singolare considerata l’epoca– la nuova versione riveduta e corretta intende sì divertire il
raffinato pubblico newyorkese, ma anche stuzzicarlo e farlo riflettere. Questa almeno è in
sintesi la dichiarazione d’intenti dell’attore Nathan Lane, autore dell’adattamento ed
5
interprete di Dioniso: quando i leader politici ci conducono in guerra per motivi faziosi,
allora ad Atene come oggi, la poesia e l’arte hanno il compito di indicare una via d’uscita9.
“Mi pare un wishful thinking” -commenta la Gamel– «pensare che l’artista oggi possa
realmente influire sugli eventi politici (anche ammettendo che Aristofane si proponesse di
condizionare la politica del tempo, e che ciò avvenisse negli anni Settanta)». Saremmo anzi
indotti a supporre il contrario, ripensando alla storia delle Rane dal 405 a oggi, dal disastro
di Egospotami o alle recenti mobilitazioni –contro la guerra in Iraq e la rielezione di Bush–
da parte di artisti, musicisti, attori e registi, Michael Moore in testa. Vero è che simili
iniziative hanno un pubblico molto limitato –sottolinea la Gamel– e in questo specifico caso
il primo fattore di selezione è il costo elevato del biglietto, novanta dollari, che rivela
chiaramente il target di riferimento: la produzione del musical, che deve fare
necessariamente i conti con le esigenze di bilancio, non si propone certo spettacoli di massa
a prezzi ‘popolari’. E tuttavia –conclude– restano apprezzabili le buone intenzioni degli
autori e la pur blanda satira –insolita per un musical di Broadway– che riesce comunque a
suscitare risate e polemiche nel surriscaldato clima pre-elettorale10.
Le polemiche del resto non mancano in un’altra rappresentazione delle Rane –anche
qui alla vigilia di elezioni, questa volta siciliane– nel maggio 2002. FRANCESCA SCHIRONI
racconta come il debutto di Luca Ronconi al Teatro Greco di Siracusa venga contestato per
motivi puramente formali, senza essere affatto nella sostanza uno spettacolo di satira
politica: un caso esemplare della sorte di Aristofane in Italia, considerato dai più “a poet
without gravity”, come mostrano altri allestimenti italiani delle tre commedie11.
Nell’occasione specifica, non a caso, Ronconi si guarda bene dall’intervenire sul testo, ma
per richiamare il presente si limita ad ‘aggiornare’ la scenografia e delimitare l’orchestra
con grandi manifesti pseudo-elettorali, che ritraggono esponenti della maggioranza in uno
stile che ricorda Francis Bacon. Il fatto suscita le più che prevedibili –se non calcolate–
rimostranze dei politici locali, che accusano Ronconi di far propaganda e di ‘profanare’
Aristofane e il teatro greco; il regista si difende strenuamente, ma alla fine cede e toglie i
manifesti dalle cornici. La sua plateale e discussa rinuncia è più che compensata dalla
risonanza del caso sui quotidiani nazionali, che danno ampio spazio al dibattito sulla libertà
dell’artista e fanno senz’altro una notevole pubblicità allo spettacolo.
5. A prima vista l’episodio può apparire paradossale, perfino curioso e folkloristico: e
ne è riprova lo stupore divertito con cui il pubblico del convegno ne ascolta il resoconto. Ma
da questo stesso esempio, e in questo preciso contesto, posso trarre alcuni utili spunti per
rivedere il mio intervento alla luce dalle precedenti relazioni, collocarlo in un quadro di
riferimento più ampio e tentare di suggerire alcuni ipotesi. Il nucleo originario del mio
studio è il trattamento del coro nelle commedie di Aristofane e il suo ruolo negli allestimenti
9
"There's something in this piece right now - where the country is and for me in particular - there's something
idealistic about the notion of believing that the arts can make a difference. You can affect a change. And in
The Frogs, that is Dionysos' dream - to go down to Hades and bring back this great writer. The belief that
that could actually have an effect on the world is noble and touching and crazy - all at the same time."
(dall’intervista a Nathan Lane riportata sul sito del Lincoln Center, ved. sopra, alla nota 1).
10
Proprio negli stessi giorni a New York si teneva la convention dei Repubblicani, dove si davano in omaggio
biglietti di teatro: “Di tutti i teatri, tranne che di questo!” scherza in proposito la Gamel.
11
Lo spettacolo viene poi ripreso l’anno seguente al Piccolo Teatro di Milano (2003) e in quest’ultima sede
riproposto nella presente stagione (dal 28 febbraio al 24 marzo 2005).
6
italiani12. In sintesi si può rilevare che il coro, nelle tre commedie in questione, è perlopiù
percepito come parte integrante dell’ambiente o della situazione, evidentemente ultraterrena
e quindi ricca di potenziale fantastico. Quindi solitamente i costumisti hanno libero sfogo
per creare –spesso di concerto con gli scenografi– costumi variopinti e fantasiosi, capaci di
valorizzare la natura animale del coro. Nella migliore delle ipotesi viene arruolato anche un
coreografo per infliggere ai coreuti alcune complicate evoluzioni, o più raramente veri e
propri balletti se si dispone di un corpo di ballo. Il compito del coro tuttavia pare fermarsi
qui; per il resto viene solitamente relegato a voce sola –il corifeo– se non di semplice
comparsa, o perfino costretto a mimetizzarsi con il fondale e diventarne parte integrante a
mo’ di camaleonte13.
I casi esposti al convegno dai colleghi d’oltralpe e d’oltremare pongono in risalto per
contrasto l’anomalia italiana; e al tempo stesso costituiscono un buon modello per cercare di
spiegarne i motivi. Si dovrebbe dunque partire dalle condizioni storiche e geografiche
dell’ambiente specifico in cui ogni spettacolo nasce; considerare molti fattori locali solo in
apparenza estranei, ma in realtà da ponderare attentamente, perché ne condizionano la stessa
ideazione prima ancora che la ricezione. E che l’ambiente entri a far parte del processo
creativo –ben più di quanto si pensi– ce lo testimonia ancora una volta il caso di Ronconi. Il
regista infatti, che normalmente vive e lavora nel Nord Italia, nelle interviste rilasciate a
Siracusa racconta più volte il suo primo impatto con la città, il fascino e lo ‘straniamento’
provato nel lavorare al teatro greco, che lui vede come ‘oasi’ fisicamente minacciata dal
frastuono della città. Di qui matura l’intuizione di inglobare nello spettacolo proprio quegli
elementi della realtà avvertiti originariamente come minaccia, fastidio e disturbo.
Le parole di Ronconi ci forniscono una possibile chiave di lettura del suo spettacolo e
dell’intera vicenda siciliana. Sono i luoghi stessi, prima ancora che la rissa politica, ad
irrompere di prepotenza nel processo creativo. Il compito di evocare il presente non spetta
tanto ai manifesti incriminati (la cui scomparsa difatti non ha alcuna ripercussione nello
spettacolo): lo fanno invece con efficacia le carcasse di automobili in scena e i rumori della
città amplificati sullo sfondo. Nient’altro in scena, nessuna scenografia fantastica: l’Atene e
l’Oltretomba delle sue Rane coincidono. E non si tratta certo di un Non-luogo (la famosa
‘utopia’ tanto inflazionata), ma un Altrove che assomiglia in tutto e per tutto alla nostra
realtà, anzi a quella specifica di Siracusa. In questo modo l’Underworld –per citare Carroll
nella sua patria– ci mostra Atene “through the Looking-Glass”.
Non è dunque un caso se lo sfascio e la decadenza, la malinconia e la desolazione
caratterizzano la scena, i costumi e i personaggi alla deriva: Ronconi stesso sottolinea di
voler raffigurare da una parte la Siracusa di oggi, dall’altra l’Atene che all’epoca delle Rane
vive la sua più profonda crisi, tra le Arginuse e Egospotami. Così costruisce quel legame
con la realtà –sottile ma persistente– che a mio avviso non dovrebbe mai mancare negli
allestimenti di Aristofane. Nemmeno quando le commedie sono ambientate sottoterra, o in
12
La mia relazione al convegno attinge in primo luogo ai miei studi sul coro comico (cfr. a riguardo M.
TREU, Undici Cori Comici. Aggressività, derisione e tecniche drammatiche in Aristofane, Università di
Genova, D.AR.FI. CL. ET, Genova, 1999). Esamino in sintesi il comportamento del coro e le sue relazioni
con gli attori nelle tre commedie in questione e il suo trattamento in alcuni recenti allestimenti italiani (si
veda il testo inglese in corso di pubblicazione negli Atti del convegno, v. sopra alla nota 4).
13
Da questo punto di vista l’allestimento di Ronconi rappresenta un ibrido: dapprima riduce le parti delle rane
e degli iniziati a una singola voce –rispettivamente la sola Annamaria Guarnieri e il corifeo Luciano Romanma poi durante la gara poetica restituisce al coro un’importante funzione e arriva anzi a raddoppiarlo. Dalla
parte di Eschilo infatti si schierano chiaramente gli iniziati vestiti di bianco, mentre a spalleggiare Euripide
interviene un secondo coro, vestito di nero e opposto anche per comportamento al primo.
7
cielo. Anzi, più che mai in quei casi ci devono ricordare la realtà, il ‘qui e ora’ che ci preme
e ci riguarda, oggi come al tempo di Aristofane.
Nella tragedia, secondo Froma Zeitlin, Atene ha come doppio speculare –una sorta di
‘anti-Atene’– la città di Tebe14. Nella commedia a quanto pare il rispecchiamento si allarga
a coinvolgere le due dimensioni –sotto e sopra– tra cui Atene è compresa. E dunque per
completare l’analisi del caso di Ronconi –dallo spettacolo in sé allo strascico che lo segue–
dobbiamo rivolgere lo sguardo su Siracusa e tornare al giorno del debutto, il 18 maggio
2002.
6. Rileggo sui giornali di quei giorni le ‘perle’ dei politici locali, come ad esempio
“Aristofane non attaccava per nome gli avversari”. Mi colpisce in particolare una frase del
Ministro delle Pari Opportunità, secondo la quale le Rane “non sono una commedia
politica”. Vado a controllare la sua fonte, la voce “Aristofane” di Ettore Romagnoli
sull’Enciclopedia Treccani, e scopro che è citata in modo incompleto, ma corretto: si dice
effettivamente che le Rane non sono una commedia politica se paragonate ai Cavalieri15..
Simili distinzioni tra commedie ‘’politiche e ‘non politiche’ fanno parte dell’opinione
comune e sono più o meno esplicitamente riconosciute anche dagli addetti ai lavori. Alcune
commedie come la Pace o la Lisistrata in quanto ‘pacifiste’ si presterebbero ad essere
rappresentate in tempi di guerra o momenti di crisi. Questo almeno in teoria, perché nella
storia degli allestimenti italiani queste due commedie sono spesso vittime della ‘perdita di
gravità’ citata sopra –ossia alleggerite con prestiti dalla rivista, dal musical e dal varietà–
come dimostrano molti allestimenti passati, da Un trapezio per Lisistrata di Garinei e
Giovannini alla Pace di Arnoldo Foà al Teatro Olimpico di Vicenza (1992).
Non sembrano sfuggire alla norma, tuttavia, perfino le commedie più ‘politiche’ e
impegnate, per di più rappresentate nei momenti più ‘caldi’ e nelle condizioni più favorevoli
alla satira. Basti l’esempio –tra i molti che si potrebbero citare– dei due allestimenti
siracusani immediatamente successivi alle Rane di Ronconi. Nel 2003, dopo il turn-over ai
vertici dell’INDA, la scelta di rappresentare le Vespe fa presagire delle possibili allusioni ai
processi in cui sono coinvolti vari esponenti della maggioranza a livello locale e nazionale,
incluso il premier. Ma chi si aspetta una lettura ‘politica’ –anche se di parte– e va a teatro
pregustando la polemica rimane tutto sommato deluso dall’occasione mancata.
Il regista Renato Giordano privilegia infatti una chiave intimista, rinunciando a
intervenire sul testo e perfino a sfruttare i possibili agganci col presente già contenuti nel
testo16. Il libretto dello spettacolo giustifica la scelta di attenersi alla traduzione di Cantarella
14
Cf. F. ZEITLIN, "Thebes: Theater of Self and Society in Athenian Drama," in Nothing to Do with Dionysus?
Athenian Drama in its Social Context, a cura di. J. WINKLER AND F. ZEITLIN, Princeton, Princeton University
Press, 1990, pp. 130-67 e "Staging Dionysus between Thebes and Athens," in Masks of Dionysus, a cura di
T. H. CARPENTER e C. A. FARAONE, Ithaca, Cornell University Press, 1993, pp. 147-82. Si veda anche P.
VIDAL-NAQUET, Mythe et tragédie deux, Paris, Maspero, 1989, pp. 175-211 e da ultimo Presenza e
Funzione della Città di Tebe nella Cultura Greca. Atti del Convegno Internazionale (Urbino 7-9 Iuglio
1997), a cura di P. ANGELI BERNARDINI, Pisa - Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici internazionali, 2000.
15
Riguardo alla citazione e all’intera vicenda si veda il mio articolo “Aristofane imbalsamato” (Diario della
settimana, anno VII, n.35/36, 13 settembre 2002, pp. 88-92).
16
Diversamente da certa critica –in particolare dell’Unità– non trovo che Renato Giordano abbia ‘usato’
Aristofane’ per richiamare il presente, né tantomeno per attaccare i giudici, come previsto e adombrato dalla
sinistra (si veda a riguardo il mio articolo “La 'strana coppia' di Siracusa”, Sungraphé, Pubblicazione del
Dipartimento di Storia Antica, Università di Pavia, settembre 2003, pp. 191-207). Si fa ancora attendere
dunque un allestimento –anche di parte- che sfrutti il potenziale satirico della commedia e metta alla berlina
il vero bersaglio di Aristofane: non i giudici, ma il burattinaio che ne muove i fili. E basterebbe forse
8
–peraltro ‘blindata’– mentre quello dell’anno successivo – Le donne in assemblea, 2004– si
apre con una sorpresa: per la prima volta un adattamento –del regista Luciano Colavero–
“liberamente tratto dalle Ecclesiazuse” di Aristofane e rappresentato non al teatro greco,
bensì nella nuova sede del Castello Maniace a Ortigia.17.
Certo l’apertura ad Aristofane e alle sue riscritture è una recente innovazione nella
lunga storia dell’INDA: tre commedie consecutive sono un unicum e il segno di un nuovo
corso che si spera prosegua nel tempo. Rispetto alle Rane, inoltre, i due spettacoli successivi
si collocano in una ‘congiuntura’ politico-istituzionale favorevole, dove i registi hanno il
favore della committenza e della giunta comunale e godono di una certa libertà. In teoria,
dunque, il timore della censura non dovrebbe frapporsi come ostacolo all’attualizzazione o
all’estro creativo. Eppure entrambi si tengono evidentemente a freno, e per far presa sul
pubblico fanno leva tutt’al più su temi sociali, quali i problemi peraltro attuali
dell’assistenza agli anziani e del trapasso generazionale. Ma se nel secondo spettacolo gli
interventi appaiono timidi e non sostanziali, nel primo la satira appare del tutto inefficace e
gli attacchi personali dell’originale cadono nel vuoto, non rimpiazzati da alcun riferimento
esplicito né sostenuti da agganci anche indiretti all’attualità.
Simili casi, come si diceva, sono tutt’altro che isolati. Specialmente le tre commedie
oggetto del convegno –considerate utopiche o ‘d’evasione’– sono le più esposte al rischio di
letture superficiali e ‘disimpegnate’. Il fascino dell’Utopia si fa sentire: l’originario Altrove
di Aristofane –che poi è un’Atene ‘attraverso lo specchio’– diventa un perfetto ‘Non-luogo’
che si presta a qualsiasi manipolazione. Ambientazione, costumi e scenografie prendono il
sopravvento sul testo; sono tagliate o alleggerite, se non svuotate di senso, le istanze critiche
che pure non mancano in ogni commedia di Aristofane, compresi gli Uccelli e le Rane18. E
soprattutto il coro, oggetto specifico del mio studio, rischia di diventare un semplice decoro
scenografico, mero pretesto per inventare coreografie festose e fantasmagorie colorate di
costumi.
7. Riguardo a quest’ultimo punto, a mio avviso, il confronto tra i dati raccolti sulle
rappresentazioni e quelli esposti nelle relazioni precedenti sembra avvalorare la mia ipotesi
di partenza: cioè che la riduzione dei ruoli corali a favore di quelli attorali –da parte di molti
registi italiani– si debba porre in relazione alla maggior propensione per le istanze
fantastiche e utopiche –incarnate dall’attore– a scapito di quelle reali di cui si fa portatore il
coro. Se infatti per l’aspetto quest’ultimo appare a prima vista del tutto estraneo alla realtà
ateniese –sia esso composto di uccelli, rane o nuvole– l’esame sistematico delle parti corali
consente di rivalutare radicalmente l’immagine complessiva. La personalità drammatica
collettiva è solo una seconda veste per lui –come lo è per l’attore– esteriore e trasparente: al
di sotto si vedono costantemente i coreuti in quanto tali, che non dimenticano mai di essere
cittadini ateniesi alle feste di Dioniso.
chiamarlo “Berluscleone” per valorizzare il potenziale satirico di questa o di un’altra commedia (per
esempio i Cavalieri, finora poco rappresentata in Italia per motivi più che comprensibili).
17
Per certi versi lo spettacolo si configura come un esperimento, a partire dalla collocazione spazio temporale
e la dimensione, ‘in piccolo’ e non ‘in grande’ (le rappresentazioni hanno posti limitati e un palco ridotto, in
una sede insolita anche se molto suggestiva, e avvengono in seconda serata, poco dopo il termine dello
spettacolo nella sede archeologica principe). L’intervento sul testo resta perlopiù in superficie e si discosta
nell’originale soprattutto nel finale, dove assistiamo alla rivolta delle ‘badanti’ che si prendono cura delle
vecchie ateniesi e sostengono il maggior peso dell’esperimento sociale.
18
Si veda la mia indagine sullo psògos delle due commedie, M. TREU, Undici cori comici, cit., in particolare
le appendici rispettivamente a pp. 155 e 160.
9
Il coro in sintesi si tiene sempre bene ancorato alla realtà, anche quando fa parte di un
ambiente irreale; e spesso anzi ha il compito di controbilanciare le componenti fantastiche
della vicenda, non solo nello psògos, ma in tutta la commedia (lo fanno al massimo grado i
cori dei Cavalieri e delle Vespe, che a differenza degli attori nominano direttamente Cleone
e gli altri referenti reali cui allude la trama allegorica della commedia). In quest’ottica non
pare corretto attribuire al coro una personalità schizofrenica –in ‘parte’ o fuori’– limitata a
certe sezioni di parabasi. Più sostenibile sembra una seconda ipotesi, che rientra più nelle
consuetudini teatrali ateniesi che non nelle nostre, e dunque può essere difficile da accettare,
ma può risolvere nel modo più economico e semplice –anche da realizzare concretamente in
teatro– problemi annosi quali la natura composita del coro della Pace (dove gli stessi coreuti
assumono via via le qualifiche attribuite da Trigeo, come sostengo nella mia relazione) o il
doppio coro delle Rane (dove gli stessi coreuti muterebbero il proprio aspetto da rane a
iniziati, come sostiene Silk nella sua). Dovremmo quindi sforzarci di immaginare una
personalità mobile e cangiante, variabile a seconda delle necessità nel corso della
commedia, dalla parodos in poi (la definisco in inglese “switching identity”, e il termine è
poi ripreso anche da Silk per le Rane).
Come termine di confronto immediato nel teatro attuale posso richiamare uno
spettacolo italiano dove si materializza in scena qualcosa di simile: non solo gli attori
interpretano a turno tutte le parti, ma costituiscono una vera e propria comunità anche fuori
scena, in una simbiosi ben sintetizzata dal proverbio africano “Io sono noi”. Lo spettacolo
All’Inferno! Affresco da Aristofane (1996) è una libera rielaborazione che combina testi
aristofanei con altri d’invenzione. Diversi registi e drammaturghi in passato hanno applicato
ad Aristofane la pratica già antica della contaminazione, sfruttando la modularità formale
delle commedie e la presenza di certi temi ricorrenti19. In questo caso però il drammaturgo e
regista Marco Martinelli non si limita a collazionare testi di Aristofane, ma con i suoi
collaboratori ne fa rivivere dal profondo lo spirito.
Al Teatro delle Albe di Ravenna infatti gli attori professionisti lavorano
costantemente con “non-attori”, studenti della ‘non-scuola’ di teatro o immigrati africani
venuti in Italia a vendere mercanzie sulle spiagge della Romagna. Due di loro erano attori e
musicisti nel Paese d’origine e sono protagonisti dello spettacolo in questione, che in modo
profondamente aristofaneo aggiorna la vicenda emblematica del Pluto ai giorni nostri. I due
senegalesi recitano se stessi, immigrati giunti in Italia per sfuggire alla povertà: scendono
sottoterra e si trovano in un’inquietante stazione di servizio dal nome parlante di Infernord.
Qui Martinelli trasfigura la sua Italia, Paese di Bengodi o dei Balocchi che è al tempo stesso
un sogno –per chi cerca di raggiungerla– e un incubo per chi ci arriva. E le condizioni di
vita e di lavoro imposte ai due malcapitati –per quanto assurde e disumane– assomigliano
sin troppo all’Italia di allora e ancor più di oggi. Martinelli coglie in anticipo i tempi e riesce
a essere tristemente profetico (come nei precedenti spettacoli ‘aristofanei’, dai Refrattari del
1992 -poi ripreso nel 2003- agli Uccelli del 1994).
Marco Martinelli prosegue tuttora la ricerca percorrendo altre strade –nella stagione
2004/2005 è in tournée per l’Italia con Salmagundi, favola patriottica– ma non rinuncia ad
attingere ad Aristofane per raccontare il mondo di oggi. Mai come ora mi appare prezioso il
suo lavoro e ambizioso il proposito, al termine del convegno nell’Auditorium di Oxford,
ripensando agli allestimenti citati e agli stessi relatori e partecipanti, così diversi per
esperienza e cultura. E se già l’Italia appare lontana anni luce, vista da qui, come può
19
Basti citare qui Luca Ronconi (Utopia, 1975), Aldo Trionfo (Viva la Pace, 1988), Tonino Conte (Gli
uccelli di Aristofane e altre utopie, 2000).
10
ciascuno di noi, che sia critico o regista, anche solo pensare di colmare la distanza che ci
separa da Aristofane? Forse perché malgrado tutto ognuno di noi ha un ‘suo’ Aristofane’,
che ha incontrato chissà dove e quando: ritorno per un attimo alle mie prime Nuvole, a
diciassette anni, al teatro greco di Siracusa. Ma dai ricordi mi scuote all’improvviso un
suono squillante, quasi un omen: “ténella kallìnikos..”.
Sono parole di Aristofane, il saluto finale del coro degli Uccelli, che Oliver Taplin
rivolge a noi e scherzosamente allo stesso poeta “nume tutelare del convegno che ci ha
accompagnati in questi giorni”. Poi sottolinea serio che se ci siamo riuniti qui da tanti Paesi
a parlare di Aristofane è perché lui si rivolge ancora al pubblico di tutto il mondo; e tutti noi
dovremmo diffondere come e dove possiamo il suo messaggio di speranza e di pace, di cui
ora più che mai si sente il bisogno: “è tempo di ridargli voce” –conclude con slancio– “the
time for Aristophanes has come”20.
UNIVERSITÀ DI PAVIA
MARTINA TREU
APPENDICE:
PROGRAMMA DEL CONVEGNO:
Giovedì 16 Settembre 2004
11.30-12.30 Ewen BOWIE (Corpus Christi College, Oxford), ‘Exploring the Other?
The Ups and Downs of Aristophanic Travel in Greek Culture of the 2nd &
3rd Centuries AD’
2.00-3.00
Oliver TAPLIN (Magdalen College, Oxford), ‘Aristophanes and Comic
Vases from the Greek West – Taking Stock’
3.00-4.00
Matthew STEGGLE (Sheffield Hallam University), ‘«That Scurrilous
Carping Comedian»: Aristophanes in Early Modern Europe’
4.30-5.30
Mary-Kay GAMEL (University of California, Santa Cruz), ‘Sondheim
Floats Frogs’
Venerdì 17 Settembre 2004
9.15-10.15
Gonda VAN STEEN (University of Arizona), ‘From Scandal to Success
Story: The Birds of Aristophanes Staged by Karolos Koun’
10.30-11.30 Masaru SEKINE (University of Waseda), ‘Aristophanes and Kyogen:
Comedies of Ancient Greece and Japan’
11.30-12.30 Bernd SEIDENSTICKER (Freie Universität Berlin), ‘Peter Hacks and
Aristophanes’ Peace’
20
Ringrazio tutti i membri dell’APGRD per l’invito e la splendida accoglienza al convegno, Annalisa Di
Liddo per il prezioso aiuto, Mary-Kay Gamel, Gonda Van Steen, Malika Hammou e Bernd Seidensticker per
avermi concesso i testi ancora inediti dei loro interventi, ricchi di preziose osservazioni.
11
2.00-3.00
3.00-4.30
8.30
Betine VAN ZYL SMIT (University of the Western Cape), ‘Freeing
Aristophanes in South Africa – From High Culture to Contemporary
Satire’ (Headley Lecture Theatre, Ashmolean Museum)
Tavola Rotonda (Headley Lecture Theatre, Ashmolean Museum)
James BAUGHAN (University of Exeter), ‘Ambiguities in Lessing’s
Reception of Aristophanic Comedy’
Malika HAMMOU (Université de Toulouse), ‘Stagings of
Aristophanes in 20th-century France’
Francesca SCHIRONI (University of Oxford), ‘A Poet without
“Gravity”: Aristophanes on the Italian Stage’
Martina TREU (Università di Pavia), ‘Poetry and Politics, Advice
and Abuse: The Aristophanic Chorus on the Italian Stage’
Concerto di musiche da Aristofane –arrangiate per quartetto da
Benjamin Wardhaugh– di Leonard Bernstein (Birds, 1939), Manos
Hatzidakis (Birds, 1959), Dudley Moore (Birds, 1959), J. R. Planché
(Birds, 1846) e Stephen Sondheim (Frogs, 1974).
Sabato 18 Settembre 2004
9.30-10.30
Michael SILK (King’s College London; Boston University),
‘Translating/Transposing Aristophanes’
10.45-12.45 Traduzione e Performance
Piero BORDIN (Traduttore e Direttore del Festival di Carnuntum)
Sean O’BRIEN (Poeta e traduttore degli Uccelli di Aristofane)
Mike POULTON (Commediografo) e Barrie RUTTER (Attore e
Direttore Artistico, Northern Broadsides), recitano brani
dell’adattamento di Poulton dagli Uccelli di Aristofane. 12
Scarica