SALUTE LA SFIDA DELL’ALIMENTAZIONE IN PROVETTA Personal spaghetti Si chiama nutrigenomica. Incrocia dieta e genetica per creare cibi studiati sulle esigenze individuali colloquio con Jim Kaput di Stefano Gulmanelli S Ha fondato assieme a Nancy Fogg-Johnson, che ha inventato il termine nutritional genomics, la NutraGenomics, società pioniera in un campo destinato a rivoluzionare il nostro rapporto con il cibo. Fino a che punto e con che rischi? Glielo abbiamo chiesto. Dottor Kaput, la nutrigenomica porterà a diete personalizzate di prodotti esistenti, a creare sempre più alimenti arricchiti di specifiche sostanze benefiche per la salute, o a concepire una nuova generazione di prodotti? «Ci sarà un pizzico di tutti e tre gli scenari. Innanzitutto col profilo genetico della persona potremo dire a ognuno l’ammontare di carboidrati, grassi e proteine che è opportuno che assuma. Esigenza che si soddisferà con una dieta base personalizzata. Poi avremo a disposizione cibi e bevande arricchiti con vari principi nutritivi e additivi. Un esempio I diabetici, i cardiopatici, gli allergici. Ma anche i sani avranno prodotti su misura 204 già oggi presente sono i “blended juices” le miscele di succhi, che sono spesso corretti con integratori ed estratti vegetali. Infine potremo avere nuovi prodotti generati da combinazioni innovative di composti chimici, da consumarsi come cibo o da assumersi come integratori». Quali esempi abbiamo oggi di modelli nutrizionali basati sulla nutrigenomica? E quali potranno essere quelli del futuro? «Un caso è certamente quello dell’intolleranza al lattosio. Oggi siamo in grado di determinare i polimorfismi del gene che codifica la lattasi e stabilire chi deve evitare l’assunzione di lattosio, indirizzandolo verso prodotti a basso contenuto di lattosio o a succedanei come il latte di soia. C’è poi l’esempio del polimorfismo del gene Agt, quello che sovrintende alla produzione di angiotensinogeno, deterL’espresso Prima colazione in un bar di Tokyo. A sinistra, in basso: Jim Kaput, genetista e imprenditore pioniere della nutrigenomica Foto: Stone - Getty / L. Ronchi, A. Mc Goldrick - Camera Press / G. Neri, S. Zuder - Laif / Contrasto iamo ciò che mangiamo: ammoniva già un paio di secoli fa il filosofo Ludwig Feuerbach, padre del pensiero materialista moderno. E che ciò che mangiamo abbia un ruolo fondamentale sulla nostra salute da tempo non è una novità. Ma oggi c’è un campo emergente della scienza che ci dice qualcosa in più: e cioè che l’influenza dell’alimentazione sulla salute di un individuo dipende in modo sostanziale dal corredo genetico di quest’ultimo. Il che, tra l’altro, spiega perché ad abitudini alimentari simili possono corrispondere evoluzioni diverse nello stato di salute di coloro che adottano quelle abitudini. Questa scienza è la nutrigenomica e Jim Kaput ne è uno dei massimi esperti. minante per la pressione arteriosa e la funzionalità cardiaca, e che risponde bene alla dieta Dash (Dietary Approaches to Stop Hypertension), ricca di frutta verdura e prodotti caseari magri. Ma ciò a cui puntiamo è a individuare il legame fra genetica e dieta nei casi di malattie complesse come l’obesità e il diabete, che spesso sono causate non da uno, ma da una serie di geni che interagiscono con l’ambiente, fra cui la dieta alimentare». Quali saranno le caratteristiche del cibo nei prossimi decenni? «Una cosa è certa: avremo alimenti come ce li dà madre natura, cipolle, pomodori, 16 dicembre 2004 peperoni… La gente adora il gusto e la consistenza del cibo tradizionale. Quanto agli integratori, è probabile che non saranno molto diversi da come si presentano oggi, ma la differenza è che saranno prodotti sulla base di una conoscenza davvero scientifica di cosa sia un composto alimentare che fa bene o che invece nuoce. Quindi potremo avere una pasta con una corretta combinazione di carboidrati e grassi (solo quelli buoni). E potremo avere bevande e cibi con integratori mirati a un certo sottogruppo di persone dal corredo genetico simile. I singoli individui potranno perfezionare la pro- pria dieta con le vitamine e le sostanze giuste per la propria struttura genetica. Ma non aspettiamoci che le aziende alimentari arrivino a produrre diete individuali: sarebbe troppo costoso. In pratica, nel 2020 tutti noi conosceremo le nostre esigenze alimentari in rapporto al gruppo genetico di appartenenza: alcuni gruppi richiederanno una dieta ad alto contenuto di grassi e basso di carboidrati, altri la maggior parte - il contrario. Infine test ad hoc diranno se abbiamo bisogno di un apporto extra di vitamine, minerali o altri composti alimentari. Per esempio, più ferro o più acidi grassi omega-3». 205 SALUTE Cosa bolle nella pentola italiana In Italia sono diverse le strutture di ricerca che stanno facendo i primi passi nel campo della nutrigenomica. Ecco quali sono e che cosa promettono Orzo di tipo E L’Istituto sperimentale per la cerealicoltura di Fiorenzuola d’Arda (Pc) dove si sta lavorando su un cereale spesso sottovalutato, l’orzo, unico a contenere tutti gli otto isomeri della vitamina E, e quindi antiossidante per eccellenza. I ricercatori, guidati da Alberto Gianinetti, puntano a una variante di orzo da panificazione che sia anche particolarmente ricca di beta glucani, sostanze capaci di esercitare un’azione protettiva nei confronti delle malattie cardiovascolari e del diabete. Olive probiotiche L’Istituto di scienze della produzione alimentari (Ispa, www.ispa. cnr.it) del Cnr di Bari, è impegnato su due progetti che hanno già dato evidenze positive. Il primo è quello relativo alle olive arricchite con batteri probiotici (microrganismi vivi contenuti in alcuni tipi di latte fermentati e yogurt che contribuiscono favorevolmente all’equilibrio della flora intestinale e potenziano le difese immunitarie). «Consentiranno a coloro che hanno l’intolleranza al latte ai suoi derivati di assumere questi microrganismi essenziali per la salute ed il benessere», dice la ricercatrice Paola Lavermicocca, impegnata ad estendere l’arricchimento probiotico anche ai carciofini: «Un progetto interessante perché il carciofo è di per sé ricco anche di sostanze prebiotiche come l’inulina». Polimeri di pasta L’altro progetto su cui Ispa sta lavorando, d’intesa con un pastificio di Lecce, è la produzione di pasta arricchita con polimeri di fruttosio. «Potrà soddisfare il bisogno di fibra alimentare che spesso al giorno d’oggi non viene adeguatamente assunta con quelli che sarebbero i veicoli naturali, frutta e verdura», dice Sebastiano Vanadia, responsabile del progetto. Maccheroni vitaminizzati L’Istituto di genetica e biofisica (Iigb, www.iigb.cnr.it) del Cnr di Napoli, in collaborazione con l’azienda I mastri pastai di Nocera Inferiore (Sa), sta lavorando per produrre varietà di paste ad alto contenuto di carotenoidi, i precursori della vitamina A. «I pigmenti carotenoidi possono avere un ruolo nel trattamento di alcune malattie e nella riduzione degli effetti negativi dell’ossidazione lipidica sulla qualità sensoriale e nutrizionale degli alimenti, agendo da antiossidanti e da cacciatori di radicali liberi», dice Luigi Del Giudice, responsabile del progetto. E contrastare i radicali liberi significa contrastare il processo di invecchiamento. «In stretta collaborazione con l’industria stiamo tentando di trovare le condizioni ottimali per l’impasto e i migliori parametri di tempo-temperatura-umidità durante la trasformazione, in modo da reprimere gli enzimi ossidanti e preservare il contenuto dei pigmenti carotenoidi della semola», conclude Del Giudice. Foto: A. Webb - Magnum / Contrasto, G. Neri (2) Quindi il mercato alimentare cesserebbe di essere segmentato sulla base delle classi psicodemografiche per divenire sensibile alla diversità genetica dei gruppi dei consumatori? «Mettiamola così: i condizionamenti culturali e la relazione avuta con il cibo nella nostra vita continueranno a influenzare in modo decisivo le nostre scelte in termini di alimentazione; a questi fattori si aggiungerà la genomica». La nutrigenomica nasce in laboratorio, passa i test clinici e poi arriva al consumatore. Un processo lungo e complesso. Chi lo gestirà? «Questo è un punto cruciale. Ora il tutto è a dir poco casuale. Ci sono varie società che offrono test genetici e su questi raccomandano modelli di alimentazione. A oggi, tolta qualche rara eccezione, come L’espresso 16 dicembre 2004 quelle dell’intolleranza al lattosio, non c’è alcun fondamento scientifico per simili servizi. E di queste soluzioni approssimative ne spunteranno sempre di più man mano che la scienza chiarirà i legami fra certe sostanze nutritive e i geni. È probabile che prima o poi il governo federale negli Usa decida di disciplinare il campo del test genetico a fini nutrizionali, almeno per poter assicurare quella sicurezza e quella affidabilità oggi non garantite». Lo sviluppo di massa di questa nuova frontiera dipenderà dal fatto che le organizzazioni sanitarie e le assicurazioni giochino un ruolo attivo, per esempio coprendo i costi del test genetico a fini nutrizionali? «Sarebbe nel loro stesso interesse: i test genetici per individuare diete per la pre- Operai al lavoro in una fabbrica di cioccolato venzione dello sviluppo di patologie sono attività propedeutiche alla riduzione dell’incidenza delle malattie e quindi dei costi ad esse connesse». Siamo sicuri di volere che il nostro profilo genetico diventi pubblico? «È un problema serio. Se noi diciamo alle persone come in base al loro profilo genetico dovrebbero nutrirsi e poi non lo fanno, come ci comportiamo? Esercitiamo su di loro un qualche tipo di pressione, finanziaria o sociale? Non ho una risposta al riguardo. È un dilemma che peraltro viviamo già oggi, con chi fuma. Una cosa è certa: finché non abbiamo una risposta a questo tipo di domande l’informazione sul profilo genetico deve essere rigidamente ristretta al medico e al paziente». Cargill, Kraft Food, General Mill e altri giganti alimentari stanno avvicinandosi a questo settore. Vedremo all’opera un modello di pressione simile a quello delle farmaceutiche? «Non credo. Sia perché le aziende alimentari hanno budget di ricerca e sviluppo molto più bassi delle farmaceutiche, sia soprattutto per il fatto che negli Usa la maggioranza dei composti chimici alimentari che potrebbero rivelarsi benefici per la salute sono noti e rientrano nella categoria Grsa (generally regarded as safe: sicuri fino a prova contraria). E questo rende difficile conferire valore a prodotti creati sulla base di studi scientifici magari costosi. Che senso avrebbe per una grande compagnia intraprendere un programma di ricerca i cui risultati potrebbero poi essere liberamente usati dai concorrenti?». Qual è il potenziale del mercato della nutrigenomica? «È difficile darne una stima numerica, ma è certo che è enorme. Per la precisione i mercati sono due: gli alimenti funzio207 SALUTE Industria in campo Primo piano di un frigorifero: apparirà così anche nel terzo millennio? nali o comunque pensati per curare, e i test genetici preliminari alle raccomandazioni dietetiche. Tanto per dare un ordine di grandezza, il mercato Usa della diagnostica vale da solo 3 miliardi di dollari; la cifra riguarda tutta la diagnostica, è vero, ma è altrettanto vero che i test genetici andranno continuamente ripetuti con i prodotti e i nutraceutici che man mano verranno sviluppandosi, il che fa presumere fatturati molto alti. E quello dei test genetici sarà di gran lunga il segmento più piccolo dei due che insieme costituiscono il mercato della nutrigenomica. Ma sarà anche quello che vedrà un alto tasso di moria delle aziende che cercano di entrarvi. Dico di più: quasi tutte le società che offrono test genetici finalizzati alla personalizzazione della dieta, in pochi anni spari- Per adesso sono circa 25, ma in futuro promettono di essere molti di più. Sono i neo laureati in biotecnologie agroindustriali, in quelle vegetali e microbiche, e in quelle alimentari appena usciti dalla Facoltà di Agraria di Pisa: i custodi dei segreti del cibo, del passato e del futuro. Il biotecnologo alimentare è colui che gioca con processi le cui radici si perdono nella notte dei tempi, primi fra tutti la fermentazione e la lievitazione. Ma è anche colui che riesce a contrastare parassiti o agenti infestanti con metodi naturali. O ancora, realizza prodotti probiotici, che contengono cioè ceppi batterici utili per l’organismo umano; seleziona pomodori o melanzane più resistenti o con una colorazione più o meno intensa. Non solo: «In Toscana si fa da secoli il pane con la pasta acida. Ora, grazie alle biotecnologie, siamo riusciti a tracciare il profilo microbiologico della pasta acida e così a capire esattamente quanto lievito e quanti fermenti lattici servono per avere questo tipo di impasto. Così lo possiamo proteggere dalle imitazioni», spiega Marco Nuti, presidente dei corsi di Laurea. Nel comitato del corso di laurea siede anche Orietta Malvisi Moretti, presidente della delegazione Toscana dell’Associazione Imprenditrici Donne e Dirigenti d’Azienda: «Nella nostra regione almeno il 10 per cento delle socie lavora in campo agroalimentare. Una presenza importante che può essere ulteriormente rafforzata da nuove professionalità». L. G. ranno. Basterà, e purtroppo succederà, che qualcuno sviluppi una patologia a causa dei consigli nutrizionali dati a seguito del test genetico fatto da una società privata. E un consumo eccessivo e immotivato di sostanze, quali per esempio le vitamine liposolubili, può facilmente portare a si- Latte povero di lattosio. Verdure ricche di omega-3. Bevande anti-diabete tuazioni di grave scompenso». Come si sta preparando la sua NutraGenomics a questo mercato? «Pianificando un’entrata molto graduale. Ora stiamo lavorando all’identificazione dei geni influenzati dall’alimentazione e contemporaneamente coinvolti in malattie croniche quali il diabete di Tipo 2 e l’obesità. Per questo predisponiamo gruppi di pazienti e li esponiamo a gruppi di cure, che possono essere la somministrazione di nutriceutici o di farmaci. Poi facciamo i test genetici, che comunque non rimpiazzano i test clinici: livello di glucosio o di insulina, l’Hdl, eccetera. Lo stato della nostra conoscenza sui legami fra geni e malattie e dieta alimentare è ancora tale che i test genetici possono solo essere interpretati alla luce degli altri dati clinici. E comunque i risultati di questi test possono essere di grande aiuto a chi poi deve scegliere la cura. Man mano che ne sapremo di più, passeremo a sviluppare, d’intesa con alcune aziende alimentari, i cibi che dovranno fornire i nutraceutici necessari agli individui con determinati tratti genetici. Sono prudente: l’ultima cosa di cui ha bisogno adesso la nutrigenomica sono le fabbriche di illusioni o i dispensatori di test genetici e raccomandazioni dietetiche inutili o, peggio, dannose». ■ Biotecnologie e test genetici per avere più latte e carni più saporite. Sembra questo l’immediato futuro dell’allevamento bovino, che vede la genetica entrare di diritto fra i propri ferri del mestiere. A dare il via è stata una struttura di ricerca privata neozelandese, la BoviQuest, che ha ceduto la prima licenza commerciale sull’utilizzo di due geni bovini legati alla produzione di latte. I due geni in questione, battezzati Quantum e Optimum, controllano il bilancio energetico dell’animale, e quindi la produzione di latte: una loro mutazione può portare la mucca a produrre più latte, senza che questo comporti effetti negativi sulla riproduzione. Normalmente, invece, aumentare la produzione di latte in un allevamento significa inevitabilmente ridurre la fertilità. La licenza è stata acquistata dalla società statunitense Merial, che ha utilizzato l’informazione genetica fornita da BoviQuest per sviluppare due test genetici grazie a cui gli allevatori possono identificare le particolari mutazioni dei due geni presenti nell’animale. In Nuova Zelanda questi test vengono già utilizzati per selezionare i tori da cui deriva, per inseminazione artificiale, la maggior parte della popolazione bovina del paese. La vendita di questi due geni rappresenta probabilmente solo l’inizio di una vera rivoluzione nel settore. Un consorzio internazionale di ricerca, il Bovine Genome Sequencing Project, ha infatti ultimato in ottobre la prima versione del sequenziamento del genoma bovino, che sarà completato entro la prima metà del 2005. Presto sarà possibile per gli allevatori individuare i geni che determinano particolari proprietà della carne, come la tenerezza o semplicemente il gusto, e in base a essi selezionare i capi da allevare, quelli da abbattere, quelli da destinare alla produzione di carne piuttosto che di latte. «Non sarà più necessario pesare e misurare gli animali», ha dichiarato Stewart Bauck, un dirigente della Merial: «Gli allevatori saranno semplicemente in grado di analizzare ogni animale rispetto anche a 10 mila geni e, con l’aiuto dei computer, conoscere il suo potenziale». Nicola Nosengo Foto: The Image Bank - Getty / L. Ronchi Bistecca al computer e alla griglia