(d.lgs. 206/2005) Vendita di animali

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Veterinari e Diritto
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Vendita di animali:
applicabilità delle norme relative alla vendita
dei beni di consumo (d.lgs. 206/2005)
Laura Lamberti
Avvocato
Come già noto, al commercio degli animali
vivi, considerati e disciplinati dal nostro
ordinamento come beni mobili, è espressamente dedicato l’art. 1496 c.c., il quale prevede una specifica gerarchia delle fonti giuridiche che regolano la materia: le leggi speciali, gli usi e solo residualmente la disciplina generale civilistica di cui agli artt. 14901495 e 1497 c.c.
Detta disciplina stabilisce, in sintesi, che il
diritto di garanzia del compratore di ricevere una “res” immune da vizi debba essere
esercitato entro l’anno della consegna, purché siano stati denunciati i difetti che rendono il bene inidoneo all’uso o che ne diminuiscono significativamente il valore entro 8 giorni dalla loro scoperta.
Le azioni che il compratore può esperire
per vedere riconosciuto il proprio diritto
sono: l’azione risolutoria, con conseguente
restituzione del prezzo versato previa consegna del bene al venditore e l’azione estimatoria, ossia di riduzione del prezzo (oltre
all’eventuale risarcimento del danno qualora il venditore non provi di aver ignorato
senza colpa i vizi della cosa).
È altresì possibile esperire per il compratore l’azione di risoluzione del contratto per
inadempimento qualora il bene sia privo
delle qualità promesse o di quelle essenziali per l’uso cui è destinato.
Il dettato legislativo, in materia di vendita,
ha subito delle modifiche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 02/02/2002 n. 24
che, recependo le direttive europee inerenti i beni di consumo, introduceva nuovi articoli nel codice civile (artt. 1519 bis e seguenti c.c.) finalizzati a garantire al consu-
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matore un maggiore grado di protezione.
Successivamente, il legislatore abroga gli
articoli citati introdotti dal D.Lgs.
24/2002 e sottopone la materia
della vendita dei beni di consumo al dettato del recentissimo
D.Lgs. 06/09/2005 n. 206 (Codice
del Consumo)
Applicare quest’ultima normativa
rispetto a quella tradizionale consentirebbe al compratore di pretendere, oltre alla risoluzione del
contratto o alla riduzione del
prezzo, anche la riparazione o la
sostituzione del bene.
Il D.Lgs. 206/2005 consente poi al
compratore di usufruire di termini
più lunghi per la denuncia del
difetto (2 mesi dalla scoperta) e
per l’esercizio del diritto (26 mesi
dalla consegna per l’azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore). La disciplina della vendita dei beni di consumo prevede infatti che il venditore, responsabile
per qualsiasi vizio di conformità esistente
al momento della consegna, debba garantire che il bene sia idoneo all’uso,
conforme alla descrizione fatta, della medesima qualità del campione modello
presentato o di quella abituale di un bene
dello stesso tipo; qualora poi il consumatore abbia richiesto la cosa per un particolare uso e quest’ultimo sia stato accettato dal venditore, l’oggetto della compravendita deve rispondere anche a questo ulteriore requisito.
L’applicabilità degli artt. 128-135 D.Lgs.
206/2005 alla compravendita di animali
richiede però che quest’ultimi siano considerati “beni di consumo”, così come definiti dal Codice. Al di là dell’ampia definizione formale contenuta nell’art. 128, c. 2
D.Lgs. 206/2005 (è bene di consumo qualsiasi bene mobile, anche da assemblare,
ad eccezione di quelli oggetto di vendita
forzata, l’acqua e il gas - se non confezionate per la vendita - e l’energia elettrica), la
lettura completa del Codice (vedi, per
esempio il fatto che un rimedio previsto sia
quello della sostituzione del bene contestato) e la finalità della normativa (protezione del consumatore) fanno presumere
che la res di cui si tratta debba avere caratteristiche standard, possa quindi essere
confrontata con un modello predeterminato e sia comunque riproducibile.
Il prodotto di consumo oggetto della
nuova normativa deve quindi essere fungibile, fabbricato secondo criteri comuni e
standard, che ben si conformano alle caratteristiche dell’acquirente consumatore,
soggetto “debole” che agisce come persona fisica per scopi estranei all’attività
imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
Sulla base di quanto detto, si può affermare che l’animale vivo non sempre può essere considerato un bene di consumo, in
quanto non sempre può essere sostituibile
con altro identico esemplare né può esse6 / 263
re sempre identificato in base a criteri comuni, quali possono essere il peso corporeo o la resa.
È il caso per esempio di un cavallo da corsa o di un cane allevato per partecipare a
mostre di bellezza o semplicemente di alcuni animali “da compagnia”: esistono nei
casi citati dei particolari elementi che caratterizzano l’animale e che ne fanno un
esemplare unico, quindi insostituibile.
Diversa è la fattispecie della vendita, per
esempio, di un animale pronto per la macellazione in quanto quest’ultimo può essere facilmente sostituito da un esemplare
uguale, visto che ciò che lo contraddistingue sono caratteristiche che si rifanno a criteri standard, come il peso o la qualità della carne.
Sembra, quindi, che la recentissima disciplina citata possa trovare
applicazione per quest’ultimo
esempio, ma non certo per i precedenti, che quindi continuano
ad essere disciplinati dalla normativa precedente (art. 1496 c.c.)
con le relative conseguenze in ambito di tutela legale (termini meno
lunghi per l’esercizio del diritto;
mancata possibilità di ottener la
sostituzione del bene, ecc.).
Interessante sarà conoscere l’orientamento della giurisprudenza,
che sul punto non si è ancora pronunciato stante la novità della
materia.
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