Un pizzico di ingegneria. Genetica. L'ingegneria genetica può aiutare a limitare l'impatto ambientale e sociale dei biocarburanti? Il problema principale è sempre quello: ottenere carburante dall'agricoltura si può, ma al prezzo di enormi quantità di acqua, di terra, di fertilizzanti, pesticidi ed energia per i trattori e le macchine agricole. Ingegneria genetica L'ingegneria genetica afferma che manipolando i geni delle piante si possono creare nuove varietà (ogm) che producono da sole gli insetticidi e i fertilizzanti di cui hanno bisogno, che sono più resistenti alle erbacce che le soffocano e che hanno una resa maggiore per ettaro e a costi più bassi. Tutti vantaggi ancora da dimostrare in modo inoppugnabile, e comunque è fuori discussione il fatto che gli ogm creano preoccupazioni: quando le piante geneticamente modificate sono destinate a diventare il nostro cibo (o quello degli animali che diventeranno carni, uova e formaggi nel nostro piatto) la gente pretende particolari cautele e, a torto o a ragione, vuole andarci coi piedi di piombo, preferendo un pomodoro "bio" alla polenta Ogm, indipendentemente dai costi ambientali dell'uno e dell'altro. Allora la domanda è: queste cautele sono indispensabili anche quando le piante sono destinate a produrre olio che, invece di condire l'insalata o friggere le patate, sarà bruciato nel motore della nostra macchina? CONTRADDIZIONI Il Brasile, il maggior produttore al mondo di biocarburanti, ha sempre guardato con diffidenza agli ogm. Dal bando totale ha dovuto però fare una grossa apertura perché è stato messo d fronte al fatto compiuto: i contadini poveri dell'immenso paese sudamericano se ne sono infischiati dei divieti governativi e hanno coltivato massicciamente soia transgenica usando semi illegali di contrabbando, costringendo il governo a far buon viso a cattivo gioco. Piuttosto che il far west favorito dal proibizionismo, il presidente Lula ha preferito la linea dell'apertura per poter controllare un fenomeno che sennò sarebbe diventato una polveriera. Anche perché i contadini brasiliani sono davvero poveri e per loro l'ogm non è una scelta, ma l'unica chance di poter competere con i colleghi argentini e statunitensi, che grazie all'ingegneria genetica producono di più e a costi più bassi. La soia brasiliana non è un prodotto di alta qualità destinato a fare prodotti doc, ma una base per i mangimi dei maiali. Nessuno si sognerebbe di fare il pomodorino di Pachino ogm, si perderebbe la specificità del prodotto e il suo legame storico e culturale col territorio (oltre a inflazionare il mercato dei pomodori). Ma per gli agricoltori e gli allevatori brasiliani, per ingrassare i loro maiali contano solo la quantità e il costo per tonnellata. L'OGM NEL MOTORE? Stessa storia anche per la canna da zucchero: in Brasile circa la metà del prodotto coltivato (mezzo miliardo di tonnellate all'anno) diventa carburante. Con le tecniche tradizionali, il bioetanolo ha senso solo come sottoprodotto se dalla canna si ottiene qualcos'altro, per esempio il rum o la melassa. Altrimenti il "gioco" è in perdita: i più pessimisti calcolano che ci voglia più di un litro di gasolio per cavarne uno di bioetanolo. Lo scenario però cambia intervenendo sul genoma della pianta: il progetto Alellyx, in collaborazione con la multinazionale Monsanto, che in pratica l'ingegneria genetica l'ha inventata, mira a sviluppare una varietà di canna che contiene più zuccheri, con più biomassa utile, più resistente ai parassiti e alla siccità. Cosa che consentirebbe di adibire alla produzione di bioetanolo pascoli degradati, dove il cambiamento climatico ha portato a una tale riduzione della piovosità da non poter più sostenere l'allevamento del bestiame, con un aumento di produttività medio del 10-15 per cento. Il programma non ha ancora avuto il via libera del governo, ma potrebbe averlo presto visto che i cittadini brasiliani non sembrano particolarmente preoccupati del fatto che nel loro serbatoio finisca una pianta transgenica piuttosto che gasolio fossile. Bellezza geneticamente modificata di: Rebecca Mantovani (© Pichi Chuang/Reuters) Ancora un giorno per ammirare al Taiwan International Aquarium Expo a Taipei questo meraviglioso pesce angelo (Pterophyllum) dall'innaturale color rosa fluorescente. La particolare colorazione di questo esemplare geneticamente modificato gli permette di emettere luce senza l'ausilio delle comuni lampade a raggi ultravioletti che si utilizzano negli acquari. La sua nascita è stata possibile grazie al progetto congiunto tra l'Accademia Sinica di Taiwan, la National Taiwan Ocean University e la compagnia privata di biotecnologia Jy Lin. Ecco il gene che aumenta del 20% la produttività del riso Un team di ricercatoridell’Università Statale di Milano, in collaborazione con ricercatori nelle Filippine e in Giappone, ha individuato il gene che aumenta del20% la produttività del riso. Il lavoro è stato pubblicato su “Nature”. Il gene, a cui è stato dato il nome di PSTOL1 – Phosphorous Starvation TOLerance 1 – consente alla pianta di riso di sviluppare un apparato radicale molto più esteso e quindi di assorbire con maggior efficienza il fosforo, la cui carenza, in alcune delle principali aree dedite alla coltivazione del riso, limita notevolmente la produttività del riso. “La mancanza di fosforo – spiega il Prof. Martin Kater dell’Università Statale di Milano, che coordina il gruppo di ricerca italiano – è uno dei principali fattori che riducono la produttività del riso, soprattutto se coltivato in terreni acidi che ne limitano l’assorbimento o in condizioni che non consentono l’irrigazione”. MOLTO PIÙ RISO IN TERRENI POVERI “La scoperta di questo gene – aggiunge il Prof. Kater – apre importanti prospettive per il miglioramento genetico del riso. Questo gene potrà contribuire alla creazione di nuove varietà di riso altamente produttive, in tempi molto rapidi e con la certezza che le nuove varietà saranno in grado di assorbire fosforo in modo più efficace. Tali varietà consentiranno di limitare l’uso di fertilizzanti e potranno crescere anche in terreni carenti di fosforo, spesso posseduti da agricoltori talmente poveri che non possono permettersi di acquistare le quantità necessarie di fertilizzante”. Il gene PSTOL1 è stato isolato dalla varietà tradizionale di riso denominata Kasalath, di origine indiana, in grado di crescere bene in terreni con basso contenuto in fosforo, a dimostrazione dell’enorme importanza di preservare la variabilità genetica delle specie di interesse agronomico: un vero e proprio serbatoio da cui attingere “vecchi” geni per nuove varietà. Attualmente varietà di riso contenenti il gene PSTOL1 vengono studiate nelle Filippine e in Indonesia, dove il fosforo è altamente carente. Queste varierà, che producono fino al 20% in più rispetto a quelle tradizionali e prive del gene PSTOL1, potranno essere immesse sul mercato e coltivate entro pochi anni. Il progetto, coordinato dalla dottoressa Sigrid Heuer del prestigioso “International Rice Research Institute IRRI” nelle Filippine, ha visto coinvolte, oltre all’Università degli Studi di Milano, istituzioni quali il “Japan International Research Center for Agricultural Sciences” e la “University of the Philippines Los Baños” ed è stato finanziato dal programma “CGIAR Generation Challenge Program”.