Socrate e la Virtù Mappa dell`Unità C`è una bella differenza tra

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Socrate e la Virtù
Mappa dell'Unità
C’è una bella differenza tra sophia e filosofia, ma non è questo il momento di occuparsene. La virtù del saggio
consisteva nell’ascesi, che grosso modo è quello stato nel quale la psiche è a diretto contatto col sacro: ancora
Parmenide - che le storie tradizionali mettono impunemente dalla parte dei filosofi duri e puri - appartenne forse più al
versante pre-istorico che a quello storico della filosofia (con i suoi rapimenti visionari e i suoi rapporti privilegiati con la
divinità). Secondo Parmenide, all’uomo comune tale virtù competeva tanto poco quanto l’intelligenza a una capra; ma
quando Socrate cominciò a parlarne in giro per Atene sembrava abbastanza chiaro a tutti di cosa parlasse, e per un po’
- dati i tempi - più che per un saggio fu scambiato per un ciarlatano “acchiappa - nuvole”. Ma alla lunga qualcosa delle
sue visioni cominciò ad andare storto agli inventori della democrazia. La virtù socratica non era più quella,
irraggiungibile e decorativa, dei “sapienti”: c’era in essa qualcosa di molto vicino alla vita di tutti i giorni, qualcosa alla
portata di tutti che la rendeva urtante e pericolosa. C’era, nella sua idea di virtù/bene, la spudorata denuncia dello stato
di inautenticità - per usare un termine moderno del tutto inadeguato alla cultura greca classica - in cui “innanzi tutto e
per lo più” noi trasciniamo la nostra esistenza. «Conosci te stesso» non era un motto inventato da Socrate: esso
illuminava la mente dei greci dalla notte dei tempi. Lui però lo aveva reso vivo, l’aveva staccato dalla pietra su cui
brillava innocuo per farlo camminare nudo come la verità in quel covo di corruzione e violenza che era diventata l’Atene
dei Trenta tiranni. Imperdonabile. Che uno osasse affermare che è meglio essere in disaccordo con tutti piuttosto che
con se stessi proprio nella patria della democrazia, può farci capire meglio cos’era diventata quella democrazia: una
farsa in cui primeggiavano i più spudorati demagoghi e gli opportunisti più biechi (come quel Meleto che scatenò il
processo contro Socrate).
Senza mezzi termini, il nostro primo filosofo si permetteva di sostenere implicitamente che quei suoi concittadini che
tanta popolarità mietevano in assemblea e in tribunale (ricordiamoci che la giuria popolare di Atene era composta da
500 persone) non avevano un briciolo di dignità e di rispetto della propria coscienza. Perché il bene non era (più)
qualcosa di così immediatamente desiderabile da tutti, tale che chiunque ne parlasse o lo perseguisse pubblicamente
potesse aspettarsi il trionfo politico e l’amore incondizionato dei suoi concittadini.
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©
Jacques-Louis David, La morte di Socrate, 1787
Piccolo popolo - Ci fermiamo un momento qui?
Ermetis –Volentieri.
Piccola popolo - Ce n’è abbastanza per non capirci già più niente.
Ermetis - Naturalmente siamo solo all’inizio ...
Piccolo popolo - Cominciamo intanto a mettere i puntini sulle “i”.
Ermetis - Sarebbe ...?
Piccolo popolo - Per esempio questa faccenda di una sfera esteriore e di una interiore del bene. Vorrei capire meglio di
cosa parli.
Ermetis - Intendo parlare di una sfera pubblica e di una privata dei discorsi. In pratica: per interiorità non voglio parlare
di anima o di spirito o di cose così, di cose eminentemente filosofiche … Voglio indicare dei fenomeni che condividiamo
certamente tutti, in quanto esseri umani. E cioè: con sfera esteriore i discorsi che teniamo con gli altri in quanto membri
di una comunità; e con sfera interiore quelli che ci facciamo dentro di noi in quanto semplicemente dotati della capacità
di pensare.
Piccolo popolo - Vuoi dire che pensare è parlare con se stessi?
Ermetis - È un’idea che mi sembra possibile porre come un inizio della discussione ...
Piccolo popolo - Parlare con se stessi: interiorità; parlare con gli altri: esteriorità. Mi sembra buono ... mi sembra molto
asciutto.
- Sì. Via l’anima e roba simile ...
- Rimane solo la mente, che non è neanche lei qualcosa di così scontato, mi pare.
Ermetis -Tutt’altro! Ma dobbiamo pur cominciare da qualche parte. Se mettiamo in discussione ogni parola, allora
cadiamo di nuovo nella trappola della filosofia pura ... della filosofia di professione. È vero che non c’è scienziato al
mondo - né tanto meno filosofo - che sappia davvero dimostrare che esiste qualcosa di cui si possa dire: “ecco la
mente”. Ma è anche vero che questa parola non ci è affatto sconosciuta, e che, malgrado tutto, quando parliamo di
“mente” ci capiamo benissimo.
Piccolo popolo - Fin qui sì. Quello che non capisco è come fa un problema a passare dalla sfera esteriore a quella
interiore.
Ermetis - Siamo partiti dalla domanda: cos’è “il problema”, che poi si può riformulare dicendo: cosa stiamo facendo,
quando ci poniamo un proble-ma? Con questa domanda mettiamo in gioco molto più che una chiacchierata... sempre
che ciascuno sia disposto a fare proprie le parole che metteremo in comune, che ci scambieremo, per ripensarci.
Sempre che uno sia disposto, cioè, a mettere dentro, a fare proprio, ciò che era comune. Ed è questo il salto dalla
Legge alla Virtù.
discutetene
Piccolo popolo - Stupendo. Ma mi sembra che manchi qualcosa ...
- Che cosa?
- Beh, mancano dei passaggi. Ti sei fatto i tuoi ragionamenti, sei arrivato alle tue conclusioni, ma dov’è il dialogo, la
discussione? Detto così, sembra che la virtù sia fare propria la legge comune: è questo che vuoi dire?
Ermetis - No, effettivamente non è questo. Sono stato davvero troppo precipitoso.
Piccolo popolo - Già, perché il fatto è: se si può rispettare la legge anche senza essere virtuosi, che cos’è allora che
cambia quando diventi virtuoso?
- È il rispetto della legge senza che nessuno ti ci costringa con la forza, o le minacce.
- Allora succede così: che prima te ne freghi ma ubbidisci per paura della punizione; poi ti fai carico di qualcosa che non
ti appartiene, non te ne freghi più, diciamo, degli altri, a prescindere ...
- Mi sembra che regga ...
- Non tanto: non è chiaro perché “a un certo punto” sia venuta fuori questa virtù. Che cosa ha visto Socrate che prima
nessuno aveva visto? Insomma: cos’é che ci ha fatti diventare virtuosi, da semplici cittadini rispet-tosi che eravamo?
- La crisi della Polis, della democrazia. La restaurazione dei poteri forti sulle classi emergenti che avevano creato le
condizioni del progresso sociale.
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- Quindi la virtù, il bene, è la prerogativa degli schiavi, di chi non ha voce in capitolo, di chi non ha libertà?
- Pare proprio di sì.
- Spiegatemi, che non vi seguo più.
- Sembra che siamo arrivati a questa conclusione: che fin che siamo costretti a rispettare la legge, si può essere dei
filibustrieri dentro senza che questo ci tolga il sonno ... senza che questo abbia una valenza negativa. Poi, però, la
bestialità di alcuni pochi, ben mu-niti di mass-media, straripa dagli argini della convivenza ed ecco che subito
percepiamo il lato oscuro della faccenda, ne rimaniamo vittime. Tanto che, anche dentro di noi, nel segreto della nostra
mente, non riusciamo più ad ammettere di poter essere così, di essere homo homini lupus. È la forza altrui a renderci
virtuosi, a farci apparire non buono ciò che prima accettavamo come naturale, una carta qualunque da giocare? Ha
ragione chi dice, allora, che la moralità è la virtù del gregge?
discutetene
È in qualche modo anche la posizione che assume Aristotele rispetto alla duplice dimensione della vita pubblica e della
vita privata.
Nietzsche.
Nota di copyright: Metropolitan Museum of Art, New York City, opera di pubblico dominio Con chi parliamo veramente,
quando parliamo "con noi stessi"? Di chi è la voce che "ci dice" che stiamo sbagliando o che ci fa vergognare di noi?
Insomma: che cos'è la coscienza?Nietzsche pensa che l'idea di giustizia e di bontà siano necessarie per difendersi dai
prepotenti, mentre se si è forti abbastanza da sapersi difendere e far valere non si ha nessun bisogno di essere "buoni"
o giusti. In sostanza: il cristianesimo è per lui la religione dei deboli. Cosa ne pansate (anche alla luce degli scandali che
oggi macchiano quasi quotidianamennte la vita politica del nostro paese)?
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In questa unità
Testo: Storia delle idee
Autore: Maurizio Châtel
Curatore: Maurizio Châtel
Metaredazione: Donatella Piacentino
Editore: BBN
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