Meccanica Quantistica in un guscio di pinolo

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Meccanica Quantistica in un guscio di pinolo
Maurizio Serva
Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione e
Matematica, Università dell’Aquila
”Nissuna umana investigazione si può dimandare vera scienzia s’essa non
passa per le matematiche dimostrazioni, e se tu dirai che le scienzie, che
principiano e finiscono nella mente, abbiano verità, questo non si concede,
ma si niega, per molte ragioni, e prima, che in tali discorsi mentali non
accade esperienzia, sanza la quale nulla dà di sè certezza” - Leonardo da
Vinci (1452-1519)
INDICE
1. Comportamento dei sistemi quantistici e un po’ di storia
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
1.5.
Diffrazione e interferenza di elettroni: la doppia fenditura
Il problema della stabilità degli atomi
Le righe spettrali e la formula di Rydberg
La vecchia teoria dei quanti: il modello atomico di Bohr
La regola di quantizzazione di Bohr e Sommerfeld
2. Postulati, princı̀pi e strumenti matematici della Meccanica Quantistica
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
Stato quantistico: funzione d’onda e probabilità dell’esito di una misura della posizione
Principio di sovrapposizione
Operatori hermitiani
Autovalori e autostati
Probabilità dell’esito di una misura di un’osservabile
1
3. Posizione e impulso: principio di indeterminazione di Heisemberg
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
Operatore posizione e operatore impulso: autostati e autovalori
Prodotto e commutatore di operatori: il commutatore fondamentale
Relazione di indeterminazione di Heisenberg
Esercizi
Esercizi svolti
4. La dinamica: l’equazione di Shrödinger
4.1 Hamiltoniana quantistica ed equazione di Shrödinger
4.2 Autostati e autovalori. Stati legati e stati di scattering. Soluzione generale
4.3 Conservazione della norma ed evoluzione della media di un operatore
5. L’equazione di Shrödinger in una dimensione
5.1
5.2
5.3
5.4
5.5
5.6
Spettro continuo: il caso libero. Il pacchetto d’onda
Non degenerazione dei livelli discreti nel caso unidimensionale
Spettro discreto: buca di potenziale di altezza infinita
Copresenza di spettro continuo e discreto: buca di potenziale di altezza finita
Esercizi
Esercizi svolti
6. L’equazione di Shrödinger per l’oscillatore armonico
6.1
6.2
6.3
6.4
Stato fondamentale corrispondente all’autovalore ~ω/2
Operatori di creazione e distruzione
Autostati e autovalori della hamiltoniana dell’oscillatore armonico
Esercizi
2
1. Comportamento dei sistemi quantistici e un po’ di storia
In questo capitolo analizziamo tre diverse evidenze sperimentali non spiegabili con la
Meccanica Classica e con un paio di esempi mostriamo come le prime e incomplete teorie
quantistiche abbiano cercato di affrontare il problema.
1.1. Diffrazione e interferenza di elettroni: la doppia fenditura
Come è ben noto le onde, che siano quelle elettromagnetiche o quelle che si formano sulla
superficie dell’acqua, sono soggette a diffrazione e interferenza.
La diffrazione è un fenomeno associato alla deviazione della traiettoria di propagazione
delle onde quando queste incontrano un ostacolo.
L’interferenza è un fenomeno dovuto alla sovrapposizione, in un punto dello spazio, di
due o più onde. Quello che si osserva è che l’ampiezza dell’onda risultante è differente in
punti diversi, e può variare tra un minimo di ampiezza nulla ed un massimo con ampiezza
coincidente con la somma delle ampiezze componenti (a sinistra in figura 1). Nel primo
caso si dice che l’interferenza è distruttiva, nel secondo che è costruttiva. L’interferenza è
costruttiva quando le onde interferiscono in fase e distruttiva in caso contrario. Naturalmente
tutte le situazioni intermedie sono possibili.
Nell’esperienza effettuata per la prima volta nel 1801 dal fisico britannico Thomas Young,
la luce di una lampada attraversa una doppia fenditura (si veda lo schema in figura 1) per
poi incidere su una lastra. Le bande alternate osservate sulla lastra in tale esperimento
(a destra in figura 1) sono la conseguenza dell’interferenza delle due onde passate da due
fenditure diverse. Se la differenza della lunghezza di percorso tra le due onde è pari a un
numero intero di lunghezze d’onda della luce, esse saranno in fase e quindi l’interferenza sarà
costruttiva. Il risultato sarà una banda luminosa sulla lastra. Al contrario, se la differenza
della lunghezza di percorso è pari a un numero semi-intero di lunghezze d’onda della luce,
esse saranno in controfase e quindi l’interferenza sarà distruttiva. Il risultato sarà una banda
scura sulla lastra. Si avranno poi tutte le gradazioni nelle posizioni intermedie.
Assumiamo D d, D x e calcoliamo la differenza ∆ della lunghezza del cammino
dei due raggi nel raggiungere il punto P
s
2 s
2
d
d
dx
− D2 + x −
'
.
(1)
∆ = D2 + x +
2
2
D
Quindi si avranno bande luminose quando ∆ = nλ e bande scure quando ∆ = (n + 1/2) λ.
Le posizioni corrispondenti alle bande luminose saranno quelle in cui x = nλD/d mentre
quelle corrispondenti alle bande scure saranno quelle in cui x = (n + 1/2) λD/d; ne consegue
che le bande saranno approssimativamente equispaziate (come si osserva a destra in figura
1) e la distanza tra due bande luminose (o due bande scure) sarà λD/d.
L’esperimento della doppia fenditura fu eseguito per la prima volta utilizzando elettroni
da Claus Jönsson dell’Università di Tubinga nel 1961. Fu quindi ripetuto nel 1974 a Bologna
da Pier Giorgio Merli, Gianfranco Missiroli e Giulio Pozzi che, a differenza di Jönsson,
inviarono un elettrone alla volta sulla lastra fotografica. I risultati dell’esperimento del 1974,
3
Figure 1: A sinistra l’interferenza di due onde sulla superficie dell’acqua. Si noti come l’interferenza sia
costruttiva in alcune regioni e distruttiva in altre. Al centro lo schema dell’esperimento di Young (1801) in
cui la luce di una lampada attraversa una doppia fenditura per poi incidere su una lastra. Il risultato è a
destra.
nonostante fossero stati pubblicati e nonostante fosse anche stato realizzato un documentario
in proposito, furono pressoché ignorati, tant’è che quando nel 1989 il giapponese Akira
Tonomura e i suoi collaboratori ripeterono l’esperimento, lo si considerò erroneamente il
primo.
La figura 2 è presa da un articolo di Tonomura e collaboratori del 1989. Gli elettroni
attraversano ad uno ad uno una doppia fenditura e impressionano una lastra. Si vede
chiaramente il formarsi di bande luminose e di bande scure mano a mano che gli elettroni
colpiscono la lastra.
Nonostante la straordinaria somiglianza con la precedente figura 1 dell’esperienza di
Young, la differenza sta nel fatto che gli elettroni sono particelle e non onde, infatti non è
difficile distinguere i punti lasciati da singoli elettroni sullo schermo. È piuttosto la probabilità di essere rilevato in un punto dello spazio a comportarsi come un onda, o piuttosto,
come vedremo, questa probabilità si costruisce a partire da una funzione d’onda con proprietà simili a quelle di un onda ordinaria.
Se l’esperimento venisse ripetuto lasciando aperta la prima fenditura per una metà degli
elettroni e la seconda per l’altra metà, le bande alternate sparirebbero. Dato che gli elettroni
passano uno per volta, se ne deduce che il singolo elettrone ’vede’ entrambe le fenditure e
quindi non si può semplicemente dire che sia passato attraverso una di esse.
Si noti che questo esperimento non ebbe nessun rilievo nello sviluppo storico della Meccanica Quantistica (era ancora un gedankenexperiment ossia un esperimento mentale poche
decadi fa) ma fa chiaramente percepire la grande differenza di comportamento dei sistemi
microscopici rispetto a quelli classici.
4
Figure 2: L’esperimento di Tonomura. Le quattro immagini corrispondono alla traccie sulla lastra di 100,
3000, 20000 e 70000 elettroni.
1.2. Il problema della stabilità degli atomi
La materia è fatta di molecole, che a loro volta sono fatte di atomi. Gli atomi sono
costituiti di particelle cariche negative (elettroni) che orbitano intorno a un nucleo composto
di particelle positive (protoni) e neutre (neutroni).
Consideriamo l’atomo di idrogeno, che è uno stato formato da un elettrone e da un
protone legati dalla forza di Coulomb, che ha potenziale analogo a quello gravitazionale
V (ρ) = −
e2
,
ρ
(2)
dove la costante e = 4.8 × 10−10 e.s.u. è la carica elettrica elementare (negativa per l’elettrone
e positiva per il protone). Ci basterà quindi utilizzare i risultati di Meccanica Classica per
il potenziale newtoniano.
Consideriamo per semplicità il caso di orbite circolari che si hanno quando l’energia
2
J2
−28
g è
meccanica E è pari al minimo del potenziale efficace − eρ + 2mρ
2 dove m = 9.11 × 10
2
J
la massa dell’elettrone. Tale minimo corrisponde al raggio costante è ρ = me
2 e l’energia è
2
e
2
E = − 2ρ . Inoltre il momento angolare è J = mρ θ̇ per cui θ̇ è anch’esso costante. Infine il
2
e
modulo dell’accelerazione è pari ad a = ρθ̇2 = mρ
2
Secondo la teoria classica elaborata dal matematico e fisico scozzese James Clerk Maxwell,
una particella carica in un moto accelerato emette radiazione elettromagnetica e perde energia. Per l’elettrone che si muove con un modulo dell’accelerazione pari ad a l’energia persa
per unità di tempo è
dE
2e2
−
= 3 a2 ,
(3)
dt
3c
dove c = 3 × 1010 cm · sec−1 è la velocità della luce.
La frazione di energia persa in una rivoluzione è molto piccola per cui l’orbita può essere
considerata approssimativamente circolare per quel che riguarda il moto kepleriano. Tuttavia
5
2
e
e
la perdita di energia riduce progressivamente il raggio. Tenendo presente che E = − 2ρ
a=
e2
,
mρ2
dalla (3) si ottiene una equazione di facile soluzione:
ρ2
dρ
4e4
=− 2 3
dt
3m c
ρ3 (t) = ρ3 (0) −
→
4e4
t,
m2 c3
(4)
2 3 3
pertanto l’elettrone cade sul nucleo in un tempo T = m c4eρ4 (0) . Ammettendo che il raggio
iniziale sia quello tipico di un atomo di idrogeno, ossia dell’ordine di un angstrom (10−8 cm),
il tempo necessario al decadimento è dell’ordine di un decimilionesimo di secondo. In conclusione, secondo la fisica classica un atomo di idrogeno collassa in un tempo brevissimo,
cosa che sicuramente non accade in natura.
1.3. Le righe spettrali e la formula di Rydberg
All’inizio della seconda metà dell’800, fu sviluppato lo spettroscopio. Se una sostanza
gassosa veniva portata ad alta temperatura, si osservava uno spettro di emissione a righe e
non uno spettro continuo come ci si sarebbe aspettato. Ogni elemento ha uno spettro caratteristico, ad esempio lo spettro dell’idrogeno contiene le righe corrispondenti alle lunghezze
d’onda, 6562.8, 4861.3, 4340.5, 4101.7,... angstrom. Nella figura 3 si possono osservare le
righe del ferro e dell’azoto.
Figure 3: Le righe spettrali di emissione del ferro e dell’azoto. In entrambi casi solo alcune lunghezze d’onda
sono presenti, ma queste sono diverse per i due elementi.
Per la lunghezza d’onda di alcune linee spettrali dell’idrogeno, già nel 1885 il fisico
svizzero Johann Jakob Balmer aveva trovato una formula empirica. Successivamente il
fisico svedese Johannes Robert Rydberg generalizzò questo risultato e stabilı̀ una formula
universale per la lunghezza d’onda di tutte righe spettrali di ogni elemento:
1
R
R
=
−
,
2
λ
(m + a)
(n + b)2
6
(5)
dove R = 109678 cm−1 è una costante universale, chiamata appunto costante di Rydberg
mentre a e b sono costanti che dipendono dall’elemento. Le righe spettrali corrispondono,
per ogni elemento soltanto a valori di n e m interi positivi con n > m. Il fatto che le costanti
a e b siano diverse per elementi diversi fa si che ogni elemento possa essere individuato dal
suo spettro caratteristico come si vede in figura 3.
Per l’idrogeno le costanti a e b sono nulle e questa formula diventa
R
1
R
= 2 − 2.
λ
m
n
(6)
Si noti che anche l’assorbimento di energia avviene soltanto per le frequenze per le quali
la formula di Rydberg è rispettata.
La (5) rappresentava bene tutte le righe spettrali misurate per i vari atomi e in particolare
la formula (6) corrispondeva con grande precisione alle righe dell’idrogeno. A quei tempi
restava il problema di interpretare e comprendere il suo significato.
1.4. La vecchia teoria dei quanti: il modello atomico di Bohr
Il primo periodo della Meccanica Quantistica inizia nel 1900 con l’introduzione del concetto di quanto d’azione dovuta al fisico tedesco Max (Marx) Karl Ernst Ludwig Planck.
La nuova meccanica era sostanzialmente un insieme di concetti classici e quantistici. Questi
ultimi spiegavano in modo fenomenologico solo alcuni aspetti delle evidenze sperimentali in
disaccordo con la fisica classica e quindi la teoria non era considerata soddisfacente.
Soltanto a partire dal 1925, con i lavori del fisico tedesco Werner Karl Heisenberg e del
fisico e matematico austriaco Erwin Schrödinger la teoria assume una veste definitiva per
quel che riguarda la meccanica non relativistica. L’approccio di Schrödinger si basa sull’
equazione omonima ed è quello che noi adotteremo nel corso, l’approccio di Heisenberg,
detto anche metodo delle matrici, è del tutto equivalente come fu chiaro sin dagli inizi.
Torniamo ora al primo periodo della Meccanica Quantistica con il modello atomico proposto dal fisico danese Niels Bohr per spiegare la formula di Rydberg. L’idea di Bohr era che
nell’atomo di idrogeno, l’energia dell’elettrone, in interazione coulombiana con il protone,
potesse prendere soltanto valori discreti.
Più precisamente, Bohr formulò le seguenti ipotesi sull’atomo:
• l’elettrone può muoversi attorno al nucleo solo lungo certe orbite stazionarie permesse
corrispondenti a ben definiti valori quantizzati dell’energia. Ogni orbita stazionaria
è definita da un singolo numero intero positivo n (numero quantico principale) con
corrispondente energia
Rhc
(7)
En = − 2 ,
n
dove h = 6.63 × 10−27 erg · sec è la nuova costante che prende il nome da Plank. Per
n = 1 vi è il livello 1, detto livello energetico fondamentale. Finché l’elettrone permane
in uno dei possibili stazionari non emette luce;
7
Figure 4: Ogni stato possibile è individuato da un numero intero n positivo. L’atomo emette o assorbe luce
solo quando un elettrone compie una transizione, ossia un salto, da uno stato ad un altro.
• l’atomo emette o assorbe luce solo quando un elettrone compie una transizione ossia
un salto da uno stato n ad un altro m (si vede la figura 4). La luce emessa o assorbita
in tale transizione ha la frequenza
hν = ~ω = En − Em =
dove, per definizione, ~ =
h
2π
Rhc Rhc
− 2 ,
m2
n
(8)
(acca tagliato);
• l’elettrone che si trova in uno stato stazionario si muove secondo la Meccanica Classica.
Per grandi valori di n gli stati sono energeticamente sempre più vicini e quindi la nuova
meccanica è ben approssimata da quella classica per la quale l’energia non d̀iscretizzata
(Principio di Corrispondenza di Bohr).
Tenendo presente che per la radiazione elettromagnetica si ha λ = νc , dalle (7), (8) si
ha immediatamente una interpretazione della formula di Rydberg (6) in termini di livelli di
energia dell’atomo. Inoltre, si rimuove d’autorità il problema del decadimento dell’elettrone.
Naturalmente questa soluzione rimanda immediatamente a un nuovo problema, come
introdurre una regola di quantizzazione di validità generale?
1.5. La regola di quantizzazione di Bohr e Sommerfeld
Niels Bohr e il fisico tedesco Arnold Johannes Wilhelm Sommerfeld formularono la prima
regola universale di quantizzazione. Partendo dall’osservazione che in Meccanica Classica
la variabile azione è un invariante adiabatico, essi ipotizzarono che essa potesse assumere
8
soltanto dei valori discreti. Il fatto che l’azione sia un invariante adiabatico è fondamentale per la consistenza dell’ipotesi di Bohr e Sommerfeld, basti pensare a due sistemi che
differiscono poco nei parametri.
Più precisamente essi proposero che per tutti i moti periodici la seguente condizione di
quantizzazione fosse soddisfatta:
I
1
p dq = n ~,
(9)
A=
2π
dove n è un numero intero positivo.
Dato che l’elettrone in Meccanica Classica segue orbite kepleriane su un piano determi2
nate dal potenziale V = − eρ , se ne può immediatamente calcolare l’energia E in termini
dell’azione Aρ corrispondente al moto radiale e dell’azione Aθ corrispondente al moto angolare:
m e4
.
(10)
E=−
2(Aρ + Aθ )2
Per questa espressione basta sostituire α con e2 in (??). La regola di quantizzazione (9)
postula che sia Aρ che Aθ siano multipli interi di ~ e quindi anche la loro somma. In simboli:
Aρ + Aθ = n~. In definitiva
Rhc
2m π 2 e4 hc
=− 2 ,
(11)
3
2
ch
n
n
che è esattamente l’espressione (7). Si noti che questo risultato definisce la costante di
Rydberg R in termini della costante di Plank h, della velocità della luce c e della carica
elementare e. Il valore numerico corrisponde a quello osservato sperimentalmente.
A questo punto si sono trovati i livelli di energia dell’atomo e quindi l’energia emessa o
assorbita quando l’elettrone compie un salto di stato. Vediamo ora come questo risultato
può essere completato associandolo alla lunghezza d’onda della radiazione elettromagnetica
emessa nel salto.
Possiamo descrivere il campo elettromagnetico come un oscillatore armonico per il quale
classicamente E = Aω = A 2πν dove A è la variabile d’azione. Dalla regola di quantizzazione ne segue
En = nhν,
(12)
En = −
che se
quindi il singolo fotone (il quanto elettromagnetico) ha una energia pari a hν = hc
λ
viene uguagliata all’energia emessa En − Em con En in (11) da come risultato la formula di
Rydberg (6).
Si noti che per l’atomo di idrogeno, la (11) è corretta ossia coincide con il risultato della
Meccanica Quantistica moderna, mentre per l’oscillatore armonico la (12) è corretta a meno
di una costante additiva pari a hν/2.
Senz’altro, la quantizzazione di Bohr e Sommerfeld fu un passo importantissimo nella
direzione di una comprensione dei fenomeni quantistici, tuttavia la teoria che ne risultava era
un ibrido di Meccanica Classica e nuovi concetti. Il passo definitivo sarebbe stato compiuto
da Schrödinger e Heisemberg.
9
Figure 5: Erwin Schrödinger e Werner Karl Heisenberg.
2. Postulati, princı̀pi e strumenti matematici della Meccanica Quantistica
In questo capitolo forniamo gli strumenti matematici della Meccanica Quantistica e ne
discutiamo postulati e princı̀pi. La formulazione è quella di Shrödinger (omonima equazione),
del tutto equivalente a quella di Heisemberg (meccanica delle matrici). Entrambi possono
essere considerati gli inventori della Meccanica Quantistica.
2.1. Stato quantistico: funzione d’onda e probabilità dell’esito di una misura della posizione
Sia q = (q1 , q2 , ...., qn ) ∈ Rn l’insieme delle coordinate di un sistema (n = 3N per un
sistema di N particelle, ognuna delle n = 3N variabili
Q qi coincide una delle tre coordinate di
una delle N particelle del sistema), sia poi dq = ni=1 dqi l’elemento di volume nello spazio
delle configurazioni. Lo stato di un sistema ad ogni istante t è descritto dalla funzione d’onda
a valori complessi ψ(q, t).
Sia A ⊂ Rn allora
Z
Pt (A) =
|ψ(q, t)|2 dq
(13)
A
è la probabilità di trovare il sistema in A all’istante t (postulato fondamentale). Questo
implica che
Z
|ψ(q, t)|2 dq = 1,
(14)
Rn
ossia le funzioni d’onda devono essere di quadrato sommabile. In definitiva
ρ(q, t) = |ψ(q, t)|2
è la densità di probabilità associata all’esito di una misura della posizione del sistema.
10
(15)
L’ambito naturale è quindi lo spazio di Hilbert associato a queste funzioni sul quale il
prodotto scalare è definito come
Z
hφ, ψi :=
φ∗ (q, t)ψ(q, t)dq,
(16)
Rn
dove ψ ∗ (q, t) è il complesso coniugato di ψ(q, t). Si noti che dalla definizione discende
immediatamente hφ, ψi = hψ, φi∗ e che la condizione di normalizzazione (14) può essere
tradotta come
p
(17)
||ψ|| := hψ, ψi = 1.
Si noti che ogni funzione d’onda per la quale l’integrale del modulo quadro converge è
normalizzabile, per cui ψ e cψ, dove c è una costante complessa qualsiasi diversa da zero,
rappresentano lo stesso stato. Se una funzione d’onda non è normalizzata
a 1, ci si può
R
2
sempre ricondurre alla (17) dividendo la funzione per la costante ( Rn |ψ(q, t)| dq)1/2 oppure
ridefinendo la densità di probabilità come
|ψ(q, t)|2
.
|ψ(q, t)|2 dq
Rn
ρ(q, t) = R
(18)
In realtà faremo uso anche di funzioni d’onda non normalizzabili che non hanno un
significato fisico per quel che riguarda l’esito di una misura della posizione. Per queste
funzioni d’onda non è infatti possibile definire la relativa densità di probabilità, tuttavia
esse hanno un significato relativo all’esito di una misura di altre variabili che caratterizzano
il sistema (impulso, energia,....).
2.2. Principio di sovrapposizione
Il principio di sovrapposizione degli stati costituisce uno dei postulati fondamentali della
Meccanica Quantistica. Esso afferma che se ψ1 e ψ2 sono due stati possibili, lo stato
ψ = c1 ψ1 + c2 ψ2 ,
(19)
dove c1 e c2 sono due costanti complesse arbitrarie, è anch’esso uno stato possibile.
Si noti che in generale
|ψ|2 = |c1 |2 |ψ1 |2 + |c2 |2 |ψ2 |2 + 2Re(c∗1 ψ1∗ c2 ψ2 ) 6= |c1 |2 |ψ1 |2 + |c2 |2 |ψ2 |2 ,
(20)
quindi la sovrapposizione non si applica alle densità di probabilità ma alla funzione d’onda.
Questo spiega anche perché nell’esperimento della doppia fenditura le bande di interferenza
scompaiono quando le fenditure non sono contemporaneamente aperte, ma lo è solo la prima
per metà degli elettroni e la seconda per l’altra metà. Nel caso in cui entrambe le fenditure
sono aperte la funzione d’onda è ψ = ψ1 + ψ2 , dove le due componenti ψ1 e ψ2 si riferiscono
alla funzione d’onda uscente rispettivamente dalla prima e dalla seconda apertura. In questo
caso la densità di probabilità è proporzionale a |ψ1 + ψ2 |2 . Nel caso in cui solo una delle
fenditure è aperta la funzione d’onda uscente è ψ1 (prima fenditura aperta) oppure ψ2
11
(seconda fenditura aperta). In questo caso la densità di probabilità globale (relativa a
tutti gli elettroni rilevati) è proporzionale a |ψ1 |2 + |ψ2 |2 cosicché il termine di interferenza
2Re(ψ1∗ ψ2 ) è assente.
È molto importante notare che la funzione d’onda, che ha un significato probabilistico,
si sovrappone come un’onda ordinaria. Questo è un principio fondamentale della Meccanica
Quantistica e da esso segue necessariamente che tutte le equazioni, inclusa l’equazione di
Schrödinger devono necessariamente essere lineari rispetto a ψ.
2.3. Operatori hermitiani
Un operatore fˆ trasforma ogni funzione d’onda ψ = ψ(q, t) dello spazio di Hilbert in un
altra funzione d’onda fˆψ(q, t). Ad esempio la derivata ∂q∂1 è l’operatore che trasforma la
P
∂ψ
∂2
funzione ψ(q, t) nella funzione ∂q
(q, t), il laplaciano ni=1 ∂q
2 è l’operatore che trasforma la
1
i
Pn ∂ 2 ψ
funzione ψ(q, t) nella funzione i=1 ∂q2 (q, t), la moltiplicazione per il modulo della posizione
i
|q| è l’operatore che trasforma la funzione ψ(q, t) nella funzione |q|ψ(q, t).
L’operatore è lineare se fˆ(c1 ψ1 +c2 ψ2 ) = c1 fˆψ1 +c2 fˆψ2 per due funzioni ψ1 e ψ2 qualsiasi
e per due costanti complesse c1 e c2 qualsiasi. È facile verificare che tutti e tre gli operatori
degli esempi fatti sopra sono lineari.
L’aggiunto fˆ+ di fˆ è definito come l’operatore per il quale l’uguaglianza hfˆ+ φ, ψi =
hφ, fˆψi è verificata per ogni coppia di funzioni d’onda. Tenendo conto che la definizione di
prodotto implica hfˆ+ φ, ψi = hψ, fˆ+ φi∗ possiamo equivalentemente definire l’aggiunto come
l’operatore per il quale l’uguaglianza hψ, fˆ+ φi∗ = hφ, fˆψi è verificata per ogni coppia di
funzioni d’onda.
Un operatore fˆ è hermitiano (o autoaggiunto) se vale la seguente proprietà
fˆ+ = fˆ,
(21)
hψ, fˆφi∗ = hfˆφ, ψi = hφ, fˆψi
(22)
che è equivalente a dire che
deveP
essere verificata per ogni φ e ψ. Tornando agli esempi fatti sopra, vedremo in seguito
∂2
∂
non lo è.
che ni=1 ∂q
2 e |q| sono hermitiani mentre ∂q
1
i
La media di un operatore fˆ rispetto allo stato ψ è definita come
hfˆi := hψ, fˆψi,
(23)
e nel caso di operatori hermitiani essa è sempre reale. Infatti dall’equazione (22) si ha
hψ, fˆψi∗ = hψ, fˆψi.
(24)
È anche vero che se la media hχ, fˆχi di un operatore è reale per ogni funzione χ allora
questo è hermitiano. Supponiamo appunto che hχ, fˆχi ∈ R per ogni χ, ponendo χ = ψ+eiα φ
abbiamo che hψ, fˆψi + hφ, fˆφi + eiα hψ, fˆφi + e−iα hφ, fˆψi ∈ R per ogni valore della costante
reale α. I primi due termini della somma sono reali per ipotesi, quindi eiα hψ, fˆφi+e−iα hφ, fˆψi
deve essere reale per ogni α. Questo, a sua volta, implica hψ, fˆφi∗ = hφ, fˆψi per ogni φ e ψ
e quindi, tenendo conto della definizione (22), implica l’hermitianità dell’operatore.
12
2.4. Autovalori e autostati
Un’ulteriore semplice conseguenza è che gli autovalori di un operatore hermitiano sono
tutti reali. Si consideri l’autostato ψα e il corrispondente autovalore fα , ossia sia la funzione
ψα = ψα (q) (indipendente dal tempo) tale che
fˆψα = fα ψα ,
(25)
dove fα è l’autovalore (una costante). Si avrà
hψα , fˆψα i = hψα , fα ψα i = fα hψα , ψα i,
(26)
dato che hψα , fˆψα i ∈ R per via della (24), l’autovalore fα è reale. Si noti che si è implicitamente assunto che hψα , ψα i = ||ψα ||2 sia finito, vedremo che questo è vero solo se esiste al
più un’infinità numerabile di autovalori (spettro discreto).
Nel caso in cui gli autovalori assumono valori con continuità (spettro continuo), gli autostati non sono normalizzabili, tuttavia anche in questo caso si può far vedere, con una
procedura di limite, che gli autovalori sono tutti reali.
Gli autostati ψα e ψβ corrispondenti ad autovalori diversi fα 6= fβ di un operatore
hermitiano sono ortogonali, infatti l’hermitianità implica
hfˆψβ , ψα i = hψβ , fˆψα i → fβ hψβ , ψα i = fα hψβ , ψα i → hψβ , ψα i = 0,
(27)
questo è vero sia per operatori con spettro discreto che per operatori con spettro continuo.
D’ora in poi indicheremo con le lettere n oppure m gli autovalori fn oppure fm e gli
autostati ψn oppure ψm corrispondenti allo spettro discreto e con le lettere u oppure v gli
autovalori fu oppure fv e gli autostati ψu oppure ψv corrispondenti allo spettro continuo.
In generale, per operatori con spettro discreto, è possibile trovare una base ortonormale.
Infatti, come abbiamo visto, gli autostati corrispondenti ad autovalori diversi sono già ortogonali, poi per ognuno dei sottospazi corrispondenti a uno stesso autovalore si può trovare
una relativa base ortonormale. È quindi possibile la decomposizione
X
ψ(q, t) =
c(n, t) ψn (q)
(28)
n
con
fˆψn = fn ψn , hψm , ψn i = δn,m → hψm , fˆψn i = fn δn,m ,
(29)
dove δn,m è la delta di Kronecker. Si noti che i valori fn non sono necessariamente tutti
diversi. I coefficienti c(n, t) si ottengono per integrazione come c(n, t) = hψn , ψi, infatti,
tenendo conto della condizione hψm , ψn i = δn,m , si ha
Z
Z
X
∗
hψn , ψi = ψn (q)ψ(q, t)dq =
c(m, t) ψn∗ (q)ψm (q)dq = c(n, t).
(30)
m
Nel caso di operatori con spettro continuo si procede in modo analogo e si ottiene la
decomposizione
Z
ψ(q, t) = c(u, t) ψu (q)du
(31)
13
con
fˆψu = fu ψu , hψu , ψv i = δ(u − v) → hψu , fˆψv i = fu δ(u − v)
(32)
dove δ(u − v) è una delta di Dirac. Anche i coefficienti c(u, t) si ottengono per integrazione:
Z
c(u, t) = ψu∗ (q)ψ(q, t)dq = hψu , ψi.
(33)
Per gli operatori con spettro discreto, tenendo conto che la funzione d’onda (28) è
normalizzata
e tenendo conto della condizione hψm , ψn i = δn,m si verifica facilmente che
P
2
|c(n,
t)|
=
1. Infatti
n
Z
X
X
∗
∗
1 = hψ, ψi =
c (m, t)c(n, t) ψm
(q)ψn (q)dq =
|c(n, t)|2 .
(34)
n,m
n
Analogamente, per gli operatori con spettro discreto, tenendo conto che la funzione
d’onda (31) è normalizzata
e tenendo conto della condizione hψu , ψv i = δ(u − v) si verifica
R
facilmente che |c(u, t)|2 du = 1, infatti
Z Z
Z
Z
∗
∗
1 = hψ, ψi =
du dv c (u, t)c(v, t) ψu (q)ψv (q)dq = |c(u, t)|2 du.
(35)
Per alcuni operatori lo spettro può essere in parte discreto e in parte continuo (vedremo
degli esempi), in tal caso
Z
X
ψ(q, t) =
c(n, t) ψn (q) + c(u, t) ψu (q)du,
(36)
n
dove
continuo sono ortogonali a quelli dello spettro discreto e dove
R dello spettro
P gli autostati
2
2
|c(u, t)| du = 1 .
n |c(n, t)| +
2.5. Probabilità dell’esito di una misura di un’osservabile
Il motivo per il quale abbiamo tanto parlato degli operatori hermitiani dovrebbe essere
a questo punto chiaro, il fatto che gli autovalori (sia discreti che continui) sono reali ci fa
pensare che questi possano essere messi in corrispondenza con i valori che una variabile fisica
può assumere. Possiamo infatti generalizzare il postulato fondamentale come segue:
ad ogni osservabile fisica f è associato un operatore lineare hermitiano fˆ, i valori di una
misura di una osservabile sono esclusivamente gli autovalori di fˆ. In particolare, se lo spettro
di fˆ è discreto, la variabile prende solo valori discreti (quantizzati), in caso contrario, se lo
spettro è continuo, la variabile prende valori continui. Le relative probabilità si calcolano a
partire dalla funzione d’onda ψ(q, t).
Nel caso di variabili discrete, la probabilità che il sistema sia trovato nello stato ψn
corrispondente al valore fn della
è p(n, t) = |c(n, t)|2 . Si noti che p(n, t) è positiva
P variabile
2
ed è normalizzata dato che n |c(n, t)| = 1.
14
Figure 6: Nel caso di variabili discrete, la probabilità che il sistema sia trovato nello stato ψn corrispondente
al valore fn della variabile è |c(n, t)|2 . Nel caso di variabili continue, la densità di probabilità che il sistema
sia trovato nello stato ψu corrispondente al valore fu della variabile è |c(u, t)|2
Il valore medio hf i della variabile, relativo allo stato ψ(q, t) sarà quindi
Z
X
|c(n, t)|2 fn ,
hf i = ψ ∗ (q, t)fˆψ(q, t)dq =
(37)
n
dove si è fatto uso della (28) e della uguaglianza a destra nella (29).
Nel caso di variabili continue, la densità di probabilità che il sistema sia trovato nello
stato ψu corrispondente al valore fu Rdella variabile è ρ(u, t) = |c(u, t)|2 . Si noti che ρ(u, t) è
positiva ed è normalizzata dato che du |c(u, t)|2 = 1.
Il valore medio hf i della variabile, relativo allo stato ψ(q, t), sarà quindi
Z
Z
∗
ˆ
hf i = ψ (q, t)f ψ(q, t)dq = |c(u, t)|2 fu du,
(38)
dove si è fatto uso della (31) e dell’uguaglianza a destra nella (32).
3. Posizione e impulso: principio di indeterminazione di Heisemberg
In questo capitolo identifichiamo gli operatori di posizione e di impulso, ne troviamo gli
autostati e gli autovalori, definiamo il commutatore tra due operatori e calcoliamo il commutatore fondamentale. Stabiliamo inoltre l’importantissimo principio di indeterminazione
di Heisenberg.
15
3.1. Operatore posizione e operatore impulso: autostati e autovalori
Si consideri per ora un sistema ad un grado di libertà (n=1), ossia un punto materiale
che smuove in una dimensione. I questo caso la funzione d’onda ψ(x, t) dipenderà dall’unica
coordinata x (oltre che dal tempo). Si definisce l’operatore posizione x̂ come l’operatore che
moltiplica la funzione d’onda ψ(x, t) per x, ossia:
x̂ψ(x, t) = xψ(x, t).
È facile verificare che questo operatore è hermitano, infatti risulta in modo banale
Z +∞
Z +∞
∗
hφ, x̂ψi =
φ (x, t) x ψ(x, t)dx =
[x̂φ(x, t)]∗ ψ(x, t)dx = hx̂φ, ψi.
−∞
(39)
(40)
−∞
Gli autostati ψx0 (x) di questo operatore, corrispondenti all‘autovalore x0 sono
ψx0 (x) = δ(x − x0 ) → x̂ψx0 (x) = xψx0 (x) = x0 ψx0 (x).
(41)
Lo spettro è continuo, infatti tutti i valori reali di x0 sono possibili, questo si riflette nel
fatto che
Z +∞
hψx0 , ψx1 i =
δ(x − x0 ) δ(x − x1 )dx = δ(x0 − x1 ).
(42)
−∞
Si noti che utilizzando la (33) risulta c(x0 , t) = ψ(x0 , t), pertanto la densità di probabilità
di trovare il sistema in x0 è data da ρ(x0 ) = |c(x0 , t)|2 = |ψ(x0 , t)|2 . Questo significa che
il postulato fondamentale in 3.1 relativo alla posizione è un caso particolare del postulato
fondamentale in 3.5 relativo ad una qualsiasi osservabile.
L’operatore impulso p̂ (o quantità di moto o momento) è invece definito come
p̂ψ(x, t) = −i~
∂ψ(x, t)
.
∂x
(43)
Anche in questo caso è facile verificare che questo operatore è hermitano, infatti risulta in
modo banale
∗
Z +∞ Z +∞
∂ψ(x, t)
∂φ(x, t)
∗
dx =
ψ(x, t) dx = hp̂φ, ψi,
hφ, p̂ψi =
φ (x, t) −i~
−i~
∂x
∂x
−∞
−∞
(44)
dove l’uguaglianza tra i due integrali si ottiene per integrazione per parti, tenendo conto che
le funzioni d’onda sono di quadrato sommabile e quindi si annullano a ±∞. Gli autostati
ψp (x) di questo operatore, corrispondenti all’autovalore p sono
ψp (x) = √
px
1
∂ψp (x)
ei ~ → p̂ψp (x) = −i~
= pψp (x).
∂x
2π~
(45)
Lo spettro è continuo, infatti tutti i valori reali di p sono possibili, questo si riflette nel fatto
che
Z +∞
(p1 −p0 )x
1
hψp0 , ψp1 i =
(46)
ei ~ dx = δ(p0 − p1 ).
2π~ −∞
16
Applicando la (33) risulta che
1
c(p, t) = √
2π~
Z
+∞
px
ei ~ ψ(x, t)dx
(47)
−∞
e quindi che la densità di probabilità di avere p come risultato della misura dell’impulso è
ρ(p) = |c(p, t)|2 .
Si noti che la lunghezza d’onda associata allo stato in (45) è quella per la quale le fasi
px/~ e p(x + λ)/~ differiscono di 2π ed è quindi λ = h/p. Questa è la lunghezza d’onda
rilevante nell’esperimento della doppia fenditura.
Se il sistema è composto da N particelle, per ognuna di esse si definiscono gli operatori
posizione e gli operatori impulso. Per una data particella si ha x̂i = xi i = 1, 2, 3 e
p̂i = −i~ ∂x∂ i . Con un certo abuso di notazione questi si scrivono in forma vettoriale come
x̂ = x, p̂ = −i~∇.
3.2. Prodotto e commutatore di operatori: il commutatore fondamentale
Il prodotto di due operatori è definito da
fˆĝψ = fˆ(ĝψ).
(48)
In generale gli operatori fˆĝ e ĝ fˆ sono diversi. Il commutatore tra due operatori fˆ e ĝ è
definito da
[fˆ, ĝ] = fˆĝ − ĝ fˆ.
(49)
Se [fˆ, ĝ] = 0 si dice che i due operatori commutano, altrimenti, se [fˆ, ĝ] 6= 0, si dice che non
commutano.
Si verifica facilmente che per le tre componenti di posizione e impulso della stessa particella p̂i x̂i ψ = x̂i p̂i ψ − i~ψ, infatti
p̂i x̂i ψ = −i~
∂ψ
∂(xi ψ)
= −i~ xi
− i~ ψ = x̂i p̂i ψ − i~ψ,
∂xi
∂xi
(50)
analogamente si verifica che p̂i x̂j ψ = x̂j p̂i ψ se i 6= j.
Si ottiene quindi il commutatore fondamentale
[x̂i , p̂j ] = i~δi,j
(51)
che mantiene questa stessa identica forma per qualsiasi coppia di operatori associati a variabili canonicamente coniugate Xi e Pi .
Si verificano inoltre facilmente le seguenti relazioni
[x̂i , x̂j ] = [p̂i , p̂j ] = 0,
(52)
inoltre variabili corrispondenti a particelle diverse commutano sempre.
Si noti l’analogia formale con le parentesi di Poisson fondamentali. In un certo senso la
Meccanica Quantistica si ottiene sostituendo le variabili classiche con i relativi operatori in
modo che
17
1 ˆ
[f , ĝ].
(53)
i~
Vedremo che questa analogia diventa ancora più stretta quando si considera la dinamica.
Come esercizio mostreremo che molti operatori hermitiani si ottengono come combi∂2
∂
− i~). Questo è
nazioni q̂ e p̂ (ad esempio x̂2 = x2 , p̂2 = −~2 ∂x
x̂p̂ + p̂x̂ = −2i~x ∂x
2,
importante, infatti, come in Meccanica Classica tutte le variabili rilevanti (energia, momento
angolare,...) si ottengono come combinazione di momento e posizione, anche in Meccanica
Quantistica esse sono associate a combinazioni degli operatori x̂ e p̂.
{f, g} →
3.3. Relazione di indeterminazione di Heisenberg
Consideriamo di nuovo un sistema unidimensionale per il quale [x̂, p̂] = i~ e dimostriamo la relazione di indeterminazione di Heisenberg ∆x∆p ≥ ~/2 dove ∆x e ∆p sono le
indeterminazioni relative alla misura di posizione e impulso (deviazioni standard) definiti
come
(∆x)2 = hx̂2 i − hx̂i2 = h [x̂ − hx̂i]2 i
(∆p)2 = hp̂2 i − hp̂i2 = h [p̂ − hp̂i]2 i.
(54)
Consideriamo un operatore (non hermitiano)
 = [x̂ − hx̂i] + iα[p̂ − hp̂i],
dove α è un numero reale qualsiasi. È immediato verificare che hÂ+ Âi ≥ 0, infatti
Z +∞
Z +∞
+
∗
+
h Âi =
ψ (x, t)Â Âψ(x, t)dx =
(Âψ(x, t))∗ Âψ(x, t)dx ≥ 0.
−∞
(55)
(56)
−∞
Dato che Â+ = [x̂ − hx̂i] − iα[p̂ − hp̂i], la relazione (56) implica immediatamente
h [x̂ − hx̂i]2 i + iα[x̂ − hx̂i, p̂ − hp̂i] + α2 h [p̂ − hp̂i]2 i ≥ 0.
(57)
Dato che sia hx̂i che hp̂i sono dei semplici numeri dipendenti dal tempo che commutano con
tutto, si ha [x̂ − hx̂i, p̂ − hp̂i] = [x̂, p̂] = i~ e quindi la disuguaglianza diventa:
(∆x)2 − α~ + α2 (∆p)2 ≥ 0,
(58)
dove si sono usate le definizioni in (54). La (58) deve essere soddisfatta per qualsiasi valore
di α e quindi il discriminante deve essere non positivo, ossia
~2 − 4(∆x)2 (∆p)2 ≤ 0,
(59)
da cui si ricava finalmente l’importantissima relazione di indeterminazione di Heisemberg:
∆x∆p ≥
18
~
.
2
(60)
Questa stessa disuguaglianza è soddisfatta da ogni coppia di variabili xi e pi per una qualsiasi
particella di un sistema, inoltre essa può essere stabilita per ogni coppia di variabili coniugate
Q e P i cui operatori soddisfano [Q̂, P̂ ] = i~.
Al contrario, se due operatori hermitiani commutano, le variabili associate possono assumere un valore certo contemporaneamente, questo significa che esistono autostati comuni
a entrambe.
La relazione (60), anche nota come principio di indeterminazione di Heisemberg, implica
che per una particella non è possibile misurare e quindi non è possibile conoscere contemporaneamente il valore della posizione e quello della quantità di moto con precisione assoluta.
Tanto più si tenta di ridurre l’incertezza su una variabile, tanto più aumenta l’incertezza
sull’altra. Il principio d’indeterminazione è un principio d’assoluta generalità ed è a fondamento della fisica moderna.
Nell’interpretazione più comune, si assume che una particella non possieda contemporaneamente una posizione e una velocità certe, in qualche modo si rinuncia a una rappresentazione della realtà in termini di entità provviste di proprietà certe anche se ignote.
Tuttavia se misuriamo la posizione di una particella questa assumerà un valore ben definito
ma a quel punto l’impulso sarà completamente indeterminato per via del principio di Heisemberg. Analogamente se ne misuriamo l’impulso questo assumerà un valore ben definito ma
la posizione risulterà assolutamente indeterminata.
Le proprietà di un sistema emergono solo dall’interazione tra l’osservatore (che misura) e
il sistema stesso (le cui proprietà sono indefinite prima dell’operazione di misura). Insomma
siamo di fronte a una rappresentazione di una realtà che non ha proprietà indipendenti da
osservatori e interazioni a differenza della realtà classica.
La Meccanica Quantistica, ha ora un secolo di vita e non è mai stata invalidata sperimentalmente, tuttavia agli inizi fu molto criticata proprio per le implicazioni ’filosofiche’.
Ad esempio, Albert Einstein, pur avendo contribuito alla sua nascita (vinse il Nobel per
gli studi sull’effetto fotoelettrico, un importante fenomeno quantistico) non digerı̀ mai questa
teoria per la quale esistono solo delle mere probabilità di osservare alcuni eventi e peraltro
queste probabilità non sono statistiche ma si ottengono dalla funzione d’onda che descrive
completamente lo stato del sistema.
Inoltre Einstein sosteneva che la realtà fosse un elemento oggettivo, che esiste e ha proprietà indipendentemente dalla presenza o meno di un osservatore e indipendentemente dalle
interazioni. Einstein rivolse proprio a Bohr la domanda seguente: ”Veramente è convinto
che la luna non esista quando nessuno la osserva?”. Non è facile rispondere, ma a pensarci
bene è una domanda che per definizione non ha risposta.
3.4. Esercizi
• Si mostri che, analogamente alle parentesi di Poisson, i commutatori soddisfano l’identità
di Jacobi [fˆ, [ĝ, ĥ]] + [ĝ, [ĥ, fˆ]] + [ĥ, [fˆ, ĝ]] = 0.
+
... fˆ1+ .
• Si mostri che (fˆ ĝ)+ = ĝ + fˆ+ e conseguentemente che (fˆ1 fˆ2 ... fˆL )+ = fˆL+ fˆL−1
• Si mostri che gli operatori i[fˆ, ĝ], fˆĝ + ĝ fˆ e fˆ+ ĝ sono tutti hermitiani se fˆ e ĝ sono
entrambi hermitiani.
19
Figure 7: In Meccanica Classica un sistema ha delle proprietà ben definite indipendentemente da osservatori
e interazioni (a sinistra). In Meccanica Quantistica le proprietà di un sistema emergono solo dall’interazione
tra l’osservatore (che misura) e il sistema stesso. Le proprietà di quest’ultimo sono indeterminate prima
dell’operazione di misura (a destra).
• Sia G(x̂) l’operatore tale che G(x̂) ψ(x, t) = G(x) ψ(x, t) dove G(x) è una funzione
scalare della x. Si mostri che G(x̂) e p̂n , con n intero non negativo, sono entrambi
p̂2
hermitiani. Si usi il risultato per mostrare che anche l’operatore hamiltoniana 2m
+
V (x̂) è hermitiano.
• Si dica quali tra i seguenti operatori x̂p̂, p̂x̂, x̂p̂ + p̂x̂, p̂x̂p̂, p̂2 x̂ e x̂p̂2 è hermitiano.
• Si calcoli [p̂, G(x̂)] dove G(x) è una qualsiasi funzione derivabile della x e lo si confronti
con l’analogo classico, {p, G(x)}.
• Si calcolino i commutatori [p̂2 , x̂] e [p̂, x̂2 ] e li si confronti con gli analoghi classici
{p2 , x} e {p, x2 }.
• Si calcolino [p̂x̂p̂, x̂], [p̂2 x̂, x̂] e [x̂p̂2 , x̂] e li si confronti con l’analogo classico {xp2 , x}.
Si dica inoltre quale dei tre commutatori è un operatore hermitiano.
• Si consideri la funzione d’onda
ψ(x) =
(x−x0 )2
p x
1
−
+i 0~
4σ 2
e
2
1/4
(2πσ )
(61)
e si mostri che la densità di probabilità della posizione è una gaussiana N (x0 , σ) e
quindi che la norma ||ψ|| è unitaria. Si calcolino inoltre i valori attesi di x̂, p̂, x̂2 e
20
p̂2 . Si usino i valori attesi calcolati per mostrare che (∆x)2 = hx̂2 i − hx̂i2 = σ 2 e
~2
(∆p)2 = hp̂2 i − hp̂i2 = 4σ
2 e che quindi questo stato è di minima indeterminazione.
3.5. Esercizi svolti
• Si consideri ancora la ψ(x) in (61), abbiamo visto che la varianza della posizione è σ 2
~2
e quella dell’impulso è 4σ
2 . Questo significa che per piccoli valori di σ la posizione
diviene certa mentre per grandi valori di σ è l’impulso a diventare certo.
L’esercizio da svolgere è quindi il seguente: si mostri che nel limite di grandi σ si
ottiene l’autostato dell’impulso ψp0 (x) e nel limite di piccoli σ si ottiene l’autostato
della posizione ψx0 (x).
Prima di eseguire il limite σ → 0 è necessario moltiplicare la ψ(x) per la costante c1 =
1/4 −i p0 x0
1
e ~ mentre prima di eseguire il limite σ → ∞ è necessario moltiplicare la
2
8πσ
2 1/4
σ
ψ(x) per la costante c2 = 2π~
. Si ricordi che la moltiplicazione della funzione
2
d’onda per una costante non modifica lo stato fisico del sistema.
Nel limite σ → 0 si avrà quindi
c1 ψ(x) =
p (x−x )
(x−x0 )2
p0 (x−x0 )
1
+i 0 ~ 0
−
4σ 2
= δ(x − x0 ),
e
→ δ(x − x0 ) ei ~
2
1/2
(4πσ )
(62)
dove il limite si ottiene semplicemente perché la gaussiana N (x0 , 2σ 2 ) tende alla δ(x −
x0 ) quando σ tende a zero e dove l’ultima uguaglianza è una semplice conseguenza del
fatto che la δ(x − x0 ) è non nulla solo quando x = x0 . Dato che ψx0 (x) = δ(x − x0 )
abbiamo ottenuto il risultato voluto.
Nel limite σ → ∞ si avrà invece
c2 ψ(x) =
Dato che ψp0 (x) =
voluto.
p x
(x−x0 )2
p0 x
1
1
+i 0~
−
4σ 2
→
e
ei ~ .
1/2
1/2
(2π~)
(2π~)
1
ei
(2π~)1/2
p0 x
~
(63)
abbiamo ottenuto anche in questo caso il risultato
Si noti che con la moltiplicazione di ψ per c1 o per c2 si ottengono ancora funzioni
d’onda con norma finita. Tuttavia quando si eseguono i limiti la norma diverge in
entrambi i casi, questo perché gli autostati che appartengono ad uno spettro continuo
non sono normalizzabili.
Dal punto di vista matematico, in Meccanica Quantistica si ha a che fare con uno spazio
di Hilbert che contiene oltre agli stati normalizzabili anche quelli che si ottengono come
limite di una successione di questi. Una discussione esaustiva di questo problema esula
però dagli obbiettivi del corso.
Dal punto di vista fisico, gli stati non normalizzabili sono un’idealizzazione, gli stati
fisici sono sempre normalizzabili. In altre parole, un sistema fisico con un valore preciso
21
p0 dell’impulso è descritto meglio da una ψ(x) in (61) con σ molto grande (normalizzabile) piuttosto che dall’autofunzione ψp0 (x) (non normalizzabile). Analogamente, un
sistema fisico con un valore preciso x0 della posizione è descritto meglio da una ψ(x) in
(61) con σ molto piccolo (normalizzabile) piuttosto che dall’autofunzione ψx0 (x) (non
normalizzabile).
• Si consideri la funzione d’onda ψ(x) in (61). Osserviamo subito che la densità di
probabilità della posizione è
ρ(x) = |ψ(x)|2 =
(x−x0 )2
1
−
2σ 2
,
e
(2πσ 2 )1/2
(64)
ossia una gaussiana N (x0 , σ). Da questa semplice osservazione discende immediatamente che la norma è unitaria, che hx̂i = x0 e che hx̂2 i = x20 + σ 2 .
Avendo svolto l’ultimo esercizio nel precedente paragrafo 4.4, abbiamo anche calcolato
~2
hp̂i = p0 e hp̂2 i = p20 + 4σ
2.
2
~
Si noti che finora conosciamo solo la media p0 e la varianza 4σ
2 dell’impulso, mentre
abbiamo una informazione molto più completa sulla posizione. Infatti non solo conosciamo la sua media x0 e la sua varianza σ 2 ma anche la sua densità di probabilità
(64).
L’esercizio da svolgere è quindi il seguente:
si mostri che la densità di probabilità
~
dell’impulso ρ(p) è una gaussiana N p0 , 2σ
.
Il valor medio e la varianza di questa distribuzione coincidono ovviamente quelli calcolati con l’ultimo esercizio nel precedente paragrafo.
Iniziamo calcolando c(p) precedentemente definito in modo generale nella (33):
Z +∞
c(p) = hψp , ψi =
ψp∗ (x)ψ(x)dx,
(65)
−∞
si noti che c(p) non dipende dal tempo perché la ψ è funzione della sola x e non di t. Usando la definizione di ψp (x) a sinistra in (45) e la definizione di ψ(x) in (61) si ottiene un
integrale gaussiano. Per calcolare questo integrale si consiglia
fare il cambiamento
di
√
R +∞ di −z
2 /2
2 /2+iαz
x−x
−α
0
= 2πe
variabile di integrazione z = √2σ e di tenere conto che −∞ dz e
per ogni α reale. Si ottiene
2 1/4
(p−p0 )x0
(p−p0 )2 σ 2
2σ
−i
−
~
~2
c(p) =
e
.
(66)
π~2
La densità di probabilità dell’impulso è quindi
2 1/2
(p−p0 )2
2(p−p0 )2 σ 2
−
2σ
1
2
−
2
2
~
ρ(p) = |c(p)| =
e
=
e 2σp ,
2
2
1/2
π~
(2πσp )
(67)
~
dove nell’ultima espressione si è usato σp = ∆p = 2σ
. Abbiamo quindi mostrato che
~
ρ(p) è una gaussiana N p0 , 2σ
come ci eravamo proposti.
22
4. La dinamica: l’equazione di Shrödinger
In questo capitolo introduciamo la hamiltoniana quantistica e l’equazione di Shrödinger.
Gli autovalori e gli autostati della hamiltoniana sono utilizzati per dare una soluzione generale all’equazione. Mostriamo poi come evolvono nel tempo le medie degli operatori e quali
sono le condizioni per cui queste medie siano costanti del moto.
4.1. Hamiltoniana quantistica ed equazione di Shrödinger
In Meccanica Classica lo stato di un sistema fisico è completamente determinato quando
sono note le variabili q = (q1 , q2 , ..., qn ) e p = (p1 , p2 , ..., pn ). Le derivate temporali q̇ e
ṗ dipendendo solo da q e p (ad esempio tramite le equazioni di Hamilton). In Meccanica
Quantistica la funzione d’onda ψ determina in modo completo lo stato di un sistema fisico, di
conseguenza la sua derivata temporale deve dipendere esclusivamente dalla funzione stessa.
Inoltre, l’equazione differenziale che governa l’evoluzione di ψ deve necessariamente essere
lineare per via del principio di sovrapposizione. Questa equazione, come abbiamo già anticipato, è stata proposta da Shrödinger quasi un secolo fa:
i~
∂ψ(q, t)
= Ĥψ(q, t),
∂t
(68)
dove Ĥ = H(q̂, p̂, t) è la hamiltoniana quantistica. La hamiltoniana Ĥ è costruita a partire
da operatori di posizione e di impulso e deve necessariamente essere un operatore lineare
hermitiano.
∂
Si noti che dalla (68) risulta che i~ ∂t
è associato all’energia come gli operatori −i~ ∂q∂ i
sono associati agli impulsi (si tenga presente che stiamo considerando sistemi non vincolati
per i quali ognuna delle n = 3N variabili qi coincide una delle tre coordinate di una delle N
particelle del sistema).
Si noti inoltre che dalla (68) e dalla herminianità di Ĥ deriva immediatamente che la
∗
= Ĥψ ∗ .
coniugata ψ ∗ soddisfa l’equazione −i~ ∂ψ
∂t
In molti casi rilevanti la hamiltoniana quantistica Ĥ si ottiene dalla corrispondente hamitoniana classica H(q, p, t) con la semplice sostituzione qi → q̂i , pi → p̂i = −i~ ∂q∂ i (il principio
di corrispondenza formulato da Bohr nel 1920).
Ad esempio un sistema di N punti materiali soggetti soltanto a forze generate da un
potenziale V (x1 , x2 , ..., xN ) avrà hamiltoniana quantistica
N
X
p̂2i
Ĥ =
+ V (x̂1 , x̂2 , ..., x̂N ).
(69)
2mi
i=1
i
h 2
∂2
∂2
∂
Tenendo presente che p̂2i = p2xi + p2yi + p2zi = −~2 ∂x
+
+
= −~2 ∆i ψ e che per
2
∂yi2
∂zi2
i
definizione V (x̂1 , x̂2 , ..., x̂N ) è l’operatore che moltiplica la funzione d’onda per V (x1 , x2 , ..., xN ),
si avrà che l’equazione di Shrödinger per questo sistema è
N
∂ψ X ~2
=
−
∆i ψ + V ψ
i~
∂t
2mi
i=1
23
(70)
con ψ = ψ(x1 , x2 , ..., xN , t) e V = V (x1 , x2 , ..., xN ). La (70) è un’equazione differenziale alle
derivate parziali.
Un sistema di un solo punto materiale in una dimensione, soggetto soltanto alla forza
generata da un potenziale V (x), avrà invece equazione
i~
~2 ∂ 2 ψ(x, t)
∂ψ(x, t)
=−
+ V (x) ψ(x, t).
∂t
2m ∂x2
(71)
In alcuni casi ci può essere ambiguità per la scelta della Ĥ corrispondente alla hamiltoniana classica, che però può essere spesso risolta. Ad esempio, restando sempre in una
p2
+ xp avremo infinite posdimensione, in corrispondenza della hamiltoniana classica H = 2m
p̂2
sibili scelte per la hamiltoniana quantistica ossia tutte le 2m + a x̂p̂ + b p̂x̂ con a e b reali che
soddisfano a + b = 1. Tra queste solo una è corretta, ossia a = b = 12 , infatti tutte le altre
non sono hermitiane.
Come si è detto, in Meccanica Quantistica la funzione d’onda ψ determina in modo
completo lo stato di un sistema fisico. Questo è coerente con il fatto che l’equazione di
Shrödinger è del primo ordine nel tempo e quindi permette di conoscere la funzione d’onda
ψ(q, t) ad ogni tempo t se questa è nota al tempo t0 . In altre parole l’evoluzione del sistema
è completamente determinata se viene fissata la condizione iniziale ψ(q, t0 ) = ψ(q) (d’ora in
poi considereremo t0 = 0).
4.2. Autostati e autovalori. Stati legati e stati di scattering. Soluzione generale
Consideriamo ora solo hamiltoniane Ĥ = H(q̂, p̂) che non dipendono esplicitamente dal
tempo. Lo spettro degli autovalori di Ĥ può essere discreto o continuo o anche in parte
discreto e in parte continuo.
Per iniziare, consideriamo una hamiltoniana con spettro discreto. Gli autostati ψn (q) e
i corrispondenti autovalori En emergono come soluzioni dell’equazione
Ĥψn (q) = En ψn (q)
(72)
a volte chiamata equazione di Shrödinger indipendente dal tempo. L’evoluzione temporale
di questi stati è molto semplice:
ψn (q, t) = e−i
En t
~
ψn (q),
(73)
infatti,
∂ψn (q, t)
= En ψn (q, t) = Ĥψn (q, t),
(74)
∂t
dove la prima uguaglianza deriva dalla (73) e la seconda dalla (72). L’equazione di Shrödinger
(68) è quindi soddisfatta con condizione iniziale ψn (q, 0) = ψn (q).
In accordo con la (28), una funzione d’onda ψ(q) ammette una decomposizione nella base
ortonormale di autostati ψn (q) della hamiltoniana:
X
ψ(q) =
c(n)ψn (q).
(75)
−i~
n
24
L’evoluzione temporale di questo stato è:
X
En t
ψ(q, t) =
c(n)e−i ~ ψn (q),
(76)
n
infatti questa funzione d’onda soddisfa l’equazione di Shrödinger (68) perché questa è lineare
ed è soddisfatta da ogni elemento della somma.
Abbiamo quindi la soluzione ψ(q, t) corrispondente alla condizione iniziale ψ(q, 0) = ψ(q).
O meglio, avremmo la soluzione ψ(q, t) corrispondente alla condizione iniziale ψ(q, 0) = ψ(q)
se fossimo capaci di risolvere il problema di trovare tutti gli autostati e tutti gli autovalori
che soddisfano la (72).
Nel caso in cui la hamiltoniana ha spettro continuo si procede in modo analogo. Gli
autostati ψu (q) e i corrispondenti autovalori Eu emergono come soluzioni dell’equazione
Ĥψu (q) = Eu ψu (q).
(77)
In accordo con la (31), una funzione d’onda ψ(q) ammette una decomposizione nella base
di autostati ψu (q) della hamiltoniana:
Z
ψ(q) = c(u) ψu (q) du
(78)
con autostati ortogonali ma che al posto della condizione di normalizzazione soddisfano la
relazione hψu , ψv i = δ(u − v) (si veda il paragrafo 3.4). L’evoluzione temporale di questo
stato è:
Z
Eu t
(79)
ψ(q, t) = c(u) e−i ~ ψu (q) du,
infatti questa funzione d’onda soddisfa l’equazione di Shrödinger per gli stessi motivi del
caso discreto.
A volte lo spettro della hamiltoniana può essere in parte discreto e in parte continuo, in
tal caso si avrà
Z
X
Eu t
−i E~n t
c(n)e
ψn (q) + c(u) e−i ~ ψu (q) du,
(80)
ψ(q, t) =
n
dove gli autostati dello spettro continuo sono ortogonali a quelli dello spettro discreto.
C’è un’importante differenza dal punto di vista fisico tra autovalori di Ĥ che hanno
spettro discreto e quelli che hanno spettro continuo.
I primi corrispondono ad autofunzioni ψn (q) normalizzabili, per questi la densità di
probabilità ρn (q) = |ψn (q)|2 deve necessariamente annullarsi quando |q| diverge. Quindi il
sistema rimane confinato in una regione finita dello spazio delle configurazioni. Per questo
motivo si dice che tali stati sono legati.
Al contrario, i secondi corrispondono ad autofunzioni ψu (q) non normalizzabili, per questi
esiste almeno una qi tale che la densità di probabilità ρn (q) = |ψn (q)|2 rimane finita (o si
annulla troppo lentamente perché la norma sia finita) quando |qi | diverge. Il sistema quindi
non rimane confinato in una regione finita dello spazio delle configurazioni. Tali stati si
chiamano di scattering.
25
4.3. Conservazione della norma ed evoluzione della media di un operatore
Perché la teoria sia coerente è necessario che la norma ||ψ|| di ψ(q, t) rimanga costante nel
tempo, altrimenti l’intera interpretazione probabilistica perderebbe di significato. È quindi
2
necessario mostrare che d||ψ||
= 0. Osserviamo preliminarmente che
dt
d||ψ||2
d
=
dt
dt
Z
∗
Z
ψ (q, t)ψ(q, t)dq =
∂ψ(q, t)
dq +
ψ (q, t)
∂t
∗
Z
∂ψ ∗ (q, t)
ψ(q, t)dq,
∂t
(81)
che può essere anche scritta nella forma
d||ψ||2
dhψ, ψi
=
=
dt
dt
∂ψ
∂ψ
ψ,
+
,ψ .
∂t
∂t
(82)
∗
Ora, tenendo conto dell’equazione di Schrödinger (e della sua coniugata −i~ ∂ψ
= Ĥψ ∗ )
∂t
otteniamo la conservazione della norma
d||ψ||2
1
1
= hψ, Ĥψi − hĤψ, ψi = 0,
dt
i~
i~
(83)
dove l’ultima uguaglianza è la banale conseguenza della hermitianità dell’operatore Ĥ. La
norma quindi rimane costante nel tempo e questo anche se la hamiltoniana Ĥ dipende
esplicitamente dal tempo.
Vediamo ora come evolvono le medie degli operatori rispetto a uno stato che è soluzione
della equazione di Shrödinger. Derivando rispetto al tempo otteniamo
*
+ dhψ, fˆψi
∂ fˆ
∂ψ
∂ψ
dhfˆi
=
= ψ,
ψ + ψ, fˆ
, fˆψ ,
(84)
+
dt
dt
∂t
∂t
∂t
∂ fˆ
∂t
è l’operatore che si ottiene derivando fˆ rispetto al parametro temporale esplicito.
ˆ
Ad esempio, se fˆ = (1 + t2 ) p̂ allora ∂∂tf = 2t p̂.
Tenendo conto della equazione di Shrödinger e della hermitianità di Ĥ si arriva subito
alla
* +
ˆ
dhf i
∂ fˆ
1 D ˆ E
=
+
[f , Ĥ] ,
(85)
dt
∂t
i~
dove
dove [fˆ, Ĥ] è il commutatore tra fˆ e Ĥ. Questa equazione è soddisfatta per qualsiasi
operatore e per qualsiasi funzione d’onda che sia soluzione dell’equazione di Schödinger. Si
noti la straordinaria analogia con la corrispondente equazione classica (??).
La media hfˆi di un operatore fˆ che non dipende esplicitamente dal tempo e che commuta
con hamiltoniana si conserva. In questo caso infatti la (85) diventa
dhfˆi
= 0.
dt
26
(86)
Dato che ogni operatore commuta con se stesso, se poniamo fˆ = Ĥ, abbiamo che la
media hĤi dell’energia soddisfa l’equazione
*
+
dhĤi
∂ Ĥ
=
(87)
dt
∂t
e quindi la media dell’energia si conserva se la hamiltoniana non dipende esplicitamente dal
tempo.
Si consideri ora l’operatore identità I che trasforma ogni funzione in se stessa ossia
tale che Iψ = ψ. Questo operatore non dipende esplicitamente dal tempo e commuta con
ogni hamiltoniana, pertanto la sua media hIi si conserva. Dato che per definizione si ha
hIi = hψ, ψi = ||ψ||2 , possiamo considerare la conservazione della norma (83) come un caso
particolare della (85).
Consideriamo ora un sistema di un solo punto materiale in una dimensione, soggetto
soltanto alla forza generata da un potenziale V (x). Per questo sistema la hamiltoniana è
p̂2
+ V (x̂). Dalla (85) si ricavano le equazioni
Ĥ = − 2m
dhx̂i
hp̂i
=
,
dt
m
dhp̂i
= hf (x̂)i,
dt
(88)
dove f (x) = dVdx(x) . Queste equazioni sono molto simili a quelle classiche corrispondenti, ma
a differenza di queste non sono autonome perché in generale hf (x̂)i 6= f (hx̂i) e quindi non
possono essere risolte.
Tuttavia per il caso particolare della particella libera (V (x̂) = 0) esse diventano dhx̂i
= hp̂i
,
dt
m
dhp̂i
= 0 ed essendo autonome possono essere risolte con stessa soluzione delle corrispondenti
dt
classiche:
hp̂i0
t + hx̂i0 ,
(89)
hp̂it = hp̂i0 ,
hx̂it =
m
dove le medie h·it si intendono rispetto alla ψ(x, t) e le medie h·i0 si intendono rispetto alla
ψ(x, 0) = ψ(x).
2
Anche per l’oscillatore armonico ( V (x̂) = mω
x̂2 ) le equazioni (88) sono autonome,
2
infatti, dhx̂i
= hp̂i
, dhp̂i
= −mω 2 hx̂i e possono essere risolte con stessa soluzione delle cordt
m
dt
rispondenti classiche.
5. L’equazione di Shrödinger in una dimensione
In questo capitolo risolviamo l’equazione di Shrödinger per tre diversi modelli unidimensionali, la hamiltoniana del primo ha spettro continuo, quella del secondo ha solo spettro
discreto e quella del terzo ha sia spettro discreto che continuo. Mostriamo anche l’assenza
di degenerazione dei livelli discreti nei sistemi unidimensionali.
27
5.1. Spettro continuo: il caso libero. Il pacchetto d’onda
Nel caso libero la hamiltoniana è
p̂2
,
(90)
2m
per cui gli autostati dell’impulso ψp sono anche autostati dell’energia con autovalore Ep =
p2
. In altre parole tutti gli autostati e autovalori dell’energia sono
2m
Ĥ =
px
1
ψp (x) = √
ei ~
2π~
con
Ep =
p2
,
2m
(91)
dove Ep assume tutti i possibili valori reali non negativi dato che p assume tutti i possibili
valori reali.
p2
corrispondono due autostati ψp e ψ−p , quindi
Si noti però che alla stessa energia Ep = 2m
ogni livello di energia è doppiamente degenere. Questo comporta che qualsiasi combinazione
p2
lineare di ψp e ψ−p è anch’essa un autostato con stessa energia Ep = 2m
.
Ad esempio potremmo prendere come base di quella che si ottiene sostituendo ogni coppia
1
1
cos( px
) e √2π~
sin( px
). Questi due autostati sono anch’essi
ψp e ψ−p con la coppia √2π~
~
~
ortogonali tra loro, ma pur essendo autostati dell’energia non sono autostati dell’impulso.
Per convenienza e per tradizione, sceglieremo come base quella degli autostati ψp .
Nel caso libero unidimensionale l’equazione di Shrödinger assume la forma
∂ψ(x, t)
~2 ∂ 2 ψ(x, t)
=−
,
∂t
2m ∂x2
la cui soluzione generale sarà quindi
Z ∞
Ep t
ψ(x, t) =
c(p) e−i ~ ψp (x) dp,
i~
(92)
(93)
−∞
R∞
corrispondentemente al dato iniziale ψ(x, 0) = ψ(x) = −∞ c(p) ψp (x) dp.
Se si volesse sapere come evolve un pacchetto d’onda di minima indeterminazione, ossia
come evolve la funzione d’onda ψ(x) in (61), si potrebbe usare la relativa c(p) che è già
stata calcolata (66). Basterebbe infatti inserire questa c(p) nell’integrale (93) e calcolarlo
per avere l’evoluta ψ(x, t) della ψ(x) in (61).
Tuttavia questo integrale richiede qualche conoscenza dei metodi di integrazione in campo
complesso, seguiremo quindi un’altra strada che utilizza le equazioni di evoluzione delle
medie di operatori.
Abbiamo già calcolato hp̂it e hx̂it per la particella libera (89), vogliamo ora trovare
hp̂2 it e hx̂2 it per poter stabilire come evolvono le varianze. Sarà anche necessario calcolare
hx̂p̂ + p̂x̂it per poter chiudere le equazioni.
p̂2
Tenendo presente che Ĥ = 2m
si ottengono immediatamente i commmutatori [ p̂2 , Ĥ] = 0,
i~
[ x̂2 , Ĥ] = m
(x̂p̂ + p̂x̂) e [x̂p̂ + p̂x̂, Ĥ] = 2i~
p̂2 . Quindi dalle equazioni (85) per la media
m
degli operatori, si ottengono immediatamente le tre equazioni
dhp̂2 i
= 0,
dt
dhx̂2 i
hx̂p̂ + p̂x̂i
=
,
dt
m
28
dhx̂p̂ + p̂x̂i
2hp̂2 i
=
.
dt
m
(94)
Queste equazioni si integrano banalmente, per la prima e la terza le soluzioni sono
hp̂2 it = hp̂2 i0
hx̂p̂ + p̂x̂it =
2hp̂2 i0
t + hx̂p̂ + p̂x̂i0 ,
m
(95)
che permettono di trovare anche la soluzione della seconda equazione
hx̂2 it =
hp̂2 i0 2 hx̂p̂ + p̂x̂i0
t + hx̂2 i0 .
t +
m2
m
(96)
A questo punto è utile introdurre le varianze della posizione e dell’impulso all’istante t,
che sono definite da
σ 2 (t) = (∆x)2t = hx̂2 it − hx̂i2t ,
σp2 (t) = (∆p)2t = hp̂2 it − hp̂i2t ,
(97)
mettendo insieme tutti i precedenti risultati otteniamo:
σp2 (0) 2 hx̂p̂ + p̂x̂i0 − 2hx̂i0 hp̂i0
t +
t,
σ (t) = σ (0) +
m2
m
2
σp2 (t) = σp2 (0).
2
(98)
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
0.05
0
-5
0
5
10
15
Figure 8: Evoluzione della densità di probabilità ρ(x, t) = |ψ(x, t)|2 associata al pacchetto
d’onda gaussiano
√
√
di una particella di massa m. Le costanti e i parametri scelti sono x0 = 0, p0 = 3~/ 2, σ 2 = 1 e m = ~/ 2.
La densità è raffigurata ai tempi t = 0, t = 1, t = 2, t = 3, Il picco della gaussiana si sposta a destra in
accordo con 1 + 3t e la sua varianza cresce in accordo con 1 + t2 /2.
Si noti che sia queste varianze che le medie di posizione e impulso in (89) dipendono dalla
funzione d’onda iniziale ψ(x, 0) = ψ(x) rispetto alla quale sono calcolate le medie iniziali
h·i0 .
A noi interessa capire come evolve il pacchetto d’onda di minima indeterminazione e
quindi dobbiamo calcolare queste medie iniziali usando la funzione d’onda ψ(x) in (61).
29
2
~
2
2
Oltre ai risultati già trovati, ossia hx̂i0 = x0 , hp̂i0 = p0 , σp2 (0) = 4σ
2 e σ (0) = σ , è
facile verificare anche che hx̂p̂ + p̂x̂i0 = 2x0 p0 . Usando questi valori iniziali in (89) e in (98)
otteniamo
hp̂it = p0 ,
hx̂it =
p0
t + x0 ,
m
σp2 (t) =
~2
,
4σ 2
σ 2 (t) = σ 2 +
~2 2
t.
4σ 2 m2
(99)
Si noti che mentre la varianza dell’impulso rimane costante, quella della posizione cresce
nel tempo, questo significa che anche l’indeterminazione cresce nel tempo, si ha infatti
r
~
~2
(∆x)t (∆p)t = σ(t)σp (t) =
1 + 4 2 t2 .
(100)
2
4σ m
Questa indeterminazione cresce tanto più rapidamente tanto più piccola era la deviazione
standard iniziale σ della posizione. Inoltre questa relazione vale anche per tempi negativi,
per cui la minima indeterminazione è uno stato assolutamente transitorio per la particella
libera.
Abbiamo calcolato i valori medi e le varianze al tempo t associati alla funzione ψ(x, t) che
evolve a partire dalla funzione ψ(x) in (61) ma non la funzione ψ(x, t) e la densità di probabilità associata ρ(x, t) = |ψ(x, t)|2 . Risolvendo esattamente il problema, ossia risolvendo
l’integrale (93), si trova che la densità ρ(x, t) = |ψ(x, t)|2 rimane gaussiana, ovviamente con
2
il valor medio pm0 t + x0 (che coincide col picco della gaussiana) e la varianza σ 2 + 4σ~2 m2 t2
calcolati sopra. In figura (8) la densità viene mostrata a tempi differenti per una particolare
scelta dei parametri e delle costanti.
5.2. Non degenerazione dei livelli discreti nel caso unidimensionale
Dimostriamo ora che livelli energetici dello spettro discreto sono non degeneri, ossia che
non esistono due autostati distinti ψn (x) e φn (x) corrispondenti allo stesso autovalore En
dello spettro discreto.
Supponiamo che l’equazione di Shrödinger indipendente dal tempo sia soddisfatta da due
autostati distinti φn (x) e ψn (x) ossia
−
~2 d2 ψn
= (En − V )ψn ,
2m dx2
−
~2 d2 φn
= (En − V )φn ,
2m dx2
(101)
se moltiplichiamo entrambi i membri della prima equazione per − 2m
φ ed entrambi i membri
~2 n
2m
della seconda per − ~2 ψn otteniamo
φn
d2 ψ n
2m
= 2 (V − En )ψn φn ,
2
dx
~
ψn
d2 φn
2m
= 2 (V − En )φn ψn
2
dx
~
(102)
e quindi
d2 ψ n
d2 φn
−
ψ
= 0.
n
dx2
dx2
Questa espressione può essere integrata ottenendo
φn
φn
dψn
dφn
− ψn
= c,
dx
dx
30
(103)
(104)
dove c è una costante complessa, tuttavia, dato che entrambe le autofunzioni sono normalizzabili esse si annullano per x → ±∞ e quindi necessariamente c = 0. Dividendo quindi
entrambi i membri per ψn φn si trova
1 dφn
1 dψn
=
ψn dx
φn dx
→
ψn = aφn ,
(105)
dove il risultato a destra, con a costante complessa, è ottenuto per integrazione delle due
espressioni a sinistra.
In definiva la nostra ipotesi è falsa infatti ψn e φn non sono distinte dato che al più
differiscono per una costante moltiplicativa a.
Un’importante conseguenza è che gli autostati dello spettro discreto unidimensionale
sono sempre reali a meno di una costante moltiplicativa complessa inessenziale che può
essere omessa. Infatti la parte reale e la parte immaginaria di un autostato complesso
soddisfano separatamente l’equazione di Shrödinger indipendente dal tempo e sono quindi
uguali a meno di una costante moltiplicativa reale. Gli autostati hanno quindi sempre la
forma bψn dove b è una costante complessa e ψn è una funzione reale.
5.3. Spettro discreto: buca di potenziale di altezza infinita
L’equazione di Shrödinger indipendente da tempo è
−
~2 d2 ψ
= (E − V )ψ,
2m dx2
(106)
dove si avranno autovalori En e autostati ψn per lo spettro discreto e autovalori Eu e autostati
ψu per lo spettro continuo. Si ricordi che solo le ψn sono normalizzabili.
La soluzione ψ di questa equazione, sia nel caso di spettro discreto che di spettro continuo,
deve essere di classe C l+2 se il potenziale è di classe C l . Se il potenziale ha una discontinuità
di prima specie (salto), allora la derivata seconda della ψ avrà lo stesso tipo di discontinuità.
Quindi in corrispondenza del salto di potenziale sia la ψ che la sua derivata rispetto a x
saranno continue (di classe C 1 ).
Consideriamo i tre intervalli A = (−∞, 0], B = (0, L) e C = [L, ∞) e definiamo il
potenziale V (x) come
V (x) = 0
V (x) = V0 > 0
se x ∈ B
se x ∈ A oppure x ∈ C.
(107)
Questo potenziale (buca di altezza finita, a destra in figura (9)) ha una discontinuità di
prima specie, pertanto le autofunzioni sono di classe C 1 .
Consideriamo per ora gli stati legati ψn con energia En < V0 . Nelle regioni A e C
~2 d2 ψn
= (En − V0 )ψn mentre nella regione B
l’equazione di Shrödinger assume la forma − 2m
dx2
~2 d2 ψn
assume la forma − 2m dx2 = En ψn . La soluzione in A è quindi
ψn (x) = an e
31
γn
x
~
,
(108)
Figure 9: Potenziale buca infinita (a sinistra) e potenziale buca finita (a destra). Il secondo è nullo per
x ∈ (0, L) e vale V0 > 0 altrove, il primo si ottiene dal secondo nel limite V0 → ∞.
p
con γn = 2m(V0 − En ) e con costante an reale. Si noti che γn ha le dimensioni di un
impulso
ed è positiva ma non è un impulso, l’impulso come usualmente definito sarebbe
p
2m(En − V0 ) che però è una quantità immaginaria. Infatti, sia la regione A che la regione
C sono classicamente inaccessibili per i valori dell’energia che stiamo considerando.
γn
Si noti inoltre che anche e− ~ x è soluzione dell’equazione di Shrödinger in questa regione,
tuttavia questa soluzione va scartata perché diverge quando x → −∞ e pertanto renderebbe
la ψn , che descrive uno stato legato, non normalizzabile.
Inoltre, nel caso in cui En fosse uguale a V0 avremmo γn = 0 e quindi neanche la soluzione
(108) sarebbe normalizzabile. Questo spiega perché ci siamo limitati a considerare energie
per le quali la disuguaglianza En < V0 vale strettamente. Come vedremo la regione di energie
maggiori o uguali a V0 corrisponde invece agli stati di scattering.
La soluzione in C è invece
γn
(109)
ψn (x) = cn e− ~ (x−L) ,
γn
con costante cn reale. Si noti che anche e ~ (x−L) è soluzione dell’equazione di Shrödinger in
questa regione, tuttavia anche questa soluzione va scartata perché diverge quando x → +∞.
Infine, la soluzione in B è
p
n
ψn (x) = bn sin
x + δn ,
(110)
~
√
con impulso pn = 2mEn e costanti bn e δn reali.
Si noti che per definizione
p
p
γn = 2m(V0 − En ) = 2mV0 − p2n
(111)
dato che p2n = 2mEn .
Abbiamo quindi la soluzione completa, in tutte tre le regioni A, B e C e quindi per
tutti gli x ∈ R, tuttavia dobbiamo ancora imporre le condizioni di continuità che abbiamo
32
discusso all’inizio di questo paragrafo. Dobbiamo quindi scegliere energie En e costanti an ,
bn , cn e δn tali che la funzione sia continua e con derivata continua sia in x = 0 che in x = L.
Imponendo tali condizioni in x = 0 otteniamo
an = bn sin (δn ),
imponendole in x = L otteniamo invece
p
n
cn = bn sin
L + δn ,
~
an γn = bn pn cos (δn ),
cn γn = − bn pn cos
p
n
~
(112)
L + δn .
Dalle equazioni (112) e (113) si ricavano subito le due equazioni
p
p
n
n
tan(δn ) = − tan
L + δn = ,
~
γn
(113)
(114)
che possono essere considerate insieme alla prima della (112) e alla prima della (113) per
risolvere il problema. Come vedremo costanti ed energie saranno tutte completamente determinate se aggiungiamo anche la condizione di normalizzazione.
Risolveremo questo problema nel prossimo paragrafo, ora consideriamo il problema della
buca di altezza infinita, ossia il caso in cui V0 → ∞ (a sinistra in figura (9)).
Per la buca infinita tutti gli stati sono legati
p dato che l’energia non può essere maggiore
o uguale
√ a V0 . Se V0 → ∞ allora anche γn = 2m(V0 − En ) → ∞ per ogni En finita, invece
pn = 2mEn riamane finita. Si ha quindi dalla (114)
p
n
(115)
L + δn = 0.
tan(δn ) = 0,
tan
~
Da queste due equazioni e dalla prima della (112) e dalla prima della (113) si ricava
immediatamente che an = cn = 0, ossia che la funzione è nulla in A e in C (fuori dalla
buca). Senza perdere di generalità possiamo scegliere la soluzione nulla per la prima in
(115), ossia δn = 0 e quindi ottenere tutti gli autostati dell’hamiltoniana
pn
L = nπ
~
→
pn =
nπ~
L
→
En =
n2 π 2 ~2
2mL2
(116)
e i corrispondenti autostati che sono nulli in A e C ed uguali a
r
p 2
n
ψn (x) =
sin
x
(117)
L
~
q
RL
in B. La scelta bn = L2 fa si che ||ψn || = 0 |ψ|2 dx = 1. Tutti i valori di strettamente
positivi n = 1, 2, .... sono ammissibili, il valore n = 0 renderebbe nulla la corrispondente
autofunzione per tutti i reali e quindi va scartato. Si noti che gli n negativi corrispondono
alle stesse energie di quelli positivi, e quindi per via della non-degenerazione dei livelli non
danno origine a nuove autofunzioni. Infatti, scambiare n con −n in (116) e quindi cambiare
33
segno alla pn in (117) avrebbe il solo risultato irrilevante di scambiare segno all’autostato in
(117). I primi tre autostati e le relative densità di probabilità sono raffigurati in figura (10).
Se avessimo scelto δn = mπ come soluzione della prima equazione in (115), con m
intero qualsiasi, anche negativo, avremmo le stesse energie En e le stesse autofunzioni ψn ,
quest’ultime a meno di un segno irrilevante. Lasciamo questo punto come esercizio.
Lo studente attento, si sarà reso conto, che il modello di buca infinita non è altro che
il corrispondente quantistico del gas unidimensionale classico. Per quest’ultimo l’azione è
, sostituendo a p il corrispondente valore quantistico pn in (116) si ottiene l’azione
A = pL
π
quantizzata
pn L
An =
= n~.
(118)
π
Sorprendentemente, per questo modello la regola di quantizzazione di Bohr e Sommerfeld
funziona perfettamente.
Figure 10: Buca infinitamente alta. Le tre autofunzioni ψ1 , ψ2 e ψ3 (in alto) con le energie più basse E1 ,
E2 e E3 e le relative densità di probabilità |ψ1 |2 , |ψ2 |2 e |ψ3 |2 (in basso). Le autofunzioni sono di tipo
sinusoidale all’interno della buca e si annullano al di fuori di essa.
5.4. Copresenza di spettro continuo e discreto: buca di potenziale di altezza finita
Torniamo al caso in cui V0 è finito. Dalle uguaglianza tra il primo e il terzo termine in
(114) ricaviamo
pn
δn = arctan
,
(119)
γn
34
che può essere scelto senza perdita di generalità nel primo quadrante. Dalla uguaglianza tra
il primo e il secondo termine in (114) ricaviamo inoltre
pn
L + δn = −δn + nπ =
~
(120)
e quindi dalla (119)
pn
L + 2 arctan
~
pn
γn
= nπ,
(121)
dove l’intero n assume solo valori positivi. Si noti infatti che l’espressione a sinistra in (121)
è positiva o nulla, dato che per definizione pn ≥ 0. Inoltre si può far vedere facilmente che
per p0 = 0 non esiste la corrispondente funzione ψ0 . Lasciamo questo punto come esercizio.
Quello che abbiamo appena detto implica anche che tutte le energie En sono strettamente
positive, abbiamo anche visto che En = V0 è da escludere perché l’eventuale corrispondente
stato sarebbe di scattering. In definiva per avere lo stato legato ψn è necessario
che 0 <
pn
En < V0 . Dato che En = 0 implicherebbe pn = 0 e quindi anche arctan γn = 0 e dato
√
che En = V0 implicherebbe pn = 2mV0 , γn = 0 e quindi anche arctan γpnn = π2 , si ha la
disuguaglianza
√
pn
pn
2mV0 L2
0<
L + 2 arctan
+ π.
(122)
<
~
γn
~
Dalla (122), tenendo presente la (121), si ricava infine che tutti gli n per i quali vale la
disuguaglianza
√
2mV0 L2
0<n<
+1
(123)
~π
sono associati ad autostati legati ψn con energia En . Dato che la disuguaglianza è sempre
soddisfatta per n = 1 esiste sempre almeno un autostato legato. Inoltre, se nmax è il numero
d’ordine più alto dello spettro discreto, si ha
√
√
2mV0 L2
2mV0 L2
≤ nmax <
+ 1.
(124)
~π
~π
L’autofunzione corrispondente a un valore permesso n è ψn che nelle tre regioni A, B e
pn
C è data da (108), (110) e (109). Dalla (111) e dalla (119) ricaviamo sin(δn ) = √2mV
e
0
quindi dalla prima delle equazioni in (112), dalla prima delle equazioni in (113) e dalla (120)
pn
an = b n √
,
2mV0
pn
cn = ±bn √
,
2mV0
(125)
dove il segno positivo nel secondo termine della seconda equazione vale per n dispari e il
segno negativo per n pari.
Resta soltanto da determinare bn , questo può essere fatto imponendo la normalizzazione
||ψn || = 1. Lasciamo questo punto come esercizio.
Le soluzioni sono di tipo sinusoidale all’interno della buca e decadono esponenzialmente
al di fuori di essa come mostrato in figura (11).
35
Figure 11: Buca di altezza finita. Le quattro densità di probabilità |ψ1 |2 , |ψ2 |2 , |ψ3 |2 e |ψ4 |2 corrispondenti
agli autostati con le energie più basse E1 , E2 , E3 e E4 . Ogni densità di probabilità è graficata in corrispondenza del rispettivo valore dell’energia in modo tale che l’asse delle ascisse risulta traslato verso l’alto di
un valore diverso per ognuna. Si noti il comportamento oscillatorio all’interno della buca e il decadimento
esponenziale al di fuori di essa.
Consideriamo per ora gli stati di scattering ψp con energia valori dell’energia Ep > V0
corrispondenti allo spettro continuo. Nelle regioni A e C l’equazione di Shrödinger assume
~2 d2 ψp
~2 d2 ψp
la forma − 2m
=
E
ψ
mentre
nella
regione
B
assume
la
forma
−
= (Ep − V0 )ψp .
p
p
2
dx
2m dx2
La soluzione in A è quindi
γp
γp
i ~ x
−i ~ x
ψn (x) = a(1)
+ a(2)
,
n e
n e
(126)
p
con γp = 2m(Ep − V0 ) che è un impulso. Sia la regione A che la regione C sono classi(1)
(2)
camente accessibili per i valori dell’energia che stiamo considerando. Le costanti an e an
sono complesse.
La soluzione in C è invece
γp
γp
i ~ (x−L)
−i ~ (x−L)
ψn (x) = c(1)
+ c(2)
,
n e
n e
(1)
(127)
(2)
con cn e cn costanti complesse.
Infine, la soluzione in B è
p
p
i~x
−i ~ x
ψn (x) = b(1)
+ b(2)
,
n e
n e
con impulso p =
p
(1)
(2)
2mEp e con bn e bn costanti complesse.
36
(128)
Ogni valore dell’energia è ammissibile in questa regione Ep > V0 . La soluzione completa
si ottiene quindi sempliciste imponendo le condizioni di continuità che abbiamo discusso
all’inizio di questo paragrafo. Si può anche anche mostrare che ad ogni livello di energia
corrispondono due autostati indipendenti e quindi ogni livello è doppiamente degenere come
nel caso libero.
Abbiamo già discusso il fatto che quando Ep = V0 siamo ancora nello spettro
continuo.
p
Tuttavia si può mostrare che il corrispondente autostato esiste solo quando 2mV0 L2 /~2 π 2
è un numero intero e in tal caso il livello non è degenere. Lasciamo questo punto come
esercizio.
5.5. Esercizi
• Si consideri la particella libera: calcolare la funzione d’onda
ψ(x, t) psex al tempo t = 0
p0 x
1
1
1
i
essa è ψ(x, 0) = ψ(x) = √2 (ψp0 (x) + ψp1 (x)) = √4π~ (e ~ + e−i ~ ) con p1 > p0 .
Trovare i valori di t per i quali la funzione d’onda si annulla nell’origine.
• Si nostri che scegliendo δn = mπ come soluzione della prima equazione in (115),
con m intero qualsiasi, anche negativo, si ottengono le stesse energie En e le stesse
autofunzioni ψn , quest’ultime a meno di un segno irrilevante.
• Si mostri che per la buca di altezza finita non esiste la funzione ψ0 in corrispondenza
di p0 = 0.
• Si determini bn per la buca di altezza finita imponendo la normalizzazione ||ψn || = 1.
Si tenga conto che ψn , nelle tre regioni A, B e C, è data da (108), (110) e (109). Si
tenga anche conto delle relazioni (125)• Si consideri una buca di altezza finita. Quando Ep = V0 siamo ancora
p nello spettro
continuo: si mostri che il corrispondente autostato esiste solo quando 2mV0 L2 /~2 π 2
è un numero intero e in tal caso il livello non è degenere.
q
2V
0
• Si consideri una buca di altezza finita. Se 2mL
= 1 il sistema ha un solo stato
π 2 ~2
legato. Calcolare l’energia di questo stato al primo ordine non nullo in .
• Si consideri il potenziale gradino, ossia il potenziale che vale V0 > 0 per x ∈ (−∞, 0] e
vale 0 per x ∈ (0, ∞]. Tutti gli stati sono di scattering con energie Ep ≥ 0: calcolare le
autofunzioni e mostrare che per i valori Ep ≤ V0 la degenerazione dei livelli è rimossa.
Suggerimento: si studi prima il caso limite V0 → ∞.
• Si consideri una barriera di potenziale, ossia un sistema con potenziale che vale V0 > 0
per x ∈ [0, L] e vale 0 altrove. Tutti gli stati sono di scattering con energie Ep > 0:
calcolare le autofunzioni.
• Calcolare lo spettro discreto e relativi/o autostati/o del sistema con V (x) = −αδ(x).
Comparare il risultato con quello dell’esercizio svolto.
37
• Quanti stati legati ha il sistema con V (x) = −αδ(x − L) − αδ(x + L)? Quali sono le
corrispondenti energie?
5.6. Esercizi svolti
• Consideriamo ancora la buca di altezza finita e consideriamo il limite in cui essa sia
molto stretta e molto profonda, ossia il limite L → 0, V0 → ∞ con il prodotto LV0 = α
fisso. Mostriamo che esiste un solo stato legato e determiniamo il corrispondente valore
di E1 − V0 .
Dato che LV0 = α possiamo riscrivere la (123) come
√
2mα √
L + 1,
0≤n<
~π
(129)
per piccoli L solo n = 1 soddisfa la disuguaglianza e quindi abbiamo provato che esiste
un solo stato legato con energia E1 = E. L’equazione che determina l’energia E si
deriva dalla (121) ed è:
p
p
L + 2 arctan
= π,
(130)
~
γ
p
√
dove γ = 2m(V0 − E) e p = 2mE. Questa equazione può essere riscritta come
π pL
γ
= cot
−
.
(131)
p
2
2~
Assumiamo che nel limite di buca profonda e stretta si abbia E → ∞ e che ∆ = V0 −E
rimanga finito. In tal caso,
√ senza √trascurare contributi che sono rilevanti nel limite,
per cui dalla (131) otteniamo
possiamo assumere p ' 2mV0 = √2mα
L
r
∆√
L ' cot
α
π
−
2
√
√ ! √
√
2mα L
2mα L
'
,
2~
2~
(132)
dalla quale si ricava immediatamente che nel limite di buca stretta e profonda
E − V0 = −∆ = −
mα2
.
2~2
(133)
In conclusione, l’unico stato legato ha una energia che tende a infinito, tuttavia se
sottraiamo al potenziale V la costante V0 (questo non cambia il modello) l’energia del
solo stato legato è negativa ma finita (133).
6. L’equazione di Shrödinger per l’oscillatore armonico
In questo capitolo determiniamo gli autovalori e gli autostati della hamiltoniana dell’
oscillatore armonico. Iniziamo con lo stato fondamentale, per poi risalire a tutti gli altri
autostati utilizzando gli operatori di creazione e distruzione.
38
6.1. Stato fondamentale corrispondente all’autovalore ~ω/2
Ogni sistema che esegue moti attorno a una posizione di equilibrio con valori dell’energia
prossimi al minimo del potenziale può essere descritto come una collezione di oscillatori
armonici disaccoppiati. Da qui l’importanza dell’oscillatore armonico unidimensionale sia in
meccanica Classica che in Meccanica Quantistica.
L’oscillatore armonico ha ovviamente solo stati legati che soddisfano l’equazione di
Shrödinger indipendente dal tempo
−
con ω 2 =
k
.
m
~2 d2 ψn mω 2 x2
ψn = En ψn ,
+
2m dx2
2
(134)
È facile verificare che lo stato
ψ0 =
1
x2
− 2
4σ ,
1 e
(2πσ 2 ) 4
(135)
~
soddisfa l’equazione (134) con autovalore dell’energia E0 = ~ω
. Vogliamo
con σ 2 = 2mω
2
dimostrare che è lo stato fondamentale, ossia l’autostato di minima energia.
Supponiamo ora di non conoscere lo stato fondamentale ψ0 , possiamo tuttavia scrivere
la seguente uguaglianza,
E0 = hψ0 , Ĥψ0 i =
mω 2
1
hψ0 , p̂2 ψ0 i +
hψ0 , x̂2 ψ0 i,
2m
2
(136)
poi, tenendo presente che
hψ0 , p̂2 ψ0 i ≥ hψ0 , p̂2 ψ0 i − hψ0 , p̂ψ0 i2 = (∆p)2 ,
(137)
hψ0 , x̂2 ψ0 i ≥ hψ0 , x̂2 ψ0 i − hψ0 , x̂ψ0 i2 = (∆x)2 ,
(138)
e che
possiamo scrivere la prima delle due disuguaglianze qui sotto
E0 ≥
1
mω 2
~2
mω 2
(∆p)2 +
(∆x)2 ≥
+
(∆x)2 ,
2m
2
8m(∆x)2
2
(139)
mentre la seconda deriva dal principio di indeterminazione di Heisenberg per il quale (∆p)2 ≥
~2
. Non sappiamo quale è il valore di ∆x che è calcolato rispetto a ψ0 , tuttavia qualunque
4(∆x)2
esso sia possiamo affermare
~2
~ω
mω 2
2
E0 ≥ min
+
(∆x) =
.
(140)
2
∆x
8m(∆x)
2
2
Abbiamo quindi dimostrato che (135) è lo stato fondamentale, con energia E0 = ~ω
,
2
detta anche energia di punto zero. È infatti l’autostato la cui energia è la più bassa possibile
compatibilmente con la disuguaglianza (140). L’autofunzione (135) è inoltre normalizzata,
infatti
2
1
− x2
2σ
ρ(x) = |ψ0 |2 =
(141)
1 e
(2πσ 2 ) 2
è una gaussiana N (0, σ) e pertanto ||ψ0 ||2 = 1. Si noti che questa funzione è un caso
~
particolare della (61) con p0 = x0 = 0 e σ 2 = 2mω
.
39
6.2. Operatori di creazione e distruzione
Definiamo l’operatore di creazione â+ e l’operatore di distruzione â come combinazione
lineare di posizione e impulso nel modo seguente:
r
r
mω
mω
p̂
p̂
+
x̂ − i
,
â =
x̂ + i
.
(142)
â =
2~
mω
2~
mω
Nessuno dei due è hermitiano dato che ip̂ non lo è. Il commutatore tra i due può essere
facilmente calcolato a partire dal commutatore di posizione e impulso ed è
[â, â+ ] = 1.
(143)
Anche se i due operatori non sono hermitiani, l’operatore â+ â è invece hermitiano ed ha
autovalori non negativi. Entrambe queste proprietà possono essere mostrate in modo banale
e le abbiamo già discusse quando abbiamo dimostrato la relazione di indeterminazione di
Heisenberg.
È facile anche verificare che la hamiltoniana dell’oscillatore armonico può essere scritta
in termini di â+ e â come segue:
1
+
.
(144)
Ĥ = ~ω â â +
2
Infine, è facile verificare anche che
r
~ dψ0
mω
âψ0 =
xψ0 +
= 0,
2~
mω dx
(145)
inoltre tutte le soluzioni dell’equazione differenziale qui sopra differiscono da ψ0 solo per una
costante moltiplicativa, pertanto lo stato ψ0 è l’unico a soddisfare la relazione âψ0 = 0.
6.3. Autostati e autovalori della hamiltoniana dell’oscillatore armonico
Mostriamo ora che ψn definito come
(â+ )n
ψn = √
ψ0 ,
n!
è un autostato normalizzato con energia En = ~ω n +
(146)
1
2
. Si ha infatti
â+ â (â+ )n
(â+ )2 â (â+ )n−1
(â+ )n
(â+ )2 â (â+ )n−1
√
√
√
ψ0 =
ψ0 + √
ψ0 =
ψ0 + ψn ,
n!
n!
n!
n!
(147)
dove si è usata la (143), ossia si è usato ââ+ = â+ â + 1. Ripetendo l’operazione per un totale
di n volte, si arriva al risultato
â+ â ψn =
â+ â ψn =
(â+ )n+1 â
√
ψ0 + nψn = nψn ,
n!
40
(148)
dove l’ultima uguaglianza deriva da âψ0 = 0. Allora
1
1
+
ψn = ~ω n +
ψn .
Ĥψn = ~ω â â +
2
2
(149)
Abbiamo quindidimostrato che ψn è l’autostato dell’hamiltoniana corrispondente all’energia
En = ~ω n + 21 . Il potenziale armonico e i primi cinque autostati sono graficati in figura
(12), si noti che le autofunzioni decadono rapidamente al di fuori della regione classicamente
consentita, questo comportamento lo abbiamo già incontrato per il potenziale buca finita.
Dalla definizione (146) discende direttamente anche anche la prima delle due uguaglianze
â+
ψn = √ ψn−1 ,
n
â
ψn−1 = √ ψn ,
n
(150)
mentre la seconda si ottiene dalla prima come segue
â+
ψn = √ ψn−1 , →
n
ââ+
n
âψn = √ ψn−1 = √ ψn−1
n
n
→
â
ψn−1 = √ ψn .
n
(151)
dove per l’uguaglianza al centro si é usato ââ+ ψn−1 = (â+ â + 1)ψn−1 = (n − 1 + 1)ψn−1 =
nψn−1 .
Le uguaglianze a sinistra e a destra della (151) giustificano il nome degli operatori, infatti
â+ crea un quanto di energia ~ω trasformando
lo stato ψn−1 che ha energia ~ω n − 1 + 12
nello stato ψn che ha energia ~ω n + 12 , al contrario â distrugge un quanto di energia.
Proviamo ora che la normalizzazione degli stati ψn è unitaria, abbiamo infatti
1
1 +
hâ ψn−1 , â+ ψn−1 i = hψn−1 , ââ+ ψn−1 i = hψn−1 , ψn−1 i
(152)
n
n
e quindi ||ψn || = ||ψn−1 ||, Reiterando per n volte si ottiene ||ψn || = ||ψ0 || = 1 che è quello che
volevamo dimostrare. In conclusione, gli autostati ψn sono tutti a normalizzazione unitaria
e sono anche ortogonali tra loro in quanto corrispondono ad autostati con differente energia
(si veda il paragrafo 3.4).
Ci resta da far vedere che non esistono altri autostati con energie diverse dalle En .
Supponiamo per assurdo che esista un autostato φ con energia E tale che En−1 < E < En ,
allora âφ sarà un autostato con energia E−~ω. Infatti è chiaro che âφ non è nullo altrimenti si
dovrebbe avere φ = cψ0 in contrasto con l’ipotesi. Poi, dato che Ĥφ = ~ω(â+ â + 12 )φ = Eφ,
è facile mostrare che Ĥâφ = (E − ~ω)âφ (lo si consideri un esercizio). Quindi âφ è un
autostato con energia E − ~ω con En−2 < E − ~ω < En−1 . Iterando sia che (â)n φ è un
autostato (non nullo) con energia E − n~ω < E0 . Questo naturalmente è impossibile perché
abbiamo dimostrato che E0 è l’energia di punto zero e quindi non può esistere lo stato φ. In
conclusione, gli autostati sono tutti e solo gli ψn con energia ~ω(n + 21 ).
Per finire confrontiamo i risultati ottenuti con quelli della regola di quantizzazione di
Bohr e Sommerfeld. In Meccanica Classica si ha l’azione A = Eω e quindi in in Meccanica
Quantistica An = Eωn = (n + 12 )~. La regola di quantizzazione di Bohr e Sommerfeld prevede
invece An = n~, quindi la differenza con la Meccanica Quantistica di Shrödinger e Heisenberg
è solo per una costante additiva ~2 .
hψn , ψn i =
41
Figure 12: Oscillatore armonico. Le prime cinque autofunzioni corrispondenti alle energie più basse
E0 , ...., E4 sono graficate in corrispondenza del rispettivo valore dell’energia in modo tale che l’asse delle
ascisse risulta traslato verso l’alto di un valore diverso per ognuna. Il potenziale, le energie e le funzioni
d’onda qui graficate corrispondono alla scelta dei parametri m e ω tali che ω 2 m = 1 e ~ω = 1.
6.4. Esercizi
• Si calcolino i valori attesi
di x̂4 e di x̂2 p̂2 per lo√stato fondamentale
dell’oscillatore
R +∞
R +∞
armonico (si ricordi che −∞ x2 exp (−x2 /2)dx = 2π e che −∞ x4 exp (−x2 /2)dx =
√
3 2π).
• Si calcolino gli stati ψ1 e ψ2 dell’oscillatore armonico.
√
√
• Si mostri che hψn , â+ ψn−1 i = n e che hψn−1 , âψn i = n. Si mostri inoltre che
hψn , â+ ψm i = 0 se m 6= n − 1 e che hψn , âψm i = 0 se n 6= m − 1.
2
p̂
• Si consideri il sistema di hamiltoniana Ĥ = 2m
+ αx̂4 con α positivo. Si utilizzi il
principio di indeterminazione di Heisenberg per dare una stima dal basso dell’energia
dello stato fondamentale (suggerimento: si tenga presente che hx̂4 i ≥ hx̂2 i2 ).
2
p̂
• Si consideri il sistema di hamiltoniana Ĥ = 2m
+ αx̂4 con α positivo. Si dia una stima
dall’alto dell’energia dello stato fondamentale (suggerimento: si tenga presente che per
qualunque ψ si ha hψ, Ĥψi ≥ E0 ).
4
• Si consideri l’autostato φ = ce−x con energia nulla. Si dica qual’è il relativo potenziale.
42
Figure 13: Le opinioni di Niels Bohr e di Max Planck.
Bibliografia
K. Konishi e G. Paffuti, Meccanica Quantistica: nuova introduzione, Pisa University Press,
2005.
P. A. M. Dirac, I princı̀pi della Meccanica Quantistica, Bollati Boringhieri, 1990.
W. Thirring, A Course in Mathematical Physics. 3 - Quantum Mechanics of atoms and
molecules, Springer, 1981.
L. D. Landau e E. M. Lifšits, Fisica Teorica 3 - Meccanica quantistica Teoria non relativistica,
Editori Riuniti, University Press, 2010.
43
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