Schelling La vita, il pensiero filosofico e le opere di Schelling Copyright ABCtribe.com 1 Premessa 2 La Vita 3 Il Pensiero 3.1 L’evoluzione del suo Copyright ABCtribe.com 1 pensiero: una prima suddivisione 3.1.1 La Filosofia Positiva 3.2 L’Assoluto e Filosofia dell’identità (o dell’unitotalità) 3.2.1 Filosofia della natura: dalla natura allo spirito 3.2.2 Filosofia della natura: fisica speculativa (o a priori) 3.2.3 Idealismo trascendentale: dallo spirito alla natura 3.2.4 L’idealismo estetico: l’importanza dell’arte 3.2.5 L’ultimo Schelling 3.3 Schelling e l’idealismo trascendentale 3.3.1 Gli inizi fichtiani del pensiero schellinghiano 3.3.1.1 Ripresa e sviluppo della filosofia fichtiana 3.3.2 La Filosofia della Natura 3.3.2.1 L'unità di spirito e di natura 3.3.2.2 La Natura: forze dinamiche e intelligenza inconscia 3.3.2.3 L'anima del mondo e la natura dell'uomo 3.3.3 Idealismo trascendentale e idealismo estetico 3.3.3.1 Partire dal soggettivo per giungere all'oggettivo 3.3.3.2 L'attività reale e l'attività ideale dell' Io 3.3.3.3. L'Estetica di Schelling 3.3.3.4. L'attività artistica 3.3.4 La filosofia 4.5 La Filosofia della Rivelazione 4.5.1 Prima lezione 4.5.2 Seconda lezione 4.5.3 Terza e quarta lezione 4.5.4 Quinta lezione 4.5.5 Sesta lezione 4.5.6 Settima lezione 4.5.7 Nona lezione 4.5.8 Decima e undicesima lezione 4.5.9 Dodicesima, tredicesima e quattordicesima lezione 4.5.10 Dalla Quindicesima alla Diciottesima lezione 4.5.11 Dalla diciannovesima alla ventiduesima lezione 4.5.12 Ventitreesima… trentaduesima lezione 4.5.13 Dalla trentatreesima alla trentasettesima lezione 5 Brani antologici 5.1 Filosofia della mitologia 5.2 La teoria dell'arte 5.3 Filosofia della mitologia 5.4 Filosofia della rivelazione Copyright ABCtribe.com 2 5.5 Filosofia negativa e positiva 5.6 Gli elementi fondamentali del sistema filosofico 5.7 I tre periodi della storia 5.8 Idealismo e dogmatismo 5.9 Il male in Dio 5.10 Il programma della vera filosofia 5.11 Il superamento del male come scopo della creazione 5.12 La libertà e il male 5.13 La positività del male 5.14 Perché il male è necessario 5.15 Sistema dell'idealismo trascendentale 5.16 Schelling, Il finalismo è nelle cose, così come l'unità di Spirito e Natura 6 Aforismi 7 Filosofi correlati 7.1 L'idealismo di Fichte e Schelling 7.1.1 Johann Gottlieb Fichte 4 Le Opere 7.1.2 Friedrich Wilhelm 4.1 I primi studi del giovane Joseph Schelling Schelling 4.1.1 Filosofia della natura 7.2 Schelling e Kierkegaard 7.2.1 Il maestro e l’allievo e idealismo trascendentale 7.2.2 La realtà e il limite nel giovane Schelling del pensiero 4.2 La filosofia della natura e 7.2.3 L’enigma dell’esistenza l'idealismo trascendentale 4.2.1 Il sistema dell'identità 7.2.4 L’ansia di vivere 7.2.5 Un teologo senza e la sua rottura frontiere 7.2.6 L’ironia 4.3 Idee per una filosofia 7.2.7 Aut - Aut della natura: la struttura 7.2.8 Il possibile è sempre finalistica e dialettica del vero reale 7.2.9 La comunicazione 4.3.1 La natura come indiretta "preistoria" dello Spirito 4.3.2 Fisica "speculativa" e dell'identità 3.3.4.1 La Ragione come assoluto 3.3.4.2 L'Identità assoluta 3.3.4.3 Dall'infinita Identità assoluta alla realtà finita e differenziata 3.3.5 La fase della teosofia e della filosofia della libertà 3.3.5.1 La natura di Dio 3.3.5.2 La giustificazione metafisica della lotta fra il bene e il male 3.3.6 La Filosofia positiva 3.3.7 Conclusioni sul pensiero di Schelling 3.4 Ulteriore considerazioni 3.4.1 Il distacco da Fichte 3.4.2 La filosofia della natura 3.4.3 L'idealismo trascendentale 3.4.4 Filosofia ed estetica 3.4.5 Filosofia e religione 3.4.6 Politica in Schelling 3.4.7 Le accuse di ateismo 3.4.8 Rilievi critici 3.4.9 L’eredità Copyright ABCtribe.com 3 pensiero scientifico 4.4 Il sistema dell'idealismo trascendentale 4.4.1 L'assoluto 4.4.2Filosofia della natura 4.4.3Filosofia trascendentale 7.3 L’arte per Schelling, Aristotele, Kant e Schopenauer 7.4 La realtà e la natura in Schelling, Hegel, Fichte e Kant 7.5 Hegel e Schelling 1 Premessa Schelling è considerato il filosofo idealista che ha pienamente espresso la sensibilità del romanticismo. Fondamentali sono, nella sua riflessione, i temi riguardanti la natura, l’arte, il panteismo e l’inconscio. L’idea della poesia come essenza dell’universo, l’esaltazione del genio artistico capace di addentrarsi nel senso oscuro e infinito delle cose più del filosofo e dello scienziato, fecero subito, di questo autore, il filosofo per eccellenza, che più di altri incarnava lo spirito del Romanticismo. 2 La Vita Friedrich Wilhelm Joseph Schelling nasce Il 27 gennaio del 1775 a Leonberg, nel Wuerttemberg. Primo di cinque figli, suo padre era un colto pastore protestante appassionato di studi di orientalistica e critica biblica e che avviò fin dall'infanzia Friedrich alla conoscenza del mondo antico. Nel 1790, all’età di 15 anni, dopo aver compiuto i primi studi a Bebenhausen e Nuertingen, dove fra l'altro ebbe modo di conoscere per la prima volta Hoelderlin, e aver dimostrato la sua precocità, Schelling venne ammesso, con tre anni di anticipo sulla norma, allo Stift di Tubinga, dove fu compagno di camera dello stesso Hoelderlin e anche di Hegel, il quale, pur essendo di un lustro più anziano di lui, subì da questo un influsso determinante. In seguito studiò matematica e scienze naturali a Lipsia. Concluse nel 1792 il biennio filosofico con la dissertazione Antiquissimi de prima malorum humanorum origine philosophematis Gens. III explicandi tentamen criticum et philosophicum, in cui è evidente l'approccio razionalistico al testo biblico. L'anno successivo, lo stesso approccio venne applicato al campo dell'interpretazione mitologica nel saggio Sui miti, le leggende storiche e Copyright ABCtribe.com 4 i fenomeni del mondo antico. Per quanto l'ambiente dello Stift fosse poco aperto alle novità filosofiche e politiche, Schelling ebbe comunque modo di entrare in contatto con le dottrine fichtiane e le idee politiche rivoluzionarie provenienti dalla Francia. Dopo aver incontrato Fichte e aver letto la prima parte, quella teoretica, della Dottrina della scienza, Schelling pubblicò nel 1794 Sulla possibilita' di una forma della filosofia in generale e nel 1795 Sull'Io come principio della filosofia. Il 1795 fu un altro anno importante per il filosofo poiché concluse il triennio teologico con la dissertazione De Marcione Paullinarum epistolarum emendatore. Venne successivamente chiamato a collaborare al "Philosophisches Journal", sul quale pubblicò, tra il 1795 e il 1796, le Lettere filosofiche sul dogmatismo e il criticismo. Rinunciò quindi alla carriera ecclesiastica trovando, a soli 21 anni, un impiego come precettore presso il barone Von Riesedel, curando l’educazione dei figli prima a Stoccarda, tra il novembre 1795 e il marzo1796, e poi a Lipsia. Nello stesso 1796 redasse la Nuova deduzione del diritto naturale, anche in conseguenza del fatto di essersi dovuto occupare, nella sua nuova veste, degli studi giuridici dei giovani Von Riesedel. Tra il 1796 e il 1797 tornò sull'interpretazione di Fichte nei Trattati per la chiarificazione dell'idealismo della Dottrina della scienza. Ma, soprattutto, in questi anni getta le basi della propria filosofia della natura con le Idee per una filosofia della natura e la prima versione di Sull'anima del mondo. Durante l’estate del 1798, all’età di 23 anni, si trasferì da Lipsia a Jena, chiamato dalla locale Università, grazie anche all’amicizia con Goethe, come coadiutore di Fichte nell'insegnamento universitario, e nel 1799 di fatto in sostituzione di Fichte, costretto quest’ultimo a dimettersi in seguito alla polemica sull'ateismo. Lì entrò in contatto i maggiori esponenti del Romanticismo: Goethe, Novalis, Schiller, Hölderlin, i fratelli Schlegel, e lo stesso Fichte. Fondò la rivista "Zeitschrift fuer spekulative Physik" (Rivista per la fisica speculativa) progettata come strumento di diffusione della nuova filosofia della natura, e nel 1802, con Hegel, il "Kritisches Journal der Philosophie" (Giornale critico della filosofia). Nel frattempo pubblicò il Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura (1799), con la relativa Introduzione (1799), il Sistema dell'idealismo trascendentale (1800), la Deduzione universale del processo dinamico (1800), l'Esposizione del mio sistema di filosofia (1801), il dialogo Bruno (1802), le Ulteriori esposizioni del mio sistema di filosofia (1803), le Lezioni sul metodo dello studio accademico (tenute per la Copyright ABCtribe.com 5 prima volta nel 1802, ma pubblicate nel 1803). Nell'estate del 1803 sposò Carolina Michaelis, vedova del medico Boehmer e già sposata in seconde nozze con August Wilhelm Schlegel, da cui aveva ottenuto il divorzio nello stesso 1803. Anche a causa del deteriorarsi dei rapporti personali con gli amici di Jena, in autunno si trasferì a Wuerzburg, chiamato come professore ordinario. Cominciarono intanto a manifestarsi gravi dissapori e polemiche con Fichte, dovute più che altro all'incapacità di ciascuno dei due di comprendere il punto di vista dell'altro. Nel 1805 fondò, con Marcus, gli Jahrbuecher der Medicin als Wissenschaft. Pubblica Filosofia e religione (1804) in risposta alle tesi sostenute da Eschenmayer nello scritto La filosofia nel suo passaggio alla nonfilosofia, gli Aforismi introduttivi alla filosofia della natura (1805) e gli Aforismi sulla filosofia della natura, la cui seconda parte apparirà quando Schelling avrà già lasciato Wuerzburg (1806-7). A questo periodo appartengono anche la Filosofia dell'arte (corsi tenuti in origine a Jena tra il 1802 e il 1803 e ripresi a Wuerzburg tra il 1804 e il 1805), la Propedeutica filosofica (1804) e il Sistema dell'intera filosofia (1804), che saranno tuttavia pubblicati postumi. In seguito alla pace di Presburgo (dicembre 1805), Wuerzburg passò sotto il controllo austriaco. Nella successiva primavera, Schelling decide quindi di trasferirsi a Monaco, dove, non esistendo ancora una Università, entra a far parte dell'Accademia delle Scienze, presieduta da Jacobi. Il 12 ottobre 1807, in occasione dell'onomastico del re, tiene il celebre discorso Sul rapporto delle arti figurative con la natura. Nel 1808 fu nominato Segretario Generale dell'Accademia delle Arti Figurative, creata in pratica appositamente per Schelling al fine di evitargli la difficile convivenza con Jacobi. A questo periodo risalgono l'ultimo intervento contro Fichte, l'Esposizione dei veri rapporti della filosofia della natura con la dottrina migliorata di Fichte (1806) e le Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana (1809). Nel frattempo, in seguito alla pubblicazione della Fenomenologia dello Spirito (1807), si consuma anche la rottura con Hegel, che lo aveva attaccato nella sua prefazione. Il 7 settembre del 1809 morì la moglie Carolina. Incominciò così un lungo periodo oscuro e solitario, in cui pesarono fortemente i dispiaceri della vita privata e l’ormai assodata sconfitta del suo sistema filosofico rispetto a quello hegeliano di cui assiste al trionfo. Il filosofo, fortemente provato, si trasferì per qualche mese a Stoccarda, tra il febbraio e l'ottobre del 1810, dove tiene le celebri Privatvorlesungen e compone il dialogo Clara, vera e propria meditazione sulla morte. Il rientro a Monaco fu segnato dalle polemiche. Lì, infatti, maturò una svolta profonda nella sua filosofia, a cui contribuirono vari eventi: l'incontro con Baader che gli fece conoscere il pensiero di Böhme. Nel 1811, Jacobi pubblicò un aspro attacco contro Schelling intitolato Sulle cose divine e la loro rivelazione, a cui Copyright ABCtribe.com 6 Schelling risponde con altrettanta violenza con il Monumento dello scritto sulle cose divine (1812). Nello stesso periodo, era alle prese con il progetto delle Età del mondo, di cui prepara due versioni (una nel 1811 e l'altra nel 1813) che vengono entrambe prima consegnate all'editore e poi ritirate, e un'ulteriore elaborazione nel 1815. A tre anni dalla scomparsa della moglie Caroline, Schelling si risposò con Paulina Gotter, figlia di un'amica di Carolina, con cui era da tempo in corrispondenza e che gli rimase accanto per tutto il resto della vita, dandogli sei figli. L’anno successivo, nel 1813 fondò una nuova rivista, la Allgemeine Zeitschrift von Deutschen fuer Deutsche, che ospitò nel suo primo numero la disputa con Eschenmayer a proposito delle Ricerche filosofiche, ma che ebbe vita ancora più breve delle precedenti. Nel 1815 Schelling pubblicò la lezione Sulle divinità di Samotracia. Cinque anni dopo, nel 1820 fu chiamato a Erlangen, dove restò per sette anni, tenendo come professore libero lezioni di Storia della Filosofia e Filosofia della Mitologia. Le lezioni del semestre invernale 1820-21 furono dedicate agli Initia philosophiae universae, cioè ai fondamenti dell'intera filosofia. Il 1827 è l’anno del suo rientro a Monaco come professore di filosofia presso l'Università, trasferita l'anno precedente da Landschut, e come Presidente dell'Accademia delle Scienze, dove terrà le famose Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna. L'unico scritto filosofico che Schellig pubblicò in quegli anni è la Prefazione ai Fragments philosophiques di Victor Cousin (1834), ma nel frattempo Schelling lavorava al progetto della "filosofia positiva", in opposizione alla "filosofia negativa" della tradizione razionalistica e formalistica. Intanto i quaderni originali dei corsi tenuti da Schelling in questi anni sono andati perduti nel corso dei bombardamenti del 1944, ma rimangono gli appunti di studenti e uditori. Tra le opere riprese nell'edizione delle opere complete figurano la Prima lezione monachese (1827), i corsi del 1836-37 sulla Storia della filosofia moderna, e sull'Esposizione dell'empirismo filosofico. Per altri scritti, alcuni dei quali hanno subito varie rielaborazioni, la datazione non può ritenersi sempre certa: Sistema delle età del mondo (1827-28); Introduzione alla filosofia (1830); Filosofia della Rivelazione (1831-32); Sistema Copyright ABCtribe.com 7 della filosofia positiva e Sistema delle età del mondo (1832-33); Filosofia della Mitologia (1835-36); Sistema della filosofia positiva (183637); Filosofia della Mitologia (1837-38); Introduzione nella filosofia (1839). Nel 1841 Schelling, anche a causa della situazione non proprio favorevole determinatasi con i Protestanti della Baviera, accolse l'invito di Federico Guglielmo IV di Prussia e si trasferì a Berlino come libero docente, con il compito, probabilmente, di contenere il successo straripante della filosofia di Hegel, deceduto dieci anni prima, e del quale occuperà la cattedra. Anche qui i suoi corsi, che vedranno tra gli uditori Kierkegaard, Feuerbach ed Engels, vertendo principalmente sulla Filosofia della Mitologia e la Filosofia della Rivelazione, e sono ricostruibili in buona parte solo attraverso Nachschriften: Filosofia della Rivelazione (1841-42); Filosofia della Rivelazione (184243 e 1844); Principi della filosofia - Esposizione del processo naturale (1843-44); Filosofia della Mitologia (1845-46). In quest’ultima fase della sua vita ebbe modo di sviluppare l'ultima fase del suo pensiero, in aperta polemica contro l'idealismo hegeliano, affermando l'autonegazione della ragione dialettica per ristabilire il primato dell'essere parmenideo. Nel 1847 smise di tenere i suoi corsi pubblici. Appartengono inoltre a questo periodo l'Introduzione filosofica alla filosofia della Mitologia e il Saggio sull'origine delle verità' eterne (1847-54) e il discorso Osservazioni preliminari alla questione sull'origine del linguaggio (1850). Questi lavori suscitarono grande attrazione, ma i suoi richiami caddero nel vuoto. Ritiratosi definitivamente dall'insegnamento, morì a Bad Ragaz, una località della Svizzera, mentre si trovava in villeggiatura, il 20 agosto 1854. 3 Il Pensiero II pensiero di Schelling si contraddistingue per lo slancio verso l'unità ultima e indivisa del sapere e dell'essere e si presenta composto di "filosofia dello spirito" e "filosofia della natura". Io, o spirito, e natura sono in principio complementari e opposti. Insieme rappresentano due strutture coincidenti in un organismo che si auto-produce e si auto-organizza secondo meccanicità e finalità, libero caso e necessità. Nelle Idee per una filosofia della natura Schelling asserisce che la natura è un "organismo senziente", che si auto-produce razionalmente in una sequenza di gradi sempre più complessa, pur in assenza di finalità razionali esplicite. In natura l'uomo è certo una forza tra le forze naturali, ma il suo fare introduce un finalismo nel mondo della necessità e casualità naturali. Le forze di attrazione e repulsione operanti negli enti della natura sono gli stessi principi attivi nell'intuizione dello spirito umano: in natura Copyright ABCtribe.com 8 appaiono dal punto di vista oggettivo dell'inconscio, nell'intuizione viceversa da quello spirituale-soggettivo della coscienza. Necessità e casualità della natura si riflettono nella necessità e casualità dell'arte, perciò il linguaggio del mito e della poesia si presenta come il più idoneo a esprimere e pensare la natura stessa. Nel Sistema dell'idealismo trascendentale l'arte, che permette di cogliere l'unione e l'identità originarie del soggettivo e dell'oggettivo, dello "spirituale" e del "naturale", è intesa come sommità del sapere e prassi comunicativa della filosofia. L'intuizione estetica coglie nell'opera artistica, seppure istantaneamente e imprevedibilmente, il fondamento ontologico in cui lo spirituale e il naturale sono l'unità originaria. La riflessione immediatamente posteriore tenta di attribuire stabilmente alla teoria filosofica ciò che prima era stato determinato quale proprio dell'opera artistica: la visione dell'identità assoluta. Questa identità ultima viene ripensata però come "abisso di quiete e di inattività", come suprema "indifferenza". L'identità del fondamento comune si traduce nell'originario annullamento delle definizioni polarmente contrapposte (conscio e inconscio, soggettività e oggettività, idealità e realtà, libertà e necessità), prima pensate sostitutive della filosofia trascendentale. Questa fase del pensiero di Schelling viene generalmente detta filosofia dell'identità. Negli ultimi anni la filosofa di Schelling si afferma definitivamente come rammemorazione di un immemorabile "soggetto assoluto", una "Oltredivinità" che richiama la tradizione mistica neoplatonica, e come esercizio razionalmente estatico. La ragione si arresta con stupore di fronte al dato puro e semplice del reale, al fatto che questo si presenti ad essa, che pure ne può cogliere le articolazioni, in modo inassimilabile a priori. 3.1 L’evoluzione del suo pensiero: una prima suddivisione Schelling fu un intellettuale molto precoce poiché raggiunse il massimo della popolarità a soli 25 anni. Nel 1800 circa, a soli 32 anni, cominciò ad essere oscurato dall'astro nascente del sistema filosofico di Hegel, che peraltro era più anziano di lui. Più giovane di Hegel, Schelling ne fu tuttavia per qualche anno il maestro e quando Hegel morì, Schelling gli sopravvisse per circa 20 anni, dando vita ad una filosofia successiva ad Hegel ed in polemica con lui. Il pensiero di Schelling presenta dunque, come già quello di Fichte, diversi periodi. Di questi è possibile individuarne cinque: 1- momentanea adesione alle tesi di Fichte; 2- Filosofia dello Spirito e della Filosofia della Natura, ovvero elaborazione di un proprio pensiero autonomo; 3- Filosofia dell'Identità, ovvero identificazione tra Natura e Spirito; 4- Filosofia della Libertà, in contemporanea all'incipiente successo di Hegel; 5- Periodo della Filosofia Positiva, successiva alla morte di Hegel; Schelling iniziò il suo cammino muovendo dalla Copyright ABCtribe.com 9 filosofia di Fichte e, anche quando se ne allontanerà, manterrà comunque qualche legame con essa. Tuttavia, dopo un primo periodo di ferma adesione alla filosofia fichteana, Schelling fa un passo aventi verso la sua prima fase autonoma, in cui maturò la Filosofia dello Spirito e la Filosofia della Natura, presentando una visione alternativa: secondo Fichte, l'Io pone il non-Io, ovvero il soggetto, che è lo spirito, pone l'oggetto la natura, attraverso un processo, tutto interno all'Io, dal momento che fuori di esso non vi è ancora nulla. Tuttavia, nota Schelling, se la natura è stata tirata fuori dallo spirito, allora vorrà dire che la natura, in fin dei conti, ha la stessa essenza dello spirito, o, in altri termini, è lo stesso spirito che si palesa in modo diverso. Questo passaggio è quello che Schelling, rielaborando il sistema filosofico di Fichte, definisce carattere spirituale della natura , cercando di chiarire che la natura è un prodotto dell'Io, la cui caratteristica principale è la spiritualità. La natura si veste nuovamente delle particolarità tipiche dello spirito e ne consegue che la rappresentazione schellinghiana della natura sarà di stampo vitalistico e organicistico. Non a caso Schelling fu senz'ombra di dubbio il filosofo che più di tutti ha elaborato la concezione romantica della natura vivente, che lui definisce anche spirito pietrificato: la natura, infatti, altro non è che lo spirito che si manifesta in forme che, propriamente, non sono le sue. La filosofia di Fichte era raffigurabile mediante una semiretta, poiché vi era un punto di partenza, l'Io che poneva il non-Io, e uno slancio infinito: egli insisteva molto sul fatto che la natura fosse non-Io, poiché sentiva l'esigenza di porre un ostacolo, un qualcosa di diverso all'Io. Schelling invece tende la sua traiettoria in un'altra direzione, sottolineando che Io spirito e la natura (l’io e il non-io) siano la stessa cosa, poiché l'uno è il derivato dell'altro. Ecco dunque che la filosofia di Schelling si può raffigurare come Filosofia dello Spirito e della Natura: così come in Fichte, vi è l'Io (spirito) che pone il non-Io (natura), in Schelling, dato che la natura è anch'essa spirito, seppur spirito pietrificato, spirito che si sviluppa nello spazio, allora essa propone al suo interno una tensione che mira a tirar fuori dall'interno una sua dimensione spirituale. Nella natura troviamo livelli della realtà in cui la spiritualità si manifesta in modi diversi. Avremo così una natura spirituale, in cui però lo spirito è pietrificato, cioè sta nascosto, e solo in certi livelli della natura esso tende a manifestarsi maggiormente: nei livelli della meccanica, ad esempio, la natura non si manifesta come spirito e la spiritualità resta nascosta, quasi inafferrabile. Ma più si va verso una maggiore complessità della natura e più la sua spiritualità tende ad emergere: già nella chimica si intravede qualche elemento spirituale, nel magnetismo si fa un ulteriore passo avanti, ed è nel livello biologico, in cui emerge la dimensione organicista, che si vede benissimo la spiritualità. Anche nella luce, fa notare Schelling, si può scorgere un tentativo della spiritualità della natura di emergere. Copyright ABCtribe.com 10 Bisogna chiarire che il punto di partenza dello spirito è il punto di arrivo della natura: con la posizione del non-io da parte dell'Io si procede dallo spirito alla natura, ma poi la natura va dai livelli meno vivi (la meccanica) verso una sempre maggiore spiritualità (la biologia). Se per Fichte si partiva dall'Io e si andava avanti all'infinito, con Schelling, una volta posto il non-Io, da quello si deve ritornare all'Io. C’è infatti una specie di circolarità tra natura e spirito poiché lo spirito pone la natura e la natura fa emergere lo spirito. E' dunque naturale che in questo panorama Schelling recuperi concetti che appartengono alla filosofia di Platone e di Giordano Bruno come quello dell'anima del mondo, a sottolineare che la natura, in quanto prodotto dello spirito, è un essere vivente a pieno titolo. Spesso le considerazioni di Schelling vengono poste accanto a quelle di Goethe secondo cui l'intero regno vegetale deriverebbe da un'unica pianta, anticipando così certe elaborazioni delle teorie evoluzionistiche. Schelling non ha di per sé una concezione evoluzionistica in senso darwiniano poiché la gerarchia della natura a cui egli accenna non è temporale ma puramente logica: in altri termini, Schelling vuol solo dire che vi è una scala della natura che va dagli esseri meno complessi a quelli più complessi, dalla meccanica all'uomo. Eppure Schelling, ammettendo che tutte le cose sono manifestazioni di un'unica realtà, la spiritualità, propose una sorta di evoluzionismo atemporale, una specie di gerarchia logica dall'essere più semplice al più complesso, entrambi manifestazioni della realtà spirituale. Schelling definisce potenze i diversi livelli della realtà e sottolinea come ogni potenza tenda a mostrare polarità e come ciascuno dei termini di tale polarità sia il rappresentante della polarità spirito-natura: non c'è dunque da meravigliarsi se in entrambi questi poli che contraddistinguono ciascuna potenza si rivelano ulteriori polarità, dal momento che la polarità natura-spirito tende essa stessa a dividersi in altri gradi. All'interno degli stessi principi spirituali ci sarà perciò polarità. E' poi indubitabile che, in quest'ottica, Schelling abbia una concezione finalistica della natura, con una modificazione della kantiana Critica del Giudizio in una vera e propria filosofia della natura in chiave teleologica. Per Fichte l'Assoluto poteva tranquillamente essere lo spirito (l'Io) poiché era su un gradino superiore rispetto alla natura; non a caso quello di Fichte era un idealismo soggettivo. Copyright ABCtribe.com 11 Con Schelling, invece, natura e spirito si sollevano a pari dignità e ne consegue che l'Assoluto dovrà essere qualcosa che non è né lo spirito né la natura, ma che si colloca al di là di essi. Sarà definibile Assoluto, dice Schelling, l'Identità assoluta di soggetto e oggetto, da lui chiamata anche Assoluto o Identità. Si tratta di un livello che si dispone al di là della distinzione soggetto/oggetto: la matrice neoplatonica risulta qui evidente. Spesso questa fase del pensiero di Schelling, che è la più originale, viene descritta come un centro (l'Assoluto, identità assoluta di tutto) da cui nasce un'esplosione di differenziazioni: da questa fase muoverà Hegel, aderendovi e per poi allontanarsene criticandola aspramente. Propriamente romantica, oltre alla concezione spiritualizzata della natura, è la posizione privilegiata che Schelling riserva all'arte come strumento conoscitivo. Infatti, se la realtà è identità assoluta di natura e spirito, allora la modalità di apprendimento non potrà essere di tipo mediato, un’ argomentazione discorsiva alla Platone. Viceversa, come la realtà è assoluta, anche il modo di conoscerla dovrà essere istantaneo, comprensibile con un'intuizione che superi tutte le diversificazioni e individui subito l'identità. Ecco perché l'arte è lo strumento gnoseologico per eccellenza, secondo Schelling, poiché essa è quell'espressione dell'uomo in cui soggetto (spirito) e oggetto (natura) sono fusi: nella realizzazione dell'opera d'arte, infatti, sostengono una dimensione di naturalità (l'ispirazione artistica) e una dimensione cosciente, quindi l'istinto animale è fuso con la dimensione cosciente e razionale.L'arte risulta essere lo strumento più equilibrato per cogliere l'Assoluto perché presenta un'evidente affinità con esso: si colloca ancor prima della distinzione tra spirito e natura, proprio come l'Assoluto. Sia l'arte sia l'assoluto sono a monte della separazione tra soggetto e oggetto. E così Schelling, identificando il primato dell'arte, è costretto dal suo stesso pensiero ad esulare dalla filosofia e a naufragare verso l'arte, come Fichte verso la religione. La filosofia dell'Identità si trasforma poi, secondo una logica ben definita, in filosofia della libertà e, in un secondo momento, in Filosofia Positiva. Per staccarsi dalla filosofia dell'Identità e passare alle due successive, Schelling inizia dall’ osservazione che se il principio assoluto è l'identità necessariamente indifferenziata, dove non è possibile cogliere distinzione alcuna tra soggetto e oggetto, allora come si spiega la frantumazione della realtà? Che cosa può aver dato origine alla molteplicità delle cose che ci circondano? Schelling indica anche la propria filosofia dello spirito col nome di stampo idealistico trascendentale e distingue, sulle orme di Fichte, tra un'attività pratica con cui lo spirito concepisce la natura e un'attività conoscitiva con cui la natura opera sullo spirito. Successivamente alla filosofia dello spirito e della natura in Scheling si aprì la fase della Filosofia dell'identità. Il passaggio argomentativo che consente a Schelling di passare da una fase all'altra è il seguente: se la natura è spirito, allora anche dalla natura emerge lo spirito, aveva detto nel periodo della filosofia dello spirito e della natura. Ora, però, Schelling conferisce pari dignità allo spirito e alla natura, poiché si richiamano a vicenda, con la conseguenza che né l'uno né l'altro può essere l'Assoluto. Schelling si trova perciò di fronte al difficile problema in cui si sono imbattuti tutti i pensatori che hanno ipotizzato la derivazione dell'intera realtà da un unico principio: come e perché dall'unità assoluta del Copyright ABCtribe.com 12 principio si passa allo sgretolamento totale della realtà? La filosofia di Schelling, da questo momento in poi, è interamente orientata a rispondere a questa domanda: nei primi anni dell'Ottocento, Schelling ritiene di poter fornire una risposta riprendendo la filosofia panteista di Giordano Bruno, la quale aveva insistito in modo particolare su come l'uno si potesse articolare nella molteplicità. Ed è in Bruno che Schelling trova una prima soluzione al problema: si tratta della soluzione della caduta . Il movimento dall'uno alla molteplicità viene cioè spiegato come una sorta di decadimento dai livelli più alti della realtà ai più bassi. In chiave religiosa, Schelling intende la caduta come una specie di peccato originale che ha portato l'uno a spaccarsi in una miriade di frantumi; oltre alla tradizione religiosa, riprende anche elementi derivati dalla filosofia di Anassimandro, continuando sul fatto che vi sia stata una disarticolazione causata dall'aver commesso colpe. Da questo momento, il pensiero schellinghiano si sviluppa su speculazioni sempre più complesse di ordine mistico-religioso, con il recupero delle riflessioni di Böhme, pensatore seicentesco che mescolava alchimia e filosofia nel tentativo di giustificare il passaggio dall'uno al molteplice. Fu attraverso questi sviluppi che si passò nella fase della Filosofia della Libertà, contraddistinta dalla rinuncia al panteismo e dalla netta accettazione del teismo: alla natura divina si sostituisce cioè il Diopersona. Resta però il problema della caduta, intrinsecamente connesso a quello del male. E' un problema a prima vista insormontabile, poiché, se vi è un unico principio da cui tutto deriva, allora il male deve per forza scaturire da esso. La soluzione accettata in questo periodo da Schelling, sulle orme di Böhme e dello stesso Platone, consiste nell'ammettere un dualismo nel principio. Il male che spunta nel mondo, deve per forza derivare, come ogni altra cosa, dal decadimento del principio e di conseguenza Schelling riconosce due aspetti distinti in Dio: fondamento ed esistenza. Sullo sfondo di queste riflessioni vi è la convinzione, tipicamente romantica, che il principio supremo sia dinamico, la cui natura stessa è il divenire, poiché esso è vitale. L'esistenza di Dio, spiega Schelling, è essa stessa una sorta di prodotto, in quanto Dio esiste venendo fuori da un fondo oscuro, una sorta di origine presente in Dio ma da cui Dio stesso viene fuori. In questo senso Dio è un'esistenza, ovvero un venir fuori dal suo stesso fondamento oscuro: la luce emerge dalle tenebre , dice metaforicamente Schelling, che in questo modo trova in Dio stesso fondamento del male. Molte volte Schelling parla del fondamento di Dio come una sorta di egoismo di Dio, alludendo al rimanere dentro di sé egoisticamente, senza venir fuori. A livello di Dio, però, la distinzione tra fondamento (tenebre) ed esistenza (luce) non si connota ancora chiaramente come distinzione tra bene e male, poiché sarebbe ridicolo accettare la presenza del male in Dio. Pertanto Schelling, accettando il dualismo in Dio e distinguendo tra esistenza e fondamento, non dice che in Copyright ABCtribe.com 13 Dio c'è il male, bensì che in Dio c'è il principio del male, del declinare, del frantumarsi della realtà e, in ultima istanza, della possibilità di scelta tra bene e male: e proprio per questo la filosofia di questo periodo è designata col nome di Filosofia della Libertà. 3.1.1 La Filosofia Positiva Si può considerare che nella storia, secondo Schelling, e anche secondo Hegel, si esplicita Dio stesso. Con la Filosofia Positiva si rimane su un terreno ancora più religioso: Schelling, riflettendo sulla filosofia di Hegel e sulle altre fiorite in quegli anni le definisce filosofie negative, contrapponendo ad esse la nuova filosofia da lui stesso elaborata in quegli anni: la Filosofia Positiva. Si tratta di filosofie negative poiché hanno chiarito l'essenza ma non l'esistenza: hanno cioè spiegato il quid est (che cosa è) ma non il quod est (il fatto che una cosa esista). Sì, perché una cosa è dire che cos’è il libro, un'altra cosa è dire che il libro esiste: le filosofie di quegli anni, nella prospettiva schellinghiana, si sono limitate a spiegare che cosa fosse il libro, dando per scontato che esistesse. E' come se tali filosofie avessero chiarito cosa sono le cose attraverso l'uso della ragione, dando per scontato che esse esistono. Pur potendo chiarire l'essenza delle cose, nota Schelling, la ragione non potrà mai motivarne l'esistenza, poiché essa dipende da un atto della volontà creatrice di Dio: le cose esistono perché Dio ha deciso che devono esistere in base ad un atto libero, il quale, proprio perché è libero, sfugge ai dettami della ragione. Con la presunzione di chiarire ogni cosa con la sola ragione, le filosofie negative hanno potuto rendere conto unicamente delle essenze, ossia di ciò che è necessariamente. Ma se l'essenza dell'uomo consiste inevitabilmente nell'avere due gambe, due occhi e una testa, e ciò può essere colto dalla ragione, la sua esistenza , al contrario, dipende da un atto assolutamente libero da parte di Dio. Un atto libero non sarà mai razionalmente spiegabile. L'esistenza delle cose non la si è mai spiegata tramite la ragione: e Schelling applica questo ragionamento principalmente contro il sistema filosofico di Hegel, il cui errore più grande risulta nel non aver saputo spiegare razionalmente l'essenza della realtà, ma nell'aver preteso di dedurre l'esistenza delle cose dalla loro essenza. Hegel riteneva che, analizzando l'essenza delle cose potesse derivare l'esistenza del mondo. Ma Schelling critica decisamente questa posizione, contrapponendola a quella secondo cui dal concetto di essenza dell'uomo non deriva mai l'esistenza, la quale, al contrario, nasce da un atto libero di creazione da parte di Dio, atto che, proprio in quanto libero, sfugge alla ragione. Schelling perciò si propone d’integrare le filosofie negative con l'elaborazione di una filosofia positiva che non si limiti ad indagare sulle condizioni negative della realtà (l'essenza), ma anche su quelle positive ovvero sull'esistenza. Copyright ABCtribe.com 14 La risoluzione adottata da Schelling prevede che la filosofia positiva parta non dall'impiego della ragione, ma dall'accettazione del dato di rivelazione: se una persona è libera, del resto, la ragione non può dirmi nulla su ciò che egli farà o non farà, con l’effetto che l'unica maniera per conoscere ciò che farà o non farà è che ce lo riveli lui. Questa è la filosofia positiva di Schelling, divisa in Filosofia della Mitologia e Filosofia della rivelazione. Pur essendo profondamente cristiano, Schelling non ritiene che il cristianesimo sia la sola religione 'vera' rivelata da Dio, bensì sostiene che pure le altre sono state rivelazioni divine, quasi come se Dio fosse stato colto con la capacità mitopoietica, come cioè se si fosse rivelato all'uomo con la mitologia pagana (Filosofia della mitologia). Ed è però ai Cristiani che si è rivelato direttamente (Filosofia della rivelazione). Sull'onda di queste speculazioni, Schelling elabora una filosofia della storia triadica, di impostazione religiosa. Come Fichte, anche Schelling ha un esito extra-filosofico: egli esce piuttosto in fretta dal tracciato filosofico per rifugiarsi prima nell'arte e poi nella religione. Si può notare come Schelling, pur non essendo un esistenzialista, abbia aperto spiragli in quella direzione: non a caso Kierkegaard, precursore dell'esistenzialismo, resterà colpito dai suoi insegnamenti, anche se riterrà Schelling troppo oscuro e nebuloso. In effetti, comincia ad affacciarsi sulla scena filosofica l'idea, tipica dell'esistenzialismo, dell'irriducibilità dell'esistenza all'essenza, nella convinzione che esista una dimensione della realtà non riconducibile all'essenza e alla ragione. Si tratta di una potente reazione al pensiero hegeliano, al suo panlogismo (dottrina per la quale la ragione è la realtà assoluta), una contestazione all'idea che tutto sia riportabile alla ragione. Sia Marx che Nietzsche percorreranno questa strada, anche se con esiti molto diversi. 3.2 L’Assoluto e Filosofia dell’identità (o dell’uni-totalità) Come per ogni romantico, anche per Schelling, è inaccettabile la tesi cartesiana che la materia (res extensa) e lo spirito (res cogitans) siano nettamente distinti. Esiste un principio unitario che spiega sia la materia che lo spirito: tutto è concatenato nell’Assoluto. L’Assoluto è al centro della riflessione schellinghiana. Il termine Assoluto indica “ciò che è sciolto da ogni legame, libero da ogni condizionamento” e, per Assoluto, Schelling, intende il Principio infinito e creatore della realtà, Dio stesso. Questo principio infinito è, per l’autore, un’unità di soggetto (Io) e oggetto (Natura), di ideale e reale, conscio e inconscio, libertà e necessità. Un Assoluto puramente soggettivo (come l’Io di Fichte) non riuscirebbe a spiegare compiutamente la Natura, mentre un Assoluto puramente oggettivo (come in Spinoza), non riuscirebbe a spiegare lo spirito. Allora Copyright ABCtribe.com 15 Schelling propone “una terza” via tra Assoluto soggettivo e Assoluto oggettivo: l'Assoluto, dovrà essere qualcosa che non è né lo spirito né la natura, ma che si colloca al di là di essi, comprendendoli. Sarà Assoluto, dice Schelling, l’unità di soggetto e oggetto, da lui chiamata “Identità”, o anche semplicemente “Assoluto”. Schelling scrive: “Non c’è qui un primo e un secondo: sono entrambi contemporanei e formano un tutto unico, A volere spiegare questa identità debbo già averla soppressa”. Questa identità non può essere studiata pienamente attraverso il linguaggio e la ragione (il logos), in quanto, l’uso di questi strumenti, distrugge l’unita di soggetto/oggetto. Se parlo dell’identità, se cerco di spiegarmela, già la pongo come oggetto da spiegare e, allora, mi trovo all’interno del dualismo tra soggetto e oggetto di conoscenza, essa non è più identità. La conseguenza è che l’Assoluto, come assoluta identità, si potrà cogliere soltanto con un atto extrarazionale che, come vedremo sarà l’arte. Nel frattempo però, la ragione, il linguaggio ci possono mostrare come partendo da uno dei due poli del dualismo (soggetto/oggetto,spirito/natura…) si giunge all’altro. La tesi dell’Assoluto come identità conduce il pensiero di Schelling a svilupparsi in due direzioni: • una filosofia diretta a mostrare come la natura si risolva nello spirito (che è chiamata filosofia o scienza della natura); • una filosofia diretta a mostrare come lo spirito si risolva nella natura (che è chiamata filosofia dell’idealismo trascendentale). Sostiene Schelling: “Come la scienza della natura cava l’idealismo dal realismo, spiritualizzando le leggi naturali in leggi dell’intelligenza, ossia accoppiando al materiale il formale; così la filosofia trascendentale cava il realismo dall’idealismo, in quanto materializza le leggi dell’intelligenza in leggi naturali, ossia aggiunge al formale il materiale”. Si può arrivare alla natura partendo dallo spirito, ma si può compiere anche il processo inverso, arrivando allo spirito partendo dalla natura. 3.2.1 Filosofia della natura: dalla natura allo spirito La filosofia della natura è una filosofia opposta ma complementare alla filosofia trascendentale: parte dall’oggetto, dal reale, dal materiale, per giungere al soggetto, all’ideale, allo spirito, Oggetto, reale, materiale a Soggetto, ideale, spirito. Il punto di partenza di Schelling è il sistema di Fichte, reinterpretato con originalità. Come abbiamo visto, per Fichte il non-io, la natura, è semplice strumento della libertà, momento solo negativo dello sviluppo dell’Io, sottomesso a leggi puramente meccaniche e matematiche. Schelling propone invece una concezione dinamica e intimamente spirituale della natura: la natura ha un’anima, si riveste delle caratteristiche tipiche dello spirito e dell’Io (vitalismo organicistico). Copyright ABCtribe.com 16 La natura è un tutto vivente e senziente, un’attività intelligente che opera in modo inconscio: se per Fichte à l’Io è tutto, per Schelling à tutto è Io, tutta la realtà è spiritualità. La natura è un organismo che organizza se stesso, come un animale, una pianta. La materia non è infatti inerte, ma è costituita da forze in rapporto reciproco di azione e reazione: la materia è “spirito in letargo”, “preistoria della coscienza”, “intelligenza pietrificata”, così come lo spirito è “materia in evoluzione”. Le forze di attrazione e di repulsione attraverso cui la natura esprime il suo “essere viva” sono: • il magnetismo, • l’elettricità, • il chimismo. A queste tre forze corrispondono, nel mondo organico, • la sensibilità, • l’irritabilità e • la riproduzione. Sotto l’azione delle forze attrattive e repulsive, l’universo conosce tre momenti (o potenze) di sviluppo: • mondo inorganico (la natura è inconsapevole); • luce (la natura si fa visibile a se stessa); • mondo organico (in cui la natura attraverso la sensibilità comincia ad essere autoconsapevole). La natura è in Schelling uno spirito inconscio in moto verso l’autocoscienza, un percorso che porta dal minerale all’uomo, cioè natura autoconsapevole di se stessa. “Schelling vede in tutta la natura, a partire dai fenomeni elementari, l’agitarsi del logos, dell’intelligenza, dell’idea, che poi sboccia nell’uomo”. 3.2.2 Filosofia della natura: fisica speculativa (o a priori) E’ chiaro che, con questi presupposti, lo studio della natura, la fisica, non può essere risolto in un semplice procedimento di calcolo matematico. Il meccanicismo è una filosofia (un modello esplicativo, un paradigma) che consiste nel ritenere che la natura è costituita esclusivamente da corpi e da forze: tali corpi e tali forze, agiscono in modo tale che, se qualcuno potesse conoscere con esattezza il loro stato, in un momento qualsiasi, sarebbe anche in grado di prevedere con esattezza il futuro. Tale principio fu espresso molto chiaramente dal matematico, fisico e astronomo francese Laplace (17491827): «Noi dobbiamo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto di un dato stato anteriore e come le causa di ciò che sarà in avvenire. Una intelligenza che, in un dato istante, conoscesse tutte le forze che animano la natura e la rispettiva Copyright ABCtribe.com 17 posizione degli esseri che la costituiscono, e che fosse abbastanza vasta per sottoporre tutti i dati alla sua analisi, abbraccerebbe in un’unica formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo come quello dell’atomo più sottile; per una tale intelligenza tutto sarebbe chiaro e certo e così l’avvenire come il passato le sarebbero presenti». L’universo, nel suo insieme sarebbe come un biliardo, dove le palle sono i corpi, e i colpi impressi dall’asta, le forze: conoscendo la posizione dei corpi e le forze che agiscono, si può prevedere la configurazione del biliardo in ogni attimo del futuro. Per Schelling il meccanicismo è inammissibile: l’universo è vivo e intelligente. L’autore scrive: “Il meccanicismo da solo è ben lungi dal comprendere tutto ciò che costituisce la natura. Infatti, non appena mettiamo piede nel campo della natura organica, cessa per noi ogni concatenazione meccanica di causa ed effetto.” Contro una tale filosofia, Schelling sottolinea l’esigenza di una fisica speculativa o a priori, per la quale lo sviluppo del cosmo è orientato verso un fine, da una forza immanente (anima del mondo). Tale sviluppo si effettua parallelamente per natura e coscienza: al manifestarsi di forme sempre più complesse della coscienza corrisponde un potenziamento della natura. A priori non significa in questo caso una fisica “costruita a tavolino” che non tenga conto degli esperimenti, ma che ogni singolo fenomeno fisico, testimoniato dall’esperienza, deve essere studiato e considerato come facente parte di una totalità organica, da cui deriva e entro cui si colloca. Per il carattere speculativo e derivato da convinzioni metafisiche, la Naturphilosophie di Schelling è stata considerata dagli storici come un momento di incomprensibile smarrimento della scienza moderna, un “torbido abbandono alle forze sfrenate della fantasia che ha prodotto le più ridicole assurdità”. Molti fisici hanno accusato Schelling di aver smarrito il metodo scientifico galileianonewtoniano, e di esporre, con il suo sistema, la fisica e le scienze, al pericolo di una manipolazione arbitraria. Tuttavia, pur esistendo questo pericolo, la filosofia della natura schellinghiana ha dei grossi meriti. Ha stimolato ad esempio molti scienziati a interessarsi a fenomeni quali il sogno, l’ipnotismo, l’elettricità e il magnetismo, tutti osservati un po’ con occhio di sospetto da parte della “fisica meccanicistica” del tempo. Lo stesso modello esplicativo meccanicistico, entrato definitivamente in crisi del ‘900, sarà superato anche Copyright ABCtribe.com 18 grazie alla filosofia della natura di Schelling. 3.2.3 Idealismo trascendentale: dallo spirito alla natura L’idealismo trascendentale è una filosofia opposta ma complementare alla filosofia della natura: parte dal soggetto, dall’ideale, dallo spirito, per giungere all’oggetto, al reale, al materiale. Soggetto, ideale, spirito à Oggetto, reale, materiale Seguiamo il nostro autore nei suoi ragionamenti. Schelling ritiene che l’Io presenta una struttura interna di tipo dialettico fichtiano, e si è sviluppato attraversando varie epoche. Anche per l’autore, come per Fichte, l’autocoscienza rappresenta il punto di partenza di tutto il sistema del sapere, il principio primo ed Assoluto da cui muove la filosofia trascendentale nelle sue deduzioni. In modo inconsapevole (produzione inconscia) l’Io pone gli oggetti (attività reale), ma anche i presupposti per il loro superamento (attività ideale). Attività reale (produzione limite) e attività ideale (superamento del limite) sono concomitanti: si implicano a vicenda. L’Io, attraversando diverse epoche, si sviluppa verso una progressiva presa di coscienza di sé. La filosofia trascendentale è proprio la storia dell’Autocoscienza che ripercorre tutte le tappe del processo anteriore alla coscienza: • La prima fase, quella della sensazione, è il momento in cui la coscienza considera il proprio oggetto fuori di sé, proveniente dall’esterno (empirismo ingenuo): l’Io trova davanti a sé “qualcosa” che lo limita e la percezione di sé consiste solamente in questo suo “sentire” di essere sottoposto a una azione esterna, di “patire” una limitazione; • La seconda è quella dell’intuizione produttiva, l’Io inizia la propria autocostruzione, percependosi come “polarità” rispetto all’”oggetto”, come senziente che sente, appunto, il proprio “patire il limite” e si prepara, in quanto attività, a superarlo (kantismo). • La terza è quella della riflessione: l’Io riflette su se medesimo cogliendosi come “altro” rispetto agli oggetti, pervenendo così ad una conoscenza differenziata di sé (Fichte). E’ solo con la riflessione che l’Io giunge alla conoscenza che gli oggetti sono suoi prodotti. Mentre il produrre resta un fatto inconscio, la riflessione rende l’Io consapevole dell’intero processo che l’ha visto attore inconsapevole della produzione. Il fatto che la produzione di oggetti sia inconsapevole spiega il perché alla coscienza comune gli oggetti appaiono provenire da una dimensione estranea all’Io, dalla dimensione della cosa in sé, che a questo punto però appare, alla coscienza filosofica, mero fatto accidentale del processo costitutivo-conoscitivo dell’Io; dunque come qualcosa di inesistente, priva di valore ontologico, priva di essere. Nello stadio finale, nel momento in cui l’Io si pone come coscienza e volontà, si forma una filosofia pratica, costituita dalla morale (espressione concreta della libertà di azione individuale) e dal diritto (espressione concreta della necessità dettata dalla Copyright ABCtribe.com 19 presenza degli altri). Con la filosofia pratica l’uomo agisce nel mondo. Morale e diritto trovano la loro sintesi nella storia, che è rivelazione dello sviluppo dell’Assoluto. La storia è dunque conciliazione di morale e diritto, di libertà individuale e obblighi derivanti dall’altrui volontà. L’Assoluto attraverso la libera azione degli individui (i cui risultati finali sono però dipendenti dal disegno di Dio-Assoluto), evolve verso il suo fine: la progressiva rivelazione dell’identità di tutte le opposizioni. La storia concluderà il proprio cammino quando la rivelazione sarà completamente avvenuta. Allora inizierà il periodo della Provvidenza, in cui si realizzerà una federazione planetaria degli stati in una costituzione giuridica universale che garantiranno la pace perpetua che, come per Kant, anche per Schelling, rappresentano dal punto di vista politico, il fine della storia. 3.2.4 L’idealismo estetico: l’importanza dell’arte Come abbiamo già visto, il linguaggio e la ragione (logos), possono solo mostrare come dall’oggetto si perviene al soggetto (filosofia della natura) e viceversa (filosofia trascendentale). In realtà, né la filosofia della natura, né la filosofia trascendentale, riescono a cogliere pienamente l’assoluta identità tra la natura e lo spirito. Schelling deve allora fare un passo in avanti, deve cercare di cogliere l’identità in se stessa, deve cercare un mezzo, che gli permetta di cogliere oggettivo e soggettivo insieme: lo trova nell’arte. Schelling scrive: “L’arte è l’unico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, che sempre e con novità incessante attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l’inconscio nell’operare e nel produrre e la sua originaria identità col cosciente. ”L’artista, attraverso l’ispirazione inconscia, esprime concetti che non comprende compiutamente. Questi concetti vengono poi, attraverso uno sforzo cosciente, tradotti in forme, poesie, sinfonie, disegni, coreografie… L’opera d’arte è il frutto, da una parte di una ispirazione inconsapevole, non controllata dall’artista, quindi non cosciente, inconscia, e dall’altra di uno sforzo cosciente per comunicare. Nell’opera d’arte si realizza compiutamente l’identità idea/materia, l’incontro fra inconscio e conscio. Il fatto che il soggetto che contempla l’opera d’arte non sappia distinguere se l’infinito sia in esso o in se stesso, manifesta concretamente l’identità. 3.2.5 L’ultimo Schelling Copyright ABCtribe.com 20 L’ultimo Schelling, il pensatore che occupa la cattedra di Hegel a Berlino, su chiamata di Federico Guglielmo IV nel 1841, è un filosofo che ha forti ripensamenti. L’autore sembra aver esaurito l’impeto romantico, l’anelito verso l’Assoluto, verso la totalità…l’infinito. Egli sviluppa una filosofia caratterizzata, da una parte, da note di forte misticismo, dall’altra, da forme di irrazionalismo positivistico. Il fondo della realtà diventa ora, per il vecchio pensatore, “inafferrabile”, non più comprensibile, neppure con l’arte. La distanza fra il soggetto e l’oggetto, tra il pensiero e la natura, aumenta in modo da sembrare incolmabile. A questo punto si aprono due strade: • l’oggetto, totalmente altro dal soggetto, può essere raggiunto solo attraverso l’estasi mistica (irrazionalismo mistico); • l’oggetto, totalmente altro dal soggetto, è quello che ci sta davanti, nella sua bruta concretezza, nella sua realtà (irrazionalismo positivistico); Si apre così la strada al pensiero di autori come Schopenhauer e Kierkegaard, o al positivismo ottocentesco. 3.3 L’evoluzione del pensiero schellinghiano: una seconda suddivisione L’evoluzione del pensiero di Schelling è decisamente complesso. In tanti hanno cercato di determinare le varie tappe di tale parabola, con esiti diversi. Diversamente da quanto mostrato in precedenza, viene qui fornita un’ulteriore divisione del momento filosofico schellinghiano ,distinto questa volta in sei periodi: 1) gli esordi fichtiani (1795-1796); 2) il momento della filosofia della natura (1797/1799); 3) la fase dell'idealismo trascendentale (1800); 4) il momento della filosofia dell'identità (1801/1804); 5) la fase teosofica e della filosofia della libertà (1804/1811); 6) l’ultimo periodo: a filosofia positiva e della filosofia della religione (dal 1815 in poi). E’ il caso di rilevare che in questa suddivisione è presente una fase in più rispetto allo schema precedente, che riguarda appunto il momento dell’idealismo trascendentale Inoltre viene qui di seguito proposto uno schema relativo ai lavoro prodotti da Schelling. Se si prescinde dai primi due lavori legati all’interpretazione biblica e all'interpretazione degli antichi miti del 1792 e 1793, le varie opere si possono ordinare seguendo le varie fasi sopra elencate. Ecco le più significative: 1) Sulla possibilità di una forma della filosofia in generale (1794), Sull'Io come principio della filosofia (1795), Lettere filosofiche sul dogmatismo e sul criticismo (1795). 2) Idee per una filosofia della natura (1797), Sull'anima del mondo (1798), Primo abbozzo di un Copyright ABCtribe.com 21 sistema della filosofia della natura (1799). 3) Sistema dell'idealismo trascendentale (1800). 4) Esposizione del mio sistema (1801), Bruno o il principio naturale e divino delle cose (1802), Filosofia dell'arte (1802- 1803), Lezioni sul metodo dello studio accademico (1803). 5) Filosofia e religione (1804), Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà (1809), Lezioni di Stoccarda (1810). 6) Introduzione alla filosofia della mitologia, Filosofia della mitologia, Filosofia della Rivelazione, che sono sostanzialmente i corsi tenuti a Berlino e pubblicati postumi. 3.3.1 Gli inizi fichtiani del pensiero schellinghiano La prima fase del pensiero schellinghiano è stimolata dai dibattiti sulle antinomie inerenti alla kantiana "cosa in sé", che peraltro, egli ritiene sostanzialmente risolti e superati dalla filosofia di Fichte. Si comprende, pertanto, come la primissima produzione del nostro filosofo, prodotta fra i diciannove e i ventun’anni costituisca sostanzialmente un tentativo di impossessarsi dell'Idealismo fichtiano e di ripensarne i motivi di fondo. Secondo Schelling la dottrina di Fichte è la "vera" dottrina kantiana, cioè elaborata in modo coerente e consapevole. Infatti, le conclusioni del filosofo di Rammenau segnano una tappa decisiva nello sviluppo dell’idealismo: bisogna cercare nella sfera del Soggetto ciò che prima si era cercato nella sfera del mondo esterno e dell'oggetto. Tuttavia, per quanto Schelling, in questa prima fase sia ancora intriso delle teorie di Fichte già s’intravedono in lui nuove esigenze, che permettono di presentire in quale direzione si muoverà. In primo luogo, è evidente il taglio fortemente metafisico con cui Schelling si avvicina alla lettura della Dottrina della scienza. Di conseguenza, l'Io puro viene esposto come l'Assoluto, la cui unità non è quella numerica degli individui, bensì quella propria dell'"Uno-Tutto" immutabile. L'Io non è coscienza, né pensiero né persona, perché coscienza e persona sono momenti successivi e "dedotti". Similmente, Schelling dà grande importanza all'"intuizione intellettuale" così come alla "libertà", infatti delinea con maggiore chiarezza la "deduzione del mondo" a partire dall'Io. Bisogna comunque rimarcare come la presenza di Spinoza accentui ancora di più la visione metafisica nel pensiero di Schelling. Spinoza ha assolutizzato l'oggetto (il non-io) e ha cercato di garantire la pace dello spirito al prezzo dell'abbandono del soggetto (empirico) all'oggetto assoluto. Fichte, per contro, pone non l'Oggetto assoluto ma il Soggetto assoluto e riporta il soggetto empirico al Soggetto assoluto mediante l'intuizione intellettuale che rivela appunto la concomitanza dell'io empirico con l'Io assoluto. Copyright ABCtribe.com 22 In questi elaborati giovanili sono visibili le nuove necessità che contraddistingueranno i successivi interessi di Schelling. In particolare, Schelling cercherà: a) di dare maggiore soddisfazione alle istanze fatte valere dall'oggettivismo spinoziano e riequilibrare il soggettivismo assoluto fichtiano, che rischia di cadere nell'unilateralità opposta a quella spinoziana; b) di colmare la vistosa lacuna del sistema fichtiano, che aveva ridotto al puro non-io tutta la natura, facendole perdere qualunque identità specifica per poi annullarla. A partire dal 1797, Schelling si accinse dunque a rivalutare la natura e a colmare le lacune del sistema di Fichte. Così facendo mise in crisi la Dottrina della Scienza e spianava la strada ad una differente formulazione dell'Idealismo. 3.3.1.1 Ripresa e sviluppo della filosofia fichtiana Il primo periodo della speculazione di Schelling è caratterizzato dalla ripresa e dallo sviluppo della Filosofia di Fichte. Di questo ultimo egli condivide pienamente l’impianto idealistico: il riferimento kantiano alla «cosa in sé» viene sostituito con la ricerca di un principio assoluto da cui derivino sia la forma sia il contenuto della conoscenza. Già da questa prima fase fichtiana, Schelling manifesta tuttavia due esigenze che condurranno a un'aperta critica del suo maestro. a) In primo luogo, emerge l'istanza di ricercare il fondamento primo della conoscenza, non fichtianamente - nell'Io puro, ma in un principio originario che comprenda in sé sia il momento soggettivo della conoscenza (cioè l'Io trascendentale ) sia la sua componente oggettiva (il Non- io fìchtiano); b) In secondo luogo, la derivazione fichtiana del Non-io dall'Io, appare insoddisfacente a Schelling poiché essa risolve la natura (il mondo oggettivo) in un momento interno al soggetto, in un semplice limite che l'Io pone alla propria attività, Schelling invece intende affermare che - pur essendo strettamente connessa con lo sviluppo del soggetto – la natura non ha una realtà propria, irriducibile a una semplice posizione dell’Io. Negli scritti di filosofia della natura Schelling si proponeva di ritrovare il soggetto nell'oggetto, lo spirito nella natura. Nel Sistema dell'idealismo trascendentale (1800) egli compie invece l'operazione opposta. Consistente nel cercare l'oggetto nel soggetto, la natura nello spirito. Il primo livello della vita dello spirito: l'io. Il primo livello della vita spirituale - descritto nel Sistema dell'idealismo trascendentale - è quello dell' autocoscienza o dell'Io. A differenza di Fichte, l'autocoscienza non è qui intesa come soggettività pura, alla quale si contrappone un Non-io che esiste soltanto come posizione e momento interno dell' Io assoluto. Copyright ABCtribe.com 23 Per Schelling, l'autocoscienza è sintesi di due attività dialetticamente opposte: 1) Da un lato, essa contiene un'attività limitata che produce l'oggetto, ponendolo Fichtianamente come limite, come qualcosa di opposto al soggetto. Infatti. tale attività opera inconsciamente, in modo che l'oggetto appaia al soggetto come qualcosa di “dato” esternamente. 2) D'altro lato, nell'autocoscienza è contenuta anche un'attività illimitata e limitante, la quale consapevolmente va oltre il limite dell'oggetto, riconoscendo in quest'ultimo un prodotto inconsapevole dell'Io. Queste due attività fondamentali sono anche dette da Schelling rispettivamente attività reale, in quanto produce la realtà dell'oggetto, e attività ideale, poiché oltrepassa il limite rappresentato dall'oggetto ricomprendendolo in sé come produzione dell'Io. L'attività ideale e quella reale, tuttavia, non sono separate. bensì costituiscono i due aspetti diversi di un' unica attività dell'autocoscienza, che è sintesi assoluta di entrambe. Tale sintesi non è statica,ma dinamica: continuamente l'attività reale produce l'oggetto e continuamente l'attività ideale lo oltrepassa riconducendolo a sé. In questa sintesi delle due attività consiste l’intuizione intellettuale che l’Io ha di se stesso come attività ideale e reale a un tempo. L'Io è, quindi, unità indissolubile di soggetto e oggetto, di spirito e di natura, di attività consapevole e di attività inconscia. In questo modo l’idealismo trascendentale Fichtiano viene piegato alla dimostrazione della tesi (sostanzialmente anti-fichtiana ) che nell'autocoscienza l'oggetto entra allo stesso titolo del soggetto e che, quindi, il vero idealismo non può che essere contemporaneamente autentico realismo. La sintesi assoluta è ulteriormente illustrata da Schelling attraverso la descrizione dei tre gradi, detti Epoche, dell'evoluzione dell'Io. 1) La prima epoca riguarda il passaggio dalla sensazione all'intuizione produttiva. Nella sensazione sembra che il soggetto trovi di fronte a sé un oggetto esterno , rispetto al quale esso appare completamente passivo. Nell'intuizione produttiva , viceversa, l'Io determina l'oggetto come un proprio prodotto. La sensazione appare dunque costituita da un momento passivo e da un momento attivo 2) La seconda epoca va dall'intuizione alla riflessione, mediante la quale l'intelligenza diventa consapevole della corrispondenza tra la propria costituzione e quella del proprio prodotto. In questa fase, l'Io si riconosce quindi come organismo umano, come vertice estremo dell'organizzazione naturale. 3) La terza epoca va dalla riflessione alla volontà. Per mezzo di un atto di, l'intelligenza giunge alla consapevolezza che la propria attività è pura forma, distinta da ogni materia. Quando si libera da ogni oggetto materiale l’intelligenza si riconosce come pura volontà di autodeterminazione. Il secondo livello della vita dello spirito: la volontà. Con la volontà si passa dal primo livello della vita dello spirito - l'attività teoretica - al secondo grado, rappresentato dalla filosofia pratica. Come abbiamo visto la volontà risulta dall'astrazione del soggetto da qualsiasi condizione materiale. In tal senso, essa è espressione di libertà . Ma il singolo soggetto libero trova di fronte a sé altre volontà individuali altrettanto libere. Si pone quindi il problema dell'armonizzazione di queste volontà in un sistema che garantisca tuttavia la compatibilità tra le diverse libertà. Questo sistema è il diritto. Ma il diritto non può nascere dalla semplice libertà, poiché esso comporta la limitazione forzosa della libertà Copyright ABCtribe.com 24 dell'uno per garantire quella di tutti gli altri. Il diritto implica,quindi, un'unione di libertà e necessità. Il terzo livello della vita dello spirito: l'arte. Se l'unione di libertà e necessità trova nella storia la propria concreta realizzazione. essa può tuttavia essere colta soltanto dalla terza e più elevata attività dello spirito, che è l'arte. L'arte è il solo strumento che consenta all'uomo di penetrare l'Assoluto: soltanto attraverso l'intuizione artistica, infatti, l'uomo può cogliere l'unità di spirito e natura, soggetto e oggetto, conscio e inconscio. L'arte che si esprime nel genio rappresenta la vera conoscenza e la vera filosofia. Aderendo pienamente ai canoni romantici, Schelling identifica completamente il filosofo con l'artista. 3.3.2 La Filosofia della Natura 3.3.2.1 L'unità di spirito e di natura Che cos'è la natura se non puro non-io? Schelling sostenne che il problema è risolvibile supponendo l'esistenza di una unità fra ideale e reale, fra spirito e natura: "Il sistema della natura è insieme il sistema del nostro spirito". Ciò comporta che si deve applicare alla natura la medesima spiegazione che Fichte aveva applicato con successo alla vita dello spirito. Per Schelling, dunque, gli stessi principi che spiegano lo spirito possono spiegare anche la natura. Possiamo così desumere che ciò che spiega la natura è quella stessa intelligenza che spiega l'Io. Bisogna applicare alla natura quella "attività pura" scoperta da Fichte come "essenza" dell'Io. Schelling giunse pertanto alla conclusione che la Natura è prodotta da una intelligenza irrazionale, che opera all'interno di essa, e che si sviluppa gradualmente, ossia a successivi livelli che mostrano una intrinseca e strutturale finalizzazione. Il grande principio della Filosofia della Natura schellinghiana è il seguente: "La Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito Natura invisibile. Qui, dunque, nell'assoluta unità dello Spirito in noi e della Natura fuori di noi, si deve risolvere il problema come sia possibile una Natura fuori di noi". La Natura altro non è se non "una intelligenza irrigidita in un essere", "sensazioni spente in un non essere", "arte formatrice di idee che trasforma in corpi". 3.3.2.2 La Natura: forze dinamiche e intelligenza inconscia Assodato il fatto che Spirito e Natura derivano dai medesimi principi, allora, anche nella Natura bisogna rintracciare quella stesse forze dinamiche Copyright ABCtribe.com 25 che le permettono di espandersi e di un limite che le si contrappone, che troviamo nell' Io fichtiano. L'opposizione del limite non arresta se non momentaneamente la forza espansiva, la quale riprende il suo corso, per poi arrestarsi ad un ulteriore limite, e così di seguito. Perciò, ad ogni fase costituita da tale incontro della forza espansiva e di quella limitante corrisponde la produzione di un grado e di un livello della Natura, che si presenta come più ricco e quindi più elevato. Il primo incontro fra forza positiva espansiva e forza negativa e limitativa dà luogo alla "materia", che dunque, è un prodotto dinamico di forze contrapposte. La ripresa dell'espansione della forza infinita positiva e l'ulteriore incontro con la forza negativa e limitante dà luogo a quello che appare come "meccanicismo universale" e come generale "processo dinamico". Possiamo così vedere come Schelling, ha ben usufruito delle scoperte della scienza del suo tempo nel mostrare il mobile manifestarsi delle forze e della loro polarità e opposizione. L'identico schema di ragionamento vale per spiegare il più alto livello della Natura, che è il livello "organico". Schelling richiama, a questo proposito, i principi della "sensibilità", della "irritabilità" e della "riproduzione", in grande auge fra gli scienziati del suo tempo, che egli fa corrispondere, in maniera analogica, rispettivamente al magnetismo, alla elettricità e al chimismo, ad un livello più elevato, ma secondo la stessa dinamica. In conclusione: la Natura è costituita da quell’unità di forze che Schelling definì intelligenza inconscia, che si dispiega nel modo sopra precisato, e che si manifesta in piani e in gradi sempre più alti, fino a giungere all'uomo, nel quale si accende la coscienza, e l'intelligenza raggiunge la consapevolezza. 3.3.2.3 L'anima del mondo e la natura dell'uomo Emergono, così, chiaramente alcune asserzioni di Schelling, diventate celeberrime: - "Il medesimo principio unisce la natura inorganica e l'organica"; - le singole cose della natura costituiscono come gli anelli "di una catena di vita, la quale torna su se stessa, e in cui ogni momento è necessario al tutto"; - ciò che appare non vivo nella natura è solo "vita che dorme"; - la vita è "il respiro dell'universo"; -"la materia è spirito irrigidito". In questo modo Schelling ha potuto riproporre l'antico concetto di "anima del mondo", come "ipotesi per spiegare l'organismo universale". Copyright ABCtribe.com 26 Questa antichissima figura teoretica, divenuta molto famosa da Platone in poi, secondo Schelling non è altro se non l'intelligenza inconscia che produce e regge la Natura e che solo con la nascita dell'uomo si apre alla coscienza. Infine l'uomo, che, considerato nell'infinitudine del cosmo (riprendendo le teorie di Giordano Bruno), si presenta fisicamente come una piccolissima cosa, risulta invece essere il fine ultimo della Natura, perché in lui si ridesta appunto quello Spirito, che in tutti gli altri gradi della Natura rimane come assopito. 3.3.3 Idealismo trascendentale e idealismo estetico 3.3.3.1 Partire dal soggettivo per giungere all'oggettivo La Natura dunque rappresenta la storia dell'intelligenza inconscia, che attraverso gradi successivi di oggettivazione giunge alla coscienza. Schelling sentì il bisogno di recuperare l'esame della filosofia della coscienza e ripensarne le strutture tenendo presenti le nuove acquisizioni, e cioè di ripensando a fondo la Dottrina della Scienza fichtiana. In effetti, dopo aver esaminato come la natura arrivi all'intelligenza, necessitava rivedere come l'intelligenza arrivi alla natura. E nel far questo, con alle spalle tutto quanto in materia di Filosofia dello Spirito era già stato detto da Kant a Fichte, Schelling elaborò e scrisse II sistema dell'idealismo trascendentale. Ecco come il nostro filosofo indica il programma della filosofia trascendentale: "Porre come primo l'obbiettivo e ricavare da esso il subbiettivo, è, come abbiamo già accennato, il compito della filosofia della natura. Ora, se una filosofia trascendentale esiste, non le rimane altro che seguire il cammino opposto: partire dal subbiettivo come dal primo e assoluto, e farne derivare l'obbiettivo. In tal modo la filosofia della natura e quella dello spirito si sono distinte secondo le due possibili direzioni della filosofia; e se ogni filosofia deve riuscire, o a far della natura un'intelligenza, o dell'intelligenza una natura, ne segue che la filosofia trascendentale a cui spetta quest'ultimo ufficio, sia l'altra necessaria scienza fondamentale della filosofia". 3.3.3.2 L'attività reale e l'attività ideale dell' Io Nella realizzazione dell' Idealismo trascendentale, come nella Filosofia della Natura, Schelling fa una disamina sulla polarità di forze, seguendo il principio proprio di Fichte, opportunamente riadattato. Lo schema del ragionamento seguito da Schelling è il seguente. L'Io è l’attività originaria che si sviluppa all'Infinito; un’attività produttiva che diviene oggetto a se medesima e quindi è intuizione intellettuale auto-creatrice. Copyright ABCtribe.com 27 Ma la produzione pura infinita che è propria dell'Io, per essere non solo produttrice, ma per divenire anche prodotto "deve porre limiti al proprio produrre" e quindi "opporre a sé qualche cosa". Ma l'attività dell'Io, in quanto è attività infinita, pone il limite e poi anche lo supera, fino a un livello sempre ulteriore, come Fichte aveva già detto. Schelling chiama l'attività che produce all'infinito "attività reale", in quanto produttrice, mentre chiama "attività ideale" quella che prende coscienza scontrandosi con il limite. Le due attività si presuppongono a vicenda e "da questo mutuo presupporsi delle due attività [...] dovrà essere derivato l'intero meccanismo dell'Io".Ma in questo modo gli orizzonti della Dottrina della Scienza di Fichte si dilatano e l'Idealismo soggettivo diventa, propriamente, un Idealrealismo, come Schelling dice in questo passo: "La filosofia teoretica è idealismo, la pratica realismo, e solo entrambe formano il sistema compiuto dell'idealismo trascendentale. Come l'idealismo e il realismo si presuppongono a vicenda, così la filosofia teoretica e la pratica; e nell'Io stesso è originariamente uno e legato ciò che noi dobbiamo separare in servigio del sistema, che procediamo a costruire". Si sarà notato che, in questo modo, Schelling conclude col mettere la Filosofia Trascendentale come un terzo momento oltre la filosofia teoretica e la filosofia pratica come la loro sintesi. E in modo molto chiaro fa appello a una attività unitaria che sta alla base dei due momenti del sistema. 3.3.3.3. L'Estetica di Schelling Nella filosofia teoretica gli oggetti si presentano come "invariabilmente determinati" e le nostre rappresentazioni ci sembrano determinate da essi e il mondo ci sembra essere un qualcosa irrigidito fuori di noi. Nella filosofia pratica, invece, le cose ci appaiono come variabili e modificabili dalle nostre rappresentazioni, in quanto ci sembra che i fini che noi ci riproponiamo le possano modificare. A questo punto sembra insistere una contraddizione almeno apparente, dato che nel primo caso si esige un predominio del mondo sensibile sul pensiero, nel secondo caso, invece, si esige un predominio del pensiero sul mondo sensibile. Copyright ABCtribe.com 28 Parrebbe, in definitiva, che, per avere la certezza gnoseologica, si viene a perder quella pratica, e, per avere la certezza pratica, veniamo a perdere quella teoretica. Ecco allora che si pone un problema: "in qual modo possono ad un tempo le rappresentazioni essere pensate come determinate dagli oggetti, e gli oggetti come determinati dalle rappresentazioni?". La risposta al problema è la seguente: si tratta, dice Schelling, di qualcosa di più profondo della "armonia prestabilita" di cui parlava Leibniz, in quanto si tratta di una identità insita nel principio stesso: si tratta di una attività che è, ad un tempo, conscia e inconscia, e che, come tale, è presente sia nello Spirito sia nella Natura e che genera tutte le cose. Questa attività conscia-inconscia è l'attività estetica. Sia i prodotti dello Spirito sia quelli della Natura sono generati da questa stessa attività: "la combinazione dell'uno e dell'altro senza coscienza, dà il mondo reale; con la coscienza dà il mondo estetico e spirituale. Il mondo oggettivo non è se non la poesia primitiva e ancora inconscia dello spirito; l'organo universale della filosofia, e la chiave di volta del suo intero edificio, è la Filosofia dell'Arte". A Schelling è dunque attribuita la più ampia e organica teoria estetica formulata nella stagione romantica: i suoi duplici interessi artistico-filosofici lo spingono ad indagare sulle profonde relazioni che intercorrono tra filosofia e arte, inducendolo a definire quest'ultima "organo generale della filosofia", funzione che ha attinenza non solo col "bello" ma anche col "vero". La sua riflessione pone le radici in un'attenta analisi della tragedia greca, o meglio dell'Edipo re, opera da lui ritenuta esemplare del genere tragico: in essa attinge l'ispirazione per le sue più generali considerazioni estetiche. Nelle Lettere sul dogmatismo e il criticismo del 1795, dove la sua teoria appare ancora in forma embrionale, l'interpretazione della vicenda di Edipo è volta a mettere in luce il notevole spessore filosofico della tragedia greca, le sue chiare valenze metafisiche. L'arte tragica, infatti, nel rappresentare un'antinomia insolubile tra la volontà del singolo, che pretende di guidare l'agire individuale in autonomia, e il destino, che lo dirige segretamente secondo una causalità predeterminata, riproduce in forma artistica il dualismo metafisico tra libertà e necessità. Rivela tutta la sua densità filosofica nella riflessione problematica sul loro rapporto che essa esige. Schelling presenta la situazione tragica come una realtà conflittuale, dove l'arbitrio del protagonista e i casi della sorte paiono opposti in una lotta lacerante, e qualsiasi soluzione conciliante del loro dissidio sembra impossibile. La tragedia greca rendeva onore alla libertà umana facendo lottare il suo eroe contro lo strapotere del destino: per non andare al di là di tutti i confini dell'arte doveva farlo soccombere, ma per riparare Copyright ABCtribe.com 29 nuovamente a questa umiliazione della libertà umana, imposta dall' arte, doveva farlo espiare anche per il delitto commesso dal destino. E' un grande pensiero, quello di essere disposti ad affrontare anche la punizione per un delitto inevitabile per dimostrare così, attraverso la perdita della propria libertà, questa libertà, e proclamare, nell'atto stesso di perire, il proprio libero volere. E' dunque l'eroe a restare vinto. Egli soggiace al peso della sua impotenza ed è incapace di opporsi all'impeto delle forze che lo trascendono; ma proprio quando egli accetta di soffrire per ciò che in realtà non ha commesso, assumendosene la responsabilità, si appropria della paternità dell'azione da lui compiuta, riscatta la sua libertà limitando al contempo il ruolo del destino. L'Edipo re è dunque la tragedia che meglio si presta ad incarnare una simile concezione del tragico e a svelare artisticamente tale dinamica mettendone a nudo i caratteri principali. Come è stato osservato "nel dramma risultano fuse due tensioni" che, oltre a strutturarlo intimamente nella sua forma letteraria, conferiscono all'intera vicenda uno spiccato senso di conflittualità e un profondo significato: la prima "trae impulso dall'indagine strenua di Edipo sui misteri che lo circondano", una seconda "definisce al contempo la figura stessa di Edipo come mistero da decifrare". Dalla prospettiva filosofica esse sono interpretabili l'una come l'azione pratica dell'uomo in quanto soggetto del proprio volere, impegnato nella scoperta e nella modificazione della realtà circostante; l'altra come riflessione problematica sulla condizione dell'uomo, il quale percepisce nella propria vicenda storica la presenza determinante di un elemento trascendente che governa in modo surrettizio lo svolgersi della sua vita, e s'interroga riguardo la reale efficacia della propria volontà Proprio queste due tensioni riproducono e rendono più cruento nella tragedia il conflitto tra arbitrio e destino, il dualismo tra libertà e necessità: esse s'intensificano contemporaneamente, più Edipo s'impegna nella ricerca più il senso dell'intera vicenda gli appare oscuro e ambiguo. Il responso dell'oracolo di Delfi e la successiva consultazione di Tiresia, volute entrambe dal re di Tebe, non chiariscono la situazione ma anzi la rendono più misteriosa: nonostante ciò Edipo continua l'indagine spinto dall'impulso istintivo di conoscere. Il colloquio in origine distensivo tra il re e Giocasta diviene, per tragica ironia, sorgente di nuovi ombre e dubbi: e se l' uomo ucciso al trivio fosse stato Laio? Non sarebbe dunque vera l'accusa di Tiresia? Tuttavia la volontà di sapere, di dominare razionalmente la situazione è più forte dell'atroce sospetto; Edipo è determinato a continuare la sua ricerca, anche se mostra di essere ormai disorientato: il racconto del messo di Corinto riguardo le sue origini provoca il suicidio di Giocasta, ma egli fraintende nuovamente la situazione e addita il motivo di tale gesto alle sue origini di trovatello. Copyright ABCtribe.com 30 La sua brama orgogliosa di conoscere, stimolata dal senso di mistero che avvolge la vicenda, non ha però tregua ed egli procede con impavida fermezza nella sua indagine: la testimonianza dell'unico superstite della scorta di Laio è sconcertante, Edipo conosce la verità. "Un mortale, destinato dal fato a compiere un delitto, che lotta contro il fato, e che tuttavia è terribilmente punito per il delitto che è stato opera del destino" è il commento di Schelling: ma l'eroe tragico è proprio colui che, pur nell' ambiguità che circonda il suo agire, ne rivendica la paternità e si erge contro le forze che inficiano il suo libero arbitrio: così l'estrema decisione di accecarsi, di punirsi, rappresenta il supremo tentativo di difendere l'esclusività della propria azione, di porsi come unico artefice di essa, accettando anche le conseguenze che ne derivano. La sua condizione di colpevole risulta così estremamente problematica, il confine tra innocenza e responsabilità oggettiva si rivela molto labile: il tragico si manifesta proprio in questa ambiguità, nella quale si lascia però intravedere una fondamentale intuizione metafisica che prelude alla risoluzione del conflitto. Grazie al titanico comportamento di Edipo s'instaura infatti una placida concordanza tra agire dell'uomo e disegno divino: si realizza una perfetta simbiosi tra volere umano e volere degli dei: ciò che emerge come senso più profondo della vicenda è il mostrarsi nella loro perfetta freddezza che rende finalmente possibile una comprensione metafisica unitaria del fenomeno tragico. Né la libertà umana né quella divina escono sconfitte; entrambe conservano la loro integrità proprio perché possono convivere in modo non conflittuale. Ma la libertà, in vero, è una, unica, ed appartiene nello stesso tempo all'uomo e alla divinità. In termini filosofici tale libertà è il principio primo dell'autonomia e della spontaneità dell'essere assoluto, che struttura tanto l'essenza dell'io quanto quella della natura, alla quale, secondo Schelling, è assimilabile il divino inteso come legge immanente dello svolgimento della realtà, in quanto è plausibile una duplice interpretazione, soggettiva ed oggettiva, dello stesso principio primo. La dimensione conflittuale della tragedia è il momento in cui il reale appare massimamente dualizzato, dominato da due tensioni opposte. Ma tale situazione concerne solo un aspetto della realtà, non l'essenza la cui natura è unitaria. Il conflitto è superabile se si pensa che le due forze che lo animano coincidono nell'assoluto. Se in esso la libertà si nega nella sua forma duplice, nello stesso tempo si afferma come principio primo dell'essere; scopre la sua sostanziale unità e le sue molteplici dimensioni. Questo è il senso più profondo del tragico, che è caratterizzato da questa doppia valenza negativa e positiva; esso è un meccanismo conflittuale nel quale la libertà si afferma e non si nega; "tale processo può con Hegel definirsi dialettico". Copyright ABCtribe.com 31 In questo modo l'intero sistema schellinghiano, la cui essenza è costituita dall'identità di libertà e necessità, culmina nella sua definizione della vicenda tragica come ristabilirsi di questa indifferenza nella lotta. Ancora una volta il tragico è concepito come fenomeno dialettico. Siccome l'indifferenza di libertà e necessità è possibile solo al prezzo che il vincitore sia ad un tempo lo sconfitto, e lo sconfitto ad un tempo il vincitore. E il teatro del conflitto non è un campo intermedio, che rimane esterno al soggetto in esso coinvolto, ma è trasferito all'interno della libertà stessa, la quale, quasi in discordia con sè medesima, diventa il proprio stesso antagonista". Schelling ritiene dunque che il superamento dei conflitti e dei dualismi sia presente, in nuce, già nell'opera tragica, anche se esso risulta evidente in modo più compiuto mediante un'analisi filosofica, grazie alla quale è possibile svolgere le implicazioni della tragedia per ristabilire una effettiva comprensione unitaria del tutto, recuperando così il senso più profondo del suo idealismo. La sua matura riflessione estetica mostra i chiari legami con gli esiti della filosofia dell'identità cui egli è definitivamente approdato: essendo possibile intendere ogni uomo sia come soggetto del proprio libero volere che come risultato del pure libero dispiegarsi della natura, di conseguenza l'arte è interpretabile come attività in cui vengono a coincidere l'operare cosciente dell'artista e il suo essere al contempo frutto dell' inconsapevole svolgersi dell'io come natura. Ogni prodotto artistico conserva dunque, come sua intrinseca caratteristica, un substrato inconscio: può ritenersi espressione simbolica del reale che in esso prende forma. La tragedia, in particolare, oltre a presentare questa ambivalenza comune ad ogni opera d'arte, tematizza tale duplicità dell'essere umano, elevandosi, così, a unico genere nel quale è perfettamente intuibile l'identità del "lato" soggettivo e del "lato" oggettivo dell'io. 3.3.3.4. L'attività artistica Abbiamo visto come nella visione schellinghiana, la creazione artistica prevede la fusione di conscio e inconscio, e il prodotto artistico è, sì, finito, ma mantiene una significazione infinita. Nei capolavori dell'arte umana c'è l'identica cifra dei capolavori dell'arte cosmica. L'arte diviene, così, "l'unica ed eterna rivelazione". Schelling può anche abbandonarsi ai più audaci sogni circa una futura umanità, che riconduca la scienza alla fonte della poesia e crei una nuova mitologia, non più prodotto di un singolo, ma di una stirpe rigenerata: "Ora se l'arte sola è quella, a cui riesca di rendere obbiettivo con valore universale quanto il filosofo non può rappresentare che subbiettivamente, è da aspettarsi, per tirare ancora questa conclusione, che la filosofia, com'è stata prodotta e nutrita dalla poesia nell'infanzia del sapere, e con essa tutte quelle scienze, che per mezzo suo vengono recate alla perfezione, una volta giunte alla loro pienezza, come altrettanti fiumi ritorneranno a quell'universale oceano della poesia da cui erano uscite. Copyright ABCtribe.com 32 Quale poi sarà l'intermediario del ritorno della scienza alla poesia, non è difficile dirlo in modo generale, essendo un tal intermediario esistito nella mitologia, prima che questa separazione, la quale sembra adesso inconciliabile, fosse avvenuta. Ma come possa nascere una nuova mitologia, che non sia creazione del poeta singolo, bensì di una nuova stirpe, che quasi rappresenti un solo poeta, è un problema la cui soluzione si deve attendere solo dai futuri destini del mondo e dal corso ulteriore della storia". È questo, l'idealismo estetico che tanta impressione e tanti entusiasmi suscitò fra i contemporanei, ma che, come tutti i sogni, per quanto grande, durò solo per breve tempo. 3.3.4 La filosofia dell'identità 3.3.4.1 La Ragione come assoluto Questa rappresentazione dell'arte, o meglio dell'intuizione estetica, come quella che raccoglie l'ideale e il reale nella loro unità, e la determinazione della filosofia trascendentale come Ideal-realismo contenevano già chiaramente una nuova concezione dell'Assoluto che doveva abbandonare le unilaterali espressioni kantiane e fichtiane quali: "Soggetto", "Io", "Autocoscienza" e simili, per puntare su una nuova formulazione che intendesse l'Assoluto come "identità" originaria di Io e Non-io, Soggetto e Oggetto, Conscio e Inconscio, Spirito e Natura, in breve. L'Assoluto, dunque, è questa Identità originaria di Ideale e Reale e la Filosofia è sapere assoluto dell'Assoluto, fondato sulla intuizione di esso, che è condizione di ogni sapere ulteriore. Questo Assoluto è ormai chiamato "Ragione" e il punto di vista della Ragione è il punto di vista del Sapere assoluto. La filosofia è dunque una scienza assoluta. Il rovesciamento della posizione di Kant è ormai stato completato, così come è anticipata in pieno la prospettiva che Hegel farà propria. E’ evidente che ci troviamo alle prese con un pensiero in cui Fichte e Spinoza sono sintetizzati in una forma di panteismo spiritualistico radicale. Tutto è Ragione e la Ragione è tutto: "All'infuori della Ragione non vi è nulla, e tutto è in essa"; "La Ragione è semplicemente una, e semplicemente uguale a se stessa". 3.3.4.2 L'Identità assoluta Copyright ABCtribe.com 33 L'unica conoscenza assoluta è quella dell'Identità assoluta, e questa Identità assoluta è infinita, e quindi tutto ciò che è, è, in qualche modo, "identità", che, come tale, non può mai essere soppressa. Ogni cosa che venga considerata come è in sé, si risolve in questa "identità infinita", in quanto esiste solo in essa e non fuori di essa. Questa identità non esce fuori di sé, ma, al contrario, tutto è in lei: "L'errore fondamentale di ogni filosofia, scrive Schelling, è il presupposto che l'Identità assoluta sia realmente venuta fuori di se stessa, e lo sforzo di rendere comprensibile il modo come questo uscir fuori accade”. L'Identità assoluta invece non ha mai cessato di esser tale, e tutto cio che è, considerato in se stesso, è non già il fenomeno dell'Identità assoluta, ma essa stessa". Questa "Identità assoluta" è quindi l'"UnoTutto", al di fuori del quale non esiste alcuna cosa per sé, è l'Universo stesso che è coeterno all'Identità. Le singole cose sono fenomeniche manifestazioni che scaturiscono dalla differenziazione qualitativa di "soggettivo" e di "oggettivo", da cui nasce il finito. Ogni essere singolo è la differenziazione qualitativa dell'identità assoluta; esso non solo rimane radicato nell'Identità (come a suo fondamento), ma suppone sempre anche la totalità delle cose singole cui è collegato strutturalmente e organicamente. 3.3.4.3 Dall'infinita Identità assoluta alla realtà finita e differenziata L'indifferenza o identità originaria si esplica, dunque, nella duplice serie fenomenica di "potenze": vale a dire nella serie di "potenze" in cui prevale il momento della soggettività (A) e nella serie in cui prevale quello della oggettività (B); ma nel prevalere di A è sottinteso B, così come nel prevalere di B è sottinteso A, di guisa che l'Identità si conserva nella totalità e si riafferma in ogni differenziazione. È evidente che la grossa difficoltà di questa nuova prospettiva di Schelling consiste nello spiegare come e perché dalla "Identità infinita" nascono la differenziazione e il finito. In parte Schelling cerca, in questa fase, di superare la difficoltà, reintroducendo la teoria platonica delle Idee. Nella Ragione intesa come assoluta Identità e Unità dell'universale e del particolare vi sono unità particolari, le Idee, che dovrebbero costituire la causa delle cose finite. Ma nell'Assoluto le Idee sono tutte in tutte, mentre le cose sensibili sono separate e l'una fuori dell'altra. Schelling sostiene che nel sensibile le cose sono tali solo per noi, ossia solo per la nostra coscienza empirica. Ma ormai è evidente che Schelling sta lottando con un problema gravissimo, ossia con il problema dell'origine del finito dall'infinito. Copyright ABCtribe.com 34 Al punto in cui egli si era spinto non gli era possibile né accogliere il creazionismo (che fa nascere il finito per un atto di libera volontà del Creatore e suppone la trascendenza), né lo spinozismo (che in pratica annulla il finito e comunque rappresenta una posizione preidealistica). E così egli riprese l'antico concetto gnostico, che già in passato il misticismo tedesco aveva accolto, secondo cui l'esistenza delle cose e la loro origine suppongono una originaria "caduta", un "distacco" da Dio. Per Schelling, dunque, "l'origine del mondo sensibile può spiegarsi solamente con un distacco dall'Assoluto mediante un salto". E’ questo il tema centrale della fase "teosofica" della filosofia schellinghiana, in cui si fanno sentire echi irrazionalistici, talvolta in modo anche accentuato. 3.3.5 La fase della teosofia e della filosofia della libertà 3.3.5.1 La natura di Dio La soluzione del problema cui si è accennato comporta una revisione dell’intera problematica dell'Assoluto. Schelling accetta ormai di essere denominato "panteista", a patto che si intenda per "panteismo" che tutto è in Dio, ma non viceversa che tutto è Dio. Dio è l'antecedente e le cose sono il conseguente. Il conseguente è nell'antecedente, ma non viceversa, o, almeno, lo è in tutt'altro senso. Inoltre, Schelling accetta anche, a questo punto, di considerare Dio come "persona", ma una persona che è in continuo divenire. Gli opposti, che Schelling prima aveva ammesso nell'Assoluto come unificati, ora li intende come presenti in lotta nell'Assoluto medesimo. In Dio vi è dunque una duplicità insita: un principio oscuro e cieco che è "volontà" irrazionale e un principio positivo e razionale. La vita di Dio si esplica perciò come vittoria del positivo sul negativo. Dio non è puro Spirito ma è anche Natura. 3.3.5.2 La giustificazione metafisica della lotta fra il bene e il male Il dramma umano, che consiste nella lotta fra il bene e il male, fra la libertà e la necessità, non è se non il rispecchiarsi di un originario conflitto di opposte forze che sono alla base della stessa esistenza e della stessa vita di Dio. Il male c'è nel mondo, perché c'è già in Dio. Gli aspetti oscuri, negativi e angosciosi dell'esistenza hanno quindi un'origine nell'Assoluto stesso. E così anche l'intelligenza, la luce e l'amore che sono nel mondo, sono prima in Dio. La vita come lotta fra i due momenti rispecchia l'originaria lotta che è già in Dio, e la vittoria della libertà, dell'intelligenza e del positivo, che è lo scopo della storia degli uomini, è il rispecchiamento di quella vittoria che si realizza eternamente in Dio e per cui Dio è "persona". Copyright ABCtribe.com 35 Il male, come il negativo che viene superato eternamente in Dio, resta in tal modo ricacciato eternamente nel non-essere, e, come tale, non è in contrasto con la libertà, con il bene, con la santità e con l'amore. In questa concezione si risentono gli echi di Eckhart e soprattutto di Bohme, alla cui lettura Schelling era stato iniziato da Franz von Baader (1756-1841), che fu suo discepolo, e, ad un tempo, agì su di lui con i suoi forti interessi teosofici. 3.3.6 La Filosofia positiva L'ultimo Schelling ha distinto una "filosofia negativa" da una "filosofia positiva" e si è dedicato a quest'ultima. Egli intende per "filosofia negativa" quella fino a questo momento professata, ossia la speculazione intorno al "che cosa universale", vale a dire intorno all'essenza delle cose. Per "filosofia positiva" egli intende invece la filosofia che concerne la esistenza effettiva delle cose. La prima concerne la possibilità logica delle cose, la seconda la loro esistenza reale. Con questa distinzione egli non intende negare la prima forma di filosofia, ma far valere la necessità di una integrazione sostanziale della medesima. La filosofia negativa è costruita per intero sulla ragione, quella positiva sulla religione e sulla rivelazione, oltre che sulla ragione. È evidente che la rivelazione per eccellenza è quella su cui è fondata la religione cristiana. Schelling, però, estende il concetto di rivelazione a tutte le religioni storiche, comprese quelle politeistiche. Anzi egli intende in generale l'arco storico delle religioni come una sorta di "rivelazione progressiva di Dio". Si comprende, quindi, come il nostro filosofo abbia fatto oggetto di attente analisi sia la mitologia pagana, sia la Bibbia. È importante, ancora, rilevare che il Dio di cui questa filosofia positiva si occupa è ormai il Dio-persona che crea il mondo, si rivela e redime l'uomo dalla caduta: è, insomma, il Dio considerato in quella concretezza religiosa che le filosofie moderne non hanno quasi mai considerato quale oggetto specifico della propria riflessione. E, infine, è da notare come, in questa fase, Schelling, mettendo in rilievo il motivo dell'esistenza non deducibile dall'essenza, anticipi motivi "esistenzialistici" che Kierkegaard coglierà immediatamente e porterà in primo piano. 3.3.7 Conclusioni sul pensiero di Schelling Il sistema filosofico di Scheling è stato dunque caratterizzato da repentini movimenti tra i sistemi filosofici a lui contemporanei o precedenti e allo stesso tempo ha aperto nuovi orizzonti e nuove prospettive nello sviluppo dell’idealismo. Alla sua epoca egli ha dato il meglio di sé fra il 1799 e il 1803, cioè durante il periodo di Jena; e da questa fase del pensiero schellinghiano lo stesso Hegel ebbe molto da imparare. Ma, poi, la fortuna di Schelling , come è già stato detto, andò declinando, mentre saliva l'astro di Hegel, che dal 1818 in poi polarizzerà su di sé l'attenzione di tutti. Certamente Schelling è stato il pensatore che meglio di tutti ha dato voce alle inquietudini romantiche, a quello " Streben", ossia a quel tendere senza posa, a quel continuo "sorpassarsi", lasciando alle spalle il prodotto della propria creazione per ricercarne uno sempre nuovo. II Sistema dell'idealismo trascendentale resta la sua opera più compiuta; ma essa, per la maggior parte, è un riepilogo generale di cose già dette dai suoi predecessori, espresse tuttavia in modo migliore, e tutte le novità si concentrano in meno di trenta pagine Copyright ABCtribe.com 36 cioè nelle idee sull'arte e sull'intuizione artistica. Ma quest'opera è anche l'espressione e il simbolo del miglior periodo di Schelling, anche perché la vena teosofica del penultimo periodo limita alquanto gli orizzonti del filosofo, mentre le ultime opere furono pubblicate postume. Hegel consacrerà infine lo schema storiografico secondo cui Fichte rappresenterebbe l'idealismo soggettivo, Schelling quello oggettivo, Hegel stesso quello assoluto, come una triade dialettica di "tesi" "antitesi" e "sintesi", la cui sintesi "supera" la tesi e l'antitesi e le "invera". Lo schema è però inadeguato storicamente, poiché sia Fichte che Schelling, considerati nella loro effettiva statura storica, non si lasciano imprigionare in esso; ma, se ci si limita a ciò che di essi il loro tempo assorbì, tale semplificazione risulta plausibile, sia pure con le debite riserve. E così Hegel ebbe buon gioco e si impose come colui che ridava, potenziate, le scoperte fichtiane e schellinghiane, riscattandole dalla loro unilateralità, e trasformandole in una vera conoscenza sistematica e scientifica dell'Assoluto. 3.4 Ulteriori considerazioni 3.4.1 Il distacco da Fichte Schelling si distacca da Fichte non tanto sul versante dell'IO quanto su quello del non-IO. Egli infatti rifiuta la riduzione della natura a mera posizione dialettica dell'IO puro, e opta per una concezione più organica e vivente della natura (che non ha nulla a che vedere colla fisica meccanicista anglofrancese, importata in Germania dal criticismo di Kant). Lo stesso Schelling indicherà nello studio della chimica dei gas l'elemento che determinò la sua emancipazione dalla filosofia fichtiana. Il riferimento era ai risultati raggiunti da Priestley e soprattutto da Lavoisier sull'isolamento dell'ossigeno e sulla possibilità di unire idrogeno e ossigeno per produrre l'acqua. Schelling riscopre un concetto di natura come un tutto organicamente connesso. Questa peraltro era stata l'idea dell'animismo neoplatonico rinascimentale, cui si riconducevano le varie tradizioni magico-occultistiche e alchemico-astrologiche: idea uscita sconfitta dal confronto colla matematizzazione della natura operata da Bacone, Galilei, Newton, ecc. In Germania, non essendovi stata al tempo di Schelling una rivoluzione borghese che promuovesse uno studio scientifico della natura, quella filosofia arazionale della natura aveva continuato a svolgere un ruolo di cultura subalterna. Schelling dà grande importanza alle tre forme dell'animazione universale: magnetismo, elettricità e chimismo. Il suo tentativo è quello di usare queste tre forme di movimento per costruire una filosofia della natura che obbedisca alla regola dell'unità organica, vivente, animata, capace di perenne trasformazione della natura. Non gli interessa l'atteggiamento dell'illuminismo secondo cui la scienza è possibile solo là dove esiste specializzazione di campi separati d'indagine. Perché il magnetismo? Perché esso consente di pensare alla coesione delle varie parti dell'universo e alla reciproca gravitazione. Copyright ABCtribe.com 37 Perché l'elettricità? Perché tutto il processo naturale è sempre il risultato di un'opposizione di forze (che si attraggono e si respingono, vedi ad es. il magnete). Perché il chimismo? Perché esso fonda la metamorfosi dei corpi, per cui, variando le proporzioni, ogni corpo può trasformarsi in un altro. In sintesi: Per Schelling la filosofia della natura è superiore alla filosofia dell'IO di Fichte, in quanto essa mostra che l'uomo è il punto in cui la natura giunge alla forma che consente la sua propria intelligibilità. L'uomo è un prodotto della natura e non la natura un prodotto dell'uomo. Il non-IO di Fichte non ha realtà propria, secondo Schelling, e l'IO non è "puro" poiché per attuarsi ha bisogno di affermare un non-IO che lo limita. 3.4.2 La filosofia della natura La natura per Schelling è attività spirituale inconscia, infinita, e le sue produzioni sono gli esseri finiti, dei quali il maggiore è l'uomo, poiché con l'uomo la natura acquista consapevolezza di sé (diventando spirito). La natura ha una realtà propria e indipendente, ma non nel senso del noumeno kantiano, poiché essa è costituita della stessa spiritualità che si rivela nello spirito e che caratterizza anche l'uomo in grado di intuirla. La natura, per attuare se stessa, deve incontrare e superare un impedimento ch'essa porta in sé. Nella natura infatti esistono due tendenze opposte, una positiva l'altra negativa: quando queste due forze sono in equilibrio (sintesi) si ha la produzione di una determinata forma naturale; poi l'equilibrio si rompe, per ricomporsi successivamente, generando nuove forme naturali, in una progressione infinita. La natura che interessa Schelling non è quella oggettiva delle scienze naturali e sperimentali (natura naturata), ma quella soggettiva della filosofia idealista (natura naturans), l'unica che permette di cogliere (attraverso la fisica speculativa basata sull'intuizione) l'unità dei fenomeni, la loro derivazione da un fondamento comune (natura finalistica). Qui l'influenza di Bruno è notevole. La fisica speculativa non è basata sui rapporti di atomi materiali, ma su rapporti di forze (produttrici e opposte), colti attraverso l'intuizione intellettuale (di cui già Kant nella Critica del giudizio, a proposito del teleologismo della natura, ma il termine è preso da Bruno). Schelling estende a tutta la natura quello che Fichte aveva affermato per la vita dell'IO, e cioè che il principio originario è "azione", non essere, non sostanza fissa e rigida, e che l'essere è il prodotto dell'azione. Non c'è dunque sostanza materiale, né atomi o corpuscoli immutabili, e neppure un'estensione come modo di essere originario della natura: questa in realtà è un gioco di forze, la materia è il risultato di energie duali e polari, cioè opposte, che ad un certo punto raggiungono un equilibrio provvisorio, fonte di nuovi flussi energetici. Tuttavia, l'intuizione di per sé non può produrre una sintesi concreta di soggetto e oggetto: ciò spetta all'arte, Copyright ABCtribe.com 38 che è organo della filosofia (su questo avverrà il distacco da Hegel). Il poeta (o l'artista) produce ciò che il filosofo pensa. L'opera d'arte sintetizza libertà e legge, spontaneità e tecnica, natura e spirito, conscio e inconscio: essa è una rappresentazione finita e sensibile dell'infinito. 3.4.3 L'idealismo trascendentale Vuole essere una sintesi dell'idealismo soggettivo di Fichte e del realismo che vede nella natura un limite indipendente dall'IO. Mentre per Fichte il realismo si identificava immediatamente col dogmatismo, per Schelling invece esso può conciliarsi col criticismo. La filosofia della natura deve spiegare l'ideale a partire dal reale (la natura); l'idealismo trascendentale deve subordinare il reale all'ideale. Ciò in quanto la natura è lo spirito non ancora conscio, mentre lo spirito è la natura giunta a consapevolezza. Lo spirito teoretico determina il conscio (il soggetto) per mezzo dell'inconscio (o oggetto), servendosi dell'intuizione intellettuale; lo spirito pratico (che è atto di volontà) fa il contrario, producendo la storia (che è l'unione di libertà e necessità, di conscio volontario e inconscio involontario, in un progresso infinito che non raggiunge mai la perfezione). In questo senso l'identità di natura e spirito non è mai pienamente raggiungibile: infatti nell'attività teoretica lo spirito, che trova di fronte a sé la natura, si adegua ad essa e si ha la dipendenza del soggetto cosciente all'oggetto inconscio; nell'attività pratica lo spirito opera liberamente imponendo leggi alla natura per subordinarla a sé, adattando l'oggetto al soggetto. La verità sta nell'identità di spirito e natura (colta per intuizione intellettuale o per intuizione estetica, che è quella intellettuale universalizzata, patrimonio di ogni coscienza). L'identità viene colta dall'arte, che è il compimento della filosofia. L'identità si pone anche fra Io e non-IO, in quanto l'IO senza il nonIO non esisterebbe. Solo l'apparire dell'autocoscienza differenzia l'uno dall'altro: in origine l'unità era indifferenziata. Il principio di tutta la realtà è l'Assoluto (ciò che non ha bisogno di niente per esistere): esso è identità indifferenziata di natura e spirito, cioè tale che può essere pensato indifferentemente come oggetto e soggetto (è la filosofia dell'identità). L'assoluto si pone inconsciamente, in una prima fase, come natura, e coscientemente, in una seconda fase, come spirito (la natura è la preistoria dello spirito). La differenza non è qualitativa, ma quantitativa e di grado (dall'inferiore al superiore). 3.4.4 Filosofia ed estetica L'ultima estetica che aveva tentato una considerazione globale dell'arte, puntando sul piacere disinteressato, Copyright ABCtribe.com 39 era stata quella di Kant. Ora, nella concezione di Schelling si va molto più in là. Qui l'arte invade luoghi (come la morale, la politica, l'educazione) che Kant non poteva neppure immaginare, né avrebbe mai tollerato. L'arte cioè si connette col significato profondo dell'esistenza poiché costituisce un ideale di vita, un insieme di valori alternativi al sociale. Sintetizzando magistralmente il pensiero di Hölderlin, secondo cui la poesia, essendo rivelazione dell'infinito, ricompone la scissione uomo/natura e restaura la dignità dell'uomo; di Novalis, secondo cui il poeta è il mago che svela la trasparenza del messaggio della natura; di F. Schlegel, secondo cui da un lato la forma romantica della poesia è legata alla disposizione ironica, di gioco, che il poeta ha nei confronti della propria creazione, mentre dall'altro l'arte può essere avvicinata al linguaggio del mito in quanto simboleggia la realizzazione dell'infinito nell'oggetto estetico - Schelling ha fatto della bellezza il trait d'union della vita finita dell'uomo con l'infinito. Artefice di questa bellezza è più che il filosofo (la cui intuizione intellettuale non può essere socializzata in quanto incomunicabile) è l'artista (poeta, pittore, musicista...), cioè colui che riproduce in un oggetto determinato l'unità originaria di soggetto e oggetto. In questo senso è possibile raggiungere un'identità di natura e spirito. Nella creazione estetica si riuniscono l'inconscio della natura, mediante la spontaneità dell'ispirazione, e il conscio dello spirito, mediante l'elaborazione cosciente dell'ispirazione compiuta dall'artista. I romantici tedeschi preferiranno Schelling a Kant perché questi distingueva tra etica, estetica ed epistemologia, mentre quello faceva dell'estetica (intellettuale) la forma più alta. Per Schelling infatti l'arte è la rappresentazione dell'infinito nel finito e la mitologia è il soggetto principale dell'arte. 3.4.5 Filosofia e religione Schelling approda agli studi sulla mitologia perché ad un certo punto si rende conto che l'identità di spirito e natura lo ha portato a un vicolo cieco, cioè alla consapevolezza che l'identità viene a coincidere con l'indifferenza, cioè con la mancanza di spirito. Avendo rigorosamente delimitato l'oggetto, la realtà, alla sola natura, Schelling ha perduto le motivazioni che spiegano la contraddizioni del mondo umano. Egli è convinto che l'origine del finito dall'infinito dipenda da un difetto dell'infinito. Non riesce assolutamente a intravedere nel finito la possibilità di un superamento delle sue stesse contraddizioni. Di qui la riscoperta della religione e in particolare della mitologia, che rifiuta il finito in nome dell'infinito. Schelling si convince che la mitologia non è superstizione ma filosofia compiuta, seppure espressa con una lingua prefilosofica, poetica. Ciò che, al dire di Schelling, appare più concreto della filosofia stessa, che astrae e sillogizza, cercando di individuare la possibilità logica della cose, mentre la mitologia, cioè la religione, tratta dell'esistenza reale delle cose, essendo basata sull'immaginazione collettiva: la prima filosofia è negativa, questa invece è positiva. Schelling cerca nella religione quell'assoluto che non è riuscito a trovare in modo definitivo nella natura e nella filosofia. Nel tentativo di superare i vincoli del sensibile, egli si accosta all'UNO Copyright ABCtribe.com 40 neoplatonico. Di qui la riscoperta del concetto di rivelazione, che però Schelling estende a tutte le religioni storiche, incluse quelle politeistiche. L'arco storico delle religioni è per lui una rivelazione progressiva di Dio, ma di un Dio che vede lottare dentro di sé il bene e il male, e la cui vita si esplica appunto come progressiva vittoria del positivo sul negativo. La riscoperta della mitologia è anche inerente al fatto che Schelling, su posizioni romantiche, aveva spiritualizzato la natura, miti, leggende e favole diventavano ora allegorie dello spirito della natura e il mondo veniva concepito come un sogno dello spirito. 3.4.6 Politica in Schelling L'esordio politico di Schelling è individualistico, di stile anarchico. L'entusiasmo per la Rivoluzione francese costituisce una breve parentesi. Egli accetta la fichtiana libertà dell'IO ma solo per rivendicarne l'assolutezza e l'irriducibilità, senza misurarla in un concreto impegno sociale. Lo Stato gli appare come un organismo amministrativo, esteriore, che disciplina il sistema degli egoismi. Sotto la sua falsa universalità, regna nella società il criterio dell'utile e del vantaggio materiale. Schelling critica il costume sociale borghese, ma facendo indirettamente gli interessi del sistema assolutistico-feudale, in quanto la sua critica resta puramente teorica e non intacca mai le contraddizioni della società aristocratica del suo tempo. Egli è disposto ad accettare uno Stato che abbia le sue radici in una tradizione linguistica e culturale, che sia cioè già organicamente etico, storico, culturale, romantico e nazionale. Ma nella tarda maturità, rendendosi conto dell'illusorietà di questa aspirazione, Schelling penserà di sostituire lo Stato con la chiesa, a condizione che questa non imiti le forme organizzative proprie dello Stato (col che in pratica egli ricade in un'altra illusione). La Chiesa a suo giudizio potrebbe essere migliore dello Stato in quanto possiede nella rivelazione lo strumento spirituale per costituire il vincolo organico della comunità. Ovviamente Schelling non pensa a una chiesa specifica, ma a una chiesa del futuro. 3.4.7 Le accuse di ateismo Jacobi accusò Schelling di aver sostituito Dio con la Natura, cioè di aver fatto della Natura un UNO-TUTTO indipendente, sufficiente in se stessa, capace di creare più dell'uomo, aldilà della quale non esiste che il nulla (l'accusa in sostanza era quella di essere uno spinozista). Schelling si difese distinguendo la Natura come identità assoluta non esistente, da Dio quale identità assoluta esistente, cioè riaffermando il concetto di Dio creatore, che dà esistenza alle cose, mentre la natura ha in sé il fondamento del proprio esistere, non derivato dall'uomo. In questo modo Schelling conferma il proprio spinozismo, ma senza contraddire la concezione religiosa ufficiale. 3.4.8 Rilievi critici 1) Oggi l'elemento centrale del lavoro di Schelling appare la sua ricostruzione di una filosofia della natura di tipo rinascimentaleneoplatonico: la concezione della totalità organica e vivente -la natura- che anima, dall'interno, con intelligenza, le diverse forme viventi, tra cui l'uomo, prodotto finale della natura. Questo modo di vedere le cose rischia però, se assolutizzato (come in effetti Copyright ABCtribe.com 41 Schelling fece), di non far progredire la scienza vera e propria della natura (quella sperimentale), in quanto tende ad opporsi a un'indagine razionalistica e matematica della natura. Schelling in realtà ha una concezione romantica, contemplativa della natura, la cui realizzazione pratica è solo a livello artistico o estetico. La sua fisica speculativa non può avere alcun fondamento obiettivo, anche se essa può aver stimolato, come alcuni credono, lo studio di fenomeni come l'elettricità, il magnetismo, il sogno, l'ipnotismo, la telepatia, la morfologia comparata. 2) Se il non-IO di Fichte veniva ingiustamente assorbito nell'IO, in Schelling accade il contrario: il non-IO ingloba tutto l'IO. In entrambi i casi si perde l'unità dialettica di soggetto/oggetto. Peraltro il non-IO di Fichte non coincideva immediatamente con la sola natura, ma con tutto ciò che non è IO. Invece Schelling pone una stretta coincidenza dei due termini, tralasciando così di considerare gli aspetti sociali, politici e storici. Resta tuttavia il merito di Schelling di aver sottolineato un'oggettività esterna all'uomo, cui l'uomo deve tener conto, adeguandovisi. 3) Il grande contributo che Schelling ha dato alla sviluppo dell'estetica e dell'idea artistica non può impedire di cogliere nell'affermazione di un'assoluta autonomia dell'arte -più volte da lui ribadita- il rischio di una estraneazione se non di un'opposizione di questa rispetto al contesto sociale in cui si sviluppa. 4) Da notare che in Schelling la libertà è vista come un elemento inconscio (nella natura, Fichte diceva nell'IO) che va recuperato a livello di semplice consapevolezza, liberandolo dai condizionamenti esterni. La libertà cioè è un già dato che va riscoperto, non è il frutto di una progressiva conquista degli uomini. 5) Del pensiero di Schelling si nutrì lo spiritualismo francese sino a Bergson; ad esso si ispirò anche la filosofia esistenzialistica di Heidegger, Jaspers e Marcel; delle tracce si intravvedono anche nel marxista revisionista E. Bloch; i teologi P. Tillich e W. Kasper hanno sottolineato la sua importanza teologica. Schelling fece bene ad affermare l'esistenza di un mondo indipendente dal soggetto (la materia ha, in effetti, una priorità cronologica sullo spirito, e l'idealismo oggettivo di Schelling ed Hegel è, sotto questo aspetto, più realistico di quello fichtiano). Tuttavia Schelling non seppe scorgere nella realtà materiale l'attività dialettica vera e propria. Per lui questa realtà coincideva strettamente con la natura non con la società. L'unica dialettica ch'egli seppe scorgere fu quella fisico-chimica dell'attrazione e repulsione degli opposti. Paradossalmente, mentre sul piano teoretico Schelling è superiore a Fichte, perché comprende l'esistenza d'un'oggettività che sovrasta l'uomo, che lo precede, sul piano pratico invece gli è inferiore, perché più passivo, più intuitivo e contemplativo, più mistico. In effetti, affermare che nell'attività teorica lo spirito si adegua alla materia o alla natura, ponendo il soggetto cosciente alle dipendenze della natura inconscia, significa porre le premesse dell'irrazionalismo teorico. Copyright ABCtribe.com 42 In realtà, il soggetto umano non può essere un prodotto naturale al pari di un ente di natura (animale, vegetale, minerale...), proprio perché dotato di libertà e autocoscienza. Il soggetto non è determinato dagli istinti, anche se gli istinti fanno parte della sua natura. Il campo d'indagine più importante dello spirito teoretico deve restare l'uomo non la natura (su questo Hegel avrà sempre ragione contro Schelling). Così pure, sostenere che nell'attività pratica lo spirito impone leggi alla natura per subordinarla a sé, significa dare un risvolto concreto all'irrazionalismo affermato in sede teorica. Schelling, in tal senso, è stato un fautore (indiretto) dello sviluppo capitalistico. Tuttavia, avendo affermato, teoreticamente, la subordinazione del soggetto alla natura, egli poi non riuscirà, sul piano operativo, ad essere coerente col principio che "la storia è filosofia pratica". Cosicché sarà indotto ad affermare che l'unica vera attività pratica è quella artistica, quella intuitiva nella tarda maturità dirà addirittura quella "religiosa". 3.4.9 L’eredità Per quasi tutto l’Ottocento Schelling venne interpretato alla luce di Hegel, come un momento determinante dello sviluppo dell’Idealismo che trovi il suo compimento nel pensiero hegeliano. Tale linea interpretativa tendeva a offuscarne le enormi differenze, e in particolare la sua seconda filosofia, che ebbe influenze profonde, anche se spesso sotterranee, nelle correnti anti-positiviste e anti-marxiste della seconda metà dell’Ottocento (parallelamente a Schopenhauer). L’interesse che Schelling aveva suscitato con l’enunciazione della filosofia positiva era stato peraltro vivissimo; ad ascoltarla convenirono tra gli altri Engels, Bakunin, e Kierkegaard, il quale ne recepì il richiamo all’esistenza, che per lui tuttavia sembrava non tradursi mai concretamente nella scoperta della singolarità dell’uomo. Influssi più o meno sotterranei sono rintracciabili anche nell'antroposofia di Steiner, nonché nelle correnti estetiche decadentiste e nell’irrazionalismo di Nietzsche, sebbene Schelling non volesse fare dell’assoluto e dell’esistenza un fatto soltanto irrazionale e del tutto incomprensibile. Non si può trascurare neppure il rilievo dato da Schelling alla nozione di inconscio, contribuendo alla formazione del contesto culturale in cui sarebbe sorta la psicanalisi, e in particolare quella di Carl Jung. Dell’idealismo schellinghiano si nutrì inoltre il pensiero francese fino a permeare soprattutto la filosofia di Bergson. La sua filosofia della natura e il concetto di persona sviluppato nell'ultimo periodo ebbe poi un influsso decisivo sull'antropologia filosofica di Max Scheler. A Schelling si ispirò anche la filosofia esistenzialistica di Heidegger, Jaspers e Marcel. Sul piano teologico l’importanza di Schelling sta nell’aver recuperato la Copyright ABCtribe.com 43 Rivelazione nella sua positività e storicità. La recente riscoperta dell’ultimo Schelling, infine, è stata conseguenza dello sforzo di superamento del pensiero di Hegel e di un’interpretazione dell’idealismo tedesco non più nell’ottica hegeliana. 4 Le Opere 1792 Antiquissimi de prima malorum humanorum origine philosophematis Genes.III. explicandi tentamen criticum et philosophicum 1793 Sui miti, le leggende storiche e i filosofemi del mondo più antico 1795 Sulla possibilità di una forma della filosofia in generale Sull'Io come principio della filosofia e sull'incondizionato nel sapere umano 1796 Lettere filosofiche su dogmatismo e criticismo 1797 Nuova deduzione del diritto naturale Idee per una filosofia della natura 1798 Sull'anima del mondo: ipotesi di fisica superiore per illustrare l'organismo universale 1799 Primo abbozzo di un sistema di filosofia naturale 1800 Sistema dell'idealismo trascendentale 1801 Esposizione del mio sistema di filosofia Bruno o il principio divino e naturale delle cose 1804 Filosofia e religione Filosofia dell'arte (edita post.) 1806 L'esposizione del vero rapporto della filosofia della natura con la dottrina migliorata di Fichte 1809 Saggi illustrativi sull'idealismo della dottrina della scienza Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana 1812 Monumento dello scritto sulle cose divine del Signor F.E.Jacobi 1827 Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna Opere pubblicate postume - Filosofia della mitologia - Filosofia della rivelazione Copyright ABCtribe.com 44 - Le età del mondo 4.1 I primi studi del giovane Schelling I primissimi scritti di filosofia della natura di Schelling sono quelli che vanno dal 1796, anno di Das Ältestes Systemprogramm al 1806, anno in cui Schelling scrive Über den wahren Begriff der Naturphilosophie (Circa il vero concetto di Filosofia della Natura). Sul primo Scheling agirono le influenze scientifiche da parte di scienziati e naturalisti dell'epoca nonché alcune ragioni che lo spinsero a occuparsi dei saperi scientifici specialistici per realizzare il progetto di una Naturphilosophie. In altri termini, si può parlare di ragioni 'esterne' e ragioni 'interne' alla Naturphilosophie schellinghiana. Tra le ragioni 'esterne' troviamo le influenze di scienziati e medici dell'epoca, da Berzelius a Haller, da Kielmeyer a Bonnet, da Brown a Blumenbach, che Schelling studiò con attenzione critica, accettando o meno le loro teorie scientifiche e i loro presupposti teoretici, articolando sempre le critiche sullo sfondo di un orizzonte antimeccanicistico e antimaterialistico. E' indubbio però che nel realizzare il progetto di una fisica dinamica e di una concezione della natura come organismo soggettivo furono più specifici i contributi della Critica del Giudizio teleologico e alcune novità dell'Opus postumum di Kant della Filosofia della Natura di Goethe basata sul sentimento dell'unità, e della disputa con Fichte sulla necessità di una riflessione filosofica sull'origine del non-io. Con ciò siamo già nell'ambito delle ragioni 'interne' della Naturphilosophie schellinghiana. Ragioni alle quali si può anteporre una linea interpretativa che parte dalla domanda: perché la filosofia della natura di Schelling non sia una scienza della natura, né abbia una vocazione sperimentale o metodologica. Questa domanda trova risposta nella tensione schellinghiana verso la riconduzione della natura al principio della vita organica, principio che è deve essere rintracciato nella filosofia trascendentale di quegli anni prima ancora che nella filosofia della natura, e nient'affatto nelle teorie scientifico-sperimentali elaborate allora. Le stesure del System des transzendentalen Idealismus (1800) e del successivo Über den wahren Begriff der Natuphilosophie (1801) risultano tappe decisive per comprendere il progetto complessivo della prima Naturphilosophie di Schelling. La costituzione di una filosofia trascendentale della natura pensa l'unità di uomo e mondo e, posta su uno dei due rami di questa unità, la filosofia della natura diventa propriamente una Weltweisheit, una “saggezza mondana”, piuttosto che un sapere più generale possibile del mondo reale determinato. Il compito di questa Weltweisheit sarebbe quello della riappropriazione della natura di un soggetto che appartiene originariamente ad essa non in base alla categoria del volere o dell'agire particolari, ma sul fondamento della libertà che fonda insieme la costruzione della natura e l'autocostruzione dell'Io. In tal senso Copyright ABCtribe.com 45 vi sono motivi di ritenere la filosofia della natura schellinghiana di estrema attualità per il presente della riflessione filosofica e per l'uomo futuro. 4.1.1 Filosofia della natura e idealismo trascendentale nel giovane Schelling Le ragioni di fondo del progetto di Filosofia della Natura sono rintracciabili nel frammento del 1796: il cosiddetto Ältestes Systemprogramm. Scritto da Schelling in collaborazione con Hölderlin e con Hegel negli anni di Tübingen, il frammento è una vera e propria illustrazione di intenti. In esso si affermava la necessità che fossero date risposte alle questioni sollevate dalla scienza fisica. Questioni, però, come si dice nel frammento, che dovevano essere affrontate a partire da un piano radicalmente etico, non epistemico. La domanda che vi era posta è:”come deve essere costituito un mondo per un ente morale?”, ossia come può venire ad essere un mondo, esterno ed oggettivo, in grado di poter essere compreso da una scienza fisica che non si fermi al fenomeno, ma che ne interroghi la sfera della sua possibilità. L'anticipazione di una risposta la troviamo nel frammento: un mondo può esserci perché v'è un principio che lo fa essere: il principio della rappresentazione che, negli scritti schellinghiani di filosofia trascendentale, è l'Io incondizionato assolutamente libero, in grado di essere colto nella intuizione di sé da una scienza non fisica. La seconda esigenza era quella che, a partire dalla prima, "ridesse le ali alla fisica", che la facesse progredire sollevandola dal piano dello sperimentalismo che, a detta di Schelling, è filosoficamente limitato.L'augurio ivi inscritto era di costruire una fisica adatta ad un'epoca più matura, un'epoca in cui, in generale, fosse possibile dedurre dai principi la possibilità della natura in quanto totalità del mondo dell'esperienza. Di lì a poco Schelling si metterà al lavoro per concretare tali progetti, studiando gli scienziati e i naturalisti contemporanei e indirizzando i suoi studi verso le scienze dell'organismo in vista della costruzione della fisica dinamica, ossia la fisica che si occupa delle condizioni di possibilità originarie dei fenomeni dinamici, (che Schelling chiama il non-oggettivo) di contro alla fisica empirico-meccanicistica dell'oggettivo. Dai suoi scritti è possibile individuare alcuni tra gli studiosi che lo influenzarono. In breve, possiamo accennare a Karl Friedrich Kielmeyer (1765-1844), che insegnò a Stuttgart, dove nel febbraio1793 tenne una conferenza, alla quale Schelling partecipò, sui rapporti tra le forze organiche. In seguito nel 1796 tenne una lezione, proprio a Tübingen, in cui comunicò la sua teoria della unitaria composizione e trasformazione dell'organismo. Kielmeyer lavorò sugli studi di George Cuvier (1769-1832) sulla comparazione nel regno animale e sulle fasi dell'organizzazione dell'organismo, sui lavori di Albrecht von Haller (1708-77) sulla irritabilità e soprattutto su quelli di John Brown sull'eccitabilità e sul concetto di vita. Copyright ABCtribe.com 46 Infine sulle ricerche proto-evoluzionistiche di Charles Bonnet (1720-93), del quale ritenne non solo la teoria della catena infinita degli esseri e la relazione di finalità tra esseri inorganici e esseri organici, ma anche l'orizzonte polemico nei confronti del materialismo meccanicista, che verrà ereditato da Schelling e da diversi ambienti della cultura tedesca dell'epoca. Il risultato raggiunto da Kielmeyer fu una complessa teoria dello sviluppo delle forme viventi, dalle inferiori verso quelle superiori, basata su una dialettica tra qualità primarie organiche (irritabilità, sensibilità, riproduzione) e circostanze esterne. Per quel che riguarda i lavori di John Brown, questi erano considerati, in Germania, in due modi totalmente opposti. Hegel lo criticò aspramente nella Fenomenologia. Altri ne trassero conseguenze diverse appuntando le proprie critiche in particolare sulle pretese terapeutiche della medicina browniana. Ma c'era anche chi ne fece la base di partenza per un vero e proprio sistema speculativo della natura. Tra questi vi era Andreas Röschlaub che sviluppò la teoria di Brown intorno ad un punto che Schelling integrerà nella sua filosofia della natura: il concetto di vita basato sulla facoltà della eccitabilità. L'eccitabilità costituisce l'essenza dell'organismo vivente e apre la strada alla definizione di una capacità insieme attiva e passiva: l'organismo sarebbe affetto da impressioni esterne e insieme agirebbe compiendo l'azione propria dell'auto-attività. Röschlaub intese muoversi in un orizzonte kantiano e considerò l'eccitabilità la condizione interna e necessaria per il sorgere e lo svilupparsi della vita, avvicinandola al principio della finalità interna dell'organismo. Che Röschlaub volesse essere kantiano non vuol dire che ci sia riuscito: Kant non intendeva la finalità della natura come qualcosa che fosse pertinente all'oggetto, ma come un principio trascendentale, e dunque soggettivo, della facoltà del giudizio che consente di riflettere sugli oggetti della natura al fine di ottenere un'esperienza in tutto coerente nel suo complesso. Di fatto sarà Schelling che, in uno spirito più autenticamente kantiano, eviterà di considerare il principio della possibilità della vita un principio puramente oggettivo. Infatti nell'Entwurf del 1799, a proposito dell'essenza dell'organismo e del principio dell'eccitabilità, egli scrive che solo in quanto l'organismo è oggetto a se stesso, cioè è contemporaneamente soggetto e oggetto, esso può auto-costituirsi. Copyright ABCtribe.com 47 Ribadendo quanto aveva scritto nelle Ideen, Schelling pone a fondamento dell'organismo il suo essere per se stesso, cioè il concetto di una relazione necessaria tra il tutto e le parti il cui movimento è l'autoorganizzazione. Questa auto-costituzione dell'organismo è la manifestazione della necessità di irrompere in direzione di un mondo esterno formandolo in virtù della duplicità originaria (il vero e proprio principio trascendentale dell'organismo) che, da un lato, è identità con se stesso e indifferenza nei confronti dell'esterno, e dall'altro è passività nei confronti dell'esterno in quanto eccitabilità. Dunque, l'organismo per Schelling è sempre soggetto e oggetto insieme, e il principio della sua finalità interna resta sempre un principio formale soggettivo in rapporto col tutto della natura. Il principio trascendentale della vita organica (la duplicità originaria), attraverso il gioco alternato di indifferenza e differenza determinata, soggettività producente e oggettività prodotta, fa dell'organismo il luogo ove si manifestano i principi di una teoria generale della natura. In esso avviene la limitazione della produttività originaria, produttività che si limita da se stessa in quanto non v'è qualcosa di esterno che la limiti. L'auto-limitazione della produttività si concretizza nell'organismo che possiamo chiamare anche differenza interna alla produttività, che, attraverso il cammino di riproduzione dell'organismo nella natura, tende a reificare l'identità originaria, cioè l'indifferenza da cui era partito il processo di produttività (la vita). Si comprende qui che capire cosa sia per il giovane Schelling 'filosofia della natura' e perché una filosofia della natura piuttosto che una pratica scientifico-sperimentale o una metodologia critica, vuol dire interrogarsi su che cosa è natura e come è possibile un sistema della natura in generale. Il problema non è se e come esista fuori di noi un insieme di fenomeni e la serie di cause ed effetti, ma come esso divenga reale per noi nella rappresentazione. Ciò implica il superamento dei limiti della scienza sperimentale di una natura semplicemente data e puramente oggettiva, insomma di una scienza che si occupa del mondo, in nome di una scienza che si occupi di una totalità produttiva e prodotta, dei fenomeni nella loro totalità, insomma di una natura. Poiché il principio della duplicità originaria sembra essere non solo il fondamento dell'organizzazione naturale, ma anche la proprietà dell'incondizionato nella sua attività assoluta, è necessario capire come filosofia della natura e idealismo trascendentale siano ricondotti ad unità in un principio superiore, principio dal quale si dipartono nelle loro rispettive direzioni. In questo senso, proponiamo qui una sintesi degli aspetti principali della filosofia della natura del giovane Copyright ABCtribe.com 48 Schelling, secondo i suoi principi. 1) L'antimeccanicismo schellinghiano è dovuto, da un lato, alla priorità data all'unità organica della natura, e dall'altro, all'identità tra principio della natura e principio della sua sistematicità. Il meccanismo naturale è ricondotto alle leggi dello spirito produttivo le quali sono conciliate con le leggi oggettive della realtà empirica attraverso l'assoluta unità trascendentale dell'incondizionato. In questo senso, la duplicità dell'organismo è espressione della duplicità originaria della natura in generale nel suo essere insieme produttiva e prodotta. Questa, a sua volta, è l'oggettivazione della duplicità originaria del principio soggettivo assoluto: l'Io. Dal canto suo, il meccanicismo osserverebbe la realtà naturale dall'esterno, per così dire, della natura, prendendo come oggetto una realtà data e non interrogata nella sua possibilità. Lo stesso principio della materia si presenta con le stesse caratteristiche. In un passo delle Abhandlungen (1796-97) Schelling osserva che “la materia è lo spirito che intuisce sé nell'equilibrio permanente delle sue azioni, verso l'interno e verso l'esterno”; ciò vuol dire che la materia finita è il prodotto di un'azione che dà senso, forma e con ciò limita oggettivamente. Contemporaneamente, la materia è anche ciò che limita lo spirito, che nell'intuizione, sente sé limitato partecipando così alla natura come finitezza permanente. In altre parole, a fondamento della materia sta la duplicità del legame che consente all'idea di riconciliarsi con la realtà effettiva; ma compito della filosofia della natura è di risalire alla possibilità della materia fuori di noi, cioè al limite dell'esperienza, al fatto che esista una natura, attraverso una riflessione sull'inseparabilità di forma e materia, di necessità e contingenza, esemplarmente manifesta nell'organismo. 2) La copresenza di interno ed esterno nell'organismo corrisponde, nella filosofia trascendentale, al principio dell'idealismo della duplicità originaria dell'Io. L'incondizionato, il non-oggettivo, agisce liberamente conferendo al suo agire la sua sfera, cioè ritorna in se stesso attraverso un'intuizione di sé mentre agisce. L'agire dell'Io è sintesi, cioè formazione del prodotto. A sua volta l'Io può intuirsi in questo agire, ed in tal modo riconoscere che la sintesi è produttiva, solo se il prodotto è effettivamente realizzato. La natura diventa così espressione visibile dello spirito umano, il concreto della sintesi, il determinato nella sua totalità che costituisce la materia dell'esperienza in vista della sua intuizione sensibile e della sua concettualizzazione. Per questo Schelling può asserire in chiusura della Einleitung zu den Ideen (1797) che “la natura deve essere lo spirito visibile, lo spirito la natura invisibile”. 3) Stando così le cose, la filosofia della natura persegue perfettamente il compito assegnatogli dal frammento del '96: essa non si rivolge ad un mondo semplicemente trovato e modellato secondo teorie scientifico-naturali, ma lo interroga nella sua possibilità; essa risponde alla domanda: come la natura arrivi all'intelligenza o come possa sorgere la coscienza nella natura, cioè come la totalità reale possa divenire oggetto di rappresentazione. Questa domanda, che riconosce realtà al non-Io, all'alterità, e comprende in sé l'avvio di un sistema di filosofia della natura, deve essere risolta tenendo presente contemporaneamente la Copyright ABCtribe.com 49 domanda che parte dalla assoluta posizione dell'Io, che comprende in sé l'avvio di un sistema dell'idealismo trascendentale. Questa seconda domanda, uguale ed opposta alla prima, si interroga su come la coscienza intellettiva e sensibile giunga alla natura, ossia come il soggetto trascendentale arrivi all'oggetto fuori di sé concordando nella rappresentazione (il problema della kantiana deduzione). 4) Su questo piano, Naturphilosophie e Tranzscendentalphilosophie sono ricondotte ad uno stesso principio e rese complementari nei loro compiti. Quando nelle pagine iniziali delle Abhandlungen Schelling propone gli intenti programmatici di una nuova filosofia che dia ragione della totalità dell'uomo, osserva che questa filosofia deve possedere due qualità straordinarie: “una originaria tendenza verso il reale, che impedisca di restare impigliati in vacue speculazioni ideali, e la capacità di innalzarsi al di sopra del reale effettivo, pena il rischio di smarrirne il senso, esaurendo la ricerca sul terreno degli oggetti determinati, cioè sul piano della sensibilità del molteplice in generale”. Schelling si richiama esplicitamente a Kant e a Fichte come a coloro che hanno eliminato il dualismo pernicioso tra filosofia e esperienza, gettandole basi per una filosofia che pensi finalmente l'identità e l'alterità secondo un comune principio interno. Qui Schelling sembra addirittura più vicino all'ultimo Kant che al suo diretto maestro Fichte. Quest'ultimo non ha mai riconosciuto un valore 'positivo' alla natura, sempre subordinata al principio trascendentale in quanto assolutamente posta e quindi non autonoma. Sembra, invece, che Schelling respiri l'aria degli ultimi scritti kantiani: forse negli anni tra il '96 e il '99 egli non aveva diretta conoscenza degli ultimi sviluppi dell'idealismo critico, ma nello scritto commemorativo del 1804 troviamo un esplicito riferimento all'Übergang kantiano. 5) Avviandoci a concludere, sembra si possa mettere a fuoco il perché di una filosofia della natura nel pieno dell'elaborazione di un idealismo trascendentale. Filosofia della natura che, pur influenzata dalle ricerche naturali dell'epoca, risponde a esigenze filosofiche diverse da quelle di una scienza empirica o di una Weltanschauung scientifica del mondo. La filosofia della natura schellinghiana si costituisce non partendo dall'esistenza di oggetti determinati in funzione di una loro sistemazione secondo questo o quel modello teorico-sperimentale, ma dall'assunzione di una totalità come produttività nella quale il principio di tutta la realtà trova oggettivazione nell'organismo. In altre parole, nella natura si trova uno dei modi fondamentali nei quali la natura stessa diventa soggettooggetto determinato: Copyright ABCtribe.com 50 l'organismo, appunto, il cui principio della duplicità originaria di interno ed esterno, corrisponde al principio stesso della natura nella sua totalità, cioè l'incondizionato in quanto produttività originaria. La filosofia della natura esce essa stessa da questo processo di autoformazione e il suo possesso non equivale all'avere a che fare con una particolare visione teorica del dato fenomenico, quanto più ad una sorta di Weltweisheit, una saggezza del mondo il cui compito sarebbe quello di tradurre il concetto di un tutto in un'immagine originaria e di fare dell'uomo il possessore di una saggezza che comprenda l'identità e l'alterità, in una natura quale finitezza organizzata e organizzante. Il progetto giovanile schellinghiano di una filosofia della natura si inquadra, all'interno di un rigoroso disegno trascendentale, sul piano di una ricomprensione generale del rapporto fondamentale tra uomo e natura entro il quale la sfera delle scienze empiriche rappresentano un incompleto, seppur decisivo, primo passo. 4.2 La filosofia della natura e l'idealismo trascendentale L'ideale dei giovani studenti di Tubinga, l'affermazione dell'universale presenza di Dio, il vagheggiamento di una nuova Chiesa di spiriti liberi, in cui l'umanità rigenerata celebri l'avvento del regno di Dio, si attua nel primo Schelling con l'adesione alla nuova filosofia della libertà di Fichte, la cui interpretazione viene mediata dal pensiero di Spinoza. Errore di quest'ultimo era stata l'identificazione dell'Assoluto con l'oggetto, la sua incapacità d'intendere l'incondizionato come Io. Il principio fichtiano, l'Io, è il luogo in cui l'incondizionato si manifesta come libertà assoluta, non determinata da alcun oggetto, ma precedente la posizione stessa degli oggetti. Esso può essere colto nella sua infinità e nel suo carattere di autodeterminazione e autorelazione, fichtianamente, solo dalla ragione pratica; la rilevanza che il libero agire dell'uomo assume per l'intero ambito del finito, induce però Schelling a indagare la natura come premessa, quasi preistoria del mondo della libertà umana. Il problema dei rapporti tra l'assoluta libertà e il mondo naturale, in cui essa appare alienata e come cristallizzata in forme oggettuali, porta Schelling alla considerazione della presenza dell'ideale nel reale come ricerca autonoma rispetto a quella, d'indirizzo trascendentale, che esamina la produzione dell'oggetto nella coscienza. L'oggettualità si mostra nella filosofia della natura come arresto, termine provvisorio di un processo di per sé infinito e inarrestabile di cui la natura produttrice Copyright ABCtribe.com 51 consiste, e che trae la sua origine dalla scissione originaria dell'identità e dalla sua ricomposizione a livelli sempre più alti. La processualità costituisce l'aspetto sostantivo della natura e risolve perennemente l'oggetto in un momento d'equilibrio tra tensioni opposte, determina il suo permanere interno tramite relazioni con l'esterno e viceversa: all'atomismo fondato sulla permanenza separata degli elementi del reale, affermato dalla fisica meccanicistica, si sostituisce un dinamismo universale, in cui il singolo e il tutto si condizionano reciprocamente in un universo insieme unico e plurale. La natura stessa assume così i caratteri propri di un soggetto e la filosofia della natura ottiene dignità di disciplina filosofica allo stesso livello di quella trascendentale (Ideen zur einer Philosophie der Natur, 1797; Idee per una filosofia della Natura; Von der Weltseele, 1798; L'anima del mondo; Erster Entwurf eines Systems der Naturphilosophie, 1799; Primo abbozzo d'una filosofia della natura). Si poneva così il problema della collocazione delle due filosofie, parallele ma dotate di direzioni opposte, procedendo la prima dal polo oggettivo a quello soggettivo, dal soggettivo all'oggettivo la seconda. L'egemonia della filosofia dell'Io e della coscienza, presupposto della Dottrina della scienza fichtiana, ne risulta incrinata. Così nel System des transzendentalen Idealismus (1800; Sistema dell'idealismo trascendentale) sono già contenuti i germi del conflitto con Fichte. La filosofia trascendentale stessa è per Schelling la storia della coscienza di sé, in cui dalla dualità originaria dell'Io, che distingue in esso un'attività reale, inconscia, producente gli oggetti, e una ideale che si riflette su di essi e distinguendoli da sé ne diviene cosciente, si svolge un processo di riconoscimento dell'Io nelle sue produzioni, che conduce al suo culmine in un atto assoluto di volere in cui l'Io diviene oggetto a se stesso come producente, cioè soggetto e oggetto insieme. Dalla filosofia teoretica si passa così alla filosofia pratica, dove l'Io appare come producente con coscienza, realizzante, e alla filosofia dell'arte, che Schelling considera come l'organo universale della filosofia: nell'arte, infatti, lo spirito ritrova alfine se stesso superando la scissione fra ideale e reale, conscio e inconscio, soggettivo e oggettivo (Philosophie der Kunst, 1802-03; Filosofia dell'arte). 4.2.1 Il sistema dell'identità e la sua rottura Il breve passo che Schelling doveva ancora compiere per superare definitivamente l'idealismo soggettivo di Fichte è fatto nella Darstellung meines Systems (1801; Esposizione del mio sistema) cui fa seguito il suggestivo dialogo Bruno oder über das göttliche und natürliche Prinzip der Dinge (1802; Bruno o sul principio divino e naturale delle cose). Negli scritti della fase che ora inizia (tra cui Philosophie und Religion, 1804), l'unità assoluta d'ideale e reale, la radice unica di essere e sapere è raggiunta e posta immediatamente al centro del sistema, che si qualifica come sistema dell'identità incondizionata. Il problema che ora tormenta Schelling è quello dello status e dell'origine del finito, e a esso sono dedicate le Philosophische Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit (1809; Ricerche filosofiche Copyright ABCtribe.com 52 sull'essenza della libertà umana). Di contro all'intatto riposare in sé, sottratto a ogni mutazione e compromissione, dell'Assoluto qual era riconosciuto nel sistema dell'identità, le Ricerche mostrano che in Dio stesso è presente un principio oscuro e irrazionale, la sua natura, il fondamento, principio della scissione e radice di quell'egoità che è base della finitezza. L'unione del principio luminoso e di quello oscuro e la loro possibile separazione danno ragione della presenza del bene e del male, sorgendo quest'ultimo dal resistere delle forze oscure del fondamento contro il desiderio divino di manifestarsi e realizzarsi in un universo. L'universo nasce come scissione e ha storia come lotta tra i due principi, che si acuisce nell'uomo e nella sua personalità libera capace di scegliere il male per il male, ed è destinata a servire da via per il ritorno a Dio attraverso la totale compenetrazione della creazione da parte della sua luce. Le Ricerche sono così ricche di fermenti capaci di portare ben oltre il sistema dell'identità. Questa storia della manifestazione divina si arricchisce, nella fase del Weltalter, di un lavoro speculativo intorno al problema della creazione. In quest'opera infatti Schelling giunge a cogliere l'atto creatore non più come conseguenza dell'essenza divina, ma come assolutamente non necessitato, abbandonando l'identificazione di libertà e necessità. Su questa base prosegue, negli anni di Monaco, l'edificazione di una filosofia positiva, che si contrappone al razionalismo del sistema giovanile perché non riduce la realtà, il quod (Dass) al logico, all'essenza (quid, Was), ma muove da un atto che precede qualsiasi potenza, qualsiasi determinazione logica dell'essenza ed è perciò assolutamente libero. Solo da questo atto la ragione, che di per sé può dar luogo solo a una filosofia negativa, è posta nel suo diritto. L'essenza divina è definita da tre determinazioni (o potenze): la potenza pura o egoismo, l'essere puro o volontà al di là di ogni egoità, l'essere libero di esserlo, che esprimono ciò che Dio è se egli è, se si realizza con un atto insondabile. La filosofia, affermando questo atto originario di libertà divina, che giace al di là di ogni necessità logica, esce così dal chiuso di un razionalismo unilaterale e diviene compiutamente storica, accogliendo in sé il principio del divenire della storia cosmica nella sua irriducibile realtà. Negli anni di Berlino il significato della filosofia negativa, come filosofia puramente razionale, quindi in sé falsa e da escludersi dal sistema positivo, muta: essa diviene preparazione, ascesa all'atto assoluto, rientrando così nel sistema stesso che si reduplica, constando di due filosofie, ascendente al principio reale l'una, discendente da questo l'altra. A questa, variamente atteggiata, dottrina dei principi seguono, nel sistema, due sezioni trattanti la storia della Copyright ABCtribe.com 53 manifestazione divina: la Philosophie der Mytologie (postuma, Filosofia della mitologia), che mostra nello sviluppo del politeismo il processo teogonico della coscienza, passato immemorabile che attraverso lo smarrimento nella pluralità dei miti segna la preparazione alla manifestazione personale di Dio nel Cristo, oggetto della Philosophie der Offenbarung (postuma, Filosofia della rivelazione). 4.3 Idee per una filosofia della natura: la struttura finalistica e dialettica del reale La filosofia della natura di Schelling è una costruzione tipicamente "romantica" che prendendo spunto dai problemi sollevati dalla critica del Giudizio di Kant (a proposito della finalità degli organismi viventi) e della Dottrina della scienza di Fichte, si nutre di suggestioni disparate , che provengono sia dalla scienza dell’epoca (in particolare dalla chimica e dagli studi sull’elettricità e sul magnetismo) sia dalla cultura filosofica del passato (dal pensiero greco e cristiano, dal naturalismo rinascimentale, da Spinoza e da Leibniz). Alla base di tale filosofia c'è il rifiuto dei due tradizionali modelli esplicativi della natura: quello meccanicisticoscientifico da un lato e quello finalistico-teologico dall’altro. A questi due modelli Schelling contrappone il proprio organicismo finalistico e immanentistico, ossia uno schema secondo cui: 1) ogni parte ha senso solo in relazione al tutto e alle altre parti (= organicismo); 2) l’universo non si riduce ad una "miracolosa collisione di atomi", poiché al di là del meccanismo delle sue forze si manifesta una finalità superiore ("oggettiva e reale" ) che, tuttavia, non deriva da un intervento esterno, ma è interno alla Natura stessa (=finalismo immanentistico). Infatti, argomenta Schelling, dal punto di vista della sua terza via fra meccanicismo e finalismo tradizionale, sebbene in natura esista una connessione preordinata fra parte e tutto, mezzo e fine, tale connessione non è prima conosciuta da una mente e poi realizzata nelle cose, come accade nel caso delle produzioni artificiali o del Dio-Architetto. Ora, parlare in termini di "organizzazione" e di "scopo" significa ammettere che la natura obbedisce ad un "concetto", ovvero ad una "programmazione intelligente". Da ciò l’idea di uno "Spirito" o di una entità spirituale inconscia immanente nella Natura a titolo di "forza" organizzatrice e vivificatrice dei fenomeni o forza che Schelling, rifacendosi agli antichi, denomina anche con il termine di "Anima del mondo", precisando che la natura costituisce un Tutto vivente, ovvero un immenso organismo in cui ogni cosa, compresa la sfera inorganica, risulta dotata di vita. Essendo spirito, sia pure inconscio, la Natura presenta gli stessi caratteri di fondo che Fichte aveva attribuito all’Io. Essa è infatti un’attività spontanea e creatrice, che esplica se stessa in una serie infinita di creature. E come l’Io fichtiano non poteva realizzare se stesso se non a patto di dualizzarsi in soggetto ed oggetto, così la Natura schellinghiana non può fare a meno di polarizzarsi o dialettizzarsi in due principi di base: l’attrazione e la repulsione. Difatti, ogni fenomeno è l’effetto di una forza che è come tale limitata e perciò condizionata dall’azione di una forza opposta; ogni prodotto naturale si origina da un’azione e da una reazione e la natura agisce attraverso la lotta di Copyright ABCtribe.com 54 forze opposte. Se la lotta fra le due forze opposte si considera nei rispetti del prodotto, sono possibili tre casi: che le forze siano in equilibrio e si hanno allora i corpi non viventi; che l’equilibrio venga rotto e sia ristabilito, e si ha allora il fenomeno chimico che l’equilibrio non venga ristabilito e che la lotta delle forze sia permanente, e si ha allora la vita. 4.3.1 La natura come "preistoria" dello Spirito Secondo Schelling, le tre manifestazioni universali della Natura, nelle quali si concretizza la polarità attrazione-repulsione, sono il magnetismo, l’elettricità e il chimismo. Il magnetismo esprime la coesione grazie alla quale le varie parti dell’universo gravitano le une verso le altre. L’elettricità esprime quella polarità dialettica che fa del mondo la sede di un’opposizione di forze di segno contrari. Il chimismo esprime quella incessante metamorfosi dei corpi che fa dell’universo una grande fucina in cui si fabbricano per sintesi le più svariate realtà. A queste tre forze corrispondono, nel mondo organico, la sensibilità, l’irritabilità (che è la proprietà di reagire agli stimoli del mondo esterno) e la riproduzione. Con l’intento di ricostruire unitariamente la storia della natura, Schelling articola la storia dell’universo in tre diverse "potenze" o livelli di sviluppo, sottolineando come in ognuna di esse operino le tre sopraccitate forze del magnetismo, dell’elettricità e del chimismo. La prima potenza è rappresentata dal mondo inorganico; la seconda dalla luce, in cui la Natura si fa visibile a se stessa, la terza dal mondo organico, nel quale, con la sensibilità, abbiamo il preannuncio aurorale dell’autocoscienza. Complessivamente riguardata, la Natura si configura quindi come uno spirito inconscio in moto verso la coscienza, cioè come un processo in cui si ha una progressiva smaterializzazione della materia ed un progressivo emergere dello Spirito. In altri termini, la Natura, lungo un percorso che va dai minerali all’uomo, appare coma la "preistoria dello spirito" o come il passato trascendentale della coscienza, ovvero (per usare un’immagine già presente in Schelling e che sarà cara a Ernst Bloch) come un’ "odissea" dello spirito il quale "si cerca" attraverso le cose, per giungere finalmente presso di sé, con l’uomo. Ed ecco un passo meno noto, ma non meno significativo, tratto dalla Esposizione del mio sistema filosofico (1801): "Come la pianta si chiude nel fiore, così tutta la terra si chiude nel cervello dell’uomo, che è il sommo fiore di tutta la metamorfosi organica". 4.3.2 Fisica "speculativa" e pensiero scientifico Schelling ha definito la propria filosofia della natura fisica "speculativa" o "a priori". Queste espressioni non significano, come si intende talora, che egli abbia voluto costruire un’immagine della natura che prescinde dall’esperienza. Infatti, nel linguaggio di Schelling, dire che la fisica procede a priori significa dire che essa procede sistematicamente, ossia mostrando come ogni fenomeno naturale testimoniato dall’esperienza faccia parte di una totalità organica da cui necessariamente deriva ed Copyright ABCtribe.com 55 entro cui necessariamente si colloca. In altri termini, la fisica speculativa di Schelling non intende essere una deduzione "a tavolino", incurante dell’esperienza, ma uno sforzo di tradurre l’a posteriori in a priori, ossia un tentativo di organizzare sistematicamente e secondo necessità il materiale offerto dall’esperienza e dalla scienza. Ovviamente, un procedimento di questo tipo cela il pericolo di una manipolazione arbitraria dei dati della scienza. Questo è appunto il rilievo dei critici e degli scienziati, che hanno finito per accusare Schelling di essersi sterilmente allontanato dalla metodologia galilleiano-newtoniana e di aver costruito una sorta di "romanzo della natura". Ciò non toglie che la fisica speculativa di Schelling abbia avuto taluni "meriti storici", su cui hanno insistito soprattutto i critici odierni. Uno di essi è di essere riuscito a "stimolare nella gioventù tedesca all’epoca l’interesse per i fenomeni naturali, specie per quelli allora meno conosciuti, come l’elettricità e il magnetismo, e più ancora per i fenomeni totalmente trascurati dalla scienza illuministica, come il sogno, l’ipnotismo, la telepatia ecc." Un altro merito è di aver mostrato i limiti del meccanicismo tradizionale e di aver posto l’esigenza di studiare la natura, in particolare il mondo organico, con schemi più appropriati. Un altro titolo è di aver contribuito ad alimentare le ricerche di morfologia comparata (fra gli scienziati che subirono l’influenza diretta di Schelling in questo settore di studi ricordiamo Lorenz Oken, che pubblicò nel 1809-1811 un Trattato di filosofia della natura). Un altro pregio è di aver contribuito a preparare una mentalità "evoluzionistica" in senso lato. Intendiamoci bene. Pur parlando di evoluzione e pur concependo la natura in modo "piramidale", ovvero come una serie di grandi mettenti capo all’uomo, Schelling non può essere considerato un "evoluzionista". Infatti, le "potenze" o le "epoche" della Natura di cui egli parla non sono, presumibilmente, dei gradi temporalmente successivi dell’Universo, ma dei momenti ideali, e quindi simultanei, della sua eterna dialettica ed organizzazione. Analogamente, la natura e l’uomo non rappresentano due tempi successivi della storia del mondo, ma due momenti ideali di un’unità originaria (l’Assoluto) che è da sempre natura e spirito. In altri termini, "Ad una prima considerazione sembra che Schelling usi concetti (come quello di evoluzione) che saranno propri della scienza del XIX secolo. Ma in realtà niente è più estraneo alla filosofia schellinghiana del concetto di evoluzione". Tuttavia, non bisogna neppur dimenticare che "la teoria dell’evoluzione di quel tempo si è appoggiata, presso una serie di ricercatori Copyright ABCtribe.com 56 illustri, a questa concezione metafisica, e che da essi è stata guidata alle sue scoperte più importanti". Infatti, era sufficiente prospettare in termini temporali ciò che in Schelling era ancora pensato in termini ideali e metafisici, per trovarsi in un sistema teorico di stampo evoluzionista. Infine è bene ricordare che l’idea di una finalità immanente della natura, ossia l’originale concetto di un fine inconscio interno ai fenomeni maturali (senza che essi siano stati consapevolmente ed esternamente programmati in vista di uno scopo), continua a suscitare l’interesse di quei filosofi e di quei scienziati che, pur rifiutando l’ottica meccanicistica, non accettano, per questo, il finalismo teologico tradizionale (ossia la nozione di un Dio-Artefice e Programmatore del mondo). 4.4 Il sistema dell'idealismo trascendentale Come la natura si evolve verso il principio intelligente, così lo Spirito percorre il processo inverso, che si attua nella Storia: nel Sistema dell'idealismo trascendentale Schelling affronta così la "filosofia della coscienza", parallela alla filosofia della natura, ricostruendo le attività dell'Io, al quale si accede soltanto con un'intuizione immediata e interna, poiché esso non è un semplice sapere oggettivabile dall’esterno, ma è un sapere del sapere. La prima epoca di sviluppo della Coscienza è il momento dell'oggettività nel quale l'oggetto viene appreso come estraneo al soggetto, perché in realtà esso è frutto di una produzione inconscia, che la coscienza non riconosce ancora come tale. La seconda epoca è invece caratterizzata dal sentimento di sè: l'Io scopre come le sue categorie di pensiero siano i prodotti della sua stessa attività, prendendo consapevolezza della propria produzione inconscia. Nella terza epoca l'Io si innalza al di sopra della conoscenza, costituita dalla corrispondenza tra forme inconsce della natura e forme consce del pensiero, per manifestare la sua spontaneità pura. In quest'ultima fase l'Io pone se stesso ed è essenzialmente volontà, non oggettivabile perché implica un superamento della stessa fase conoscitiva. Nella Storia agisce e si attua questa volontà. Schelling vede la storia, come già la natura, in un'ottica finalistica, come una progressiva realizzazione del Soggetto trascendentale nell'assoluto; (trascendentale è un termine kantiano per indicare appunto l'attività del soggetto nel suo rapportarsi all'oggetto, attività che si produce nella coscienza critica del filosofare stesso). Ma la libertà dell'Io qui può apparire come arbitrio, perché la legge del dovere non è come la necessità naturale: l'Io può seguirla o non seguirla. E tuttavia la libertà non è qualcosa di irrazionale, ma piuttosto di sovrarazionale, poiché essa si attua nella volontà di scegliere la razionalità stessa dell'etica, divenendo condizione della sua realizzazione. Per cui la storia non è un seguito sconnesso di azioni puramente arbitrarie: essa è paragonata da Schelling a un dramma in cui Copyright ABCtribe.com 57 Dio è autore e l'uomo l'attore che collabora all'invenzione del proprio ruolo. Nell'agire etico così la filosofia pratica da un lato si avvicina progressivamente e indefinitamente all'assoluto, ma come già in Kant e Fichte, ha il limite di non poterlo realizzare compiutamente. Essa è una "dimostrazione" mai conclusa dell'assoluto, che come tale resta quindi ancora (seppure in forme via via minori) oggetto di fede. A differenza di Fichte però, Schelling, recuperando l'idea kantiana del bello di natura, riconosce nel momento estetico dell'arte il punto in cui lo scarto tra idea e realtà, spirito e natura, attività conscia e inconscia, si annulla in maniera definitiva. Nell'arte agisce infatti quell'intuizione produttiva che la filosofia teoretica può solo riconoscere, ma non realizzare. L’azione estetica è paragonabile a una natura creatrice che obbedisce alle leggi che essa si dà. Il genio cioè non opera in vista di un fine esterno, ma l’unico scopo del suo operare è l’operare stesso; guidato da un’ispirazione profonda, che egli domina lasciandosene dominare, egli è consapevole e inconsapevole nello stesso tempo. L'artista nella sua attività creatrice realizza così l'unità di ideale e reale dopo che questi due, nella coscienza dell'uomo, sono stati separati. Per questo l'intelletto non può mai esaurire la comprensione dell'opera d'arte: essa infatti è un infinito, e non essendo finito non è oggettivabile. Solo con l'intuizione artistica la filosofia raggiunge il suo scopo, perciò l'arte è per Schelling l'organo principe della filosofia. Con Schelling la teoria romantica dell'arte ha ricevuto così la sua più profonda teorizzazione. Presentando l'arte come manifestazione dell'assoluto in cui cogliere l'indifferenza degli opposti, Schelling è considerato il maggior esponente della corrente dell’Idealismo Estetico. 4.4.1 L'assoluto Schelling parte dagli stessi presupposti di Fichte: al dualismo di Kant contrappone il monismo, per cui all'origine di tutto pone un principio unitario, al di fuori del quale non c'è nulla e che chiama assoluto. Questo assoluto presenta caratteri differenti dall'Io Infinito di Fichte. L'Io Infinito crea il soggetto (l'uomo esistente) e l'oggetto (la natura = non io, necessario per superare gli ostacoli e realizzare la libertà). La natura risulta essere uno strumento nelle mani dell'Io, del quale si serve per realizzare se stesso. Schelling vuole riabilitare la natura, vuole dimostrare che ha realtà propria ed indipendente, essendo anch'essa attività creatrice. Copyright ABCtribe.com 58 L'assoluto, secondo Schelling, non è solo soggetto nè solo oggetto, ma è un unità indifferenziata di soggetto e oggetto, cioè di natura e spirito, di Io e non Io. Quindi, in quanto unità indifferenziata, natura e spirito non sono tra loro contrapposti, non si limitano a vicenda, ma sono due manifestazione dell'assoluto che presentano tra loro solo una differenza di grado: la natura è spirito inconsapevole. Lo spirito è natura divenuta cosciente. Entrambe sono manifestazioni dell'assoluto: - Natura > Incoscienza; - Spirito > Coscienza. In quanto unità, per conoscere l'assoluto si possono percorrere due strade: 1. Filosofia della natura; 2. Filosofia trascendentale. 4.4.2 Filosofia della natura Schelling interpreta la natura, recuperando la concezione pre-socratica e rinascimentale per cui la natura è una totalità vivente. Schelling utilizza le più recenti scoperte che sono state conseguite nella fisica, chimica e biologia, da cui viene fuori un immagine della natura come energia, per rigettare la tradizionale concezione meccanicistica e materialistica elaborata dalla fisica classica. Più dettagliatamente, queste nuove scoperte lo portarono a rifiutare due concezione della natura elaborate prima di lui: 1. Concezione meccanicistica = natura come materia in movimento regolata da leggi meccaniche; 2. Concezione finalistico-teologica = causa trascendente del mondo. Egli oppone una visione della natura "organicistica", finalistica e immanentistica. - Organicistica = organismo, totalità organica, all'interno della quale le parti hanno senso solo in relazione al tutto. - Finalistica e immanentistica = la natura ha una finalità non imposta dall'esterno (trascendente) ma interna alla natura stessa (immanente). La finalità è di arrivare all'autocoscienza, cioè diventare spirito, attuandosi nelle molteplici cose che lo compongono. Prima di spiegare il processo di attuazione, bisogna spiegare perché la natura è attività auto-creatrice. Essa è una totalità vivente che ha in se stessa la ragione della propria esistenza, e in quanto vivente e in continua trasformazione (non statica come la natura di Fichte) è attività spontanea e creatrice. Essa crea gli oggetti della natura, quindi se stessa, concretizzandosi in essi. La natura si attua nelle forme concrete Copyright ABCtribe.com 59 del mondo attraverso la lotta tra due forse opposte presenti nella natura stessa: Attrazione e Repulsione. 1. Quando queste si equilibrano hanno origine le sostanza inorganiche; 2. Quando l'equilibrio si rompe e si ricompone l'effetto è il fenomeno della luce, attraverso la quale la natura diventa visibile a se stessa; 3. Quando l'equilibrio si rompe e non si ricompone si hanno le sostanze organiche. Questa lotta rappresenta il processo attraverso il quale la natura tende a divenire auto-cosciente, cioè spirito, e questo avviene con l'uomo che è la più perfetta delle sostanze organiche. Schelling dice che la natura è la preistoria dello spirito. 4.4.3 Filosofia trascendentale La filosofia trascendentale è complementare a quella della natura, perché entrambe vogliono dimostrare la stessa tesi, ovvero che l'assoluto è unità di natura e spirito. Esse però si muovono in due direzioni opposte in quanto la filosofia della natura parte dall'oggetto per arrivare al soggetto, mentre la filosofia trascendentale va dal soggetto all'oggetto. Quindi, l'autocoscienza, che nella filosofia della natura era il fine ultimo, qui è il punto di partenza. L'autocoscienza era presente anche in Fichte, ma con un significato diverso: per Fichte l'autocoscienza è riferibile solo al soggetto (l'io), mentre per Shelling è sintesi di due attività dialetticamente opposte. L'autocoscienza contiene un'attività limitata la quale produce inconsapevolmente l'oggetto, il quale viene perciò sentito dal soggetto come limite. Questa attività limitata viene chiamata anche attività reale per dire che l'io produce non solo la forma del mondo ma anche la realtà nel suo contenuto materiale. L'autocoscienza contiene anche un'attività illimitata e limitante, la quale consapevolmente oltrepassa il limite rappresentato dall'oggetto riconoscendolo come un proprio prodotto. Questa attività è detta anche attività ideale per dire che questa riconduce a sé l'oggetto. Queste due attività sono dunque due aspetti di una stessa attività, ovvero dell'autocoscienza, che è sintesi dell'una e dell'altra. Questa sintesi non è statica, ma dinamica, in quanto continuamente l'attività reale produce l'oggetto e l'attività ideale lo oltrepassa. In questa sintesi assoluta consiste l'intuizione intellettuale che l'io ha di se stesso, come unità indistinta di soggetto e oggetto, di natura e spirito, ciò vuol dire che l'intuizione intellettuale viene intesa da Shelling in modo diverso: Fichte > L'io si intuisce come soggetto; Shelling > L'io si intuisce come unità di oggetto e soggetto; Copyright ABCtribe.com 60 Ciò significa che nell'autocoscienza la natura ha lo stesso valore dello spirito. Questa autocoscienza si sviluppa per gradi successivi, l'io non diventa autocosciente in modo immediato, ma prende coscienza progressivamente attraverso tre tappe che Shelling chiama "epoche". - La prima epoca va dalla sensazione all'intuizione produttiva. La sensazione è il momento in cui il soggetto sente l'oggetto come esterno e quindi assume un atteggiamento passivo, nel senso che si lascia influenzare dall'oggetto. L'intuizione produttiva è invece il momento in cui l'io comincia a prendere coscienza di essere attività, però in questa fase il soggetto è ancora immerso nelle cose. - La seconda epoca va dall'intuizione alla riflessione; la riflessione è il momento in cui l'io riflettendo su di se si riconosce altro dall'oggetto. Comprende cioè che non è solo materia. - La terza epoca va dalla riflessione alla volontà e in quest'epoca viene portato a compimento il processo avviato nella seconda epoca. La volontà è il momento in cui l'io non si sente più condizionato dal non io e si scopre libero. Infatti l'io dopo essersi distinto dall'oggetto, si coglie come attività e come volontà, cioè come attività autoproduttrice, quindi come attività produttrice dell'oggetto. Nel momento in cui ha compreso ciò prende anche atto di non essere influenzato dal mondo esterno, capisce che il mondo ad essere sotto posto alla sua volontà. Con la volontà si passa dall'attività teoretica all'attività pratica. Questo spiega lo sdoppiamento della filosofia trascendentale in filosofia teoretica e filosofia pratica. La filosofia pratica si articola in morale, diritto e storia. La morale è la sfera della libertà, il diritto è la sfera della necessità, la storia è sintesi di libertà e necessità. La morale coincide con la libertà in quanto, secondo Shelling, nel momento in cui la morale impone all'uomo il dovere, presuppone la libertà dell'uomo, la libertà di scegliere se agire o meno in conformità di quel dovere. Solo l'uomo, quindi, può essere un soggetto morale, in quanto gli animali non hanno libertà di scelta ma seguono l'istinto; l'uomo invece è libero di dire si o no a quel dovere imposto dalla morale. Ogni uomo però trova di fronte a se altri uomini liberi: come si armonizzano le libertà Copyright ABCtribe.com 61 dei diversi uomini? A renderle compatibile provvede il diritto, che limita il singolo individuo per garantire la libertà di tutti gli altri. Questa unità di libertà e necessità si realizza nella storia, perché nella storia gli uomini agiscono liberamente in vista dei propri scopi, ma obbediscono inconsapevolmente ad un piano razionale e provvidenziale; proprio come in un dramma, la storia è il dominio dell'assoluto. E' nella storia che l'assoluto si realizza come unità indifferenziata di natura e spirito. Se è nella storia che si concretizza, l'assoluto può essere colto solo dall'arte. L'arte infatti è la vera filosofia, perché nell'opera d'arte si fondono l'ispirazione che è inconsapevole e l'elaborazione dell'opera d'arte che è consapevole. Per questo non si può trovare in un opera un solo significato, perché l’assoluto è illimitato. Alcuni significati sono inconsapevoli anche all'artista, perché inconsapevolmente la sua mano è stata guidata dall'assoluto. Perciò l'idealismo è detto oggettivo e estetico: oggettivo perché rivaluta la natura ed estetico perché considera l'arte come unico strumento con cui è possibile cogliere l'assoluto. 4.5 La Filosofia della Rivelazione 4.5.1 Prima lezione La prima lezione della "Filosofia della Rivelazione o fondazione della filosofia positiva" tratta della filosofia in generale. Ponendosi nei panni del principiante, Schelling, quasi rimettendosi in gioco, comincia col dire che lì, in quell'aula, dovrà esser data risposta a tutte quelle domande che "scuotono ogni spirito retto". Egli soffia sul fuoco delle aspettative dei suoi numerosissimi discepoli e contemporaneamente sul fuoco delle sue convinzioni già maturate e vagliate. Dopodiché comincia a tessere la sua tela. L'uomo, punto d'arrivo e meta di ogni divenire e di ogni creazione, è anche "punto, nel quale la natura, fin qui cieca, sarebbe giunta all'autoconoscenza". Con questi brevi ma efficaci concetti, egli fornisce a ogni studente uno "scudo" per difendersi dal deprimente spettacolo che offre uno sguardo attento alla storia di questo mondo: "Questo mondo della storia presenta uno spettacolo così sconsolante da farmi disperare di poter riconoscere un fine, e a maggior ragione, di conseguenza, una vera ragione del mondo. Tuttavia offre al discepolo anche una "spada" per combattere tale stato d'animo:"Io intendo una filosofia forte, che sia in grado di misurarsi con la vita e che, ben lungi dal sentirsi impotente di fronte alla vita e alla sua prodigiosa realtà e di occuparsi della triste faccenda della semplice negazione e distruzione, tragga dalla realtà stessa la sua forza e perciò anche, di nuovo, produca qualcosa di operante e consistente". Copyright ABCtribe.com 62 La filosofia di Schelling è dunque fondamentale: crea le fondamenta per pensieri che sappiano dirigersi verso l'"alto", e dà la possibilità di creare "materia vivente" e non "cadaveri". E' dunque anche una filosofia del bello e del buono, del vivo. Schelling conclude la lezione con due considerazioni, una della quali ci riporta ai nostri giorni, per farci vedere come anche oggi si ripresentino a volte gli stessi problemi di allora: "in molti circoli la filosofia è divenuta a poco a poco affare di parte, dove non si ha più a che fare con la verità, ma con la difesa di un'opinione". Chiude la lezione ripromettendosi di partire da Kant, il ripropositore dell'antica metafisica, e anticipando che la filosofia nel suo sviluppo si è distinta in negativa e positiva, e che l'unione di questi due lati consegnerà il vero volto della completa filosofia. Ma poiché questo tema l'ha già trattato, si soffermerà sulla filosofia negativa o razionale solo per quel che riguarda la sua fondazione generale. 4.5.2 Seconda lezione In questa seconda lezione continua il discorso sulla filosofia in generale. Si comincia con una considerazione: il vero è facile, per tanto è meglio non fidarsi dei discorsi difficili e oscuri. In effetti l'esposizione schellinghiana è abbastanza "semplice" per quanto può esserlo un parlare filosofico. Per sua stessa ammissione il contenuto delle sue esposizioni non riposa su assiomi predeterminati, ma ha il carattere del dinamismo, del movimento che dà vita al loro sviluppo incessantemente. Una cosa che va sottolineata, e che a noi sta molto a cuore, è l'invito ad usare il proprio pensiero: "il punto fondamentale dev'essere il proprio spontaneo pensiero, la propria intelligenza, che è ciò che bisogna usare. Non solo siamo invitati ad usare il nostro pensiero, ma dobbiamo farlo in maniera spontanea. Qui sicuramente viene messa in evidenza l'autonomia della scelta d'un pensiero. E quando si può essere autonomi? Allorché non esiste alcun condizionamento fisico, emotivo o mentale, cioè quando si gode di totale libertà. Solo allora si ha l'opportunità di "spiccare il volo" tramite l'intelletto; solo allora ci si può dedicare alle cose "alte", supreme. Uno studio della sola materia cristallizza lo spirito. Se noi ancora oggi parliamo di Aristotele è perché riconosciamo in lui sia lo "scienziato" , sia il metafisico, colui che con slancio mentale va oltre la pura fisicità. Non per nulla Schelling ammonisce i suoi: "Non ha goduto della vita accademica colui per il quale essa non è trascorsa in intimo legame con persone di uguale sentire, in una comune fatica per raggiungere convinzioni e luci sulle cose supreme". Quell’intimo legame con persone di uguale sentire ci riporta ancora una volta al problema della scelta delle persone giuste con cui accompagnarci. Su questo tema Schelling torna spesso, perché sa quanta Copyright ABCtribe.com 63 importanza riveste per i giovani una compagnia sana. E bacchetta spesso i falsi maestri che indirizzano sovente la gioventù, anziché verso metodi che possano procurare forza e strumenti per convinzioni che siano da guida, verso i soli problemi politici: "non è amico della gioventù chi cerca di riempirla della pena e della cura del mondo o dell'andamento del governo dello Stato, mentre essa deve innanzitutto procurarsi la forza per dei sentimenti e delle convinzioni che la guidino". Quindi porre prima le fondamenta, la base, e poi "costruire" il proprio pensiero, o meglio farsi "innalzare" dalla spontaneità del proprio pensiero con le ali della metafisica. Lo studio di essa deve essere centrale. E noi auspichiamo che si ritorni a studiarla con nuovi slanci, perché l'attuale momento nichilista deve in qualche modo essere fronteggiato, non per partito preso, ma perché toglie ogni senso al tempo, al futuro, alla storia, e rende vana la vita diffondendo un senso di vanità e disperazione che porta al caos e all'anarchia. Ma per costringerci a quel confronto con la realtà di cui parlava prima, Schelling ci ricorda che metafisica non è solo religione, e anche la virtù, anche la venerazione per la legge e l'amore per la patria. Quanto suonano d'attualità tali parole, e come farebbero bene ai nostri giovani, se qualcuno di buon senso le pronunciasse nelle aule universitarie di tanto in tanto. Senza metafisica, conclude il suo discorso Schelling, sarebbe un disastro, ed il risultato sarebbe la morale di Falstaff espressa prima di una battaglia: "…è l'onore che mi sprona. Già, ma se l'onore mi spunta dalla lista mentre io sto avanzando, e allora? L'onore può rimettermi a posto una gamba? No. O un braccio? No. O a farmi passare il dolore di una ferita? No. L'onore non è forte in chirurgia, allora? No. Che cos'è l'onore? Una parola. E che cosa c'è in quella parola onore? Che cos'è quell'onore? Aria. Un gran bell'affare! Chi ce l'ha? Quello che è morto Mercoledì. Se lo sente? No. Lo ascolta? No. E allora, é qualcosa che i sensi non percepiscono? Sì, è per i morti. Ma non vive con i vivi? No. Perché? La calunnia non lo può permettere. Perciò non me ne faccio niente. L'onore è solo un blasone buono per i funerali. E così finisce il mio catechismo". Credo che Shakespeare non abbia bisogno di commenti, ma sono sicuro che un cattivo maestro saprà trovare delle giustificazioni al comportamento di Falstaff. Noi, lo confessiamo, non sappiamo andare oltre una comicità che fa riflettere. Il grande drammaturgo con tale personaggio mette a nudo uno dei tanto caratteri umani, mette a nudo l'anima di chi riesce a giustificare la propria meschinità, il proprio egoismo, il proprio tornaconto. Ben altro esempio quello di Socrate, che pur di non disubbidire alle leggi di Atene preferisce morire! Purtroppo, di Falstaff in giro per il mondo ce n'è parecchi, ed alcuni si spacciano pure per maestri. In democrazia è permesso pure questo, e non sarebbe grave di per sé. La cosa comincia a preoccupare quando riescono ad accalappiare qualche discepolo di poca volontà. Copyright ABCtribe.com 64 E ancora una volta invitiamo tutti ad usare la ragione, e soprattutto a compiere il proprio dovere. Se si è insegnanti, si ha il dovere di insegnare; se discepoli, di apprendere; e così via. Tutto questo è anche metafisica. Ma ecco che Schelling, ancora una volta, invita, sprona i suoi discepoli a porre ciascuno le basi, le fondamenta della propria esistenza: "Nelle ore sane di questa età felice vengono prese le grandi decisioni, concepite le idee che poi devono calarsi nell'esistenza: qui ciascuno deve trovare e riconoscere il compito della sua vita", e poco dopo aggiunge:"Mi sono assunto il dovere di essere per loro, non solo un maestro, ma anche un amico e un consigliere. Chi ha già superato "il mezzo del cammino" della propria vita, sa quanto sono vere queste parole. Le grandi scelte, quelle che poi caratterizzeranno il resto della vita si fanno proprio in quell'età, e chi non ha provveduto a darsi la rotta, sarà costretto a navigare nell'oceano della vita su una barchetta di carta. Schelling è davvero un amico e un consigliere sincero, e non ci meraviglia che anche grazie a lui la scuola filosofica tedesca continuerà per secoli la sua missione. Ma i consigli in questa lezione non finiscono qua. Perché egli invita i suoi apprendisti filosofi ad attingere l'antica filosofia direttamente alle fonti: leggere direttamente Platone è mille volte più proficuo che spulciare diecine di commentatori. Conclude questa seconda lezione invitando chi vuol fare della filosofia il suo studio particolare, a incominciare da Kant. 4.5.3 Terza e quarta lezione Schelling, parte da Kant e dalla sua Critica della ragion pura che a sua volta si rifà all'antica metafisica. Giunto ai concetti universali, agli a priori kantiani, ci ricorda con Aristotele che usare l'intelletto è una sorta di patire, nello stesso modo in cui ciò che "riceviamo dall'esperienza è qualcosa che prendiamo, ma non produciamo. E procedendo a ritroso arriviamo all'Iliade ottenuta per caso lanciando in aria le lettere dell'alfabeto. Se tutti i grandi fondatori di religione parlano di anima per diretta esperienza, se milioni di santi di ogni fede hanno avuto esperienze che confermano l'anima, se Plotino volava con essa, se Paolo veniva rapito nei cieli, se migliaia di gente comune asserisce di avere avuto strane esperienze, tutto questo un pensatore coi piedi per terra, secondo loro, lo deve solo ignorare. Se poi qualcuno come Jung, medico psichiatra, afferma di essersi trovato alto nel cielo e di essere stato cosciente, viene subito accusato quasi con compassione e con disprezzo, di essere un mistico, come se Copyright ABCtribe.com 65 essere mistico significasse essere idiota. Ce l'abbiamo con la scienza? No. Critichiamo solo alcuni boriosi, e a nostro parere miopi uomini di scienza. Scienza e filosofia devono andare di pari passo, ma l'una non può, non deve trascurare l'altra. Come esempio vogliamo ricordare come tanti altissimi ingegni hanno attinto ad alchimia e cabala, forme di misticismo. Quindi lasciateci porre una domanda provocatoria: non è che senza certe speculazioni cosi dette mistiche certi scopritori non avrebbero scoperto un bel niente? Chiusa la parentesi. L'esperienza, dunque, "è qualcosa che prendiamo", essa ci offre quanto stava lì in attesa d'esser preso. L'esperienza, diremmo quasi, è un incontro. Schelling si soffermerà dopo sulle categorie a priori di Kant, per giungere poi attraverso Fichte al suo tempo: "Kant riteneva che si desse una conoscenza a priori delle cose, ma da questa conoscenza a priori escluse la cosa più importante, e cioè l'esistente stesso, l' in sé, l'essenza delle cose, ciò che in esse propriamente E' ". La prospettiva era che l'esistente stesso si facesse conoscere a priori. Qui affondò il suo genio Fichte, che per primo accolse l'idea di "una scienza totalmente a priori": tutto deve essere dedotto da un Prius Assoluto: è l'Io di Fichte: l'Io sono è atto fuori del tempo attraverso cui soltanto si giunge alla conoscenza. Per lui la Natura era nell' Io, era il limite di esso, quindi puro Non-Io. Fichte sostenne inoltre la necessità di una "deduzione generale di ogni conoscenza a priori da un Principio", e che questa nesessità doveva essere ricondotta alla ragione assoluta. La ragione è dunque soggetto di ogni essere. Ora, "secondo Kant Dio è il concetto supremo della ragione", ma la domanda è: può la ragione provare che Dio esiste, attraverso l'esperienza? No. Se, come dice Kant, la ragione è facoltà di conoscere in generale, essa è "infinita potenza di conoscere",a cui non può che corrispondere " l' Infinita potenza dell'essere". Quindi, poiché la ragione sta prima di ogni essere, si può affermare che "le cose sono soltanto le particolari possibilità individuate nell'infinita, cioè nell' universale potenza" Schelling ci sta introducendo alla Rivelazione. Ma fin da ora comincia a farci comprendere il meccanismo attraverso cui, un bel giorno Dio decise di rivelar Si. Lo testimoniano questi passaggi:" La potenza che si muove verso l' essere, finché non si è ancora mossa, è ancora soggetto dell'essere, uguale a ciò che E'; essa, però, ha soltanto l'apparenza di ciò, perché si manifesta come ciò che non è, in quanto diviene un altro"…"nella misura in cui esce fuori dalla sua mera potenza, con ciò esce anche fuori della sfera di ciò che è, entra nella sfera del divenire, ed è perciò l'ente e Copyright ABCtribe.com 66 non lo è". Ma in ultima analisi, dice Schelling, l'ente non è ciò che è e ciò che non è, ma ciò che E'. A suo avviso, con Hegel si è raggiunta l' "apparenza della conoscenza": un concetto era scambiato per esistenza. Se Dio in Kant era il più alto concetto, rimaneva pur sempre idea. In Hegel divenne pensiero. 4.5.4 Quinta lezione L' ente, nel senso di archetipo di ogni essere, deve innanzitutto essere il soggetto dell'essere, di ciò che può essere; deve insomma essere la potenza dell'essere, e non di ciò che ancora dev'essere: la potenza di "ciò che esso è già". Questo ente che è innanzitutto soggetto, ha con sé il proprio compimento (il soggetto è in sé un vuoto che deve essere riempito attraverso il predicato). L'ente è perciò tanto immediatamente essente quanto potenza di essere, ed è proprio il puramente essente , che è pienamente e totalmente oggettivo". Insomma, nel soggetto, come potenza di essere, l'ente è anche oggetto: è un soggetto-oggetto. Ora, però, soggetto, oggetto e soggettooggetto, non sono l'ente stesso nella sua purezza, pertanto sono accidentali: tolti essi, abbiamo il puro ente "la scienza che compie questa eliminazione dell' accidentale nel primo concetto dell'ente è scienza critica, è di specie negativa, e ha solo nel pensiero, nel suo risultato, ciò che noi abbiamo chiamato l'ente stesso. Riconoscere però che quest'ultimo esista anche nella sua purezza con l'esclusione dell'essere meramente accidentale, al di là di quell'essere, non può più essere affare di quella scienza negativa, ma soltanto di un' altra che in opposizione a quella dovrà chiamarsi positiva. Quindi la filosofia negativa, cerca il suo supremo oggetto, ma di esso, col pensiero giunge al solo concetto. La filosofia positiva " invece si rapporta immediatamente a questo oggetto, all'ente che si eleva oltre ogni dubbio". Ovviamente entrambe le scienze, le filosofie, sono necessarie: è vero filosofo chi le pratica entrambe. Schelling precisa che con "negativa" non intende la filosofia di Hegel: "non posso farle tale onore, non poso concederle di essere negativa, il suo errore base sta pittosto nel fatto che essa vuole proprio essere positiva. La filosofia esposta da Hegel è la filosofia negativa spinta oltre i propri limiti; essa non esclude il positivo, ma lo ha, a suo parere, in sé, come a sé sottoposto. Il grande Verbo addotto ripetutamente dagli scolari era: la piena e reale conoscenza dell'esistenza di Dio che Kant aveva negato alla ragione umana era garantita attraverso la filosofia Hegeliana; anche i dogmi cristiani erano per essa soltanto un'inezia. Questa filosofia io l'ho combattuta a lungo nelle mie dissertazioni e continuerò a combatterla". Schelling ha appena spalancato le porte e le finestre della sua filosofia alla mitologia e alle religioni, cioé alla Rivelazione. Questa quinta lezione è molto importante per ciò che abbiamo sottolineato: Il Divino della storia Copyright ABCtribe.com 67 non può più essere ignorato dalla filosofia, perché è divenuto storia. Schelling, con la sua filosofia positiva, va oltre il principio kantiano secondo cui non vi è altra filosofia che quella razionale. In ultima analisi, la filosofia negativa mira al "puro che cosa, all'essenza delle cose; quella positiva, all'esistenza effettiva delle cose. Certo qualcuno potrebbe accusare Schelling di sentimentalismo, ma è egli stesso a chiarire ogni dubbio: "Io non sono di coloro che cercano la fonte della filosofia in generale nel sentimento, però per il pensare e lo scoprire filosofico, come per quello poetico e artistico, il sentimento deve essere la voce che ci ammonisce su ciò che è innaturale e non è chiaro". Schelling conclude questa importante lezione, con una frecciatina ad Hegel e con una considerazione finale sulla filosofia positiva. Eccole. "Per quanto riguarda Hegel, questi si vantava proprio di avere Dio come Spirito Assoluto a conclusione della filosofia. Ora, si può pensare uno Spirito Assoluto che non sia al contempo assoluta personalità, un essere assolutamente consapevole di sé?". "La filosofia positiva, infatti, può incominciare puramente di per sé , anche soltanto con la semplice affermazione: io voglio ciò che è sopra l'essere, che non è il semplice ente, ma è più di questo, è il Signore dell'essere. 4.5.5 Sesta lezione La Filosofia Positiva ha, secondo Schelling, origini remote. Aristotele rimprovera agli Eleati (si tratta in pratica di Parmenide e Zenone, entrambi di Elea, colonia Focese in Lucania) che essi, mentre la loro scienza è solo logica, ciononostante vogliono lo stesso dare con essa spiegazioni reali. La filosofia eleatica provoca solo vertigini e "non assicura alcun aiuto…esclude ogni accadimento effettuale". Quindi per Aristotele con la sola ragione, con la sola logica si può arrivare fino a un certo punto e non oltre. Schelling poi esamina il non sapere famoso di Socrate: egli "non svaluta ogni sapere, ma proprio quel sapere di cui gli altri si vantavano ed in virtù del quale essi credevano di sapere; anch'egli si attribuisce quest'ultimo sapere, ma aggiunge che gli è noto che esso non è un sapere reale. Senza un precedente grande sapere, l'affermazione che non si sa nulla è semplicemente ridicola; infatti cosa c'è di notevole nel fatto che colui che non sa niente assicuri che non sa niente?". Il sapere che egli ha in comune con gli altri "potrebbe essere la pura scienza della ragione". Noi condividiamo quanto Schelling propone: sarebbe davvero ridicolo esaltare quel non sapere come qualcosa di straordinario, senza la spiegazione schellinghiana. Certo la cosa è stata interpretata in mille modi diversi, ma nessuno fino ad oggi ci aveva convinto. Sicuramente Schelling parlava di Aristotele e di Socrate, perché di Hegel s' intendesse. Passa poi a parlare Copyright ABCtribe.com 68 di Platone, che, secondo il suo punto di vista, nel Timeo si fa storico ed irrompe nel positivo. Socrate e Platone si comportano entrambi , nei confronti di questo positivo, come di fronte a qualcosa di futuro, si rapportano a esso profeticamente". Ma Aristotele, dice Schelling, "si è staccato dal Meramente logico e, al contrario, si è applicato al positivo per lui raggiungibile, all'empirico nel senso più lato della parola. E qui Schelling arriva a ciò che gli sta più a cuore, e cioè "screditare" la filosofia di Hegel: "L' a priori non è , come lo prese Hegel, una vacuità logica, un pensare che a sua volta ha a proprio contenuto soltanto il pensare. Il vero logico, il logico nell'effettivo pensare, ha in sé un rapporto necessario all'essere, esso si porta al contenuto dell'essere e trapassa necessariamente nell'empirico. La filosofia negativa, di conseguenza, in quanto aprioristica, non è filosofia meramente logica nel senso che essa esclude l'essere. Soltanto come potenza, infatti, l'essere è contenuto nel puro pensare. Ciò che però è potenza, è secondo la sua natura portato a saltare nell'essere. Per la natura del suo contenuto , dunque, il pensare è attratto fuori di sé". I cardini della rivelazione sono tutti qui, e quando affronteremo l'ultima parte, ci ricorderemo di tali "premesse". La filosofia razionale non può dunque andare oltre l'esperienza, per cui il limite di questa filosofia rimane inconoscibile. Man mano che la fine s'avvicina, la potenza viene vinta dall'atto. Quindi l'essenza, il che cosa delle cose, è l'atto finale. La filosofia negativa ha pertanto il suo limite nell' "Ultimo", nell'atto puro. Quindi, l' Ultimo, Dio, è per Aristotele la fine, e non l'inizio di "una manifestazione reale". E' sì causa del movimento, ma E' immobile. Come un amante verso cui tendiamo, Dio, pur restando fermo, ci muove verso di Lui. A questo punto, Schelling, dopo avere paragonato Leibniz e Bohme rispettivamente a Pitagora ed Eraclito, afferma che Kant rimane l'Aristotele tedesco, nonostante certa filosofia moderna, pretende di passare per aristotelica. Si riferisce ancora una volta ad Hegel, la cui filosofia proponeva di un Dio che, con movimento circolare, si cala nell'essere più basso e qui rimarrebbe chiuso, cieco e sordo, "ma Dio scende perpetuamente per salire poi ininterrottamente attraverso gradini sempre più alti fino alla coscienza umana, in cui egli, estenuando o eliminando la propria soggettività, diviene Spirito Assoluto, soltanto ora, cioè, propriamente Dio. Tale movimento circolare sembra a Copyright ABCtribe.com 69 Schelling completamente antiaristotelico e inaccettabile. In ogni caso fermarsi al concetto aristotelico di Dio significherebbe accogliere una Divinità vista più come fine cui tutto tende, che come principio e causa di tutto. Quindi Schelling, per certi versi, vede in Aristotele un ateo. Meglio Platone. Ma allora perché la chiesa ha "sposato" la filosofia aristotelica piuttosto che quella Platonica? Risposta velata: la chiesa ha bisogno di censurare qualcosa; se accoglie un'altra filosofia deve ammettere che la ragione, e non altro, sia l'origine del cristianesimo. La fine della lezione è dedicata all'empirismo e al razionalismo nati dalla dissolta metafisica scolastica. Pensiero ed esperienza si compenetrano, dice Schelling: "è erroneo limitare l'empirismo a ciò che semplicemente cade sotto i sensi" " nessuno sa che cosa c'è in un uomo, se questi non si esprime: nel suo carattere intellettuale e morale egli è conoscibile soltanto a posteriori , cioè attraverso le sue manifestazioni e azioni ". " L'empirismo come tale non esclude dunque affatto ogni conoscenza del sovrasensibile, come di solito si ritiene e anche Hegel presuppone". " La filosofia positiva ..é appunto capace di conoscere ciò che non può cadere nell'esperienza, ciò che è al di sopra dell'esperienza". 4.5.6 Settima lezione Qui si parla dei vari gradi di empirismo filosofico, uno dei quali è il teosofismo come misticismo speculativo: l'estasi può trasportare a Dio, e con ciò la reale intuizione, sia dell' esperienza divina, sia dei processi della creazione. Schelling, quando parla di teosofismo, si riferisce propriamente a quello bohmiano: le cose scaturiscono da Dio "come un procederne reale": la divinità è "impegnata in una specie di processo naturale".Per la filosofia positiva, invece, Dio non può essere risultato reale di un processo. Su questo punto, al contrario,Hegel è totalmente teosofico, e Schelling non perde occasione di attaccarlo: se la natura viene "licenziata" da Dio, la materia esce direttamente da Lui; allo stesso modo, il Dio di Hegel che nella logica è chiuso nell'eternità, da essa è uscito. Ora, per Schelling, "Tutto questo è tanto teosofico quanto qualcosa può esserlo in J. Bohme, con la sola differenza che tale elemento fantastico in J. Bohme è qualcosa di originario e di realmente prodotto da una grande intuizione, mentre qui è legato a una filosofia il cui indubitabile carattere è di essere la più pura prosaicità e un' insipidezza assolutamente priva di intuizione ". Quindi esalta la figura di Bohme: "apparizione miracolosa nella storia dell'umanità"; "sublime nella sua specie"; "natura teogonica"; "sempre Copyright ABCtribe.com 70 ammirevole". Tuttavia, alla fine, della teosifia bohmiana trova il limite: tale teosofismo è astorico tanto quanto il razionalismo. "Il Dio di una filosofia veramente storica e positiva, viceversa, non si muove: agisce "..."Il movimento sostanziale in cui il razionalismo è chiuso parte da un Prius negativo, cioè da un non essente che deve anzitutto muoversi verso l'essere. Viceversa, la filosofia storica parte da un positivo , cioè dal Prius essente, che non deve anzitutto muoversi verso l'essere e che pone dunque un essere soltanto con piena libertà, senza esservi costretto da se stesso, e pone un essere che non è immediatamente il proprio, ma un essere distinto dal proprio essere, in cui quest'ultimo è negato o sospeso piuttosto che posto…". Dunque , la filosofia positiva non parte da un essere presente nell'esperienza, essa parte da qualcosa che è prima e al di fuori di ogni pensare, dunque dall'essere, però non da un essere empirico…" parte da un essere assolutamente trascendente. Che la filosofia positiva non parta dall'esperienza, non esclude però che essa tenda all'esperienza e provi a posteriori il "suo" Dio. Ora noi diciamo: se questo è un andare indietro, un limite della filosofia schellinghiana, beh!, ben vengano i limiti. Siamo così arrivati ad un punto importante. Se il Prius della filosofia positiva è assoluto e non ha necessità di procedere verso l'essere, Se esso trapassa nell'essere, questo può essere solo conseguenza di un' azione libera di un'azione conoscibile solo a posteriori. E' così delineato il percorso della Rivelazione che attraverso la storia che dall'Antico Testamento, attraverso il paganesimo, giunge al Nuovo Testamento e alla figura di Cristo. Quindi, questo Dio realmente esistente offre alla filosofia l'opportunità di riprendere una ricerca infinita su un regno dell'esistenza incompiuto e inconcluso. Ecco perché auspichiamo, con Schelling, un ritorno alla metafisica: essa, votata a tale ricerca, non finirebbe mai. Insomma, sintetizzando quanto finora detto, la filosofia negativa si occupa dell'ente, quella positiva del Sovraessente. La prima è filosofia conclusa, la seconda, no. Infine, Schelling chiude questa settima lezione giustificando l'invito a partire da Kant: la filosofia kantiana finiva con il postulato di un Dio realmente esistente, "dunque con l'esigenza di una filosofia positiva”. Con l'ottava lezione finisce il libro primo (Introduzione alla filosofia della rivelazione o fondazione della filosofia positiva), e con la IX lezione comincia il libro secondo, e cioè la prima parte della filosofia della rivelazione. 4.5.7 Nona lezione La filosofia della rivelazione scaturisce dalla filosofia della mitologia. Per Schelling il paganesimo è un cristianesimo "rovesciato e deformato", ed il cristianesimo è prima di Cristo. Più tardi capiremo queste affermazioni. Quando si ha un movimento, bisogna considerare tutti i momenti di esso come parti del fine, e se la meta costituisce la sua verità, ogni singolo momento è vero. Il paganesimo è, in un certo senso, un momento del cristianesimo, il suo presupposto. La meta Copyright ABCtribe.com 71 di tutta la Natura è ciò che sta al di sopra di essa: l'uomo come spirito: l'uomo "è la verità dell'intera natura". A proposito del cristianesimo dice Schelling: "Non è giusto, in generale, parlare solo della dottrina di Cristo. Il contenuto fondamentale del Cristianesimo è appunto Cristo stesso, non ciò che Egli ha detto, ma ciò che Egli è, ciò che Egli ha fatto. Il Cristianesimo non è immediatamente una dottrina, Esso è una realtà…". Sicuramente è questo un punto di vista originale, e lascia intendere come la filosofia della rivelazone si occuperà di Cristo fin dalla sua scaturigine, vissuta nel paganesimo in un certo modo, e nel così detto cristianesimo in un altro. L'elemento "storico più alto" del cristianesimo è per Schelling l'incarnazione, l'idea di un Figlio di Dio che si fa uomo. Di tale lezione diciamo poco, perché in essa vengono ribaditi e approfonditi concetti già espressi. 4.5.8 Decima e undicesima lezione In questa lezione Schelling accosta filosofia e morale. Una dottrina immorale non potrà mai essere chiamata filosofia. Per quanto essa possa essere "prodotta con inconsueta acutezza", per quanto possa avere apparenza di verità, non potrà mai essere filosofia, perché questa dirige la mira più alla morale, che al razionale. Tanto è vero che, quel filosofo la cui filosofia viene criticata non si sente attaccato solo nell'intelletto ma si sente anche "diminuito nel suo valore morale e nella sua volontà. Sì, perché la filosofia è prima di tutto un "volere", uno sforzo titanico verso la vera saggezza che altro non è che la fine permanente, la cui non conoscenza preclude la stessa saggezza. Ma la ricerca di essa presuppone anche un abbandono al senso del mondo: l'uomo, all'inizio della sua esistenza si ritrova immerso in un fiume il cui flusso lo costringe. Egli deve sapersi abbandonare ad esso, non deve resistergli. Tuttavia non deve farsi travolgere, ma "deve imparare a comprendere il senso di questo movimento" e distinguere ciò che è modificabile da ciò che non lo è, "per cambiare laddove è possibile il cattivo in buono". Il filosofo non può dunque procedere come capita, ma fin dall'inizio deve alzare con libertà e previsione le vele della saggezza. "La Via del Cielo è di non lottare, e nondimeno saper vincere; di non parlare, e nondimeno saper rispondere; di non chiamare, e nondimeno far accorrere; di essere lenti, e nondimeno saper fare progetti". L'abbandono dev'essere dunque vigile, dev'essere come un silenzio prima dell'intuizione, Copyright ABCtribe.com 72 una terra vergine pronta ad essere seminata e a dar frutto, e questo è saggezza. Ma per quanto si è detto precedentemente, la filosofia deve partire non dal già essente, ma da cio che sarà, "ciò che immediatamente può essere". Ciò che sarà è solo il prodotto di un volere, null'altro. Viene fatta ora una considerazione importante: La volontà di essere, una volta avviata, accesa, non è più la stessa, e siamo di fronte al "necessariamente essente". Ciò, quella potenza che poteva scegliere fra essere e non essere, adesso non è più padrona di sé nello stesso senso "in cui si dice che un uomo è fuori di sé". Così l'immediata potenza di essere non ha potere su se stessa. E Schelling coglie l'occasione per rivolgerci una raccomandazione: "Con nulla (sia detto di passaggio) l'uomo dev'essere tanto economo quanto con il suo potere, poiché lì risiedono la sua vera potenza e la sua forza, e ciò che egli conserva in sé come potere, ciò appunto costituisce il suo immortale tesoro da non perdere, dal quale egli deve attingere, ma che egli non deve esaurire". Quindi si può dire che, quanto pensiamo prima e sopra dell'essere, non è nulla, ma E' e basta, "esso E', soltanto non nel senso di ciò che in seguito sarà". Siamo davanti all' "essere puramente essente", che altro non è che volontà capace di volere, ed è come nulla". Insomma, potenza di essere e puramente essente non sono sostanza, ma soltanto determinazioni dell'Uno sovra reale". Conclusione: quest' Uno è entrambi; entrambi sono la stessa sostanza. Quando parleremo del Padre e del Figlio, e del problema del bene e del male, nella rivelazione, capiremo meglio questi concetti, che già qui aprono vasti orizzonti. Per ora accontentiamoci del fatto che l'oggetto non è questo o quella, ma L' Uno. A questo punto, se si pone come soggetto la potenza di esser e come oggetto il puramente essente, otteniamo un "terzo" che è un inscindibile: soggetto-oggetto…che non può perdere se stesso. Possiamo dunque dire che il "non dovente essere" è celato nel "dovente essere", come il male del bambino è celato nel bene. Però non si deve pensare ad un "non dovente essere" come principio del male". Male può chiamarsi solo un "non dovente essere" esplicato: …, per tanto "il male come tale è possibile solo nella creatura". Schelling conclude l'undicesima lezione affermando che questo Uno è universale totalità, e che ciò-che-sarà, il soggetto di ogni essere, è "necessariamente" totalità universale. Quindi la sua filosofia tratta del tutto: la parte è il tutto ed il tutto è la parte. "Ora, questo è il carattere della perfetta spiritualità. Nello spirituale l'inizio non è fuori della fine, ne la fine fuori dell'inizio, l'inizio è appunto là dove è anche la fine, e la fine appunto là dove è anche l'inizio - come Cristo descrive lo spirito paragonandolo al soffio del vento: il vento spiria dove vuole (cioè ogni punto è per Lui uguale), e tu senti bene il suo sibilo, però non sai da dove venga e dove porti, tu non puoi cioè separare in esso l'inizio dalla fine, esso è ovunque inizio e ovunque fine…". Ciò-chesarà è dunque Spirito compiuto e assoluto. Copyright ABCtribe.com 73 4.5.9 Dodicesima, tredicesima e quattordicesima lezione Schelling può adesso dichiarare di aver trovato "ciò che è prima e sopra dell'essere"; che la vecchia filosofia relazionava Dio e il mondo tramite concetti, e che con la filosofia oggettiva inaugurata da Kant, la relazione deve avvenire tramite rapporto reale; e che principio della filosofia è lo Spirito perfetto, di cui l'intelletto può esprimere qualcosa soltanto tacendo, perché esso è assoluta trascendenza, entusiasmante libertà. "La libertà è il nostro punto più alto, la nostra divinità, è essa che noi vogliamo come causa di tutte le cose". I momenti "del compiersi di tale Spirito sono: il puro essere in sé; l'uscire da sé; ritornare in se stesso". Più tardi vedremo che queste tre fasi sono proprie della rivelazione: 1) Dio; 2) Figlio, 3) attraverso cui l'uomo torna a Dio. Si passa poi a parlare della creazione. "Le idee esistono come visioni del creatore, prima ancora di esistere effettivamente". Ecco quella potenza originaria, quella Fortuna primigenia dei romani, quella Maja indiana che stende davanti al Creatore le reti dell'apparenza…per avvincere in qualche modo il Creatore e indurlo all'effettiva creazione. Ecco la Sapienza dell' Antico Testamento. Ma nel suo uscire da Dio questo principio è piuttosto ciò che nega Dio o l'unità divina, e nel suo ritornarvi è ciò che Lo conosce. E' ciò che era prima, ma al ritorno è cosciente di se stesso, l'intelletto di tutto il movimento. L'intelletto è dunque la fine del "cieco volere". Siamo di fronte all'umana coscienza. Ma siamo davanti anche alle vere eterne idee..che come montagne dei tempi più antichi, si levano al di sopra della banalità e della meschinita…". Queste banalità e meschinità vanno riferite ancora una volta alla filosofia di Hegel che il tempo (secondo Schelling) spazzerà via presto. 4.5.10 Dalla Quindicesima alla Diciottesima lezione Questa unità spirituale che tutto può compiere è il Padre, la Autore. Dal Padre alla Trinità il passo è breve: essa non è dottrina esclusivamente cristiana, è un'idea che precede il cristianesimo, il quale è uno sviluppo di essa, che è anche premessa ad una filosofia della rivelazione. Schelling ci riepiloga quanto finora detto: Prima si ha un Dio come Spirito Assoluto e Perfetto, che non ha alcuna necessità di passare all'essere; in un secondo momento. Gli si prospetta la possibilità di un essere fuori di esso, e tale possibilità fa sì che lo Spirito si concepisca come Signore di tale essere: passiamo così da Dio a Padre. Copyright ABCtribe.com 74 Tale essere è la possibilità di un futuro Figlio, il quale, per la sola sua possibilità d'essere, fa sì che il Padre senta la libertà che ha di esternarlo. Ora, siccome tale essere, tale Figlio, fin dall'eternità è dentro il Padre, ecco che possiamo affermare la co-eternità del Figlio fintanto che Egli rimane dentro. Ma la forza generatrice del Padre, non è il Padre: è solo la sua potenza. Nel momento in cui la volontà del Padre è in tensione, "anche la terza forma dell'essere divino (lo Spirito) sia posto in uno stato potenziato…e l'essere le è mediato dal Figlio". Il Padre è causa, il Figlio crea, lo Spirito porta a compimento. A proposito della creazione, Schelling sottolinea come "la massima creatura è un vero quarto chiuso fra le tre cause, da esse per così dire conservato e custodito in comune e appunto questa suprema creatura è l'uomo, l'uomo nel suo primo essere…". Da qui l'importanza che i pitagorici attribuivano al numero quattro, alla Tetraktys: il numero della creatura. Il nostro grande filosofo ci parla poi del Male. Dopo averci ricordato che l'apostolo Paolo descrive la caduta dell'uomo come una sottrazione, una perdita dell'essere," non perdita della dignità che dovrebbe avere davanti a Dio (come comunemente vien detto), ma della qualità del Signore che è propria di Dio. Insomma l'uomo voleva operare con le potenze di Dio, ma scacciato dall'interiorità in cui era stato posto rispetto alle potenze, cade sotto il regime esterno di quelle potenze, ed invece d'esser lui a impadronirsi di esse, che nell'unità non era percepibili, sono le potenze ad impadronirsi della coscienza sua. Il contrasto delle potenze prima era impercettibile, adesso non più, ed il contrasto di esse diviene una "distinzione di bene e male". L'uomo credeva che il principio che è causa di ogni tensione e che gli era stato affidato per esser custodito, estrinsecato e acceso da lui rimanesse in suo potere, e di ottenere per suo tramite la vita eterna. "Ma quel principio è il fondamento, la base dell' umana coscienza, è cioè soggetto all'umana coscienza soltanto in quanto resta nel suo in-sé. Se però esce da questo in-sé, esso è una forza che trascende l'umana coscienza, la supera, in qualche modo la disgrega e la distrugge, un principio al quale ora è piuttosto soggetta la coscienza". Se tale principio viene eccitato dall'uomo si trasforma in "qualcosa di vivente autonomamente", non è più posto da Dio, e pertanto è "non dovente essere". Ecco il principio della morte, il distruttore di ogni cosa creata. Esso è venuto al mondo attraverso l'uomo. Schelling dà ragione a Fichte quando questi dice che l’uomo ha posto il mondo fuori di Dio. Ed ecco che questo mondo "staccato dal suo vero futuro, inutilmente cerca la propria fine, e generando quel tempo falso, puramente apparente, ripete sempre soltanto se stesso in una triste uniformità". Quindi è dipeso dalla volontà dell'uomo che l'unità voluta da Dio permanesse o meno. Ciò detto, Schelling Copyright ABCtribe.com 75 apre una parentesi alchemica, riportando un pensiero di Goethe tratto dall sua Teoria dei colori. Questi a Dio, Virtù e immortalità fa corrispondere oro, salute e lunga vita. Se desiderare quelle tre più alte idee è cosa nobile, è desiderabile anche impadronirsi del corrispettivo terreno. Il nostro filosofo accetta il paragone ma fino a un certo punto. Secondo lui il tutto è riconducibile al fatto che l'uomo: 1) è convinto di potere, a certe condizioni e in certi casi, influire sulla natura con la sua sola volontà (credenza nella magia); 2) è convinto di poter trasmutare i metalli, liberando così la natura dalla maledizione della corruzione; 3) è convinto di poter ringiovanire se stesso tramite la stessa tintura che trasmuta i metalli. Queste tre cose sono le rovine, i ricordi appannati di una coscienza originaria, che si vorrebbe riconquistare tramite tali procedure. In effetti il primo rapporto che l'uomo ha avuto con la natura è stato di natura magica, ma la parola magia significa potenza, e siccome la più alta potenza è la volontà, pertanto ciò che egli fa col "suo solo silenzioso potere…viene pensato come fatto da lui magicamente". Ma l'uomo s'è posto fra Dio e Natura, e quest'ultima, non potendosi più elevare, s'è dovuto costruire un mondo separato da Dio, ed ogni cosa si manifestò nella propria individualità, e, come dice l'Apostolo Paolo, fu costretta alla vanità. L'egoismo si impadronì della natura. Insomma l'alchimia, coi suoi principi, testimonia di un "essere originario che venne mutato". Ora, l'alchimista vorrebbe, coi fatti, ricostruire quella distrutta coscienza, mentre il filosofo s'accontenta di ricostituirla idealmente. Proprio questa è la concezione "che sta alla base del mio sistema dell'idealismo". Ecco perché nei vangeli si parla di "Figlio dell'Uomo": la seconda personalità è posta solo dall'uomo, perché fuori di Dio. Nonostante ciò, il mondo rimane lì, perché la Volontà continua ad operare ancora "ma come sdegno, come ira divina". Chi ha una minima conoscenza di Bohme, sa che il mistico tedesco qui ha influenzato il pensiero di Schelling. Per Bohme "il manifestarsi di Dio è un movimento, ed il prodursi di questo movimento comporta che l'Uno si apra al Due. Con ciò è data una possibilità: che il Due dimentichi di essere l'apertura dell'Uno e, riflettendo, si consideri altro dall'Uno". Anche se in Dio non c'è vera separazione: Luce e Fuoco, Sì e No, sono una cosa sola: "La volontà centrale eterna del Fuoco, ossia la collera divina, si separò in qualcosa di proprio". "Quando il fuoco centrale del volere appropriante si mosse, contraendosi per un maggior desiderio di contemplarsi in una forma, prese avvio la creazione…". Nasce un principio limitante illusoriamente autonomo, un "volere proprio". "La creazione non è altro che una rivelazione di Dio”. Copyright ABCtribe.com 76 Dio - dicevamo - continua dunque ad operare ma con ira, con sdegno: Egli si comporterà ancora come Padre, ma solo attraverso il Figlio. Se potevamo distinguere un tempo del Padre ed uno del Figlio, quest'ultimo è distinto in tempo della sofferenza: paganesimo, durante il quale Egli "deve, in quanto potenza esclusa dall'essere, rendersi di nuovo dapprima soltanto signore dell'essere non-divino"; e tempo del suo apparire nel Cristianesimo dopo essersi reso padrone dell'essere e avere ripristinato la sua volontà divina. "Qui sta il punto di passaggio alla filosofia della mitologia". La coscienza mitologica che sta nei misteri dei greci rappresenta il punto di passaggio alla filosofia della rivelazione. Ma ora vorremmo sottolineare un passo sicuramente letto da Jung: "Le rappresentazioni mitologiche non entrano da fuori nella coscienza, sono prodotti di un processo vitale, per quanto errato; infatti, come potrebbero altrimenti rivelarsi così intessute con la coscienza, quali le ritroviamo, in modo tale che interi popoli si impongono i più dolorosi sacrifici piuttosto che rinunciare ad esse?". Quelle rappresentazioni sono prima del pensiero e spingono immediatamente all'agire, aggiunge Schelling. Con un piccolo sforzo possiamo riuscire a vedere gli archetipi dell'inconscio collettivo di Jung: non sono fuori ma dentro, e quando irrompono costringono immediatamente all'azione. "Le mitologie dei popoli sono prodotti dello stesso processo che passa attraverso tutta l'umanità". Tornando ora a quel Principio che all'inizio era destinato a rimanere dentro e che invece l'uomo ha messo in azione, esso, nella mitologia greca è Persefone, una figura che già i pitagorici definivano "diade". Facendo un parallelo col Genesi, essa è la donna che seduce l'uomo, ed il serpente, che se rimane arrotolato è simbolo della quiete, se invece si drizza agisce per corrompere. Nei misteri greci Zeus si avvicina a Persefone in forma di serpente e lei"viene rappresentata come trattenuta in una roccia inaccessibile (in una custodia impenetrabile). Zeus le si avvicina per sedurla… per renderla principio generante di un nuovo processo". In una nota Schelling ricorda che il Vaso di Pandora è rinchiuso nella dimora indistruttibile degli uomini, ed i mali chiusi in esso si scatenano non appena la donna alza il coperchi. L'analogia col racconto biblico è notevole. Ma ritorniamo a quel Principio, e a come esso, frazionandosi in innumerevoli esseri, abbia mantenuto in ciascuno di essi la sensazione di essere centro. Quindi nasce una lotta fra il Principio che vuole ancora esser centrale "e la più alta necessità che lo caccia dal centro e lo abbassa alla materia". La terra è sopraffatta dal cielo. Schelling fa corrispondere a questa lotta la nascita dello Zabismo (da Zaba, l'esercito, quello celeste). E' tempo di nomadismo, e "nel deserto dell'etere quell'umanità vedeva soltanto il supremo prototipo della propria vita". Dapprima questo principio sidereo era maschile: Urano; ma nel momento in cui si rende accessibile alla potenza più alta, diventa femminile: Urania. Copyright ABCtribe.com 77 Ecco che col passaggio dal maschile al femminile del primo dio, è prossimo il sopraggiungere del secondo dio, Dioniso. In esso però non dobbiamo vedere altro che il 2° Dio, e non il corrispondente greco. Ora, siccome il compito di Dioniso è di soggiogare quel principio che pone l'uomo fuori di sé, Schelling lo chiamerà Liberatore. Egli, dunque, inizia una lotta con il cielo. Questi tre dei sono le cause del processo mitologico. Lo stesso accade nella mitologia egizia: All'inizio c'è Tifone indiviso; poi spunta Osiride che lo combatte; ma solo con l'avvento di Horos Tifone è vinto. Quanto a Iside, essa è la coscienza attaccata al dio. Quindi possiamo porre Tifone=invisibile; Osiride=puramente essente; Horos=dovente essere. In India abbiamo invece Brahma, Siva e Visnu. Ora accade che, nella mitologia greca, il dio sottomesso non viene respinto, ma lo si mantiene come spirituale. La cosa da sottolineare però è che le potenze alla fine eliminano la tensione che vi era fra di loro e si ricostituiscono in unità: il dio ritornato nel suo in-sé, quello che si rende così invisibile, è Ade. A questo punto soltanto possono nascere gli dei dell'Olimpo con a capo Zeus, ed essi riposano tutti su di lui. Se Ade fosse visibile, essi scomparirebbero. Ecco perché - ci ricorda Schelling - nell'Iliade tutti gli dei, davanti alla dimora di Ade, sono presi da terrore. Quindi Ade è l'in-sé di tutti gli dei, oltre che il dio invisibile. Gli dei materiali sono l'essoterico, quelli spirituali sono l'esoterico. Ed ecco perché accanto alla mitologia, in Grecia esistevano anche i misteri. "La religione segreta dei greci è stata sempre considerata come la più vicina al Cristianesimo". I misteri greci sono il naturale passaggio dal paganesimo al Cristianesimo. 4.5.11 Dalla diciannovesima alla ventiduesima lezione Tra mitologia e misteri vi sta Demetra, ed essa fa parte sia dell'una che degli altri. Dei misteri essa è l'oggetto principale, il punto attorno a cui ruota la coscienza. All'inizio sta tra il dio reale e quello liberatore, ma un particolare legame la lega al primo. Il principio che la tiene legata a tale dio esce da lei sotto forma di Persefone. Ecco perché questa parte della coscienza (Persefone) deve seguire Ade nel regno dell'invisibile: essa era stata destinata a lui fin dall'inizio. Tuttavia, per Demetra, tale separazione non è indolore. Occorre che avvenga la conciliazione fra lei ed Ade. Fin qui arriva la mitologia essoterica. Demetra era ilfondamento dei misteri. Essa era la dea dell''agricoltura, e Persefone rappresentava il seme da interrare perché desse frutto. La cosa più importante di tutto questo, però, è un'altra. Siamo davanti all'introduzione dell'agricoltura: con essa scomparve la vita errante tipica degli animali, subentrarono le leggi, i costumi, una vita veramente umana. Era la fine dello zabismo. Detto ciò occorre però tener presente un altro fatto importante: i misteri, che venivano chiamati "i misteri di Demetra", venivano anche chiamati "misteri di Dioniso". Nelle antiche religioni la presenza di tale dio si manifestava dapprima Copyright ABCtribe.com 78 con un insensato entusiasmo detto orgasmo. Ecco pertanto spiegate le manifestazioni di contegno sfrenato: la coscienza, ormai libera dall'opprimente dominio del dio reale, diventava ebbra. Ma tutto questo aveva un oppositore in Orfeo che rappresentava la coscienza opposta al dio liberatore. Ma l'ebbrezza dionisiaca vince, e tale coscienza viene lacerata e dispersa in una pluralità. Quindi il carattere dei cortei bacchici era "una sorta di ebbrezza dell'animo, nella quala però si esprimeva innanzitutto soltanto il benessere della coscienza che si sentiva liberata dalla potenza opprimente del principio precedente". Quanto ai Satiri e i Titiri, essi rappresenterebbero la vita animale "dalla quale l'umanità fu liberata da Dioniso". Quindi i misteri concludevano la storia esoterica della mitologia così come Schelling l'ha esposta. "L'iniziato viene dunque liberato dalla necessità del processo mitologico": la coscienza ha a che fare non più con dei materiali, ma con dei spirituali o causanti. Platone paragona i misteri allo stato dell'anima "pre-materialità". Quindi l'iniziazione liberava dalla materialità (Fedone). Gli dei dei misteri samotraci erano chiamati dei degli dei: dei causanti, dunque. La cosa più importante, però, è riuscire a vedere in questi dei causanti delle personalità successive di uno stesso dio, momenti diversi di questo dio. Dunque Ade e Dioniso sono la stessa cosa: "Dioniso è il nome comune di quelle tre forme passando attraverso le quali il dio sorge e si genera per la coscienza". Ma se i tre Dioniso sono tre momenti dello stesso dio, le tre divinità femminili sono tre momenti della stessa coscienza: Zagreo, bacco e Jacco da una parte, e Persefone, Demetra e Core dall'altra. Durante i misteri, alla fin fine, nella coscienza accadeva quanto era accaduto nella natura, quindi in un certo senso la dottrina dei misteri era…storia. Arrivati a questo punto Schelling sottolinea come le sue non sono spiegazioni allegoriche: misteri e mitologia vanno presi" in senso proprio, rigoroso". Possiamo ora affermare che il monoiteismo era già contenuto nei misteri, in quanto "la storia degli dei diventava storia del dio. Ma questo dio nonsignoreggiava solo nel presente,era soprattutto futuro "un terzo Signore avrebbe liberato la coscienza dal risultato del processo mitologico". 4.5.12 Ventitreesima…trentaduesima lezione Un terzo Dioniso avrebbe così dominato un tempo futuro. Quanto poi al silenzio assoluto che circondava i misteri c'è da considerare che l'esistenza dello Stato poggiava interamente sulla realtà, ed una divulgazione dei misteri poteva metterne a rischio l'esistenza. Copyright ABCtribe.com 79 Il Vaglio era la culla di Jacco, che era designato come il sopraggiungente. Lo stesso nome Eleusis significa il venire. Tale culla più tardi diventerà così mangiatoia. Il massimo oggetto dei misteri era dunque la venuta del dio. Il terzo Dioniso trascende dunque la coscienza mitologica. La religione futura sarebbe stata universale e avrebbe riunificato tutta l'umanità. Quindi se Demetra era l'inizio dei misteri, Dioniso ne era la fine. Qui finisce il libro secondo e comincia la seconda parte della filosofia della rivelazione. "Ora, il contenuto proprio del Cristianesimo è interamente la persona del Cristo.". In queste lezioni Schelling riprende i concetti con cui ha iniziato la trattazione per concludere alla fine la lezione ventiseiesima con queste parole: "L'intera creazione, l'intero grande svolgimento delle cose, esce dal Padre - attraverso il Figlio - verso lo Spirito. Il Padre era prima, cioè prima di ogni tempo, il Figlio è nel tempo…, lo Spirito sarà dopo il tempo come l'ultimo Signore della creazione compiuta, ritornata nel suo principio, dunque rientrata nel Padre”. In queste ultime lezioni partendo da citazioni del Nuovo testamento (Vangelo di Giovanni, lettere di Paolo e di altri apostoli) Schelling focalizza la sua attenzione sulla figura di Cristo, cominciando con scorgerlo anche nell'Antico Testamento, e sul termine Logos usato da Giovanni nel prologo del suo Vangelo. L'interpretazione che Schelling dà dell'inizio di tale Vangelo è originale e interessante. Prima però di spiegarlo ci dà e si dà un avvertimento, e sottopone alla nostra attenzione una interpretazione di Fichte. A suo parere, il detto "Cercate innanzitutto il Regno dei Cieli ecc." va applicato anche allo studio del Vangelo: "cercate anzitutto il Tutto, il complesso delle disposizioni divine nel Nuovo Testamento, e il resto vi verrà da solo…". Quello che Fichte ha fatto è un tentativo di far "cantare" all'unisono la sua filosofia ed il prologo del Vangelo di Giovanni. Prima egli afferma che il mondo esterno esiste solo nel sapere e quindi le cose non hanno alcuna realtà fuori della coscienza, poi però per reintrodurre Dio dice che, sì, tutto è nel sapere, ma tale sapere è=esistenza divina. Questa a sua volta è diversa dall'essere ma inseparabile da lui, quindi uguale all'essere. Pertanto il mondo è divenuto attuale grazie a questo sapere. Insomma, per Fichte il Logos giovanneo è il sapere. Infine, per passare dal sapere universale al Cristo storico, Fichte propone tale ragionamento: in ogni tempo, chiunque riesce ad abbandonare la propria vita individuale in quella divina, fa sì che l'eterno Logos assuma natura umana. E siccome Cristo è stato il primo a fare ciò, è divenuto mediatore fra noi e il Logos. E questo fa sì che Gesù sia l'unigenito figlio di Dio. In principio era il Logos. Schelling sottolineando "era" suggerisce che, anche prima che Dio si rivelasse "come tale" , egli era silmpliciter, era nel puro essere, egli era il "puramente essente di Dio". Quindi questo soggetto era presso Dio prima della creazione, è presso Dio anche nella creazione, e, terzo momento, era Dio. Insomma: "La più rigorosa determinazione della vera divinità di Cristo e la seguente: Il Figlio è tanto essenzialmente Dio, che il Padre stesso non sarebbe Dio senza il Figlio", quindi "il Figlio appartiene all'essenza di Dio". Schelling, passo passo interpreta il prologo di Giovanni, ed il brano relativo alla Luce che appare nelle tenebre e queste non l'hanno compreso, lo spiega così: Cristo (e questo l'aveva già detto) era presente Copyright ABCtribe.com 80 anche nel paganesimo, ma non è stato riconosciuto, accolto. "Per i pagani Cristo è semplicemente potenza naturale", essi non lo compresero. Poi passa a parlare dei compiti del popolo ebraico, il quale, secondo lui, avendo travisato il Cristianesimo, avendo "omesso il passaggio ad esso", si escluse dal movimento della storia. Poi andando oltre Eutiche e Nestorio Schelling dichiara che il Logos non è né Dio né uomo, ma un intermediario. E' Dio, in quanto questo soggetto è fuori di Dio, ma nell'atto dell'incarnazione si pone insieme come divino e come umano. "Dopo che Egli è divenuto uomo, la preghiera al Padre è l'atto più profondo del suo riconoscersi come uomo, e, in quanto egli si priva di ogni divinità (egli produce attraverso il suo volere, per così dire, un vacuum) attira in sé la volontà divina,e in virtù di questo divino attirato in sé Egli opera miracoli". In sostanza quello che Schelling cerca di fare, è spiegare il Cristianesimo allo stesso modo con cui ha spiegato il paganesimo: attraverso gli atti accreditati. Non mancano citazioni dell'Antico e soprattutto del Nuovo Testamento, a cui s'accompagnano profonde intuizioni, che per la brevità del saggio non possiamo riportare. Piano piano arriviamo alle conclusioni. L'uomo si era distaccato dalla vita universale in cui era stato creato e si era tuffato in quella particolare ove godeva di assoluta libertà. Ora, grazie al Figlio, egli può essere ripreso nella vita universale. Cio può accadere perché Cristo non si è fatto uomo e poi ha finito di esserlo: Egli è rimasto uomo. Ecco perché Dio ora ci giustifica. Se dalla storia tagliamo via questa parte interiore, essa appare "desolata, vuota e morta. Quella storia interna, divina, trascendente, è la vera storia. La filosofia della rivelazione è proprio questo: "non già dissolvere la storia esterna in quella più alta, ma guadagnare il suo rapporto con essa". Dunque, Cristo divenne uomo senza riservarsi un ritorno, costringendo Dio ad accogliere l'uomo in Lui. 4.5.13 Dalla trentatreesima alla trentasettesima lezione Schelling ripete concetti già epressi: il Cristianesimo non è da considerarsi dottrina ma "fatto", ed il vero contenuto di esso è Cristo e la sua storia. Ma qui puntualizza: "non quella meramente esterna delle sue azioni e sofferenze durante il tempo della sua umanità visibile, ma quella più alta in cui la sua vita come uomo è solo un passaggio, e perciò solo un Momento". Pertanto, contenuto del Cristianesimo non è la Religione Universale, ma la particolare Personalità fuori di Dio sin dall'inizio, e quindi autonoma, anche se tale autonomia non è da considerare eroica.Il Cristianesimo, insomma, come fatto storico incancellabile e perciò da rendere comprensibile. Non si può dunque esaurire l'impegno di cristiano con la sola devozione, perché, se è vero come è vero che "in Cristo sono nascosti tutti i tesori della conoscenza" i tesori non possono essere ridotti a quello. Il Cristianesimo, come ogni altro significativo fenomeno, la chiave della sua comprensione. Copyright ABCtribe.com 81 A ben osservare la morte di Cristo sulla terra serve solo a far passare quella Potenza Mediatrice che appunto si è incarnata, per permettere allo Spirito Santo (la terza Potenza), finalmente, di venire. E' proprio quello che comincia ad accadere con la morte del maestro Gesu Cristo: gli apostoli suoi vengono toccati da tale Spirito Consolatore. In quel tempo, ci ricorda Schelling, Pan "muore". Ora, Pan altri non è che lo stesso principio cosmico cieco che dominava nel paganesimo: con la morte di Cristo moriva il paganesimo e il giudaesimo. Noi, sul paganesimo siamo d’accordo, sul giudaesimo no, per il semplice fatto che ancora oggi nelle sinagoghe del mondo e fra il popolo israelitico vige la legge di Mosé. Giunto a questo punto Schelling comincia a parlare del male, di satana. In ebraico il verbo satan significa "fermare", opporsi o ostacolare un movimento. Né nel l'antico né nel Nuovo Testamento vi è traccia di un satana creato. In Giobbe egli appare come "una forza, per così dire, necessaria affinché ciò che è incerto divenga certo…affinché la disposizione dell'animo venga verificata". Una forma dunque non necessariamente malvagia, la quale serve a portare alla luce il male nascosto.E' una forza, dunque, che può anche esser chiamata "invidiosa", allo stesso modo in cui Aristotele chiamava Nemesi. Satana è anch'egli un essere storico che nel corso del tempo cambia. Egli è il permanente accusatore dell'uomo presso Dio. "Satana…è la Grande Potenza di Dio nel mondo decaduto". Ecco perché Cristo lo può incontrare, perché riconosce in lui "una forza della sua stessa condizione", quel Principio a cui Cristo incarnandosi si era sottomesso esternamente - non per adorarlo ma per vincerlo. Esso è uno spirito suscitato dall'uomo, che originariamente fu abbracciato dalla coscienza umana, e che ora la oltrepassa, minacciandola di superarla. Come un serpente egli si insinua piano piano fino a che corrompe e fa scaturire il male che era nascosto nel bene. Ancora una volta notiamo le influenze di J. Bohme, ma sarebbe lungo volere qui introdurre passi del mistico tedesco: ci allargheremmo troppo. Tornando a satana, Schelling definisce così la sua natura: "la sua natura è di essere il non essente. C'è in lui verità solo per il non-essere. Se dunque E’, egli è fuori della verità.". E qui invitiamo i lettori a ripercorre le fasi iniziali dell'opera (e quindi di questo saggio, laddove si parlava di una Potenza che non doveva uscire dal Padre ecc. Egli dunque è menzogna. Relativamente all'uomo, questo principio "chiede con insistenza all'uomo di aiutarlo ad essere". Egli dunque dipende dall'uomo, che a sua volta s'illude di poterne diventare il padrone. Ma ciò che accade è proprio il contrario: l'uomo ne diviene schiavo. Cristo è venuto per privarlo della forza con cui fino al momento della sua incarnazione operava. Quindi, fino a tutto il paganesimo egli ha imperversato indisturbato. Ma come si diceva prima esso muta: "vinto in un certo dominio, rispunta fuori in un altro"…"in quanto esso è questa inesauribile fonte di possibilità, che sono diverse, nuove e mutevoli…è l'incessante suscitatore e movimentatore della vita umana, il principio senza il quale il mondo si addormenterebbe, resterebbe immobile". Copyright ABCtribe.com 82 Esso vuole, attraverso la volontà umana, realizzare quanto in lui è mera possibilità. Ecco perché l'apostolo Pietro lo paragona d un leone famelico ed avido. La caduta dell'uomo è così chiamata perché egli è caduto sotto il dominio di quel principio . E qui Schelling sottolinea un fatto importantissimo e ci costringe a riportare in maiuscolo le sue parole che molti nichilisti dovrebbero ben considerare: Filosofia, ricerca della verità. Ecco perché Padre Pio parlava della parte di sotto del ricamo come "necessario", ecco perché alla corte di Dio, nel libro di Giobbe, fra gli angeli del Signore, vi era anche satana, ecco perché vien detto che questo principio è necessario. Ecco come in qualche modo ci spieghiamo l'origine del male. Poi a proposito delle malattie, ci viene detto che epidemia ha la medesima etimologia di "bramosia": ogni malattia cosmica è una bramosia, "una potenza scatenata che cerca di realizzarsi a spese dell'attuale stato delle cose e del genere umano, e come spinta dalla fame della realtà attuale, cerca se le riesca di appropriarsene". Quindi come la menzogna, anche la malattia è entrata attraverso satana. Quanto agli angeli, con la caduta l'uomo ha posto fuori di sé il suo angelo, se ne è separato, ed esso è rimasto mera possibilità, semplice potenza. Alla morte ci dovrebbe essere la riunificazione: l'uomo che riesce a riunirsi al proprio angelo ed "è capace di quella vita universale dell'angelo, sarà nella luce, viceversa saranno le tenebre. Ecco perché i bambini ancora non sono separati dal Padre: il male in loro non è stato ancora risvegliato. "Ogni angelo è la potenza - idea - di una determinata creatura o individuo…Il rapporto che l'uomo mantiene con il suo angelo buono è l'unica relazione con Dio che ancora gli rimanga anche nella esternazione". Nella rivelazione vetero-testamentaria Dio parlava attraverso l'angelo, durante la manifestazione di Cristo parlava attraverso di Lui. Nella chiesa vengono distinti tre momenti: quello di Pietro, quello di Paolo ed infine quello di Giovanni. Ai quali, nei tempi precedenti corrispondevano Mosé, Elia e Giovanni Battista. Se Mosé é il fondamento, la stabilità, la realtà e sostanzialità, Elia rappresenta lo spirito ardente che spinge verso il futuro. Il Battista chiude l'Antico Testamento. Pietro leggifera come Mosé, Paolo, ardendo come Elia, è il movimento, lo sviluppo della Chiesa, Giovanni evangelista è il futuro. Se protestante vuol dire non sottomettersi all'autorità di Pietro, Paolo può esser considerato il primo protestante della storia del Cristianesimo, e la riforma si è resa libera dall'autorità di Pietro. Ora, la Chiesa non è esclusivamente l'una o l'altra, ma tutte tre. Qui giunto Schelling definisce il ruolo che i tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni hanno avuto nella Chiesa, e per farlo si serve di un passo (Re: 19, XI-XIII): "Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spazzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero…". Questi tre momenti sono: Pietro che ha un'energia irrompente propria di chi inizia; Paolo che è la capacità di Copyright ABCtribe.com 83 scuotere, il fuoco; Giovanni che è il venticello leggero, uno Spirito dolce, celeste. Questo Spirito, nel Vangelo di Giovanni (che è molto diverso dagli altri tre) è palpabile, ed esso, ci dice Schelling è stato scritto sicuramente per il futuro. Insomma: Pietro è l'apostolo del Padre, Paolo è l'apostolo del Fiflio, e Giovanni quello dello Spirito Santo. E' nel Vangelo di Giovanni che si parla dello Spirito della verità che esce dal Padre. Giovanni è dunque l'apostolo della nuova Gerusalemme, della Chiesa futura aperta a tutti, di quella Chiesa che anche Gioachino da Fiore pose sotto l'ala dello Spirito Santo. Siamo convinti che da qualche tempo il "mormorio del vento leggero", a "sentirlo" sono stati in parecchi. Speriamo solo che non succeda quello che è sempre successo, e cioè che i toccati dallo Spirito non vengano perseguitati. Nessuno può avere l'esclusiva…dei venticelli: Il vento soffia dove vuole. 5 Brani antologici 5.1 Filosofia della mitologia in F. W. J. Schelling, Filosofia della mitologia Non siamo stati noi, ma è la mitologia che ci ha posto nella prospettiva da cui la tratteremo. Da qui in poi, dunque, il contenuto di questa conferenza non è la mitologia spiegata da noi, ma la mitologia che spiega sé stessa. In quest’auto-spiegazione della mitologia non saremo costretti ad evitare le espressioni mitologiche, in gran parte le lasceremo parlare il suo stesso linguaggio, dal momento che ci è reso comprensibile a partire dalla posizione che abbiamo conquistato. Le espressioni della mitologia, si dice, sono immaginose. Ciò è in certo senso vero, ma esse non sono più improprie per la coscienza mitologica di quanto non siano improprie le nostre espressioni altrettanto immaginose per la coscienza scientifica. 5.2 La teoria dell'arte in Sistema dell’idealismo trascendentale Se l’intuizione estetica non è se non l’intuizione intellettuale divenuta oggettiva, s’intende da sé che l’arte sia l’unico vero e eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e continuamente di nuovo attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l’inconscio nell’agire e nel produrre e la sua originaria identità con il conscio. L’arte appunto perciò è per il filosofo quanto vi è di più alto, poiché essa gli apre per così dire il santuario, dove in eterna e originaria unione arde come in una sola fiamma ciò che nella natura e nella storia è separato, e ciò che nella vita e nell’azione e nel pensiero deve fuggire se stesso eternamente. La visione che il filosofo si fa artificialmente della natura è per l’arte la visione originaria e naturale. 5.3 Filosofia della mitologia Copyright ABCtribe.com 84 Alla fine del suo itinerario filosofico Schelling arriva al mito. Egli afferma che i miti non sono favole senza senso ma l’espressione di una verità primordiale e quindi profonda. L’uscita dell’uomo dalla quiete cioè dal paradiso originario è l’oggetto specifico dei racconti mitici e l’inizio della storia. Ricollegando l’inizio del processo mitologico a questo che è il primo di tutti gli avvenimenti a questa catastrofe originaria della coscienza umana noi spieghiamo nello stesso tempo il processo mitologico come un destino universale al quale proprio perciò era soggetto l’intero genere umano. La mitologia non è nata da presupposti accidentali empirici per esempio invenzioni di singoli poeti o filosofi cosmogonici che ci si permette di trasferire nei tempi piú antichi neppure da confusioni o fraintendimenti casuali: essa si perde con le sue piú lontane radici in quel fatto originario o piuttosto in quell’atto immemorabile senza del quale non ci sarebbe in generale storia alcuna. Infatti la storia in quanto è un nuovo mondo del movimento non avrebbe certo potuto esser posta se l’uomo non avesse mosso e scosso di nuovo quel fondamento della creazione mercé il quale tutto doveva pervenire alla quiete e ad uno stato eterno. Senza un’uscita dal paradiso originario non ci sarebbe storia: è per questo che quel primo passo dell’uomo è il vero avvenimento originario l’avvenimento che solo ha reso possibile una successione di altri avvenimenti cioè la storia. 5.4 Filosofia della rivelazione L’altro elemento importante dela riflessione dell’ultimo Schelling è il confronto con la rivelazione cristiana. Dopo aver definito l’apparire di Gesú Cristo nel mondo come la manifestazione del cuore di Dio cioè la rivelazione del fatto che Dio è persona e non una pura mente come spesso la filosofia lo aveva interpretato egli passa a commentare il Prologo di Giovanni. Nella seconda parte della lettura è evidente la polemica con i giovani della Sinistra hegeliana. F. W. J. Schelling Filosofia della rivelazione III Si può già vedere una divina follia nel fatto che in generale Dio si sia impicciato con un mondo dal momento che egli potrebbe in eterna autosufficienza godere della semplice contemplazione del mondo ch’è possibile in virtú sua. Ma la debolezza di Dio — la si può riconoscere particolarmente nella sua debolezza per l’uomo. Ma in questa debolezza egli è piú forte dell’uomo. Il suo cuore è grande abbastanza per essere capace di tutto. Nella creazione egli mostra prevalentemente solo la potenza della sua mente nella redenzione la grandezza del suo cuore. Questo io intendevo quando dicevo che la rivelazione — o l’azione ch’è il contenuto della rivelazione — è la sua azione più personale. Infatti come non pensiamo di conoscere un uomo nella sua piú autentica personalità se ne conosciamo soltanto la mente (giacché questa quanto piú è potente tanto piú è qualcosa che in certo modo è Copyright ABCtribe.com 85 impersonale qualcosa di indipendente da lui e dalla sua volontà) come riteniamo di conoscere un uomo in sé stesso solo se abbiamo imparato a conoscere le manifestazioni del suo cuore cosí Dio è diventato veramente personale per l’uomo soltanto nella rivelazione. Quel soggetto che era en morfe theou [nella forma di dio] si è ora fatto uomo hominem se fecit. Ma poiché esso si è fatto uomo solo in forza della sua vera divinità cioè in forza della sua unità con Dio ossia con il Padre cosí il soggetto divenuto-uomo appare ora proprio nella sua umanità come il soggetto che discende dalla vera divinità dal cielo secondo quanto dice la Scrittura che originariamente era presso il Padre e quindi era Dio stesso; e proprio perciò vien visto nell’umanità come Dio e non come se avesse rinunciato alla divinità; e invero essendo non due distinte personalità ma una sola e medesima persona quella che era en morfe theou e che appunto si mostra nella volontaria e libera manifestazione come una col Padre e quindi come tale che è Dio stesso abbiamo qui una perfetta identità personale tra colui che si è fatto uomo — che ora è uomo — e colui che è Dio. Un unico e medesimo soggetto è Dio e uomo: egli infatti è uomo solo in forza di ciò che in lui è divinità unità col Padre. Col che tuttavia rimane poco meno che assurdo parlare indeterminatamente di una incarnazione (Menschwerdung) di Dio come oggi usa fare; questa è una di quelle grandi frasi con cui si cerca di procurare un significato a proposizioni che non dicono nulla o che sono del tutto banali: quanto piú le espressioni sono esagerate tanto più facilmente esse si prestano a quella superficiale spiegazione secondo la quale l’incarnazione (Menschwerdung) deve solo rivelare all’uomo che egli è tutt’uno con Dio (cioè propriamente egli stesso Dio). Se è gente ignorante che cerca di darsi delle arie con queste belle frasi possiamo anche permetterglielo. Ma che dire di dotti teologi i quali sono per accordarsi con questo preteso tono sublime parlano in questo modo di un’incarnazione di Dio! Costoro dovrebbero pur sapere che anche la piú rigorosa teologia non ha mai parlato propriamente di un’incarnazione di Dio ma solo dell’incarnazione di una persona divina. Dico che secondo la nostra veduta resta non meno assurdo parlare di un’incarnazione di Dio poiché non è Dio che è divenuto uomo sebbene colui che è divenuto uomo sia Dio. Dio è divenuto uomo significa: il divino è divenuto uomo ma non il divino bensí piuttosto l’extra-divino proprio del divino è divenuto uomo. Non ci sono qui inizialmente due personalità delle quali una deve in seguito esser soppressa: c’è fin dall’inizio soltanto una persona quella divina che abbassa il suo essere extra-divino a quello umano ma che appunto perciò appare come divina. L’essere umano è il suo essere; essa lo ha voluto e se lo è dato; ma proprio perciò essa è sopra questo essere e se da una parte noi affermiamo l’unità del soggetto dall’altra parte bisogna ammettere che la natura divina e quella umana non sono affatto state mescolate: l’identità fra il divino e l’umano non è identità sostanziale ma unità soltanto – e per l’appunto – personale. Copyright ABCtribe.com 86 5.5 Filosofia negativa e positiva Nell’ultima parte della sua speculazione filosofica Schelling prende decisamente le distanze dall’idealismo ponendo la distinzione fra filosofia negativa e positiva. La filosofia negativa è la filosofia puramente razionale la quale determina il modo in cui si debba pensare la realtà. La filosofia positiva affronta concretamente il fatto dell’esistenza e della storia. F. W. J. Schelling Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna La scienza che compie questa eliminazione dell’accidentale nei primi concetti dell’esistente e con ciò questa separazione dell’esistente stesso è critica è di specie negativa ed ha nel suo risultato — però soltanto nel pensiero — ciò che noi abbiamo chiamato l’esistente stesso. Ma riconoscere che quest’ultimo esista anche nella sua purezza con esclusione dell’essere meramente accidentale al di là di questo essere non può più essere assunto di quella scienza negativa ma soltanto di un’altra scienza che in opposizione a quella dovrà chiamarsi positiva e per la quale la scienza negativa ha solo ricercato l’oggetto proprio e autentico l’oggetto più alto. Io vi ho di nuovo ricondotti al punto ove si fronteggiano da un lato la filosofia in quanto cerca ancora il suo supremo e più alto oggetto — ottenendone però solo il concetto mediato logicamente (nel pensiero) senza poterne provare l’esistenza — e la filosofia in quanto si rapporta immediatamente a questo oggetto all’esistente superiore ad ogni dubbio. Ed è proprio in ciò — nel non aver distinto filosofia negativa e filosofia positiva e nell’aver voluto raggiungere con una filosofia che rettamente intesa poteva avere solo un significato negativo ciò che è possibile soltanto per la filosofia positiva — che sta come ho detto il motivo della confusione e dell’essere selvaggio e deserto in cui si è andati a finire cercando di rappresentare Dio come compreso in un processo necessario col risultato che non potendo in tal modo procedere oltre si è trovato il proprio rifugio in uno spudorato ateismo. Questa confusione ha persino impedito una benché minima comprensione di quella distinzione. La filosofia negativa rettamente intesa porta con sé quella positiva e viceversa la filosofia positiva è possibile soltanto nei confronti di quella negativa rettamente intesa. Quest’ultima se circoscritta nei suoi limiti rende quella positiva anzitutto conoscibile e poi non solo possibile ma necessaria. 5.6 Gli elementi fondamentali del sistema filosofico Esiste un modo di essere della ragione che riesce ad astrarsi completamente dalla dimensione soggettiva ed oggettiva. Esso rappresenta per Schelling il punto di vista della filosofia che deve eliminare le differenze e le contrapposizioni. Al di fuori della ragione non deve rimanere nulla perché essa è l’Assoluto. F. W. J. Schelling Esposizione del mio sistema filosofico 1. Spiegazione. Chiamo ragione la ragione assoluta o la ragione in quanto è pensata come indifferenza totale del soggettivo e dell’oggettivo. Non è qui il luogo di giustificare il termine qui usato giacché importa solo di far sorgere in generale la idea che congiungerò con questa parola. Dunque importa soltanto di indicare brevemente come in generale si arrivi a pensare la ragione. Vi si perviene col riflettere a quello che nella filosofia prende il posto fra soggettivo e oggettivo e che deve essere evidentemente una cosa in rapporto indifferente con tutte due. È certo che ognuno si può far un concetto della ragione; per pensarla come assoluta per arrivare dunque al punto di vista che io richiedo si deve astrarre da colui che pensa. Per colui che fa questa astrazione la ragione cessa immediatamente di essere qualche cosa di soggettivo come è presentata dalla Copyright ABCtribe.com 87 maggior parte; anzi essa non può essere più pensata neanche come qualche cosa di oggettivo giacché una cosa oggettiva o pensata diventa possibile solo in antitesi con un soggetto pensante e di questo è stata fatta astrazione completa; diventa dunque per quella astrazione il vero in sé che cade proprio nel punto d’indifferenza del soggettivo e dell’oggettivo.Il punto di vista della filosofia è il punto di vista della ragione la sua conoscenza è una conoscenza delle cose come sono in sé cioè come sono nella ragione. Sta nella natura della filosofia di eliminare totalmente tutte le cose che stanno le une dopo le altre e le une lontane dalle altre ogni differenza del tempo e in generale ogni differenza che solo l’immaginazione inserisce nel pensiero in una parola di vedere nelle cose soltanto quello per cui esse esprimono la ragione assoluta non però in quanto esse sono oggetti semplicemente di quella riflessione che si attacca alle leggi del meccanismo e procede nella serie temporale. 2. All’infuori della ragione non v’è nulla e tutto è in essa. Se la ragione è pensata così come l’abbiamo domandato nel 1 si scorge immediatamente che nulla può essere fuori di essa. Posto difatti che ci sia qualche cosa fuori di essa allora ciò o è qualche cosa per se stessa fuori di essa ed essa è dunque in questo caso il soggettivo la qual cosa è contro il presupposto; oppure non è qualche cosa per se stessa fuori di essa e allora essa sta a questo qualcosa fuori di essa come oggettivo a oggettivo ed essa è dunque oggettiva la qual cosa però è di nuovo contro il presupposto. Nulla dunque è fuori di essa e tutto è in essa. Annotazione. Non vi è nessuna filosofia se non dal punto di vista dell’Assoluto; di questo non è espresso nessun dubbio in tutta questa esposizione; la ragione è l’Assoluto tostoché è pensata come l’abbiamo determinato (1): la proposizione presente vale per conseguenza solo sotto questo presupposto. Spiegazione. Tutte le obiezioni contro questa proposizione potrebbero provenire solo da ciò che non si è abituati a vedere le cose così come sono nella ragione ma così come appaiono. Perciò non ci occupiamo della confutazione di tali obiezioni giacché in seguito deve essere dimostrato che tutto ciò che “è” è quanto all’essenza uguale alla ragione e con essa una sol cosa. Ed in generale la proposizione sostenuta non avrebbe bisogno affatto di una dimostrazione o d’una spiegazione anzi passerebbe per un assioma se a moltissimi non fosse del tutto ignoto che generalmente solo per questo può esistere qualcosa fuori della ragione in quanto che essa stessa questo “qualcosa” potrebbe fuori di sé; questo però non lo fa mai la Copyright ABCtribe.com 88 ragione ma solo il falso uso della ragione il quale è congiunto con l’impotenza di fare l’astrazione sopra richiesta e di dimenticare il soggettivo (separante individuale) in se stesso. 3. La ragione è semplicemente una e semplicemente uguale a se stessa. Se difatti questo non fosse dell’essere della ragione dovrebbe esservi ancora un altro fondamento che non essa stessa giacché essa contiene soltanto il fondamento per cui essa stessa è ma non quello per cui c’è un’altra ragione. La ragione non sarebbe con ciò assoluta: ciò che è contro il presupposto. La ragione è dunque una nel senso assoluto. Ma posto il contrario del secondo punto cioè che la ragione non sia uguale a se stessa allora quello per cui essa non è uguale a se stessa dovrebbe pure non essendovi niente all’infuori di essa (praeter ipsam) (2) esser posto nuovamente in essa: dovrebbe dunque esprimere la essenza della ragione e poiché inoltre ogni cosa è in sé soltanto in virtù di quello per cui essa esprime la essenza della ragione (1) anche questa cosa considerata in sé o riguardo alla ragione stessa sarebbe di nuovo uguale a essa una sola cosa con essa. La ragione è dunque una (non solo ad extra ma anche ad intra o) in se stessa cioè è semplicemente uguale a se stessa. 4. La suprema legge per l’essere della ragione e giacché nulla è fuorché la ragione per tutto l’essere (in quanto è compreso nella ragione) è la legge dell’identità; la quale riguardo a tutto l’essere è espressa da A=A. La dimostrazione si deduce immediatamente dal § 3 e dai precedenti. 5.7 I tre periodi della storia Schelling come idealista riteneva che lo schema generale della storia fosse deducibile razionalmente a priori. Egli distingue tre periodi: il primo è stato vissuto come tragedia e destino il secondo è quello nel quale la storia appare come le leggi della natura il terzo si rivelerà come provvidenza. F. W. J. Schelling Sistema della filosofia trascendentale Ora da quanto detto finora risulta da sé quale veduta della storia sia l’unica vera. La storia nel suo complesso è una rivelazione e una manifestazione graduale e continua dell’assoluto. Dunque nella storia non si può mai indicare una singola parte in cui sia quasi visibile la traccia della provvidenza o Dio stesso. Infatti Dio non è mai se essere è ciò che si rappresenta nel mondo oggettivo; se egli fosse noi non saremmo; ma egli si rivela di continuo. L’uomo reca per mezzo della sua storia una continua prova dell’esistenza di Dio una prova che tuttavia può esser portata a compimento solo da tutta quanta la storia. Tutto dipende dall’intendere quell’alternativa. Se Dio è ossia se il mondo oggettivo è una perfetta rappresentazione di Dio o ciò che Copyright ABCtribe.com 89 è lo stesso della compiuta coincidenza del libero con l’inconscio allora nulla può essere altrimenti da quello che è. Ma il mondo oggettivo non è tale. O forse ch’esso è realmente una compiuta rivelazione di Dio? Ora se il fenomeno della libertà è necessariamente infinito allora anche il completo svolgimento della sintesi assoluta è infinito e la storia stessa è una rivelazione mai esaurita di quell’assoluto che ai fini della coscienza e quindi anche solo ai fini del fenomeno si scinde nel conscio e nell’inconscio nel libero e nell’intuente essendo però esso stesso nella luce inaccessibile in cui dimora l’eterna identità e l’eterno fondamento dell’armonia fra l’uno e l’altro. Noi possiamo ammettere tre periodi di quella rivelazione e quindi anche tre periodi della storia. Il principio della divisione ce lo danno i due opposti il destino e la provvidenza tra i quali sta nel mezzo la natura che effettua il trapasso dall’uno all’altro. Il primo periodo è quello in cui ciò che è dominante ancora come destino cioè come forza totalmente cieca distrugge freddamente e inconsciamente anche le cose più grandi e magnifiche; a questo periodo della storia che possiamo chiamare il periodo tragico appartiene il tramonto dello splendore e delle meraviglie del mondo antico la caduta di quei grandi imperi dei quali ci è rimasto a stento il ricordo e la cui grandezza possiamo argomentare solo dalle loro rovine il tramonto dell’umanità più nobile che sia mai fiorita e il cui ritorno sulla terra è solo un eterno desiderio. Il secondo periodo della storia è quello in cui ciò che nel primo appariva come destino cioè come forza del tutto cieca si rivela come natura e l’oscura legge che in quello dominava appare mutata almeno in una manifesta legge naturale che costringe la libertà e l’indomato arbitrio a servire ad un piano della natura e così a poco a poco introduce nella storia almeno una legalità meccanica. Questo periodo sembra cominciare dall’espansione della grande repubblica romana a partire dalla quale il più sfrenato arbitrio che si manifesta nell’universale brama di conquista e di assoggettamento legando per la prima volta in generale i popoli fra di loro e portando in mutuo contatto quanto di costumi e di leggi di arti e di scienze s’era sino allora conservato solo separatamente fra i singoli popoli inconsciamente e persino contro la sua volontà fu costretto a servire ad un piano della natura che nella sua compiuta evoluzione deve produrre la lega generale dei popoli e lo stato universale. Tutti gli avvenimenti che cadono in questo periodo sono dunque anche da Copyright ABCtribe.com 90 considerarsi come semplici risultati naturali allo stesso modo che la caduta dell’impero romano non ha né un lato tragico né un lato morale ma fu necessaria secondo leggi naturali e fu propriamente soltanto un tributo pagato alla natura. Il terzo periodo della storia sarà quello in cui ciò che nei periodi precedenti appariva come destino e come natura si svilupperà e si rivelerà come provvidenza si che anche quanto sembrava mera opera del destino o della natura era già il principio di una provvidenza rivelantesi in maniera incompleta. Quando comincerà questo periodo non sappiamo dirlo. Ma se questo periodo sarà allora sarà anche Dio. 5.8 Idealismo e dogmatismo Schelling in piena sintonia con la svolta fichtiana ribadisce la superiorità dell’idealismo sulla filosofia dell’essere perché originario non è l’essere ma il sapere. F. W. J. Schelling Sistema della filosofia trascendentale Poiché il filosofo trascendentale fa sempre soltanto del soggettivo il proprio oggetto egli si limita ad affermare che soggettivamente cioè per noi esiste un qualche primo sapere; se poi fatta astrazione da noi al di là di questo primo sapere esista in generale ancora qualcosa per ora non lo preoccupa e sarà il seguito a deciderne. Ora questo primo sapere è per noi senza dubbio il sapere di noi stessi o l’autocoscienza. Se l’idealista fa di questo sapere il principio della filosofia ciò è conforme alla limitatezza del suo compito che all’infuori della parte soggettiva del sapere non ha altro per oggetto. Che l’autocoscienza sia il punto fermo a cui per noi tutto è collegato non abbisogna di dimostrazione alcuna. Ma che quest’autocoscienza possa poi essere a sua volta solo la modificazione di un essere superiore (forse di una coscienza superiore e questa di una ancor superiore e così via all’infinito) in una parola che anche l’autocoscienza possa ancor essere in generale qualcosa di spiegabile di spiegabile con qualcosa del quale niente possiamo sapere poiché appunto e soltanto con l’autocoscienza si realizza l’intera sintesi del nostro sapere è cosa che in quanto filosofi trascendentali non ci tocca; giacché l’autocoscienza è per noi non già un modo dell’essere ma un modo del sapere e più precisamente il modo supremo ed estremo che per noi ci sia in generale. È persino possibile dimostrare per andare ancor più avanti ed in parte è già stato dimostrato sopra che anche quando arbitrariamente si pone come primo l’oggettivo noi tuttavia non usciamo mai dalla sfera dell’autocoscienza. Noi allora nelle nostre spiegazioni o siamo ricacciati all’infinito dal fondato al fondamento o dobbiamo rompere arbitrariamente la serie per il fatto che poniamo un assoluto che è di per sé stesso la causa e l’effetto – soggetto e oggetto – col che essendo ciò originariamente possibile soltanto mediante autocoscienza poniamo di nuovo come primo un’autocoscienza; questo accade nella scienza della natura Copyright ABCtribe.com 91 per la quale l’essere è così poco originario come per la filosofia trascendentale e che ripone l’unica realtà in un assoluto che è di per sé causa ed effetto nell’assoluta identità del soggettivo e dell’oggettivo che noi chiamiamo natura e che nella sua più alta potenza non è di nuovo altro se non autocoscienza. Il dogmatismo per cui l’essere è l’originario non può in generale offrire la sua spiegazione che con un regresso all’infinito giacché la serie di cause e di effetti che la sua spiegazione percorre potrebbe esser chiusa soltanto per mezzo di qualcosa che sia ad un tempo causa ed effetto di sé ma proprio perciò si trasformerebbe in scienza della natura la quale a sua volta nel suo compimento ritorna al principio dell’idealismo trascendentale. (Il dogmatismo conseguente esiste nello spinozismo; a sua volta però lo spinozismo può continuare ad esistere come sistema reale solo come scienza della natura il cui risultato finale ridiventa principio della filosofia trascendentale). Da tutto ciò è evidente che l’autocoscienza circoscrive tutto l’orizzonte del nostro sapere anche esteso all’infinito e in ogni direzione resta ciò che v’ha di supremo. 5.9 Il male in Dio Anche questa lettura tratta del problema del male che è centrale nella riflessione di Schelling del secondo periodo. Egli ispirandosi a Jacob Böhme (1575–1624) ritiene si debba operare una distinzione fra Dio come natura (principio oscuro) e Dio come spirito (principio luminoso). Dio non è sistema ma vita ed il distacco della natura dallo spirito è il male di Dio. Il bene invece consiste nel recupero della natura nello spirito. F. W. J. Schelling Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi Dunque per spiegare il male non ci è dato altro all’infuori dei due principi in Dio. Dio come spirito (l’eterno legame di entrambi) è l’amore purissimo ma nell’amore non può mai esserci una volontà del male e cosí nemmeno nel principio ideale. Ma Dio stesso per poter essere abbisogna di un fondamento se non che questo non è fuori di lui ma in lui; e Dio ha in sé una natura la quale benché appartenga a lui stesso è diversa da lui… Nell’intelletto divino vi è un sistema ma Dio stesso non è un sistema bensì una vita ed è in ciò che risiede la risposta alla questione circa la possibilità del male in relazione a Dio. Ogni esistenza richiede una condizione per divenire esistenza reale cioè personale. Anche l’esistenza di Dio senza una tal condizione non potrebbe essere personale; se non che egli ha questa condizione in sé non fuori di sé. Egli non può abolire la condizione altrimenti dovrebbe abolire sé stesso: può soltanto dominarla con l’amore e subordinarsela a sua glorificazione. Copyright ABCtribe.com 92 Anche in Dio vi sarebbe un fondamento dell’oscurità se egli non facesse propria la condizione se non si unisse con essa a formare un tutt’uno in una personalità assoluta. L’uomo non ottiene mai la condizione in suo potere quantunque vi aspiri nel male; essa gli è soltanto imprestata ed è indipendente da lui; perciò la sua personalità e ipseità non può mai elevarsi all’atto perfetto. Questa è la tristezza inerente ad ogni vita finita e se in Dio v’è una condizione almeno relativamente indipendente anche in lui v’è una sorgente di tristezza che non perviene però mai a realtà ma serve unicamente all’eterna gioia del superamento. Donde il velo di mestizia che di distende sulla natura tutta la profonda ineluttabile malinconia di ogni vita. La gioia deve accogliere il dolore il dolore dev’essere trasfigurato in gioia. 5.10 Il programma della vera filosofia L’idealismo è la “vera” filosofia: esso utilizza come strumento la separazione fra attività teoretica e attività pratica ma ricompone in sé l’unità delle tappe storiche di queste attività e della loro conoscenza. Filosofia teoretica e filosofia pratica si dissolvono nell’unità dell’idealismo. F. W. J. Schelling Sistema della filosofia trascendentale Il mezzo con cui l’autore ha tentato di conseguire il suo scopo cioè quello di esporre l’idealismo in tutta la sua estensione è consistito nel trattare tutte le parti della filosofia in una sola continuità e l’intera filosofia come ciò che essa è vale a dire come storia progressiva dell’autocoscienza storia a cui il dato dell’esperienza serve soltanto come monumento e documento. Per abbozzare con esattezza e compiutezza questa storia importava soprattutto non solo distinguere esattamente le singole epoche e in queste poi i singoli momenti bensì anche presentarli in una successione in cui grazie al metodo stesso con cui era stata trovata si potesse essere certi di non avere omesso nessuno degli anelli necessari sí da conferire al tutto un’intima connessione intangibile dal tempo e permanente per ogni ulteriore rielaborazione come l’immutabile impalcatura su cui tutto dev’essere appoggiato. Ciò che principalmente ha mosso l’autore ad applicarsi con particolare diligenza all’esposizione di quella connessione che è propriamente una serie graduale di intuizioni attraverso cui l’io si eleva fino alla coscienza nella piú alta potenza è stato quel parallelismo fra la Natura ed il principio intelligente al quale egli era stato condotto già da lungo tempo e che non è possibile esporre compiutamente né alla filosofia trascendentale né alla filosofia della Natura isolatamente prese ma soltanto ad entrambe le scienze che proprio perciò devono restare in una perpetua opposizione senza potersi mai fondere in uno. La prova convincente dell’affatto identica natura delle due scienze sotto l’aspetto teoretico che fin qui l’autore ha soltanto affermata va pertanto cercata nella filosofia trascendentale e in particolare nell’esposizione che di essa contiene l’opera presente la quale va perciò considerata come un necessario complemento degli scritti Copyright ABCtribe.com 93 sulla filosofia della Natura. Proprio tramite quest’opera si palesa infatti che le stesse potenze dell’intuizione che si trovano nell’io possono essere mostrate fino a un certo limite anche nella Natura e poiché quel limite divide appunto la filosofia teoretica dalla pratica è pertanto indifferente dal punto di vista meramente teoretico porre come primo l’oggettivo o il soggettivo in quanto su questo punto può decidere soltanto la filosofia pratica (che però in quella considerazione non ha alcuna voce in capitolo) e quindi l’idealismo non ha un fondamento puramente teoretico in quanto che se si ammette soltanto l’evidenza teoretica non si ottiene mai quell’evidenza di cui è capace la scienza della Natura il fondamento e le prove della quale sono del tutto e affatto teoretiche. Da tali chiarimenti anche i lettori ai quali è familiare la filosofia della Natura trarranno la conclusione che v’è un motivo abbastanza profondo ed intrinseco alla cosa stessa per cui l’autore ha contrapposto questa scienza alla filosofia trascendentale distinguendola totalmente da essa poiché se il nostro compito si riducesse unicamente a spiegare la Natura non saremmo certo mai stati spinti all’idealismo. 5.11 Il superamento del male come scopo della creazione All’inizio della lettura Schelling si pone una serie di domande che hanno sempre tormentato gli uomini: il male è destinato a scomparire? La creazione esiste per uno scopo? La risposta sta nel fatto che Dio essendo vita e persona si è voluto assoggettare al destino che è riservato a ciò che si stacca dall’essere e si sottopone al divenire. Il male è cosí divenuto necessario alla rivelazione del bene che alla fine prevarrà. F. W. J. Schelling Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi. Dopo tutto ciò rimane sempre la domanda: finisce il male e come? La creazione ha in generale uno scopo? Se sí perché questo non è raggiunto immediatamente? Perché la perfezione non è già fin dall’inizio? A ciò non vi è altra risposta che quella già data: perché Dio è una vita non solo un essere. Ma ogni vita ha un destino ed è soggetta al patire ed al divenire. A questo destino si è dunque liberamente assoggettato anche Dio dacché primieramente separò il mondo della luce da quello delle tenebre per divenir personale. L’essere diventa accessibile solo nel divenire. Certamente nell’essere non vi è divenire; piuttosto il primo è posto come eternità nel secondo; ma nel processo di realizzazione per antitesi vi è necessariamente un divenire. Senza il concetto di un Dio che soffre umanamente comune a tutti i misteri e a tutte le religioni spirituali del passato l’intera storia rimane incomprensibile… Copyright ABCtribe.com 94 Al di sopra del verbo sorge lo spirito e lo spirito è il primo essere che unisce il mondo della tenebra a quello della luce e subordina a sé i due principi per realizzarsi e divenir personale. Contro questa unità reagisce tuttavia il fondamento e afferma la dualità iniziale ma solo in vista di un sempre maggiore incremento e della finale separazione del bene dal male. La volontà del fondamento deve rimanere nella sua libertà sino a che tutto sia compiuto sino a che tutto sia divenuto reale. Se fosse sottomessa prima in essa resterebbe nascosto il bene insieme con il male. Ma il bene dev’essere elevato dalla tenebra all’attualità per vivere eternamente con Dio; il male invece dev’esser diviso dal bene per venir ricacciato eternamente nel nonessere. È ben questo infatti lo scopo finale della creazione… 5.12 La libertà e il male Il tema del male è fondamentale nel secondo periodo della riflessione schellingiana. In modo molto efficace il filosofo delinea gli aspetti devastanti che una vera dottrina della libertà è in grado di produrre su di un sistema filosofico idealista e su qualsiasi tipo di sistema monistico. Schelling definisce il male come il desiderio dei particolarismi di affermarsi come un disordine fra il centro e la periferia. Franz Baader (17651841) filosofo ed amico personale di Schelling aveva recuperato alla filosofia il pensiero dei mistici tedeschi a cominciare da J. Böhme. F. W. J. Schelling Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi Ma lo stesso idealismo malgrado l’elevatezza del livello a cui ci ha innalzati e la certezza del primo concetto perfetto ch’esso ci ha dato della libertà formale tuttavia in sé e per sé è tutt’altro che un sistema compiuto e non appena vogliamo addentrarci nella sua esattezza e determinatezza ci lascia quanto alla dottrina della libertà piuttosto perplessi. L’idealismo infatti da una parte dà soltanto il concetto piú generale della libertà e dall’altra il concetto meramente formale di essa. Ma il concetto reale e vivente della libertà è che essa sia una facoltà del bene e del male. Questo è il punto della piú profonda difficoltà in tutta la dottrina della libertà difficoltà che da sempre è stata avvertita e che non riguarda solo questo o quel sistema bensí piú o meno tutti e che riguarda certo in modo particolarmente spiccato il concetto dell’immanenza. Infatti o si ammette un male reale e allora è inevitabile porre il male nell’infinita sostanza o nello stesso volere originario col che si distrugge interamente il concetto di un essere perfettissimo; oppure bisogna negare in qualche modo la realtà del male ma con ciò svanisce insieme il reale concetto della libertà… Se la libertà è realmente ciò ch’essa dev’essere secondo questo concetto (ed essa lo è immancabilmente) Copyright ABCtribe.com 95 non si è allora piú in ordine con la sopra tentata derivazione della libertà da Dio; ché se la libertà è un potere di fare il male deve avere allora una radice indipendente da Dio. Cosí incalzati si può esser tentati di gettarsi in braccio al dualismo. Ma questo sistema se è realmente pensato come la dottrina di due princípi assolutamente diversi e reciprocamente indipendenti non è se non un sistema dell’autodistruzione e della disperazione della ragione. Se invece il principio cattivo è pensato in qualche senso come dipendente dal buono tutta la difficoltà della derivazione del male dal bene è sí concentrata in un solo essere ma è in tal modo accresciuta anziché diminuita. Anche supponendo che questo secondo essere sia stato da principio creato buono e si sia staccato per propria colpa dall’essere originario resta sempre inesplicabile in tutti i sistemi che si sono avuti finora la prima facoltà di un atto di ribellione a Dio… Che quella sollevazione della volontà particolare sia il male si chiarisce da quanto segue. La volontà che esce dalla sua sovrannaturalità per farsi particolare e creaturale pur in quanto volontà universale si sforza di sovvertire il rapporto dei princípi di innalzare il fondamento sopra la causa di usare lo spirito ch’essa ha ottenuto solo per il centro fuori di questo e contro la creatura onde segue disordine in lei stessa e fuori di lei. La volontà dell’uomo è da considerarsi come un fascio di forze viventi; finché essa stessa rimane nella sua unità con la volontà universale anche quelle forse permangono in divina misura e in divino equilibrio. Ma non appena la stessa volontà particolare si è scostata dal centro che è il suo luogo si scioglie anche il vincolo delle forze; al suo posto domina una mera volontà particolare che non può piú unificare come la volontà originaria le forze sotto di sé e che deve perciò tendere a formare o a comporre una vita propria e isolata con le forze staccatesi l’una dall’altra con l’esercizio ribelle delle brame e delle voglie (essendo ogni singola forza anche un desiderio e una voglia) il che in tanto è possibile in quanto anche nel male continua a sussistere il primo vincolo delle forze il fondamento della natura. Non potendo però esserci altra vera vita che quella che poteva sussistere nel rapporto originario nasce cosí una vita propria ma falsa una vita della menzogna una propaggine dell’inquietudine e della corruzione […]. Questo concetto del male ch’è il solo giusto e secondo il quale il male si basa su un positivo pervertimento o sovvertimento dei principi è stato messo in rilievo nei tempi moderni particolarmente da Franz Baader e da lui chiarito con profonde analogie fisiche segnatamente quelle della malattia. 5.13 La positività del male Il problema del male è al centro della riflessione di Schelling nel secondo periodo. Egli afferma che dall’angoscia della vita si è spinti al desiderio di uscire dal “centro” per scoprire la propria “inseità”. In ciò sta la positività del male ma anche il dramma del destino umano. F. W. J. Schelling Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi Copyright ABCtribe.com 96 L’angoscia stessa della vita incalza l’uomo a uscire dal centro in cui è stato creato poiché questo centro in quanto è la piú genuina essenza di ogni volontà è per ciascuna volontà particolare un fuoco divoratore: per poter vivere in esso l’uomo deve morire ad ogni particolarità ond’è un tentativo quasi necessario l’uscire da esso verso la periferia per cercarvi un riposo alla propria ipseità. Di qui la generale necessità del peccato e della morte come del reale morire della particolarità attraverso cui ogni volontà umana deve passare come attraverso ad un fuoco per esserne purificata. Nonostante questa universale necessità il male rimane sempre una scelta propria dell’uomo: il male come tale non può costituire il fondamento e ogni creatura cade per propria colpa… L’inizio del peccato è che l’uomo si converte dall’essere autentico al non-essere dalla verità alla menzogna dalla luce alla tenebra per diventare egli stesso principio creatore e regnare su tutte le cose con la potenza del centro che ha in sé. Infatti anche a colui che si è ritratto dal centro resta pur sempre il sentimento che egli è stato tutte le cose cioè in e con Dio: perciò egli vi tende di nuovo ma per sé non là dove potrebbe esserlo cioè in Dio. Di qui nasce la fame dell’egoismo il quale nella misura in cui si stacca dal tutto e dall’unità diventa sempre piú misero piú povero ma appunto per questo piú cupido piú famelico piú velenoso. V’è nel male la contraddizione che sempre consuma ed annienta sé stessa che cioè tende a farsi creaturale proprio mentre distrugge il vincolo della creaturalità e per l’arroganza d’esser tutto cade nel non-essere. 5.14 Perché il male è necessario Ancora una lettura sul problema del male fondamentale nella filosofia di Schelling del secondo periodo. Egli presenta nella lettura un tentativo di giustificazione razionale dell’esistenza del male. Il bene ed il male sono fra di loro contrari ed il loro rapporto è dialettico per cui non si può dare l’uno senza l’altro né eliminare l’uno senza che venga eliminato anche l’altro. F. W. J. Schelling Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi Non può esservi alcun dubbio che il male è stato necessario per la rivelazione di Dio. Infatti se Dio come spirito è l’unità indivisibile dei due princìpi e se questa stessa unità è reale solo nello spirito dell’uomo nel caso che questa unità fosse nello spirito umano altrettanto indissolubile quanto in Dio l’uomo non sarebbe per niente diverso da Dio: l’uomo si risolverebbe in Dio e non ci sarebbe né rivelazione né moto d’amore. Infatti ogni essere può rivelarsi solo per mezzo del suo contrario: l’amore solo nell’odio l’unità solo nella lotta. Se non ci fosse separazione dei princípi l’unità non potrebbe mostrare la sua onnipotenza: se non ci fosse la discordia l’amore non potrebbe diventar reale. Copyright ABCtribe.com 97 L’uomo è collocato a un livello cosí alto che ha in sé stesso l’origine del suo spontaneo movimento verso il bene o verso il male indifferentemente: il legame dei princípi in lui non è necessario ma libero.Egli sta nel punto decisivo: qualunque cosa egli scelga l’azione sarà sua ma non può restare nella indecisione perché Dio deve rivelarsi necessariamente e perché nella creazione in generale non deve rimanere nulla di equivoco… Si è spesso creduto che chi ha voluto il mondo abbia dovuto volere anche il male. Ma quando Dio riconduceva all’ordine i disordinati parti del caos ed esprimeva nella natura la sua eterna unità egli con ciò operava piuttosto contro le tenebre e opponeva allo sregolato movimento del principio irrazionale il verbo come centro stabile e lume eterno. La volontà di creare era dunque immediatamente solo una volontà di far nascere la luce e quindi il bene; in questa volontà il male non venne in considerazione né come mezzo né come conditio sine qua non per la massima perfezione possibile del mondo come dice Leibniz. Il male non fu oggetto né d’un decreto divino né tanto meno d’una concessione divina. La domanda perché Dio pur avendo necessariamente previsto che il male sarebbe derivato almeno in modo concomitante dall’auto-rivelazione non abbia preferito non rivelarsi affatto non merita risposta. Sarebbe come dire che perché non ci sia l’antitesi dell’amore non dev’esserci neanche l’amore… Se Dio per evitare il male non si fosse rivelato il male l’avrebbe vinta sul bene e sull’amore… Sarebbe come se Dio sopprimesse la condizione della sua esistenza cioè la sua propria personalità. Insomma perché non ci fosse il male bisognerebbe allora che Dio stesso non ci fosse… 5.15 Sistema dell'idealismo trascendentale Ciò che noi chiamiamo natura è un poema chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. Ma se l'enigma si potesse svelare noi vi conosceremmo l'odissea dello spirito, il quale, per mirabile illusione cercando se stesso, fugge se stesso; poiché si mostra attraverso il mondo sensibile solo come il senso attraverso le parole, solo come, attraverso una nebbia sottile, quella terra della fantasia, alla quale miriamo. Ogni splendido quadro nasce quasi per il fatto che si toglie quella muraglia invisibile che divide il mondo reale dall'Ideale, e non è se non l'apertura, attraverso la quale appaiono nel loro pieno rilievo le forme e le regioni di quel mondo della fantasia, il quale traluce solo imperfettamente attraverso quello reale. La natura per l'artista è non piú di quello che è per il filosofo, cioè solo il mondo ideale che apparisce tra continue limitazioni, o solo il riflesso imperfetto di un mondo, che esiste, non fuori di lui, ma in lui. 5.16 Schelling, Il finalismo è nelle cose, cosí come l'unità di Spirito e Natura F. W. J. Schelling, Primo abbozzo di un sistema della filosofia della Natura, Introduzione Ora, il meccanicismo è però lungi dal costituire da solo la Natura. Infatti non appena entriamo nel campo della natura organica ogni collegamento meccanico di causa ed effetto viene meno. Ogni prodotto organico sussiste per se stesso, la sua esistenza non dipende da nessun'altra esistenza. Ora, la causa non è però mai identica all'effetto: un rapporto di causa ed effetto è possibile solo fra cose affatto diverse. L'organismo, invece, produce se stesso, scaturisce da se stesso: ogni singola pianta Copyright ABCtribe.com 98 non è che il prodotto di un individuo della sua specie, e cosí ogni singolo organismo produce e riproduce all'infinito soltanto il proprio genere [...]. Soltanto nell'essere organizzato le parti sono reali; ed esistono senza il mio intervento, poiché tra esse e il tutto v'è un rapporto oggettivo. A fondamento di ogni organismo sta quindi un concetto, giacché là dove vi è relazione necessaria del tutto con le parti e delle parti col tutto, ivi c'è il concetto. Ma questo concetto abita nell'organismo stesso, e non ne può venire separato: l'organismo organizza se stesso, e non è soltanto un'opera dell'arte, il cui concetto si trova fuori di essa, nella mente dell'artista. Non solo la forma, ma anche l'esistenza dell'organismo è conforme a scopi. Esso non potrebbe organizzarsi se non fosse già organizzato [...]. Ogni organismo è dunque un tutto: la sua unità si trova in lui stesso, e non dipende dal nostro arbitrio pensarlo come un'unità o come una molteplicità. Il rapporto di causa ed effetto è qualcosa di transitorio, di dileguante, mera apparenza, nel senso comune del termine. L'organismo invece non è mera apparenza, ma esso stesso oggetto, e piú precisamente un oggetto sussistente di per se stesso, in se stesso intero ed indivisibile; e poiché in esso la forma è inseparabile dalla materia, l'origine di un organismo in quanto tale non è piú spiegabile meccanicisticamente di quanto non lo sia l'origine della materia stessa. Qualora dunque si debba spiegare il finalismo dei prodotti organici, il dogmatico si vede del tutto abbandonato dal suo sistema. Qui non giova piú a nulla separare a nostro piacimento concetto e oggetto, forma e materia. Infatti per lo meno qui l'una cosa e l'altra non sono unite nella nostra rappresentazione, ma lo sono già originariamente e necessariamente nell'oggetto [...]. La prima cosa, dunque, che voi ammettete è questa: ogni concetto di finalismo può sorgere soltanto in un intelletto, e solo in relazione a un tale intelletto una cosa può esser definita conforme a scopi. Egualmente siete non meno costretti ad ammettere che il finalismo dei prodotti naturali risiede in essi stessi, che esso è oggettivo e reale, che dunque non appartiene alle vostre rappresentazioni arbitrarie, ma a quelle necessarie. Siete infatti in grado di distinguere molto bene ciò che nelle connessioni dei vostri concetti è arbitrario e ciò che è necessario. Ogni volta che raccogliete in un'unità numerica cose che sono separate dallo spazio, voi agite affatto liberamente; l'unità che conferite loro, non fate che trasferirvela dai vostri pensieri; nelle cose stesse non vi è ragione alcuna che vi necessiti a pensarle come un'unità. Ma del fatto che pensate ogni pianta come un individuo in cui tutto cospira a un unico scopo, dovete cercare la ragione nella cosa fuori di voi: vi sentite necessitati nel vostro giudizio, e dovete quindi ammettere che l'unità con cui pensate ciò non è soltanto logica (soltanto nei vostri pensieri), ma reale (effettiva fuori di voi). Vi si chiede ora di rispondere a questa domanda: come avviene che un'idea, la quale evidentemente non può esistere che in voi e perciò Copyright ABCtribe.com 99 avere realtà soltanto in relazione a voi, debba ciononostante venir intuita e rappresentata da voi stessi come reale fuori di voi? [...]. Questa filosofia deve dunque ammettere che nella Natura ci sia uno sviluppo di gradi della vita, che anche nella materia meramente organizzata ci sia vita, solo una vita di specie limitata. Quest'idea è cosí antica, e nelle piú varie forme si è mantenuta fino ad oggi cosí costantemente (già nei tempi piú antichi si riteneva che tutto quanto l'universo fosse compenetrato da un principio vivificante detto anima del mondo, e la piú recente epoca di Leibniz assegnò ad ogni pianta la sua anima), che si può a ragione presumere che nello stesso spirito umano si trovi una qualche ragione di questa credenza sulla Natura. E cosí stanno veramente le cose. Tutto il fascino che circonda il problema dell'origine dei corpi organici dipende dal fatto che in queste cose necessità e contingenza sono intimamente unite. La necessità, perché la loro stessa esistenza, e non solo (come nell'opera d'arte) la loro forma, è conforme a scopi; la contingenza, perché questa conformità a scopi è reale soltanto per un essere che intuisca e che rifletta. Da ciò lo spirito umano fu sin dall'antichità condotto all'idea di una materia organizzante sé stessa, ed essendo l'organismo rappresentabile soltanto in relazione a uno Spirito, all'idea di un'unione originaria dello Spirito e della materia in queste cose. Esso si vide necessitato a cercare la ragione di queste cose per un verso nella Natura stessa, e per l'altro in un principio superiore alla Natura, e perciò pervenne assai per tempo a pensare Spirito e Natura come un'unità.Qui per la prima volta si fece innanzi dalla sua sacra oscurità quell'essenza ideale in cui esso pensa come una sola unità concetto e atto, progetto ed esecuzione. Qui per la prima volta l'uomo fu colto da un presentimento della sua propria natura, nella quale intuizione e concetto, forma e oggetto, ideale e reale sono originariamente una sola e medesima cosa. Di qui il particolare mistero che avvolge questi problemi: un mistero che la filosofia meramente riflessiva, mirante solo alla separazione, non è mai in grado di svelare, mentre la pura intuizione, o piuttosto l'immaginazione creatrice, ha ormai da lungo tempo scoperto il linguaggio simbolico, che basta interpretare per accorgersi che la Natura parla tanto piú intelligibilmente quanto meno la si pensa in maniera meramente riflessiva. 6 Aforismi 1 La Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito è Natura invisibile. 2 La natura è vita che dorme. 3 L'arte deve iniziare con consapevolezza e terminare nell'inconscio, cioè oggettivamente; l'Io è consapevole rispetto alla produzione, inconscio rispetto al prodotto. Copyright ABCtribe.com 100 4 Nulla, assolutamente nulla è in sé imperfetto, ma tutto ciò che è appartiene, in quanto è, all'essere della sostanza infinita... Questa è la santità di tutte le cose. La più piccola è santa come la più grande sia per l'infinità interna sia per il fatto che non potrebbe essere negata, secondo il suo eterno fondamento ed essere nel tutto, senza che lo stesso infinito tutto fosse negato. 5 Solo nella personalità è la vita e ogni personalità riposa su un fondamento oscuro, che deve quindi essere anche il fondamento della conoscenza. 6 Questa è la tristezza connessa ad ogni vita finita. [...] Essa però non arriva mai a realizzarsi, e serve soltanto all'eterna gioia del trionfo. Donde il velo di tristezza, che si stende su tutta la natura, la profonda, insopprimibile malinconia di ogni vita. 7 Ciò che noi chiamiamo natura è un poema chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. Ma se l'enigma si potesse svelare noi vi conosceremmo l'odissea dello spirito, il quale, per mirabile illusione cercando se stesso, fugge se stesso; poiché si mostra attraverso il mondo sensibile solo come il senso attraverso le parole, solo come, attraverso una nebbia sottile, quella terra della fantasia, alla quale miriamo. Ogni splendido quadro nasce quasi per il fatto che si toglie quella muraglia invisibile che divide il mondo reale dall'Ideale, e non è se non l'apertura, attraverso la quale appaiono nel loro pieno rilievo le forme e le regioni di quel mondo della fantasia, il quale traluce solo imperfettamente attraverso quello reale. La natura per l'artista è non più di quello che è per il filosofo, cioè solo il mondo ideale che apparisce tra continue limitazioni, o solo il riflesso imperfetto di un mondo, che esiste, non fuori di lui, ma in lui. 8 Il tempo è l'angelo dell'uomo. 9 L'architettura è musica nello spazio, una sorta di musica congelata. 10 La pace raramente è negata ai pacifici. 11 L'uomo ha storia solo perché ciò che farà non si può calcolare precedentemente secondo nessuna teoria. 12 Il riconoscere la verità con piena convinzione è un bene così grande che, al confronto, ciò che viene chiamato reputazione, opinione degli uomini e tutte le vanità della terra non valgono nulla. 7 Filosofi correlati 7.1 L'idealismo di Fichte e Schelling Fichte dice, che filosofico può essere chiamato quell’ unico punto di vista capace di ricondurre il molteplice in un’ unità, il filosofo quindi deve poter descrivere a – priori il tempo senza aver bisogno di alcun tipo di esperienza, la sua metodologia è differente da quella del mero cronista di eventi, in quanto costruisce una struttura dove vige un nesso causale – necessario, per comprendere anche una sola età umana, bisogna possedere – scrive Fichte – uno sguardo sulla totalità del tempo e del piano cosmico. Si tratta di una dialettica tra molteplicità ed unità, in cui la temporalità del mondo umano non è altro che una partizione dell’ eternità, Fichte afferma l’ importanza di prendere in considerazione le specie umane e la loro vita, piuttosto che i singoli individui, estranei alla sua analisi. Il fine della vita umana sulla terra, è quello di dirigere tutte le relazioni secondo libertà e ragione, dove la libertà va intesa sul piano dell’ umanità come specie, alla pari di Copyright ABCtribe.com 101 una vera azione reale; in base a questa premessa la vita umana sulla terra, si divide in due momenti, in un primo stadio in cui l’ umanità esisteva semplicemente la ragione era legge e forza naturale e si manifestava come istinto, ed in un secondo, organizzato razionalmente nella libertà e mediante la coscienza. Tra le due età, vi è un periodo intermedio chiamato “ la coscienza o scienza della ragione “. Nella prospettiva fichteana vi sono cinque epoche della vita terrena umana: 1) l’ epoca del dominio incondizionato della ragione per mezzo dell’ istinto: lo stato di innocenza del genere umano. 2) L’ epoca in cui l’ istinto di ragione è trasformato in una autorità esteriormente coattiva; l’ età dei sistemi positivi della teoria e della vita, che in nessun modo possono risalire ai fondamenti ultimi e pertanto non possono convincere, ma mirano invece a costringere ed esigono fede cieca e obbedienza incondizionata: lo stato del peccato incipiente. 3) L’ epoca della liberazione, direttamente dall’ autorità coercitiva, indirettamente dalla signoria dell’ istinto di ragione e dalla ragione in assoluto in ogni sua forma; l’età dell’ assoluta indifferenza verso ogni verità, e della completa mancanza di vincoli, senza alcun filo conduttore dell’ esistenza: lo stato della completa peccaminosità. 4) L’ epoca della scienza della ragione: l’ età in cui la verità viene riconosciuta come un bene sommo ed è amata nel modo più elevato: lo stato della incipiente giustificazione. 5) L’ epoca dell’ arte della ragione, l’ età in cui l’ umanità educa se stessa, con mano sicura e infallibile, fino a diventare immagine perfetta della ragione: lo stato della ragione completa giustificazione e santificazione. Il percorso che l’ umanità compie è un ritornare all’ origine attraverso un’ erranza per il deserto della vita, l’ uomo allontanato dal paradiso è destinato a ricostruirsi sulla terra un mondo sul modello di ciò che ha perduto: “ Resa più audace dalla necessità, si stabilisce infine in qualche misero angolo della terra e con sudore della fronte strappa da terra le spine e i cardi dell’ imbarbarimento, per coltivare i dolci frutti della conoscenza. Grazie al godimento di questi frutti le si aprono gli occhi e le si irrobustiscono le mani, ed essa si costruisce da sé il suo paradiso secondo il modello perduto: cresce per lei l’ albero della vita, essa tende la mano verso i frutti, ne mangia e vive in eterno. Fichte pone a fondamento della storia il principio secondo cui tutto ciò che esiste, esiste necessariamente per assoluta necessità, e non vi è altra modalità esistenziale oltre a quella reale. Il filosofo deve dare un fondamento e una base sicura allo storico, entrambi però nulla possono dire sull’ origine del mondo e dell’umana specie, in quanto non si presenta nessuna origine, ma “ c’è soltanto l’ essere uno, intemporale e necessario. “ L’essere uno, necessario ed eterno è Dio, inteso come sapere se stesso ed dimensione suprema dell’ Copyright ABCtribe.com 102 autocoscienza che riposa su di sé, è quindi fondamento di sé. Colui che si fa portavoce della filosofia deve dare conto “ delle condizioni dell’ esistenza reale “, occupandosi della storia mediante una dimensione a – priori, e cercando tutti quegli eventi che testimoniano e non dimostrano il percorso dell’ umanità verso il suo fine, in questo modo l’ attività speculativa è antitetica a quella dello storico di professione. Il filosofo può – se lo ritiene opportuno – tacere relativamente ai fatti accaduti, senza però inventarsene di nuovo, riuscendo però a spiegare un evento in relazione all’ intero piano universale: “ Riconoscere questo, sottomettersi umilmente ed essere beati nella coscienza di questa nostra identità con la forza di divina, è compito di ogni uomo; comprendere nel chiaro concetto l’ universale, l’ assoluto, l’eterno e immutabile nella guida del genere umano, è compito del filosofo; determinare di fatto la sfera sempre cangiante e mutevole dei fenomeni attraverso la quale procede la sicura marcia della specie umana, è compito dello storico, le cui scoperte vengono soltanto incidentalmente ricordate dal filosofo “. Lo stato assoluto è un’ istituzione artificiale che dirige tutte le forze individuali in una dimensione globale e di specie, avvalendosi allo stesso modo di tutti gli individui, facendo in modo che ognuno presti la sua forza senza riserva alcuna: “Elevarsi a poco a poco alla forma di questo stato assoluto, in quanto esso costituisce un rapporto umano imposto dalla ragione, è la missione del genere umano “. Nello stato delineato da Fichte, solo gli uomini liberi, capaci di provvedere a sé, sono una finalità interna al corpo statale e possono quindi attenersi ad una volontà estranea: è un’ uguaglianza del diritto di tutti, ma in nessuno dell’ uguaglianza dei diritti, sussiste una differenza dei ceti, ma tutti devono cooperare per la totalità. Lo stato in questo modo ha come fine il perfezionamento della specie umana, al di là degli interessi dei singoli individui, nella sua epoca, lo stato avrebbe penetrato le forze dei singoli, dovendo però ancora assurgere ad un piano globale. La prima forma fondamentale di coscienza è l’ oscuro sentimento, l’ amore che l’ individuo nutre verso di sé, si tratta della classe umana formatasi senza l’ educazione; la conoscenza chiara è la seconda modalità coscienziale, la possibilità di estendere il dominio d’ azione dell’ amore è insita nell’ educazione, la conoscenza assume un’ importanza estrema, nella misura in cui conduce a unità il mondo degli spiriti e foggia nella libertà l’ umanità intera. Fichte afferma che l’ umanità si trova tra la prima e la seconda forma coscienziale, e che spetti “ ai Tedeschi prima di ogni altro dare inizio al nuovo tempo, precorrendo gli altri e diventando il loro modello “. Discorsi alla Copyright ABCtribe.com 103 nazione tedesca. Solo ai tedeschi spetta questa educazione superiore, proprio perché ne sono predisposti, parlando una lingua viva alla radice, e non come gli altri ceppi germanici, mobile in superficie e morta nella sua essenza, il fatto di parlare una stessa lingua dalle origini è un segno distintivo. La lingua in sé accompagna il singolo in tutte le più segrete profondità del suo animo, nel pensare e nel volere, imponendo o togliendo limiti, è il punto di convergenza tra i sensi e lo spirito; in un popolo di lingua viva l’ educazione ha incidenza sulla vita, prende in considerazione ogni forma di cultura in relazione all’ esistenza, ed infine “ la gran massa è educabile e gli educatori di questa nazione sperimentano sul popolo le loro scoperte e vogliono avere influenza su di esso “. Discorsi alla nazione tedesca.Nel “ Sistema dell’ idealismo trascendentale “ Schelling afferma che il diritto è una scienza teoretica ed un ordinamento puramente naturale sul quale la libertà ha un dominio ristretto non potendo però essere tutelato dal caso; il primo ordinamento si forma a causa della necessità e del bisogno mediante la violenza e l’oppressione, la legalità di una costituzione inoltre si fonda sulla separazione dei tre poteri dello stato, con la preponderanza di quello esecutivo. Un’ organizzazione statale può essere al sicuro se e solo se principi comuni si sono diffusi tra gli stati quali quelli di una vera costituzione giuridica, ciò però non può accadere attraverso la libertà. Non tutto quello che accade rientra nella storia e a maggior ragione fenomeni spiegabili in termini periodici ed a – priori, in questo senso teoria e storia, sono contrapposte e l’ arbitrio è l’ unico dio, inoltre un accadimento privo di legge è storico, in quanto storico è fusione di libertà e conformità alla legge. Schelling definisce la storia come l’ unione tra la libertà e la necessità, la costituzione giuridica è condizione della libertà, la dimensione necessaria nasce inconsciamente solo mediante l’ intuizione, opponendosi alla sfera del conscio, l’ autore del Sistema dell’ idealismo trascendentale parla dell’ azione non del singolo ma “di tutta la specie“ nella storia. L’ oggetto è lo stesso in tutte le intelligenze ma agisce in modo assolutamente libero, anche perché le azioni umane possono essere opposte tra loro: l’ armonia prestabilita tra l’ oggettivo e il determinante, si spiega con l’ identità assoluta di entrambi, non conoscibile con categorie gnoseologiche, ma solo mediante la fede. “Se la nostra riflessione si volge solamente all’ inconscio od oggettivo, presente in ogni operare, dobbiamo ammettere che tutte le azioni libere – e dunque l’ intera storia – sono del tutto predeterminate per mezzo di una determinazione non già cosciente, ma affatto cieca, che è espressa nell’ oscuro concetto di destino: Copyright ABCtribe.com 104 questo è il sistema del fatalismo. Se la riflessione si volge soltanto al soggettivo, che determina volontariamente, sorge il sistema dell’assoluta mancanza di legge, il vero e proprio sistema dell’ irreligione e dell’ ateismo, cioè l’ affermazione che in ogni fare e agire non vi sia alcuna legge e alcuna necessità. Ma se la riflessione si eleva fino a quell’ assoluto, che è il fondo comune dell’ armonia tra la libertà e l’ intelligenza, sorge il sistema della provvidenza, cioè della religione nell’ unico significato della parola. Nel Sistema dell’ idealismo trascendentale Schelling afferma che l’ Assoluto opera per mezzo di ogni singola intelligenza, è il suo stesso operare assoluto, perciò la storia non è altro che rivelazione di tale Assoluto, rivelazione infinita, dove si presenta la scissione tra oggettivo e soggettivo. Vi sono tre periodi della rivelazione, tra il destino e la provvidenza collochiamo la natura come passaggio intermedio. Il primo periodo della storia è chiamato da Schelling “ tragico “ destino in quanto lo splendore, la fioritura dell’ umanità e le meraviglie del mondo antico tramontano con la caduta dei grandi imperi. Il secondo periodo è dominato della natura, la libertà sembra servire un piano naturale, portando nella storia una regolarità meccanica, va dall’ espansione romana fino alla sua caduta, in questo lasso di tempo vari popoli e civiltà sono poste in contatto tra loro, facendo sì che si realizzi una struttura universale: “ Tutti gli avvenimenti che cadono in questo periodo sono perciò da considerarsi semplici conseguenze naturali, nello stesso modo in cui la caduta dell’ Impero romano non ha né un lato tragico né un lato morale, ma fu necessaria secondo le leggi naturali e non fu che un arbitrio pagato alla natura “ Sistema dell’ idealismo trascendentale, Schelling. Infine con l’ avvento dell’ ultima fase, quella della provvidenza, “ allora sarà anche Dio “. Schelling distingue tre forme di considerazione storica: 1) il punto di vista filosofico – religioso, considera la storia nell’ ottica dell’ idealità, trascurando le singole determinazioni concrete 2) il punto di vista empirico finalizzato a cogliere il reale, e diviso in storiografia cronachistica che si limita a raccogliere dati, e storiografia pragmatica che unifica il materiale storico 3) il punto di vista artistico, sintesi di libertà e necessità, reale ed ideale. 7.1.1 Johann Gottlieb Fichte Il pensiero di Johann Gottlieb Fichte (Rammenau 1764 - Berlino 1814), professore nelle università di Jena e di Berlino, parte dal proposito di rielaborare in maniera sistematica la filosofia di Kant ponendo l'idea pratica della libertà come unico fondamento di un sistema unitario della filosofia (che diviene perciò "sistema della libertà"). Per Fichte il principio del sapere non può essere un fatto della coscienza (come è l'esistenza della legge morale per Kant), ma un atto, una azione spirituale originaria, che viene colta nell'intuizione intellettuale e fonda il sapere deduttivo. La coscienza immediata della legge morale è una manifestazione di questa intuizione intellettuale e ne garantisce la validità. Copyright ABCtribe.com 105 La filosofia deve portare alla luce le "azioni originarie" che rendono possibile il sapere della coscienza, deve chiarificare gli atti precoscienziali che fondano e accompagnano il fatto di sapere questa o quella cosa. Nel realizzare ciò la filosofia deve essere consapevole del suo stesso modo di procedere, deve riflettere e giustificare le asserzioni che avanza. E’ questa l'idea del capolavoro di Fichte, la Dottrina della scienza (1794-95): una teoria della costituzione del sapere della coscienza condotta attraverso una concomitante riflessione giudicativa sui passi propri della coscienza. Si tratta perciò di una filosofia di tipo trascendentale. Dottrina della scienza Per Fichte l'espressione "dottrina della scienza" corrisponde fondamentalmente a quella di filosofia. In un primo momento, che coincide con gli anni di insegnamento a Jena (1794-99), Fichte enuclea un circolo di principi trascendentali: il primo principio ("l'io originariamente pone assolutamente il suo proprio essere") dice che non è concepibile coscienza senza l'agire dell'io spirituale, senza l'essere in atto dell'intelligenza; il secondo principio ("all'io è opposto assolutamente un non-io") afferma che il sapere richiede per esistere che all'io spirituale si presenti una alterità da rappresentare e da configurare, una alterità che nella sua concretezza non si può dedurre logicamente dalla posizione originaria dell'io; il terzo principio ("io oppongo nell'io all'io divisibile un non-io divisibile") dice che il sapere effettivo è sempre distinzione e sintesi di io e alterità, cioè di una sfera soggettiva e di una oggettiva. Fichte vede che nella costituzione della coscienza non operano soltanto fattori teoretici (immaginazione, intelletto, giudizio, ragione), ma anche e insieme fattori pratici (sentimento, impulso, volontà). D'altra parte la spiegazione della coscienza non può essere data soltanto dal fatto che in essa agisce l'io spirituale, ma richiede una azione (un "urto") dall'esterno. Questa azione è per Fichte, radicalmente, un "invito", un "appello" alla libertà che proviene da un altro essere libero. La "nascita" della coscienza rinvia all'esserci di almeno un'altra coscienza, ossia accade in un orizzonte intersoggettivo. La Dottrina della scienza contiene e avanza perciò una teoria intersoggettiva. Dopo il suo trasferimento a Berlino, nel 1799, Fichte approfondisce un nuovo livello della "dottrina della scienza" ed evolve da una posizione di umanesimo, in cui l'io è l'uomo, a una sorta di misticismo, in cui Copyright ABCtribe.com 106 l'essere è Dio e la dottrina della libertà dell'uomo si trasforma in una teoria della grazia. Fichte affronta il problema del rapporto fra il principio del sapere (cioè l'io, la ragione, che è sempre l'unità organica di una dualità) e la radice ultima, l'unità pura sopra ogni distinzione e mediazione, cioè l'assoluto. Individua due movimenti fondamentali: l'uno ascendente, nel quale il sapere si autoapprofondisce fino a "deporsi", sospendersi come sapere, e a riconoscere l'unità originaria di "essere e vita"; l'altro discendente e "fenomenologico" nel quale il sapere, alla luce della evidenza conseguita, si conosce come manifestazione originaria, "immagine", "esistenza", "schema" dell'assoluto. La compiuta "dottrina della scienza", la filosofia, è il sistema dell'immagine dell'assoluto. Discipline particolari La coscienza originaria esiste in quattro "visioni del mondo" (la sensibilità, la legalità, la moralità, la religione), forme fondamentali che corrispondono alle discipline filosofiche specifiche della dottrina della natura, del diritto, dell'etica, della religione. La dottrina della natura enuclea i principi attraverso i quali la natura può essere concepita a partire dalla riflessione intellettuale e vede il senso della natura nel suo essere sede e ambiente del rendersi visibile della vita spirituale. La dottrina del diritto elabora quella manifestazione della vita razionale che consiste nella limitazione reciproca delle libertà degli individui e ne concepisce le forme giuridico-politiche di attuazione. L'etica prende in considerazione i principi della vita morale come consapevolezza e pratica del dovere. La dottrina della religione enuclea il rapporto unitivo di amore che collega la vita divina originaria e ciò che esiste nel tempo. Oltre alle discipline particolari Fichte elabora una filosofia della storia: storia è edificare le relazioni fra gli esseri umani in modo razionale e mediante la libertà. La filosofia politica di Fichte in un primo momento esalta la libertà dell'individuo in connessione con gli ideali della rivoluzione francese, mai in fondo ripudiati; successivamente sottolinea il ruolo dello Stato, ma sempre in funzione della creazione di uno spazio per superiori attuazioni etiche. 7.1.2 Friedrich Wilhelm Joseph Schelling Schelling diviene a soli 23 anni professore straordinario dell'università di Jena, dove frequenta il circolo romantico e ne costituisce uno dei rappresentanti più illustri. Gli scritti più importanti di questo periodo sono: Idee per una filosofia della natura (1797), Sistema dell'idealismo trascendentale (1800). Successivamente si trasferisce a Monaco. Tutti i suoi ultimi lavori tendono al superamento del razionalismo metafisico individuato nel pensiero di Hegel, e nel 1841 Schelling succede proprio a Hegel all'università di Berlino, ma le sue lezioni vengono progressivamente disertate. Natura, spirito, arte Il pensiero di Schelling si caratterizza per lo slancio verso l'unità ultima e indivisa del sapere e dell'essere e si presenta composto di "filosofia dello spirito" e "filosofia della natura". Io, o spirito, e Copyright ABCtribe.com 107 natura sono originariamente complementari e opposti. Insieme rappresentano due strutture coincidenti in un organismo che si auto-produce e si auto-organizza secondo meccanicità e finalità, libero caso e necessità. Nelle Idee per una filosofia della natura Schelling sostiene che la natura è un "organismo senziente", che si auto-produce razionalmente in una sequenza di gradi sempre più complessa, pur in assenza di finalità razionali esplicite. In natura l'uomo è certo una forza tra le forze naturali, ma il suo agire introduce un finalismo nel mondo della necessità e casualità naturali. Le forze di attrazione e repulsione operanti negli enti della natura sono gli stessi principi attivi nell'intuizione dello spirito umano: in natura appaiono dal punto di vista oggettivo dell'"inconscio", nell'intuizione viceversa da quello spirituale-soggettivo della coscienza. Necessità e casualità della natura si riflettono nella necessità e casualità dell'arte, sicché il linguaggio del mito e della poesia si presenta come il più idoneo a esprimere e pensare la natura stessa. Nel Sistema dell'idealismo trascendentale l'arte, che permette di cogliere l'unione e l'identità originarie del soggettivo e dell'oggettivo, dello "spirituale" e del "naturale", viene intesa come culmine extrafilosofico del sapere e prassi comunicativa della filosofia. L'"intuizione estetica" coglie nell'opera artistica, seppure istantaneamente e imprevedibilmente, il fondamento ontologico in cui lo spirituale e il naturale sono l'Uno-Tutto originario. Metafisica della "identità assoluta" La speculazione immediatamente posteriore (Esposizione del mio sistema di filosofia, 1801; Sistema di tutta la filosofia e della filosofia della natura in particolare, 1804) tenta di attribuire permanentemente alla teoria filosofica ciò che prima era stato determinato quale proprio dell'opera artistica: la visione dell'"identità assoluta". Questa identità ultima viene ripensata però come "abisso di quiete e di inattività", come suprema "indifferenza". L'identità del fondamento comune si traduce nell'originario annullamento delle determinazioni polarmente contrapposte (conscio-inconscio, soggettività-oggettività, idealità-realtà, libertà-necessità), prima pensate costitutive della filosofia Copyright ABCtribe.com 108 trascendentale. Questa fase del pensiero di Schelling viene comunemente definita filosofia dell'identità. Gli esiti mistici A partire dalle Conferenze di Erlangen del 1820-21 la filosofia di Schelling si afferma definitivamente come rammemorazione di un immemorabile "soggetto assoluto" una "Oltredivinità" che richiama la tradizione mistica neoplatonica e come esercizio razionalmente "estatico". La ragione si arresta stupefatta di fronte al dato puro e semplice del reale, al fatto che questo si presenti a essa, che pure ne può cogliere le articolazioni, in modo inassimilabile, cioè indeducibile a priori. 7.2 Schelling e Kierkegaard 7.2.1 Il maestro e l’allievo I due pensatori di cui parleremo ora, Schelling e Kierkegaard, rivelano un peculiare legame fra di loro. Schelling era uno dei precoci, geniali giovani usciti dai collegi protestanti della Svevia. Conobbe subito una carriera brillante, divenne presto professore, occupò diverse cattedre, divenne alla fine membro dell’Accademia di Monaco, ovvero dell’Accademia Bavarese delle Scienze, di cui fu per molti anni segretario e presidente, e nel 1840, per motivi che interesseranno anche noi, ricevette un incarico a Berlino. Proprio in quell’anno, nel 1840, tenne una lezione, alla quale Søren Kierkegaard, pensatore danese, partecipò con altri uditori. Schelling era già un uomo anziano ed era ormai sfumato il motivo per cui era stato chiamato alla cattedra di Berlino, in Prussia, ovvero la speranza che la tradizione cristiana si riaffermasse più fortemente in campo filosofico, indipendentemente dagli altri problemi della filosofia. Schelling era già in là con gli anni quando tenne questa lezione; ma ciò non toglie che l’impulso da lui trasmesso a Kierkeagaard, e sviluppatosi in particolare nel 20º secolo, fosse del tutto confacente al clima spirituale di quegli anni. Schelling apparteneva per così dire ai critici di Hegel. E con ciò si è già spiegato perché tanto Schelling quanto Kierkegaard furono in un certo senso precursori della loro epoca. Essi hanno in larga misura anticipato un lungo lavoro di prosecuzione di Hegel e di distacco dal suo pensiero, che interessò i Paesi europei nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento. Da ciò deriva la loro peculiare vicinanza ai nostri attuali problemi, della fine del 20º secolo. Sono aspetti interessanti, a mio parere, che certamente giustificano l’opportunità di occuparci di entrambi questi pensatori un po’ più dettagliatamente. 7.2.2 La realtà e il limite del pensiero Ho già parlato della brillante carriera di Schelling e della funzione critica che egli svolse. Possiamo forse Copyright ABCtribe.com 109 comprenderla più facilmente considerando che questo pensatore (appartenente alla storia dell’Idealismo tedesco, del quale rappresenta una delle stelle più fulgide) è stato d’altra parte il primo ad affiancare o addirittura a contrapporre all’Idealismo una sorta di realismo. E’ così invalsa la consuetudine di affermare che la vicenda spirituale dell’Idealismo tedesco fu alla fine sostituita da un nuovo movimento, improntato al realismo, che conferì alla forma artistica del romanzo un rilievo culturale e filosofico che la letteratura, in questo senso, non aveva da molto tempo per la storia della filosofia. È quindi estremamente importante chiarire che cosa voglia dire “realismo” in questo contesto. Naturalmente con questo termine non s’intende la banale convinzione che il mondo sia reale (e non soltanto un sogno delle nostre idee e dei nostri pensieri). Esso significa piuttosto che l’Idealismo tedesco, pensato fino alle estreme conseguenze, finisce necessariamente per imbattersi nel fatto che la realtà costituisce sempre un limite del pensiero, qualcosa che noi non possiamo anticipare, né in qualche modo produrre con la mente. L’intelletto reale, che secondo la metafisica contempla la realtà nell’essere, cioè la realizza con la sua parola creatrice, non è certo privo di umanità: non lo ritennero nemmeno i grandi pensatori di quest’epoca dell’Idealismo tedesco, i quali hanno anche esercitato un’influenza determinante sugli altri Paesi d’Europa nei decenni successivi: Schelling, in particolare (attraverso Victor Cousin, l’intermediario francese del pensiero idealistico nella prima metà del 19º secolo, che ebbe in seguito un notevole ascendente, diretto e indiretto, sulla figura epocale di Bergson). In ogni caso, la critica di Schelling a Hegel ha proprio questo significato: il possente spirito hegeliano ha creato, con la forza logica del concetto, una sorta di universo dello spirito. Ciò vale per la Logica, ma anche, e soprattutto, per il suo manuale a uso degli studenti, intitolato Enciclopedia delle scienze filosofiche. “Enciclopedia”: questa parola desta l’impressione di voler esaurire tutto ciò che riguarda le scienze filosofiche. E in effetti assistiamo davvero al trionfo della logica,… che nel suo momento d’oro abbraccia ogni cosa. Come abbiamo già avuto modo di osservare, questa logica ha dominato molto a lungo la filosofia successiva, almeno in Germania,… in Italia,… in Inghilterra… e in Olanda, per ricordare soltanto i Paesi più importanti nei quali l’hegelismo è sopravvissuto nel corso dei secoli successivi. Kierkegaard appartiene a un novero di pensatori che dovranno fare i conti proprio con questa realtà: vedremo in che modo. Il nocciolo della questione è il seguente: la realtà è impenetrabile per il pensiero. Tale affermazione non equivale a un piatto irrazionalismo: essa sostiene piuttosto che la realtà possiede una densità di esistenza, tale per cui la sfera della libera possibilità, costituita dai nostri pensieri e dalle nostre idee, ce la fa apparire in immagini sempre distorte. Pertanto la realtà è invero l’oggetto dei nostri pensieri, ma non sarà mai possibile istituire una reale identità fra pensiero ed essere, come sosteneva il giovane Schelling attraverso la sua celebre filosofia dell’identità. Copyright ABCtribe.com 110 7.2.3 L’enigma dell’esistenza Noi dobbiamo scorgere un’evoluzione del cammino di pensiero di Schelling, che consiste proprio nel superamento di questa identità di pensiero ed essere, che aveva trovato la sua glorificazione nell’Idealismo tedesco e nello stesso Hegel, e che egli risolve conducendola fino ai suoi limiti estremi. Come ha potuto realizzare tale obiettivo? Che cosa lo ha aiutato in quest’impresa? Si può certamente osservare che nel pensiero di Hegel c’era un passaggio molto singolare e problematico dal pensiero di Dio, Spirito creatore (cioè la sfera della “logica”) al mondo della realtà, dedotto dialetticamente da quello. L’idea (che in se stessa è perfetta) trapassa nella realtà, e così comincia la filosofia della natura. Ecco, abbiamo pronunciato la parola-chiave, con la quale Schelling cerca di far risaltare l’essenza della realtà di contro alle libere possibilità del pensiero; e proprio questo è il punto che induce a domandarsi (ponendo un interrogativo che oggi appare ovvio) se la filosofia della natura possa porsi accanto alle moderne scienze, cioè alle cosiddette scienze sperimentali della natura, accampando la medesima pretesa di verità. È una questione sulla quale occorre riflettere ancora, non solo qui, in questa nostra serie di meditazioni, ma anche nel futuro del pensiero. In ogni caso, proprio questo motivo schellinghiano ha offerto un impulso peculiare all’evoluzione delle istanze dell’Idealismo tedesco. La realtà è qualcosa di diverso dalle pure possibilità del pensiero. Vedremo in seguito che proprio in questo Kierkegaard fu allievo di Schelling, e critico di Hegel: egli infatti ha introdotto il concetto di esistenza per esprimere l’impenetrabilità della realtà. Si tratta di una cosa ben diversa dalla nozione di esistenza vigente nella logica: è in gioco l’esistere umano, quello di cui si parla in locuzioni come queste: “ciascuno deve condurre la propria esistenza”, oppure “la vita è tutta una lotta per l’esistenza” o simili. Questo concetto (“caricato” direi) di esistenza, è appunto un’eredità di Schelling, è un motivo schellinghiano, deliberatamente contrapposto alla logica universale di Hegel. Esso rappresenta una via d’uscita dalla tradizionale identificazione di pensiero ed essere, che dà impulso a nuovi sviluppi. Il concetto che viene così portato in primo piano è quello di “potenza”. Schelling ha presentato il regno della realtà come una gerarchia di potenze, dal minerale (dotato di una misteriosa fissità e verità cristallina), alle piante – nelle quali c’è già capacità di divenire, la crescita e la vita, un “potere”, in un certo senso – per passare così al mondo animale, e infine a quello umano, in cui l’animalità nell’uomo ha una sua potenza, Copyright ABCtribe.com 111 così come negli altri animali, e nella quale, non di meno (per usare una famosa espressione di Schelling), “il fulmine dell’assoluto” ha squarciato il regno della libertà. All’interno dell’Idealismo tedesco Schelling è diventato il celebre filosofo della libertà: a questa dedicò uno degli scritti più importanti, del 1809, apprezzato per la sua profondità anche da Hegel (esso risale peraltro proprio agli anni del primo grande capolavoro hegeliano, la Fenomenologia dello spirito). Questo scritto è intitolato Sull’essenza della libertà umana. Hegel era però un tipo completamente diverso, un brusco maestro di scuola svevo, dotato di una misteriosa forza di suggestione, con cui affascinò i suoi uditori a Berlino, anche se parlava uno Svevo quasi incomprensibile. È pur vero che anche Schelling parlava Svevo (lui stesso era Svevo), ma unendolo a una leggerezza ed eleganza del linguaggio che univa allo stesso tempo profondità e bellezza. 7.2.4 L’ansia di vivere Voglio citare soltanto un’affermazione, che forse chiarisce quale sia la tematica affrontata da Schelling con la dottrina delle potenze. La frase dice: “l’ansia di vivere sospinge la creatura fuori dal suo centro”.… Davvero misteriosa! Ricordo che Heidegger, credo nel 1925, durante un seminario citò improvvisamente queste parole, e rivolgendosi a noi dichiarò: “Signori, questo è stato detto!” (Eravamo presenti in molti). “Signori, citatemi una sola frase altrettanto profonda in Hegel”. Certo, vi riconosciamo anche una notevole valenza retorica, ma il pensiero qui espresso è difficile da sviluppare, ed è connesso al concetto di potenza. Che cos’è la “potenza”? Potenza è potere, possibilità. E che cos’è potere? Certo, non è “fare tutto ciò che si può”; potere è piuttosto un “saper fare”, un saper esplicitare se stessi. Chi sa fare, è un conoscitore; il “potere” è dunque anche un modo d’essere: un saper attingere da se stessi ciò di cui si è capaci, così da essere, in ogni momento, conoscitori e artefici di sé, realizzando le proprie potenzialità. Che cosa vuol dire “l’ansia di vivere sospinge la creatura fuori dal suo centro?” La spiegazione che Schelling offre di questa frase è purtroppo ancora più complessa di ciò che intende chiarire. Ma questo è il caso della maggior parte delle spiegazioni che noi filosofi troviamo per le nostre teorie. È sempre molto difficile spiegare quello che si dice! Così anch’io mi accontento di ricordare qui il significato delle parole “ansia di vivere”: si tratta dell’intimo impulso della vita a conservarsi. Schelling dice espressamente: “sospinge la creatura fuori dal suo centro”. Ogni essere vivente ha, in un certo qual modo, questa pulsione a svilupparsi, questa volontà di possesso, un istinto all’autoconservazione, di cui non può fare a meno. Ecco che cos’è l’“ansia di vivere”: è quell’angustia che spinge la vita a svilupparsi; anche il bocciolo, alla fine, fa saltare il suo involucro, per espellere il fiore e poi il frutto. Schelling dunque, riconoscendo all’“ansia di Copyright ABCtribe.com 112 vivere” un ruolo di primaria importanza, descrive una fase nella storia della libertà. L’ansia è certo tutt’altro che libertà: ci incatena. Nell’ansia, la libertà si sente oppressa. Questo è il modo d’essere della natura, come ho cercato di chiarire con l’esempio del bocciolo, teso fino allo scoppio, per sciogliere dalle catene questa libertà del “potere”, che nelle piante è il poter crescere. Quanto accade nelle piante, si verifica in maniera analoga, anche se evidentemente a un livello superiore, nella vita dell’uomo; la sua ansia è del tutto diversa (egli avverte quest’angustia, al di là della quale si spinge con la libertà e l’audacia della sua immaginazione e del suo intelletto, trascendendo i propri limiti con la caparbietà del pensiero). Ho già menzionato “il fulmine dell’assoluto”, grazie al quale l’uomo ha coscienza della libertà, di quest’infinito che fa anche della natura un peculiare mistero per gli esseri pensanti. Schelling parla addirittura del “brivido”, di quel tremore davanti all’abisso, che coglie l’uomo di fronte a questa pulsione infinita che spinge la natura, intorno a lui, ad affermarsi e a imporsi. E ciò coinvolge, chiaramente, anche l’uomo stesso. E si può già presagire che, a partire da questa intuizione di una libertà che si sbarazza delle sue catene (ma che continua a fare esperienza dei propri limiti) si sperimenta la vera e propria legge dell’uomo che vive e che pensa. Con la filosofia di Schelling vediamo operare un simile impulso già in seno all’incredibile orgoglio dell’Idealismo tedesco, che sempre medita su quelle regioni oscure dalle quali affiorano la chiarezza e la luce. Vedremo in seguito come, accogliendo le istanze di Kierkegaard, pensatori come Heidegger o Jaspers abbiano formulato nel nostro secolo questa intima limitatezza del pensiero nei confronti di una realtà impenetrabile. A Hegel dobbiamo un’espressione meravigliosa: “l’immemorabile”. Immemorabile è ad esempio la terra natia. Che cos’è la terra natia? Nessuno è in grado di tradurre concettualmente l’immemorabile o di spiegarlo. È qualcosa che è in noi e che precede ogni pensiero, è qualcosa di primigenio, di cui non c’è traccia nella memoria. L’immemorabile è l’essenza della nostra esperienza della realtà, cui si accompagna l’acceso entusiasmo della libertà. 7.2.5 Un teologo senza frontiere Quando Schelling ricevette l’incarico a Berlino, ci si aspettava dalla sua critica a Hegel soprattutto un rafforzamento della Chiesa cristiana protestante. In effetti, la Prussia di quegli anni aveva una costituzione luterana. In altri termini: il sovrano politico era al tempo stesso il sommo capo spirituale. Questa era la concezione protestante di Lutero. E così stavano le cose anche in questo caso, tanto che il romantico monarca prussiano dell’epoca, Federico Guglielmo IV, impose la chiamata di Schelling a Berlino per controbilanciare in questa maniera quello che egli temeva Copyright ABCtribe.com 113 essere un pensiero filosofico troppo estraneo alla Chiesa, con risvolti teologici troppo speculativi. E in un certo senso Schelling poteva davvero assolvere questa funzione, in quanto il suo pensiero teologico più profondo era che Dio stesso, per così dire, si differenzia in sé (nel suo fondamento e nella sua esistenza) cioè in questa realtà impenetrabile, che egli è, tale per cui da esso deriva ogni altra realtà: ad esempio quella del Creato e quella di ogni essere vivente. Pertanto, la svolta teologica da lui operata, costituisce di fatto un rafforzamento della religione cristiana di Stato (se è lecito esprimersi in questi termini). Va detto però, che anche in Baviera (che era sostanzialmente un Paese cattolico) Schelling era stato acclamato come uno che sapeva parlare di Dio e del divino, riuscendo al tempo stesso a celebrarne l’impenetrabile profondità. Indipendentemente da ciò, l’esigenza filosofica avanzata da Schelling (sul fondamento della realtà delle potenze) era quella di produrre la cosiddetta “prova fisica dell’Idealismo”, che doveva spiegare come davvero la libertà (ovvero il “riferimento di sé a sé medesimi”, il “conoscere se stessi”) rappresenti la suprema possibilità dell’essere, e trovi quindi la sua perfezione e la sua vera manifestazione proprio nella realtà di Dio. In questo senso Schelling è, per molti versi, una figura di confine nella filosofia dell’Idealismo classico tedesco, animata dal pensiero della libertà. Guardando a Kierkegaard riscontreremo la grande attualità di questi motivi, che oggi hanno assunto quasi la veste di un teorema. Pensiamo, ad esempio, alla teoria dell’evoluzione, che abbraccia l’immenso arco di tempo che va dai primordi del cosmo fino all’espansione dell’universo (al di là di ogni possibile pensiero umano) e consideriamo poi tutte le teorie che risalgono a Darwin e alla moderna astrofisica: in esse si riproduce, in un certo senso, quel medesimo schema della dottrina delle potenze che fu enunciato da Schelling. 7.2.6 L’ironia Con Kierkegaard, abbiamo a che fare con una figura di tipo radicalmente diverso; innanzitutto egli era relativamente più giovane: studiava ancora, come dicevo, quando Schelling era già vecchio, famoso e incanutito. Ma pur con quel lieve ritardo, che i Paesi confinanti mantengono sempre nei confronti di un Paese leader, egli seppe recuperare molti aspetti e realizzare brillantemente certe istanze nascoste nella filosofia del Romanticismo tedesco. Nelle nostre conversazioni non abbiamo potuto affrontare nel dettaglio nessuno dei grandi esponenti della letteratura romantica. Fra questi ci sono poeti come Novalis (o Hardenberg) e Ludwig Tieck e, ancora, i fratelli Schlegel, in particolare Friedrich Schlegel, che recentemente è tornato a suscitare interesse per la sua intima vicinanza all’ermeneutica e a Nietzsche. Copyright ABCtribe.com 114 In ogni caso, un tratto importante di questo straordinario scrittore danese, che siamo abituati a leggere in tedesco, è l’ironia: la celebre ironia romantica, con cui questa temperie culturale si contrapponeva (in tono polemico e critico) alla mentalità troppo conciliante, oltremodo simmetrica e armoniosa, tipica del Classicismo di Weimar. L’ironia è una nozione che, come è noto, risale ai Greci, ed è legata alla figura di Socrate e al suo famoso metodo: pretendere di “non sapere”, così da far emergere, di fatto, l’ignoranza di tutti gli altri. Dietro questa “insipienza” si celava dunque un sapere superiore, una conoscenza dei limiti che sono imposti a ogni uomo, da cui deriva la necessità di tenere a freno certe ambizioni del pensiero. La gloriosa frase socratica, che anche Kierkegaard ha affrontato nella sua prima pubblicazione, è: “gnòthi sautòn” – conosci te stesso! In altri termini: “riconosci di essere un uomo, e non un Dio”. Questo motto può essere opportunamente applicato ad alcune eccessive aspirazioni teologiche della filosofia, ad esempio alla “nòesis noèseos” (il dio filosofico di Aristotele) e alla corrispondente formulazione dello spirito assoluto nell’Enciclopedia di Hegel, nella quale, a conclusione del suo sistema, egli cerca di esprimere con parole greche una verità eterna sull’essere divino. Propongo di tagliare l’ultima frase, perché poco chiara. Può darsi che ricorrendo all’esistenza socratica si possa effettivamente superare la profondità dell’ironia romantica, almeno per il versante produttivo dell’autocritica. 7.2.7 Aut - Aut Il libro che decretò la fama di Kierkegaard (e che apparve solo nel 20º secolo per la prima volta in traduzione tedesca) era intitolato Enten-Eller, ovvero Aut-Aut (come dicono gli Italiani, che hanno dato questo nome anche a una rivista). È evidente che con questo motto si vuole anzitutto prendere di mira la dialettica hegeliana. Il suo bersaglio è l’abilità di riconoscere in tutte le opposizioni e contraddizioni il tratto comune e la superiore unità: questa incredibile potenza concettuale della riflessione totalizzante di Hegel è stata chiaramente una sfida per un pensatore cristiano quale fu Kierkegaard (e del resto fu uno stimolo anche per un pensatore politico come Karl Marx, che in questa continua conciliazione nel pensiero avvertiva la mancanza di una conciliazione anche della realtà con se stessa). In questo senso, comunque, Kierkegaard ha elaborato Aut-Aut ricorrendo al brillante accostamento di due posizioni tra loro contrapposte: lo stadio estetico e quello etico. Devo ammettere che questo è stato il libro, grazie al quale per la prima volta ho imparato a capire Hegel. Così va la vita dello spirito: arriva un giovane, ha sentito dire qualcosa di Hegel, ma improvvisamente vede risplendere una luce che ravviva in senso polemico tutto il problema, rendendo comprensibile ciò contro cui l’aggressione è rivolta. Si tratta di un passaggio polemico molto famoso: lo stadio estetico è quello della contemplazione e della gioia di fronte a possibilità d’essere che sono solo immaginate. C’è però qualcosa di diverso, oltre a questo labile gioco dell’immaginazione, che può spingere il Copyright ABCtribe.com 115 nostro animo fino alla disperazione. Ben più saldo è quello che Kierkegaard chiama lo “stadio etico”. A questo proposito dobbiamo per un attimo ricordare (in un’epoca nella quale non si conosce più il greco) che cosa significhi “etico”. Etico: in questo termine è racchiusa la parola “éthos”, “abitudine”, “consuetudine”. Insomma, c’è uno stadio che risulta caratterizzato dalle nostre usanze. Altrimenti detto: si tratta di un certo “portamento”, di un “modo d’essere”. Ciascuno di noi ha un suo modo d’essere. Io, ad esempio, faccio continuamente questo movimento: è un mio modo d’essere, e uno dei miei allievi se ne ricorda ancora, dopo aver seguito le mie lezioni per dieci anni. Tutti quanti abbiamo un nostro modo d’essere, e questo “modo d’essere” si identifica con ciò che siamo. Ecco dunque la tesi di Kierkegaard: la prima cosa è proprio questa: ciascuno si fa carico del proprio modo d’essere, della propria esistenza, e non può far altro che accettare, di fronte alla molteplicità del possibile, la propria limitatezza. Kierkegaard descrive tutto ciò in una famosa storiella, quella di un uomo comune, l’assessore Guglielmo, con una qualche carica, sposato. Di lui ci viene descritta questa scena: se ne sta seduto, e legge, e rilegge; arriva la moglie e dice: “Ma che cos’hai? Hai l’aria così abbattuta!”. – “Eh sì…” – “E allora?” – “Non capisco questa frase! C’è questo…segno… se non ci fosse, la capirei”. Allora la moglie apre la bocca e soffia via la mosca morta che c’è sopra. Ebbene, l’uomo dipende sempre dall’aiuto di questa “maestra della finitezza”. 7.2.8 Il possibile è sempre vero Questo fu uno dei primi brillanti lavori di Kierkegaard, ai quali egli deve la sua fama di scrittore nel suo Paese. In seguito egli si è espresso in maniera ancora più esplicita in molti saggi, operando anche una critica alla mediazione dialettica totale della filosofia hegeliana. “Aut-aut”, ovvero prendere una decisione a cui attenersi: ciò significa al tempo stesso escludere molte cose, ma anche conservare una continuità con se stessi. E questa è l’esistenza. (Si può forse supporre che la Filosofia dell’esistenza, quando questo famoso scrittore fu per la prima volta tradotto in tedesco nel 20º secolo, sia stata immediatamente accolta e abbia contribuito in maniera decisiva all’approfondimento del nostro clima filosofico). Copyright ABCtribe.com 116 Lo stesso Kierkegaard, come dicevo, ha quindi assunto una decisa posizione critica, e se non si può dire che egli discenda direttamente da Schelling, è pur vero che ripropone quelle stesse istanze critiche nei confronti di Hegel, che furono già di Schelling. Facendolo in maniera ironica. Il suo scritto scientifico, l’unico suo testo scientifico (che non abbia cioè il carattere di un saggio brillante) è intitolato: Postilla conclusiva non scientifica. Una triplice ironia: è “conclusiva”, non è scientifica, ed è una “postilla”. In questo elaborato, in cui egli si richiama peraltro ampiamente anche a Lessing, si perviene a un’esplicita discussione del rapporto fra possibilità e realtà. Egli comincia col richiamare alla memoria un famoso detto di Aristotele, secondo il quale la storia sarebbe meno vera della poesia. La storia riferisce infatti, nel migliore dei casi, soltanto ciò che è realmente stato; la poesia, invece, descrive ciò che sempre potrebbe essere e sarà. Quindi la possibilità, che in essa si esprime, è in un certo senso superiore, poiché non possiede i limiti di ciò che è meramente fattuale, ma al tempo stesso partecipa di ciò che è sempre vero. Ciò che rimane nell’ambito del possibile è incamminato verso la conoscenza della vera realtà, e le si avvicina. Così Kierkegaard ha rimesso in discussione, a suo modo, il concetto di esistenza, e gli spiriti più eminenti della cultura europea hanno lentamente riportato alla luce questo scrittore danese rimasto sconosciuto. Tra coloro che hanno riscoperto Kierkegaard va ricordato anzitutto Miguel de Unamuno, che ha imparato il danese per poter leggere Kierkegaard. Ci sono spunti molto belli e profondi in Unamuno, che vanno in questa stessa direzione. 7.2.9 La comunicazione indiretta Non voglio soffermarmi molto a lungo su Kierkegaard, poiché egli non apparterrebbe, al pari di altri nomi, ai grandi classici della filosofia, se non ci fosse stata, nel ventesimo secolo, la rinascita della problematica kierkegaardiana dell’esistenza, che ha avuto un ruolo decisivo in pensatori come Jaspers, Heidegger e molti altri, anche in campo teologico. C’è tuttavia ancora qualcosa che si potrebbe aggiungere, in conclusione, su di lui, anticipando già una tematica che dovremo affrontare. In effetti, dopo queste due figure inconsuete, la filosofia tornerà a essere una disciplina accademica. Ma quello che dirò servirà anche ad apprezzare grandi ed eccezionali esponenti della filosofia dell’Ottocento tedesco, come Schopenhauer e Nietzsche, cogliendo la loro vicinanza alle tematiche dell’Idealismo tedesco, di cui rappresentano una prosecuzione. È dunque mia intenzione mostrarvi ancora uno di questi motivi. Che cosa spinge Kierkegaard ad avere un atteggiamento così ironico nei confronti di se stesso e di tutti gli argomenti che affronta? È quella che egli chiama “comunicazione indiretta”. Copyright ABCtribe.com 117 In altri termini: per poter realmente comunicare quel dramma dell’esistenza che ciascuno può vivere dentro di sé nella propria singolarità, non è necessario suscitare un grande pathos, ma riuscire a parlare in maniera indiretta di quell’inevitabile interesse che ci lega a noi stessi. L’operazione di Kierkegaard appare chiara: egli riprende il concetto kantiano di “piacere disinteressato”, cioè la scioltezza estetica con cui l’immaginazione e l’intelletto giocano con il bello e con l’arte. Egli si appropria di ciò per contrapporvi la serietà dell’etico, e al tempo stesso anche la questione della fede, il problema più serio che possa presentarsi all’umanità: quello della responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri. La “comunicazione indiretta”, così, ha conosciuto nella teologia del Novecento una nuova dimensione: non si può usare il discorso diretto quando ci riferisce a Dio. 7.3 L’arte per Schelling, Aristotele, Kant e Schopenauer Schelling sostiene che l’arte è in grado di attestare quell’unità profonda tra natura e spirito, che costituisce l’essenza della realtà, in quanto nella produzione artistica viene meno la differenza tra forma e materia, tra interno ed esterno, tra libertà e legalità. Nell’arte ha luogo quell’intuizione produttiva che la filosofia teoretica può solo riconoscere e non ripetere, essa inoltre realizza in un prodotto finito la conciliazione di principi infiniti, il momento reale e quello ideale, che in natura appaiono come contrapposti. L’arte è una attività intuitiva che produce da se il proprio prodotto, l’oggetto, realtà materiale che ha in sé allo stesso tempo il principio ispiratore. Nella creazione estetica, l’artista è mosso da una forza inconsapevole che fa si che la sua opera sia la sintesi di un momento inconscio e spontaneo, l’ispirazione, e di uno conscio e meditato, l’esecuzione. L’arte per Aristotele è l’imitazione della natura secondo verosimiglianza, è ricreare le cose secondo una nuova dimensione; l’arte costituisce una nuova forma di conoscenza. Il bello per Aristotele è un concetto quasi matematico, implica ordine e simmetria di parti, in una parola proporzione. Aristotele nella Poetica prende in esame la poesia tragica ed epica, più specificatamente prende in considerazione due concetti per comprendere il fatto artistico: Mimesi e Catarsi, la mimesi è l’immedesimarsi dello spettatore nella vicenda che si sta svolgendo, la catarsi è la liberazione in senso morale e fisiologico delle passioni. Copyright ABCtribe.com 118 Kant pone arte e bellezza come problemi filosofici e sceglie di intraprendere una strada che riconosca al giudizio estetico autonomia,e insieme lo distingue dalla conoscenza teoretica in quanto esso non ha come obiettivo la valutazione di ciò che è vero e ciò che è falso. La bellezza non riguarda la costituzione degli oggetti, bensì una nostra reazione soggettiva nell’atto di percepirli . Kant osserva inoltre che il giudizio estetico è in grado di svelare un’unità profonda tra la natura e l’esperienza morale dell’uomo, permettendo ad esso di cogliere la natura come animata da quelle caratteristiche di finalità ed armonia che egli sperimentava nell’uso pratico della ragione, nell’ambito della moralità. La bellezza è ciò che attesta la corrispondenza tra il mondo della necessità, tipico della critica della ragion pura e quello della libertà proprio della critica della ragion pratica, ciò è possibile grazie ad una facoltà, il sentimento, il quale può essere del piacere o dispiacere, suscitato dal gusto. Tale sentimento è comune a tutti gli uomini, dunque il giudizio estetico si basa su un principio soggettivo ed aspira ad un riconoscimento comune, l’ universalità. Kant elabora inoltre il concetto di genio, esso è la sintesi di immaginazione ed intelletto. L’artista gode di una assoluta libertà creativa dove l’intelletto è presente, ma non è costrizione razionale, come avviene nel campo della conoscenza, ma come capacità di realizzare l’opera secondo il proprio naturale gusto estetico. L’opera d’arte è la sintesi di necessità e libertà, per quanto libera e geniale sia l’ispirazione dell’artista egli dovrà tuttavia fare i conti con le rigide regole del mondo della natura. Schopenhauer sostiene che l’essenziale del mondo è volontà insaziabile. La volontà è conflitto e lacerazione, quindi dolore, essa è tensione continua, il tendersi si vede sempre impedito, sempre in lotta, è dunque sempre un soffrire. Ogni ente naturale si sente incompiuto e bramoso di superare la propria determinatezza, ogni essere umano è un essere inappagabile, egli manca di qualcosa, di conseguenza tutto il suo agire si esprime nella forma dolorosa del continuo desiderio. La vita è bisogno e dolore. Se il bisogno viene soddisfatto si piomba nella sazietà e nella noia, col possesso svanisce ogni attrattiva, il desiderio rinasce in forma nuova e con esso il bisogno. Ci si può liberare dal dolore e dalla noia e sottrarsi alla catena infinita dei bisogni attraverso l’arte. Copyright ABCtribe.com 119 L’uomo nell’esperienza estetica si annienta come volontà, si trasforma in puro occhio del mondo, si immerge nell’oggetto e si dimentica se stesso e il suo dolore. Questo occhio scorge le idee, modelli delle cose, al di fuori di tempo e spazio. L’arte esprime l’essenza delle cose e proprio per questo ci aiuta a distaccarci dalla volontà e dunque dal dolore. Schopenhauer prende in esame le arti, le quali sono liberatrici in quanto il piacere che esse procurano è la cessazione del bisogno, che si raggiunge con lo svincolarsi della conoscenza dalla volontà e il suo porsi come disinteressata contemplazione. 7.4 La realtà e la natura in Schelling, Hegel, Fichte e Kant Come sia pensabile un mondo fuori di noi, come sia concepibile una natura e con essa un'esperienza, sono interrogativi che dobbiamo alla filosofia o meglio, con queste domande è nata la filosofia. Inizialmente gli uomini erano in senso filosofico allo stato di natura. Allora l'uomo era ancora tutt’uno con sé e con il mondo che lo circondava. Dunque prima della filosofia l'uomo non si differenziava dalla natura, si sentiva e viveva con e nella natura, si riteneva un’unica realtà con essa; non viveva lacerazioni e separazioni. Solo con la riflessione filosofica l'uomo ha distinto e separato sé, come pensiero che può riflettere anche su se stesso, dalla realtà sensibile, che non è dotata di questa capacità. Questa divisione non è dovuta però alla volontà dell’uomo di staccarsi dalla natura, ma al desiderio dell’uomo di togliersi dallo stato di connessione con la natura, importantissimo per lasciare lo spirito libero di fare seguendo il suo libero arbitrio che è la prova della sua intelligenza. Questa separazione poi non può essere definitiva perché l’uomo è nato per agire e se questa spaccatura tra io e mondo fosse definitiva l’uomo non sarebbe più uomo perché non potrebbe più agire e si chiuderebbe in se stesso e l’unica riflessione possibile per lui sarebbe sulla sua natura spirituale. Secondo Kant la realtà è fatta da fenomeno e noumeno: il fenomeno è ciò che si mostra e che è percettibile dai sensi mentre il noumeno è ciò che può essere unicamente pensato e che non può essere appreso tramite l’esperienza. La realtà o il mondo per Kant quindi è ciò che ci si presenta, che è finito e conoscibile tramite l’esperienza. Per Fichte invece la realtà è il “non io”, cioè tutto ciò che non è l’io e tutto ciò che quindi è esterno a questo, la cui esistenza è provata dal fatto che esiste sicuramente un io e quindi esisterà sicuramente qualcos’altro da sé. In Fichte però la rottura tra io e non io viene riempita dal superamento di questa con l’umanizzazione del mondo e cioè modellando la natura secondo i nostri scopi. Schelling giunge, invece, ad dichiarare che la natura è un organismo universale nel quale opera un unico principio vitale, l'anima del Copyright ABCtribe.com 120 mondo. Quindi accrescendo le riflessioni kantiane sul concetto di organismo, Schelling arriva ad accettare la stessa nozione rifiutata da Kant di materia vivente. La natura così non è materia inerte, ma vita universale intrinseca alla materia stessa, che continuamente si plasma e si trasforma in un continuo divenire. Asserendo che la natura è vita, Schelling attribuisce ad essa, come proprietà fondamentale,l'attività. Ciò equivale a riconoscere la sostanziale omogeneità tra natura e spirito, il quale trova appunto nell'azione la sua determinazione principale. Hegel invece, arriva ad affermare che la realtà è un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte e manifestazione di questo. Quindi non ci sono divisioni per Hegel, ma tutto fa parte di un organismo infinito e ciò che costituisce questo organismo cioè le cose reali sono “finite”. 7.5 Hegel e Schelling In questo periodo Hegel si serve della filosofia di Schelling per emanciparsi da quella di Kant e soprattutto di Fichte, cui si sentiva fortemente attratto. In particolare egli fa propria la critica di Schelling all'intelletto che separa l'uomo dalla natura, il particolare dal generale, la libertà dalla necessità, ecc. L'esigenza di Hegel è quella di mediare dialetticamente le opposizioni cristallizzate dall'intelletto e dimostrare che il processo di unione degli opposti comprende tutti i molteplici aspetti della realtà, nessuno escluso, in quanto tutti partecipano alla costruzione della totalità. Le contraddizioni cioè non vanno esasperate ma ricomprese nel tutto. L'intelletto kantiano-fichtiano è per Hegel irrazionale in quanto parte da un'istanza contestativa che non può trovare alcuna soddisfazione. Schelling inoltre aiuterà Hegel a passare dall'interesse teologico a quello propriamente logico, anche se questo coinciderà nella sua opera con una serrata critica dell'Illuminismo europeo. Oltre all'attività di partner pubblicistico di Schelling, Hegel nei corsi universitari di Jena raccoglie ed elabora materiali (rimasti inediti per oltre un secolo) organizzati in una Logica e metafisica, Filosofia della natura e Sistema dell'eticità. Politicamente Hegel registra una notevole quantità di idee consone alle istanze socio-economiche della borghesia, ma le incorpora in una prospettiva politica di vecchio tipo: l'ideale -a suo giudizio- è una società di ceti retta da un potere monarchico ereditario, non derivato né limitato da alcuna forma di contratto sociale. Sul piano della critica della religione, Hegel la prosegue, ma ridimensionando le conquiste dell'Illuminismo, il quale, pur criticando il dogmatismo e la superstizione, non ha saputo fare altro -secondo Hegelche porre l'assoluto al di sopra della ragione, rendendolo inaccessibile e incomprensibile Copyright ABCtribe.com 121 (vedi Kant e Fichte).Il distacco da Schelling avviene non sul terreno politico (ove non c'era alcun vero disaccordo) ma su quello filosofico. L'opera che lo sanziona ufficialmente è la Fenomenologia dello spirito (1807). Il distacco avviene sul concetto di contraddizione, che per Schelling è una semplice "polarità" di opposti (positivo-negativo, ecc.), colta nel contesto della natura e riferibile a tutto l'universo, uomo compreso. Per Hegel invece la contraddizione è un processo in cui la libertà (soprattutto quella umana) gioca un ruolo di primo piano. Questa contraddizione, per essere superata, ha bisogno, per essere efficacemente interpretata, di un processo speculativo (la dialettica) molto più sofisticato dell'intuizione intellettuale (per la quale -dirà Hegell'identità è come la notte in cui tutte le vacche sono nere). Hegel esprimeva una consapevolezza più profonda dei problemi del suo tempo: a differenza di Schelling egli vedeva la contraddizione nel suo necessario sviluppo storico. Copyright ABCtribe.com 122