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CALDERÓN
TEATRO ARGENTINA
20 aprile | 8 maggio
prima h. 21, martedì e venerdì h.21, mercoledì e sabato h.19, giovedì e
domenica h.17
promozione speciale studenti
ingresso a 10,00€
CALDERÓN
di Pier Paolo Pasolini
regia Federico Tiezzi
venerdì 22 e martedì 26 aprile ore 21.00
mercoledì 27 aprile ore 19.00
prenotazioni a [email protected]
Incontro con Sandro Lombardi e la compagnia
Intervengono Antonio Calbi e Emanuele Trevi
27 aprile | Teatro Argentina - Sala Squarzina ore 16.30 - ingresso libero
teatrodiroma.net
di Pier Paolo Pasolini
regia Federico Tiezzi
drammaturgia di Sandro Lombardi, Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi
con (in ordine di apparizione)
Sandro Lombardi, Camilla Semino Favro, Arianna Di Stefano, Sabrina Scuccimarra,
Graziano Piazza, Silvia Pernarella, Ivan Alovisio, Lucrezia Guidone, Josafat Vagni,
Debora Zuin, Andrea Volpetti
e con la partecipazione straordinaria di Francesca Benedetti
LO SPETTACOLO
Calderón di Pier Paolo Pasolini è la straordinaria riscrittura del classico La vita è sogno di Calderón de la
Barca, ambientato nella Spagna franchista durante gli anni del regime. Ma Calderón è soprattutto una precipitosa discesa agli inferi: del mondo sociale e di se stessi. Come un sogno che si chiude sempre in un altro
sogno, Rosaura si risveglia in una classe sociale sempre diversa. Dal mondo aristocratico a quello piccoloborghese fino alla miseria sottoproletaria, Rosaura è sempre straniera. Come straniero è sempre stato il suo
scomodo autore, poeta civile, ma anche mistico, disperato profeta. Bloccati in una storia e in una società cui
non vogliono appartenere, i protagonisti di Calderón vivono nello spazio doloroso fra la rabbia e la nostalgia, l’amore per il mondo e la rabbia verso gli adulti, i padroni della storia. Scritto nel 1966 e pubblicato
nel 1973, unico dramma teatrale pubblicato in vita da Pasolini, il testo è la grande parabola di un conflitto
generazionale più che mai contemporaneo. Tragedia in versi, dramma di poesia, grandioso affresco storico,
Calderón risulta tuttora il punto più alto della drammaturgia italiana del secondo Novecento.
Quattro domande a Federico Tiezzi di Guido Davico Bonino
1) Perché ha scelto tra le sei tragedie di Pasolini – tutte ideate e stese in una sola estate, quella
del 1966 – proprio Calderón, che è certo la più lunga e probabilmente la più complessa, qualcosa come sedici diversi episodi, intervallati (alla maniera dell’antica tragedia greca) da tre
stasimi?
Devo a Pasolini molto della mia formazione e coscienza artistica. E devo alla visione dei suoi film una speciale «folgorazione figurativa», a Pasolini devo di avermi reso affamato della realtà in tutti i suoi aspetti. (…) Tra tutti i testi di
Pasolini, Calderón è quello che è più parte di me. Ma c’è un altro motivo in questo mio ritornarvi continuamente sopra:
è che scavare in questo testo significa scavare nella mia formazione, non solo poetica e artistica, ma anche politica e
morale; significa scavare nei bisogni della mia giovinezza e scavare nella giovinezza con la sua passione ideologica;
significa affondare le mani in quegli anni per capirne il significato e capire cosa ancora oggi resta di quel mondo, che
ci è, al pari di noi stessi, postumo.
Allo stesso tempo mi interessa scovare e mettere l’attenzione sulla teatralità di questo testo. Che ci è stato consegnato,
insieme agli altri di Pasolini, come giudicato, dalla critica, antiteatrale. C’è invece un teatro, un gran teatro del mondo
proprio nel linguaggio in cui questi testi si parlano, con tanto di cambi scena e colpi di scena. La difficoltà è semmai
quella di mettere gli attori nella condizione di non essere detentori del testo, di esserne interpretati più che interpretarlo! E poi sono affascinato dalla sua visionarietà, che assomiglia molto a una sceneggiatura cinematografica. (…)
Con questo spettacolo, vorrei restituire i temi di Pasolini, le sue ossessioni, le sue profezie sulla realtà: ma al contempo
guardare negli occhi un autore significa per me mettere in scena anche lo sguardo che mi restituisce. Insomma significa mettere in scena anche l’autore. E con Pasolini mi è facile perché lui si sdoppia e raddoppia in tutti i personaggi.
(…) Mettere in scena Calderón mi porta a fare i conti con quello che eravamo e che siamo diventati: e non parlo solo
della sinistra ma di tutta la società italiana. Negli anni Sessanta i giovani si illudevano che la borghesia stesse vivendo
i suoi ultimi sussulti: Pasolini aveva già intuito il nodo cruciale della tragedia in corso: il fatto che la borghesia stava
trasformandosi proprio per perpetuarsi di padre in figlio. E nel teatro di Pasolini questa lucida constatazione razionale
si intreccia in modo inestricabile col groviglio freudiano e venato di erotismo del figlio che ama e odia il padre e del
padre che ama e invidia il figlio. Questa sorta di immutabilità nelle apparenti mutazioni della borghesia porta Pasolini a escogitare la metafora della vita familiare borghese come un lager, come un universo concentrazionario, sul
quale piombano, non a caso, le cupe, disperate parole di Basilio che chiudono il dramma.
2) Il titolo rinvia esplicitamente a Pedro Calderón de la Barca e implicitamente al suo La vita è
sogno, rappresentato a Madrid nel 1635, tanto che i protagonisti di Pasolini hanno gli stessi
nomi di quelli secenteschi. Perché Pasolini volle proprio mettere in evidenza questa sua volontà
di ripresa?
Mi pare che a Pasolini, del capolavoro di Calderón de la Barca interessasse soprattutto il sogno, la dimensione del sognare. Tutta l’opera di Pasolini è gremita di sogni.
3) Un’altra componente singolare del testo è il succedersi di ambienti diversi con una tecnica che
Pasolini sembra aver mutuato dal cinema: una dimora alto borghese, un manicomio, una baracca di borgata, e così via… Perché questo caleidoscopio di immagini? E come è stato risolto
scenicamente?
Pasolini ci proietta a nostra volta in un sogno: il cambio di ambienti è proprio del sogno, no? E nello spettacolo ci saranno tutti, dato che vorrei fare, a mia volta, dello spettacolo, un sogno, con le dinamiche e i meccanismi propri della
dimensione onirica.
Ho diviso il dramma in tre zone: una zona storica, la prima, dove gli argomenti e i temi e i corpi sono, appunto, storici, dove ricostruirò in scena il quadro Las Meninas che tanta importanza ha in questo testo. Nel primo sogno parla
la Storia.
Nel secondo sogno i personaggi, al posto dei lunghi monologhi, hanno più scambio dialogico, una comunicazione più
diretta: e il corpo è coinvolto nelle pulsioni della natura, della sessualità. In questo sogno parla la Natura. Così come
in una borgata romana la natura si mescolerà agli ambienti storici.
Nel terzo sogno assistiamo a un confronto ideologico serrato tra i personaggi: il corpo è assente e protagonista diviene
il linguaggio e il suo contrario, l’afasia. Cioè nello scontro tra Storia e Natura si inserisce il Pensiero.
I tre sogni si succedono secondo una logica che tende ad avvicinare immagine a immagine, pensiero a pensiero, visione a visione, affinchè la verità affiori da quell’insieme di passione e ideologia che sono gli elementi di cui è costituito il testo.
Se dovessi dare un sottotitolo al mio Calderón, lo chiamerei (citando il famoso scritto di Gadda dal titolo Milano, Spagna) Roma, Spagna. Che è stato il titolo di una sorta di prologo scenico (realizzato con la Filarmonica Romana al Teatro Argentina) che rintracciava negli scritti di Pasolini i riferimenti in cui Roma e la Spagna erano associate. E ce ne
sono moltissimi! Così lo stanzone de Las Meninas, in cui si svolge lo spettacolo, assomiglia all’Oratorio dei Filippini del
Borromini! La Spagna, insomma, terra del cuore e dell’anima, traveste proprio Roma.
4) Il substrato storico della vicenda è invece molto compatto: siamo in Spagna, durante il prima
e il dopo della guerra civile e i suoi successivi soprassalti, sotto l’impulso di una utopia comunista. Questo substrato di speranze e del loro fallimento, può ancora coinvolgere il pubblico
d’oggi?
Questo testo è il dramma della borghesia. Tutti i personaggi di Calderón sono in realtà uno solo: la borghesia, appunto.
È un testo frontale, dove il verosimile naturalistico è negato. E parla direttamente agli spettatori della borghesia nelle
sue incarnazioni.
Essi veicolano attraverso le parole di Pasolini emozioni e significati. Che espongono frontalmente allo spettatore. Nelle
parole di questi personaggi, nei loro dialoghi, nei lunghi monologhi senti l’autore stesso: che vuole far arrivare allo spettatore degli argomenti che gli stanno a cuore. Calderón diviene così un grande affresco delle speranze politiche, sociali e morali di quegli anni e ha il suo specchio nel formidabile romanzo incompiuto Petrolio (per me, insieme alla
Cognizione del dolore di Gadda il più importante romanzo del secondo Novecento italiano).
Mettendo in scena questo testo, mi sono sentito investito di una responsabilità storica. Mi sono chiesto, è vero, che cosa
il pubblico più giovane potrà capire di quella passione che ci aveva coinvolto: e ho considerato che attraverso Pasolini, dovevo parlarne. E vedere se proprio attraverso lo spettacolo sarà possibile il recupero di una memoria storica e
di una passione civile che è scomparsa nella desolazione del presente. Il lavoro sul testo è divenuto così un lavoro su
quegli anni.
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