96 LA, TEOLOEIA DEI PRIMI CAP. PENSÀ.TORI GEECI IV: LE COSU)DETTE TEOGONIE ORTICIIE in rolir:o poteva cavarsela senza simboli nel monoento ,'rri ,i t^rovava tli fronte agli ultimi enigmi' Già Senofane sa se poslvrlva d.etto che neanche il piÉ sapiente 2' La medesima Dio a intorno xir.rle realmente la verità r'ortvinzione è espressa dal medico e naturalista Alcmeorrc in un punt; importante della prefazione alla sua d'ello ,rpr:ra 3. Arch" iI suo lontano successore, l'autore xrrritto sull'antica medicina che ci è tramandato col 4' rrome di lppocrate, si dichiara d'accordo con lui (lome avrebbe potuto un custode d'ella tr:rdizionale teogonia mitica non sentire e non far valere questo fatto I giustificazione della sua fede ? Quanto piÉ il filosofo r:sigeva a gran voce la sublime altezza della sua idea rli bio, tanto piÉ il rappresentante della vecchia id'ea di una pluraliià di esseri divini doveva ved'erne la .lebolerza nella indet et:rrtinatezza e inafferrabilità di questo Dio fiIosofico e assecondare I'innata tendenza iei gteci a dare una forma precisa e un nome ai Eppure la vecchia maniera del pensiero teogonico non ela ancola estinta, come indica precisamente questa d.iscussione di Epicarmo. Già nella piri antica forma esiodea la teogonia era stata un tipico prodotto di transizione, affine in parecchi punti al nuovo spirito filosofico. Non ci meravigliamo perciò di veder fiorire ancola in tutto iI YI secolo questo vecchio pollone d'un atteggiamento religioso ormai tend.ente alla riflessione, accanto alla rapida crescita della filosofia, in una cospicua serie di opere teogoniche che per lo piir conservano anche la forma poetica del modello esiodeo. Proprio nel fatto ili trovarsi affiancate, queste due specie di atteggiamento spirituale si dànno a conoscere per rami affini di una medesima radice la quale penetra profondamente nel materno terreno deila 1eligione. Anche la riflessione teogonica pone ormai al centro clell'interessamento religioso il ptoblema dal quale parte tutto iI pensiero fllosofi.co: il problema della cosmogonia. La filosofia rivela viceversa la sua stretta affinità con la sorella teogoniea nell'attribuire alle sue conoscenze cosmogoniche un diretto signifi.cato teologico. Perciò questo pensiero fiIosoflco di Dio non poteva non manifestare la sua positiva fecondità religiosa nella sua vivificante reazione alla speculazione teogonica. Ben lontana dal sentirsi superata, la teogonia trasse dalla filosofia motivi molto importanti per cui si rese, è vero, dipendente da questa, ma nello stesso tempo fu in grado di proteggersi dai piri gravi attacchi del pensiero naturalistico sfruttando anche il maggiore vantaggio della sua propria posizione. Questo vantaggio consisteva e consiste in ogni tempo nel fatto che la teogonia non opera, come il pensiero del filosofo, con concetti propri, ma con immagini e simboli d'un mondo religioso radicato in maniera vitale nella universale eoscienza. Ora neanche il pensiero filo- loro dei 5. Da questo descriziÀe disegno generale che premettiamo aIIa particolare degli scritti del VI secolo con' tratti necessariamente in errore d'alle segue che .i "r. le' ve-cchie esposizioni della storia delia filosofra greca quali incominciavano con questi cosiddetti sistemi or' Esiodo quali primi gradini clello spirito filo' d"i "on " 6' Diels spostò le reliquie sofico in senso aristotelico di questi scritti in appendice alla sua raccolta dei frammeoti dei presocratici: ripiego evidente per trarsi dal' clas' L'imbarazzo. Il pirri recente curatore di quest'opera pere' loro d'alle sicché principio, sica le ha riportate aI 7' grinazioni .àno ,itor.,ate al punto d'i partenza In ieattà si possono capire soltanto considerandole nel loro r""ipioco influsso sui filosofi contempolanei ai quali sonì legate col vincolo comune tLella riflessione teologica nonostante tutte Ie altre d'ivergenze d'el loro Ì. k - W' J.a.EGER, La teologia dei Ptinli pensatori greci' 9B CÀP, LÀ TBOLOEIÀ DEI PRIilII PENSÀ.TORI GRECI tipo spirituale. Questo fatto deve emergere con particolare cltiarezza sulla linea che abbiamo seguita fin qui. Trascurarlo significherebbe misconoscere lo sviluppo organico del pensiero religioso nel quale la fllo- sofia è inserita fin dall'inizio. I nuovi studi di storia clelle religioni vedono, come si è detto, nelle teogonie del YI secolo per lo piÉ un ramo di quel grande movimento religioso che chiamiamo orfico. In genere il secolo YI segna per la Grecia una rinascita della vita religiosa che nel periodo precedente nainacciava di essere sommersa da un'ondata naturalistica. La religiosità del culto uffrciale degli dei nelTa polis fu sempre esposta al pericolo di esteriorizzarsi. Di solito era nelle mani di una classe dominante aristocratica illuminata. L'individuo anelante alla libertà allentò nell'arte e nella poesia il rigore della vecchia forma e fece della vita naturale Ia piri alta misura della condotta della vita e della descrizione della realtà 8. Ma nel rivolgimento sociale delle lotte di classe estese su tutta la Grecia, le quali incominciarono proprio allora e nelle città maggiori arrivarono al culmine nel secolo YI, il mondo religioso, insieme eon l'elevazione delle classi inferiori sul piano sociale e statale, s'inseri nella superiore vita spirituale e vi preparò mutamenti importanti. L'alta valutazione del culto di Dioniso, che ancora nel poema omerico non era stato quasi degnato d'uno sguardo, e |ayanzata fi questo culto dalle campagne alle città e al pubblico ordinamento delle feste e dei servizi divini, annunciang la rivoluzione. La religione dionisiaca, la cui natura orgiastica era stata in origine qualcosa di contrario e di estraneo a ogni ordinamento statale, come appare dai miti di Penteo o di Licurgo, fu ora favorita ufficialmente dai tiranni, esponenti politici della nuova classe in ascesa? come IV: LE COSIDDETTÉ TEOGONIE OR§ICIIE 99 per esempio, l'elimina''lone d'eII'antico eroe culto diocittadino Adrasto a Sicione in favore del iI rigoglioso fiorire rrisiaco sotto il tiranno Clistene o Periandro' ad sotto rlrrlle feste d,ionisiache a Corinto t)rovano? iI ditirambo Atene sotto i Pisistratidi, tlond'e venneroe' nonché Ia tragetlia e Ia commedia attica una Col trionfo del culto di Dioniso si accompagnò che in parte ripresa degli antichissimi misteri autoqtoni che PiSàppiamo poteri' ,,rrro fuoo"iti ilai med'esimi anche ma telesterio' sistrato costrui in Eleusi iI nuovo dell'insegno altrove si vede fiorire il culto d'ei misteri' terioritàridestataedellaserietàreligiosachesiera questi riti impadronita degli animi' Una varietà di (re)reroi), la quale si presenta per la pI*1 "iigi".i volta in questo p"'ioào, erano le orge' ind'ipendenti da una determinata località ili culto' che sarebbero menstate istituite dal mitico cantore Orfeo' Profeti dicanti che andavano d'i luogo in Iuogo vidiffondevano ogni sorta cli con la parola e coll dovizia di trattati per come Platone osserva ironicamente' 10' Orfiche erano consi"omuodu*"nti, purgarsi da misfatti commessi asceà"ria" specialmente celte prescrizioni d'i astinenze vita tiche. Si evitava di mangiar calne e si faceva il esclusivamente vegetariana; a ciò si aggiungeva P1": cettod.iunavitasecond.ogiustiziall.Lareligiosità si celebraorfica è dunque un d'eterminato BtoE' ma vano anche ,lti ai sacrifi'ci, scongiuri ed espiazioni una che richiedevano una certa esperienza e pertanto riti proclasse di persone capaci di com'piere questi fessionalmente 12. Nel tracciare il quadto di questa religiosità orfica gli studi moderni di tto'io tlelle religioni sono andati infiusso molto lontano, e cosi pure nel delineare il suo sullafilosofia.SecondoMacchioro,ilqualeperòèun inesttemo raPPresentante delia teoria d'i questo 100 LÀ, TEOLOGIÀ DEI PRIMI PENSÀ"TORI ERECI CAP. IV: LE CO§IDDETTE TEOOONIE ORFICHE r01 [ flusso orfico, le dottrine di Eraclito e di platone sono per la massima parte di origine orfica 18. Molti scorgono nell'orfismo un tipo di religione orientale cne aa di fuori s'insinua come un corpo estraneo nello sviluppo organico dello spirito greco. La question" .i per il fatto che nella tarda antichità Orfeo era "o*pii"u un nome collettivo il quale piri o meno raccoglieva tutto quanto esisteva in fatto di letteratura mistica e di orge litur_ giche. Quasi tutti i riti che si celebravano in Grecia finirono con l'essere considerati fondazioni di Orfeo, anche se non avevano alcuna somiglianza con quelli sopra descritti. Per stabilire ciò che è lecito chiamare religione orfica nel VI secolo avanti Cristo dobbiamo tener lontane tutte queste cose. Le nostre notizic relativamente piri antiche e fidate sono negli scrit_ tori del Y e IY secolo, le cui testimonianze, però, sono assai scarse 14. Di origine piri recente sono anche i cosiddetti inni orfici che tripudiano ad.d.irittura nel sincretismo religioso prediletto dall,epoca posteriore 15. La tarda antichità possedeva inoltre una cosiddetta teogonia orfica di Ifieronymos o Hellanikos, le cui linee principali si possono ancora riconoscere in testimonianze neoplatoniche. La piri importante opera d.i questo genele erano i Discorsi sacri, d.etti anche Rapso_ ilie, in ventiquattro canti, comel, Iliaile e l,Oilissea che evidentemente fanno da modello 16. Sono dunque di origine post-alessandrina, poiché la suddivisione dei poemi ometici da parte dei grammatici in ventiquattro canti non è anteriore. Perfino Lobeck, il vecchio, acuto e inesorabile critico di tutta la farragine orfica, reputava ancora possibile assegnare le Rapsoilie al yI se_ colo a. C.; studiosi piÉ recenti, come Kern e altri, lo seguirono per lungo tempo, ma quest,ultimo, nell,utile raccolta dei frammenti degli scritti orfici che accoglie insieme cose piÉ antiche e piri tarde, ha abban- rlrnrrrto la precedente attribuzione di questa grande ,,;,,'l'ttl7. I I n forte contraccolpo nel senso della resipiscenza ,,ritir:a fu dato da Wilamowitz nell'opera postuma Der t)luttbe der Hellenen 18. Se prima, trovando nelle rapso' ,lir, vcrsi di Parmenide o di Empedocle, si argomentava r,lrc questi pensatori si erano evidentemente serviti rlr.l.[a teogonia orfica tn, ,ggi vi si deve scolgere un r.rrore suggerito dall'esagerata valutazione dell'influsso r:hr: gli orfici avrebbero esercitato sulla filosofia. E quan' rl.o infrne si cercavano ttacce di dottrine orfiche in l.rrtti i filosofi e7 pet esempio, le chiare e schiette pa' role di Anassimandro sul morire delle cose inteso oome un castigo, di cui abbiamo trattato precedentcmente (cfr. p. 49), erano intese nel senso del concetto orfico del peccato, non si può che es§ere molto scettici 20. Ora dunque sorge il quesito se sia possibile dimo' strare in epoca antica l'esistenza di teogonie che si possano chiamare orfi.che. È vero che Aristotele parla di « cosiddetti » poemi orfici di contenuto probabilmente teogonico; questi però non provengono da Orfeo, come Aristotele spiegava nel dialogo perd.uto lfepì qil"oooEiaE, ma secondo Filopono (chc attingeva forse ad Aristotele) erano composti dal vate e poeta Onomacrito 21. Questi viveva alla corte dei Pisistratidi nell'Atene del YI secolo e piÉ tardi dovette essere esiliato dai sovrani suoi protettori perché il suo collega Laso di Ermione l'aveva colto in flagrante falsificazione di versi negli Oracoli di un altro famoso profeta, Museo, e la faccenda minacciava di diventate un grosso scandalo. PiÉ tardi i tiranni espulsi si ritrovarono insieme con Onomacrito 22. fl fatto è tipico di tutta la letteratura teogonica pseudonima. Diels, ad esempio, ha dimostrato che anche la raccolta di oracoli che va sotto lo pseudo- t02 LA TEOLOGIÀ. DEI PRIMI PENSATORI CA.P. GNECI nimo del profeta Epimenide è probabilmente anteriorc alle guerre persiane (la si potrebbe giustamente attribuire all'epoca di Onomacrito) rna al tempo delle guerro persiane devo essere stata interpolata con aaticinia ex eaentw 23. Si potrebbe ricordarc l'adulterazione di scritti cristiani attribuiti agli apostoli; Ia differenza sta soltanto nel fatto che questi apostoli appartenevano realmente alla comunità cristiana e una falsificazione sotto il loro nome indicava chiaramente che era destinata a cristiani. Una falsificazione, invece, sotto il nome di Orfeo non dimostra senz'altro che fosse fatta per credenti di una determinata setta sedicente orfi.ca, poiché Orfeo non apparteneva soltanto alla setta, ma in genere alla leggenda greca e in guesta non era una figura specificamente religiosa, bensi un cantore mitico del passato 2a. Se si componevano poemi col suo rome, ciò non era niente di diverso dall'uso che si faceva di altri nomi di cantori mitici, come Tamiri, Lino o Nfuseo, quali pseudonimi d'autore, che spesso si riscontrano in opere poetiche di quel tempo. E se iI contenuto di questi poemi è teogonico? non vuol dire ancora che rappresentassero la dottrina di una comunità religiosa. fl nome di un'autorità primordiale possibitrmente discendente dagli dei deve invece conferire piri valore alle dottrine filosofiche della teogonia di quanto non potrebbe fare il nome di un individuo qualuncgre; e di quella autorità si servirono i seguaci dei cosiddetti riti orfici senza che questi avessero a che vedere coi poemi dello pseudo-Orfeo. Non per questo si può parlare di rivelazione in senso cristiano. Nelle moderne storie della religione si trova però spesso una ben diversa concezione di questo fatto; si tratterebbe di una comunità religiosa orfica organizzata, la cui dottrina sarebbe venuta dall,Oriente. Essa insegnò la prima religione rivelata e fu una vera IV: LE COSIDDETTE TEOGONIE ORFICEE 103 tutto quanto ci vuole secondo i concetti r:rigtiani: gli iniziati sono Ia comunità, i riti orfici i suoi rrrrcramenti, i preti mendicanti i suoi apostoli; gli inni orlìci ne formano iI libro dei cantici e pertanto devono rrvere un nucleo antiehissimo. Manca soltanto il tlogma' r,hicsa con )ra 1o si vuole ritrovare nelle teogonie che recavano il nome di Orfeo. Onomacrito sarebbe quindi un teo' logo dogmatico, per cosi dire l'Origene della chiesa orfica. I1 quadro però è disegnato seguendo troppo rla vicino un tipo fissato a priori. Questo preludio aI cristianesimo è in verità soltanto un doppione della religione cristiana proiettato nel YI secolo a' C' L'idea si trova già in germe nella Psyche, iI fan:roso libro di Erwin Rohde, e fu sviluppata recentemente soprat' tutto nella Storia ilella re'l,igione grecd di Kern 25' fl suo tentativo di risolvere Ia questione orfrca prendendo come misura un dato tipo religioso stolico e adattan' dovi la tradizione greca mi offre occasione di fare alcune osservazioni di principio che di fronte a un pregiudizio assai difluso non dovrebbero essere su- ( perflue. Questa ricostruzione della religione orfica è fon' data espressamente sul presupposto che teologia e dogma siano i caratteri di una mentalità specificamente orientale26. La probabitrità della loro presenza nella fed'e orfica dei greci si appoggia alf ipotesi che questa provenga dall'Oriente. I1 mondo greco, opina iI Kern, non conosce aLcun dogma né quindi alcuna teologia in senso nostro. Quest'antitesi alla chiesa cristiana, che in modo ingenuo e rnotlerno si figura i greci come il popolo delia libertà di pensiero in senso liberale, restringe troppo L'orizzonte del paragone. Certamente Ia religione dei greci non possedeva una teoria clcgli dei o urì atto di fede. Ciò nonostante però sono stati proprio i greci a plasmare la fede cristiana nella forma del 104 LJ, TEOLOSIÀ DEI PRI}II PXNSATORI GRECI dogma. La storia del dogma cristiano si è svolta sul I greci seppero conformarsi a questa religione orientale soltanto affrontandola coi quesiti e coi metodi di pensiero della filosofia grecazz. Ma l'elemento dogmatico e teologico nel cristianesimo che si venne formando nei primi quattro secoli dopo Cristo non è affatto cresciuto in Oriente. II Padre della Chiesa Gregorio di Nissa che, essendo dell'Asia Minore, si trovava, per cosi dire, sul confine tra 1o spirito orientale e quello greco? si rese conto di questo fatto e lo espresse con esemplare chiarezza: « Nulla è tanto caratteristico dei greci quanto l'idea che la parte essenziale della religione consista nei dogmi » 28. Setta, dogma e teologia sono infatti vocaboli e concetti specificamente greci e nella loro struttura spirituale potevano essere coniati soltanto da una mente greca. Yero è che non provengono dalla religione greca ma dalla fi.losofia, le cui sette nel periodo in cui s'incontrarono col cristianesimo erano solidi sistemi di vari dogmi. Anche se non è lecito applicare senz'altro questa parola alla mentalità dei primi pensatori greci 2e, il concetto e iI vocabolo sono venuti da questa radice, e se presso i greci del YI secolo esiste qualcosa che si possa paragonare a un dogma, lo si può cercare soltanto tra i fllosofi, non mai nei riti orfici. Una figura come Senofane mostra a sufficienza come sul terreno della filosofia, con la solidità delle convinzioni spirituali ehe la distinguono, sorgesse per Ia prima volta qualcosa come un pathos dogmatico che non è neanche del tutto privo della consueta intolleranza verso l,opinione del prossimo colta in errore. Quest'epoca non conosce però ancora un dogma religioso. Le dottrine teogoniche, sorte allora con riferimento ad Esiodo, non hanno questo significato nella vita religiosa de1 tempo. Sono tentativi sempre rinnovati di risolvere i prosuolo della civiltà greca. CA.P. IV: LE COSIDDETTE TEOGONIE ORF.ICEE 105 lrh.rni dell'origine del mondo e delle potenze divine rri rlrrali Ia filosofia si accosta coi propri rnezzi, rnella lìrrrna della fede antica, ricorrendo però sempre piÉ rrll'aiuto dell'intelligenza costluttiva. Con un pen§iero r.osi poco impegnativo non si può neanche formulare urrt solida dottrina. È già teologia, ma teologia senza rkrgma. È Hb"ra da ogni legame a una determinata rromunità religiosa, come ne era libera la teogonia del vocchio Esiodo, e ciò nonostante la tradizione che vi r) utilizzata è una libera creazione individuale. Soltanto cosi si può spiegare la variabilità delle opinioni che troviamo nelle reliquie conselvate e nelle t.racce di quelle antiche teogonie. Se prendono molti clementi l'una dall'altra o da Esiodo, fanno cosa owia tra greci, dove l'aderenza del poeta ai suoi predecessori è spesso molto stretta anche in campi meno legati alla tradizione. Appunto perciò, quando rrno si scosta dal predecessore, è lecito scorgervi per lo piri una correziorre voluta 30. Alcune di queste varianti sembrano, a prima vista, non molto importanti, come quando Aristotele racconta che « certi poeti antichi » misero Ia Notte invece deI Caos all'inizio dell'origine delmondoBl' Eudemo nel).a Storia ilella teologio conferma tale tradizione e assicura esplessamente che questa dottrina appartiene a una teogonia Ia quale circolava col nome di Orfeo s2. Naturalmente f idea del Caos presuppone che iI vuoto abisso iniziale fosse avvolto in tenebre notturne. Aristofane, per esempio, nella parabasi degli tlccelli fa recitare al coro degli uccelli, che nel nuovo regno diventeranno gli dei, una comica teogonia uc' cellesca che fa la spiritosa parodia di un vero poema di questo genete e precisamente di una teogonia « orfica » 33' sul tipo di quelle descritte da Eudemo e Aristotele II Caos e la Notte vengono effettivamente nominati insicme come inizio di ogni divenire, c cosi la Tenebra t06 [,À, TEOLOGIÀ, DEI PRI}II PENSATORT GRECI primordiale e il Tartaro. Può darsi che la Notte, la quale compare anche in Esiodo, sia pure con funzionr, subordinata e non da principio 34, sia introdotta perchir il Caos è neutro e il poeta per la prima parte della sua genealogia aveva bisogno di un femminile che fossc esistito prima del Cielo e della Terra e avesse un altrettanto trasparente significato cosmogonico. Per tal modo egli risale ad antichissime figurazioni di una religione ctonica pre-ellenica la quale conosceva una dea primordiale di questo nome, cioè la Madre Notte che per esempio Eschilo invoca con cosi sincero terrore quale matLre delle sue Erinni 35. L,antico conflitto tra queste oscure potenze e gli dei luminosi dell,Olimpo, il quale rivive nella tragedia di Eschilo, era ben presente al Yf secolo. L'antica antitesi fra luce e tenebra donde la cosmologia dei pitagorici fa scaturire il mondo 36, lo presuppone come verità immed.iata nel sentimento religioso, e Aristotele avrà ragione quando nella « Notte » della teogonia orfica sente anche la valutazione che questa idea contiene in opposizione alla lucc, e ne argomenta che questa genealogia considera coscientemente ciò clre è ancora imperfetto quale preparazione al perfetto e al buono, intendendo dunque il regno olimpico degli rtei come culmine dell,evoluzione del mondo 37. Nella teogonia del cosiddetto Orfeo iI divenire degli dei si compiva, secondo Platone, in sei generazioni, I'ultima delle quali deve essere stata quella olimpica 38. Se confrontiamo questa visione religiosa del mondo con quella della pirl antica filosofia naturale, si nota che i valori sono spostati. Ciò appare ancor piÉ chiaramente nella diretta ad.erenza della teogonia parodiata da Aristofane all'idea filosofica dell,infinito. Cosi infatti dovremo interpretare Ie seguenti parole: «Ma negli amplessi inflniti dclla tenebra la Notte dalle ali CA.P. I.\/: LE COSIDDETTE TEOGONIE ORI'trCHE 10? nrrr: partorisce un uovo di vento, dal quale nel giro rlr.l lcmpo usci quell'Eros che suscita desiderio » 3e. l.)rrcll'infinito abissale e senza luce che era da principio rrorr ò piÉ, come per Anassimandro, il vero e proprio rliv'ino, mentre tutto ciò che ne è dcrivato è riportato rlrrl tempo come per castigo nel suo grembo 40, ma sol' tirnto gli dei che Eros genera con esso sono le potenze lrrrone e luminose. Anche qui s'incontra iI tempo, rra csso ha la funzione di portare i gradi successivi e suporiori del divenire dall'in6.nita notte primordiale all'csistenza individuale 41. Nella Teogoruia di Esiodo il suo successore ha visto chiaramente I'importanza del' l'Eros 42. E ne ha chiarito la posizione di autononoo principio positivo del divenire del mondo estraendolo dalla catena delle genelazioni e facendolo uscire per primo dall'uovo universale ch.e la Notte cova 43. T-'idea non esiodea dell'uovo universale si riscontra anche al' trove su suolo greco, ed è cosi vicina al sentimento zoomorfo della natura in epoche anteriori che Ia d.erivazione d.all'Oriente è tutt'altro che probabile. I-i per li potrebbe sembrare che soltanto Aristofane abbia in' trodotto I'uovo del rnondo per farne sgusciare il suo Eros che è alato come gli dei-uccelli discendenti da lui. Le ali di Eros però sono antiche, sicché anche pcr il poeta teogonico era facile farlo sgusciare dall'uovo universale. Questa è realmente un'idea antica e Io dimostra La Teogonia citata da Eudemo sotto lo pseudonimo di Epimenide, la quale pure contiene l'uovo del mondo aa. Questo pensiero non contiene nulla di specificamente « orfico », ma la cosiddetta teogonia orfica posteriore ha accolto anche questo e dall'uovo ha fatto nascere il suo dio Phanes che Ia teocrasia ellenistica identifrca con Erikepaios a5. Si era cleduto di poter decifrare questi due nomi in antichi docurnenti orfi.ci (ccrrto, soltanto dei secoli IY-III a. C.), ma Diels ha 108 LA. TEOLOGIÀ DEI PRIMI PENSA,TORI GRECI visto che era un errore 46. Nella tcogonia del YI secolo Phanes non appare ancora. Dalla scoperta di un papiro del fII secolo a. C. che contiene l'invocazione « Erikepaios, salvami!» a7 si può dedurre ancora meno che la teogonia orfi.ca del YI secolo sia stata la dogmatica di una religione di redenzione. Purtroppo anche La Teogonia del cosiddetto Epimenide (vedi sopra) è per noi soltanto un nome, ma il fatto che la testimonianza di Eudemo la dimostra antica è importante a8. Il poco che se ne è conservato ci consente di porla a fianco d,ella Teogonia d.el cosiddetto Orfeo. Secondo Epimenide da principio erano l'Aria e la Notte ae. Per Aria la filosofra antica intende, come è inteso qui, il vuoto s0. L'Aria o meglio l'Aer, poiché in greco la parola è maschile, ha preso il posto del Caos, d.i modo che invece di Caos e Notte abbiamo una vera coppia: Aer e Notte. È un modo di correggere Esiodo simile a quello adottato nella Teogonia di « Orfeo » 51. fn guesto modo l'autore doveva sistemare la dottrina trovata in Omero, secondo la quale i genitori di tutte le cose furono Oceano e Tethys 52. Essa è semplicemente contaminata con la corretta dottrina esiodea della coppia primortliale Aria e Notte in quanto i due titani Oceano e Tethys (?) diventano loro figli 53. IJn'uguale contaminazione si avrebbe nel fatto che qnesta coppia Oceano e Tethys produce l'uovo del moudo 5a. L'interpretazione non può essere che allegorica, se le si vuol trovare qualche significato: il mondo è emerso dall'acqua primordiale. Può darsi che vi abbia influito la filosofia di Talete: ciò spiegherebbe come l'autore sia risalito al passo di Omero su Oceano quale origine delle cose e come l'abbia inserito nella tradizione teogonica. fn ogni caso la sequenza « vuoto atnoosferico - acqua primordiale - terra solida » sembra affine a una spiegazione fisica. E lo sarebbe ancora CAP. IV: LE COSIDDETTD TEOCONIE ORIiICEE 109 pii se fosse esatta un'altra trad'izione in Filodemo' di Epii", 1r quale la seconda coppia nella Teogonia ma Tethys' e Oceano da meoiile ,on era formata 55. genealogia della NeI linguaggio . da Oceano e Ge il risconiro femminile di soltanto ò Tethys mitica Oceano, su per gifr come Phos ed Erebos' Iuce e te' nebta, sono in Esiodo i doppioni maschili d'i Hemera c Nyx. Oceano e Ge invece sono soltanto gli ele' *"r,ii (anche se non tanto astratti come vuole questa d'ue parola); e I'origine clell'uovo universale da questi esPoà .olturto l'espressione allegorica della dottrina' sta anche da §enofane, che il mondo è solto cla acqua e tera 56. L'esattezza di questa ricostruzione d'el concetto di « Epimenide, è confortata dal fatto che il ellemed.esimo particolure si ripresenta nella teogonia 57' Anche se non è lecito far nisti.ca di Hieronymos risalire senz'altro al VI secolo i tratti di questo sistema piri recente, composto di parti eterogenee' anche se non è possibile rintracciarli in questo period'o' iI ritorno' in on'ipe"u posteriore, di elementi piri antichi dichiarati tali può,i'daro canto? essere una preziosa conferma della loro esistenza e ilel loro influsso' Un altro testimone d.ella cosidd'etta teogonia orfica nel YI secolo è Ferecide di Siro, che l'antica cronologia pone al tempo dei sette sav-L Ma non sarà oi..rito Lolto primt della fine itel YI secolo' perché notideve aver conosciuto la filosofia dei Milesii' Alle zie sul suo conto e agli scarsi frammenti si è aggiunto recentemente un frammento un Poco piÉ ampio' su papiro, che illumina meglio la sua personalità' Egli ."rìo" in prosa, fatto piuttosto nuovo a quel temPo' Certo non Io si può paragonare con I'atto innovatore di AnassimandJo che per primo aveva osato mettere per iscritto la sua teoria filosofica' Dopo di allora -si era incominciato a traspolre in prosa il contenuto ilella 110 LA. TEOLOGIA DEI PRIMI CA.P. PENS-A.TORI GRECI poesia erudita delle genealogie e teogonie; i maggiori rappresentanti di questo genete sono Ecateo di Mileto, Ferecide di Siro e Acusilao di Argo. Ferecide d.eve aver cercato buona parte della sua originalità nella forma stilistica, in un'arte semplice e per noi ingenua del racconto, che però appare molto piÉ divertente dell'antiguata solenne pomposità delia dizione epica nelle teogonie poetiche di quel tempo. Certo però Ferecide portò parecchie novità anche in fatto di contenuto. Ciò che narra non ha l'aspetto di un'arida impersonale esposizione di un dogma, ma è assai divertente. Cosi discorre: <rZas e Chronos e Chthonie erano eterni, ma Chthonie ricevette il nome di Ge (terra) perché Zas le ilà Ge come geras (cioè in dono) » 58. Qui non è abbandonato soltanto lo stile, ma anche la dottrina di Esiodo, come potremo forse anche supporre, in misura minore, nel meno originale Acusilao di Argo, che da una parte, come riferiscono autori posteriori5e, traspose Esiodo in prosa, dall'altra lo «migliorò ». La diortosi di Ferecide va piri a fondo e ricorda piuttosto il procedimento di Ecateo di Mileto neLla sua critica dei rmiti antichi che spesso è alquanto razionalistica. La misura adottata da Ferecide nella sua critica non si limita però alla propria intelligenza e a ciò che guesta considera possibile o non possbile. Quando affernr.a che <<Zas, Chronos e Chthonie erano eterni», corregge Esiodo, seeondo il quale anche il Caos era divenuto; questa correzione però era nell'aria, come appare sia dalla critica di Senofane che biasima Esiodo per aver creduto che gli dei possano avere un'origine, sia dall'ironia di Epicarmo il quale si scandalizza particolarmente alf idea che persino il Caos, cioè iI primo inizio, sia uato una volta come tutto il resto 60. Questa critica della teogonia antica si fondava sull'intuizione lìlosnfica IV: LE COSIDDETTE TEOGONIE ORFICEE di un'origin" (&SXf), non divenuta e non pe- ril.urt, del mondo. Ferecide tiene conto cli questo mulrmcnto di idee ponendo alf inizio un ente eterno' I-a triade delle sue potenze primordiali presuppone già iI r:rrrrcetto filosofi.co di &,gyi1, salvo che egli Io fond'e col è suhentrata una lrrincipitr genealogico . t\11'&1yti unica di questa coppia definizione Ia r:oppia tli ilei. Ma anche ni scosta audacemente dalla tradizione teogonica' I{on Hi tratta piÉ di lJranos e Gaia, il Cielo visibile e la 'ferra visibile, come in Esiodo, fiua Zas e Chthonie concontengono I'antitesi filosofica di due principi universali che soltanto nella loro unione prod.ucono il resto del rnond.o. Lo dicono già i nuovi nomi che si adeguano bensi a dei del culto o della teogonia, ma con L for*u parlante di Zas (iI Yivente, derivato d'a ('flu) e di Chthonie (Ia Sotterranea) rivelano l'allusione a qualche cosa di nuovo e tli piri profondo' I-'allegoria, iI simbolo si presentano già come forme legittime del pensiero religiooo. Potrà essere nel giusto quell'interprete posteriore che in Zas vede I'Etere e in Chthonie Iu Ter"u (dunque il chiaro e l'oscuro) e vi scorge l'attività e la passività 61. Nel nome di Chronos, iI terzo della serie, che il medesimo interprete chiama Kronos62, vi è certamente l'allusione a quel Kronos che non poteva mancare nell'antica teogonia mentre qui, per trasparente etimologia, è diventato Chronos, il Tempo' Anche questo è derivato dalla riflessione fi'losofica: nella cosmogonia di Anassimandro il divenire e il perire si compiono « secondo la sentenza del tempo » 63' Non c'è d,unque bisogno di ricorrere all'Oriente, poiché è piri ovvio ammettere f inff.usso esercitato su questa teogonia, fattasi speculativa, dalla filosofia teologizzalLe. L'uso dell'etimologia è un rnetodo antico che vediamo applicato già nella Teogonia di Esiodo e ha sempre avuto una parte importante nella teologia greca' tt2 CAP. LA TEOLOEI,A. DEI PRIMI PENS,{.TORI ERECI Esso parte dal presupposto che il nome delle misteriose potenze divine, se giustamente interpretato, può svelarne la natura 6a. fl nuovo nome diventa, viceversa, per Ferecide l'espressione d.ella conoscenza anticipata dal pensiero speculativo. Già Aristotele colloca Ferecide, anziché tra i teologi puri, tra i « misti »65, perché non intenderebbe le proprie parole soltanto in senso mitieo (rQ pù pu$wdtE tinayta ).éyeta), come è invece, secondo un altro passo di Aristotele, caratteristico d.ella mentalità di Esiodo (pu$txdq ooql(eoflat) 66. A questo punto Aristotele ricava da Fcrecide anche un'altra cosa: che cioè non abbia voluto polre all'inizio l'imperfetto, come le precedenti teogonie che mettevano all'inizio la Notte o il Caos, bensi iI perfetto e buono 67. Questa idea infatti accompagna sempre il nome di Zas. Anche i fiIosofi di Mileto, parlando del principio eterno, intendono qualcosa che tutto governa e tutto comprende. La differenza d.el).a dottrina di Ferecide sta soltanto nell'ammettere un dualismo originario per il quale la concezione teogonica dell'unione tra una divinità maschile e una femminile offre un'adeguata espressione simbolica. Le sacre nozze sono descritte da Ferecid.e quasi in stile novellistico e sono molto piri antropomorfe che in Esiodo 68, D4 possiamo già aspettarci che questo antropomorfismo non sia ormai ingenuo. Ha già accolto, per cosi dire, la critica filosofica dell'antropomorfismo, e la maniera umana di figurarsi il divino è già consapevole allegoria. Si erige a Zas e a Chthonie un grande palazzo, e quando questo è fornito di suppellettili, di servidorame e di tutto I'occorrente, si festeggiano le nozze. fl terzo giorno Zas prepara un grande tessuto e vi ricama la Terra, l'Ogénos e il palazzo di Ogénos. Tutto ciò deve essere evidentemente il dono nuziale per Chthonie. La Terra e l'Oceano, IY: LE COSIDDETTE TTOGONIE ORFICIIE 113 da chc certo si nasconde sotto iI nome non difficile veste' ittterpretare fi Ogénos, sono figure sulla sua dell'abisso l,lssa è dunque piri di queste figure, è l',esserel I'orna' soltanto sono Mare che le ,"gg" arìa"' Te'ru e vivente' Tutto dal rnonto aggiunto con senso amoloso '/,as le po"r"g" ulloru la veste e dice: « Voglio ct,e le nozze ti sianà ,à".", p"r"iò ti onoro di questo dono' Ti sala luto e tu sii la mia donna »' Questa fu nel mond'o La consegna dei doni lrrima offerta di anakalypteria' solennuziali dello sposo ullt tpotu faceva parte d'elle non però nità nuziali gr"ch". Il racconto di Ferecide svolge ma è ingenuameite eziologico come si presenta' l'idea delle ,u"r" oor," d'ella prima coppia mediante pensante le un'usanza nuziale che offriva alla mente piÉ belte Possibilità' II serJo fiIosofico nascosto trapela anche altrove suo scritto fu dalla dottrina di Ferecide' Piri tardi iI intitolato Pentemychos perché vi si parlava di cinque anfratti o cavelne (pru6oi, Ìiarga)' d'etti anche burroniil 6e' Fra questi si ripartiscono (iaOprr) o porte ("it'"ii ìlro"i, I .om" d'aria, I'acqua ecc' (purtroppo l'enumema in razione è lacunosa nel racconto di Damascio)' quelli che ogni caso f insieme era sudliliviso second'o ?0' if s"goito si chiamarono elementi Ferecid'e pensa in esempio, termini di fbrze e spazi cosmici. Si parla, per dei pecgli relega di una regione sotterranea dove Zeus fi.glie d.i carori e li-fa custodire dalle Atpie e da Thyella, in concreto Borea, che sono evid'entemente immaginate anche 7r' dovremo Similmente come forze meteoriche ostili titaniche potenze nelle scorgele energie naturali nelle che titanomachia che quelle tengono in freno' La a"lgàf" ".u ,i, elemento trad'izionale viene dunque in' sistematicamente in senso cosmogonico' Que' terfretata di Zas' ste potenze renitenti all'ord'inamento univelsale i" q.rufi sono guid.ate d'a Ofioneo' il eui nome (il Ser8. .....- W. JaEGEri, Ld teoloTirt dei prirtui perlsatofi greci" I14 Là, TEOLOGI/, DEI PRIMI PENSA.TORI GRIICI pentiforme) fa pensare a un'origine ctonica, vengono sconfitte e precipitate nell'Oceano ?2. Mi sembra evidente che questa forma dell'antica titanomachia risal, ai fenomeni vulcanici presenti nella zona mediterranc:r, tanto piÉ che anche Eschilo e Pindaro intendono irr cJuesto rnodo la leggenda del selvaggio Typhos, sulla cui testa Zeus rotolò l'Etna ?8. È stato Diels a notaro che tra « quercia alata », della quale parlava Ferecide, presuppone la terra cilindrica, Iibrata nello spazio, di Anassimandro. L'idea delle radici della terra era antichissima, sicché era faciLe immaginare la terra comc albero nocchieruto ed esprimerne la sospensione nello spazio mediante tre ali?a. È chiaro che tutto ciò non è dottrina sacra antica, non è il clogma di una setta, bensi fantasia rnitifica di un teologo eccitata da scoperte filosofiche rivoluzio, narie, e queeto teologo rappreseuta un nuovo interessante tipo di eclettico. La concezione del mondo che hanno i fllosofi provoca nei contemporanei piri eolti il bisogno di discuterla, specie quando ne viene colpito il loro senso religioso. La facoltà filosofica della coscienza religiosa ne risulta straordinariamente fortificata e portate su vie nuove. La capacità teogonica della religione greca non si esaul.isce mai. Già in Esiodo si manifesta con alcune nuove creazioni .- poco importa se siano opere di Esiodc, o del suo tempo, * soprattutto pelsonificazioni di pcteri etici che in guel periodo desiderano sempre piri imperiosamente di entrare nell'Olimpo, coroe Dike, Eunomia, Eirene ecc.75 fn Ferecide si tratta di una rivalutazione in grande stile piuttosto che di nuove creazioni di dei. Cosi si arriva a f,ormare divinità allegoriche che rappresentano forze cosmiche e ad eguiparare vecchi nomi di dei alle forze naturali di una nuova visione del mondo. E mcntre piri tardi si àppHcò sistemat.icamente questa interpretazione fisi- CÀI,. i IV: LE COSIDDETTE TEOGONIE ORFICHE 115 tla n lrrtti gli dei greci e alle figure della leggenda, gli lrrlzi risalgono al Yf secolo. Anche Anassimand'ro e Attugsimcne attribuirono al loro principio Ia qualifica di rtivino. La teogonia attinse nuove energie cla questa unimazione della nattlra. In fondo è sempre quella Ètcssa fantasia che in Grecia faceva popolare alberi o rnonti e sorgenti con Driadi, Oreadi e Ninfe, e in l,llio e Selene venerava due divinità. II panteismo è rluolla forma evolutiva di tale visione del mondo che (lovette prcsentarsi necessariamente quando Ia fiIosofi.a portò in primo piano f idea del tutto e della dua unità. Ciò non avvenne per opera della Stoa nel periodo ellenistico, ma fin da1 VI secolo, come Eschilo avverte nei noti versi: « Zeus è l'Etere, Zeus la Terra, Zeus il Cielo, Zcus è il Tutto e ciò che è pi6 in alto ancota » 76. Dalla piena facoltà di animare panteisticamente il mondo gli ilei antichi rinascono con nuovo signifrcato' L'evoluzione porta dalle pelsone divine dell'antica religione popolare alle forze divine e alla natura divina dei filosofi e dei teologi. Le potenze naturali d'ivinizzate costituiscono uno strato intermedio tra l'antica fede realistica in d.eterminate persone divine e il completo dissolvimento della divinità nel tutto. Sono an' cora imrnaginate pluralisticamente alla rnaniera antica come parti e forze della natura e portano quindi norni personali che, nonostante questo riferimento agli dei del culto, sono separati e lontani da questi. Il nome è soltanto un velo atcaizzante dal quale traspare Ia loro natura puram.ente speculativa. La fiIosofia è la rnorte degli antichi tlei, ma è religione a sua volta, e nella nuova teogoni.a gelrnogliano i semi che guella ha sparso. 1i6 L-4, TEOLOGIÀ DEI PRIMI PENSà,TORI GRECI NOTE . ts Cfr. V. M.l.ccntono, Eraclito: nuotti stuili sull'orfi'smo (B^ar Paul, a History of Or' .Cf". Epicarrno B l: d)"),, riti rot Àeoì nagfioau (London lfiisnz ' '-'l; yonil.rnou .T,!r!o!y, I uiò.e ò_'_ -àeì nrigtoil' oltoia òui rc ì6r, atiùv ùi. i: attct ltdv xdoq npdtov ytvéo?at tùv Oe6u. :: ndtE òi ^eytrdl xdj pù È.Xoy y' ànr| rwog tt7ò' èe d rr npdzou uil.ot. l'::| oùx i7o.il_ Fgle*npdtov oò$éu.;..:.: oùòè pà. Àia \tiìqou I un»òi 7, 6ru à1ric où I yùv 6ù-).éyopeq, à),),' àcì Tiò, fis. Diels, ÈeinÈardt e altri studiosi qgt parere -ch,e questo frammento sia autentico. A giudicare i.T: dalla lingua e dallo stile non è improbabile che lo siao "e ancLc il contenuto sembra pienamente poisibile per i tempi di'senofane. Epicarmo sarà stato influenzato dall. màntaiità ciitica del suo famoso contemporaneo. 2 Cfr. cap. fII, nota 19. B . Diogene_ L.aerzio 8, 83,(Alcmeone B 1): 'A),xpaiaa Kpo«»uuir,rlg zriòe éleie llerpi1ou oiòE Bqoziuq xaì',4éoy.rr'xaì Ba|h"l,i. oaEllvtnu uìy grroì éyovtt-agdyé@v lnryi ttitu 0vr1r6tfl uE òè avbpdtnorg rtxpaiqrc9at xaì .rà É€4c: Z"lle; e altri prenhono le pggl-e qqì @u 8vry6u per una glossa infiltratasi nel te-sto men_ tre Diels le difende osservando che il ribro di Alcmeone trattavtr tanto di dgauéa qaanto di 8»r1-rd. _L,antitesi tra àrpauéa . grrlrà i però stranamente.il_logica e Ie parole negì t6tv gvq-tau lo struttuira del periodo. Àon si dovrcbbè difendere questa "ornpooo àurezza sintattica col dire che va attribuita allo stile arcaico.* !5^Cfr.^p. 29 prit* medicina, cap. !. 74 e-relative nòteo dove abbiamo osservato che per. sino Senofane, anche se muove contro gli dei antropo-o"fi a"ltu ì*_ dizione, non afferma con ciò che Dio" sia senza ior-u. Sulrro xt-tQl^r@y la sua vera forma resta indeterminata. "ù i Aristotele, 29 contrappone i napnd)"ator, xaì \etaphr.AS,gBBb ù€oioy|oayr€e " nqdrrot ai nqùtot qil,oooq4oalieg (b ?) che rappresen_ tano u1-grado posteriore di ewoluàione spiritualé;'e cori coof"àpporr" anch_e_(B-.4,- 1000a 9) oi Bn).dyor a oi òi, òno6J[ra,s ),éyowecii Lg\. , Vedi la sesta edizione dei presocratici di Diels_Kra"r, ìol. i. . -8.-Si pensi alla pittura vascolare del secolo VII e si Archìloco, quale principa.le rappresentante dell,espressione"orrfrooii naturalrstrca nella letteratura contemporanea, 0 Cfr. Erodoto Y 67 a profosito d.ei tpaymoì Togoi irt onore di Adrasto ofrerti da Clistene a'Dioniso; l"- i"rii^orì"oze sui diti_ rambi di Arione recitati a Corinto furono raccolte e commentate da A. W. Prcr,q.no-C,rMeuDeu, Dithyramb, Tragidy d;;i;, O:rford..1927. Cfr. i capp. II-e III ""d i'rpp.'A di'quesr'opera ,rli, " pru antrea tragedia e eommedia. r0 Platone, Àesp.. 364b-e. Questi scrirti di propaganda religiosa non recavano esclusivamente il nome di orfeo À. ài.""oluv.ro a""clre coi nomi di Museoo Selene e altri. 1r Per l'alimentazione sen-za carne (dyupq popd) qluale precetto o,rfieo cfr. Euripide, Hipp. 952 sgg., aiis'ioia;;; h";. t05, ,;;.; Platone. Leg. 782c, 12 Cfr. qui sopra, nota 10. rl7 1922) e tlello stesso autoreo From Orpheus to NOTE AL CAPITOLO QUARTO , AL CAP. IV 1930). e usi d; maggior parte ilelle piri antiche-tesrimonianze su riti (Berin orio Knnn, orplr-ic or wn fr agmento ".rigio;;;fr;Iii-i*ào""o tiniOZZl, p, B0 sgg. sotto il titolo un-po'ambiguo di Fragmentaoe' ,-;r*. qrràtd paiJi corteogooo per-l'i1iÉ.acòe.nni a cose orfiche' Alcuni iIì essi i trovano rofto iI iitolo feslimonio nellaprimaparte ,fiilf.", dove cose piri antiche e piri recenti non sono sufficiente' rnente ----li-f distinte. r"uìi della poesia orfica sono raccolti in due volumi da C"". ,q."à. iàu, cx, Àglaophamus, Regimontii 1829' Vedi M' Hrucro» orpiicZr"à aetute, « Bieslarler p§f9l' Abhandlungenb;- ht ^;r;; O. KnirN, in «Berl. phil. Woch' »-19L2, p' 1138 e-dello fSlf:Cf'. -"r.or" Die ilerkunft d'à orph' Hytnnenbuchs (Genethliahon riÀtà fiir C. Robert Halle 19t0). '-' ti'cir. r" dei frammenti in Knnxo op' cit', pp' 130 sgg' "a"coìtr sgg. 140 e- -ii r,3'*r"*, op. cit., p. 6ll; KenN, D-e. orphai..E'pimenidis"Plc' Berlin IB88' Cli' inrecvdis ";; Thcos.onils quaeirionos oiticae, Diss' i !"ii orbt icorum fragmenta, p. 141' dove esprime il ;;;" le rapsodie o itgoi ),Zyol siano stàte.composte molto tempo a"ilfi" "fr" neopìatoìica,'anche se sostiene che vi si trovano nrima dell'enocà ;;ii'dflo..o di poesie molto pi6 antiche' Vedi anche la tesi il; (rrg'g""it" da Kem), Quaestiones Pythogoreae or' àiG. R;;;"xr phicae. Empeilocleae, ' I{alle 1933. ,, U. iow Wrr,luowrrz-MoELLENDoRFF, Der Glaube d'er Helle' oen, II, Berlin 1932, p. 199. Avevo già scrilto questo^ rcapitolo quando'è uscito il libro di IveN Lrxrontuo The Arts oJ-Utpheus' Éerkelev 1941. che sesue le orme di Wilamowitz' Esso sottolinea iaoifi'ai or"sto stud"ioso circa la fedeltà storica del quadro che storici della religione hanno tracciato dell'orfismo' -G;iiain, -"a"Ài "f""rri -C. orpt rus a'nil Greek Religion (London. 1935)' w.-ii. nrende una via di mezzà tra i due ebtremi, ma in complesso è inolto --; piri positivo -fr**, di Siìamowitz e Linforth' Empedokles uruil ilie Orphilter, in « Arch' f' dfì b. p. 498. » (1BBB)' I Philos. d. Gesch. Pif sopra (p. 49 sg.) bo grà.mostrato che questainterpreta-rn 'zo zione u orfica, dei frammento di Anassimandro risale al temp-o. t"rto del frammento non era stato ancora corretto dal Diels "oiit secondo i codici cli Simpticio. Ciò nonostante alcuni si attengo-no vecchia inteipretazione benché manchi di ogni forda' .r"à"u "ffutesto. IJn rappresentante della interpretazione À"nto o"l "o.fi"ro Der [Jrsprung iler Naturphilo-' 6 K. JoÈ;, ;i;i;. d"i presocratici -dem Gcist der Mystik, Jena 1906; cfr' la sua Geschtchte sophie aus i;'-;;rii";; ihilosophic, Tiibinsen 192 l, p. 149 sgg': «Der mvstische Geist ---;i und seine Klàrung zum Logos '. K;\-bipi. firogil. 2?o Ari"stoteìe, ,fra11' '7^Rose «a:Y:^iI richiamo al'Deàniàa àovrebbe essere 1, 5, 410b 28 e non I4IUb sarebbe ,i; i;;"-Ebita che I'opinione seeondo cui onomacritoqaola inirir,".à-à"ff.lo".i. pro.rènga da Aristotele' Egli suive vece di qrloiu iel fraÀm. 7 Ii. del IIegì qil,oooqia6 che proviene dal 118 LÀ. TEOLOGIÀ DEI PRIMI PENSATORI GRECI NOTE commento di_Filopono al De anima; Gurrnru, op. cit., p. SE sgg. stato un poeta Orfeo ». Filoporro (ii quale conferma che, scconilo Aristotele, le_ « poesie orfichc » ilon ìarebbero compostà da Orfeo) interpreta nel senso che soltanto i déyptata ài O.f"o, ".no, non invece le poesie che sarebbero stato scritte da Onomacrito. Nel trrlio Aristotele, tr, it.o p.169, ho scguito Filopono, secondo il quale Aristotele contestò che Orfeo ne t'osse l'autoie, ma ne ammise ia figura storica. Il cornrnento di Guthrie al I'rammento indicato ha reso dubbia questa affermazione, trl poerna orfico menzionato da Aristotele aveva ur contenuto tcogoiico: lo deduco dal fatto che egli cita come opinione del suo autore la circostanza che l,anima eia neta dal .(pneyma nell") universo e i venti l,avevano portata nel corpo. Aristotele si riferisce ancora ai cosiddetti énq orfrii in De gen. a-n, 2, I, 734a 16_ pe_r un particolare simile riguardantc l,oriline del corpo umano. Le due opinioni sull'origine del-l,anirna e del co"rpo erano certamente parti di una cosmogonia eniro il « poema orficò » e questa cosmogonia era senza dubbio collocata contlo uno sfondo teogonico e non trattata in maniera puramente astratta e scientifica, anche se sàrà stata già influenzata dalle teorie dei filosofi naturalisti {i quel tempo. tsare che questo poema sia diverso dalla redazione d,egli.Oyucoli di Museo (Xpqopoì Mouoaiou) attribuita a Onomacrito da Flrodoto '1, 6 (ctr. nora 23). Erodoto 7, ii É", qo"tto profondo risletto della tradizione scritta nella i, geri"re e per il iifacirnento di predecessori da parte ài po"ii tlesiiler'osi cli migliorarli cfr. la mia Paiileia, tr' it', II, p.365 sgg. ' .i Aiiitot"le, Metaph. I 6, L07lb 26 (KrnN, orph. fragm' 24\' . -princ. 32 Damascioo De L24 (I 319, 8 Ruelle), Knnlv, Or2ft' 28 (Euclemoo f"a*tt. 117 Spengel).^ fragm. " 'r, A"iutàfune, [Jccelli, 690 sgg. (KnÀN, Orph. fragm. l)' ea cfr. Metaph. ,4 6, l07lb Cfr. iI rnrio Humanistn and Theology (« The Aquinas LectuMarquette University Prcss, Mil.w'aliteà f S+a;, 'specialmente pp. 36 sgg., 58 sgg., 82 *gg., dove ho cercato l'origine iel concetto di « teologia » nella filosofia greca e ho descritto -come fu accolto nella chiesa cristiana antica. Cfr. anche il cap. I di questo librq. 27 », ^ Gregorii Nysseni Opera, II, ed. W. Jaeger, i3erlin I9iI, p. t, lb ^ \Contra Eunom.,lib. III, tom. IXo 59): zò dè éu òéypraot òàtu péaor,E oieo.Su rì1u eòo|P9ruu eiuat, riaoE o$.roog 'iòLou citE tau 'Ei),fiuai éotiu; _Qresto _rilievo è il prodotto della profònda 27 26. Plaione non dice espressamente che l'esametro da lui dato per orfico in Ph'ileb. 66 c: \mn ò' èv yevt\, E46ìv'OQEetq, xcfiaxtdlidare xdopou àoòiiE provenga da un-poer"a teogonico' In s6 questo vers-o ;;;-;;t;t; .'i-f"iito, cime ha dimostrato Losncr,-Aglaophamus -f7' p. Zae.gg., a una sequenza di generazioni di dei o di uornini' Ma Lo' MiilK' O' fa Leck si É"girttu*"rtè astenutidall'interpretarlo,.come i"", q"ut""""cessione d'incarnazioni dell'anima in sei diverse specie di'co'rpi animali o umani, e se escludiamo questa interpretazione' l" qlruie si adatterebbe a una dottrina pitag-o:rica meglio che.a una traàizione orfica, la cosa piri verosimile sarebbe pensare a sei generrri."i ai a"i. Questa opinione è confortato--anche dal fatto che Platone (Cratvl. ìOZ b-")'eita due altri versi di una leogonia orfica q""fiO*-rno e Tethys sono la prima (? ) generazionc nella suc""i ce.siàr" ilegli dei. Si noti che il àodo in cui Platone cita questa irloairior" è" nei due casi esattamente eguale: rpqoì»'Opqeilq -- L-é'ya 38 da molti. zo Cfr. KonNo op. cit., p. 147. 28 Esiodo, Theog. 723'25. rs Eschilo, Eum. 321 Murray. s0 Luce e tenebra sono una rlelle dieci coppie di contlari che Aristotele (Metaph. A 5, 9B6a 2? .gs.) - "nuÀà"a nella ouoror'6ia di principi'co*e- lu intendevano alcuni pitagorici' - i;-Àrirt"t"te, Metaph. If 4, 109ib 4-(KùnN, Orph' fragm' 24); .6. polazione da Onomacrito il quale vi inseri richiamì « profetici » ad awvenimenti dell'epoca che precedette imrnediatamenteì. grer"a persiana. Cfr. Erodoto, l. cit. sa Dalla raccolta delle tesrimonianze di Knnlr (Orph. fragm., ,. l-stg.) risulta questo, se pur ne risulta qualcosa. quadro dell:r chicsa or{ìca-cfr. O. Krnx, Religion l"t ques_to " 'lGriechen, der II, Berlin 1935, 148. L'opinione però che i poemi ieogo-nici contenessero il « dogrna » della-religioni orfica no-n si trova soltanto in Kern ma risale alla Psyche ài RoLd" ed è sostenuta _ specifi' poesia greci Uber Epinrenid,es uan Kreta, in « Sitzungsber. Berl. .Ak._»_1891, p. 387 sgg. Gli Oracoli di Museo (se pur contenevano qu_alche tradizione piri antica) devono avcr .icàvufo qualche inter- re 119 ('nm;nte $eco ;he dominavà alora la discussione tra cristiari colti ,, 1,, ge""ichit ecclesiastica nei concilii. Eruditi com'erano nella tra' di Nissa e il suo gruppo-c-o-norlizione della filosofia greca, Gregorio -ali qucsto intcllettualismo e dell'inB(:ovano bene l'originò eilenica ristenza sulla chia:rezza e precision; dogmatica nelle cose di relicit., p. ZZO, 21 dove Gregorio mette in rilievo gionc. Cfr. anche op. -« i;importanza della comunione dei singoli mistici » e rlelle « usanze srrllJ quali si basa la forza della religiòne cristiana »' Per il nostro studio è indifferente se questa dogmitizzazione della sostanza reli' giosa sia o ron sia di iostro guito: dobbiamo riconoscere che è lrn atteggiamento specificamente greco. 2e Lé-parole 6,jypa e oidrnpd furono usate in questo senso per la prima iolt, oe.Jo la Ene dci periodo classico greco e sono particolàrmente caratteristicbe del periodo ellenistico. mai_ trf.-Drus, CAP. IV rli ogni fede dogmatica e i pericoli di quell'intellettualismo lascia aperta la questione. Secondo Cicerone, De iat.. ileor.i, Jg, ib"B Aristotele ncl dialogo IIqì cpttr"oooqtac aveya asserito che«non c,era 2e 23 }.L Ifna teogonia è citata anche in ?imeo" 40d dovc Éìrtore rratù'dil'origine degli dei. Secondo questo.passo Oceuno e Tethys non erano la prima coppia,-ma erano statr precedutl da U*ano "" Ge. Da Ocea*ì e Tethys discendevano Phorkys, Kronos òé toaxaì'Oacoeùc. esperiénza ed erudizione di un dirigente della chiesa criJtiana del seiolo IV il quale apparteneva alla scuola teologica di Cappadocia, un gruppo che piÉ di qualunque altro contribuiì fissare èiattamente ?6rmulare il dogrna tlella chiesa cristiana. lla essi oorìoscevano ""u i limiti c'Rhcn:*da Kronos e Rhea Zeus'e Hera coi ]oro frateìli e sorelle; qri"tti ne discend.evano altri. In- -questa serie i figli tll Zeus "-à, al ffl"t sono la quinta generazione. Mà se assumiamo che Urano " * 120 LA. TEOLOGIA DEI PRIMI PENSATORI e Ge erano soltanto la prima coppia e a Ioro volta devono essere figli del Caos o di un'altra divinite primigenia (cfr. nota 5l), abbiamo effettivamente le sei generazioni che ci occorrono; tli{ficilmente infatti si potrà andare oltre la sesta, i figli di Zeus e di Hera, che per Platone sono gli ultimi. A questo punto sarà bene ricordare che anche nella versione neoplatonica della teogonia orfica c'erano sei generazioni di dei, cosa importante per l'interpretazione delle sei yeueai nel poema orfico citato da Platone, in quanto è una conferma che il numero sei era fisso nella tradizione teogonica, Cfr. Orfeo B 12 con le note di Diels (Vorsokratiher, I). 30 Aristofane, Uccellio 690 sgg. (KnnN, Orph. fragm, L)ao Cfr. sopra, p. 49 sgg. a1 Cfr, Aristofane, Uccelli, 696 dove le parole ?r€Qlr>llopé.ydc riiporq sono una parafrasi poetica di ypéuoE. a2 Cfr. sopra, p. 18 sg. a3 Aristofane, Uccellio 695 sgg. aa Cfr. Damascio, De princ. 124 (I 320, 17 Ruelle); Epimenide B 5 Diels (Eudemo, framm. Il7 Spengel). a5 Cfr. Damascio, op. cit.; Orfeo B 12 Diels (Eudemo, framm. 117), Cfr. la nota di Diels a questo passo. a6 Dror,s, Ein orphischer Demeterhyrnnus (nella Festschrift fiir Th. Gomperz, Wien 1902), p. l, specialm. p. t3 sgg. a7 Le parole 'Ipruenatye dd)toolt, pe si trovano in un papiro di misteri del secolo III a. C. che fu scoperto nel villaggio egiziano di Gurob e pubblicato per la prima volta da J. G. Snrr,v, Greelc Papyri from Gzro6, Dublin 1921, nr. I (cfr. Knnn, Orph. fragm.3l, riga 22). a8 I frammenti della Teogoniao Xpqopoi di Epimenide sono raccolti nei Vorsohratiker del Diels. Yedi l'estratto di Eudemo, sopra, notz 44ao Epimenide B 5. so Cfr. J. BunNnr, Early Greek Philosophy a, pp. 1090 186 ecc. 51 Secondo Eudemo, la Teogonia di Orfeo faceva della Notte il principio NOTE .ÀL C.ÀP. IV GRECI (Orfeo B 12). Aristofane, Uccelli, 693 incomincia ugualmente col Caos e con la Notte la parodia di una teogonia orfica. Cfr. sopra, p. 105 sgg. 52 Omero, Iliaile, 14, 201, 53 Cosi possiamo interpretare le parole di Euderno in Damascio 124 (Epimeniile B 5) i§ ritu lscil.'Aégos x,ai NuxzdEf ùio Tnduas.... Eudemo non dice chi siano questi « due Titani », ma se consideriamo l'elenco dei figli di Urano che sono chiamati Titani in Esiodo, Theog. L29 sgg. (cfr. w. 2A7 sgg., 630), sembra possibile che i due titani di Epimenide siano Oceano e Tethys. Infatti sono gli unici a formare una coppia tradizionale che nella pif antica teogonia, cioè in Omero (cfr. nota 52)o potesse avere ed ebbe realmente la parte di àqyil. Filodemo, De piet.47a 2 (p. 19 Gomperz), confrontalla variante omerica di Oceano e Tethys con Aria e Notteo la prima còppia di Epimenide. Questi a sua volta sarà stato indotto dalla celebre tradizione a comprendcre in qualche modo la versione omerica nella propria nuova genealogia facendo di Oceano e Tethys, «i Titani », i figli dell'Aria e della Notte e assegnando loro il secondo posto anziché il primo. L'occasione d.i questo come di ogni altro muta- 121 rrrorrto di questo genere dev'essere data dal desiderio di mettere rl'nt:r:ordo i'miti g"enealogici coi fatti flsici c-ome egli-li concepiva' t'or un'altra versi;ne de[a genealogia dcgli dei secondo Epimenide r:l'r. nota 55. 6a « Epimenide » B 5 trovò questa versione' l'uovo del mondor irr un'altia fonte diversa da OÀero ed Esiodo, probabilmente in urr poema epieo del tipo di « Orfeo ». Le parole'Qxtlauou xaì flfic yt»vilpalz' eiva.t irr Filodìmo, De pier. 46b 7 (p. 18 Comperz) sono bensi frutto di lrno congettura, ria la ricostruzione del passo è convincente. A pr!1a du Epi-"inid" B ?. vista pe;ò sembra difficile intendere come « Epimenide.» po-ssa chia' ,nor"'G" una Titana, dato che nella tradizione teogonica di Esiodo cssa è la madre dei Titani. Senonché la versione di Filodemo può undare d'accordo con quella di Eudemo (cfr. nota 53)-{uando- si &ssuma che la teogonià sommamente speculativa di .« Epimenide » diede alla parola «Titani» un nuovo significato allegorico e plesentò come primà coppia Aria-Notte (cioè lo spazio buio e vuo-to)o come secondì coppi.-Ò"e"no-Ge (gli elementi acqua e terra)'.Una simile modificazioii del mito teogònico tradizionale si trova in Ferecide (cfr. p. 110 sg.) quando fi di Ge (Chthonie) la consorte di Zeus, qourionqo" ieila-T"rgooio di Esiodo fosse sua nonna. Come « Epiàenide r,^ anche Fereòide giustifica questa innovazione con un'interpretazione allegorica poiché nel suo sisterna- IanLo Zas quanto Chihonie rappresentano i supremi principì fisici. ao Cfr. l'òiinione di Senofine che tutto è sorto da Terra e Acqua, B 29. Cfr. la teogonia di Hieronymos (in Damascio I23 : KpnN' fragm.54)'il quale pure fa'di Acqrra e'Terra (riida;g xai yiia) i primi piincipi della sua eosmogonia. Naturalmente n3n-può aver ,àto qrie.ti riomi; ridcoq e yfi soio un'interpretazione di Damascio; nel lin§uaggio mitico dèlla-tàogonia di Hieronymos c'erano i nomi 5? Orph., Okeanòs e"Òe. Pare che egli abbìa preso questa coppia dalla teogonia « Epimenide ». Cfr. nota 55. 58 tr'erecide B 1. di Acusilao A 4. 60 Cfr. Senofane B L4, Epicarmo B I. 61 Probo, ail Verg. Buc.6,3L (App. Seru. ed. Hagen, p. ?43, 18) 5e : Ferecide A 9, La medesima interprètàzione in Ermia, Irr. LZ : ibid. 62 La forma Kpòaoq, è tramandata sia da Probo sia da Ermia: cfr. nota 61. Seconìo la citazione letterale in Diogene Laerzio I 119 Ferecide lo chiamò XpduoE. 63 oe Cfr. soprao p. 49. Per l'oiiginé e la funzione dell'etimologia nel primo pensiero teologico grecJ cf.. M-lx Wennune, Zwei Fragen zum Krer1ylo-sr^i1t y, 1929. u Neu-e Philologische Untersuchungen» ed. da W. Jaegero p. 65 sg. L'etilmologia era uno aòi piri importanti e pif f.equenti ripieghi dell'antica teologia greca. - oi Aristotele, Metapi. .lf 4, 1091 b B (Ferecide ,{ ?). Se1_rbra che a questo carattere ìt misto » della speculazione di Ferecide alluda Diogenè Laerzio quando dice (1, 116) che Ferecide fu il primo a scriiere nepi gtioeaq xaì 8{ou. La sua teogonia conteneva tra altri elementi tò goso\oruir: era fisica in veste teologica. 122 66 67 LA, TEOI,OGIA DEI PRIMI PENSATORI Aristotele, Metaph. B 4, 1000 GRECI a t8 (cfr. b 9). Questa osservazione aveva un peso particolare per Aristotele ch,c.dell'« essere perfettissimo » faceva il principio dell'universo. Egli critica i pitagorici e il platonico Speusippo perch6 ponevano al principio I'imperfeto. Vedi Metaph, A 7, 1072b 3L. 0s s Cfr. l'ampio frammento papiraceo di Ferecide B 2. Damascio, De princ. I24 (Eudemo, framm. I1T), Ferecicle A B. Porfirio, De antr. Nymph, 31 (tr'erecide B 6) dice che nella sua usò le parole dazpa, Di quiil titolo flìy'r-épuyog (vedi Damascio. l, cit.). Suida ha la variante 'Entdpuyog derivata, a quanto sernbr.a, dalla storia della filosofia di Porfiiio (Ferecide A 2). La variante indica che il titolo fu aggiunto da scrittori posteriori, probabilrnente dai grammatici alesÀandrini, i quali non eraro d'accordo con le intcrpretazioni dello schema cosmologico_ d1 Ferecide. Damascio spiega nutépuyoe corne neutéxoopog. 70 . Damascio, op. cit. dice che Chronos-fece del suo proprio (?) y-éuog fircco, pneuma, acqua..., - li distribui in chtqae-puyoi e-ne derivò una numerosa progenie di dei. Nella lacuna del iesto *,,rcano due altri elementi. Kern congetttra aùro6 al posto di éauto6 e inliende il yduoq per quello di Zas. Cfr. tr'erecide B ?, dove gli viene attribuita la parola èxpoi1, Ma Ia « grn4114r1.re »o alla qualJ sembra allrrdsas questo sinonimo di onégpa o ydaoq, deve avèr significato qualcosa di fisico, a differenza dal futuro'uso spiritualistico dì questo Clprror,o QurNto cosmologia- Ferecide distinse diversi p,uyol e pd.9pot, mfi"ar e Srigcr corne sinonimi di puyoi, concetto. 7t Origene, Contra Cels.6, 42 (Ferecide B 5). 72 Origene, op. cit. : Ferecidc B 4. ?3 Prom. 351-72; Pindaro, Pyth. 7, 15-28. 7a Eschilo, Cfr. la mia nota in Paiileia, tr. it., tr, p. 296 nota 31. 75 Mi sembra necessario e urgente riprendere da questo punto di vista l'interpretazionc della Tiogonia ài Esiodo e di tutto -il suo p-ensiero, e badare seriamente a sellarare le idee personali di Esiodo, cioè i suoi nuovi pensieri teologici, dagli elemenli puramente tradizionali della sua speculazione, ?6 Eschilo, framm. ?0 Nauckz. ORIGINE DELLA TEORIA SULLA DIYINITÀ. DELL'ANIMA I greci (cosi si esprime uno studioso recente) condividono col popolo ebraico il merito storico di aver creato una spiritualizzata fede in Dio: vna i greci sono stati i soli a determinare per la durata di alcuni mil' lenni Ie idee dell'umanità civile intorno alla natura e al destino dell'anima. Essendo accolte dalla religione cristiana, Ie loro idee ebbero Ia piri larga diffusione e d'altro canto ebbero una parte essenziale nello sviluppo della concezione cristiana del mondo. L'evoluzione di questo concetto dell'anima incomincia per noi soltanto nel VI secolo. I-e sue radici aflondano certamente in strati preistorici dell'esistenza umana; ma in senso storico rimarrà sempte decisivo iI fatto che la fede nella divinità dell'anima e nel suo destino metafi.sico ricevette nella eiviltà greca del Yf secolo a. C. la forrna spirituale con la guale poté conquistare il mondo. Il mito greco dell'anima non scaturi dallo spirito filosofrco, bensi dal moto religioso che abbianao brevemente descritto nel capitolo precedente. Di qui però c'è una linea diretta che porta alla filosofia. L'influsso non si manifesta tanto quale accelutazioroe esteriore di un dogmg religioso da parte del pensiero filosofico quanto come libera catarsi spirituale della fede religiosa nelI'anima; ciò dimostra però che questa fede creò un nuovo punto di partcnza e di orientamento nel pen- LA TEOLOGIÀ, DEI PRIMI PENSATONI GRECI siero umano. Per questa ragione esso va compreso nell'ambito del nostro studio. È inevitabile però considerare, in generale, la formazione dell'idea greca d.ell'anima fin dall,inizio d.ella nostra tradizione. Dopo l'opera classiea di Rohde intitolata Psychel, che per la filologia del suo tempo fu un capolavoro di sintesi scientifica e di esposizione arti- stica, gli studi non hanno avuto tregua; specialmente concetto omerico dell'anima è stato oggetto di indagini profonde che hanno scosso le premesse fondamentali dell'opera rohdiana. Rohde scriveva sotto l,impressione della teoria dell'animismo che nel campo della storia delle religioni era stata formulata anzitutto da Tylor e Spencer; e cercava di trovare un accordo fra le idee generali di guesta teoria e i fatti che ci presenta il testo omerico. Partendo dalla fede cristiana nell,immortalità, stabili anzitutto che in Omero non esiste niente di simile 2; perciò considerò subito quel lato del concetto omerico della psiche che appartiene all,al di là. Già questo punto di partenza era una prima fonte di errori, poiché? per quanto anche in Omero sia importante la parte della psiche quale ombra del defunto nell,al di là, guesto signifi.cato della parola non può essere, come ved.remo, se non derivato e secondario. Lo stesso Rohde dice giustamente che la morte è per l,infividuo di Omero la fine; la sua anima non sopravvive alla morte 3. I-;'ombra del defunto che entra nell,Ade non vi mena un'esistenza cosciente, e con le parole « l,uomo §tesso » Omero, in antitesi a quest?ombra, indica piri volte la spoglia terrena del defunto, il suo corpo, sia pure privato della vita, tanto è vero che fin dal principio deil'f/iade si dice: Egli gertò nell,Ade le « anime » (tpoyai) degli eroi, cioè le loro ombre, mentre buttò loro stessi, cioè i corpi degli eroi? in pasto ai cani e agli awoltoi 4. il cÀ,p. v: oRrGrNE DELLA, TEoRra sulll DrvrNrr.À our,r,'ÀrcrMl 125 Prima di eonsiderare il principale significato della J)arola, la psiche del vivo in Omero, vogliamo soflel' marci a quella evanescente ombra sotterranea che egli r:hiama anche eiòa),ov, perché somiglia esteriormente al morto fino al punto da farsi scamhiare con lui' e ingieme col Rohde ci domandiamo donde sia venuta e quali fossero i suoi rapporti con l'uomo fin tanto che era vivo 5. Ci sono parecchi passi di Omero dove è detto che la psiche si separa dal moribondo, che vola fuori dalle sue labbra o dal suo corpo e precipita nel' l'Ade. Dunque dev'essere stata nell'uomo vivo: ma guale attività vi svolgeva ? Ciò che noi chiamiamo ani' ma, coscienza e simili e che anche i greci piÉ tardi intendevano per yuyfi, in Omero non si chiama mai cosi, ma è sempre indicato con Sopdg o con parole che signi' ficano cuore, diaframma o altre parti del corpo? le quali entrano in funzione o sono interessate nelle reazioni del sentimento e della volontà. D'altra parte Omero usa la parola yoyfi nell'aomo vivo spesso col significato di « vita » 6. Questo fatto però al Rohde non parve sufficiente a spiegare I'uso della stessa parola per l'ombra del defunto nell'Ade. Questo stesso sosia incorporeo doveva aver abitato nell'uomo vivente, sia pure senza un'attività definibile. Per lo meno non si riusciva a trovarlo allo stato sveglio e cosciente. Rohde, per contro, pensò di dover considerare l'attività sognante della coscienza nel sonno, prendendola per un'analogia, diversa soltanto di grado, col distacco definitivo della psiche dal corpo nel momento della morte. Questa opi' nione si appoggiava a un passo di Pindaro, velamente molto significativo, dove è detto: « II corpo fi tutti gli uomini segue la morte onnipotente, ma viva rimane un'immagine della vita; ché soltanto questo viene dagli dei. Essa dorme fintanto che le membra si muovono. Ma spesso rivela nel sogno Ioo{ unird:ìtra *8ì ti Bolosna o' \3t 12-w */ t26 LA TEOLOGtrT. DEI PRIMI al dorrniente la prossima c^p. PENSÀ.TORI GRECI decisione delle cose tristi e delle gioiose » Qui troviamo in accordo letterale con Omero la natura della psiche, anche se di essa non si parla direttamente, quale idolo o immagine della vita (oi6n). Qui è detto che questo idolo è l'unica cosa che rimane dell'uomo quando il corpo muore. Tanto piÉ parve importante a Rohde che qui sia detto espressamente come questo idolo del vivente abiti in lui quando è vivo, ma dorma quando egli è sveglio. Soltanto cosi sembrava di poter spiegare lo strano fatto che Omero non parla mai della presenza o dell'attività di un siffatto sosia che, come secondo io invisibile, dimora nell'uomo. Il fatto che entra in attività soltanto nel sogno, vale a dire nel temporaneo distacco dal corpo, era per Rohde I'elemento decisivo di tutta questa concezione, poiché pareva gli desse la prova definitiva che questa concezione era derivata da un'argomentazione logica in base alle esperienze del sogno e a fenomeni simili quali l'estasi e il deliquio. Che era precisamente il presupposto clella teoria dell'animismo. Su questo punto è intervenuta vittoriosamente la critica di \t/. F. Otto 8. Ciò che dal punto di vista puramente filologico deve sembrare strano nella dim.ostrazione di Rohde, cosi stringente in apparenza, benché lo si sia accettato tranquillamente per decenni, è la siearezza con la quale si inserisce un'idea di Pindaro nell'epopea omerica, anteriote di parecchi secoli. Otto osservò giustamente che basta un'unica frase nel passo di Pindaro a dimostrare quanto una siffatta confusione sia metodicamente inammissibile: vi si legge che l'idolo del vivente rimane in vita quando il corpo muore, «poiché questo soltanto viene dagli dei». Ora nulla è cosi poco omerico come I'idea della divina discendenza dell'anima umana; e altrettanto estranea è ad Ortero 7. v: oRrGrNE DELLA" TEoRr.À suLLA. DrYrNlrÀ ppr,r,'hNrlre ln scissione dualistica dell'uomo in corpo e anima, 12? che rpresta teoria presuppone e che Pindaro aflerma esples- Brrnente. Non è lecito estrarre questo pensiero mistico rlt Pindaro, come fa Rohde, e considerare il resto conne ornerico e. Infatti all'idea che l'anima abita nel corpo xoltanto come un'ospite estranea, proveniente da un rnondo superiore, si associa in Pindaro l'altro particolare, trasferito da Rohde a Omero, che l'anima dorme rluando l'uomo veglia e si desta ed. è attiva solarnente (Iuando l'uomo dorme, cioè nel sonno. In Omero non si trova nulla di questa nnisteriosa concezione, come Otto ha dimostrato mediante una bella analisi dei sogni descritti da Omero10. Per quest'ultimo il sogno è sempte un'apparizione reale ohe si awicina al dormiente. È vero che Omero chiarna una volta anche eidolon il fenomeno del sogno, ma non l'anima quale organo del sogno, come f,a Pindaro 11; e in Omero sarebbe inconcepibile L'interpretazione del sogno in quanto visione dell'anima liberata dal corpo e inalzata alla sua originaria forza divina. Ci troviamo di fronte a due concezioni dell'anima assolutamente diverse che bisogna distinguere con la massima chiarezza. La teoria animistica della psiche omerica in quanto sosia, in quanto secondo io, che nell'uomo vivente è assopito e con la morte abbandona il corpo per scendere nell'Ade e condurvi un'esi' ste:r.za di ombra simile a un soffio senza fotzar ![uesta teoria, seguìta dal Rohde, perde cosi ogni sostegno. Otto, a sua volta, si accostò a questo problem.a non tanto attraverso uno studio della fede greca nell'anima e della sua evoluzione quanto attravexso I'indagine delle forme clella piri antica credenza intorno ai morti, come dice il sottotitolo del suo opuscolo: « f Mani ossia le forme primordiali della credenza intorno ai morti ». Perciò egli non incominciò col chiedersi quali siano i concetti che in Ornero indicano i diversi aspetti di ciò t28 LA TEOLOGIA DEI PRIMI PENSÀ,TORI (iArr. GRECI che intendiamo col nome di « anima », e quale significato abbia in particolare il concetto omerico di yuyi1, ma ha affrontato il problema della yuyil partendo dal suo significato di spirito del morto, allo stesso modo in cui Rohde era partito dal fatto che in Omero la yuyrj quale abitante dell'Ade è un'immagine dell'uomo vivente. Ma mentre Rohde dal carattere della psiche abitante dell'Ade in quanto idolo e sosia dell'uomo pretendeva di ricavare l'essenza della psiche in genere c anche la sua pretesa funzione di secondo io dell'uomo vivente, Otto distingue nettamente fra questi due significati. Egli vede nell'abitante omerico dell'Ade soltanto il fenomeno greco della primitiva credenza - non ancora sfiorata dal ragionamento - nel fantasma del morto, prodotto della paura del morto che si riscontra in tutti i popoli. Il rilievo dato a questa origine dell'ombra nell'Ade rende per Otto tanto piri problematico il suo nome di psiche, poiché Omero chiama psiche nell'uomo vivente proprio la « vita » 12, cioè il contrario del morto. C'è poi anche un'altra differenza: la psiche che vagola nell'Ade come idolo è rigorosamente individuale 13, data la visibile somiglianza del suo aspetto col vivo; ma la psiche del vivo è semplicemente la vita animale che è in lui e come tale non ha niente di personale. Come si conciliano queste contraddizioni comprese nell,unica parola omerica di psiche ? Col concetto « psiche uguale a vita » non si riesce a spiegare l'applicazione della stessa parola, al fantasma del morto. Perciò Otto suppone che abbia avuto luogo una trasposizione: che, come è facile intendere, iI fenomeno dei fantasmi sia stato messo in rapporto con l'impressione che il momento della morte fa sullo spettatore 14. Ciò che si staeca dal corpo e fugge è la vita, la psiche, che allora però dovrebbe essere identica col fantasma del morto nell'Ade. Se questa identificazione fosse frutto di una v: oRrcrNE DELLA. TEoRr.A. suLt,l DrvrNrrì, orr,r,,enrul 129 rlr,rlrrzione cosciente, rimarrebbe difficile figurarsi come r,olorr» che la eseguirono non abbiano notato le sumrrrlrrzionate differenze. E male si accorda con le idee ,,lrc lo stesso Otto ha della natura dei primitivi processi r,ritit:i, sui quali si basano questi concetti omerici, l'cv1;n1r"1" ipotesi che qui si tratti di una specie di logirru primitiva, di una illazione cosciente 15. Non rimar(:v{r pertanto che vedere nella definizione dell'abitante orncrico dell'Ade quale « psiche » una sostituzione met'lmente esteriore, senza che fossimo autorizzati ad lttuare realmente l'uguaglianza tra Ia vita e il fantusma del morto insita in questa equiparazione associativa. Quando si consideri la difficoltà di questa deduzione, ai comprende perché il tentativo di Otto, di tener conto rlella credenza omerica intorno all'anima e al morto, abbia dovuto provocare subito un altro tentativo. Questo fu fatto da Ernst Bickel co1 libro sulla cred.enza omerica intorno all'anima 16. Egli parti dal postulato che la definizione dello spirito d.e1 morto quale psiche non possa fondarsi su una posteriore contaminazione di due concetti cosi diversi come « vita » e « spirito del morto», ma che nella psiche omerica debba esser contenuto fin dall'origine gualcosa che faccia da ponte tra i due significati e ciò sia da ricavare dal fondamentale significato etimologico di psiche quale « respiro » o « soffio » 17. fn origine la psiche sarebbe nel vivente l'anima-soffio o anima-respiro? la cui esistenza era certa per chi sperimentasse la vita animale nell'uomo, specialmente in eventi come la morte o lo svenimento, quando la vita abbandona l'uomo insieme col respiro. fn opposizione ad alcuni precedenti interpreti di Omero, Otto aveva vivamente contestato che la psiche di Omero nell'uomo vivo abbia mai significato altro che vita. Questa sarebbe già diventata un concetto del 9. - W. Jenonn, La teologrì,a dei pfi,nxi pensatori nrecì,. I30 LI, TEOLOGI"{ DEI PRIMI PENSÀTORI CRECI tutto astratto; il significato di «respiro» non sarebbr: nettamente dimostrabile in nessun passo di Omero. Bickel, per contro, fa notare 18 che dnotpiy«r significa irr Omero « espirare » e vi si trova anche la frase yoyì1v xan$ooat che possiamo tradurre soltanto con animant, effiare (esalare la propria anima). Il vocabolo latino anima contiene ancora chiaramente uniti in sé i con' cetti di vita, anima e soffio. Se anche dobbiamo riconoscere che la psiche di Omero non ha conservato l'immagine concreta del soffio come il latino animu' che si ricollega ad. dvep,og,, « il vento », gli esempi nei quali è unita con un verbo che indica espirare o che sia derivato dalla stessa radice yoy dimostrano comc anche in greco questa idea concreta sia stata I'origine del concetto di psiche le. Anche in epoca omerica, quando questa origine stava già dileguandosi, se ne ebbe spesso coscienza: lo rivelano espressioni come « Ia psiche sfuggi alle labbra » o « la psiche volò via dal corpo » 20. L'idea del volo della psiche all'Ade che spesso vi si accompagna si accorda male col con' cetto astratto di « vita », mentte? secondo l'antica mentalità greca, si intona bene col soffio del respiro. Nell'epica « orfiea » del YI secolo incontriamo il pen' siero che, alla nascita, la psiche entra nell'uomo por' tata dai soffi del vento 21. Ciò non appare in Omero, ma è esattamente il complemento della credenza ome' rica che la psiche esca dal moribondo volando. Quest'ultimo concetto dev'essere antichissimo. Anche fuori dell'àmbito letterario lo troviamo sotto la forma della psiche che dopo aver abbandonato l'uomo svolazza in giro come uccello-anima o farfalla zz. Sia f idea del volo intesa in origine in questo significato vero e proprio o, come nell'anima-respiro, nel senso traslato del librarsi, certo è che Omero la senti ancora concte' tamente. cap. v: oRrGrNE DELLA TEoRrl suLL-{ DrvrNrrì, orr,r,'enrul 13I l,a letteratura post-omerica è cosi frammentaria che rron ò facile farsi un'idea delle denominazioni dell'anima. naturale che i poeti, imitando Omero, mantengano rr»l medesimo significato anche le suc denominazioni 23. Non abbiamo notizie sul modo in cui si esprimeva la lingua viva. Nel YI secolo, agli inizi della prosa, il lilosofo Anassimene, nell'unico frammento della sua opera didascalica che ci è conservato, usa la parola psiche nel significato di « anima », non di « vita ». Dice: « Come la nostra psiche che è aria ci tiene uniti e ci governa, cosi il cosmo intero è tenuto insieme da 2a. Anassimene chiama aria l'illirnitato l)neuma e aria» che è fondamento di ogni divenire, soprattutto perché la considera sostrato della vita. L'animazione sta, secondo lui, già nel primo principio e i suoi rapporti col mondo della corporeità visibile s'intendono dall'analogia dei rapporti tra la psiche e iI corpo umano. Per equiparare l'aria all'anima il fiIosofo non ha che da richiamarsi? a quanto pare, al vocabolo psiche, perché chiunque lo udisse deve aver sentito che vi era contenuta l'idea del respiro. Già per Bickel è giustamente inverosimile che Anassimene si sia reso conto di questo originario significato di psiche soltanto attraverso il suo ragionamento. Egli avrà inteso cosi anche il suo Omero, ma in ogni caso intendeva cosi la propria lingua. Senofane, a quanto si dice, negò che iI mondo respiri 25. Anche questa idea, come la maggior parte delle altre, gli è venuta dalla filosofia ionica; ed egli I'ha respinta perché troppo strana. Ad Anassimene invece si adatterebbe bene. Questa provenienza è possibile anche cronologicamente. Aristotele conferma espressamente che l'idea del mondo che respira era condivisa dai primi pitagorici i quali la mettevano in relazione con la teoria d.ello spazio vuoto nel mondo 26. Ma in sé potrebbe essere anche piÉ antica e risalire ad Anassi- il t32 LA. TEOLOEIA. DEI PRIMI PENS,A.TORI GRECI mene. Anche I'anima della teogonia orfica che sullc ali del vento entra nel neonato presuppone la filosofia delll natura e la sua teoria dell'aria quale principio di vita 27. Sarebbe bello sapere se iI vocabolo psiche includa pcr Anassimene anche la coscienza, come la include poco dopo per Eraclito il quale, come Eschilo e Pindaro, L: dà questo significato fisso. Non che sia necessario, dato che ad Anassimene importava soprattutto iI lato fisiologico della psiche. Certo la sua frase « l'anima ci tlolrrJna (ouyxqazei)» 28 ne suggerisce almeno la contemporanea interpretazione spirituale, e siccome l'aria infinita è per Anassimene altrettanto divina quanto l'apeiron per Anassimandro, e siccome essa governa il mond.o, è diflicile pensare I'analogia con lTanima dell'uomo senza coscienza e selnza ragione. In ogni caso, d.alla psichearia di Anassimene alla psiche quale anima cosciente non c'è che un passo. Questo significato vi deve essere contenuto almeno in potenza, che è quello che conta per noi. Non possiamo dire se questa evoluzione sia awenuta nella Ionia, dato che non sappiamo niente del paese d'origine. Il suo punto di partenza non è stato certamente soltanto Omero dal quale per mancanza di altre fonti siamo costretti a prendere le mosse (infatti egli ci presenta una forma non piri originaria del concetto di psiche), ma piri ancora la lingua viva e I'immaginazione del popolo. Con essa, e non coi due disparati concetti omerici di vita e spirito del morto, si può spiegare come questi due abbiano potuto essere espressi con l'unica parola psiche. Soltanto 1' « anima » simile aI soffio presenta ad un tempo i due diversi aspetti della vita e della fantastica apparizione dello spirito del morto. Dall'astratto omerico psiche : <r vita » non c'è alcun salto che porti all'eidolon nell'Ade. Certo, cosi non è ancora risolto il problema come l'anima in Omero possa contempolaneamente indicare il lAr,. v: onrcrNE DELL-I TEoRra suLt,l DrvrNrrÀ opr,r.'.LNrlr,L 133 r,olrrcl.to imp ersonale di vita e lo spirito del morto lrrlligrrrato in forma individuale. L'ambiguo vocal,olo omerico non può essere derivat.o da un'unica rarlicc intuitiva. L'ipotesi, affacciata da Otto, di una comlrirrirzione dell'idea della « vita » uscente dalla salma con l'r'sporienza del fantasma del morto non è sufficiente rr xpiegare la trasposizione della parola psiche all'idolo rrrrll'Ade, ma l'ipotesi di una trasposizione mi sembra irrr:vitabile. Essa diventa anche piri comprensibile se irr origine psiche non significava soltanto vita, come preHuppone Otto, e se la trasposizione non fu compiuta da ( )mero, per iI quale il signifi.cato di psiche : « vita » ò già dominante, ma in un periodo anteriore, quando grsiche era ancora I'anima-soffio. L'identificazione dell'anima-soffio uscente in punto di morte con ciò che, sccondo Ia credenza primitiva, rimane del defunto, e può eventualmente diventare oggetto di impressioni dei sensi umani, era facile. Essa introdusse nel concetto di psiche la contraddizione che non si può eliminare perché fln dall'inizio il so{fio della vita non è nulla di individuale, mentre l'apparizione del mortor proveniente dal regno della fantasia, è naturalmente simile al defunto. Ya notato che l'estensione del significato di psiche all'essere morto poté compiersi piri facilmente che l'introduzione dei fatti di coscienza che iI vocabolo psiche indica piri tardi in primo luogo. La coscienza e la vita animale non sono intese in origine come unità, tanto è vero che sono indicate con parole diverse 2e. Se però, vedendo la cosa in base aI successivo significato psicologico di psiche, ciò può sembrare assai strano? di fronte al fondamentale significato linguistico dei vocaboli omerici $opdE e yoyil apparc del tutto comprensibile. I signiflcati predominanti in Omero ($updE: « affetto, volontà, anima, spirito », goX/l : « vita ») sono evidentemente secondari e si sono sviluppati a poco a 134 LA. TEOLOGIA. DEI PRIMI cÀr'. PENSA,TORI ERECI poco. Secondo l'etimologia, è chiaro che 8up66 si ricollega al latino fumus, « fumo »? e al greco 86cù, « sacrificare», ed è quindi l'ondata calda del sangue; cositpuy\ è in origine il concreto « soffio » e forma una sola fitmiglia con y6yr», « soffi.are » e yu76gdg,, « freddo ». I dur. vocaboli indicano dunque in origine fenomeni di vita psicofisici, molto diversi l'uno dall'altro, senza la prctesa di farli risalire a un fondamento comune. Gli accoppiamenti sempre piri frequenti come Oup,òE xaì yoy,i1 (anima e vita) e simili rivelano però d.'altro canto chc al tempo di Omero già esisteva la tendenza a unirc i fenomeni della coscienza (OopdE) e della vita animale (rpuXil nell'unità di un unico concetto, nonostante che la lingua non possedesse un vocabolo unitario che li comprendesse tutti e due 30. Siccome la lingua poetica dell'epopea era antichissima e il significato delle parole si era consolidato da un pezzo) l'ampliamento di significato di una parola come psiche dal lato spirituale non poteva aver luogo cosi facilmente come awenne, pare, nell'insensibile passaggio della lingua del popolo dove questo processo è ormai compiuto nel secolo YI 31. Anche in altri casi, come per esempio nell'àmbito del pensieto etico, troviamo fenomeni paralleli a questo sviluppo. Mentre ne1 linguaggio dell'epopea il vocabolo à,perfi ha di solito il determinato e preciso significato di forza e valote virile, proveniente dalla tradizione del piÉ antico canto eroico e ricorrente qua e là anche dopo, per secoli, nel linguaggio dei poeti sotto l'influsso di Omero, ve. diamo compiersi in epoca post-omerica un ampliamento del significato di questo vocabolo che in parte proviene dal linguaggio della vita, in parte deve la sua origine alla lingua dei poeti stessi. Esso viene a significare ogni specie di bravura e perfezione umana, anche aI di là del territorio bellico; la parola indica anche giustizia, v: oRrGrNE DELLA. TEoRra suLt,l DrvrNrrÀ. onr,r,'elrrm 135 e religiosità. Evidentemente deve la lìrr:oltà di ampliare questo significato alla vastità del xrro primo significato etimologico che può racchiudere gni eccellenza. L' evoluzione del contenuto concettuale rlipcnde allora soltanto da ciò che ciascuna epoca inlr:nde per suprema eccellenza d.'un uomo 32. L'ampliamento, invece, d.el concetto di psiche avvione diversamente. L'idea del soffio non ha un signilir:ato cosi universale che possa accogliere a volontà urrovi significati psichici. Essa poté allargarsi e assurnere il significato di «psichico », come lo intendiamo noi, golamente quando si scopri la dipendenza di ciò che si chiamava 8o$,6q d.a yt14fi. Bisognava aver capito che la vita animale è il fondamento della vita cosciente. Non c'è quindi bisogno di spiegare perché, nella lotta tra i due vocaboli per decidere quale di essi potesse esprimere meglio l'unità della vitalità e della vita psichica, Ia parola yoyfi dovette riportare la vittoria su $updg. Il significato di Sapdq «anima e spirito» fini per essere del tutto assorbito. Il concetto di SupdE in Omero presenta bensi tentativi di elevarsi a sua volta a questo significato universale e a comprendere anche la vita animale 38, Eo nella lingua viva si è imposta la yay{1, mentre OopdE si restringe sempre piri al significato particolare di « coraggio » 3a. Ora, la perfetta unità di anima vitale e coscienza appare anche nel concetto di psiche come è presupposto dalla fede religiosa degli orfici e dei pitagorici nella cosiddetta metempsicosi che si manifesta nel secolo YI. Non si potrà fare a meno di scorgervi una delle piii importanti cause della diffusione di questo non-omerico significato della parola psiche e della sua vittoria finale. Certamente pelò non è giusto limitare questo ampio concetto di psiche a quei tardi circoli mistici o dichiararlo corpo estraneo nella vita spirituale dei greci. r.r,nlro, saggezza rr I36 LÀ. TEOLOGIA DEI PRIMI PENSATORI GRECI Certo, se contrapponiamo nettamente Omero e gli orfici quali forme tipiche della credenza nell'anima? potrebbe sembrare che non ci sia alcun ponte tta i du(ì e si tratti della tipica antitesi tra credenza popolare r, misticismo 35 o della visione filosofica di due razze antitetiche, delle quali Omero rappresenta la grecità e il dualismo orfico l'Oriente 36. Senonché abbiamo già visto come l'idea greca extra-omerica e pre-omerica di psiche, anima-soffio, recasse in sé fin dall'origine la tendenza ad allargare il proprio significato nel senso odierno di « psichico » e, fra tutti i vocaboli che la lingua omerica conosce per indicare la vita fisica e la vita spirituale, fosse il piri adatto a esprimere la trionfante intuizione dell'interiore legame, anzi dell'unità di entrambe le specie dei fenomeni vitali37. Nessuna meraviglia pertanto se la nuova dottrina della metempsicosi si allaccia a questa piri ampia espressione di ciò che è psichico, poiché è fondata evidentemente sul pensiero di questa unità tra anima vitale e coscienza. L'idea di un'anima indipendente dal corpo, migrante senza posa attraverso diverse esistenze, non era possibile nel presupposto della distinzione omerica tra un'anima vitale (rp"Xrù che nel momento della morte abbandona il corpo ma non pensa e non sente, e un'anima cosciente (8up,6E) legata interamente a organi e processi fisici. La soprawiyertza dell'anima in quanto io spirituale e morale della persona era ammissibile soltanto nel caso in cui il fondamento animale, senza il quale questo essere non era concepibile neanche per la mentalità orfica, fosse separabile dal corpo e a sua volta il più possibilmente incorporeo. Ciò aweniva con l'anima-soffio accettata dal pensiero di Anassimene e dei suoi contemporanei. Se prescindiamo dal quesito (insolubile, data la perdita quasi completa della tradizione (^r'. v: oRrGrNE DELLÀ, TpoÈrl suLLA DrvrNrrÀ. orr,r-',txru,l' I37 rlorir:n) riguardante l'origine della dottrina della melnrnpsicosi, è chiaro che Ia parte feconda e pregna di nv'vcrrirc non era l'idea mitica dell'errabonda migra,r,iorrc, bensi la spinta che doveva dare allo sviluppo rlr.l concetto di anima, quale unità di vita e spirito, r, .lt forza con la quale sentiva Ia natura particolare r, Iir rlipendenza di questa psiche, essere spirituale di l'ronte al corpo 38. Se rammentiamo che la dottrina piI tgorica in quel medesimo tempo equiparava all'aria Io rgrazio vuoto fra i corpi, vedeva dunque nell'aria l'incorporeo 3e, ci apparirà chiaro come per il pensiero arr:uico I'anima-respiro dovesse essere il substtato dello spirito in quanto essenza autonoma e incorporea. Questa emancipazione e questo arricchimento dell'idea di psiche erano preparati da diversi elementi di quel tempo. Quando Anassimene pone I'uguaglianza di psiche e aria, non vuol dire che egli Ia identifichi con qualche cosa di incorporeo nel mondo empirico. Secondo lui, l'aria è l'origine di ogni divenire e perire, la quale agisce quale causa divina dentro questo processo e al di là di esso. Questa possiede anche in origine la vita e, come abbiamo reputato di dover interpretare le parole del filosofo, la coscienza 40. Per guesto modo di vedere la morte non può essere se non il ritorno del singolo alla causa primaria, I'ingresso in nuove forme. Ciò che distingue la teoria della metempsicosi è il mantenimento dell'unità dell'io in questa vita, tanto prima che dopo. Di fronte al panteismo della filosofia troviamo qui un motivo particolarmente religioso: la durata della persona quale quantità moralespirituale responsabilc, attivamente cooperante al proprio destino, in m.ezzo all'universale divenire e perire nella natura, aI guale anche l'uomo sembrava passivamente soggetto. Dall'opposizione a questa idea panteistica e naturalistica dell'uomo l'antropologia reli- 138 LA TEOLOGIA, DEI PRIMI PENSA.TORI GRECI giosa della fede nella metempsicosi riceve una dignitìr che la solleva sopra il livello della mitologia primitiva. Non che questa idea della soprawivenza sia nata senzir preparazione. La religione tlei misteri greci, la cui origine pre-ellenica è adombrata da parecchi fatti dcl culto e dell'architettura, d.ichiarava beato colui che era partecipe della santa visione degli epopti e della superiore sapienza. Egli poteva sperare in una sorte migliore dopo la morte, come dicono i nostri autori, ma senza indicare se questa promessa fosse accompagnata dall'idea di una soprawivenza della vita personale al. Meno ancora possiamo dire se vi si pensasse a una soprawivenza dell'anima quale essere cosciente, sepalato dal corpo. Questa separazione dell'anima dal corpo era forse suggerita dall'esercizio del culto dionisiaco che doveva portare all'estasi perché in queste sue condizioni interiori il credente vedeva il dio e si fondeva con lui. Ma nemmeno qui si apprende alcunché di una particolare teoria dell'anima, per quanto il culto dionisiaco e il culto orfi.co andassero uniti. Anche questa specie di religione può dunque considelarsi, se mai, come preparazione dell'orfica fede in un'esistenza dell,anima indipendente dal corpo Nel presentare Ia vera e propria dottrina orfica dell'anima gli studiosi recenti hanno mescolato spesso fonti piri tarde e concezioni provatamente antiche con cosi poco scrupolo che non si poté fare a meno di chiedere con animo scettico se sia possibile attribuire con certezza Ia dottrina della metempsicosi a una setta orfica realmente esistente. Lasciamo dunque da parte tutt.o quanto è venuto dopo. Le testimonianze piit sicure e piÉ antiche sono i versi di Pindaro nella II Ode olimpica, dedicata al re Terone di Agrigento, nei quali parla delle sue convinzioni religiose sulla vita dopo Ia morte; c guel frammento del medesimo pocta che servi al (:Ar'- v: oRrerNE DELLA, TEoRrA. sur,r,À DrvrNrr-À onr,r,'ar'urre 139 llr,lrrl.c per interpretare Ia cted.er\za omerica intorno aIl'rrrritrra a2. Per quanto poco possa contribuire a com' il suo valore di documento di di concetto religioso dell'aldilà forma rrrrrr tleterminata rrl t,cmpo di Pindaro è inestimabile. È vero che nemrrcno qui Pindaro dice che questa è la dottrina degli orlici, ma anche se qualcuno dovesse perciò mettelne irr tlubbio I'origine orfica, rinunceremmo volentieri al irome? purché in compenso si riconosca che si tratta rlclla prima documentata comparsa d'una concezione rr:ligiosa intorno all'essenza dell'anima, Ia quale ha rvuto cons eg:uerrze storiche considerevoli e le cui linee lrrincipali compaiono nettamente in Pindaro. Nella II Ode olimpica il poeta canta la virtri virile c Ia divina grazia del potere e della ricehezza che ornano iI sovrano al guale l'od.e è inditizzata, cioè Areta c Plutos, le due doti inscindibili clell'itleale umano secondo l'antica nobiltà gleca' Accanto a questi però egli pone in terzo luogo la nuova promessa di ricompensa c castigo nell'aldi[à, secondo la pia credenza della comunità religiosa di cui con ogni probabilità faceva parte colui al quale iI poeta qui si rivolge. Può darsi che aB' Pindaro avesse appreso questa dottrina proprio da lui Il quesito se il poeta stesso fosse nel novero degli iniziati non è forrrulato giustamente; in ogni easo però quella fede nell'aldilà iliede Ie ali piri audaci alla sua fan- prr.rrrlcre guest?ultima, tasia poetica e religiosa. Secondo questa cledenza, esi§te un mondo di là del quale soltanto la morte dissuggella l'ingresso. I morti che si sono resi colpevoli in questa vita vi trovano un tribunale severo. Ai buoni èriservata una esistenza piri lieve e senza lacrime. Per loro il sole non tramonta? per loto non c'è lavoro, non c'è bisogno' I malvagi soffrono tormenti di cui nessun occhio può sopportare la vista. Ma chi ha resistito tre volte nelle due vite, di qua e di là, senza contaminare la sua 140 LA TEOLOGIA DEI PRIMI PENSATORI GRECI anima », entra nella vasta sala di Kronos che sorgc nelle isole dei beati. Là soffiano venti oceanici, ardono fiori d'oro, o in terra su alberi splendenti, o alimentati « dall'acqua. Con questi i beati si incoronano. Una descrizione altrettanto esuberante, concreta e tangibile dei dolori e delle gioie nell'aldilà si trova nel frammento di un threno pindarico perduto 44. Di « anime » che vi fanno penitenza, finché nel nono anno Persefone le fa risalire al sole di quassri, si parla in un'altra frarnmentaria serie di versia5. Da queste anime provengono augu. sti sovrani, uomini dotati di forza insolita e grandi saggi che poi gli uomini venerano come eroi. Gli orfici univano all'escatologia il postulato di una vita pura secondo dati precetti. Questo §ioE esigeva anzitutto l'astinenza dal versare sangue in qualungue forma e anche dal nutrirsi di carne animale aG e dal fare sacrifici cruenti: ciò portava a precise norme rituali dell'alimentazione. L'uomo si vede addossare la responsabilità della sorte futura della sua « anima » nell'aldilà e, sia che speri Ia salvezza soltanto dall'osservattza di un rituale esteriore o da una consacrazione etica del suo modo fi vivere, sente che il suo posto non è tutto in questo mondo. La sua « anima » è un'ospite scesa nella dimora del corpo e proveniente da una superiore sfera divina. È interamente se stessa soltanto nel sogno e nell'ora della morte quando il corpo la lascia libera a7. Ya notato che Aristotele si esprime cosi guasi letteralmente quando, nel celebre frammento di un suo dialogo precoce ancora platoneggiante, si pronuncia sull'essenza dell'animaa8. Anche lui accenna alla visione del sogno e aI presentimento del moribondo, momenti nei quali l'anima è interamente con se stessa e manifesta la sua vera natura. C'è una linea diretta dalla teoria orfica dell'anima alla filosof.a di Platone e di Aristotele e alla loro concezione della cA,p. v: oRrcrNE DTLLA TEoRrA. suLLA DrvrNrrÀ orr,r,',s'NrùrA' 141 rlivinità dell'anima o dello spirito, anche se essi hanno liberato questa idea dell'anima dai tratti materiali che l)oteya ancora avere. Il passo di Aristotele che coincide r:osi perfettamente col frammento di Pindaro si tlova in una lunga discussione sull'origine del pensiero di Dio' llasta questo pet dimostrare la grande importanza teo' Lrgica dell'idea orfica dell'anima. L'interiore esperienza tlell'anima intorno al suo legame con un mondo supe' riore è, secondo Platone e Aristotele, accanto alla vi' sione del moto regolare dei corpi celesti, cioè all'esperienza del cosmo, la principale fonte della certezza del divino La ae. scarsa conoscenza che abbiamo delle iniziazioni orflche non ci permette di aflerrare chiaramente iI nesso tra le idee dominanti circa la natura dell'anima e I'espe- rienza del divino. Ma la dottrina della divinità delI'anima è senza dubbio un cardine nella storia dell'origine del pensiero filosofico di Dio. È ..ero che questa religione non era una filosofia, ma si plesentaYa sommamente affine a un modo di pensare rivolto al mondo trascendente. Se la teologia filosofica dopo Platone e Aristotele collocò accanto alle motiva zioni r azionali dell'esistenza ili Dio la realtà dell'esperienza psichica del divino, questo pensielo fu sviluppato precisamente sul tipo religioso dei misteri e delle iniziazioni- Qui aweniva quella specie di « esperienza » religiosa che Aristotele descrive nelf importante frammento, secondo il quale chi veniva iniziato non d.oveva conoscere (p'aùeia) ma patire (naùeiu) qualche cosa e venire interiormente predisposto in un determinato modo, semple che ne avesse la capacità 50. L'esperienza del divino nelle iniziazioni è un patire dell'anima contrapposto al mero conoscere dell'intelletto che non ha bisogno di una particolare affinità col proprio oggetto 51. IJna frase come questa ci fa supporre che la divinità dell'anima, preser' 142 Là, TEOLOEIA. DEI PRIMI PENSÀ.TORI GRECI vata da ogni turbamento col conservalsi pura, offriva garanzia che l'iniziando fosse accessibile all,azione del divino. Ma non è stata la filosofia della scuola platonica a prendere in cosi grande considerazione la religione dei misteri. La fede orfica nella meternpsicosi si riscontra, come è noto, anche in Pitagora che, a quanto pare, la legava stranamente alle sue indagini matematiche. Anche la norma di vita pitagorica fa pensare al ptog della comunità orfica, benché la derivazione non arrivi ai particolari e i pitagorici abbiano pure molto del proprio. "dnche Parmenide, Eraclito ed Empedocle si mostrano al eorrente della teoria orfica intorno all'anima 52. Quando Socrate considera supremo compito della vita quello di preservare l,anima dell'uomo da ogni danno 53r ![uesta insistenza, difficilmente comprensibile per i greci piri antichi, sul valore dell'anima non si spiega senza il fatto che la religione orfica è rivolta all'interiore e senza la fede espressa dalla parola d'ordine di questo ploE: «Anch'io sono di stirpe divina ». L'appello di Socrate agli uomini perché ab- la biano cura della loro anima 5a non contiene, è vero, alcun accenno a un aldilà, e il confronto di questa cura del- l'anima con quella che l'uomo ha del suo corpo conferisce al pensiero socratico un aspetto piuttosto razionale e terreno. Storicamente è molto probabile c[e Socrate stesso non abbia sorpassato questo limite. PIatone invece ha collegato l'invito pratico-pedagogico di Socrate ad aver cura dell'anima con la dottrina orfica della provenienza divina dell'anima e ha approfondito il mònito socratico facendone una religione dell,anima in senso morale, dando a quel monito la veste religiosa della tradizione orfica. fI contenuto metafisico della valutazione socratica dell'anima si esprime in Platone nella dottrina dei due mondi; e soltanto iI mondo interiore è quello del vero essere. Questo non è orfismo cA.p. v: oRrGrNE DELLA TEonrA' suLLA' DrvrNrrÀ opr'l'lrtrrul 143 la orfi.ca fede nell'anima è la prepara' zione storica alla dottrina platonica di essa e non a rlogmatico, ma caso servi aI fiIosofo da fonte dell'elemento simbolico c mitico nella descrizione poetico'concreta della sua me' tafisica dell'anima. NOTE AL CAPITOLO QUINTO lEnwrwRorror,Psyche:Seelenkult'uniltJnstetbli,chheitsglaube tler Griechen, ?a e Ba ed., Tiìbingen 1921' z lbid., p. 2. non si può dl-I"^:oj ' 7b1;.','p. +. ln"u" se, secondo T:h{"' orrre' ner Omero tàtto finisce con Ia morte, ciò che rimane' la VUXq parola' della significato uostro nel i-"u"r-. i'r*,""i""e"i"ri -*-r-ò-""o', Iiiaile, l, i-s; il, 105; un"a divergenza è costituita d.a 23, 244. 6 Roror, op. cit., p. 4 sgg. 8 Lbid., pp. 46-47. t iirilr'.i fr.-m. 131. Cfr. Rouoo, op' .cit', p' 6' Le parole » ut bi"*o tradotte con- « immagine della vita g.""fr" iiTi"iut. "fr" eiòa)'ott. sono aìCovoe -òt'io, ""*; O;, Manen oiler Von ilen (Jt'formen iles TotenW.'d. 4 sgg' slaubens, Berlin 1923, P. - Rieordo "*5"+;'. É.'ò;;, ;; '"it'' pl? lo ha notato giustamentc' qi"ttion" del concetto omerico di anima f..ouenti àiscussioni'sull" ,;? "Éì"t.'rl collega all'università di E;;;ì "llo'u "di ;;- che uscisse il libro otro. A quel rempo ci rrol/1; di ^io iii"r.-rii_^ ;;;;';;;;"";ente d'accordo sul terreno dal quale-parti por rl nrof. Otto nella monografia alla nota precedente' Tanto a quanto pareo la tradizione orale flii;".""]# di;il;;;;;;;.entano'"ittta tJJ;; p"r "i6 chà riguaida suesto problema' ffiù;J,,iiii. ro §/. F. Orto, 1r Cfr. nota 7. oP. cit., PP. B-j0' ,, òil: ;;;;"-pio w. F. otto, op' cit', p' 17'.rl piri noto esempio vita "'i;'O;;;; t'i ttot" in ltiaàe' 22' 16l' .il'|'à del sisniflcato di «;'È;;,a;; tnnoòdv'oto' rirteo' rramm' 7' 4 Diehr iZàÌi"i'ii";;; in cui parla ne deriva iI composto $iliy'uy'ii nclìo stesso,rnodo piÉ petde yuyfi seguenti tl"liti NLi ii l,ì,'i,,,'.riòuilor. -se'rnpre nel linguaggio I""L,f".i-"fÉ1"," "n" ri*u"" ancori pr_incipaimente epica' D'altro ca,to ];';;;#;t ;;;i influenzati dalla tradizione A'u'*ugo"' adoperino -la-.p-ar ola .pu vl1 ì"'frIi""ii' "il" Efi;; ; era mantenuta wiva nel dialetto ionico aì^oJ." che si ifat, "."',, Omero' di tempo hn dal "" ;-cr..-ià-""".ruì"['A-,ernoo Odissea 11.. Ulisse yi p]9- ricono' somii"rii i morti cire ha cono.ciuti in vita dalla è rilevata """r"tl-$r{oiìi Elianza che hanno con i viventi. La stessa somiglianza ?;'ii;;d;:h,'4";s;. 4""" ra vuvil di Patroclo appare in sogno ad 744 LA TEOLOOIA DEI PRIMI PENSATORI GRECI Achille: nciuf aùtrit 1téye$dq re d1,para xal,, émuie xaì Ewiy,. stessi abiti di patroclo. .xai qtesl ( antma » porta persino gli .y. F. Orr:o, op. cir.,-p. 45. ]: Ànz"r. 15 di Otto contro Rohde che ammettela uììa sper.ie di sillogismo primitivo, secondo il quale si sarebbe dedotta lrr t'edc neìl.r csistenza dclla tpuy4 da espàrienze eome il s.rgno, Iir Cfr. la polemica morte, I'estasi ecc. 16 Enxsr Brcrar,, Homerischer Seeelenglaube: seschichtli&e Grunil_ zù_ge men-schlicher Seeelena^orsteltung (,l lelrten Geseìlschaft » I, Schiifterr dEr Kònigsberger Gefasc. Z, Èeitin 1925). Benché nòn mi sent, di seguire Bickel nelle sue considerazioni sul cadavere vivente trovo osservazioni preziose nella sua critica della teoria di Otto. 17 Cfr._specialmente Brcrnr,, op. cit., pp. 2J2,258. Cfr. anche _ Jo.lcnru Borrrun, Die Seele uni do, 'tcÈ im homerischen Epos, Leipzig-Berlin 1929, p. lt3. t8 Brcrel, op. cit- p. 259. ls W. F. Orro cerca-di dimostrare che in Omero yuyfi signifi,ca « vita » ogniqualvolta non si allude all,ombra nell'Adè. 'i!ia Senche poemi di Omero si noti una forte inclinazione vcrso il significato _nei di « vita », ci_ sono passi nei quali il vero significato rimane iicerto e, :lonos,tante ii predominio del significato di«vita», esso rappresenta indubbiamente una tappa piÉ-progredita di astrazione nàllo sviecc.J luppo della parola. 20 N.ell.'.Iliadeo ztr.iz. Similmerle 9, 409 si legge che I'anima àpreiyetu égxoq, òòduin lliade, 16, 856: ?puxù ò, éx'Qeiléaì ntapeur1 'Aòdoòe ptBilxtt. :1 Aristotele, De anima, l, 5, 410 22 b sgg. (Orfeo B ll). 22 In Omero non si trovano tracce di quéita'antica credénza, 23 Nella lirica greca, dove si esprime natriralmente in prevalenza ,.. I'io coi relat ivi sentimenli utnani. la parola guprj; che'in Ornero significa pure « anima » nel senso di coscienza acquiÉta ancora mag- gior peso di prima. 2' Aezio, [, 3, 4 (Auassimene B 2l: olot,i,prXù.... f1 ., 4petéqa uqQ oùoct ouyxoatei 4pdq, xaì 67ov ròy xdopov nutùpa xaì àfip neQL€X€1. 2s Diogene 26 2? Laeruio,9, 19 (Senofane A t). Aristotele, Phys. 4, 6,213 b 22 (Scuola'pitagorica, B 30 Diels). Vedi nota 2ì. Cfr. il risultaro parallelo jel c"apitolo precedenr'e intorno all'influsso della filosofia nàturalistica sui'problÉrni teogonici del secolo VI. 28 Cfr. nota 24. È certo che Diogene di Apollonia, il quale aveva abbracciato Ia teoria di Anassimeie. immaginava ii suà principio (l'aria) anirnato e « a conoscenza di molte èose, (nilJ"à. . f1amm, B 8). Similmente I'autore dello scritto ippocratico "iò6q,, "t li,torro al morbo socro (cap. l9). Brcrr;r,, op. cit., 260 sgg. ]f 30 !!r. Cfr. Iliade, ll, 334; Odissei,-2l, lS4, 171. 31 Intorno al concetto di yuyfi in.Anassimene cfr. nota 24. Ho seguito questo svilupfb' del concetto di areté neila mia _ '-' Paideia entro la storia dello spiiito greco; per l,etirnologia e il significato del vocabolo cfr. I, ir. it., p. 3g É nota 10. NOTE AL 145 C.ÀP. V 83 Per es. Il. 13, 671l. 6xa 6è $up.òq, d\1,ù' dnò peLéau tyupfi), Od. L7" 221; 15, 354. ($vpéq: u Per la storia dello sviluppo del concetto greco di tpa4f cfr. .lorrn BunNnr, The Socratic Doctrine of thc SouI' in « Proceedings of thc British Academy», 1915-16, p. 235 sgg. s5 Cfr. W. F. Otto, op. cit., p. I intorno alle due principali lìrrme dell'idea dell'anima, l'omerica che egli identifica con l'antica r:rcdenza popolare e la mistica. 36 Questa è l'opinione di Otro Kunx, Religion der Griechen, II (llerlin 37 38 1935), p. 147. Cfr. sopra, p. 135. Nel pensiero omerico non c'era ancora questa antitesi tra corpo e anima che si trova cosi spesso piti tardi. Quando Omero contrappone la Euyfi al corpo, il corpo o iI cadavere è detto generalmente « I'uomo stesso » (aù6q); cfr. nota 4 dove ho registrato una eccezione a questa regola. 3s Cfr. F. M. Conwrono. The Inuention of Space, ir Essays in Honour of Gilbert Murray, London 1936, p. 223. Cfu. anche J. Bun- Nnr, Early Greek Philosophyn, pp. 109, 186, L94, 229. a0 Cfr. sopra, p. 13I e note 24, sgg. 41 C. A. Lonrcro Aglaophamus, I, p. 69 sgg. a2 Pindaro, Ol. II 63 sgg. e framm. 129-33. a3 Cfr. Wrrelrowt'tz, Pin(lar, Berlin 1922. pp. 248-52. Wilarnowitz osserva giustamente che Pindaro non doveva essere nece§sariamente iniziato per poter descrivere, come fa, l'escatologia orfica, A quanto pare, però, Wilamowitz trascura I'impressione che questa credenza deve aver fatta sul poeta se poté ispirargli questi versi. {a Pindaro, framm. 129-30. 45 a0 lbid., framm. 133. A proposito della rinuncia al cibo animale quale tratto caratteristico d,el Pioq orfico cfr. i passi riportati piÉ sopra, cap. IV, nota 11 a p. 116. a7 Cfr. Pindaro, framm. l3l. a8 Aristotele, framm. 10 Rose. Intorno a questo frammento cfr. il rnio Aristotele, tr. it., p. 213 sg. 4e Per una interessarÌte applicazione prognostica di questo orfico concetto dell'anima nella medicina greca (IIepì òrzhqe, libro 4) cfr. la mia Paideia, tr. it., III, p. 66 sg, Aristotele, framm. l5 Rose. Cfr. il mio Aristotele, tr. it., p. 212. La parola greca che Aristotele (framm. 15) usa per questa interiore « disposiziore » dell'anima (« disposizione » ne è la traduzione letterale) è òtareBilaat. /ri$eoq, che in origine era una espressione professionale dei medici, fu applicata all'anima da Platone e Aristotele. Oltre alla prova razionale dell'esistenza di Dio 50 51 Aristotele conosce una seconda via, piuttosto sentimentale, per arrivare alla certezza intorno alle cose divine (cfr. iL rnio Aristotele, tr. it., p. 213 sgg.). In De cael.2, 1,284 b 3 egli chiama questo sentimento o questa intuizione dell'anima, in scnso figurato. pauteia nepì rò» $eòu. 52 Cfr. i capp. VI-VIII di questo libro. Persino Democrito nel libro Zegi eò$u pi't 1c, che nella forma sciolta delle &no$ijxu conteneva 10. - W. JAEGER, La, teologid ilei prirni pensatori grecì,, 146 LÀ, TEOLOGIA DEI PRI1UI PENSATORI GRECI un manuale della sua etica, pare abbia chiamato divini lo spiriro (uotg) e l'anima (rp"y"fi, sia pure in senso metaforico. Cfr. B 37 t: B 112, posto che le « sentenze di Democrate » siano veramento sue. Cfi. H. LlNernuocK, AOEI» EUIPY»MIH, Studien zu Demolerits Ethih unil Erleenntnislehre, irt' t< Neue Philol. I]nters. » ed. Jaeger, vol. X, Berlin 1935' Cfr. anche il framm. B 18. 5a hitorno alla preoccupazione di Socrate per I'anima cfr. la loriia Paiileia, tr. it., II, p. 73 sgg. 5a Cfr. Orfeo B 19. CEprror,o Spsro IL MISTERO DELL'ESSERE SECONDO PARMENIDE La critica esercitata da Scnofane sulla religione popolare e Ia rinascita della speculazione teogonica ci hanno mostrato la profonda efficacia della filosofia ionica della natura sul movimento religioso nei larghi circoli del secolo YI. Con Parmenide di Elea ritorniamo alla filosofia in senso stretto. Tutto il pensiero filosofico era rivolto flnora al mondo fisico. Esso partiva dal problema del perenne fondamento del divenire e d.el perire, dal problema dell'origin" (àpXil. Con la teoria parmenidea dell'essere (Ìiu) viene in luce un nuovo originale aspetto del pensiero. Karl Reinhardt, il benemerito rinnovatore della nostra comprensione di Parmenide, si è occupato brevemente, nelle ultime pagine del suo libro, anche del problema del rapporto tra conoscenza filosofica e sentimento religioso nella filosofia di Parmenide. Egli definisce quest'ultimo « un pensatore che non ha altro desiderio fuori della conoscerr.za) non sente alcun freno tranne la logica, rimane indiflerente davanti a Dio e al sentimento » 1. fl creatore della metafisica dell'essere che pif tardi con Platone e Aristotele diventa « uno strumento per attuate nell'uomo la brama di essere immortale e di accogliere il divino » 2, esulerebbe, se la presentazione di Reinhardt fosse esatta, dal quadro entto iI quale consideriamo qui i pensatori greci. La sua filosofia diventerebbe addi- 148 LA TEOLOCIÀ DII PRIMI PENS,A.TORI GRECI specie di simbolo del primordiale istinto umano della conoscenza pura che, « privo di ogni riguardo religioso e morale, segue la via tracciata, nello spirito della pif spietata analisi». Rappresentanti di questo spirito sono? secondo Reinhardt, oltre a Parmenide soprattutto Anassagora, Empedocle e Democrito, mentre con Pitagora ed Eraclito l'interpretazionc religiosa del mondo è in modo singolare pervasa dal desiderio di conoscenza. La nostra epoca, in quanto studia la storia delkr religioni, ha certamente il malvezzo di fare dell'elemento religioso l'unica radice di tutte le forme particolari dello spirito umano, anche del profondamentc radicato desiderio di conoscenza alla quale, come dice Aristotele, tutti gli uomini aspirano per natura. Nulla potrebbe svisare i motivi interiori dei pensatori eroici che incontriamo sulla soglia d.ella filosofia greca quanto la smania di farne una schiera di predicatori o scolastici, intenti a dimostrare con rnezzi razionali ciò che per il loro sentire originario è fede. Le figure degli dei greci venerate nel culto non furono mai oggetto di un credo dogmatico universale. Il loro essere e il loro significato erano soggetti alla vicenda storica, e la continuazione della vita e dell'esperienza umana rivelò di grado in grado nuove possibilità di sentire la presenza del divino nella realtà. Ma appunto perciò dobbiamo guardarci dal contrapporre il concetto di una pura conoscetrza a questa sfera religiosa come qualcosa di ermeticamente chiuso e isolato, all'incirca come talvolta la scienza moderna ha segnato i propri limiti rispetto aIIa fede cristiana. I greci non avevano ancora la coscienza delf indipendenza di questi settori « autonomi » dello spirito. Una delle fonti piri importanti tra quelle dell'esperienza ùm.ataa che hanno collaborato a trasformare I'ereditata idea mitica del divino è la co- rittura una c^t,. vr: rL Mrsrtno nrr,loossEnu sEcoNDo pÀ.RMENTDE t49 della realtà; e come da principio l'inrlagine religiosa alimentò il bisogno di sapere, cosi vicoversa anche la speculazione filosofica dei greci, riv,rlta sempre alla totalità dell'esistenza, svolse una lìrnzione religiosa e produsse una forma particolare di rr:ligione. Nella sua struttura spirituale corrispondeva rul mutato rapporto di forze tra la ragionc e il sentirnento nell'uomo nuovo della filosofia. Pensiamo di over mostrato che non è possibile seguire Reinhardt (il quale a sua volta sembra tentennante in questo caso) e inserire Anassimandro e Anassimene nella schiera degli uomini miranti al puro conoscere? e isolare invece Senofane quale teologo radicale separandolo da tutti gli altri pensatori, anche se la manifestazione del suo sentimento religioso palesi differenze tra lui e loro. Il pensiero razionale mostra ai filosofi una nuova immagine del mondo che soddisfa profondamente anche il loro sentimento religioso. Senofane conserva proprio questa forza religiosa della fiIosofia naturale, tanto piri che egli non è in origine uno studioso del mondo noHcenza razionale fisico. Il problema si presenta uguale anche rispetto a Parmenide. Il quesito non è: la sua ricerca del puro essere ha per lui una mèta religiosa, poniamo la dimostrazione dell'esistenza di Dio nel senso tradizionale o magari cristiano? bensi: la speculazione intorno al vero essere ha per il suo autore un'importanza che in qualche rnodo possa qualificarsi religiosa, benché egli stesso non dia a questo essere il nome di Dio ? Fintanto che era ancora dominante la vecchia concezione dei rapporti tra Senofane e Parmenide, secondo la quale Seil padre della scuola eleatica e il suo Dio unico era la preparazione teologica dell'essere puramente logico di Parmenide, il quesito intorno al contenuto religioso della dottrina di Parmenide ilifficilnofane era 150 L,A. TEOLOGI,A, DEI PRIMI PENS},TORI ERECI CAP. mente poteva trovare una risposta positiva. Infatti rrr.l suo concetto dell'essere era difficile scorgere piÉ chc il consapevole tentativo fi togliere il guscio teologico rrrl estrarre il contenuto ontologico della speculazione urritaria del suo maestro 3. Se però il pensiero di Parmr,- nide è un fatto del tutto originale, molto diverso rrr.l suo significato dall'idea mistica del dirrino IJno nellir natura, come la insegna Senofane, bisogna riproporre il quesito sul suo contenuto religioso. Non lo si può giudicare dal confronto con Senofane, ma soltanto dallr sue stesse parole. Parmenide espose la sua dottrina in forma di poema. Se è giusta la nostra affermazione che Senofane non ha mai scritto un poema didattico sulla natura? ma prc- sentò la sua critica degli dei antichi e della tradizionale visione del mondo nei suoi epigrammi o silli a, la seelta del poerna didattico quale forma letteraria piri adatta alla fllosofia d.i Parmeuide fu un ardimento molto significativo. Si vede che egli respinge in piena coscienza la nuova forma dello scritto in prosa, introdotta da Anassimandro. Si potrebbe pensare che questo ionio nell'ambiente dell'Italia meridionale, che in parte era di stirpe dorica e parlava dorico, non sapesse scrivere bene l'ionico moderno ma per farsi intendere da tutti dovesse ricorrere alla lingua panellenica di Omero e pertanto aI verso. Ma per lui, evidentemente, non si trattava soltanto di farsi intendere meglio e di scegliere il dialetto piri noto, tant'è vero che il suo poema didascalico non si rifà direttamente a Omero, bensi alla Teogonia di Esiodo. Questa era I'opera che per la prima volta aveva posto la poesia epica al servizio di chi volesse conoscere e presentare il mondo degli dei. È v""o che dopo di allora il pensiero filosofico degli ioni aveva sostituito agli clei di Esiodo il « divino » nel senso della causa primaria d.i Anassimandro? ma per ll vI: IL MISTERo DELI,,ESSERE SECoNDo PARMENIDE I51 fatta da Parmedella forma poetica adottata dal venerando teologo predecessore, non contiene forse la confessione di unt gara con lui, per quanto nel rimanente il pensiero ri;4oroso e concettuale del filosofo di Elea sia in conI ruBto con la fantasiosa mitopea di Esiodo ? Un pirÉ tl.l.cnto confronto insegna con piena cettezza che doblriamo pensare soltanto alla Teogonio di Esiodo? non giù al suo poema sulle fatiche dell'agricoltore, per trovare il modello di Parmenide. Il parallelismo tra lui e la Teogonia di Esiodo apl)are con particolare chiarezza nella seconda parte del l»oema parmenideo. Qui troviamo non solo l'Eros cosmogonico di Esiodo ma con esso, sempre che si possa fidarsi della fonte filosofica di Cicerone nel primo libro del De natura d.eorum, numerose divinità allegoriche come Ia Guerra, Ia Lite, il Desiderio ecc., la cui provenienza d,alla Teogonia di Esiodo non può essere contestata 5. Ma che cosa indusse Parmenide a relegare queste divinità esiodee nella seconda parte della sua opera che studia il mondo della mèra appalenza, e a contrapporvi ciò che egli chiama verità: il suo concetto dell'essere pcnsiero agonale dei greci Ia scelta, rrirl,r,, eterno ? La Teogonia si era dichiarata nel proemio una rivelazione di esseri divini. Con intenzione aveva fatto della breve invocazione delle Muse, ormai convenzionale all'inizio dell'epopea, I'avvincente ed esauriente racconto della personale avventura del pastore Esiodo di Ascra, quando nel suo paese ai piedi dell'Elicona, il monte sacro alle dee, queste gli apparvero presso iI suo gregge e gli diedero l'ispirazione 6 che nessun altro poeta prima di lui aveva ricevuto: I'ispirazione veramente profetica di rivelare gli dei eterni e la loro origine. Dev'essere stato questo punto? a suggerire a Parmenide di presentarsi come successore e superatore di Esiodo. Anche t52 cÀr,. LA TEOLOGI/" DEI PRIMI PENSATORI GRECI vr: rL MrsrERo opl,l,'psspnr sEcoNDo PÀ,RMENTDE 153 rèt!'uttivo della dea, il quale conduce dovunque incoIrrrr. l'uomo che sa. Per questo cammino tirai innanzi. Srr rli csso infatti mi portavano i saggi destrieri che lirrrvano il cocchio, e le fanciulle avevano la guida. l,'rrssc incandescente dei rlrozzi mand.ava un suono si' lrillnte (poiché ai due lati era mosso da due cerchi trrrbinosi) quando le figlie del sole, abbandonata la crrga della Notte e huttato indietro il velo dal capo, rrcr:clerarono Ia corsa. Li si apre la porta dove si scinrkrno i sentieri della Notte e del Giorno, incorniciata rltll'architrave e dalla soglia di pietra. La porta stessa r:hc è fatta di etere, è chiusa da grandi battenti. La chiave che gira di qua e di là è conservata da Dike la quale perseguita ogni delitto. Le fanciulle la tranrluillarono con lusinghiere parole e la convinsero saggiamente a tirare dalla porta il paletto. Questa si spalancò e apri le fauci dei battenti dopo aver fatto girare sui cardini i battenti rivestiti di bronzo e incastrati con perni e cavicchi. Direttamente attraverso la porta le fanciulle guidarono nei solchi e cocchio e cavalli. E la dea mi diede benigna il benvenuto. Mi prese la destra e cosi mi parlò: o' O giovane che? compagno di viaggio di immortali conducenti, sei giunto con la pariglia che ti porta alla nostra dimora, ti saluto; non una moira malvagia ti guidò per questo cammino, che in verità è lontano dal sentiero degli uomini, bensi Temi e Dike. Perciò apprenderai ogni cosa: tanto il cuore incrollabile della rotonda verità quanto I'opi' nione dei mortali di cui non c'è da fidarsi " ». fn questa descrizione la pittura concleta dei parti' colari: delle dee, della pariglia, del viaggio e delfingresso aI mondo superiore, è dovuta all'espressione poetica. Il linguaggio con la sua robusta concisione è ben lontano da quella pallida allegoria che la nostra estetica scolastica è disposta ad attribuire al poeta filo- lui infatti nella scena dell'ascensione al cielo, dcscriurr nel suo grandioso proemio, introduce il poema sull'r,ssere etelno come diretta e unica rivelazione divina x. Molte volte si è trascurato con leggerezza questo pr()(.mio come forma insignificante per il pensatore astrailr). come pura concessione allo stile del poema didascalic,,. su per giÉ come per secoli si era trascurata e consirl.rata pura esteriorità la forma dialogica di Platone. frr tempi recenti i filologi hanno giustamente fatto notar(ì questa forma di introd.uzione e indicato la sua importanza pel la comprensione del contenuto filosofico. In questo caso non si può dawero parlare di stile convenzionale, perché tutto è vissuto personalissimamente, como dimostra la voluta deviazione dal modello di Esiodo. Quanto è diverso, per esempio, il proemio del poema filosofico di Empedocle al quale piuttosto si attaglierebbe questa osservazione ! Il parallelo di Parmenide con Esiodo va ancora piri in là: il suo poema vuol annunciare la verità, aletheia, che egli ha appreso dalle labbra della dea stessa; la riporta infatti in discorso diretto e. È un esatto riscontro alle Muse che rivelano la verità a Esiodo 10. Questi f'u il primo nella tradizione della letteratura greca a conferire alla parola « verità » questo denso significato frlosofico 11 che Parmenide accoglie a sua volta e inalza a un nuovo livello dello sviluppo semantico. Egli annuncia la « verità » sull'essere eterno e senza inizio quale contrapposto all'apparenza e ad ogni fallace « opinione dei mortali » 12. Basta questa netta contrapposizione per dichiararla divina, come Parmenide conferma espressamente con l'invenzione poetica della dea che a lui, unico favorito fra i mortali, rivela questo messaggio. Ascoltiamo le sue parole 13: « La pariglia che mi porta mi trasse avanti fin dove la mia mente desiderava di ayartzate) dopo avermi portato sul cammino ,* t54 LA. TEOLOGIA DEI PRIMI PENSÀ,TORI GRECI sofo. D'altro canto dobbiamo dire che proprio il trrrsparente doppio senso giustifica queste immagini all'inizio di un poema filosofico. La pariglia non va certamente interpretata in senso platonico quale veicolo dell'anima umana, come fa Sesto Empirico, il qualc ci ha conservato per intero questo inestimabile brano dell'opera perduta14. È d"tto infatti abbastanza chiaramente che il cocchio, il guale porta iI poeta alla mèta, è guidato da esseri supetiori senza il suo intervento. La via che prende è « il cammino lontano dal sentiero d.egli uomini ». Nessuno spirito mortale lo può trovare. SoItanto le figlie di Helios, quando si scoprono il capo ehe tengono sempre avviluppato in questo nostro mondo notturno? possono indicargli il cammino. Soltanto la loro intercessione, non la sua propria forua gli può procurare l'ingresso nel regno della luce dove esse dimorano. La dea sovrana di guesto regno, Ia quale lo saluta, dichiara esptessamente che il suo ingresso in questo mondo è una grazia sovrumana? e ciò che egli ne riferisce non è già quanto egli stesso vi ha visto, bensi, parola per parola, la ripetizione fi una rivelazione che egli riceve religiosamente dalle labbra di lei. II possesso di guesta rivelazione lo inalza al di sopra di tutti gli uomini, ma lo obbliga anche a diffondere con zelo la verità divina e a combattere decisamente la «illusione dei mortali ». Di fronte a questo preludio sovrumano nessuno potrà pensare che il filosofo abbia voluto soltanto mettersi in mostra per far colpo. La visione di questo fatto misterioso nel regno della luce è un?autentica esperienza religiosa: l'esperienza dei deboli occhi umani che si volgono alla verità nascosta? di modo che tutta la vita ne viene trasformata. Questa specie di esperienza non ela contenuta nella religione del culto statale, ma il modello va cercato nella religiosità d.elle iniziazioni e (:AI'. VI: II, MISTERO DELL'ESSERE SECOI§DO PARMENIDE I55 rlr.i rnisteri. Parmenide li conobbe probabilmente nelI'lt.rlia meridionale dove a suo tempo erano molto in nuf.(o 16. Secondo I'odierno uso linguistico, si potrebbero rrrrr:lrc chiamare «orfici», data la tendenza a credere r.hr: questa chiave apra tutte le porte chiuse 16. Ma per i rrostri fini il nome conta poco. Tanto piri evidente è il particolare tipo religioso su1 quale è modellata la rlr:scrizione di Parmenide, coi particolari fissi quali: l'individuale esperienza interiore del divino, 1o zelo rcsponsabile di annunciare la verità rivelata personalrnente al credente e I''aspirazione a motivare una convinzione comune con altri che ad essa vengono convertiti. fn origine la « scuola filosofica » non è altro che la forma secolarizzata di questa comunità religiosa. Quando Parmenide lamenta che i mortali si aggirano sul cammino dell'errore o quando parla della loro « mente errabonda » 17, par di sentire l'eco di un?esortazione religiosa. Anche iI Prometeo eschileo trae da questa atmosfera alcune note del grande discorso nel quale si vanta eùqetrjg delle réyuar, umane. Il genere d.el discorso degli antichi profeti greci è andato perduto, ma ancora riusciamo a identificarne lo stile nelle opere che ne hanno subito I'influsso. « Hanno orecchie e non od.ono, hanno occhi e non vedono » 18. Vero è che per Parmenide orecchie e occhi sono i seduttori dell'uomo le; perciò egli può parlare soltanto sulle generali del loro errare per vie sbagliate. Naturalmente non è da pensare che Parmenide con la sua filosofia abbia voluto sostenere la causa di qualche setta religiosa o abbia soltanto derivato tratto per tratto la descrizione della sua awentura dal prototipo di una tale setta. Se anche questo modello aiutò il filosofo a concretare l'espressione del suo proprio atteggiamento spirituale, esso rimane in ogni caso un atto originale di creazione del pensiero. È molto piÉ 156 LÀ. TEOLOGIA. DEI PRIMI PENSATORI GRECI di una metafora: è la trasposizione dell'espressione r(.ligiosa nel campo filosofico per cui si viene a formarr, veramente un nuovo mondo spirituale. Proprio la fucoltà non solo di motivare teoremi o stabilire fatti, mir di costruire un intero mondo spirituale e di dargli una forma, distingue la f.losofia dei greci nei suoi massimi rappresentanti dalle cosiddette scienze particolari chc allora incominciavano a nascere, sia a fianco della filosofi.a, sia dal suo seno. Il fenomeno che lo spirito filosofrco crea un proprio ltosmos e un proprio 6ios mcdiante concetti e forme desunte dalla vita della comunità religiosa o statale e tradotte in concetti e formc specificamente filosofici, attraversa tutta la storia del pensiero greco e richiama continuamente la nostra attenzione. Mentre una volta si pensava che queste cose fossero prive d'imp ortarrza per il contenuto filosofico, dal nostro punto di vista, che per principio non segue piri soltanto la storia d.ei dogmi, devono acquistare un piÉ grande valore. Nella vita spirituale dei greci il filosofo che crea simboli non è meno importante di quello che dimostra teoremi. Soltanto nel linguaggio dei simboli lo spirito dei teoremi acquista talvolta il suo tono particolare. Un elemento fondamentale della posizione di Parmenide è il fatto che egli non si nasconde omericamente dietro all'argomento come i filosofi ionici, ma? come Esiodo, annuncia in proprio nome una speciale rivelazione. ll proemio esprime la dignità religiosa di questo suo insegnamento e della sua unica e dominante esperienza: l'arrivo alla conoscenza del vero essere. Il cammino sul quale lo guidano le figlie del SoIe non passa, eome dice il testo dei nostri cod.ici, impugnato giustamente dalla critica, « attraverso tutte le città » 20, come se Parmenide fosse un altro Ulisse che per infi.nita smania di sapere visita Ie città e i paesi degli uomini (:^p- vr: rL MrsrERo nELL'EssÉRg stcoNDo paRMENTDE 157 prrrumente per conoscerli 21; è la via della salvezza int rr»vabile su questa terra, come era indicata dalla reli- gionc dei misteri. In questo ambiente religioso il conccl.to, in sé innocuo, del « cammino » aveva ricevuto l,r'r la prima volta quel denso significato che ha sempre rrrl linguaggio di Parmenide: il senso dell'unico camrrrino giusto e salutare che porta alla conoscenzazz. Tn rcguito la lingua filosofica coniò la parola simile péùoòoE r:lre pure indica il cammino verso una mèta, ma quanto r) vuoto, quanto puramente « metodico » il significato rli questa metafora in confronto al cammino di Parrnenide che (se guesto tentativo di ricostruzione coglie il senso originario) « guida dovunque incolume l'uomo che sa»!23 Soltanto la via della salvezza gaid,al'uomo « incolume », e anch'essa guida cosi soltanto « l'uomo che sa ». fn questa defi.nizione troviamo, per la prima volta nella lingua fiIosofica greca, la personalità del filosofo come tale, come possessore della conoscenza: non perché egli voglia gloriarsene, ma per presentarla quale dono di una potenza divina e dirsene con orgogliosa modestia semplice strumento. Questo è il significato del concetto di « uomo che sa » 241 è un uomo che ha avuto in dono un sapere di superiore provenienza, come nelle iniziazioni religiose si distingueva il sapiente o mistico dal non-iniziato. f versi coi quali incomincia la parte centrale del poema di Parmenide si sono conservati nei frammenti 2 e 3 (4 e 5 nelle precedenti edizioni della raccolta di Diels). « Suwia, voglio annunciare (e tu porgi ascolto alla mia parola) quali uniche vie delf indagine si possono pensare. Una via dice: è e non può non essere. Questa è la via della persuasione, poiché segue la verità. L'altra via invece dice: non è, e questo non essere è necessario. Questo sentiero è, te lo annuncio, del tutto inesplorabile. Infatti ciò che non è tu non puoi né co- 158 LA, TEOLOGIA. DEI PRIMI PENSATORI GRECI noscere (è impraticabile) né pronunciare; lo stesso irrfatti è pensare ed essere ». La « verità » annunciata ncl primo proemio, dalla quale qui per la prima volta si solleva il velo, sorprende, per la sua imponente e quasi fredda semplicità, I'ascoltatore preparato alla piÉ ebbrl visione dalla grandiosa promessa divina. Anche questo fatto, anzi proprio questo ricorda la reale esperienz:r del mistico, la cui mente deve liberarsi dal conturbante contatto con le cose terrene per poter accoglierc le cose sacre che L'iniziazione gli deve rivelare. Appunto nella loro semplicità hanno il potere di esprimere una suprema sapienza. I fondatori d.ei misteri sapevano benissimo che il piri profondo segreto si trova sempre in ciò che è apparentemente palese 25. Le due vie, la giusta e la sbagliata, hanno molta parte nel simbolismo religioso del piri tardo pitagorismo. Esse simboleggiano la scelta, davanti alla quale ogni uomo si trova con la sua responsabilità, la scelta tra una vita moralmente buona e una vita cattiva 26. In questo senso vediamo sui monumenti funebri di un'epoca posteriore la sacra Y a due bracci, segno di apparteroero,za alla setta e della giusta decisione che al defunto assicura le gioie perpetue nell'aldilà 27. Purtroppo non sappiamo fin dove risalga il pensiero delle due vie. Doveva essere familiare a un periodo precoce: lo dimo-, strano gli Erga di Esiodo con la loro dottrina dello stretto sentiero dell'Areté e del largo stradone dell'Inettitudine 28. Non è fuori di luogo suppore che anche la fede nell'aldilà, professata dalla setta religiosa e descritta da Pindaro, abbia accolto l'immagine della via, dato ehe questa religione si fondava proprio sull'idea di un'incessante migrazione dell'anima. E forse non è un caso se Pindaro stesso? nel passo citato, parla di una « via di Zeus » che dopo la morte le anime percorrerebbero? se l?uomo è vissuto giustarnente ed entra cl.p. vr: rL lrrsrERo prr,l'psgpnr sECoNDo PÀ,RMENTDE 159 rrr,l regno della beatitudine 2e. È chiaro però che l'im' rrrngine della via e della scelta cosciente era applicata vita di qua, quando si consid.eri l'influsso olrr: secondo Ia religione il contegno di qua aveva sulla nrrche alla rrorte nell'aldilà 30. L'immagine delle due vie professata rlrr Parmenide dipende, come le simili idee del suo proe' rnio, da una trasposizione del simbolismo religioso agli utti spirituali della filosofia. Mentre qui allude nettamente a due vie, quella del' l'essere e quella del non essere? in un altro passo questa immagine si allarga. A quanto pare egli vi introduce una telza via per la quale chi non sa etra alla cieca: è la via che ad. un tempo reputa reale l'esistenza dell'essere e quella del non essere 31. Si capisce che le due vie cosi chiaramente distinte non si possono unire. Ma quelli che vanno brancolando, quelli con due teste, muti e ciechi, credono di poterlo fare in quanto consi' derano la stessa cosa prima come esistente, poi come non esistente, e pensano di poter seguire in tutto ciò che esiste prima I'una delle vie e di poter poi tornate indietro e seguire l'altra. La tetza via d.unque non è una strada a sé accanto alle due altre, a quella esplorabile e a quella inesplorabile, ma consiste soltanto nella (illecita) combinazione delle due vie che in verità si escludono. Questa loro impossibile unione è quanto Parmenide aspramente combatte, perché f illusione degli uomini considera possibile e cerca questa unione, men' tre nessuno dovrebbe facilmente imboccare la via del non essere. Questa è l'unica ragione per cui Parmenide parla di un.a tetza via: e qui dobbiamo rammentare che la relativa parola greca (ddd6) da Omero in poi non indica soltanto il sentiero tracciato o la strada, ma anche il percorso verso una mèta. Soltanto in questo significato si può parlare di una terza « via » nel caso che uno percorra prima l'una, poi l'altra via. o 160 LA TEOLOGIÀ. DEI PRIMI PENS.A.TORI ERECT Qual è il significato della netta alternativa tra csall'inizio e srrllrr quale fonda tutta la sua dottrina ? E a chi si riferisr,r' la polemica dell'uomo che sa 32 contro le «teste doppir: ,,. i «non sapienti » (eìòheg oòòéa)33 i quali non intendorro iI potere escludente di questa alternativa e credon,, perciò di poter percorrete entrambe le vie nello stesso tempo ? Incominciamo dalla lisposta alla seconda domanda, al guesito intorno allo sfondo storico della filosofia di Parmenide. Prima si intendeva di solito per « teste doppie » un determinato pensatore, poiché l'idea che la stessa cosa è e nello stesso tempo non è e che in tutto ciò che è si può sempre percorrere la via di andata e ritorno pareva attagliarsi esattamente a Eraclito e alla sua dottrina dell'unità dei contrari 3a. fo non posso che condividere i dubbi formulati recentemente contro questa interpretazione 35. Questa invettiva da profeta contro le erranti teste doppie, contto i perennemente muti e ciechi, non può essere diretta contro una sola testa intelligente che abbia raccolto intorno a sé alcuni proseliti esaltati, ma colpisce tutti i mortali. Di questi ha fatto parte anche Parmenide fi.no aI momento in cui la dea gli rivela la vera situaziolce. Chi dice queste parole infatti è lei, non Parmenide, Naturalmente finora l'umanità non ha espresso la propria ingenua coscienza della realtà nella forma precisa che essere e non essere siano la stessa cosa. Ma è stato Parmenide a riassumere in questa formula paradossale I'assurdità della visione del mondo che costringe tutti gli uomini, la folla ignorante e i filosofi naturalisti, nei ceppi del medesimo errore. Che il bersaglio dell'attacco sia questa ingenua visione del mondo è provato anzitutto dal lungo frammento sull'essere (B B Diets) nel quale Parmenide si accinge all'impresa di definire alcuni attributi di ciò che veramente è. Dal sere e non essere che Parmenide espone (ìAI" VI: IL MISTERO OrIT,ESSPNT SECONDO PÀ.RMENIDE 161 r,rrrlr:tto dell'essere egli desume come qualità costiIrrlivc il non essere divenuto e l'essere imperituro e rl, r.sclude interamente la pluralità e il moto. Queste rrllirrrr: però sono le qualità fondamentali di ciò che la liloxolìa ionica della natura, in accordo con la coscienza nrl{(ìnua, plesuppone quale realtà. La ( natura » della ,;rrrrft: parlano gli ionici presenta il quadro d'un inlr.xsante divenire e perire; una medesima cosa esiste r, poi non esistc piri. L'idea fondamentale di Parmerrirlt: è che l'eternamente uno, che la filosofia naturale ('crcava di afferrare nel divenire e nel perire come origine ineessantemente mossa di tutte le cose, non xoddisfa il rigoroso concetto clell'essere. Cosi si spiega anche la strana indicazione di « ente » (&) che fin da1 primo verso forma il vero oggetto del rliscorso di Parmenide. Evidentemente egli è stato il primo a coniare questa espressione, Ia quale però non i: caduta dal cielo senza preparazione, ma risale al linguaggio e alla mentalità dei filosofi ionici. Essi chiamavano senza dubbio il mondo delle cose che nascono dalla causa prima e vi si dissolvono, rà. dara, vale a dire ciò che è. La loro innovazione era stata questa: di non partire, come il pensiero mitico del passato, da tradizioni e finzioni incontrollate, ma da ciò che l'uomo trova nella propria esperienza, e di cercar di spiegarlo con se stesso. Ora, Parmenide prende sul serio la pretesa degli dyta a un essere reale e scopre che questa pretesa non si addice a ciò che fi.nora gli uomini hanno chiamato cosi 36. Il vero essere non può aver parte nel non essere. Non può essere neanche molteplice ma soltanto uno? poiché il molteplice è soggetto alla vicenda e aI moto, questi però sono in contradtlizione con Ia natura dell'essere che è stasi e riposo. Dunque non esistono dyta al plurale, ma esiste soltanto ut dy37. Questo risultato non concorcla, è vero, con la testimonianza 11. - W, JaEeER, La teologia dei p?i'n1,ì pensato4 ,recì,, t62 LA. TEOLOGII, DEI PRIMI PENSATORI GRECI dei sensi, ma allora vrrol dire che questi rono fal.l:r,'i e devono sottomettersi aI rigoroso esame dell'intellrlt,, 38. Se esso riconosce soltanto un unico ente, n()u Q"dyoq) vuol dire che questo sia soltanto oggetto del pensir,r,, nel senso delf idealismo moderno. Non è possibile r:h,' questo sia il significato della f'amosa equazione di pr:rrsare ed essere 3e. La punta di questa tesi è volta conlr() la possibilità di conoscere il non ente. Per Parrmenirl,' t)oeiy rto$ ha ancora il significato che ha per Platorrr'. il quale lo contrappone nettamente alla percezione d.r'i sensi. Da Omero in poi aoeia signifr.ca sempre la percr,zione di un oggetto e l'identificazione cli esso per ciò che è a0. Anche l'oggetto d.el uoeia, del quale parla Par« l'ente », è preso dall'esperienza u-rnarta e dato con essa. Parmenide non dubita perciò della sua esiste:nza, come d'altro canto il yoeh, diventa se stesso solo in quanto conosce il reale. Ciò che l'intelletto ()"6yoq) vi aggiunge è la essenziale considerazione che questo ente non può essere come i sensi ce lo mostrano: un molteplice e mosso. La logica, alla quale Parmenide era portato dalla sua intelligenza, doveva spingerlo alla critica della conoscenza umana. Già il fatto di aver esposto Ia sua teoria nella forma figurata delle due « vie » a1 dimostra quanto egli fosse dominato dal motivo della conoscenza. Lo conferma anche la distinzione delle due parti della sua opera in « verità » e « apparertza t» 42l. essa considera Ia metafisica della prima parte e la fisica della seconda con un criterio espressamente noetico 43. La necessità che il pensiero di Parmenide, presentandosi con stupefacente sicurezza di s6, fa valere con tanto vigore è la necessità logica insita nel eoncetto dell'essele 44. Egli però non conosce ancora il concetto quale veicolo della logica forrnale, ma è convinto di aflerrare veramente col suo ragionamento logico l'essere stesso. menide, (i^1,. vr: rL MrsTERo »pr,r,'n§sonp socol§Do PA.RMENTDE 163 f,l lrcnsi un essere diverso dalle cose, della cui esistenza prrrltno i fisici, ma è significativo che egli ponga questo r,r{H(ìrc come vero di ftonte a quello dclla fisica. Pur supr,rlrrdola rimane dunque ancora sullo stesso terreno rli cssa, sul terreno della realtà oggettiva. Anche f inevililbile quesito, donde sia mai nata I'apparenza alla ,;utlc fino allora tutti gli uomini erano attaccati e come riit arrivata a un riconoscinr.ento cosi universale, asHume per lui senza volere la forma di una fisica. Questa discussione si trova, come è noto, nella ser:onda parte dcltra sua opera. Fatto è che Parmenide non rlistingue ancora con precisione mod.erna tra sostanza c oggetto della conoscenza. Perciò non può esporre l'origine dell'apparenza se non descrivendo l'origine del mondo apparente 45. Egli presenta tutta una cosmogonia, sempre con I'intenzione di spiegare che e per quale ragione iI mondo, di cui descrive il divenire, non r) un mondo reale ma soltanto apparente 46. Il problema principale della cosmogonia di questo mondo apparente ò per lui, dopo che ha climostrato come ciò che è sia soltanto uno, il quesito donde provenga l'apparenza della pluralità delle cose. Essa è data, secondo lui, con l'affermazione di una dualità di principi che il pensiero umano aveva ammesso senza esitazione fin dall'inizio. Parmenide deriva pertanto tutto il mondo apparente dalla primaria antitesi della luce e della notte in quanto forze coordinate ed equilibrate a7. Il principio di questo « apparente ordinamento del rm.ondo » è la mescolanza, il cui simbolico autore è iI dio Eros che il filosofo desunse dalla Teogonis, d,i Esiodo a8. Sopra di lui sta la dea che guida il mondo e ha il trono nella zona fra i due anelli sovrapposti che cingono il mondo, I'anello igneo e quello notturno ae. La volontà di spiegare l'origine e la struttura dell'apparenza non è, del resto, rnantenuta costantemente nella seconda parte. Pare sia t64 LA, TEOLOGIÀ, DEI PRI1III PENS,{TORI GRECI stata una cosmogonia completa che, tra I'altro, tr:rt tava l'origine del cielo, della via lattea, del sole, dr.ll;r luna e delle stelle, come dice Parmenide nell'introrlrrzione che ci è rimastas0. AIla mescolanza di luce e tr,nebra nel mondo esterno corrisponde la medesima m,,scolanza nelle membra del corpo umano, dalla qurrl,. procede il pensiero 51. Siccome la nostra conoscenza ir basata sul principio che l'uguale conosce l'uguale, il pensiero, in virtri d.ella mescolanza della quale è rr rr prodotto, può conoscere soltanto quel mondo misto dc.ll'apparenza, nel quale Ia notte è considerata equivalente alla luce, il non essere all'essere. La scissione dcll'unico essere attraversa dunque il mondo esteriore nellr stesso modo in cui attraversa l'uomo e iI suo pensiero. Il simbolismo diurno del proemio, che descrive il viaggio al mondo della verità e dell'essere 52, è ripreso nella dottrina della seconda parte intorno all,origine del mondo apparente dal dualismo di luce e notte 53. Si è pensato che la seconda parte contenesse determinate dottrine di filosofia naturale, come ad esempio quella dei pitagorici, della quale si sente effettivamente qualche eco. Non è possibile invece stabilire una completa egraaglianza tra essa e la òd{a di Parmenide, e si fraintende il significato di tutta la costruzione quando si creda che lo zelo polemico abbia spinto il pensatore a gravare la sua opera con una tale massa di materiale altrui5a. Il suo tentativo di spiegare l'origine del mondo apparente, anche se ci soddisfa poco, è del tutto originale. Senza di esso forse non sentiremmo tutto l'ardimento della parte prima, dove il filosofo si stacca da questo mondo considerato fallaee e si inalza alla verità. In epoca recente si è formulato pirÉ volte il quesito del rapporto fra le due parti del poema, fra la verità e l'apparenza, e si sono date diverse risposte. La ra- (:Àp. vr: Ir, MrsrERo opl,l'nsspnn sÉcoNDo plR[rENrDÉ 165 piorrrr di ciò stava anzitutto nel sentimento (forse troppo rtr,rrl.r'rno) del «r vuoto » dell'essere parmenideo. Si cre- l.c di porvi riparo collegando piri strettamente i gli apl,igli relativi nell'opera di Parmenide. Si trovò che rlr.l ,lrrc mondi dell'essere e del divenire e cercando rrrrr:he il significato della sua concezione dell'essere deve consistere nel risolvere l'enigma del mondo, come ave- vtno tentato di fare i filosofi naturalisti ricorrendo a rrn unico principio originario. fn questo modo l'essere rli Parmenide venne a trovarsi vicino a questo prinr:ipio e divenne l'àQyil, il principio del mondo ilel divenire. Lo si contrappose al concetto astratto dell'esscre secondo Platone, al quale si arriva pxescindendo rlai particolari caratteri delle specie. Confrontato con questo astratto, l'essere di Parmenicle apparve piÉ denso c piÉ potente. Questa densità però gli veniva dall'essere una compagine di potenze che tenesse unito il mondo dei fenomeni55. Esso dovrebbe allora abbracciare, per cosi dire, iI mondo del divenire e del perire. Ma ciò contrasta con le parole di Parmenide: « Dike, la potenza della legge immutabile, tiene l'essere nei propri ceppi e non lo lascia libero dimodoché possa divenire o perire » 56. « Il divenire e il perire sono spenti e dimenticati in esso » si legge in un altro passo a ploposito di ciò che è 57. Oltre a ciò questa concezione riduce troppo ciò che è a mero essere, e tutta la dottrina di ciò che è diventa troppo l'aspetto del mondo dal punto di vista del suo essere. Secondo Parmenide però all'aspetto del mondo in quanto è non si contrappone con uguali diritti un secondo aspetto del mondo in quanto è mosso, come per Aristotele 58. Questo mondo del divenire è soltanto apparernza) mentre il mondo delI'essere è la verità. La dottrina dell'essere non ha il c6mpito di spiegare il mondo naturale della pluralità e del moto, ma viceversa la strana dottrina del mondo 166 L,A. TEOLOGIA DEI PRIMI PENS,A.TORI GRECI apparente è chiamata a rendere comprensibile l'errorc degli uomini che all'Uno hanno sostituito la dualità come punto di partenza e al riposo hanno sostituito il moto 5e. Nel grande frammento B, che si è conservato nel suo complesso, Parrnenide cerca di dare alcuni attributi dell'essere i quali ne determinano meglio la natura60. Ya notato che tutte qlrcste qualità sono ricavate dalla negazione di qualità del mondo sensibile. L'essere è ingenerato, imperituro, tutto intero, unico, immobile, illimitato nel tempo e compiuto. Questi predicati indicano chiaramente la tendenza del pensiero di Parmenide: essa allontana dal mondo del divenire e porta verso un altro essere assoluto; il filosofo scorge iI proprio merito nell'avere estratto questo essete d.aila diretta esperienza sensibile, e non considera il suo assoluto quale sostrato o motore imrroto della realtà fenomenica. Secondo lo Stenzel, il pensiero della filosofia ionica avrebbe tolto la f,orma al mondo u,; goi si potrebbe dire che il pensiero di Parmenide non si ferma a questa dissoluzione della forma del mondo, ma giunge fino ad una concezione acosmistica della realtà, cioè nega alla realtà la prerogativa di costituire un « mondo ». Quando, servendosi di un paragone evidentemente pitagoreggiante, dice che l'essere è uniforme in ogni verso come può essere una sfera 62, siamo, per cosi dire, all'ultimo resto di forma del mondo che egli non riesce a eliminare, benché proprio in questo passo aflermi espressamente che si tratta soltanto di un paragone. Questo essele si spiega ancora meno con concetti posteriori come quello di materia 63. Esso si presenta come forma pura del pensiero nel quale è radicata tutta l'indagine filosofica dei primi tempi: l'esistenza eterna quale fondamento di ogni conoscenza" I milesii l'avevano trovata nel loro primo clp. vr: rL MrsrERo oEt,lorssnnr sECoNDo paRlrDNrDE 167 principio e I'avevano dichiarata divina. Anche Parmerrirlo contrappone il suo essere al mondo dell' « illusione rloi mortali » e ne fa dare notizia dalla d.ea della luce r:he non è se non I'esponente teologico del valore di {lucsto vero essere. Ma se n.on andiamo errati, questo ò un nuovo modo di considerare il problema al quale i pensatori precedenti avevano risposto equiparando il loro principio al divino. L'unione della conoscenza dell'essere alla sfera religiosa esiste anche in Parmenide, anzi è messa particolarmente in rilievo. D'altro canto però egli rinuncia a equiparare l'essere a Dio, anche se le epoche successive hanno continuato a scorgere nella dottrina delllessere assoluto e dei suoi attributi una teologia filosofica. Dovremmo pertanto accostarci maggiormente alle intenzioni di Parmenide, se parliamo di un suo mistero dell'essere; in questo caso terremmo conto della forma che egli stesso diede alla sua dottrina. Certo, un teologo dirà che in questo mistero manca Dio, ma il vivo sentimento religioso vedrà in questa pura ontologia una rivelazione e un autentico mistero e si sentirà profondamente toccato dall'esperienza parmenidea dell'essere: in altre parole, il fatto religioso consiste qui piri nella commozione umana e nel deciso atteggiamento vexso l'alternativa di verità e apparenza che nella qualificazione divina dell'oggetto in sé e per sé. Alla fin fine però la base di questo atteggiamento religioso da parte di colui che conosce, « clell'uomo che sa » 64, sta per un greco nella dignità e nell'importanza ili ciò che è conosciuto. A questo proposito non possiamo separare abbastanza nettamente l'essere di Parmenide dal nostro concetto di realtà, reso"prosaico dall'astlazione della moderna scienza naturale. Lo distingue Ia sua perfezionc espressamente affermata 65, che per il pensielo greco lo fa apparire, se non eome un Dio NOTE LA TEOLOCIA. DEI PRIMI PENSATORI (]RECI 168 personale, almeno su un livello divino66. Ciò vale anclc per il paragone tra l'essere e la sfera che per i pitago- rici era la piÉ perfetta delle forme; e la luce e il Ii- mite (népaq) erano collocati, nella dottrina pitagoricrr dei contrari, sulla stessa linea del bene. Se Parmenidr.. che del resto combatte ogni dualismo di questo gr:nere, punta talmente sull'affinità con la luce e sui limiti dell'essere, è chiaro che prese la sua via particolare tra il monismo della teoria milesia d,ell'apeiron e il dualismo pitagorico di peras e apeiron, in quanto da una parte non intese il vero essete, come avevano fatto i milesii, illimitato ma limitato, e dall'altra dichiarò che il mondo, nel quale il limitato e l'illimitato sono mescolati, è pura apparenza. Il piÉ forte motivo rcligioso della considerazione filosofica del mondo consisteva ormai nell'idea dell'unità. Parmenide lo rafforzò accogliendo nell'unità le qualità della perfezione, dell'immobilità e del limite. NOTE AL CAPITOLO SESTO K^ll Ruxrren»r, Parmenides unil die Geschichte d.er grie1 Bonn 1916, p. 256. 2 RntNrunor, op, cit. 3 _ _ PiÉ sopra. a p. 66 sg,, abbiamo visto che questa concezione del rapporto tra Parmenidè e Senofane indusse I'aìtore d,el De Xenophane Melisso Gorgia ad attribuire alcune idee fondamentali di Parmenide a Senofane par dare maggior rilievo a questo preteso - chischen Philosophie, rapporto. a Cfr. p. 69 sgg. 5 Parmenide A 37. 6 Esiodo, Theog.22 sgg. 7- Ibid. 33: xai p' éxil.oa$' 6pueb paxdgau yéuoq aìèu édway. 8 Parmenide B l. s lbid. B l, 29 sgg. Esiodo. Theos. 28. u Per I'evoluziòne del concetto greco di verità e dei suoi sinonimi cfr. la monografia di 'Wrr,urr,rlr Lurunn, Wahrheit unil Liige im iihesten Griechentum, Borna-Leipzig 1935. Il Luther ha visto bene (p. l2I sgg.) che Esiodo segna l'inizio di un'èra nuova. 10 12 Parmenide B l, 29-30. l3 Parmenide B 1, 1 sg. ld Sesto Empirico 7, 111 AL CAP. VI 169 sgg. r! Nell'introduzione al suo scritto sul poema didascalico di Par- (Berlin 1897) Hpnu,rxN Drrls studiò il motivo della rivelnzione nel proemio dell'opera di Parmenide e lo mise in relazione tott Ia storia clella piri antica religione greca. l0 Drrls, op. cit,, presume un influsso orlìco che poi fu accettato rlu ultri. Intorno alla questione orfica in genere cfr. p. 99 sgg. 17 Parmenide B 6, 6. 18 Eschilo, Prom, 447. Per tracce di eloquio profetico nella lingrrrr di Eraclito cfr. p. L77 sg. ro Parmenide B 7, 4 (già B i, 35). 20 Parmenide B l, 2-3:66òu,,..ff xarà ndut' ìiouy qéget eiòha q,ina (ndw' dotq N, ruiw' àtq lt, nrivza tn }xÒ. Cfr. i tentativi rli reintegrazione del testo di questo passo fatti da studiosi morlr:rni in Dtnr,s, Vorsokrdtiher, I, ad loc. 2r Cfu. OtL. I, 3: nil)d:a àuùprbnau iòea do'rea xai yéoy éWa. 22 Circa la metafora della via nel primo pensiero greco cfr. Orrrrorride rRrED BECr(En, Das Bilil iles Weges unil oerwanilte Vorstellungen Einzelschriften zttlrt llermes » 4, Ber1937). L'autore studia l'uso e il significato di questa immagine rroll'antica letteratura greca e dedica un capitolo particolare a Parrnenide (p. 139 sgg.). 2a In Paideia,tr. it.o f, p. 331 n. 3 ho proposto di modificare la parola guasta do'cq (Parmenide B 1, 3) in àowi1: la «via» della verità porta « l'uomo che sa » (aiò&a gdtza) « incolume » domnque vada. Similmente Eschilo nel linguaggio religioso diEumen.3l5 dice che I'uomo « puro » (xal8apdq)" che cioè conserva le mani libere da rnacchiao « attraversa incolume la vita » (àooùg ò' aì6ya òrcryuet). Questo è il tono voluto dal contesto del proemio di Parmenide. Dopo aver proposto questa reintegrazione del testo mi accorsi che int friihgriechischen Denhen (« lin Meineke l'aveva trovata già prima: che è una conferma della sua esattezza. La mia proposta fu accolta da O. Becker (cit. alla nota prec.), p. 140 n. 5. 2a Parmenide ebbe questa « rivelazione » non per un atto di grazia verso la sua persona ma in quanto « uomo sapiente » (eidòe qdts). Cfr. B 1, 3. 25 Le parole di Goethe sul « sacro pubblico segreto » sono un tentativo di esprimere l'essenza del mistero vero e proprio. 28 Cir. Cebetis tabula, capp. 12 e 21. Le testimonianze piri recenti intorno alle due vie furono raccolte da A. BnrNrullrx; cfr. p. 620 del suo articolo citato alla nota seguente. 27 Cfr. A. Bnrxru"u+N, Din Denkmal iles Neupythagoreismus, in N. F. 66 (1911), p. 616 sgg. Esiodo, Opp. et dics, 286 sgg. Pindaro, Ol. 2,77. Intorno alle due vie che le anime dei huoni e dei cattivi devono percorrere dopo la morte cfr. Platone, Gorg. «Rheinisches Museum», 28 2s 524 a e Resp. 6L4 c. Per il mito nella Repubblica di Platone e il suo concetto della paideia quale preparazione alla scelta del giusto p/oq uella vita futura, cfr. Paideia, tr. it., II, p. 643 sgg. Platone segue un modello « orfico » nel quale introduce I'idea della paid,eia. Circa la paiileia 30 LA TEOLOGIA DEI PRIMI PENSA.TORI GRECI 170 NOTE quale « via» (tat3r71 xroeeaxéou) cfr. anche Ps. Plat.o Epin. ()t)! r. Cfr, la simile nuova interpretazione dell'« isola dei beati » da p:rr tr. di Platone corne paiileia filosofica: Paid,eia, tr. it,, II, pp.520, 551'. a1 Parmenide B 6. 32 Id. B l, 3: eiòha gdt'ca. 33 Id. B 6, 4 sgg. 3a Le parole « uomini con due teste » (Parrnenide B 6, 5) furorr,, per la prima volta riferite ad Eraclito da J.mos Bnnx.Lvs, Gesonr' mehe Abhandl. I 62, seguito da studiosi come Diels, Gompcrz, Burnet e altri. Essi credevano che la presentazione di questi uonìiui calzasse perfettamente per Eraclito: secondo Parmenide, costorr avrebbero assunto che « esscre e non essere solo e non sono la stcss:r cosa) e che « tutte le cose vanno in direzioni opposte » (nil,i»zgonl,; éott. ril.eafloq). Cfr. Eraclito B 60: <idòq iiua xdra pla xaì ò:urfi. Cfr. K. RnrNn"a.nor, Parmeniiles, p. 64 sgg. Per le parole zd dara, Ì1 cprSoq zCou dutau (:q6ors zdtu npay p&au) che si trovano di frequenza laei guornoi, greci e devono ri- o lrrr.orno all'Eros cfr. Farmenide B 13; intorno alla mesco' ll 9, B 12, B 16. Non posso essere d'accordo con RrrNrtanlr, lil, r.lt,, p. 74, dove dice che il concetto di mescolanza, il quale ha rrirn purti: cosi significativa nella posteriorc filosofia greca, abbia rlrrl ln sua origine e sia dunque derivato dal pensiero puramente lirgk'o t: rrrctafisico di Parmenide, Dev'essere stato usato molto prima lrilhr rncdicina e nella scienza naturale, donde Parmenide lo trasferi rrnl ploprio argomento. {b Pìrmeniàe B 12, 3. Cfr. l'interpretazione degli anelli data rlrr l)rur,s, Parmemiiles' Lehrgeilicht, pp. 105, 107, che però non chiarlrr.rr rlel tutto il significato di o'retadrepat,. Cfr. BunNnr, Early Greek l'hilosophy, p. 191. no Parmenide B 10, B 11. lil. B 16. Id. B 1, g-10. 63 Id. B B, 56 sgg.; B 9. òr [,r 36 filosofi naturalisti presero la parola drza dall'uso della lingua comune, Ia polernica di Parmenide è diretta tanto contro costoro, quanto contro i filosofi. Non si può assolutamente riferire a un unico pensatore come Eraclito iI passo in cui Parmenide parla della « gentc sorda e cieca t) otETò né),er,y te xaì oòx eh,at, taòtòy ueudpto'rat,poich(: ueadpn'rar non indica l'opinione di uno o di alcuni, bensi la perversione del vdpog dorninante (cioè della tradizione). Cfr. Senofane B 2, 13 d lL' eìxfi pd)"a to6ro uopilezan, che pure si riferisce allacommunis opinio degli uomini. Cfr. anche il passo parallelo dello stesso Parmenide B 8, 38-39: t(t nd:n' dvolt(a) to'rar.6ooa pgo'roì xadùeato nenot$éreq e-itar, d)o1$fi: le loro opinirini su questo argomento « non sono altro che parole » che non contengono alcuna verità. 37 Parmenide B 8. Id. B 7, 3 - B B, I (già ts I, 34-37). Id. B 3, B 8, 34. Cfr. ora K. voN Fmrz in « Classical Philology » XXXVIII (1943), p. 79 sgg. circa il significato di uo6q, rtoeiy ecc. in Omero, e ivi, XL (19a5), p, 236 per il significato di queste parole in Par38 3e a0 menide. a1 Parmenide B 2, B 6. 42 Id. B l, 29-30; B 8, 50 sgg. a3 L'autore è costretto a chiedere Tiibingen 1925, pp. B-15. a5 Ne ha dato una prova convincente K. RorNnenot, Parmenides, aG p. B0 sgg. Il monilo della dd[o, come è preseutato da Parmenideo si basa sulla tradizionale opinione dei mortali (cfr. ue»éptorae B 6, B, e qui sopra, nota 36) che essere e non essere siano la stessa cosa e pure non lo siano. Essa è il mondo visto con occhi umani e sta di fronte al mondo dell'essere come lo vede la dea della verità, Infatti in realtà è lei che parla quando Farmenide dice « mortali 47 Parmenide B {J, 55 sgu. e Èì 9. è del parere che nella seconila parte p"eso le mosse da opinioni pitagoriche. l)i(G (cfr. qui soprao nota 49), p. 63 pensa che questa qarte -abbia ruppreàentato qràlcota come'una dossografia nella maniera che fu irr-uso piri tardi presso i peripatetici, e abbia elencato le opinioni di 04 », BunNnr, op. cit., p. IB4 sgg. rlol poema Parmènide ibbi" likrsofi precedenti. Contro I'una e l'altra opinione cfr. Rrrruenor, op. - cit., p, 28 n. 1. 65 Cfr. Kunr Rrrzr,pr., Parmeniiles, Frankfurt 1934' p. 50. 60 Parmenide B 8o 13 sgg.: toù etvexev oiite yeuéo$ar, oìit' d)'J'uo$at ìLvijx,e lixr1 ya)d.oaoa néò21otu. Diels traduce: «Perciò la giustizia rron ha lasiiaio liberi ilai lòro ceppi il divenire e il perire, ma li tiene nuldi». Egli prende dunque gli infiniti yeuéo$at e d)'J'oo$at, come oggotti di ò.afixe. L'ogget{o d,i /ix4 ù4xe è invece-zò ddro che tan-to ilui quanto nei versi 22 e 26 deve essere ricavato da ciò che qrecede' (Nella O, edizione dei Vorsokratiker del Diels, Kranz ha accolto l'inicrpretazione esatta). Troì/o esattamente la medesima costruzione ùi d.qfixe con I'accusativo con I'infinito in Gregorio di Nissa (P. G. 45, ii73 D Migne), il quale, a quanto sembra, trasferiscc un pensiero di Farmenidà nel pensiero teologico cristiano' Cfr. H. FnÀx' KrlL) Parm.enides-Stuilien, in « Giitt. Gel. N. », 1930, p. 159' che per primo ha giustamente contestato l'interpretazione dielsiana di que- sti l'indulgenza del lettore per questo voluto uso anacronistico di una terminologia assai posteriore. aa Cfr. E. Horrnrnxl+, Die Sprache und die archai.sche Logik, t7t lrrrrrg 35 salire fino alla scuola milesia cfr. sopra, pp.30, 32. Siccome però questi AL CAP. VI versi. 67 Parmenide B B, 21. 58 interpretazione farebbe corrispondere, la prima- par^te Questa del poerna di Parmenide alla Metafisica di Aristotele qu-ale filosofia delltessere in quanto essere (òr fi iiu'S ela seconda parte alla sua Fi' sica, alla teoria dell'essere in quanto mosso (òz fi xoqtdu). 6e In altri termini, iI procedimento di Parmenide è esattamente a quello che ci si àspetterebbe da un-punto di vista moderno. opposto --oo queà-ti caratteri sono detti segnavia (oilpaza) lungo la strada che conduce alla verità; framm. B 8, 2. 61 J. STENZEL rrel Handbuch der Philosophie: Die Metaphysik iles Ahertums, Miinchen-Berlin 1929, pp. 34' 36, 47. 62 Parrnenide B B, 43-44. 63 BunNrt, op. cit., p. 182 fa notare giustamente chc il concetto dell'cssere secondo Parmenide ha agito sulle tre pili influenti '.1 ,1 ,i .1 L72 L-T. TEOLOGIA DEI PRIMI PENST.TORI GRECI dottrine di presocratici posteriori intorno alle prime componenti rrrir i quattro elementi di Empeilocle, le omeom,,.i,, di Anassagora e gli atomi di Democrito. Ma non posso essere d,t,.cordo eon.lui quando ne r,rrol dedurrc che ì'essère di Parmerrirl,. debba e-s,sere stato perciò « materia » e qui pone il suo vero sigrri- t_eriali dell'universo: ficato. Che cosa dovesse accadere dell'esÀere-di Parmenide non al)pena uno dei suoi discepoli ne dava un'interpretazione materialr,, ci mostra Melisso di Samo il quale abbandonò-logicamente uno tl.i suoi.car-atteri principali, la limitatezza, e lo adàguò all'àgyi tttrteriale di Anassimandro, cioè all'apeiron. oa Parmenide B 1, 3. 66 Parmenide B B, 4. 66 La,via che porta alla conoscenza di questo essere è «bcrr -lontana dal sentiero dei mortali» (framm. B-1,27) e l,uomo chc la percorre e ne raggiunge la fine, cioè la verità, è detto felice dell:r sua sorte. Il concetto cristiano di un Dio personale che abbiamo il sentimento rcL"Tpr" in mexte non deve offuscare l'idea c[e per ligioso greco l'essere di Parmerride è « divino ,, -co-" Io è l,idea platonica del bene. Cfr. la mia Paiileia, tr. it., II, p. 492 sgg. I gÀ.Prrolo Srcrrrlro ERACLITO Il periodo tra la fine del YI secolo a. C. e i primi rlcccnni del Y segna in Grecia una linascita dello spirito religioso. Esso si manifesta nelle opere individuali rl.r:ll'arte e della poesia piÉ che nella religione degli dei rr{liciali e nelle sette neofite che si sogliono citare a testimonianza cli questo spirito. Accanto alla poesia e all'arte vediamo anzitutto la filosofia diventare un ter' rcno fecondo di grandi personalità religiose. La cosiddetta religione in senso ristretto non può prescntare nulla di simile. La serie dei personaggi incomincia con Pitagora, che fondò una specie di ordine. IJna mente ben diversa è Senofane, l'aud.ace illuminista che senza riguardi dichiara mistif.cazioni le idee della credenza pitagorica nella metempsicosi, allo stesso modo in cui combatte gli dei antropomorfi della religione popolare e dei poeti; ma questa battaglia ò combattuta con l'intima certezza di una superiore coscienza fiIosofi.ca di Dio alla quale egli sa di essere atrivato. Parmenide sceglie la forrna religiosa della rivelazione c del mistero per comunicare la sua visione filosofica del puro essere nella quale rivela che il mondo dei sensi è apparente; egli considera infatti la sua esperienza come lisposta al problema religioso che agita tutto il suo ambiente. Pitagora, Senofane e Parmenide appartengono tutti e tre alla nuova civiltà dell'Italia meridionale, sorta dalla 174 C,A.P. L,{, TEOLOGI,A. DEI PRIMI PENSÀ.TORI GRECI fusione dello spirito ionico importato con l?aulr»r:f.rrir natura sociale e religiosa. Eraclito, l,ultimo della gr.r.i,.. rivela che anche la patria ionica della filosofia era :r,,,r tata dallo stesso problema religioso. Questi pcnsirt.rr cosi diversi nella loro intima struttura hanno irr ,.,, mune, segno dei tempi, il tono profetico e apostolir, che li unisce ai grandi poeti contemporanei Eschil, ,. Pindaro. Fer il pensiero filosofico dei greci questo irl) passionato pronunciarsi della personalità non era strlo caratteristico fin da principio. Nella filosofia ionica rl,.i vecchi milesii aveva dominato lo spirito dell,osservirzione e dell'indagine puta. Non saremo probabilmerrrr. in errore supponendo che negli scritti didascalici rli Anassimandro o di Anassimene la persona dell,autore norr si sia presentata diversamente da come si presenta nell,opera geografica di Ecateo di Mileto, loro successore, cioi: come io critico dello studioso il quale esprime liberamente le sue opinioni diverse da quelle della massa. Non vi era ancota traccia di apostolato, anche sc la « teoria » della natura poteva indurre lo studioso a dichiarare « divino » il suo primo principio 1. Il d.esid.erio di spiegare le cose razionalmente non ammetteva un tono cosi patetico. Soltanto dalla irrequieta ricerca religiosa, che segui quel primo period.o di uso della ragione ardito e sicuro di sé, nacque il tipo del filosofo fondatore di religioni o profeta, ehe, sorpassand.o le formule tradizionali, procede a una nuova interpretazione dell?esistenza. Questa concezione del carattere di Eraclito è molto diversa dall'immagine che per molto tempo si era creduto di doverne tlarre dagli autori antichi, specialmente da Platone e Aristotele. È vero che questi non tentano di afferrare l'insieme della sua dottrina, ma essa è considerata sotto determinati angoli visuali, dovuti non a lei stessa, bensi alla filosofia di Platone e di Aristo- VII: ERACLITO 175 t,,lc\Essi pongono Eraclito nel novero dei {ìlosofl della l,rtulp a fianco di Talete, Anassimandro e Anassimene, ,, xtab\Iiscono che diversamentc cla loro indicò nel fuoco principio 2. Come filosofo del divenire è poi ,,ntr{pposto a Parmenide, il pensatore tlell'essere 3. Se,,rndolFlatcne e Aristotele, la filosofia di Eraclito culurina lrella d.ottrina del flusso perpetuo di tutte le cose, rcl ndura {e7. Platone avrebbe poi limitato la validità ,li questa tesi al mondo dei sensi e stabilito nel suo rrrondo clelle idee I'essere duraturo e ad un tempo l'oggr:tto di una vera e incrollabile conoscenzaa. In' questo rrrodo la dottrina di Eraclito era riconosciuta quale solido fondamento della verità assoluta e dichiarata grarlino importante nella storia della filosofia, dal quale xi saliva alla vetta di Platone. Considerata pel se stessa, la dottrina del flusso eracliteo era una grandiosa idea rrnilaterale, la cui importanza consisteva nel ridurre a cspressione universale il risultato metafrsico della precedente filosofia ionica. Come altrove, anche in questo caso gli studi recenti lranno cercato di emancipalsi à poco a poco dal criterio di Platone e Aristotele c di attenersi anzitutto ai frammenti di Eraclito che sono pervenuti fino a noi 5. Anche noi dobbiamo metterci per questa via, pur non potendo fare del tutto a meno delle notizie dossografiche di autori antichi posteriori, in quanto non esprimono giudizi propri ma completano i frammenti con notizie di fatto. Noi dobbiamo partire dall'esame della forma originale della lingua in cui sono scritti i frammenti di Era' clito. Non la si può confrontare né con il discorso didascalico della prosa filosofica di Anassimandro e Anassimene, fin dove ce ne Possiamo fare un'idea, né coi silli di Senofane o col poema di Parmenide. Eraclito è iI creatore d'uno stile filosofico nuovo, le cui forme sono tl prifuo , r76 LA. TEOLOGIA DEI PRIMI PENSATORI GRECI di un acume enormemente impressionante di ,nr/po_ " all,/nizi,, tenza veranTente lapidaria 6. È vero che oltre del suo libro non possediamo alcun brano piftorto lungo, ma soltanro singoli periodi: la loro foìrq, .".rata però fa supporre che non è un caso se le ]teoric di Eraclito ci sono tramandate soltanto attraveriso un numero sorprendente di siflatte sentenze. O trttj il.ro Iibro era scritto in questa forma, o era particolalmentc ricco di tali sentenze e indusse i tardi rielaboratori a spendere il capitale in moneta spicciola. Vieu fatto di pensare agli « aforismi » attribuiti a fppocrate, ma purtroppo la loro forma non è originale: alcune sen_ tenze sono derivate da altri scritti ippocratici che le contengono in un discorso continuato e piti completo z. D'altro canto il principio stilistico degli « aforismi » è già un'imitazione di modelli composti di tali sentenze singole, e l'autore cerca ora di comporre qualcosa di si_ mile ricorrendo a Ippocrate. può anche darsi che pro_ prio Eraclito gli servisse da mod.ello e l,aforismu fi.se la forma in cui scriveva 8. Non è probabile che un,opera continuata constasse di frasi come le seguenti: Carat_ tere - demone per l,uomo (B II9) 1. Raggio asciutto - anima migliore e piri saggia (B l1B). via in sa_ lita e in discesa - sempre la stessa (B 60). Invisibile armonia - meglio che palese (B S4). Uno _ per me dieeimila, se è il migliore (B 49). La sapienza iei p.o_ verbi antichi aveva trovato anzitutto la forma po"ii"u, specialmente negli Erga di Esiodo e nella ,uccoltu di Teognide di Megara. Anche qui troviamo lunghi elenchi di sentenze sciolte. La stessa forma si trova tladotta in prosa nello scritto di Demo crito Della tranquillità d'animo (negì eòOuplqe) e nei consigli a Demonico che ci sono tramandati come opera di fsocrate. persino quest'ultimo riesce con difficoltà a mettere insieme ,orop-er. unitaria con numerosi singoli mòniti, dovuti in parte CAP. VII: ERACLITO r77 lntica tradizione, e per le sentenze di Democrito, i nostri frammenti, non è facile immaginare uir c+testo unitario. Esse si avvicinano piri di tutte le rrltre pllo stile di Eraclito e si può dimostrare che lo imitalo in parecchi punti. Ld sentenze di Eraclito sono però di tono quanto mai diverso dalle norme di vita della preced"rt" .ug{,ezza proverbiale. Non si può ridurne lo stile a un rrrl r,r'r:o\do rrnico denominatote, perché comprende in sé parecchi t:lementi affini tra loro. Li esamineremo qui di seguito in base ai frammenti stessi e in rapporto al loro contenuto 10. L'inizio dello scritto, fortunatamente conservato, parla della parola che il filosofo annuncia, del logos. Gli uomini non comprendono questa parola benché sia eterna 11. Non la comprendono né prima di udirla né quando la odono pcr la prima volta. Ma anche se il /ogos significa anzitutto la parola dello stesso Eraclito, essa non è soltanto la sua parola umana? ma la parola che esprime l'eterna verità e realtà, e perciò eterna dura 12. « Benché tutto awcnga secondo la legge fi questa parola, gli uomini fanno come se non ne avessero alcuna esperienza, ogniqualvolta si trovano di fronte a parole od opere come io le espongo 13, in quanto spiego e interpreto ogni cosa second.o la sua natura e il modo in cui si comporta. Ma ciò che gli altri uomini compiono quando sono desti rimane loro nascosto allo stesso modo in cui non sono coscienti di ciò che fanno nel sonno » (B 1). Cosi non parla un maestro, uno studioso, ma il profeta che scuote gli uomini dal sonno. L'importanza di questa immagine per la mentalità di Eraclito appare dal fatto che egli se ne serve ripetutamente. In un altro punto parla di un « cosmo dei veglianti», la qual cosa postula un mondo dei dormientila. Qui però non è inteso lo stato flsiologico, bensi l'essere 1?. - W. J.a,EeER, La teologia ilei primi pensatori greci,, a /o L.4. TEOT,OCIA DEI I'RIMI PI'NSÀTORI GRII']I C,{,P. infatti già nelle prime frasi Eraclito aveva detto che ciò che chiamiarno esser desti èrnegli altri uomini talmente privo di coscienza spiritu4le dei veri eventi nella realtà, che quasi non si riesce a distinguerlo dal sonno. Anche il brusco contrasto fra l,autorc che si sente unico possessorc della « parola » e Ia totalità degli « altri uomini » 15 i quali non comprendono questa parola, benché tutto nel mondo sia regolato su di essa, ha un tono profetico. Certo, Eraclito non annuncia la volontà di un Dio, bensi un principio, secondo il quale tutto avviene. Egli è il profeta di una verità riconosciuta dallo spirito? ma questa verità non è puramente teoretica come, ad esempio, la rivelazione di Parmenide. Non si considela abbastanza che parmenide parla sempre di yoeiy e udrlpa quando vuol indicare I'attività dello spirito filosofico, mentre invece Eraclito dice qqoaeta che in greco ha sempre espresso il giusto pensiero, la giusta intuizione (con palese riferimento al contegno pratieo dell'uomo) 16. Perciò il vocabolo è particolarmente adeguato alla conoscenza morale e religiosa. Nella preghiera di Agamennon e a Zous Eschilo chiama gqoueTu l'intuizione religiosa dell,evento tragico govelnato da Dio e del conseguente e conseio atteggiamento umano17. La saggezza delfica dell,autolimitazi,one di ogni aspirazione umana e il timore della sovrumana hybris sono Epoaeiu. Eraclito insegna agli uomini a gqoaeiu di fronte alla sua nuova visione del mondo. In questo senso parla anche di « parole e opere » che egli esporrà 18 e nelle quali gli uomini « si provano » invano, poiché non possiedono la visione della vera essenza delle eose. Dunque la sua dottrina deve influire anche sul contegno pratico dell'uomo. Lo si vede anche altrove, quando parla della saggezza come di un dire e fare il vero 1e. In un altro punto dice che non si deve agire e parlare come nel sonno 20. Eraclito è il primo pehsadesti con lo spirito: VII: ERACLITO L79 torc phe non solo vuol conoscere ciò che è, ma con ciò l)retende di rinnovare la vita degli uomini. Il possibile r:ontrifuto d,el logos si manifesta nell'immagine della veglia e del sonno. Egli non vuol essere un Prometeo, non vuole insegnare agli uomini alcun mezzo nuovo c piri intelligente per raggiungere i loro fini umani, ma vuol renderli capaci di condurre la vita da svegli, consci del logos, seconclo il quale awiene ogni cosa 21. Prima di chiedere quale sia iI contenuto del logos che gli uomini non intendono e pure sta alla base di tutto, cerchiamo di afferrarne la natura attraverso un'altra sua qualità che Eraclito mette ripetutamente in rilievo. Gli «svegli» hanno un cosmo comune22, mentre (cosi hisogna completare) i dormienti hanno ciascuno una propria mentalità. Ciò è esatto letteralmente, ma ò anche simbolico, come abbiamo visto, e non solo l'imnragine dello « sveglio », ma anche la piÉ precisa definizione di essa mediante il possesso di uu « mondo comune » con gli altri esseri che, nel contatto con loro, si dimostra tale, mentre il mondo dei dormienti non risulta accessibile agli altri. A questo proposito un altro frammento trae da questo pensiero una deduzione pratica: « Perciò si deve seguire ciò che è comune. Ma benché il logos sia comune, i molti vivono come se avessef,o una ragione privata » 23. Non appena esige seriamente di vivere e agire allo stato sveglio, il filosofo urta contro I'ostacolo di questa mancante comunione dell'intuizione o, n:reglio, di ciò che la folla considera tale. E se in un altro framrnento si legge: « Cormune a tutti è l'intuizione (qqoueia) » 24, non si tratta di una contracLdizione, ma si vuol dire soltanto che ogni vera intuizione, una volta riconosciuta, si distingue perché unisce e obbliga direttamente tutti quelli che vi hanno parte. Cosi l'annuncio filosofico si scinde dal grande numero delle opinioni private degli uomini, con le quali $ 180 L.A, TEOLOGIA DEI PNIMI PENSATORI GR]'CI CA.P. sermbra che abbia grande somiglianza, perché non è urr bene comune, bensi la convinzione di un solo. Corrrr. Parmenide cerca di rendere comprensibile l,umano isolamento del filosofo, che ha conosciuto il vero esser(., mediante l'immagine della rivelazione avuta 25, anclr,, Eraclito ha bisogno della particolare giustificazione dellir propria solitudine di fronte al resto dell,umanità. Du questo punto si riesce a intendere la coscienza religiosa della sua vocazione. Senza questa coscienza profetica egli non avrebbe la forza di sopportare la pressiont, della stragrande maggiora:nza degli ignoranti, dei « molti » 26. Egli però è sostenuto dalla convinzione di esserc il rappresentante del logos che dapprima riesce incom_ prensibile agli uomini, anche se lo odono, ma poi, una volta conosciuto, raccoglie in un cosmo comune coloro che lo riconoscono. Cosi il pensiero liberatore del filosofo, che sembra soltanto un altro esempio del dissolvimento spirituale d'una società individu alizzata frno ai limiti del possibile, diventa per Eraclito proprio quel legame che la può stringere in una nuova comunità. Sembrerebbe pertanto che il contenuto del logos sia di natura etica e politica, e in un certo senso lo è, come dimostra, oltre al suo riferimento al « parlare e agire » degli uomini, il sempre nuovo rilievo in cui viene messa la comunione ([ouda) del logos 27. Non è assolutamente lecito considerare questo concetto chiaramente sociale di Eraclito soltanto come espressione metaforica dell'universalità logica. Il problema del pensiero filosofico è effettivamente inteso da Eraclito per la prima volta nella sua funzione sociale. Il logos non è soltanto l'universale, ma il comune. Ma se in questo modo esso si avvicina alla legge statale che obbliga tutti i cittadini, d,altro canto è molto di pifi della legge, sia pure di una comunità grandissima e potentissima, perché è quello che è comune a tutti ([uaòu ndwaa)zl. VII: DRACLITO lBl !,'rrrgano di questa comunione universale è il aodg, lo « Parlare con spirito » ([òu un"t) significa, secondo l,)raclito, rinforzarsi « con ciò chc è comune (€rrd,t), (:ome una polis si consolida con la legge (adp,E), anzi nncora pirl saldamente. fnfatti tutte le leggi umane rqono alimentate dall'unica legge divina. Questa domina fin dove vuole ed è sufficiente pet tutti e si impone in tutto » (B 114). Qui troviamo per la prima volta nel pensiero filosofico il concetto della « legge », e precisamente in un senso piri elevato di quello politico, riportato alla natura della realtà e oggetto della suprema e universale conoscenza 2e. Questo trasferimento era già preparato dalla definizione del mondo delle cose quale « coordinamento » o « cosmo » che abbiamo fatto risalire alla prece«lente filosofia della natura 30 e che Eraclito usa in ogni caso come concetto a lui familiare in maniera quasi terminologica. Anche l'interpretazione simbolica degli eventi nel mondo nel senso di un processo o di una lite giuridica (in greco : dìke) presso Anassimandro ne è un preludio. Eraclito riprende questa espressione comeT per esempio, in questa sentenza: « Il sole non sorpasserà le sue misurel altrimenti le Erinni, sgherri della Dike, sapranno trovarlo » (B 9a). In questo caso Dike è f incarnazione dell'ordine infrangibile nella natura. A prima vista la menzione delle Erinni stupisce; e vien fatto di pensare a Omero, dove intervengono quando il cavallo di Achille gli predice la morte 31. La novità di Eraclito sta ncl concentrare tutto questo simbolismo giuridico nel concetto di una legge cosmica che domina su tutto. Per distinguerla dall'umana la chiama « legge divina ». E cosi svolge meglio l'equazione di Anassimandro tra il principio originario e il divino 32. Egli però non vede il divino soltanto nell'eternità e nel potere univcrsale, ma unisce questo concetto al prinxgririto. § tB2 LA TEOIOCIà. DDI PRIMI PENSJ.TORI CAP. VII: GRECI cipio giuridieo ehe Anassimanclro ayeva creduto di r.r,,vare negli eventi naturali. euesto principio è orrrrrri ricavato dalla somma suprema dell,ordine giuritlir:,, umano e della moralità, dal concetto di legge, ed ò interpretato come legge di tutte le leggi. È l""ito ,up,porre che il libro di Eraclito, iniziato con l,idea dr.l logos, procedesse poi a definirlo come comune a tutti r. conxe conoscenza della legge divina. Soltanto cosi conr_ prendiamo con quale diritto il pensatore si presenli come profeta. Il logos, in base al quale tutto avvient:, pur rimanendo nascosto agli uomini, è la legge divina. La diana del filosofo è un invito a co*pi"re àa svegli la volontà di questa legge. passando cosi sul terreno teologico, si vede con partieolare chiarezza la profonda differenza tra la legge eraclitea e il nostro concetto moderno di Iegge naturale BB. Quest,ultima è soltanto una generica formula descrittiva che comprend.e un dato complesso di fatti osservati, mentre invece la legge divina di Eraclito è un autentico concetto normativo: è la norma suprema degli eventi dell,universo la quale stabilisce il significato e il valore di questi eventi. Il contenuto teologico del solenne annuncio del logos di Eraclito induce a chiedere se e in che modo la dot_ trina e l'opera del filosofo corrispondessero a questo preludio. fncomiuciamo col consultare la tradizione antica su questo punto. Diogene Laerzio afferma che lo scritto di Eraclito si impernia sulla dottrina della na_ tura dalla quale prende il titolo; e che si suddivide in tre considerazioni, una sul tutto, una politica e una teologica 3a. Naturalmente il titolo è nato dopo e non è garantito, ma se ne può dedurre che la. base di tutto era una cosmologia, come si può ricavare d.ai cenni di Diogene. Questi però o la sua fonte notarono che il titolo non corrispondeva al contenuto. Lo confermano i nostri drammenti, che però draltro canto escludono ERACLITO 183 tra l'elemento cosmologico, quello ir:o-Irolitico e quello teologico in tre parti separate. Srr l)io*"r" le definisce tre logoi, o ha reso pi6 grossoInrrrr un'osservazione giusta o ha pensato soltanto a r rc specie di enunciazioni che nello scritto di Eraclito ri possono distinguere ma sono strettamente intrecr,irrt«r. Perciò non è possibile considerare la teologia cornc parte separata della sua dottrina. La si deve inlcrrdcre insieme con la cosmologia come un tutto inrrcindibile, anchc se vogliamo dare rilievo alla parte trrologica. fn altra occasione ho paragonato il rapporto lì'a i tre logoi con tre sfere o tre anelli concentrici 35. l,)ssi sono retti da un medesimo principio. Facendo rlr:rivare tale principio in primo luogo dalla cosmologia, non seguiamo soltanto l'impressione suggerita dai lrammenti, ma anche le indicazioni di Diogene. Se rluest'ultimo dice che l'opera di Eraclito è tenuta in' sicme dalla linea fisica, mette conto, però, di menzionare che il grammatico Diodoto, il quale pure ha riflettuto sul rapporto tra l?elemento fisico e quello « politico » di Eraclito, è del parere che lo scritto non tratti affatto della natura, bensi dello stato e della co' munità e che I'elemento fisico vi setva soltanto da csempio. A Diodoto non parve fine a se stesso, ma sostegno di ciò che egli chiama il lato politico 36. Il pensiero di Eraclito si concentra nella dottrina dell'armonia dei contrari. Proprio questa permette di chiarire il rapporto tra le diverse parti di questa filosofia. Da una parte gli esempi cosmologici servono a chiarire questa verità f,ondamentale e a dimostrare l'esisterr:-a e I'efficacia del principio dei contrari 37. Ma la sua. giurisdizione va di gran lunga oltre la fisica, e la sua applicazione alla vita umana sembra quasi piri importante dell'applicazione alla filosofia della natura. D'altra parte Eraclito commenta i fatti cosmici con le unn nctta distinzione r,t 184 LA TEOLOGIA. DEI PRIMI PINSÀTORI GRECI CÀ.P. esperienze del mondo umano che ne ricevono un significato simbolico 38. « fl contrasto è padre e re univer_ sale. Gli uni fa dei, gli altri uomini. Gli uni fa servi, gli altri liberi » (B S3). fn una delle piri grandi espe_ rienze della vita umana è ravvisato l,urto ostile dellr: forze contrarie quale principio universale che pervadc tutti i settori dell,essere. In questo modo la guerra di_ venta, per cosi dire, la prima esperienza filosofica di Eraclito. Non è soltanto la fredda costatazione d,un noto stato di fatto ma, come rivela il tono pieno di pathos, anche Ia sua nuova e sconcertante interpreta_ zione e valutazione. Illuminando il fenomeno complessivo dei contrari col fenomeno parziale della « go""ru r, Eraclito potenzia l,audacia paradossale della sua affer_ mazione e del suo elogio di questo fatto fondamentale del mondo. Infatti per il sentimento comune degli uomini la guerra è il fatto pif spaventevole. Che opinione si può avere della perfezione di un mondo dove questo malanno domina sovrano ? Eraclito mira nientemeno che a rivoluzionare la mentalità normale dichiarando che persino la divisione del mondo in dei e uomini, in schiavi e liberi, cioè, secondo concetti greci, la base di ogni ordinamento, dipende dalla guerra. Dobbiamo ricordare che in altra occasione egli predica un pas_ saggio dell'uomo nella sfera del divino attraverso l,esaltazione eroica dei caduti in guerra se. Nella sua mente guesta credenza universalmente greca acquista un pal_ ticolare significato perché uomini e d.ei sono contrari. Gli « uomini » dei quali parla 40 sono evidentemente i soprawissuti che la vittoria rende in parte schiavi, in parte liberi. Le parole sulla guerra esprimono però la generalizzazione del conflitto fra i contrari quale supremo principio del mondo. Eraclito lo proclama in tono di predica e di inno, e definendolo padre e re di tutte le cose lo inalza al trono di sovrano d.el mondo a1. VII: ENA.CLITO 185 La definizione del conflitto quale padre e re di tutte lrr cose ci ha rivelato il contenuto della legge divina che, secondo le parole di Eraclito, è il fondamento di t.rrtte le leggi umane e della comunità che esse sostengono 42. Il principio è equiparato a Dio §tesso: « Dio è giorno-notte, inverno-estate, guerta-pace, sazietà-fame. l,)gli si muta come il fuoco che mescolato con incensi rì denominato dal diverso profumo di ciascuno di essi » (Iì 6?). La guerra quale contrario d.ella pace è allineata con altre tipiche antitesi della vita cosmica, sociale e biologica, non ha dunque lo stesso ampio significato simbolico che ha nella dichiarazione che la guerra è madre di tutte le cose. Questo elenco di esempi spiega ancor piÉ chiaramente che cosa si debba intendere per « guerra » in un superiore senso simbolico. È la continua vicenda e battaglia dei contrari nel mondo, tra i quali sono anche la guerra e la pace. Tutti risalgono a uno solo che si presenta in travestimenti sempre diversi e perciò è chiamato dagli uomini con vari nomi. Questo unico contrasto che si afferma nella lotta e nella vicenda, Eraclito lo chiama Dio. Esso non è meno nella notte che nel giorno, nell'inverno che nell'estate, nella guerra che nella pace, nella fame che nella sazietà, o, come dice in un altro passo, non meno nella povertà che nell'abbondartza4s. Non lo si può definire parte positiva di una coppia antitetica di valore e disvalore, n6 lo si può intendere come somma di tutte le parti positive di tutti i contrari possibili nel mondo. n È serop"" lo stesso: vivo e moÌto, sveglio e dormiente, giovane e vecchio. Infatti tluesto, capovol' gendosi, è quello e quello, capovolgendosi, è di nuovo questo » (B BB). ,L'immagine del capovolgersi e compenetrarsi dice come nei contrari susseguentisi nel temPo e quindi separati per la nostra coscienza si mantenga l'unità. Eraclito è instancabile nell'inventare sempre 186 LA TEOì]OGI/. DEI PRIMI PENSÀ.TORI GRECI nuove immagini per questa unità dei contrari. A l:rl fine crea le parole contatto o collegamento e arrr()_ nia, vale a dire commettitura. fl « Àntatto » interrrlr. l'unità dal lato meccanico, l, « armonia » piuttosto tlirl lato dinamico. « fntero e non intero, convergente e divcr_ gente, accordo e disaccordo sono collegamenti (coudyrcq). Da tutto uno e da uno tutto » (B l0). nN.n capiscor,, come divergendo si accordi con se stesso: congiunzionc controtesa come nell,arco e nella lira » (B SI). Questi due ultimi esempi esprimono chiaramente la nuova e feconda idea della tensione. fl termine di pa_ ragone fra l'arco e la rira è ra dinamica dene forz,. contrarie accoppiate per un,azione comuneT le quali di_ vergono per natura, ma nella loro unione producono Ltrra terza cosa che è una forza intelligentemente guidata. La parola greca per esprimere congiun[r"rru zione è « armonia ». fl coneetto, specie nella Grecia piÉ antica, è usato in senso piri largo di guello musicil", che per noi è piri familiare. Esso indiia ogui compa_ gine tettonica o tecnica, e anche nella musica risale a utra cotTcezione simile. l,,immagine della Iira sugge_ risce I'idea dell'almonia musicale, anche ." io qràJ, caso ciò che importa è un,altra cosa, cioè la teÀione. A me però sembra poco probabile che Eraclito abbia rinunciato al paragone clellrarmonia musicale, quantunque altri lo aflermino- proprio in base ,l paruloo" della lira e dell'arco aa. È spiacevole d.over rnettere in dubbio una testimonianza di Aristotele dove dice che, secondo Jlraclito, il divergente (àar[{aoa) si unisce e dal diverso proviene la piri bella armonia. eui non può essere che l'armonia musicaleaE. Anche ,r, ult"o pi..o di Aristotele attribuisce espressamente a Eraclito L,Àsempio della « armonia dell,alto e del basso » quale argo_ mento contro Omero che a torto avrebbe rrraledeito la lite tra gli dei e tra gli uomini a6. Eraclito clev,essere CAP. VII: ERA.CLITO lB7 ricorso anche all'armonia dei sessi che vi è citata come csempio. I tlubbi formulati in proposito non sono con' vincenti a?. Fatto è che il concetto eracliteo dell'unità dci contrari non è univoco. Non si riferisce unicamente né al contatto o collegamento né alla tensione o accordo o fusione. Eraclit.o fa largo uso di esempi ma non in senso induttivo, bensi in senso simbolico: con ossi non esprime una astrazionc logica chiaramente deIinibile quanto piuttosto una profonda intuizione che brilla dei piÉ svariati colori. In sostanza I'unità di Eraclito non è intuibile in nessuna delle forme visibili che gli servono da paragone. Non per nulla dice: « L'armonia invisibile è meglio della palese » (B 54). Appunto perché « invisitrrile » è nascosta all'occhio umano, nonostante che sia la forza suprema pet la quale tutto avviene nel mondo. « La natura ama nascondersi » (B 123). GIi uomini, dice Eraclito in altra occasione, si lasciano ingannare nella conoscenza delle cose visibili al pari di Omero che pure era piÉ saggio di tutti i greci. Fu ingannato da fanciulii che uccidevano pidocchi quand o gli dissero : « Tutto ciò che abbiamo visto e afferrato lasciamo qui. Ciò che invece non abbiamo visto e non afferrato portiamo con noi » (B 56): vero indovinello che simbolicamente rispecchia la situazione degli uomini davanti alla realtà. Fer Eraclito questa è il massimo di tutti gli indovinelli. Secondo lui, il filosofo non è chi spiega il mondo fisico o scopre una nuova realtà al di là dell'apparenza dei sensi, bensi chi scioglie enigmi e interpreta il senso recondito degli eventi nel mondo e nella vita: Hier ergreifet ohne Sàumnis Ileilig òfrentlich Geheimnis 47a Di qui la predilezione dell' « oscuro » Eraclito per uno stile che, come la natura stessa? non rlcette in m.ostra IBB LA TEOLOGIÀ DEI PRIMI PENST,TORI GRECI il proprio intimo, ma spesso parla per enigmi o CÀ.P. s,, miglia all'oracolo di Delfo del cui signore Eraclito rlir.,.: « Egli non si pronuncia e non nasconde: egli accenrrrr (B 93). Anche il linguaggio della Sibilla richiama la s,,,, attenzione filosofica: « Con labbra folli ella dice cos,. non rise, non imbellettate, non profumate» (B 92). Non sembra di ascoltare parole che nella forma 1,i',i condensata descrivono il linguaggio del filosofo stesso / fl tono da oracolo, la tendenza al mistico e all,enigmir_ tico concorda con tutto il suo atteggiamento profetico. « Gli uomini sono in contraddizione col logos, col qual,. però sono continuamente in contatto, e le cose che in_ contrano ogni giorno sono loro estranee » (B ?2). Occorn, quindi che intervenga il mediatore e interprete. « per chi non ha ascoltato me, ma (attraverso le mie parole) il logos, è saggio riconoscere che tutto è uno » (B S0). Cosi Eraclito ritorna continuamente su questo ar_ gomento. L'unità di tutte le cose è il suo alfa e omega. Ma se abbiamo appreso quanto prenda sul serio qr"Jro suo messaggio, quanto stimi colui che lo reca agli uo_ mini e quanto si sforzi di presentarlo come vera cono_ scelnza del divino e di circondarlo d,un profondo mi_ stero, diventa sempre piri urgente chiedere in che cosa consista mai la novità di questa d.ottrina e in quali rapporti stia con la filosofia dei predecessori. Già la filosofia dei naturalisti aveva parlato di una prima causa di tutte le cose, Senofane aveva predicato ,r, Dio universale, Parmenide aveva insegnato lrunità e uni_ cità dell'essere e tentato di dimostrare apparenza la pluralità del mondo concreto. Sulle prime non sem_ bra facile dire in quale particolare modificazione d.ella dottrina dell'unità consista il merito originale di Eraclito. ll principio unitario dei milesii era, in qaanto àqyj sostauziale, in testa a un processo rettilineo dell,evolu_ ,, VII: ERA,CLITO 189 rlorro dcl mondo. Essi volevano indagare come e donde lirnrc nata ogni cosa e che cosa fosse stata da principio. I'lltr:lito consid.era il processo del divenire e perire come r!r)Él.unte capovolgimento dei contrari e 1o esperimenta rr,.ltt « via in su e in giÉ » che ogni cosa percorre inr'(.HHuntemente a8. Egli applica il suo principio anche nllu cosmologia d.ove troviamo la singolare dottrina del lìroco, fondamento indistruttibile del mondo. Yero è olrr: i frammenti non ci dànno una fisica compiuta ed ò piÉ che dubbio che Eraclito si sia creduto capace di rrrigliorare le teorie dei predecessori milesii. Si ilirebbe rJrrasi che anche la scelta del fuoco quale sostanza ori' ginaria si debba spiegare con l'idea del capovolgimento rlci contrari e della loro perpetua vicenda, idea che rlomina tutto il suo pensiero. Non è neanche certo che, in genere, si possa chiamare principio (àpXil il fuoco. « Questo ordinamento del mondo, il medesimo per tutti, non fu fatto cosi da nessun Dio e nessun uomo, ma era sempre, è e sarà fuoco eternamente vivo che a misura si accende e a misura si spegne » (B 30). Non sarà ne' cessario soflermarci sulla piri esatta interpretazione di queste parole, ehe urta contto parecchie diffrcoltà, né sul quesito ancora aperto se Eraclito ahbia sostenuto l'incendio del mondo (èxruipao6) che gli stoici gli attribuivano. A me sembra chiaro che neanche l'antichità abbia posseduto affermazioni precise di Eraclito su un periodo dell'universo nel quale tutto si dissolve nel fuoco 4e, ma penso che questa opinione sia dedotta da frasi come questa: « Il tutto è valuta di scambio per fuoco e il fuoco per il tutto, come merci per oro e olo per merci » (B 90). Ma questo scambio avviene conti' nuamente nel mondo, come si rileva da questo frammento: « Mutazioni del fuoco: in primo luogo mare, la metà di esso terra, la metà vento ardente » (B 21). Qui si allude celtamente al continuo circolo degli ele- 190 LA TIIOLOCIi{ DEI PRIMI pENSTtTORI GRECI menti. Tutto ciò fa pensare che Eraclito anche nell:r cosmologia abbia messo soprattutto in rilievo la pr,,_ pria dottrina dei contrari. Mentre i vecchi filosofi natrrralisti avevano tentato di spicgare le origini del monrl,, con le sue forze fondamentali dall,unica causa prinrl mediante ipotesi fisiche come la secrezione, la condcrr_ sazione e la rarefazione 50, Eraclito tiene evidentement.(l assai meno al « come » fisico e molto piri alla confermir della sua idea fondamentale che ogni evento si cornpir, sotto forma di contrari e nei contrari stessi si costi_ tuisce continuamente l'unità 51. Essa sta quindi al cen_ tro ed è sempre presente, anche se il processo como tale è rapido come un fiume che non è piri il medesimo quando uno vi si tuffa Ia seconda volta. « Mutando si ri_ posa » (B B4). Anche la totalità del mondo è soggetta a questo mutamento, anchressa trova nel fuoco il con_ trario nel quale si tramuta. Si capisce quindi perché Eraclito non si accontenti di formule quali «tutto É di.."_ nuto dall'uno» o «tutto è uno» ma dichiari che «da tutto uno c da uno tutto » 52. A lui importa appunto la reversibilità del processo EB. Eraclito non tenta come Parmenid.e di saldare l'unità in un essere rigido, ma la trova nel mutamento perpetuo. Perseguendo, dunque, lo stesso scopo, per_ corre Ia via opposta. Recentemente si è detto che que_ sta soluzione del problema dell,unità sia la piiÉ cata e presupponga la conoscenza di parmenide;"o*ptie che Eraclito, senza accettare l'essere immoto e senza ripudiare la pluralità concreta, cerchi di salvare l,unità come principio eterno 5a. A me quest,ipotesi non sembra probabile. Stabilire l,unità nel concetto eleatico dell'essere era una delle vie possibili; quella di Eraclito però, che dà la possibilità di conservare lrunità nel mondo del mutamento, era piri affine alla visione fisica che gli ionii avevano del mondo ed è piri conforme aI CAP. VII: ERACLITO 191 Bpirito. Nuova è la concezione mistica del pensiero rrnitalio la quale fa intendere comc la visione del mondo rhri filosofi naturalisti stimoli le forze religiose nelI'uomo a una reazione sempre piri forte e le inviti a rrt.rappargli cot nezzi propri una nuova interpretazione rl,r:ll'esistenza. In ciò sta l'originalità di Eraclito. Egli rron è sulla stessa linea dei fisici antichi ma è profonrlamente sconvolto dalle loro verità cosi grandi e travolgenti che da principio elano presentate senza badare rrll'effetto che dovevano produrre sulla vita interiore dell'uomo e sulla sua posizione nel mondo. Eraclito è il pensatore che per prirno si espone senza riguardi a (Iuesta azione la quale rninaccia di distruggere l'uomo c di rendere impossilcile una vita sensata dell'individuo. [.'idea del cosmo, in quanto rivelazione dell'unica legge divina alla quale ogni essere è soggetto e che l'uomo r) chiamato ad osservare, diventa per lui il punto di partenza verso una nuova interpretazione del mondo e dell'esistenza ufllana. Egli vuol portare gli uomini ad accogliere consapevolmente questa legge e ad accettarla eroicamente con tutto il loro « fare e pensare ». Può sembrare che nel nostro concetto Eraclito si scosti dai filosofi in senso rigoroso e si awicini a Senofane, il quale subisce anche lui l'influsso dei filosofi naturalisti ma è qualcosa di diverso da loro, un illu' minista, urì rnaestro del popolo per proprio conto, che dalla nuova scoperta trae conseguenze per gii dei antichi e per la visione mitica del mondo. Senonché questo confronto, che si è voluto fare recentemente, vale soltanto nell'esteriore e porta fuori di strada s. Eraclito non è uomo delle piazze come il poeta dei Silli. Eraclito è un solitario. L'interessamento molteplice e fervido del Colofonio, il quale non concentra mai la sua mente in una creazione di pensiero tutta sua, e l'irrequieta varietà delle sue produzioni e dei suoi attegIru() 192 LÀ, TEOLOGIA, DEI PRIMI PENSATORI GRECI CAP. VII: giamenti sono esattamente il contrario della forza ,,, lida e condensata di Eraclito che sa raccogliersi in rrrr,r creazione unica e grandiosa. Eraclito è un pensat.r,r,. personale come pochi. Nonostante i suoi violenti, trrl volta cinici attacchi alla religione popolare, non ò rrrr semplice illuminista 56. Dietro a questo aspetto sta urr:r propria serrata visione del mondo che non solo rovescia le idee del passato? ma sottopone Ia vita allrr sua nuova legge divina. Di questa capacità di compr._ netrare e formare la vita partendo da un centro n«rrr troviamo in Senofane nessuna traccia. Crè un unit:o passo dove dice ehe lui e la sua mentalità sono utili all'ordinamento statale 57, ma in questo punto egli corn_ batte per la sua posizione sociale e considera il proprio sapere in antitesi alle virtri agonali della capacità spor_ tiva che i greei del suo tempo apprezzayano piÉ delto spirito. Ciò ha ben poco a che vedere col qqoaelu di Era_ clito. Che opinione questi avesse di Senofane risulta dalle sue stesse parole: « La polimatia non insegna la comprensione. Altrimenti l,avrebbe insegnata a Esiodo, Pitagora, Senofane ed Ecateo » (B 40). « Tra tutti coloro, dei quali ho ud.ito le dottrine, nessuno arriva a eapire che ciò che è saggio è separato da tutto » (B 108). Peccato che proprio queste parole, con le quali Eraclito afferma di essere arrivato piri lorr_ tano di tutti, non si possano intendere con piena chia_ rezza. Che cosa è il saggio che è separato da tutto ? « Separato da tutto » può valere soltanto per Ie cose del mondo empirico. Il saggio di cui egli parla non è dunque identico con nessuna di esse né esiste in alcuna di esse, ma le sorpassa tutte. Lruomo in parti_ colare non può pretendere questo attributo. « La na_ tuta umana (i18oq) non ha intuizioni 88, le ha soltanto la natura divina » (B 7B), dice un,altra sentenza. « IJno solo, l'unico saggio, non vuole e pure vuole esser chia- ER-A"CLITO 193 rrrltrr Zcus » (B 32). In nessun altro punto il modo in rrr l,lraclito intende il suo rapporto con la religione ' ,1,.1 popolo appare piri manifesto di qui. Egli distingue lrrr usanze e idee che gli sembrano indegne e vergoprrso e che egli bolla senza risparmio, da una parte? ',, rlrrll'altra, l'idea religiosa del Dio supremo? il eui rronrr: Zeus gli è sacro perché suscita concetti puri e urrlrlirni 5e. Certo non si può equiparare la sua idea di llio con la figura di Zeas rrnanizzata, ma ciò nonoalrrrrtc questo nome indica, secondo lui, la strada che r,gli percorre sotto la guida della conoscenza 60. Tutte 1,. ;rarole di Eraclito sul rapporto tra l'uomo e Dio cerrnno accuratamente di allontanare da Dio ogni qualitrì umana. « IJn uomo è puerile per la divinità come rrrr fanciullo per l'uomo » (B 79). Si accenna anche al lrroblema della figura di Dio, come si è visto già in Srnofane e come era ovvio in un ambiente che veneruva gli dei nelle loro immagini. « Confrontato con Dio, I'rromo pirÉ bello è una scimmia » (B B3). Cosi anche i prodotti della mente umana sono « giuochi da bambini » (B 70). « Infatti anche ciò che il piÉ degno di I'r:de conosce e fissa è soltanto credibile. Certo però Dike saprà acciuffare i mentitori e i loro congiurati » (ts 28). « Esiste un'unica sapienza: di comprendere l'intuizione che governa tutto e in tutto » (B 4I). La parola « governare » ci richiama alla memoria la tesi di Anassimandro che poneva l'apeiron pari al divino. Dopo di allora era evidentemente l'espressione usata per l'attività del principio divino che guida il mondo 61. La vediamo ritornare anche unita alla teoria del fuoco nell'affeunazione che « il tutto è governato dalla folgore » (B 64). Qui la folgore è, anche con allusione a Zetrs, l'arma del Dio supremo, lo strale furibondo del fuoco primordiale che giunge dall'universo. Se è in grado di governare 62, vuol dire che il fuoco è, seppure non 13. rfl - W, J,tEcDn, La teologia rlei prim;ì pensatori greci, t94 LA. TEOLOGIÀ. DEI PRIMI NOTE -A.L CÀ.P. PENSÀ,TORI GRECI uguale a Dio, in stretti rapporti eon la suprema siril gezza, In Anassimandro non pare che il governo rl,.l principio sia da attribuire ad una intelligenzai tarrt. Senofane quanto Eraclito gli attriliuiscono lo spiri r ,, che muove il mondo e la sapienza supremai m& s,ltanto con Eraclito l'attività spirituale di Dio è mcgli,, determinata dall'unità dei contrari contenuta nella lcgg,. divina. Ma una legge promulgata da un singolo 1ruò ancora chiamarsi legge ? fl concetto di legge prov(.niente dall'àmbito giuridico è per i greci la norma g(:nerale cui tutti obbediscono. Al tempo di Eraclito l,r si stabiliva per lo piri con votazioni a maggioranza. Si tratta di un'epoca democratica. Questa norma, validir per tutti, che è espressione del cosmo, Eraclito la dev,. collegare con l'idea unitaria del principio supremo chc esige la figura di un sovrano divino. Egli risolve il dilemma dichiarando: n È legge anche obbedire alla volontà d'un solo » (B 33). Se Dio stesso, nella sua perfezione assoluta, è il tiranno, la sua volontà è invero la legge piri salutare per tutti 63. NOTE AL CAPITOLO SETTIMO 1 Cfr. sopra, p. 45 sg. 2 Questa opinione proviene da Aristotele (Metaph. A 3, 9B4a B) il quale dopo Omero e Taleteo rappresentanti dell'ipotesi clell'acqua, e dopo Anassimene e Diogene, rappresentanti dell'ipotesi dell'aria, presenta Ippaso ed Eraclito come coloro che quale prima causa materiale avrebbero preferito il fuoco. Su questo punto tutti gli antichi dossografi sono pienamente d'accordo, da Teofrasto a Nemesio di Emesa, poiché alla fin fine tutti dipendono da Aristotele. 3 Aezio 1,230 7 (Dror,s,Doxographi, p. 320): 'Hgdù.emogfipeplau pèu xai ord.ou éx tdu 6)"o» àai1pet. I Questo aspetto della filosofia di Eraclito fu messo in rilievo da Platone: cft. Crat. 402a. Aristotele, Metaph. A 6, 987a 34 sgg. considera addirittura il ndyza {ei uno dei motivi fondamentali dell'ontologia di Platone. D'altro canto le parole nduta {eZ non si trovano nei nostri frammenti di Eraclito e forse non risalgono neanche a lui, bensi a qualche posteriore seguace della sua dottrina, como VII r95 ilo o gli « eraclitei » menzionati da Platone, Theaet, LB9e, 440c. A giustificare questa loro interpretazione della fiIosofia rli l,lraclito essi potevano certo richiiìmtrsi ad asserzioni come ll 12, B 49a, B 91. 6 Cfr. K. RnrNulnnto Parmeniileso p. 205 sgg. Zeller e Burnet r.lrr: seguivano ancora gli antichi dossografi videro perciò in Eraclito nrrzitutto il filosofo naturalista sul tipc dei l\{ilesii. Reinhardt osnr:rva giustamente che ciò che in Eraclito corrisponde all'tineqou rli Anassimandro e all'dr di Parmenide non è il fuoco, bensi ér zò dul\iy.<(L'unico sapiente » non è un attributo del fuoco, ma il fuoco I llrr I lirnt. ir, r:ome dice Reinhardt, Ia forma nella quale esso si manifesta ed cxlrrime fisicamente. Cfr, anche H. Cnnnxrss, Aristotle's Criticism of Presocratic Philosophy, Baltimore 1935. 6 Cfr. BnuNo SNnr.r,, in « Ilermes » LXI, p. 353; Vrr,.luowrrzo irr « Ilermes » LXII, p. 276, ? Cfr. l'analisi che degli aforismi ippocratici dà E. Lrtr:nÉ, Oouares d."Hippocrate, IV, pp. 435-43. 8 È notoo e uon c'è bisogno di provarlo, che Eraclito fu molto lctto da alcuni autori della nostra collezione « ippocratica ». Più rli tutti lo cita l'autore d,el IIepì òruhqE. e I numeri fra parentesi si riferiscono alla numerazione dei frammenti di Eraclito nei l/orsolcratiker di H. Drnr,s, I0. Sono inscriti nel testo soltanto dove i frammenti vengono riportati alla lcttera. 10 Gli ultimi decenni hanno recato, frutto di un interessamento scmpre crescente, una vasta bibliografia sul pensiero di Eraclito. Ne menziono la nuova interpretazione pif profonda e completa dei frammenti: Or,or GrcoN, Untersuch,ungen zu Heraklit, Leipzig 1935. Cfr. le mie pagine su Eraclito in Paiileia, tr. it., I, pp. 332-342. 11 Io unisco à"e[, con ééwog (Diels) e non con à[werot. yiaoarar (Bur' net). Cfr. loesauriente discussione su queste parole in Greox, op. cit., p. 1 sgg. Cfr. l'uso ionico di étba (: reale, autentico) in Ippocrate, De uet. meil., cap. 1. La medicina .ri è chiamata réylr1 éo6oa. Cor, rc6 ),6you èéutoE à.e[ cfr. é6u'rog €uvo6 (Fraclito B 2). Per il contenuto vedi B 34: à{iuercr àxo6oauzeg xotqoiotu éoixaow' cpdrq aù'coiot» paptupei napedutag ànehtau Cfr. anche B 72. Benché volutamente retorico, Io stile prende qui il colore dali'antico discorso religioso dei profeti. 12 Similmente B 50: oòx épo6 ilJ"à rc6 ).6you àxoioautag. 73 òmtpéau non .: òmqoipeuoE: cfr. Erodoto VII 16 dove lo si dice d.ella yvtilttl @tou éyò òruqéa\. 1a Eraclito B 89: «I veglianti hanno il medesimo cosmo». Cfr. anche la contrapposizione di veglia e sonno in B 210 B 26, B 73. 15 Cfr. Eraclito B 1: "roùq 6è ii),ltot.6 ù,$primouE. 76 Cft. voeiv, ud4pa in Farmenide B 7,2; B 2,2i B 3; B 6' 1 e 6; B 8o 8,17,36 ecc. (Invece Parmenide B 16,3 Epouéer); Fla' clito usa gpdurpog, gpoue-tu, qpduqoq in B 2, B 17, B 64,8 llz (?), B 113, B 116, Circa il significato pratico di gpdurloq efr. il mio lri- it., p. 106 sgg. Eraclito chiama tò qpoaetu àpezìy peylott1, B 112 (Kranz preferisce la variante oaqgoueiu), stotele, tr. 17 18 Cfr. Eschilo, -1,, Ag. 116. Eraclito, B énq xaì éqya. 196 LA. TEOLOGIA rs Id., DEI PNIMI PENSATORI GRECI B 112, ooqi| (sci[. iozi) il.a\éa léytu xaì 20 [d., B 73, où òti aonrp xaStiòoitaE 21 Id., B 1. 22 Cfr. qui sopra, nota 14. 23 Id., B 2. 24 Id., B 113. 25 Cfr. sopra, p. 154. 26 Id., B 29, B I04. Cfr. anche B 49. 27 Cfr. qui sopra, p. 179. 28 Eraclito B 113. 2e Cfr. il mio articolo Die Anfiinge der NOTE A.L CAP. norciu. noici» xo.ì ].éyetv. Rechtsphilosophie und, di" Griechen, in « lgilsshrifl f. philosophische Forschuig 3o Cfr. sopra, p. 51. 31 Le Erinni colpiscono ogni infrazione di quelle remmo le leggi naturali della vita. Cfr. Omeio, 32 33 Cfr. sopra, p. 45 , IIi, p. 334 sgg. che noi chianlrAtB. Il. Lg, sg. fln'osservazione simile abbiamo dovuto fare intorno al significato della Dike di Anassimandro. Cfr. sopra, p. 50 sg. Diogene Laerzio, 9, 5 (Eraclito A l): zò^ òè aùttu $epépeuolu ^ ^34 'òrilptltat pìv ùnò roù .ouli7-ourog [ftqì qùotaE,0,.frLio» òi -io-r.ì e-tE rQe tq riq re tòu nryì toù na»tò; xaì nolLttxòv x,ù $edoyrx,6u.^oyoùc,. 35 Vedi Paid.eia, tr. it., I, p. 340. 36 Diogene Laerzio, 9, 15 (Eraclito A t) cita fra i commentatori di. Eraclito il- grammatico .Diodoto, 69 oii q4or negì gt3oeaE eh,ar, zr\ oiyypap.pa. il.),à nryì no).nriaE, zrì dÈ zriqi EioàaE i» iapaòeiyparog€iòFt xeio|at. Le parole nserva solianìo da esempio àhe É,, usato nel testo, mi sembrano la migliore traduzione -del"ogreco dl nagaòeiypatoq eiòet xe[o$at.Ciò vuol-dire che Eraclito dieàe, sott,, fo_rma di paralleli cosmici, una spiegazione filosofica della vita umana alla quale era anzitutto intereisaio, Per lui il cosmo era la vita umana in grande. Questa fu certamente Ia via per la quale i predecessori di EracHtò erano giunti all'idea del c6'smo. A".,"r,oro'rpplicato il concetto dell'ordinè sociale umano al mondo nella sua tàtalità dove l'avevano ritrovato. Con l,opinione di Diodoto circa il libro,.di Fra,clito si potrebbe pa.agonire l,inrerpretazione della Repubblica di Platone che ho dato in Paideia, II: cheìioè quest,opera di Platone non èo come reputa la maggior parte dei lettorì, un t'rattato sul migliore governo della polisf bensi sulla natura e sull,educazione dell'anima umana, e che la politeia è soltanto la cornice ideale della paideia platonica. 37 Giorno e notte, Eraclito B 57; vita e morte, B 62, B T?; umido e asciutto, caldo e freddo, B 126. Cfr. anche B 65 e B 67 (citato nel testo, p. 185). Cfr. qui sotto, nota 43, 3e Cfr. il passaggio dalla sfera cosmica alla umana in B 62: gio^rno e notte, inverno e estate, guerra e pace, eccessiva sazietà e fame..Per.l'interpr,etazione_di B-65 e 6? e per il passaggio degli esernpio ivi riportati da Eraclito, dalla sfera cor-ica alla viù ,-aia e viceversa cfr. la nota 43. 3e Eraclito B 24, B 25. ao Vedi ivi, B 53. a1 Per l'elernento poetico dell'inno nel linguaggio dei filosofi pre- VII L97 p.44 sg. Con le parole di Eraclito nd).epoq n du t ou pèy fidriQ éd'tt,, nrl.ut au òè paot).eiE si potrebbero conlìorrtare quelle di Anassimandro (A f 5) sul carattere divino delxrxrrrrtici cfr. soprao I'upeironz xaì nepÉ7ew iinaure rloi xrtiuta xuPepttdy.... xaì rrt'irc' elyat tò ùeiou. Simili sono le parole con le quali Diogene di Apollonia (B 5) dichiara divino il suo principio cosmicoo cioè I'aria: xui pot òoxet tò rì1u »òqou éyou eiaat 6 àì1p xd.oipeuoE ònò tdta rù,flQtimau xaì 6nò todzou nda'rag xoBqaiio'\u xaì ndytal xgo'reiu, e nella riga successiva ,4ctì éfli ndu à-qiy$at xaì xr d u r a t\t.r*t$éyat. xaì èu naatì, éyeiyat. Questi passi paralleli dimostrano il r:ango divino del polemos di Eraclito, e in questo senso Filodemo, l)e piet. M, 26 (p, 81 Gomperz) interpretò le parole di Eraclito. l)ice infatti: xaì'ròy nd)"epoa zrdì 'ròu lia zòu atiròa etuat, xa&rinep xuì tòr,'Hgriil'enou ),éyetu. ll carattere divino del polenos di Eraclito è confermato anche dagli attributi che egli gli assegna altrove r: che lo legano ed eguagliano ad altri aspetti del suo principio sul)remo, per es. al concetto fondamentale del « comune » ([utdu), SaJrienza e ragione sono comuni a tutti (cfr. sopra, p. 179). Nel l'r:amm. B0 egli applica I'attributo «comune» alla guerra: eidiror r)è yg\ zòu nritr"epou é6ura §uudu, xaì òixqa kdr' éQo %aì XQe(i)» (quest'ultima parola épr,u, xaì ywòp.ùa ndyrct è guasta e nor è stata ancora emendata in modo soddisfacente). Il paragone fra Ia guerra o ura lite giudiziaria (dihe), con la quale la guerra ha in comune il (Ìontrasto, dimostra che in fondo la concezione del monilo di Erat:lito risale all'interpretazione che Anassimandro dà al processo di divenire e perire come lite giudiziaria. Cfr. sopra, p, 50. Le parole nél,epou èét'ra [uuéu sono una variazione dell'omerico [aaòE' Eat:d).rcE (Iliade, 18, 309). Omero « sapeva » dunque « la verità » e, benché la dottrina di Eraclito intorno ai contrari non provenga da discus- sioni su Omero (come pensa Gigon, op. cit., p. 1I7), il poeta è tuttavia chiamato a testimonio di questa dottrina, nello stesso modo in cui viene attaccato ogniqualvolta la verità (cfr. qui sotto, nota 46). sembra in contraddizione con a2 Eraclito B 114. Cfr. sopra, p. 181. Eraclito afferma che questo divino, simile in ciò alla guerra (B 53), « regna fin dove vuole, soddisfa tutte le cose ed è padrone di tutto »: attributi che spettano soltanto all'onnipotenza divina. Perciò « guerra » non è in questo caso la guerra, bensi il principio dell'(armonia dei) contrari uép,og che governa 43 il mondo. Id., B 65. Qui sono indicati i contrari XQt?lpodùurl e r'4éQoe, In B 6? soto xdqog e )"ry6g. Qualcuno ha manifestato il sospetto che si tratti soltanto di varianti di uno stesso frammentoo ma, come sappiamo, Eraclito aveva la consuetudine di far valere il suo principio mediante ripetizioni, come appare da altri passi (cfr. B 32 con B 41 e vedi RETNHARDT, op. cit,, p. 62 n. l). Ciò si spiega col carattere profetico del suo linguaggio e si accorda con la sua posizione di maestro dei « dormienti». Le parole xépog e ).LpéEindicano, a quanto pare, soltanto l'esperienza umana della fame e della sazietà, mentre la variante yQndpooiyq e xdpog in B 65 rivela che si tratta di un principio di piÉ vasta applicazione. Per I'interpreta- zione dei due frammenti cfr. Greor.+, op. cit., p. 49 (vedi sopra, nota 10). Gigon vede giustamente che le parole si riferiscono a un LÀ TEOLOGIA DEI PRIll{I 198 PENS.A.TORI ORECI principio-di-universalità cosrnica. Anche « guerra e pace » clrr: ;,r,, cedono « la fame e la sazietà » (B 67) hannò chiaraÀente Io slr.r,,,, carattere cosmico, benchd l'uomo ne faccia esperienza soltanto rrcll,r vita_umana. Qui arriva a intenderle per la prima volta dall,inttr.r,, 44 a5 Intorno a Eraclito B SI cfr. Grcoxf op. cit., p. 28. Eraclito B B. Greox, cheo in base a B 5f, è àel parcn: r.lrr. Ia dottrina dell'armonia professata da Eraclito non ab-bia nic,,r,. a che fare con l'armonia musicale (cfr. op. cit., p. 23), deve n:rtrr ralmente considerare sospctto il frarnmenio B B (pp,2'5, lli;o .rirr,, che le parole s:Jla xct).).iot4 àppovia si riferisconà-chiaraménto ll musicale quale prodìtto della lite (eris), della tensiorr,. delle corde. Ora questo incontro di u lite , e ì, armonia » non (.r:r forse p_er_Eraclito l'esempio classico che egli poi ampliò facenrl,,,,,. un simbolo di universalità cosmica? Secondò lui, è staio il medesirrr,, principlo 4ella lite e della tensione a produrre la lira e l,arco, stnrmen-ti deile arti della pace e della guerra. ao Aristotele, Eth. Euilem. Bo 1,-1235a 25 (Eraclito A 22). a7 GrGoN, op. cit., p. 11? mette in dubbio l,autenticità dei'drr,. contrari 4pqù: |ii),u che Aristotele ettribuisce espressamente irrl Eraclito (Eth. Eud. B, l, 1235a 26-27). L,aryomenra-zione di Gigorr no_n è-molto chiara. FgIi dice soltanto (p. ffZ): «Nella cornir,,. della dottrina di Eraclito esposta finora è'àifficilé collocare propr:i, ». Arist_otele, De gen. an.. L, L7,724b g presentà pulr 91Qee»:$if,u l'unione di mascbile e femminile come esempio d,eila yéueori t:.t l'ar_monia_ è.yo.yr ittty. _azo {«Qui afferrate senzaindugio sacro pubblicomistero». Goetho, Epirrhema,, nel ciclo di poesie-Golt unil-Weh. N.d.:f.1. a8 Eraclito ae Cfr. K. B - 60. RnrNuenor, Parmeniiles, p. 169 sgg. il quale, sull'escmpio di Sc leiermacher e altri, diilostra, càirtro felle", co, argomenti ineonfutabili che Eraclito non anticipò la dottrina stoica della éxnrjqaol6 clel mondo 50 Secondo Anassimandro (A 9)_ le cose sorsero per à.néxgrcq da.ll'apeirono secondo Anass_imène (A S) per njxuaàq e p,itioorE della sostanza prima, cioè dell'aria.' 51 fltti_si può affermare che, come osserva RrrNn,lnor (op. . p.Dii73-), cit., -Eraclito non ebbe una cosmoloEia sviluppata .""oido le norme della scuola milesia. Teofrasto, nei di Diogene Laerzio (?,^9),_ ."rl sapeva evidentemente piri "i"ssrriò di quanto potC riley3ig d.-P 90 (nopòE, àpor.pì1u -rà nduta). Secòndo quàsto, lo-ororytiou di Eraclito era il fuoco;'e'se Teofrasto deduce dà questo prin;ipio tà ywdpeua per ndxaaotE e à.qaiaoq, questa deve èssere ìn,int-e.pretazione sua. Rassoprnalo aggiunge: oarpùc òè ot6èv txri\erat.In vcrità,-la spiegazione è facile, se Leniamo presente che tutto il pensiero di Eraclito era rivolto all'unità delie cose. 52 Eraclito B 10, B 50. 53 Id., B 51, B 59, B 60. 5a Cfr. I(, RrrNuanor, op. cir.o p. 64 sgg. Egli ha capovolto la tradizionale opinione circa il rappo-.to stoii"co fia Eraclito e par- menide, secondo la quale Parmenide avrebbe criticato Eraclito. Ma per quanto io sia d'accordo con Reinhardt che parmenide B 6 non può cssere rivolto contro Eraclito (vcdi sopra, p. 160), non NOTE A.L CAP. ItÒr qnesto ne risulta che rlrrr: pensatori e che si debba VII capovolgere r99 il rapporto fra i la teoria di Eraclito intorno all'unità dei con- tltri sia un tentativo di mettere d'accordo Parmenide con l'esperiunza comune e con le idee dei precedenti filosofi naturalisti. 06 Cfr. Grcox, op. cit,o p. 135 sgg. e passim. Gigon vede in Era- llito uno spirito sintetico che ha subito l'influsso di idee e tradizioni 0l.crogenee. La teologia di Eraclito gli sembra un « elemento estra- nella sua filosofia che « accanto alla cosmologia fa un effetto rrrolto strano ». Per conseguenza va cercando un influsso esteriore r:hc possa spiegare questo clemento nel pensiero di Eraclito e ne rrco » t.rova la fonte in Senofaneo il pensatore che può considerarsi tra i presocratici il teologo per eccellenza. Ma beuchd Eraclito abbia rlualche tratto in comune con Senofane (quando per es. per la sua irlea tli Dio rifiuta ogni analogia antropomorfa), le loro teologie sono essenzialmente diverse, Non solo hanno radici diverse, ma gono del tutto diflerenti anche nel loro spirito. Non si può vedere in Eraclito un tardo rappresentante della filosofia naturalistica ionica il quale abbia iufuso in questo corpo una teologia senofanea quale anima, mentre invece le sue idee teologiche, come quelle cosmologiche, derivano dall'aver portato a termine il pensamento della io-cogit1 milesia trasformando quest'ultima in una fi- losofia che diventò anzitutto interpretazione dell'universo. Come abbiamo cercato di dimostrare in questo libro, la filosofia naturalistica ionica ebbe fin da principio l'elemento teologico. La vera radice dell'idea di Dio in Eraclito è la. dike di Anassimandro piuttosto che l'onnipresente supremo Dio celeste di Senofane. Per Eraclito l'essenza di ciò che egli ehiama Dio si manifesta negli effetti della sua dilee nel cosmo, nella lite e nelloarmonia dei contrasti fondamentali che costituiscono la vita del mondo. È una originale e logica concezione dell'essere. Senofane arriva al suo concetto del Dio supremo per tutt'altra via. Egli combatte quei tradizionali attributi degli tlei che gli sembra non « siano conformi » (ènmpéner.u') alla natura del divino. L'autore dei SilJoi parte da una critica morale e cosmologica dell'opinione convenzionale intorno agli dei. E bensi vero che la nuova concellone cosmica dell'universo che egli aveva appresa dai filosofi milesii contribui al concetto senofaneo della dignità e po- tenza divina; soltanto un universale Dio celesteo che domina il mondo col suo pensiero senza spostarsi di qua e di là, poteva adempiere le esigenze di ciò che Senofane intendeve per « conveniente a Dio »; eppure non si può dire che il suo corcetto del potere di Dio e della sua azione nel mondo sia derivato da una nuovao logica visione della vita umana e cosmica, come invece si può dire di Eraclito. D'altro canto la questione della natura del divino pare abbia avuto nel pensiero di Eraclito uno spazio maggiore e un posto pif eminente che nella cosmologia dei milesii. Cosi poté accadere che interpreti antichi di tempi posteriori parlassero di una palte teologica, una politica e una cosmologica della sua filosofia o, in genere, non considerassero la sua cosmologia come fine a se stessa (cfr. p. 196, note 34 e 36). 56 Cfr. Eraclito B 14 e B 15, dove si scaglia contro i riti del culto di Dioniso. Ma in complesso il suo atteggiamento contrario alla religione popolare consiste piuttosto nel rnodificarne i concetti 200 LÀ, TEOLOCI,A, DEI PRIMI PENSATORI GRÉCI NOTE la propria fiIosofia, cioè partendo dal suo nuovo centnr. non interpreta » ma ( sottintende » (Goethe, Faust), cotrr,. -« secondo Egli accade spesso nei mistici. Vedi Zeus (B 82) e'la « Speranza i 1èl,"icl della religione dei misteri nel suo tempo (B ZZ)..Similmente t,. Xrinni veng_oljl^ intese rn un nuovo senso cosmico (B 94). L,oscu,,, $Su-aggio dell'oracolo di Apollo a Delfo diventa,'nel pensiero rli Eraclito, un simbolo per il linguaggio della natura (B-93); e cosi anche la-6gura profetica delta §ilila (B 92). Nello slesso'modt» i. trattato il mito degli eroi che dopo la loro morte diventano crr_ stodi dei vivi (B 63). 57 Senofane B 2,79 sgg. Cfr. sopra, p. 80. 58 Eracljto B.7B: i1Bo.q yàp ù»\gùntrcu pè» oi,x iytt y»ùpaE,0ttrt .. òì_éye1.. Dieìs, Gigon e altri traducoro yvùp4 con «intuizion"',,, p,,rola che ho conservato nel testo, che però ha bisogno di una spi,,'cl'r. q-o_rio19t Tn Teognide 60 yudpar, sono n norme , d u misure ,, ibid. 693: l'eccesso ha mandato in rovina molti uomini stolti, poicht! è difficile tcner la misura nclla feliciLà. Ivtbp4 è precisarnente iuest,, yudaat, pétgo_u.,-pe1 cu! è detta il meglio che'glidei po.ruro d"r" u un uomo (ibid. lLTl), poiché «possiede (la-coscieiza de)i limiti di tutto »: che è evidentemente una parafrasi di Solone, framm. 16 Diels, dove dice che la cosa piÉ difficile sta ncl veder l,invisibile misura_della yv@lto6ii,tl Ia quale possiede i timiti (neiqara) di tutto. In Paid.eia, tr. it--, I, p. 241-n. ?3 ho dimostrato Àediìrnte'questi passi p_aralleli che Clemente di Alessandria deve essere in erràre quànilo riferisce la yvatpootiu4 nei versi di Solone soltanto a Dio. -Solonc deve aver avuto in mente una quaÌità umana, per quanto rarissima. Si.potrebbe ricorrere anche a Teognide B9S: yaòptqq où6èu ìipewov ày.ì1p iytr aòrò.q it aùtqu oùò' ayrapToivtTE, Xi[n, àOiiaqArepo»'. F,ro,clito invece diee realmente ciò che CleÀìnte-fa'dire a-Solàne: che la natura umana non possiede afratto yyritun ma soltanto la natura divina. Persino un uomo adultc paragonato ton Dio è ufinrcq (B 79). Il divino, ooqdu^ è.effettivamenie nrivtr»v e1loQ,6péyo; 6i ìOSy '" perciò è detLo Éz rò oogd» (B 32 e B 4l). Se Ià yvtnl,a di bracliio ò la consapevolezza della'misura (4Érporr), sarà fi,i 'fotn" inrenderc perché E_racljto parli cosi spesso'di àiiura a pìoposito delle cose divine: il sole non sorpasseìà la sua misura tÉ Sal; il cosmo è zDo anrdpetov pé.tqa-xaì ànoopet»ùpuov p{rpa (B 30).'Cfr. Ia fra"e peì r_pÉ-trar, tic, tòv aùtòy Ldyo» (B 3l) intorno a 9d).aooa e alle sue modificazioni. Anche Ia continua vicenda (àwapotpr) de'l luoco e di « tutte le cose » fra loro (B 90) presuppone l,idea é;una misura alla quale esso è soggetto. 5s 60 Cfr. qui sopra, nota 56. Difficilmente si potrà affermare che Eraclito « dando e non dando il nome ,, di Zeus al suo Dio abbia fatto una « conccssione a.lla credenza popolare » (GrcoN, op. cit., p. 140). 61 Anassimandro A 15. Cfr. sopia p. .13 sgg. Cfr. le osservazioni di Gigon-al testo di Eraclito B 4i; ma poco-ìmporta che si legga _èxu|éQunoe (Diels) oppure f xtBtQadrat (-Bywate"). Intoiio alla divina yuLip4 cfr. soprà, nota'S8.'Ilìiyta òù n,jarau 1 una formula reìigiosa che si trova spesso in forma simile, 82 Tà òè nriata oìaxi(er. Kcqaoudg (Eraclito B 645; oìaxllew è fu-en l'attività del timoniere (da oia§); coini xupeguat,, oioia i.fiAi-i.".-, rl spesso usata in senso AL CÀ.P. VII 20L traslato per I'attività del saggio sovrano o re. ll luoco o (in linguaggio mitologico) « la folgore » sostituisce in B 64 il sovrano divino. 63 Sarà opportuno ricordare chc ncl campo d'esperienza dei grcci la l"gg" per lo piÉ opera di un uomo, del legislatore, una ""r sprccie di incarnazione tlella massirna sapienza urnana. Platone nelle Loggi (6a1b) fa derivare la sapienza del legislatore d.al ).éyo; che r:gli chiama divino. Se teniamo presente questo fatto, comprenderemo piÉ facilmente iì pensiero di Eraclito quando dice: aéy,oq xaì §où.fi nt[$eo$ar, éudg, (B 33). Non significa tirannidc come la intende Prorneteo, che chiama Zers tpay"ùg %oì fiaQ' éamQ 'tò òixcu,ov èya» (Eschilo, Pronr. 186). Clprror,o Om.tvo EMPEDOCLE Mentre i greci della madrepatria nelle storiche battaglie di Salamina e di Flatea ricacciano in Asia la l)otenza dei persiani irrompente attraverso iI Mare Egeo, per concentrare poi, nei decenni dopo la vittoria, tutte le energie nello sviluppo interno ed esterno dello stato, il movimento filosofico, partito dala fonia, resta circoscritto al cosiddetto periodo classico, come nel preccdente YI secolo, alle zone marginali della civiltà greca. Questo stato di cose non cambia nemmeno con l?attivo risorgimento dello spirito greco nella madrepatria, nella grande poesia dei tragici e di Pindaro. Arvetrate fi piri di un secolo rispetto al pensiero illuminato delle teorie cosmologiche ioniche, le stirpi autoctone in mezzo a un mondo ormai largamente tazionalizzato attingono dalle profondità di forze ancora vergini la capacità di questa grande trasmutazione poetica d.el mondo. Questa ha tutt'altra origine della filosofia. Al centro della sua visione del mondo sta l'esperienza delle sorti umane e del superarnento di esse con lo spirito dell'umanità tragico-eroica che era maturata nei gravi conflitti di un secolo tutto rivolgimenti intestini e minacce esterne. Mentre dunque nella poesia della madrepatria, espressione appassionata di questa nuova esperienza di dolore e di vita, l'impeto del pensiero freddamente ra- 204 LA TEOLOGIÀ. DEI PRIMI PENSA.TORI GRECI zionale sembra essersi temporaneamente arrestato, r. mentre lo spirito greco compie una decisa svolta lrrtropocentrica reagendo palesemente contro la sovr;r_ nità quasi illimitata della ragione indagante, la fiI,,sofia nelle zone periferichc delle colonie greche i,r oriente e in occidente pcrsegue con meravigliosa cr,_ starl.za la via ormai presa. Il suo libero e vittorioso svi_ luppo in tutto un secolo non poteva essete annullato^ e anche la nuova comparsa del problema etico e rcli_ gioso divenne soltanto un,occasione per attingere nuo\ir forza e ticchezza. Senofane, il precursore, aveva inco_ rrinciato a purgare la coscienza religiosa dallrantropo_ morfismo delle antiche credenze; dopo di allora i gerrni di un'interpretazione metafisico-religiosa della nuova visione scientifica del mondo, insiti già nella filosofia na_ turale dei milesii, si erano sviluppati sempre piÉ sotto l'influsso della corrente religiosa di quel tempo. Circa contemporaneamente e indipendentemente l,uno dal_ l'altro, Parmenide aveva contrapposto all, apparenza dell'incessante divenire e perire il suo essere uno e incrollabile raccogliendovi il senso d.i ogni esistenza, mentre Eraclito aveva scoperto nell,unità dei contrari il nucleo divino nel mondo del d.ivenire. f due pensatori non avevano né voluto né potuto fornire una vera e propria interpretazione della natura sul tipo degli antichi milesii, sotto l,asperto di una com_ piuta cosrnogonia. Questo lato essenziale della filosofia dalla quale discende tutta la scienza posteriore lonlca, della natura, rivive con Empedocle e fa con lui un grande passo avanti. La successiva filosofia greca da Platone e Aristotele in poi lo consid.erò e citò continua_ mente come creatore della teoria degli elementi e quindi della fisica corrispondente. Ma dal nostro punto di vista ha maggiore importanza il fatto che egli non impersona questo tipo di scienziato nella sua Iturezza, bensi in una CAP. VIII: EMPEDOCLE 205 lrlrrna complicata dal desiderio di dare un'interpreta' zionc metafisica dello stato naturale dell'esistenza' (.)rrr:sto elemento espressamente religioso in Empedocle r:lrc, come è owio, trovò molta eco nei mistici neopla' t,onici della tarda antichità, doveva plesentare notevoli rlitlicoltà ai commentatori moderni in quanto scorgevano in lui, come già il suo entusiastico ammiratore l:ucrezio 1, soltanto o prevalentemente il materialista c il naturalista; tant'è vero che cercarono di separarlo (:ome corpo estraneo o lo biasimarono alrneno come ttteggiamento illogico. Ma quanto piri manifesta si l)resenta la tensione fra Empedocle naturalista ed lìmpedocle uomo religioso, tanto pi6 egli costituisce un caso esemplare in una storia della teologia dei filosofi greci. fl problema religioso assume in Empedocle già esteriormente un aspetto tutto diverso da quello dei suoi predecessori. Esso non si nasconde, come in Parmenide, dietro un concetto rigorosamente universale del puro cssere che, soltanto con la forma di rivelazione divina in cui è annunciato, rivela la sua importanza metafisica. Né lo si può confrontare con la visione cosmica di Eraclito dove l'intuizione logica della dialettica del processo fisico, l'unità dei contrari, è ad un tempo rivelazione del divino mistero dell'univcrso. Di Empedocle possediamo i frammenti di due poemi epici indipendenti, i quali espongono I'uno la visione fisica del mondo, l'altro l'aspetto religioso dell'esistenza umana: sono l'opera Dellct nattr'ra e i Kathatmoi ossia «Puriflcazioni». Nel poema della natura Empedocle, nativo di Agrigento in Sicilia, segue in quanto alla forma il conterraneo Parmenide, oriundo dell'Italia meridionale, serrza il cui influsso non sarebbe neanche pensabile la concezione della teoria degli elementi formulata da Emped.ocle. I Katharmoi sono per noi l'unica opera del- CAP. 206 LA. TEOLOEIÀ. DEI PNIMI l'antica poesia greca nella quale la religiosità orfica si presenta, sia pure in f,orma spiritualmente trasfigurata, attraverso la mediazione di un'importante personalità. Come si debbano intendere le due opere che sono espres- di una stessa personalità è un quesito molto discusso recentemente, al quale si è cercato di dare risione sposte molto diverse. Per molto tempo si pensò che nel calme lustrale Empedocle unisca alla « fisica meccanica » della sua principale opera filosofica idee religiose, come la metempsicosi e la pre-esistenza e il divieto di mangiar carne, idee che « non solo non hanno con essa alcun legame scientifico, ma persino la contraddicono » (Eduard Zel\er):. Altri hanno tentato di trasformare la posizione affiancata dei due poemi in una successione e di vedere nel loro diverso atteggiamento due gratli di una medesima evoluzione (I)iels, Bidez) 3. Si volle che Empedocle passasse da oscuri inizi religiosi a pensieri rigorosamente razionali, o che iu anni successivi, insoddisfatto della spiegazione meccanica del rnondo, abbracciasse l'irrazionale fede orfica nella redenzione e nell'espiazione. Questi tentativi di risolvere il problenaa hanno rrn lato buono in quanto riconoscono la necessità di considerare, piri. di quanto non si sia fatto Énora, la personalità di Empedocle che contiene entrambi i mondi. fn essa bisogna cercare, a quanto sembra, la ragione per cui egli riunisce cose cosi opposte. Naturalmente ciò ha un'importanza che non è soltanto biografiea. D'altro canto la distribuzione nel tempo dei due atteggiamenti spirituali, che noi sentiamo contrastanti, in due successivi periodi della vita di Em- al quesito della possibilità soggettiva di fonderli insieme, ma il quesito è soltanto rimandato, e iI concetto dell'evoluzione nel tempo serve ad ammorbidire il problema stesso. In realtà si abbanped.ocle, non è una risposta VIII: EIìTPEDOCLE PENSÀ.TORI CRECI prima dona senz'altro I'unità spiritualc della personalità di vedere a sufficienza se la figura di Empedocle offra epiun appiglio per spezzettare la sua vita interiore in eodi "i"!"ti. f" forse ha la sua parte di colpa il "iA dell'esperienza religiosa che, secondo la psico- concetto" logia mod.erna, molte volte ha un che di sentimentale' di incalcolabile, di improvviso' Ma anche se la catarsi si otfica di Empedocle fots" "'-'"rrota realmente cosi' potrebbe fo*r" t"prtare seriamente che i saldi concetti fisici fondamen.tali del poema della natura, i quali per tanti secoli furono fondamento di ogni studio scientifico ilella natura, abbiano percluto per il loro autore ogni via importanza eosi rapidamente da indurlo a buttarli di con leggere zt'a e a detlicarsi a un'esperienza esaltata comprensione la velso passo tutt'alilo genere ? Il primo dovrà qoinai corrsiste," nel ristabilire, nella sua primitiva arri.inomia, il problema se i d'ue Empedocli' iI na' turalista e il mistico-religioso, vadano messi l'uno ac- cantoall'altrool'unocontrol'altrorcomehatentato di fare per primo Ettore Bignone nel suo libro su Empedocle i, lrgoulmeote attraente per la psicologia e per ia storia deilo spirito; e hisognerà scoprire nell'anti' tesi I'unità. L'importanza d'ella personalità umana del filosofo della sua d'ottrina è ammessa inper la "'orop""n.ione àiruttu*"oie fin dalla tradizione antica' Di nessun altro biopresocratico possediamo una cosi ricca tradizione nell'ang"ufi"u. Empidocl" fu in genere considerato piri ii"Uia; che nella orLierna storia d'ella filosofia' Questa com' tende a interpretarlo come un filosofo incline al Parcon confrontarlo si può promesso, e ù verità non pen' di figura sua i"oide per il rigore e il peso della piÉ figure satore. Ciò nonostante è sempre una delle altro affascinanti dell'Olimpo presocratico, rlorl fosse per il suo valore storico, poiché ci consente di penetrare 208 LA TEOLOGIA DEI PRIMI PI)NSATORI GRICI piÉ che con altri nella cultura spirituale dell,Orrr., dente greco. La potente originalitf di guesta cultur:r si manifesta in lui coi piri ricchi e singolari colorir,. La complessità del suo mondo interiore non d.ipcn,l,. soltanto da motivi individuali: essa rispecchii ",,,, particolare evidenza l,intima stratificazione d.ella tura in Sicilia e nclla Magna Grecia e provacrrl_ irrl un tempo l'unità spirituale di questi due centri dr:llir colonizz azione ellenica o ccidentale, geo grafi c amente cos i vicini. I due disparati- elcmenti deilo lpirito di Empc_ docle erano tradizionali in guelle *"gioj. L,illuminismo fisico, proveniente dall,Ionia p"iàuro"rte importato da Senofane? aveva già dato"lJ sra impronta a una personalità veramente autoctona come il siracusano Epicarmo 6, le cui commedie avevano riportato i mag_ giori trionfi durante la giovinezza di Empedocle. D,al_ tra^ parte la religiosità orfica non aveva mai agito cosi a fondo come in Occidente, neanche in Atenef benché sotto le ali della tirannide di pisistrato il circolo molto attivo di Onomacrito se ne occupasse talvolta con molto joria e letteratura greca contemporanea e immediatamente precedente si trovano, oltre che nei pitagorici dell,ftaHa meridionale, proprio in un inno di pindaro rivolto al tiranno sici,]r1o T:""ie di Agrigento 7 e nell,agrigentino Empedocle. Anche le tracce piri importuini'ai una similc religiosità rimasteci dal periodo ellenistico provengono dalla Magna Grecia 8. r confluire di idee orfiche e di metodi esatti, applicati alle scienze fisiche, nella persona di Empedocle va dungue giudicato alla stessa stregua dell'unione personale dello spirito classico razionale e dello spirito religioso cristiano in una stessa pelsona del nostro tempo. L'esistenza tradizionale di elementi spirituali cosi diversi e Ia loro reciproca compenetrazione nel medesimo fervore. fnfluenze orfiche nella CÀ,P. VIII: EMPEDOCLE 209 individuo dovevano produrre un nuovo tipo sintetico d.i personalità filosofica. Il carattcre mentale di Empe«locle è quello di una vastità straordinaria, di una intima tensione e di una impressionabile ricettività universale. Aristotele ha espresso il dullbio se la poesia cli Empedocle abbia qualcosa in comune con quella di Omero tranne il metro 9, e certamente non si può applicare questa misura alla sua poesia se vogliamo intenderla giustamente 10. Ma soltanto un ingegno veramente poetico poteva accogliere in sé gli enormi contrasti che agiscono nella mente di Empedocle. In virtÉ di una fantasia mutevole e fervida, soltanto un poeta nato poteva accettare verità di natura cosi diversa e coltivarle nella loro assolutezza, benché inconciliabili fra loro. Nel carme della natura si direbbe che ogni parti- colare s'inserisca nel quadro di un'unica costruzione con la logica ferrea del vero filosofo. Ma non appena udiamo i primi versi del canto lustrale, ci troviamo in un regno dominato da un modo di pensare tutto diverso, cioè mistico-teologico. Pare che le due forme di pensiero non si indeboliscano e danneggino a vicenda in alcun modo; ciascuno dei due regni abbraceia alla sua maniera la realtà totale. In comune hanno soltanto il fatto di essere entrambi realtà poetica e di presentarsi sotto forma di poesia, che è per i greci la forma del mito. Fin da principio abbiamo fatto notare che tra il mondo mitico della precoce poesia greca e il terreno tazionale della filosofia non c'è una frattura insormontabile 11. La razion alizzazione della realtà incomincia fin dal mondo mitico di Omero ed Esiodo e d,altro canto anche l'interpretazione razionale che i milesii danno della natura contiene un germe di energia poetica procluttiva e creatrice di miti. Questa non è minore in Empedocle in seguito alla progressiva complicazione 14. ._ W, Jj.EcDli, La teologùa dei primi. pensaturi greci.