jaeger_teologia_nei_primi_pensatori_greci_2

96
LA, TEOLOEIA
DEI PRIMI
CAP.
PENSÀ.TORI GEECI
IV: LE
COSU)DETTE TEOGONIE ORTICIIE
in
rolir:o poteva cavarsela senza simboli nel monoento
,'rri ,i t^rovava tli fronte agli ultimi enigmi' Già Senofane
sa se poslvrlva d.etto che neanche il piÉ sapiente
2' La medesima
Dio
a
intorno
xir.rle realmente la verità
r'ortvinzione è espressa dal medico e naturalista Alcmeorrc in un punt; importante della prefazione alla sua
d'ello
,rpr:ra 3. Arch" iI suo lontano successore, l'autore
xrrritto sull'antica medicina che ci è tramandato col
4'
rrome di lppocrate, si dichiara d'accordo con lui
(lome avrebbe potuto un custode d'ella tr:rdizionale teogonia mitica non sentire e non far valere questo fatto
I giustificazione della sua fede ? Quanto piÉ il filosofo
r:sigeva a gran voce la sublime altezza della sua idea
rli bio, tanto piÉ il rappresentante della vecchia id'ea
di una pluraliià di esseri divini doveva ved'erne la
.lebolerza nella indet et:rrtinatezza e inafferrabilità di
questo Dio fiIosofico e assecondare I'innata tendenza
iei gteci a dare una forma precisa e un nome ai
Eppure la vecchia maniera del pensiero teogonico
non ela ancola estinta, come indica precisamente questa d.iscussione di Epicarmo. Già nella piri antica forma
esiodea la teogonia era stata un tipico prodotto di
transizione, affine in parecchi punti al nuovo spirito
filosofico. Non ci meravigliamo perciò di veder fiorire
ancola in tutto iI YI secolo questo vecchio pollone
d'un atteggiamento religioso ormai tend.ente alla riflessione, accanto alla rapida crescita della filosofia, in
una cospicua serie di opere teogoniche che per lo piir
conservano anche la forma poetica del modello esiodeo.
Proprio nel fatto ili trovarsi affiancate, queste due specie di atteggiamento spirituale si dànno a conoscere
per rami affini di una medesima radice la quale penetra profondamente nel materno terreno deila 1eligione. Anche la riflessione teogonica pone ormai al
centro clell'interessamento religioso il ptoblema dal
quale parte tutto iI pensiero fllosofi.co: il problema
della cosmogonia. La filosofia rivela viceversa la sua
stretta affinità con la sorella teogoniea nell'attribuire
alle sue conoscenze cosmogoniche un diretto signifi.cato
teologico. Perciò questo pensiero fiIosoflco di Dio non
poteva non manifestare la sua positiva fecondità religiosa nella sua vivificante reazione alla speculazione
teogonica. Ben lontana dal sentirsi superata, la teogonia trasse dalla filosofia motivi molto importanti per
cui si rese, è vero, dipendente da questa, ma nello
stesso tempo fu in grado di proteggersi dai piri gravi
attacchi del pensiero naturalistico sfruttando anche il
maggiore vantaggio della sua propria posizione. Questo vantaggio consisteva e consiste in ogni tempo nel
fatto che la teogonia non opera, come il pensiero del
filosofo, con concetti propri, ma con immagini e simboli d'un mondo religioso radicato in maniera vitale
nella universale eoscienza. Ora neanche il pensiero filo-
loro dei 5.
Da questo
descriziÀe
disegno generale che premettiamo aIIa
particolare degli scritti del VI secolo con'
tratti necessariamente in errore d'alle
segue che .i
"r.
le'
ve-cchie esposizioni della storia delia filosofra greca
quali incominciavano con questi cosiddetti sistemi or'
Esiodo quali primi gradini clello spirito filo'
d"i
"on
"
6' Diels spostò le reliquie
sofico in senso aristotelico
di questi scritti in appendice alla sua raccolta dei frammeoti dei presocratici: ripiego evidente per trarsi dal'
clas'
L'imbarazzo. Il pirri recente curatore di quest'opera
pere'
loro
d'alle
sicché
principio,
sica le ha riportate aI
7'
grinazioni .àno ,itor.,ate al punto d'i partenza In
ieattà si possono capire soltanto considerandole nel
loro r""ipioco influsso sui filosofi contempolanei ai
quali sonì legate col vincolo comune tLella riflessione
teologica nonostante tutte Ie altre d'ivergenze d'el loro
Ì.
k
-
W'
J.a.EGER,
La teologia dei Ptinli pensatori greci'
9B
CÀP,
LÀ TBOLOEIÀ DEI PRIilII PENSÀ.TORI GRECI
tipo spirituale.
Questo fatto deve emergere con particolare cltiarezza sulla linea che abbiamo seguita fin
qui. Trascurarlo significherebbe misconoscere lo sviluppo organico del pensiero religioso nel quale la fllo-
sofia è inserita fin dall'inizio.
I nuovi studi di storia clelle religioni vedono, come
si è detto, nelle teogonie del YI secolo per lo piÉ un
ramo di quel grande movimento religioso che chiamiamo orfico. In genere il secolo YI segna per la Grecia una rinascita della vita religiosa che nel periodo
precedente nainacciava di essere sommersa da un'ondata naturalistica. La religiosità del culto uffrciale degli dei nelTa polis fu sempre esposta al pericolo di
esteriorizzarsi. Di solito era nelle mani di una classe
dominante aristocratica illuminata. L'individuo anelante alla libertà allentò nell'arte e nella poesia il rigore
della vecchia forma e fece della vita naturale Ia piri
alta misura della condotta della vita e della descrizione della realtà 8. Ma nel rivolgimento sociale delle
lotte di classe estese su tutta la Grecia, le quali incominciarono proprio allora e nelle città maggiori arrivarono al culmine nel secolo YI, il mondo religioso,
insieme eon l'elevazione delle classi inferiori sul piano
sociale e statale, s'inseri nella superiore vita spirituale
e vi preparò mutamenti importanti. L'alta valutazione del culto di Dioniso, che ancora nel poema
omerico non era stato quasi degnato d'uno sguardo,
e |ayanzata fi questo culto dalle campagne alle città
e al pubblico ordinamento delle feste e dei servizi
divini, annunciang la rivoluzione. La religione dionisiaca, la cui natura orgiastica era stata in origine
qualcosa di contrario e di estraneo a ogni ordinamento statale, come appare dai miti di Penteo o
di Licurgo, fu ora favorita ufficialmente dai tiranni,
esponenti politici della nuova classe in ascesa? come
IV: LE
COSIDDETTÉ TEOGONIE OR§ICIIE
99
per esempio, l'elimina''lone d'eII'antico eroe
culto diocittadino Adrasto a Sicione in favore del
iI rigoglioso fiorire
rrisiaco sotto il tiranno Clistene o
Periandro' ad
sotto
rlrrlle feste d,ionisiache a Corinto
t)rovano?
iI ditirambo
Atene sotto i Pisistratidi, tlond'e venneroe'
nonché Ia tragetlia e Ia commedia attica
una
Col trionfo del culto di Dioniso si accompagnò
che in parte
ripresa degli antichissimi misteri autoqtoni
che PiSàppiamo
poteri'
,,rrro fuoo"iti ilai med'esimi
anche
ma
telesterio'
sistrato costrui in Eleusi iI nuovo
dell'insegno
altrove si vede fiorire il culto d'ei misteri'
terioritàridestataedellaserietàreligiosachesiera
questi riti
impadronita degli animi' Una varietà di
(re)reroi), la quale si presenta per la pI*1
"iigi".i
volta in questo p"'ioào, erano le orge' ind'ipendenti
da una determinata località ili culto' che sarebbero
menstate istituite dal mitico cantore Orfeo' Profeti
dicanti che andavano d'i luogo in Iuogo vidiffondevano
ogni sorta cli
con la parola e coll dovizia di trattati
per
come Platone osserva ironicamente'
10' Orfiche erano consi"omuodu*"nti,
purgarsi da misfatti commessi
asceà"ria" specialmente celte prescrizioni d'i astinenze
vita
tiche. Si evitava di mangiar calne e si faceva
il
esclusivamente vegetariana; a ciò si aggiungeva P1":
cettod.iunavitasecond.ogiustiziall.Lareligiosità
si celebraorfica è dunque un d'eterminato BtoE' ma
vano anche ,lti ai sacrifi'ci, scongiuri ed espiazioni
una
che richiedevano una certa esperienza e pertanto
riti proclasse di persone capaci di com'piere questi
fessionalmente
12.
Nel tracciare il quadto di questa religiosità orfica
gli studi moderni di tto'io tlelle religioni sono andati
infiusso
molto lontano, e cosi pure nel delineare il suo
sullafilosofia.SecondoMacchioro,ilqualeperòèun
inesttemo raPPresentante delia teoria d'i questo
100
LÀ, TEOLOGIÀ
DEI PRIMI PENSÀ"TORI
ERECI
CAP.
IV: LE
CO§IDDETTE TEOOONIE ORFICHE
r01
[
flusso orfico, le dottrine di Eraclito e di platone sono
per la massima parte di origine orfica 18. Molti scorgono
nell'orfismo un tipo di religione orientale cne aa di
fuori s'insinua come un corpo estraneo nello sviluppo
organico dello spirito greco. La question" .i
per il fatto che nella tarda antichità Orfeo era "o*pii"u
un nome
collettivo il quale piri o meno raccoglieva tutto quanto
esisteva in fatto di letteratura mistica e di orge litur_
giche. Quasi tutti i riti che si celebravano in Grecia
finirono con l'essere considerati fondazioni di Orfeo,
anche se non avevano alcuna somiglianza con quelli
sopra descritti. Per stabilire ciò che è lecito chiamare
religione orfica nel VI secolo avanti Cristo dobbiamo
tener lontane tutte queste cose. Le nostre notizic
relativamente piri antiche e fidate sono negli scrit_
tori del Y e IY secolo, le cui testimonianze, però,
sono assai scarse 14. Di origine piri recente sono anche
i cosiddetti inni orfici che tripudiano ad.d.irittura nel
sincretismo religioso prediletto dall,epoca posteriore 15.
La tarda antichità possedeva inoltre una cosiddetta
teogonia orfica di Ifieronymos o Hellanikos, le cui
linee principali si possono ancora riconoscere in testimonianze neoplatoniche. La piri importante opera d.i
questo genele erano i Discorsi sacri, d.etti anche Rapso_
ilie, in ventiquattro canti, comel, Iliaile e l,Oilissea che
evidentemente fanno da modello 16. Sono dunque di
origine post-alessandrina, poiché la suddivisione dei
poemi ometici da parte dei grammatici in ventiquattro
canti non è anteriore. Perfino Lobeck, il vecchio, acuto
e inesorabile critico di tutta la farragine orfica, reputava ancora possibile assegnare le Rapsoilie al yI se_
colo a. C.; studiosi piÉ recenti, come Kern e altri, lo
seguirono per lungo tempo, ma quest,ultimo, nell,utile
raccolta dei frammenti degli scritti orfici che accoglie insieme cose piÉ antiche e piri tarde, ha abban-
rlrnrrrto
la
precedente attribuzione
di questa grande
,,;,,'l'ttl7.
I I n forte contraccolpo nel senso della resipiscenza
,,ritir:a fu dato da Wilamowitz nell'opera postuma Der
t)luttbe der Hellenen 18. Se prima, trovando nelle rapso'
,lir, vcrsi di Parmenide o di Empedocle, si argomentava
r,lrc questi pensatori si erano evidentemente serviti
rlr.l.[a teogonia orfica tn, ,ggi vi si deve scolgere un
r.rrore suggerito dall'esagerata valutazione dell'influsso
r:hr: gli orfici avrebbero esercitato sulla filosofia. E quan'
rl.o infrne si cercavano ttacce di dottrine orfiche in
l.rrtti i filosofi e7 pet esempio, le chiare e schiette pa'
role di Anassimandro sul morire delle cose inteso
oome un castigo, di cui abbiamo trattato precedentcmente (cfr. p. 49), erano intese nel senso del concetto orfico del peccato, non si può che es§ere molto
scettici 20.
Ora dunque sorge il quesito se sia possibile dimo'
strare in epoca antica l'esistenza di teogonie che si
possano chiamare orfi.che. È vero che Aristotele parla
di « cosiddetti » poemi orfici di contenuto probabilmente
teogonico; questi però non provengono da Orfeo, come
Aristotele spiegava nel dialogo perd.uto lfepì qil"oooEiaE,
ma secondo Filopono (chc attingeva forse ad Aristotele) erano composti dal vate e poeta Onomacrito 21.
Questi viveva alla corte dei Pisistratidi nell'Atene del
YI secolo e piÉ tardi dovette essere esiliato dai sovrani
suoi protettori perché il suo collega Laso di Ermione
l'aveva colto in flagrante falsificazione di versi negli
Oracoli di un altro famoso profeta, Museo, e la faccenda minacciava di diventate un grosso scandalo. PiÉ
tardi i tiranni espulsi si ritrovarono insieme con Onomacrito 22. fl fatto è tipico di tutta la letteratura teogonica pseudonima. Diels, ad esempio, ha dimostrato
che anche la raccolta di oracoli che va sotto lo pseudo-
t02
LA
TEOLOGIÀ.
DEI PRIMI PENSATORI
CA.P.
GNECI
nimo del profeta Epimenide è probabilmente anteriorc
alle guerre persiane (la si potrebbe giustamente attribuire all'epoca di Onomacrito) rna al tempo delle guerro
persiane devo essere stata interpolata con aaticinia ex
eaentw 23. Si potrebbe ricordarc l'adulterazione di scritti
cristiani attribuiti agli apostoli; Ia differenza sta soltanto nel fatto che questi apostoli appartenevano realmente alla comunità cristiana e una falsificazione sotto
il loro nome indicava chiaramente che era destinata a
cristiani. Una falsificazione, invece, sotto il nome di
Orfeo non dimostra senz'altro che fosse fatta per credenti di una determinata setta sedicente orfi.ca, poiché
Orfeo non apparteneva soltanto alla setta, ma in genere alla leggenda greca e in guesta non era una figura
specificamente religiosa, bensi un cantore mitico del
passato 2a. Se si componevano poemi col suo rome,
ciò non era niente di diverso dall'uso che si faceva di
altri nomi di cantori mitici, come Tamiri, Lino o Nfuseo, quali pseudonimi d'autore, che spesso si riscontrano in opere poetiche di quel tempo. E se iI contenuto di questi poemi è teogonico? non vuol dire
ancora che rappresentassero la dottrina di una comunità religiosa. fl nome di un'autorità primordiale
possibitrmente discendente dagli dei deve invece conferire piri valore alle dottrine filosofiche della teogonia
di quanto non potrebbe fare il nome di un individuo
qualuncgre; e di quella autorità si servirono i seguaci
dei cosiddetti riti orfici senza che questi avessero a
che vedere coi poemi dello pseudo-Orfeo. Non per questo si può parlare di rivelazione in senso cristiano.
Nelle moderne storie della religione si trova però
spesso una ben diversa concezione di questo fatto;
si tratterebbe di una comunità religiosa orfica organizzata, la cui dottrina sarebbe venuta dall,Oriente.
Essa insegnò la prima religione rivelata e fu una vera
IV: LE
COSIDDETTE TEOGONIE ORFICEE
103
tutto quanto ci vuole secondo i concetti
r:rigtiani: gli iniziati sono Ia comunità, i riti orfici i suoi
rrrrcramenti, i preti mendicanti i suoi apostoli; gli inni
orlìci ne formano iI libro dei cantici e pertanto devono
rrvere un nucleo antiehissimo. Manca soltanto il tlogma'
r,hicsa con
)ra 1o si vuole ritrovare nelle teogonie che recavano
il nome di Orfeo. Onomacrito sarebbe quindi un teo'
logo dogmatico, per cosi dire l'Origene della chiesa
orfica. I1 quadro però è disegnato seguendo troppo
rla vicino un tipo fissato a priori. Questo preludio aI
cristianesimo è in verità soltanto un doppione della
religione cristiana proiettato nel YI secolo a' C' L'idea
si trova già in germe nella Psyche, iI fan:roso libro
di Erwin Rohde, e fu sviluppata recentemente soprat'
tutto nella Storia ilella re'l,igione grecd di Kern 25' fl suo
tentativo di risolvere Ia questione orfrca prendendo
come misura un dato tipo religioso stolico e adattan'
dovi la tradizione greca mi offre occasione di fare
alcune osservazioni di principio che di fronte a un
pregiudizio assai difluso non dovrebbero essere su-
(
perflue.
Questa ricostruzione della religione orfica è fon'
data espressamente sul presupposto che teologia e
dogma siano i caratteri di una mentalità specificamente
orientale26. La probabitrità della loro presenza nella fed'e
orfica dei greci si appoggia alf ipotesi che questa provenga dall'Oriente. I1 mondo greco, opina iI Kern,
non conosce aLcun dogma né quindi alcuna teologia
in senso nostro. Quest'antitesi alla chiesa cristiana, che
in modo ingenuo e rnotlerno si figura i greci come il
popolo delia libertà di pensiero in senso liberale, restringe troppo L'orizzonte del paragone. Certamente Ia
religione dei greci non possedeva una teoria clcgli dei o
urì atto di fede. Ciò nonostante però sono stati proprio
i greci a plasmare la fede cristiana nella forma del
104
LJ, TEOLOSIÀ DEI PRI}II PXNSATORI GRECI
dogma. La storia del dogma cristiano si è svolta sul
I greci seppero conformarsi a
questa religione orientale soltanto affrontandola coi
quesiti e coi metodi di pensiero della filosofia grecazz.
Ma l'elemento dogmatico e teologico nel cristianesimo
che si venne formando nei primi quattro secoli dopo
Cristo non è affatto cresciuto in Oriente. II Padre
della Chiesa Gregorio di Nissa che, essendo dell'Asia
Minore, si trovava, per cosi dire, sul confine tra 1o spirito orientale e quello greco? si rese conto di questo
fatto e lo espresse con esemplare chiarezza: « Nulla è
tanto caratteristico dei greci quanto l'idea che la parte
essenziale della religione consista nei dogmi » 28. Setta,
dogma e teologia sono infatti vocaboli e concetti specificamente greci e nella loro struttura spirituale potevano essere coniati soltanto da una mente greca. Yero
è che non provengono dalla religione greca ma dalla
fi.losofia, le cui sette nel periodo in cui s'incontrarono
col cristianesimo erano solidi sistemi di vari dogmi.
Anche se non è lecito applicare senz'altro questa parola alla mentalità dei primi pensatori greci 2e, il concetto e iI vocabolo sono venuti da questa radice, e
se presso i greci del YI secolo esiste qualcosa che si
possa paragonare a un dogma, lo si può cercare soltanto tra i fllosofi, non mai nei riti orfici. Una figura
come Senofane mostra a sufficienza come sul terreno
della filosofia, con la solidità delle convinzioni spirituali ehe la distinguono, sorgesse per Ia prima volta
qualcosa come un pathos dogmatico che non è neanche
del tutto privo della consueta intolleranza verso l,opinione del prossimo colta in errore. Quest'epoca non conosce però ancora un dogma religioso. Le dottrine
teogoniche, sorte allora con riferimento ad Esiodo, non
hanno questo significato nella vita religiosa de1 tempo.
Sono tentativi sempre rinnovati di risolvere i prosuolo della civiltà greca.
CA.P.
IV: LE
COSIDDETTE TEOGONIE ORF.ICEE
105
lrh.rni dell'origine del mondo e delle potenze divine
rri rlrrali Ia filosofia si accosta coi propri rnezzi, rnella
lìrrrna della fede antica, ricorrendo però sempre piÉ
rrll'aiuto dell'intelligenza costluttiva. Con un pen§iero
r.osi poco impegnativo non si può neanche formulare
urrt solida dottrina. È già teologia, ma teologia senza
rkrgma. È Hb"ra da ogni legame a una determinata
rromunità religiosa, come ne era libera la teogonia del
vocchio Esiodo, e ciò nonostante la tradizione che vi
r) utilizzata è una libera creazione individuale.
Soltanto cosi si può spiegare la variabilità delle
opinioni che troviamo nelle reliquie conselvate e nelle
t.racce di quelle antiche teogonie. Se prendono molti
clementi l'una dall'altra o da Esiodo, fanno cosa owia
tra greci, dove l'aderenza del poeta ai suoi predecessori
è spesso molto stretta anche in campi meno legati
alla tradizione. Appunto perciò, quando rrno si scosta
dal predecessore, è lecito scorgervi per lo piri una correziorre voluta 30. Alcune di queste varianti sembrano,
a prima vista, non molto importanti, come quando
Aristotele racconta che « certi poeti antichi » misero Ia
Notte invece deI Caos all'inizio dell'origine delmondoBl'
Eudemo nel).a Storia ilella teologio conferma tale tradizione e assicura esplessamente che questa dottrina
appartiene a una teogonia Ia quale circolava col nome
di Orfeo s2. Naturalmente f idea del Caos presuppone
che iI vuoto abisso iniziale fosse avvolto in tenebre
notturne. Aristofane, per esempio, nella parabasi degli
tlccelli fa recitare al coro degli uccelli, che nel nuovo
regno diventeranno gli dei, una comica teogonia uc'
cellesca che fa la spiritosa parodia di un vero poema
di questo genete e precisamente di una teogonia « orfica »
33'
sul tipo di quelle descritte da Eudemo e Aristotele
II Caos e la Notte vengono effettivamente nominati
insicme come inizio di ogni divenire, c cosi la Tenebra
t06
[,À, TEOLOGIÀ,
DEI PRI}II
PENSATORT GRECI
primordiale e il Tartaro. Può darsi che la Notte, la
quale compare anche in Esiodo, sia pure con funzionr,
subordinata e non da principio 34, sia introdotta perchir
il Caos è neutro e il poeta per la prima parte della
sua genealogia aveva bisogno di un femminile che fossc
esistito prima del Cielo e della Terra e avesse un altrettanto trasparente significato cosmogonico. Per tal modo
egli risale ad antichissime figurazioni di una religione
ctonica pre-ellenica la quale conosceva una dea primordiale di questo nome, cioè la Madre Notte che
per esempio Eschilo invoca con cosi sincero terrore
quale matLre delle sue Erinni 35. L,antico conflitto tra
queste oscure potenze e gli dei luminosi dell,Olimpo,
il quale rivive nella tragedia di Eschilo, era ben presente al Yf secolo. L'antica antitesi fra luce e tenebra
donde la cosmologia dei pitagorici fa scaturire il mondo 36, lo presuppone come verità immed.iata nel sentimento religioso, e Aristotele avrà ragione quando nella
« Notte » della teogonia orfica sente anche la valutazione che questa idea contiene in opposizione alla lucc,
e ne argomenta che questa genealogia considera coscientemente ciò clre è ancora imperfetto quale preparazione al perfetto e al buono, intendendo dunque
il regno olimpico degli rtei come culmine dell,evoluzione del mondo 37. Nella teogonia del cosiddetto Orfeo
iI divenire degli dei si compiva, secondo Platone, in
sei generazioni, I'ultima delle quali deve essere stata
quella olimpica 38.
Se confrontiamo questa visione religiosa del mondo
con quella della pirl antica filosofia naturale, si nota
che i valori sono spostati. Ciò appare ancor piÉ chiaramente nella diretta ad.erenza della teogonia parodiata
da Aristofane all'idea filosofica dell,infinito. Cosi infatti dovremo interpretare Ie seguenti parole: «Ma negli amplessi inflniti dclla tenebra la Notte dalle ali
CA.P.
I.\/: LE
COSIDDETTE TEOGONIE ORI'trCHE
10?
nrrr: partorisce un uovo di vento, dal quale nel giro
rlr.l lcmpo usci quell'Eros che suscita desiderio » 3e.
l.)rrcll'infinito abissale e senza luce che era da principio
rrorr ò piÉ, come per Anassimandro, il vero e proprio
rliv'ino, mentre tutto ciò che ne è dcrivato è riportato
rlrrl tempo come per castigo nel suo grembo 40, ma sol'
tirnto gli dei che Eros genera con esso sono le potenze
lrrrone e luminose. Anche qui s'incontra iI tempo, rra
csso ha la funzione di portare i gradi successivi e suporiori del divenire dall'in6.nita notte primordiale all'csistenza individuale 41. Nella Teogoruia di Esiodo il
suo successore ha visto chiaramente I'importanza del'
l'Eros 42. E ne ha chiarito la posizione di autononoo
principio positivo del divenire del mondo estraendolo
dalla catena delle genelazioni e facendolo uscire per
primo dall'uovo universale ch.e la Notte cova 43. T-'idea
non esiodea dell'uovo universale si riscontra anche al'
trove su suolo greco, ed è cosi vicina al sentimento
zoomorfo della natura in epoche anteriori che Ia d.erivazione d.all'Oriente è tutt'altro che probabile. I-i per
li potrebbe sembrare che soltanto Aristofane abbia in'
trodotto I'uovo del rnondo per farne sgusciare il suo
Eros che è alato come gli dei-uccelli discendenti da lui.
Le ali di Eros però sono antiche, sicché anche pcr il
poeta teogonico era facile farlo sgusciare dall'uovo
universale. Questa è realmente un'idea antica e Io dimostra La Teogonia citata da Eudemo sotto lo pseudonimo di Epimenide, la quale pure contiene l'uovo del
mondo aa. Questo pensiero non contiene nulla di specificamente « orfico », ma la cosiddetta teogonia orfica
posteriore ha accolto anche questo e dall'uovo ha fatto
nascere il suo dio Phanes che Ia teocrasia ellenistica
identifrca con Erikepaios a5. Si era cleduto di poter
decifrare questi due nomi in antichi docurnenti orfi.ci
(ccrrto, soltanto dei secoli IY-III a. C.), ma Diels ha
108
LA. TEOLOGIÀ
DEI PRIMI
PENSA,TORI GRECI
visto che era un errore 46. Nella tcogonia del YI secolo
Phanes non appare ancora. Dalla scoperta di un papiro del fII secolo a. C. che contiene l'invocazione
« Erikepaios, salvami!» a7 si può dedurre ancora meno
che la teogonia orfi.ca del YI secolo sia stata la dogmatica di una religione di redenzione.
Purtroppo anche La Teogonia del cosiddetto Epimenide (vedi sopra) è per noi soltanto un nome, ma il fatto
che la testimonianza di Eudemo la dimostra antica è
importante a8. Il poco che se ne è conservato ci consente di porla a fianco d,ella Teogonia d.el cosiddetto
Orfeo. Secondo Epimenide da principio erano l'Aria e
la Notte ae. Per Aria la filosofra antica intende, come
è inteso qui, il vuoto s0. L'Aria o meglio l'Aer, poiché
in greco la parola è maschile, ha preso il posto del
Caos, d.i modo che invece di Caos e Notte abbiamo
una vera coppia: Aer e Notte. È un modo di correggere Esiodo simile a quello adottato nella Teogonia
di « Orfeo » 51. fn guesto modo l'autore doveva sistemare la dottrina trovata in Omero, secondo la quale
i genitori di tutte le cose furono Oceano e Tethys 52.
Essa è semplicemente contaminata con la corretta dottrina esiodea della coppia primortliale Aria e Notte
in quanto i due titani Oceano e Tethys (?) diventano
loro figli 53. IJn'uguale contaminazione si avrebbe nel
fatto che qnesta coppia Oceano e Tethys produce l'uovo
del moudo 5a. L'interpretazione non può essere che allegorica, se le si vuol trovare qualche significato: il
mondo è emerso dall'acqua primordiale. Può darsi che
vi abbia influito la filosofia di Talete: ciò spiegherebbe
come l'autore sia risalito al passo di Omero su Oceano
quale origine delle cose e come l'abbia inserito nella
tradizione teogonica. fn ogni caso la sequenza « vuoto
atnoosferico - acqua primordiale - terra solida » sembra affine a una spiegazione fisica. E lo sarebbe ancora
CAP.
IV: LE
COSIDDETTD TEOCONIE ORIiICEE
109
pii se fosse esatta un'altra trad'izione in Filodemo'
di Epii", 1r quale la seconda coppia nella Teogonia
ma
Tethys'
e
Oceano
da
meoiile ,on era formata
55.
genealogia
della
NeI linguaggio .
da Oceano e Ge
il risconiro femminile di
soltanto
ò
Tethys
mitica
Oceano, su
per gifr come Phos ed Erebos' Iuce e te'
nebta, sono in Esiodo i doppioni maschili d'i Hemera
c Nyx. Oceano e Ge invece sono soltanto gli ele'
*"r,ii (anche se non tanto astratti come vuole questa
d'ue
parola); e I'origine clell'uovo universale da questi
esPoà .olturto l'espressione allegorica della dottrina'
sta anche da §enofane, che il mondo è solto cla acqua
e tera 56. L'esattezza di questa ricostruzione d'el concetto di « Epimenide, è confortata dal fatto che il
ellemed.esimo particolure si ripresenta nella teogonia
57'
Anche se non è lecito far
nisti.ca di Hieronymos
risalire senz'altro al VI secolo i tratti di questo sistema
piri recente, composto di parti eterogenee' anche se
non è possibile rintracciarli in questo period'o' iI ritorno'
in on'ipe"u posteriore, di elementi piri antichi dichiarati tali può,i'daro canto? essere una preziosa conferma
della loro esistenza e ilel loro influsso'
Un altro testimone d.ella cosidd'etta teogonia orfica
nel YI secolo è Ferecide di Siro, che l'antica cronologia pone al tempo dei sette sav-L Ma non sarà
oi..rito Lolto primt della fine itel YI secolo' perché
notideve aver conosciuto la filosofia dei Milesii' Alle
zie sul suo conto e agli scarsi frammenti si è aggiunto
recentemente un frammento un Poco piÉ ampio' su
papiro, che illumina meglio la sua personalità' Egli
."rìo" in prosa, fatto piuttosto nuovo a quel temPo'
Certo non Io si può paragonare con I'atto innovatore
di AnassimandJo che per primo aveva osato mettere
per iscritto la sua teoria filosofica' Dopo di allora -si
era incominciato a traspolre in prosa il contenuto ilella
110
LA. TEOLOGIA
DEI PRIMI
CA.P.
PENS-A.TORI GRECI
poesia erudita delle genealogie e teogonie; i maggiori
rappresentanti di questo genete sono Ecateo di Mileto, Ferecide di Siro e Acusilao di Argo. Ferecide d.eve
aver cercato buona parte della sua originalità nella
forma stilistica, in un'arte semplice e per noi ingenua
del racconto, che però appare molto piÉ divertente
dell'antiguata solenne pomposità delia dizione epica
nelle teogonie poetiche di quel tempo. Certo però Ferecide portò parecchie novità anche in fatto di contenuto. Ciò che narra non ha l'aspetto di un'arida impersonale esposizione di un dogma, ma è assai divertente. Cosi discorre: <rZas e Chronos e Chthonie erano
eterni, ma Chthonie ricevette il nome di Ge (terra)
perché Zas le ilà Ge come geras (cioè in dono) » 58.
Qui non è abbandonato soltanto lo stile, ma anche la
dottrina di Esiodo, come potremo forse anche supporre, in misura minore, nel meno originale Acusilao
di Argo, che da una parte, come riferiscono autori
posteriori5e, traspose Esiodo in prosa, dall'altra lo «migliorò ». La diortosi di Ferecide va piri a fondo e ricorda piuttosto il procedimento di Ecateo di Mileto
neLla sua critica dei rmiti antichi che spesso è alquanto
razionalistica.
La misura adottata da Ferecide nella sua critica
non si limita però alla propria intelligenza e a ciò
che guesta considera possibile o non possbile. Quando
affernr.a che <<Zas, Chronos e Chthonie erano eterni»,
corregge Esiodo, seeondo il quale anche il Caos era
divenuto; questa correzione però era nell'aria,
come
appare sia dalla critica di Senofane che biasima Esiodo
per aver creduto che gli dei possano avere un'origine,
sia dall'ironia di Epicarmo il quale si scandalizza particolarmente alf idea che persino il Caos, cioè iI primo
inizio, sia uato una volta come tutto il resto 60. Questa
critica della teogonia antica si fondava sull'intuizione
lìlosnfica
IV: LE
COSIDDETTE TEOGONIE ORFICEE
di un'origin" (&SXf), non divenuta e non
pe-
ril.urt, del mondo. Ferecide tiene conto cli questo mulrmcnto di idee ponendo alf inizio un ente eterno' I-a
triade delle sue potenze primordiali presuppone già iI
r:rrrrcetto filosofi.co di &,gyi1, salvo che egli Io fond'e col
è suhentrata una
lrrincipitr genealogico . t\11'&1yti unica
di questa coppia
definizione
Ia
r:oppia tli ilei. Ma anche
ni scosta audacemente dalla tradizione teogonica' I{on
Hi tratta piÉ di lJranos e Gaia, il Cielo visibile e la
'ferra visibile, come in Esiodo, fiua Zas e Chthonie concontengono I'antitesi filosofica di due principi universali che soltanto nella loro unione prod.ucono il resto
del rnond.o. Lo dicono già i nuovi nomi che si adeguano bensi a dei del culto o della teogonia, ma con
L for*u parlante di Zas (iI Yivente, derivato d'a ('flu)
e di Chthonie (Ia Sotterranea) rivelano l'allusione a
qualche cosa di nuovo e tli piri profondo' I-'allegoria,
iI simbolo si presentano già come forme legittime del
pensiero religiooo. Potrà essere nel giusto quell'interprete posteriore che in Zas vede I'Etere e in Chthonie
Iu Ter"u (dunque il chiaro e l'oscuro) e vi scorge l'attività e la passività 61. Nel nome di Chronos, iI terzo
della serie, che il medesimo interprete chiama Kronos62,
vi è certamente l'allusione a quel Kronos che non poteva mancare nell'antica teogonia mentre qui, per trasparente etimologia, è diventato Chronos, il Tempo'
Anche questo è derivato dalla riflessione fi'losofica:
nella cosmogonia di Anassimandro il divenire e il perire si compiono « secondo la sentenza del tempo » 63'
Non c'è d,unque bisogno di ricorrere all'Oriente, poiché
è piri ovvio ammettere f inff.usso esercitato su questa
teogonia, fattasi speculativa, dalla filosofia teologizzalLe. L'uso dell'etimologia è un rnetodo antico che
vediamo applicato già nella Teogonia di Esiodo e ha
sempre avuto una parte importante nella teologia greca'
tt2
CAP.
LA TEOLOEI,A. DEI PRIMI PENS,{.TORI ERECI
Esso parte dal presupposto che il nome delle misteriose potenze divine, se giustamente interpretato, può
svelarne la natura 6a. fl nuovo nome diventa, viceversa,
per Ferecide l'espressione d.ella conoscenza anticipata
dal pensiero speculativo. Già Aristotele colloca Ferecide, anziché tra i teologi puri, tra i « misti »65, perché
non intenderebbe le proprie parole soltanto in senso
mitieo (rQ pù pu$wdtE tinayta ).éyeta), come è invece, secondo un altro passo di Aristotele, caratteristico d.ella
mentalità di Esiodo (pu$txdq ooql(eoflat) 66. A questo
punto Aristotele ricava da Fcrecide anche un'altra
cosa: che cioè non abbia voluto polre all'inizio l'imperfetto, come le precedenti teogonie che mettevano
all'inizio la Notte o il Caos, bensi iI perfetto e buono 67.
Questa idea infatti accompagna sempre il nome di
Zas. Anche i fiIosofi di Mileto, parlando del principio
eterno, intendono qualcosa che tutto governa e tutto
comprende. La differenza d.el).a dottrina di Ferecide
sta soltanto nell'ammettere un dualismo originario per
il quale la concezione teogonica dell'unione tra una
divinità maschile e una femminile offre un'adeguata
espressione simbolica.
Le sacre nozze sono descritte da Ferecid.e quasi in
stile novellistico e sono molto piri antropomorfe che
in Esiodo 68, D4 possiamo già aspettarci che questo
antropomorfismo non sia ormai ingenuo. Ha già accolto, per cosi dire, la critica filosofica dell'antropomorfismo, e la maniera umana di figurarsi il divino è già
consapevole allegoria. Si erige a Zas e a Chthonie un
grande palazzo, e quando questo è fornito di suppellettili, di servidorame e di tutto I'occorrente, si festeggiano le nozze. fl terzo giorno Zas prepara un
grande tessuto e vi ricama la Terra, l'Ogénos e il palazzo di Ogénos. Tutto ciò deve essere evidentemente
il dono nuziale per Chthonie. La Terra e l'Oceano,
IY: LE
COSIDDETTE TTOGONIE ORFICIIE
113
da
chc certo si nasconde sotto iI nome non difficile
veste'
ittterpretare fi Ogénos, sono figure sulla sua
dell'abisso
l,lssa è dunque piri di queste figure, è l',esserel
I'orna'
soltanto
sono
Mare
che le ,"gg" arìa"' Te'ru e
vivente'
Tutto
dal
rnonto aggiunto con senso amoloso
'/,as le po"r"g" ulloru la veste e dice: « Voglio ct,e le nozze
ti sianà ,à".", p"r"iò ti onoro di questo dono' Ti sala
luto e tu sii la mia donna »' Questa fu nel mond'o
La consegna dei doni
lrrima offerta di anakalypteria'
solennuziali dello sposo ullt tpotu faceva parte d'elle
non
però
nità nuziali gr"ch". Il racconto di Ferecide
svolge
ma
è ingenuameite eziologico come si presenta'
l'idea delle ,u"r" oor," d'ella prima coppia mediante
pensante le
un'usanza nuziale che offriva alla mente
piÉ belte Possibilità'
II serJo fiIosofico nascosto trapela anche altrove
suo scritto fu
dalla dottrina di Ferecide' Piri tardi iI
intitolato Pentemychos perché vi si parlava di cinque
anfratti o cavelne (pru6oi, Ìiarga)' d'etti anche burroniil
6e' Fra questi si ripartiscono
(iaOprr) o porte ("it'"ii
ìlro"i, I .om" d'aria, I'acqua ecc' (purtroppo l'enumema in
razione è lacunosa nel racconto di Damascio)'
quelli che
ogni caso f insieme era sudliliviso second'o
?0'
if s"goito si chiamarono elementi Ferecid'e pensa in
esempio,
termini di fbrze e spazi cosmici. Si parla, per
dei pecgli
relega
di una regione sotterranea dove Zeus
fi.glie d.i
carori e li-fa custodire dalle Atpie e da Thyella,
in concreto
Borea, che sono evid'entemente immaginate
anche
7r'
dovremo
Similmente
come forze meteoriche
ostili
titaniche
potenze
nelle
scorgele energie naturali
nelle
che
titanomachia
che quelle tengono in freno' La
a"lgàf" ".u ,i, elemento trad'izionale viene dunque in'
sistematicamente in senso cosmogonico' Que'
terfretata
di Zas'
ste potenze renitenti all'ord'inamento univelsale
i" q.rufi sono guid.ate d'a Ofioneo' il eui nome (il Ser8.
.....-
W. JaEGEri, Ld teoloTirt dei prirtui perlsatofi
greci"
I14
Là, TEOLOGI/, DEI PRIMI PENSA.TORI GRIICI
pentiforme) fa pensare a un'origine ctonica, vengono
sconfitte e precipitate nell'Oceano ?2. Mi sembra evidente che questa forma dell'antica titanomachia risal,
ai fenomeni vulcanici presenti nella zona mediterranc:r,
tanto piÉ che anche Eschilo e Pindaro intendono irr
cJuesto rnodo la leggenda del selvaggio Typhos, sulla
cui testa Zeus rotolò l'Etna ?8. È stato Diels a notaro
che tra « quercia alata », della quale parlava Ferecide,
presuppone la terra cilindrica, Iibrata nello spazio, di
Anassimandro. L'idea delle radici della terra era antichissima, sicché era faciLe immaginare la terra comc
albero nocchieruto ed esprimerne la sospensione nello
spazio mediante tre ali?a.
È chiaro che tutto ciò non è dottrina sacra antica,
non è il clogma di una setta, bensi fantasia rnitifica
di un teologo eccitata da scoperte filosofiche rivoluzio,
narie, e queeto teologo rappreseuta un nuovo interessante tipo di eclettico. La concezione del mondo che
hanno i fllosofi provoca nei contemporanei piri eolti il
bisogno di discuterla, specie quando ne viene colpito il
loro senso religioso. La facoltà filosofica della coscienza
religiosa ne risulta straordinariamente fortificata e portate su vie nuove. La capacità teogonica della religione
greca non si esaul.isce mai. Già in Esiodo si manifesta
con alcune nuove creazioni .- poco importa se siano
opere di Esiodc, o del suo tempo, * soprattutto pelsonificazioni di pcteri etici che in guel periodo desiderano sempre piri imperiosamente di entrare nell'Olimpo, coroe Dike, Eunomia, Eirene ecc.75 fn Ferecide si
tratta di una rivalutazione in grande stile piuttosto
che di nuove creazioni di dei. Cosi si arriva a f,ormare
divinità allegoriche che rappresentano forze cosmiche
e ad eguiparare vecchi nomi di dei alle forze naturali
di una nuova visione del mondo. E mcntre piri tardi
si àppHcò sistemat.icamente questa interpretazione fisi-
CÀI,.
i
IV: LE
COSIDDETTE TEOGONIE ORFICHE
115
tla n lrrtti gli dei greci e alle figure della leggenda, gli
lrrlzi risalgono al Yf secolo. Anche Anassimand'ro e
Attugsimcne attribuirono al loro principio Ia qualifica di
rtivino. La teogonia attinse nuove energie cla questa
unimazione della nattlra. In fondo è sempre quella
Ètcssa fantasia che in Grecia faceva popolare alberi
o rnonti e sorgenti con Driadi, Oreadi e Ninfe, e in
l,llio e Selene venerava due divinità. II panteismo è
rluolla forma evolutiva di tale visione del mondo che
(lovette prcsentarsi necessariamente quando Ia fiIosofi.a portò in primo piano f idea del tutto e della
dua unità. Ciò non avvenne per opera della Stoa nel
periodo ellenistico, ma fin da1 VI secolo, come Eschilo
avverte nei noti versi: « Zeus è l'Etere, Zeus la Terra,
Zeus il Cielo, Zcus è il Tutto e ciò che è pi6 in alto
ancota » 76.
Dalla piena facoltà di animare panteisticamente il
mondo gli ilei antichi rinascono con nuovo signifrcato'
L'evoluzione porta dalle pelsone divine dell'antica
religione popolare alle forze divine e alla natura
divina dei filosofi e dei teologi. Le potenze naturali d'ivinizzate costituiscono uno strato intermedio tra l'antica
fede realistica in d.eterminate persone divine e il completo dissolvimento della divinità nel tutto. Sono an'
cora imrnaginate pluralisticamente alla rnaniera antica
come parti e forze della natura e portano quindi norni
personali che, nonostante questo riferimento agli dei
del culto, sono separati e lontani da questi. Il nome è
soltanto un velo atcaizzante dal quale traspare Ia loro
natura puram.ente speculativa. La fiIosofia è la rnorte
degli antichi tlei, ma è religione a sua volta, e nella
nuova teogoni.a gelrnogliano i semi che guella ha
sparso.
1i6
L-4, TEOLOGIÀ
DEI PRIMI PENSà,TORI GRECI
NOTE
.
ts Cfr. V. M.l.ccntono, Eraclito: nuotti stuili sull'orfi'smo (B^ar
Paul, a History of Or'
.Cf". Epicarrno
B l: d)"),, riti rot Àeoì nagfioau
(London
lfiisnz
' '-'l;
yonil.rnou
.T,!r!o!y, I uiò.e ò_'_ -àeì nrigtoil' oltoia òui rc ì6r, atiùv ùi.
i: attct
ltdv xdoq npdtov ytvéo?at tùv Oe6u. :: ndtE òi
^eytrdl
xdj pù È.Xoy
y' ànr| rwog tt7ò' èe d rr npdzou uil.ot. l'::| oùx i7o.il_
Fgle*npdtov oò$éu.;..:.: oùòè pà. Àia \tiìqou I un»òi 7, 6ru à1ric
où
I
yùv 6ù-).éyopeq, à),),' àcì Tiò,
fis. Diels, ÈeinÈardt e altri studiosi
qgt parere -ch,e questo frammento sia autentico. A giudicare
i.T:
dalla lingua e dallo stile non è improbabile che lo siao "e ancLc
il contenuto sembra pienamente poisibile per i tempi di'senofane.
Epicarmo sarà stato influenzato dall. màntaiità ciitica del suo
famoso contemporaneo.
2 Cfr. cap. fII, nota 19.
B
. Diogene_ L.aerzio 8, 83,(Alcmeone B 1): 'A),xpaiaa Kpo«»uuir,rlg zriòe éleie llerpi1ou oiòE Bqoziuq xaì',4éoy.rr'xaì Ba|h"l,i.
oaEllvtnu uìy grroì éyovtt-agdyé@v lnryi ttitu 0vr1r6tfl
uE òè avbpdtnorg
rtxpaiqrc9at xaì .rà É€4c: Z"lle; e altri prenhono
le pggl-e qqì @u 8vry6u per una glossa infiltratasi nel te-sto men_
tre Diels le difende osservando che il ribro di Alcmeone trattavtr
tanto di dgauéa qaanto di 8»r1-rd.
_L,antitesi tra àrpauéa . grrlrà i
però stranamente.il_logica e Ie parole
negì t6tv gvq-tau
lo
struttuira del periodo. Àon si dovrcbbè difendere questa
"ornpooo
àurezza
sintattica col dire che va attribuita allo stile arcaico.*
!5^Cfr.^p.
29 prit* medicina, cap. !.
74 e-relative nòteo dove abbiamo osservato che per.
sino Senofane, anche se muove contro gli dei antropo-o"fi a"ltu ì*_
dizione, non afferma con ciò che Dio" sia senza ior-u. Sulrro
xt-tQl^r@y
la
sua vera forma resta indeterminata.
"ù
i Aristotele,
29 contrappone i napnd)"ator, xaì
\etaphr.AS,gBBb
ù€oioy|oayr€e
"
nqdrrot ai nqùtot qil,oooq4oalieg (b ?) che rappresen_
tano u1-grado posteriore di ewoluàione spiritualé;'e cori coof"àpporr"
anch_e_(B-.4,- 1000a 9) oi Bn).dyor a oi òi, òno6J[ra,s ),éyowecii Lg\.
, Vedi la sesta edizione dei presocratici di Diels_Kra"r,
ìol. i.
. -8.-Si pensi alla pittura vascolare del secolo VII e si
Archìloco,
quale principa.le rappresentante dell,espressione"orrfrooii
naturalrstrca nella letteratura contemporanea,
0 Cfr. Erodoto Y 67 a profosito d.ei
tpaymoì Togoi irt onore di
Adrasto ofrerti da Clistene a'Dioniso; l"- i"rii^orì"oze sui diti_
rambi di Arione recitati a Corinto furono raccolte e commentate
da A. W. Prcr,q.no-C,rMeuDeu, Dithyramb, Tragidy
d;;i;,
O:rford..1927. Cfr. i capp. II-e III
""d
i'rpp.'A di'quesr'opera
,rli,
"
pru antrea tragedia e eommedia.
r0 Platone, Àesp.. 364b-e.
Questi scrirti di propaganda religiosa
non recavano esclusivamente il nome di orfeo À. ài.""oluv.ro a""clre
coi nomi di Museoo Selene e altri.
1r Per l'alimentazione sen-za carne (dyupq popd)
qluale precetto
o,rfieo cfr. Euripide, Hipp. 952 sgg., aiis'ioia;;; h";. t05, ,;;.;
Platone. Leg. 782c,
12
Cfr. qui sopra, nota
10.
rl7
1922) e tlello stesso autoreo From Orpheus to
NOTE AL CAPITOLO QUARTO
,
AL CAP. IV
1930).
e usi
d; maggior parte ilelle piri antiche-tesrimonianze su riti (Berin orio Knnn, orplr-ic or wn fr agmento
".rigio;;;fr;Iii-i*ào""o
tiniOZZl, p, B0 sgg. sotto il titolo un-po'ambiguo di Fragmentaoe'
,-;r*. qrràtd paiJi corteogooo per-l'i1iÉ.acòe.nni a cose orfiche'
Alcuni iIì essi i trovano rofto iI iitolo feslimonio nellaprimaparte
,fiilf.", dove cose piri antiche e piri recenti non sono sufficiente'
rnente
----li-f distinte.
r"uìi della poesia orfica sono raccolti in due volumi da
C"". ,q."à. iàu, cx, Àglaophamus, Regimontii 1829' Vedi M' Hrucro»
orpiicZr"à aetute, « Bieslarler p§f9l' Abhandlungenb;- ht
^;r;;
O. KnirN, in «Berl. phil. Woch' »-19L2, p' 1138 e-dello
fSlf:Cf'.
-"r.or"
Die ilerkunft d'à orph' Hytnnenbuchs (Genethliahon
riÀtà
fiir C. Robert Halle 19t0).
'-' ti'cir. r"
dei frammenti in Knnxo op' cit', pp' 130 sgg'
"a"coìtr
sgg.
140
e- -ii
r,3'*r"*, op. cit., p. 6ll; KenN, D-e. orphai..E'pimenidis"Plc'
Berlin IB88' Cli' inrecvdis
";; Thcos.onils quaeirionos oiticae, Diss'
i !"ii orbt icorum fragmenta, p. 141' dove esprime il
;;;"
le rapsodie o itgoi ),Zyol siano stàte.composte molto tempo
a"ilfi"
"fr"
neopìatoìica,'anche se sostiene che vi si trovano
nrima dell'enocà
;;ii'dflo..o di poesie molto pi6 antiche' Vedi anche la tesi
il;
(rrg'g""it" da Kem), Quaestiones Pythogoreae or'
àiG. R;;;"xr
phicae. Empeilocleae,
'
I{alle
1933.
,, U. iow Wrr,luowrrz-MoELLENDoRFF, Der Glaube d'er Helle'
oen, II, Berlin 1932, p. 199. Avevo già scrilto questo^ rcapitolo
quando'è uscito il libro di IveN Lrxrontuo The Arts oJ-Utpheus'
Éerkelev 1941. che sesue le orme di Wilamowitz' Esso sottolinea
iaoifi'ai or"sto stud"ioso circa la fedeltà storica del quadro che
storici della religione hanno tracciato dell'orfismo'
-G;iiain,
-"a"Ài
"f""rri -C.
orpt rus a'nil Greek Religion (London. 1935)'
w.-ii.
nrende una via di mezzà tra i due ebtremi, ma in complesso è
inolto
--; piri positivo
-fr**, di Siìamowitz e Linforth'
Empedokles uruil ilie Orphilter, in « Arch' f'
dfì b.
p. 498.
»
(1BBB)'
I
Philos.
d.
Gesch.
Pif sopra (p. 49 sg.) bo grà.mostrato che questainterpreta-rn
'zo
zione u orfica, dei frammento di Anassimandro risale al temp-o.
t"rto del frammento non era stato ancora corretto dal Diels
"oiit
secondo i codici cli Simpticio. Ciò nonostante alcuni si attengo-no
vecchia inteipretazione benché manchi di ogni forda'
.r"à"u
"ffutesto. IJn
rappresentante della interpretazione
À"nto o"l
"o.fi"ro
Der [Jrsprung iler Naturphilo-'
6
K.
JoÈ;,
;i;i;. d"i presocratici
-dem
Gcist der Mystik, Jena 1906; cfr' la sua Geschtchte
sophie aus
i;'-;;rii";; ihilosophic, Tiibinsen 192 l, p. 149 sgg': «Der mvstische
Geist
---;i und seine Klàrung zum Logos '.
K;\-bipi. firogil. 2?o Ari"stoteìe, ,fra11' '7^Rose «a:Y:^iI
richiamo al'Deàniàa àovrebbe essere 1, 5, 410b 28 e non I4IUb
sarebbe
,i; i;;"-Ebita che I'opinione seeondo cui onomacritoqaola
inirir,".à-à"ff.lo".i. pro.rènga da Aristotele' Egli suive
vece di qrloiu iel fraÀm. 7 Ii. del IIegì qil,oooqia6 che proviene dal
118
LÀ. TEOLOGIÀ DEI PRIMI PENSATORI GRECI
NOTE
commento di_Filopono al De anima; Gurrnru, op. cit., p. SE sgg.
stato un poeta Orfeo ». Filoporro (ii quale conferma che, scconilo Aristotele, le_ « poesie orfichc » ilon ìarebbero compostà da
Orfeo) interpreta nel senso che soltanto i déyptata
ài O.f"o,
".no,
non invece le poesie che sarebbero stato scritte da Onomacrito.
Nel
trrlio Aristotele, tr, it.o p.169, ho scguito Filopono, secondo il quale
Aristotele contestò che Orfeo ne t'osse l'autoie, ma ne ammise ia figura storica. Il cornrnento di Guthrie al I'rammento indicato ha reso
dubbia questa affermazione, trl poerna orfico menzionato da Aristotele aveva ur contenuto tcogoiico: lo deduco dal fatto che egli
cita come opinione del suo autore la circostanza che l,anima eia
neta dal .(pneyma nell") universo e i venti l,avevano portata nel
corpo. Aristotele si riferisce ancora ai cosiddetti énq orfrii in De gen.
a-n, 2, I, 734a 16_ pe_r un particolare simile riguardantc l,oriline
del corpo umano. Le due opinioni sull'origine del-l,anirna e del co"rpo
erano certamente parti di una cosmogonia eniro il « poema orficò »
e questa cosmogonia era senza dubbio collocata contlo uno sfondo
teogonico e non trattata in maniera puramente astratta e scientifica,
anche se sàrà stata già influenzata dalle teorie dei filosofi naturalisti
{i quel tempo. tsare che questo poema sia diverso dalla redazione
d,egli.Oyucoli di Museo (Xpqopoì Mouoaiou) attribuita a Onomacrito
da Flrodoto '1, 6 (ctr. nora 23).
Erodoto 7,
ii É", qo"tto profondo risletto della tradizione scritta nella
i, geri"re e per il iifacirnento di predecessori da parte
ài po"ii tlesiiler'osi cli migliorarli cfr. la mia Paiileia, tr' it', II,
p.365 sgg.
' .i Aiiitot"le, Metaph. I 6, L07lb 26 (KrnN, orph. fragm' 24\' .
-princ.
32 Damascioo De
L24 (I 319, 8 Ruelle), Knnlv, Or2ft'
28 (Euclemoo f"a*tt. 117 Spengel).^
fragm.
" 'r, A"iutàfune, [Jccelli, 690 sgg. (KnÀN, Orph. fragm. l)'
ea
cfr. Metaph. ,4 6, l07lb
Cfr. iI rnrio Humanistn and Theology (« The Aquinas LectuMarquette University Prcss, Mil.w'aliteà f S+a;, 'specialmente
pp. 36 sgg., 58 sgg., 82 *gg., dove ho cercato l'origine iel concetto
di « teologia » nella filosofia greca e ho descritto -come fu accolto
nella chiesa cristiana antica. Cfr. anche il cap. I di questo librq.
27
»,
^
Gregorii Nysseni Opera, II, ed. W. Jaeger, i3erlin
I9iI,
p.
t, lb
^
\Contra Eunom.,lib. III, tom. IXo 59): zò dè éu òéypraot òàtu péaor,E
oieo.Su rì1u eòo|P9ruu eiuat, riaoE o$.roog 'iòLou citE tau 'Ei),fiuai
éotiu; _Qresto _rilievo è il prodotto della profònda
27
26.
Plaione non dice espressamente che l'esametro da lui dato per
orfico in Ph'ileb. 66 c: \mn ò' èv yevt\, E46ìv'OQEetq, xcfiaxtdlidare
xdopou àoòiiE provenga da un-poer"a teogonico' In s6 questo vers-o
;;;-;;t;t; .'i-f"iito, cime ha dimostrato Losncr,-Aglaophamus
-f7'
p. Zae.gg., a una sequenza di generazioni di dei o di uornini' Ma Lo'
MiilK'
O'
fa
Leck si É"girttu*"rtè astenutidall'interpretarlo,.come
i"", q"ut""""cessione d'incarnazioni dell'anima in sei diverse specie
di'co'rpi animali o umani, e se escludiamo questa interpretazione'
l" qlruie si adatterebbe a una dottrina pitag-o:rica meglio che.a una
traàizione orfica, la cosa piri verosimile sarebbe pensare a sei generrri."i ai a"i. Questa opinione è confortato--anche dal fatto che
Platone (Cratvl. ìOZ b-")'eita due altri versi di una leogonia orfica
q""fiO*-rno e Tethys sono la prima (? ) generazionc nella suc""i
ce.siàr" ilegli dei. Si noti che il àodo in cui Platone cita questa
irloairior" è" nei due casi esattamente eguale: rpqoì»'Opqeilq -- L-é'ya
38
da molti.
zo Cfr. KonNo op. cit., p. 147.
28
Esiodo, Theog. 723'25.
rs Eschilo, Eum. 321 Murray.
s0 Luce e tenebra sono una rlelle dieci coppie di contlari che
Aristotele (Metaph. A 5, 9B6a 2? .gs.) - "nuÀà"a nella ouoror'6ia
di principi'co*e- lu intendevano alcuni pitagorici'
- i;-Àrirt"t"te, Metaph. If 4, 109ib 4-(KùnN, Orph' fragm' 24);
.6.
polazione da Onomacrito il quale vi inseri richiamì « profetici »
ad awvenimenti dell'epoca che precedette imrnediatamenteì. grer"a
persiana. Cfr. Erodoto, l. cit.
sa Dalla raccolta delle tesrimonianze
di Knnlr (Orph. fragm.,
,. l-stg.) risulta questo, se pur ne risulta qualcosa.
quadro dell:r chicsa or{ìca-cfr. O. Krnx, Religion
l"t ques_to
" 'lGriechen,
der
II, Berlin 1935, 148. L'opinione però che i poemi ieogo-nici contenessero il « dogrna » della-religioni orfica no-n si trova
soltanto in Kern ma risale alla Psyche ài RoLd" ed è sostenuta
_
specifi'
poesia greci
Uber Epinrenid,es uan Kreta, in « Sitzungsber. Berl.
.Ak._»_1891, p. 387 sgg. Gli Oracoli di Museo (se pur contenevano
qu_alche tradizione piri antica) devono avcr .icàvufo qualche inter-
re
119
('nm;nte $eco ;he dominavà alora la discussione tra cristiari colti
,, 1,, ge""ichit ecclesiastica nei concilii. Eruditi com'erano nella tra'
di Nissa e il suo gruppo-c-o-norlizione della filosofia greca, Gregorio
-ali
qucsto intcllettualismo e dell'inB(:ovano bene l'originò eilenica
ristenza sulla chia:rezza e precision; dogmatica nelle cose di relicit., p. ZZO, 21 dove Gregorio mette in rilievo
gionc. Cfr. anche op.
-«
i;importanza della comunione dei singoli mistici » e rlelle « usanze
srrllJ quali si basa la forza della religiòne cristiana »' Per il nostro
studio è indifferente se questa dogmitizzazione della sostanza reli'
giosa sia o ron sia di iostro guito: dobbiamo riconoscere che è
lrn atteggiamento specificamente greco.
2e Lé-parole 6,jypa e oidrnpd furono usate in questo senso per
la prima iolt, oe.Jo la Ene dci periodo classico greco e sono particolàrmente caratteristicbe del periodo ellenistico.
mai_
trf.-Drus,
CAP. IV
rli ogni fede dogmatica e i pericoli di quell'intellettualismo
lascia aperta la questione. Secondo Cicerone, De iat.. ileor.i, Jg, ib"B
Aristotele ncl dialogo IIqì cpttr"oooqtac aveya asserito che«non c,era
2e
23
}.L
Ifna teogonia è citata anche in ?imeo" 40d dovc
Éìrtore rratù'dil'origine degli dei. Secondo questo.passo Oceuno
e Tethys non erano la prima coppia,-ma erano statr precedutl da
U*ano "" Ge. Da Ocea*ì e Tethys discendevano Phorkys, Kronos
òé toaxaì'Oacoeùc.
esperiénza
ed erudizione di un dirigente della chiesa criJtiana del seiolo IV
il quale apparteneva alla scuola teologica di Cappadocia, un gruppo
che piÉ di qualunque altro contribuiì fissare èiattamente
?6rmulare il dogrna tlella chiesa cristiana. lla essi oorìoscevano ""u
i limiti
c'Rhcn:*da Kronos e Rhea Zeus'e Hera coi ]oro frateìli e sorelle;
qri"tti ne discend.evano altri. In- -questa serie i figli tll Zeus
"-à,
al ffl"t sono la quinta generazione. Mà se assumiamo che Urano
"
*
120
LA. TEOLOGIA
DEI PRIMI PENSATORI
e Ge erano soltanto la prima coppia e a Ioro volta devono essere
figli del Caos o di un'altra divinite primigenia (cfr. nota 5l), abbiamo effettivamente le sei generazioni che ci occorrono; tli{ficilmente infatti si potrà andare oltre la sesta, i figli di Zeus e di Hera,
che per Platone sono gli ultimi. A questo punto sarà bene ricordare
che anche nella versione neoplatonica della teogonia orfica c'erano
sei generazioni di dei, cosa importante per l'interpretazione delle
sei yeueai nel poema orfico citato da Platone, in quanto è una conferma che il numero sei era fisso nella tradizione teogonica, Cfr.
Orfeo B 12 con le note di Diels (Vorsokratiher, I).
30 Aristofane, Uccellio 690 sgg. (KnnN, Orph.
fragm, L)ao Cfr. sopra, p. 49 sgg.
a1
Cfr, Aristofane, Uccelli, 696 dove le parole
?r€Qlr>llopé.ydc
riiporq sono una parafrasi poetica di ypéuoE.
a2 Cfr. sopra, p. 18 sg.
a3 Aristofane, Uccellio 695 sgg.
aa Cfr. Damascio, De princ. 124 (I 320, 17 Ruelle); Epimenide
B 5 Diels (Eudemo, framm. Il7 Spengel).
a5 Cfr. Damascio, op. cit.; Orfeo B 12 Diels (Eudemo, framm.
117), Cfr. la nota di Diels a questo passo.
a6 Dror,s, Ein orphischer Demeterhyrnnus (nella Festschrift
fiir
Th. Gomperz, Wien 1902), p. l, specialm. p. t3 sgg.
a7 Le parole 'Ipruenatye dd)toolt, pe si trovano in un papiro di
misteri del secolo III a. C. che fu scoperto nel villaggio egiziano
di Gurob e pubblicato per la prima volta da J. G. Snrr,v, Greelc
Papyri from Gzro6, Dublin 1921, nr. I (cfr. Knnn, Orph. fragm.3l,
riga 22).
a8 I frammenti della Teogoniao Xpqopoi di Epimenide sono raccolti nei Vorsohratiker del Diels. Yedi l'estratto di Eudemo, sopra,
notz
44ao Epimenide B 5.
so Cfr. J. BunNnr, Early Greek Philosophy a, pp. 1090 186 ecc.
51 Secondo Eudemo, la Teogonia di Orfeo faceva della Notte
il principio
NOTE .ÀL C.ÀP. IV
GRECI
(Orfeo B 12). Aristofane, Uccelli, 693 incomincia ugualmente col Caos e con la Notte la parodia di una teogonia orfica.
Cfr. sopra, p. 105 sgg.
52 Omero, Iliaile, 14, 201,
53 Cosi possiamo interpretare le parole di Euderno in Damascio
124 (Epimeniile B 5) i§ ritu lscil.'Aégos x,ai NuxzdEf ùio Tnduas....
Eudemo non dice chi siano questi « due Titani », ma se consideriamo l'elenco dei figli di Urano che sono chiamati Titani in Esiodo,
Theog. L29 sgg. (cfr. w. 2A7 sgg., 630), sembra possibile che i due titani di Epimenide siano Oceano e Tethys. Infatti sono gli unici a
formare una coppia tradizionale che nella pif antica teogonia, cioè
in Omero (cfr. nota 52)o potesse avere ed ebbe realmente la parte
di àqyil. Filodemo, De piet.47a 2 (p. 19 Gomperz), confrontalla
variante omerica di Oceano e Tethys con Aria e Notteo la prima còppia di Epimenide. Questi a sua volta sarà stato indotto dalla celebre tradizione a comprendcre in qualche modo la versione omerica
nella propria nuova genealogia facendo di Oceano e Tethys, «i Titani », i figli dell'Aria e della Notte e assegnando loro il secondo posto
anziché il primo. L'occasione d.i questo come di ogni altro muta-
121
rrrorrto di questo genere dev'essere data dal desiderio di mettere
rl'nt:r:ordo i'miti g"enealogici coi fatti flsici c-ome egli-li concepiva'
t'or un'altra versi;ne de[a genealogia dcgli dei secondo Epimenide
r:l'r. nota 55.
6a « Epimenide » B 5 trovò questa versione' l'uovo del mondor
irr un'altia fonte diversa da OÀero ed Esiodo, probabilmente in
urr poema epieo del tipo
di
«
Orfeo
».
Le parole'Qxtlauou xaì flfic yt»vilpalz' eiva.t
irr Filodìmo, De pier. 46b 7 (p. 18 Comperz) sono bensi frutto di
lrno congettura, ria la ricostruzione del passo è convincente. A pr!1a
du
Epi-"inid" B
?.
vista pe;ò sembra difficile intendere come « Epimenide.» po-ssa chia'
,nor"'G" una Titana, dato che nella tradizione teogonica di Esiodo
cssa è la madre dei Titani. Senonché la versione di Filodemo può
undare d'accordo con quella di Eudemo (cfr. nota 53)-{uando- si
&ssuma che la teogonià sommamente speculativa di .« Epimenide »
diede alla parola «Titani» un nuovo significato allegorico e plesentò
come primà coppia Aria-Notte (cioè lo spazio buio e vuo-to)o come
secondì coppi.-Ò"e"no-Ge (gli elementi acqua e terra)'.Una simile
modificazioii del mito teogònico tradizionale si trova in Ferecide
(cfr. p. 110 sg.) quando fi di Ge (Chthonie) la consorte di Zeus,
qourionqo" ieila-T"rgooio di Esiodo fosse sua nonna. Come « Epiàenide r,^ anche Fereòide giustifica questa innovazione con un'interpretazione allegorica poiché nel suo sisterna- IanLo Zas quanto
Chihonie rappresentano i supremi principì fisici.
ao Cfr. l'òiinione di Senofine che tutto è sorto da Terra e Acqua,
B
29.
Cfr. la teogonia di Hieronymos (in Damascio I23 : KpnN'
fragm.54)'il quale pure fa'di Acqrra e'Terra (riida;g xai yiia)
i primi piincipi della sua eosmogonia. Naturalmente n3n-può aver
,àto qrie.ti riomi; ridcoq e yfi soio un'interpretazione di Damascio;
nel lin§uaggio mitico dèlla-tàogonia di Hieronymos c'erano i nomi
5?
Orph.,
Okeanòs e"Òe. Pare che egli abbìa preso questa coppia dalla teogonia
« Epimenide ». Cfr. nota 55.
58 tr'erecide B 1.
di
Acusilao A 4.
60 Cfr. Senofane B L4, Epicarmo B I.
61 Probo, ail Verg. Buc.6,3L (App. Seru. ed. Hagen, p.
?43, 18)
5e
:
Ferecide A 9, La medesima interprètàzione in Ermia, Irr. LZ : ibid.
62 La forma Kpòaoq, è tramandata sia da Probo sia da Ermia:
cfr. nota 61. Seconìo la citazione letterale in Diogene Laerzio I 119
Ferecide lo chiamò XpduoE.
63
oe
Cfr. soprao p.
49.
Per l'oiiginé e la funzione dell'etimologia nel primo pensiero
teologico grecJ cf.. M-lx Wennune, Zwei Fragen zum Krer1ylo-sr^i1t
y, 1929.
u Neu-e Philologische Untersuchungen» ed. da W. Jaegero
p. 65 sg. L'etilmologia era uno aòi piri importanti e pif f.equenti
ripieghi
dell'antica teologia greca.
- oi Aristotele,
Metapi. .lf 4, 1091 b B (Ferecide ,{ ?). Se1_rbra
che a questo carattere ìt misto » della speculazione di Ferecide alluda
Diogenè Laerzio quando dice (1, 116) che Ferecide fu il primo a
scriiere nepi gtioeaq xaì 8{ou. La sua teogonia conteneva tra altri
elementi tò goso\oruir: era fisica in veste teologica.
122
66
67
LA, TEOI,OGIA
DEI PRIMI PENSATORI
Aristotele, Metaph. B 4,
1000
GRECI
a t8 (cfr. b
9).
Questa osservazione aveva un peso particolare per Aristotele
ch,c.dell'« essere perfettissimo » faceva il principio dell'universo. Egli
critica i pitagorici e il platonico Speusippo perch6 ponevano al principio I'imperfeto. Vedi Metaph, A 7, 1072b 3L.
0s
s
Cfr. l'ampio frammento papiraceo di Ferecide B
2.
Damascio, De princ. I24 (Eudemo, framm. I1T), Ferecicle A B.
Porfirio,
De antr. Nymph, 31 (tr'erecide B 6) dice che nella sua
usò le parole dazpa,
Di quiil titolo flìy'r-épuyog (vedi Damascio. l, cit.). Suida ha la variante 'Entdpuyog
derivata, a quanto sernbr.a, dalla storia della filosofia di Porfiiio
(Ferecide A 2). La variante indica che il titolo fu aggiunto da scrittori posteriori, probabilrnente dai grammatici alesÀandrini, i quali
non eraro d'accordo con le intcrpretazioni dello schema cosmologico_ d1 Ferecide. Damascio spiega nutépuyoe corne neutéxoopog.
70
. Damascio, op. cit. dice che Chronos-fece del suo proprio (?)
y-éuog fircco, pneuma, acqua..., - li distribui in chtqae-puyoi e-ne
derivò una numerosa progenie di dei. Nella lacuna del iesto *,,rcano due altri elementi. Kern congetttra aùro6 al posto di éauto6
e inliende il yduoq per quello di Zas. Cfr. tr'erecide B ?, dove gli viene
attribuita la parola èxpoi1, Ma Ia « grn4114r1.re »o alla qualJ sembra
allrrdsas questo sinonimo di onégpa o ydaoq, deve avèr significato
qualcosa di fisico, a differenza dal futuro'uso spiritualistico dì questo
Clprror,o QurNto
cosmologia- Ferecide distinse diversi p,uyol e
pd.9pot, mfi"ar e Srigcr corne sinonimi di puyoi,
concetto.
7t Origene, Contra Cels.6, 42 (Ferecide B 5).
72 Origene, op. cit. : Ferecidc B 4.
?3
Prom. 351-72; Pindaro, Pyth. 7, 15-28.
7a Eschilo,
Cfr. la mia nota in Paiileia, tr. it., tr, p. 296 nota 31.
75 Mi sembra necessario e urgente riprendere
da questo punto
di vista l'interpretazionc della Tiogonia ài Esiodo e di tutto -il suo
p-ensiero, e badare seriamente a sellarare le idee personali di Esiodo,
cioè i suoi nuovi pensieri teologici, dagli elemenli puramente tradizionali della sua speculazione,
?6 Eschilo, framm. ?0 Nauckz.
ORIGINE DELLA TEORIA
SULLA DIYINITÀ. DELL'ANIMA
I
greci (cosi si esprime uno studioso recente) condividono col popolo ebraico il merito storico di aver
creato una spiritualizzata fede in Dio: vna i greci sono
stati i soli a determinare per la durata di alcuni mil'
lenni Ie idee dell'umanità civile intorno alla natura e
al destino dell'anima. Essendo accolte dalla religione
cristiana, Ie loro idee ebbero Ia piri larga diffusione e
d'altro canto ebbero una parte essenziale nello sviluppo
della concezione cristiana del mondo. L'evoluzione di
questo concetto dell'anima incomincia per noi soltanto nel VI secolo. I-e sue radici aflondano certamente
in strati preistorici dell'esistenza umana; ma in senso
storico rimarrà sempte decisivo iI fatto che la fede nella
divinità dell'anima e nel suo destino metafi.sico ricevette nella eiviltà greca del Yf secolo a. C. la forrna
spirituale con la guale poté conquistare il mondo. Il
mito greco dell'anima non scaturi dallo spirito filosofrco, bensi dal moto religioso che abbianao brevemente
descritto nel capitolo precedente. Di qui però c'è una
linea diretta che porta alla filosofia. L'influsso non si
manifesta tanto quale accelutazioroe esteriore di un dogmg religioso da parte del pensiero filosofico quanto
come libera catarsi spirituale della fede religiosa nelI'anima; ciò dimostra però che questa fede creò un
nuovo punto di partcnza e di orientamento nel pen-
LA TEOLOGIÀ, DEI PRIMI PENSATONI GRECI
siero umano. Per questa ragione esso va compreso nell'ambito del nostro studio.
È inevitabile però considerare, in generale, la formazione dell'idea greca d.ell'anima fin dall,inizio d.ella
nostra tradizione. Dopo l'opera classiea di Rohde intitolata Psychel, che per la filologia del suo tempo fu
un capolavoro di sintesi scientifica e di esposizione arti-
stica, gli studi non hanno avuto tregua; specialmente
concetto omerico dell'anima è stato oggetto di indagini profonde che hanno scosso le premesse fondamentali dell'opera rohdiana. Rohde scriveva sotto l,impressione della teoria dell'animismo che nel campo della
storia delle religioni era stata formulata anzitutto da
Tylor e Spencer; e cercava di trovare un accordo fra le
idee generali di guesta teoria e i fatti che ci presenta il
testo omerico. Partendo dalla fede cristiana nell,immortalità, stabili anzitutto che in Omero non esiste niente
di simile 2; perciò considerò subito quel lato del concetto omerico della psiche che appartiene all,al di là.
Già questo punto di partenza era una prima fonte di errori, poiché? per quanto anche in Omero sia importante
la parte della psiche quale ombra del defunto nell,al
di là, guesto signifi.cato della parola non può essere,
come ved.remo, se non derivato e secondario. Lo stesso
Rohde dice giustamente che la morte è per l,infividuo
di Omero la fine; la sua anima non sopravvive alla
morte 3. I-;'ombra del defunto che entra nell,Ade non
vi mena un'esistenza cosciente, e con le parole « l,uomo
§tesso » Omero, in antitesi a quest?ombra, indica piri
volte la spoglia terrena del defunto, il suo corpo, sia
pure privato della vita, tanto è vero che fin dal principio deil'f/iade si dice: Egli gertò nell,Ade le « anime »
(tpoyai) degli eroi, cioè le loro ombre, mentre buttò loro
stessi, cioè i corpi degli eroi? in pasto ai cani e agli
awoltoi 4.
il
cÀ,p.
v:
oRrGrNE DELLA, TEoRra
sulll
DrvrNrr.À
our,r,'ÀrcrMl
125
Prima di eonsiderare il principale significato della
J)arola, la psiche del vivo in Omero, vogliamo soflel'
marci a quella evanescente ombra sotterranea che egli
r:hiama anche eiòa),ov, perché somiglia esteriormente al
morto fino al punto da farsi scamhiare con lui' e ingieme col Rohde ci domandiamo donde sia venuta e
quali fossero i suoi rapporti con l'uomo fin tanto che
era vivo 5. Ci sono parecchi passi di Omero dove è
detto che la psiche si separa dal moribondo, che vola
fuori dalle sue labbra o dal suo corpo e precipita nel'
l'Ade. Dunque dev'essere stata nell'uomo vivo: ma
guale attività vi svolgeva ? Ciò che noi chiamiamo ani'
ma, coscienza e simili e che anche i greci piÉ tardi intendevano per yuyfi, in Omero non si chiama mai cosi,
ma è sempre indicato con Sopdg o con parole che signi'
ficano cuore, diaframma o altre parti del corpo? le quali
entrano in funzione o sono interessate nelle reazioni
del sentimento e della volontà. D'altra parte Omero
usa la parola yoyfi nell'aomo vivo spesso col significato
di « vita » 6. Questo fatto però al Rohde non parve sufficiente a spiegare I'uso della stessa parola per l'ombra
del defunto nell'Ade. Questo stesso sosia incorporeo doveva aver abitato nell'uomo vivente, sia pure senza
un'attività definibile. Per lo meno non si riusciva a
trovarlo allo stato sveglio e cosciente. Rohde, per contro, pensò di dover considerare l'attività sognante della
coscienza nel sonno, prendendola per un'analogia, diversa soltanto di grado, col distacco definitivo della
psiche dal corpo nel momento della morte. Questa opi'
nione si appoggiava a un passo di Pindaro, velamente
molto significativo, dove è detto:
« II corpo fi tutti gli uomini segue la morte onnipotente, ma viva rimane un'immagine della vita; ché
soltanto questo viene dagli dei. Essa dorme fintanto
che le membra si muovono. Ma spesso rivela nel sogno
Ioo{ unird:ìtra *8ì
ti Bolosna o'
\3t
12-w
*/
t26
LA
TEOLOGtrT.
DEI PRIMI
al dorrniente la prossima
c^p.
PENSÀ.TORI GRECI
decisione delle cose
tristi e
delle gioiose »
Qui troviamo in accordo letterale con Omero la natura della psiche, anche se di essa non si parla direttamente, quale idolo o immagine della vita (oi6n). Qui
è detto che questo idolo è l'unica cosa che rimane dell'uomo quando il corpo muore. Tanto piÉ parve importante a Rohde che qui sia detto espressamente
come questo idolo del vivente abiti in lui quando è
vivo, ma dorma quando egli è sveglio. Soltanto cosi
sembrava di poter spiegare lo strano fatto che Omero
non parla mai della presenza o dell'attività di un siffatto sosia che, come secondo io invisibile, dimora nell'uomo. Il fatto che entra in attività soltanto nel sogno,
vale a dire nel temporaneo distacco dal corpo, era per
Rohde I'elemento decisivo di tutta questa concezione,
poiché pareva gli desse la prova definitiva che questa
concezione era derivata da un'argomentazione logica
in base alle esperienze del sogno e a fenomeni simili
quali l'estasi e il deliquio. Che era precisamente il presupposto clella teoria dell'animismo.
Su questo punto è intervenuta vittoriosamente la
critica di \t/. F. Otto 8. Ciò che dal punto di vista puramente filologico deve sembrare strano nella dim.ostrazione di Rohde, cosi stringente in apparenza, benché lo si sia accettato tranquillamente per decenni, è
la siearezza con la quale si inserisce un'idea di Pindaro
nell'epopea omerica, anteriote di parecchi secoli. Otto
osservò giustamente che basta un'unica frase nel passo
di Pindaro a dimostrare quanto una siffatta confusione
sia metodicamente inammissibile: vi si legge che l'idolo
del vivente rimane in vita quando il corpo muore,
«poiché questo soltanto viene dagli dei». Ora nulla è
cosi poco omerico come I'idea della divina discendenza
dell'anima umana; e altrettanto estranea è ad Ortero
7.
v:
oRrGrNE DELLA" TEoRr.À suLLA. DrYrNlrÀ
ppr,r,'hNrlre
ln scissione dualistica dell'uomo in corpo e anima,
12?
che
rpresta teoria presuppone e che Pindaro aflerma esples-
Brrnente. Non è lecito estrarre questo pensiero mistico
rlt Pindaro, come fa Rohde, e considerare il resto conne
ornerico e. Infatti all'idea che l'anima abita nel corpo
xoltanto come un'ospite estranea, proveniente da un
rnondo superiore, si associa in Pindaro l'altro particolare, trasferito da Rohde a Omero, che l'anima dorme
rluando l'uomo veglia e si desta ed. è attiva solarnente
(Iuando l'uomo dorme, cioè nel sonno. In Omero non
si trova nulla di questa nnisteriosa concezione, come
Otto ha dimostrato mediante una bella analisi dei sogni
descritti da Omero10. Per quest'ultimo il sogno è sempte
un'apparizione reale ohe si awicina al dormiente. È vero
che Omero chiarna una volta anche eidolon il fenomeno
del sogno, ma non l'anima quale organo del sogno,
come f,a Pindaro 11; e in Omero sarebbe inconcepibile
L'interpretazione del sogno in quanto visione dell'anima
liberata dal corpo e inalzata alla sua originaria forza
divina. Ci troviamo di fronte a due concezioni dell'anima assolutamente diverse che bisogna distinguere
con la massima chiarezza. La teoria animistica della
psiche omerica in quanto sosia, in quanto secondo io,
che nell'uomo vivente è assopito e con la morte abbandona il corpo per scendere nell'Ade e condurvi un'esi'
ste:r.za di ombra simile a un soffio senza fotzar ![uesta
teoria, seguìta dal Rohde, perde cosi ogni sostegno.
Otto, a sua volta, si accostò a questo problem.a non
tanto attraverso uno studio della fede greca nell'anima
e della sua evoluzione quanto attravexso I'indagine
delle forme clella piri antica credenza intorno ai morti,
come dice il sottotitolo del suo opuscolo: « f Mani ossia
le forme primordiali della credenza intorno ai morti ».
Perciò egli non incominciò col chiedersi quali siano i
concetti che in Ornero indicano i diversi aspetti di ciò
t28
LA TEOLOGIA DEI PRIMI PENSÀ,TORI
(iArr.
GRECI
che intendiamo col nome di « anima », e quale significato abbia in particolare il concetto omerico di yuyi1,
ma ha affrontato il problema della yuyil partendo dal
suo significato di spirito del morto, allo stesso modo
in cui Rohde era partito dal fatto che in Omero la
yuyrj quale abitante dell'Ade è un'immagine dell'uomo
vivente. Ma mentre Rohde dal carattere della psiche
abitante dell'Ade in quanto idolo e sosia dell'uomo pretendeva di ricavare l'essenza della psiche in genere c
anche la sua pretesa funzione di secondo io dell'uomo
vivente, Otto distingue nettamente fra questi due significati. Egli vede nell'abitante omerico dell'Ade soltanto
il fenomeno greco della primitiva credenza - non ancora
sfiorata dal ragionamento - nel fantasma del morto,
prodotto della paura del morto che si riscontra in tutti
i popoli. Il rilievo dato a questa origine dell'ombra nell'Ade rende per Otto tanto piri problematico il suo nome
di psiche, poiché Omero chiama psiche nell'uomo vivente proprio la « vita » 12, cioè il contrario del morto.
C'è poi anche un'altra differenza: la psiche che vagola
nell'Ade come idolo è rigorosamente individuale 13, data
la visibile somiglianza del suo aspetto col vivo; ma
la psiche del vivo è semplicemente la vita animale che
è in lui e come tale non ha niente di personale. Come
si conciliano queste contraddizioni comprese nell,unica
parola omerica di psiche ? Col concetto « psiche uguale
a vita » non si riesce a spiegare l'applicazione della
stessa parola, al fantasma del morto. Perciò Otto suppone che abbia avuto luogo una trasposizione: che,
come è facile intendere, iI fenomeno dei fantasmi sia
stato messo in rapporto con l'impressione che il momento della morte fa sullo spettatore 14. Ciò che si
staeca dal corpo e fugge è la vita, la psiche, che allora
però dovrebbe essere identica col fantasma del morto
nell'Ade. Se questa identificazione fosse frutto di una
v:
oRrcrNE DELLA. TEoRr.A. suLt,l DrvrNrrì,
orr,r,,enrul
129
rlr,rlrrzione cosciente, rimarrebbe difficile figurarsi come
r,olorr» che la eseguirono non abbiano notato le sumrrrlrrzionate differenze. E male si accorda con le idee
,,lrc lo stesso Otto ha della natura dei primitivi processi
r,ritit:i, sui quali si basano questi concetti omerici,
l'cv1;n1r"1" ipotesi che qui si tratti di una specie di logirru primitiva, di una illazione cosciente 15. Non rimar(:v{r pertanto che vedere nella definizione dell'abitante
orncrico dell'Ade quale « psiche » una sostituzione met'lmente esteriore, senza che fossimo autorizzati ad
lttuare realmente l'uguaglianza tra Ia vita e il fantusma del morto insita in questa equiparazione associativa.
Quando si consideri la difficoltà di questa deduzione,
ai comprende perché il tentativo di Otto, di tener conto
rlella credenza omerica intorno all'anima e al morto,
abbia dovuto provocare subito un altro tentativo.
Questo fu fatto da Ernst Bickel co1 libro sulla cred.enza omerica intorno all'anima 16. Egli parti dal postulato che la definizione dello spirito d.e1 morto quale
psiche non possa fondarsi su una posteriore contaminazione di due concetti cosi diversi come « vita » e « spirito del morto», ma che nella psiche omerica debba esser
contenuto fin dall'origine gualcosa che faccia da ponte
tra i due significati e ciò sia da ricavare dal fondamentale significato etimologico di psiche quale « respiro »
o « soffio » 17. fn origine la psiche sarebbe nel vivente
l'anima-soffio o anima-respiro? la cui esistenza era certa
per chi sperimentasse la vita animale nell'uomo, specialmente in eventi come la morte o lo svenimento, quando
la vita abbandona l'uomo insieme col respiro. fn opposizione ad alcuni precedenti interpreti di Omero,
Otto aveva vivamente contestato che la psiche di
Omero nell'uomo vivo abbia mai significato altro che
vita. Questa sarebbe già diventata un concetto del
9.
-
W. Jenonn, La
teologrì,a
dei pfi,nxi pensatori
nrecì,.
I30
LI,
TEOLOGI"{
DEI PRIMI PENSÀTORI
CRECI
tutto astratto; il significato di «respiro» non sarebbr:
nettamente dimostrabile in nessun passo di Omero.
Bickel, per contro, fa notare 18 che dnotpiy«r significa irr
Omero « espirare » e vi si trova anche la frase yoyì1v
xan$ooat che possiamo tradurre soltanto con animant,
effiare (esalare la propria anima). Il vocabolo latino
anima contiene ancora chiaramente uniti in sé i con'
cetti di vita, anima e soffio. Se anche dobbiamo riconoscere che la psiche di Omero non ha conservato
l'immagine concreta del soffio come il latino animu'
che si ricollega ad. dvep,og,, « il vento », gli esempi nei
quali è unita con un verbo che indica espirare o che
sia derivato dalla stessa radice yoy dimostrano comc
anche in greco questa idea concreta sia stata I'origine del concetto di psiche le. Anche in epoca omerica,
quando questa origine stava già dileguandosi, se ne
ebbe spesso coscienza: lo rivelano espressioni come
« Ia psiche sfuggi alle labbra » o « la psiche volò via
dal corpo » 20. L'idea del volo della psiche all'Ade
che spesso vi si accompagna si accorda male col con'
cetto astratto di « vita », mentte? secondo l'antica
mentalità greca, si intona bene col soffio del respiro.
Nell'epica « orfiea » del YI secolo incontriamo il pen'
siero che, alla nascita, la psiche entra nell'uomo por'
tata dai soffi del vento 21. Ciò non appare in Omero,
ma è esattamente il complemento della credenza ome'
rica che la psiche esca dal moribondo volando. Quest'ultimo concetto dev'essere antichissimo. Anche fuori
dell'àmbito letterario lo troviamo sotto la forma della
psiche che dopo aver abbandonato l'uomo svolazza in
giro come uccello-anima o farfalla zz. Sia f idea del
volo intesa in origine in questo significato vero e
proprio o, come nell'anima-respiro, nel senso traslato
del librarsi, certo è che Omero la senti ancora concte'
tamente.
cap. v: oRrGrNE DELLA TEoRrl suLL-{ DrvrNrrì,
orr,r,'enrul
13I
l,a letteratura post-omerica è cosi frammentaria che
rron ò facile farsi un'idea delle denominazioni dell'anima.
naturale che i poeti, imitando Omero, mantengano
rr»l medesimo significato anche le suc denominazioni 23.
Non abbiamo notizie sul modo in cui si esprimeva la
lingua viva. Nel YI secolo, agli inizi della prosa, il
lilosofo Anassimene, nell'unico frammento della sua
opera didascalica che ci è conservato, usa la parola
psiche nel significato di « anima », non di « vita ». Dice:
« Come la nostra psiche che è aria ci tiene uniti e ci
governa, cosi il cosmo intero è tenuto insieme da
2a. Anassimene chiama aria l'illirnitato
l)neuma e aria»
che è fondamento di ogni divenire, soprattutto perché
la considera sostrato della vita. L'animazione sta, secondo lui, già nel primo principio e i suoi rapporti
col mondo della corporeità visibile s'intendono dall'analogia dei rapporti tra la psiche e iI corpo umano.
Per equiparare l'aria all'anima il fiIosofo non ha che da
richiamarsi? a quanto pare, al vocabolo psiche, perché
chiunque lo udisse deve aver sentito che vi era contenuta l'idea del respiro. Già per Bickel è giustamente
inverosimile che Anassimene si sia reso conto di questo
originario significato di psiche soltanto attraverso il
suo ragionamento. Egli avrà inteso cosi anche il suo
Omero, ma in ogni caso intendeva cosi la propria lingua. Senofane, a quanto si dice, negò che iI mondo respiri 25. Anche questa idea, come la maggior parte delle
altre, gli è venuta dalla filosofia ionica; ed egli I'ha
respinta perché troppo strana. Ad Anassimene invece
si adatterebbe bene. Questa provenienza è possibile
anche cronologicamente. Aristotele conferma espressamente che l'idea del mondo che respira era condivisa
dai primi pitagorici i quali la mettevano in relazione
con la teoria d.ello spazio vuoto nel mondo 26. Ma in sé
potrebbe essere anche piÉ antica e risalire ad Anassi-
il
t32
LA. TEOLOEIA.
DEI PRIMI
PENS,A.TORI GRECI
mene. Anche I'anima della teogonia orfica che sullc ali
del vento entra nel neonato presuppone la filosofia delll
natura e la sua teoria dell'aria quale principio di vita 27.
Sarebbe bello sapere se iI vocabolo psiche includa pcr
Anassimene anche la coscienza, come la include poco
dopo per Eraclito il quale, come Eschilo e Pindaro, L:
dà questo significato fisso. Non che sia necessario, dato
che ad Anassimene importava soprattutto iI lato fisiologico della psiche. Certo la sua frase « l'anima ci tlolrrJna (ouyxqazei)» 28 ne suggerisce almeno la contemporanea interpretazione spirituale, e siccome l'aria infinita è per Anassimene altrettanto divina quanto l'apeiron per Anassimandro, e siccome essa governa il mond.o,
è diflicile pensare I'analogia con lTanima dell'uomo senza
coscienza e selnza ragione. In ogni caso, d.alla psichearia di Anassimene alla psiche quale anima cosciente
non c'è che un passo. Questo significato vi deve essere
contenuto almeno in potenza, che è quello che conta
per noi. Non possiamo dire se questa evoluzione sia
awenuta nella Ionia, dato che non sappiamo niente
del paese d'origine. Il suo punto di partenza non è
stato certamente soltanto Omero dal quale per mancanza di altre fonti siamo costretti a prendere le mosse
(infatti egli ci presenta una forma non piri originaria
del concetto di psiche), ma piri ancora la lingua viva
e I'immaginazione del popolo. Con essa, e non coi due
disparati concetti omerici di vita e spirito del morto,
si può spiegare come questi due abbiano potuto essere
espressi con l'unica parola psiche. Soltanto 1' « anima »
simile aI soffio presenta ad un tempo i due diversi
aspetti della vita e della fantastica apparizione dello
spirito del morto. Dall'astratto omerico psiche : <r vita »
non c'è alcun salto che porti all'eidolon nell'Ade.
Certo, cosi non è ancora risolto il problema come
l'anima in Omero possa contempolaneamente indicare il
lAr,. v: onrcrNE DELL-I TEoRra suLt,l DrvrNrrÀ opr,r.'.LNrlr,L 133
r,olrrcl.to imp ersonale di vita e lo spirito del morto
lrrlligrrrato in forma individuale. L'ambiguo vocal,olo omerico non può essere derivat.o da un'unica rarlicc intuitiva. L'ipotesi, affacciata da Otto, di una comlrirrirzione dell'idea della « vita » uscente dalla salma con
l'r'sporienza del fantasma del morto non è sufficiente
rr xpiegare la trasposizione della parola psiche all'idolo
rrrrll'Ade, ma l'ipotesi di una trasposizione mi sembra
irrr:vitabile. Essa diventa anche piri comprensibile se
irr origine psiche non significava soltanto vita, come preHuppone Otto, e se la trasposizione non fu compiuta da
( )mero, per iI quale il signifi.cato di psiche :
« vita »
ò già dominante, ma in un periodo anteriore, quando
grsiche era ancora I'anima-soffio. L'identificazione dell'anima-soffio uscente in punto di morte con ciò che,
sccondo Ia credenza primitiva, rimane del defunto, e
può eventualmente diventare oggetto di impressioni dei
sensi umani, era facile. Essa introdusse nel concetto
di psiche la contraddizione che non si può eliminare
perché fln dall'inizio il so{fio della vita non è nulla
di individuale, mentre l'apparizione del mortor proveniente dal regno della fantasia, è naturalmente simile
al defunto. Ya notato che l'estensione del significato
di psiche all'essere morto poté compiersi piri facilmente
che l'introduzione dei fatti di coscienza che iI vocabolo
psiche indica piri tardi in primo luogo. La coscienza
e la vita animale non sono intese in origine come unità,
tanto è vero che sono indicate con parole diverse 2e.
Se però, vedendo la cosa in base aI successivo significato psicologico di psiche, ciò può sembrare assai
strano? di fronte al fondamentale significato linguistico
dei vocaboli omerici $opdE e yoyil apparc del tutto comprensibile. I signiflcati predominanti in Omero ($updE:
« affetto, volontà, anima, spirito », goX/l : « vita ») sono
evidentemente secondari e si sono sviluppati a poco a
134
LA. TEOLOGIA.
DEI PRIMI
cÀr'.
PENSA,TORI ERECI
poco. Secondo l'etimologia, è chiaro che 8up66 si ricollega al latino fumus, « fumo »? e al greco 86cù, « sacrificare», ed è quindi l'ondata calda del sangue; cositpuy\
è in origine il concreto « soffio » e forma una sola fitmiglia con y6yr», « soffi.are » e yu76gdg,, « freddo ». I dur.
vocaboli indicano dunque in origine fenomeni di vita
psicofisici, molto diversi l'uno dall'altro, senza la prctesa di farli risalire a un fondamento comune. Gli accoppiamenti sempre piri frequenti come Oup,òE xaì yoy,i1
(anima e vita) e simili rivelano però d.'altro canto chc
al tempo di Omero già esisteva la tendenza a unirc
i fenomeni della coscienza (OopdE) e della vita animale
(rpuXil nell'unità di un unico concetto, nonostante
che la lingua non possedesse un vocabolo unitario che
li comprendesse tutti e due 30. Siccome la lingua poetica dell'epopea era antichissima e il significato delle
parole si era consolidato da un pezzo) l'ampliamento
di significato di una parola come psiche dal lato
spirituale non poteva aver luogo cosi facilmente come
awenne, pare, nell'insensibile passaggio della lingua
del popolo dove questo processo è ormai compiuto
nel secolo YI 31. Anche in altri casi, come per esempio nell'àmbito del pensieto etico, troviamo fenomeni
paralleli a questo sviluppo. Mentre ne1 linguaggio
dell'epopea il vocabolo à,perfi ha di solito il determinato e preciso significato di forza e valote virile,
proveniente dalla tradizione del piÉ antico canto eroico e ricorrente qua e là anche dopo, per secoli,
nel linguaggio dei poeti sotto l'influsso di Omero, ve.
diamo compiersi in epoca post-omerica un ampliamento
del significato di questo vocabolo che in parte proviene
dal linguaggio della vita, in parte deve la sua origine
alla lingua dei poeti stessi. Esso viene a significare ogni
specie di bravura e perfezione umana, anche aI di là
del territorio bellico; la parola indica anche giustizia,
v:
oRrGrNE DELLA. TEoRra
suLt,l DrvrNrrÀ. onr,r,'elrrm 135
e religiosità. Evidentemente deve la
lìrr:oltà di ampliare questo significato alla vastità del
xrro primo significato etimologico che può racchiudere
gni eccellenza. L' evoluzione del contenuto concettuale
rlipcnde allora soltanto da ciò che ciascuna epoca inlr:nde per suprema eccellenza d.'un uomo 32.
L'ampliamento, invece, d.el concetto di psiche avvione diversamente. L'idea del soffio non ha un signilir:ato cosi universale che possa accogliere a volontà
urrovi significati psichici. Essa poté allargarsi e assurnere il significato di «psichico », come lo intendiamo noi,
golamente quando si scopri la dipendenza di ciò che
si chiamava 8o$,6q d.a yt14fi. Bisognava aver capito che
la vita animale è il fondamento della vita cosciente.
Non c'è quindi bisogno di spiegare perché, nella lotta
tra i due vocaboli per decidere quale di essi potesse
esprimere meglio l'unità della vitalità e della vita psichica, Ia parola yoyfi dovette riportare la vittoria su
$updg. Il significato di Sapdq «anima e spirito» fini per
essere del tutto assorbito. Il concetto di SupdE in Omero
presenta bensi tentativi di elevarsi a sua volta a questo
significato universale e a comprendere anche la vita
animale 38, Eo nella lingua viva si è imposta la yay{1,
mentre OopdE si restringe sempre piri al significato particolare di « coraggio » 3a.
Ora, la perfetta unità di anima vitale e coscienza
appare anche nel concetto di psiche come è presupposto
dalla fede religiosa degli orfici e dei pitagorici nella cosiddetta metempsicosi che si manifesta nel secolo YI.
Non si potrà fare a meno di scorgervi una delle piii
importanti cause della diffusione di questo non-omerico
significato della parola psiche e della sua vittoria finale. Certamente pelò non è giusto limitare questo ampio concetto di psiche a quei tardi circoli mistici o
dichiararlo corpo estraneo nella vita spirituale dei greci.
r.r,nlro, saggezza
rr
I36
LÀ. TEOLOGIA DEI PRIMI PENSATORI GRECI
Certo, se contrapponiamo nettamente Omero e gli orfici quali forme tipiche della credenza nell'anima? potrebbe sembrare che non ci sia alcun ponte tta i du(ì
e si tratti della tipica antitesi tra credenza popolare r,
misticismo 35 o della visione filosofica di due razze antitetiche, delle quali Omero rappresenta la grecità e il
dualismo orfico l'Oriente 36. Senonché abbiamo già visto
come l'idea greca extra-omerica e pre-omerica di psiche, anima-soffio, recasse in sé fin dall'origine la tendenza ad allargare il proprio significato nel senso
odierno di « psichico » e, fra tutti i vocaboli che la
lingua omerica conosce per indicare la vita fisica e la
vita spirituale, fosse il piri adatto a esprimere la trionfante intuizione dell'interiore legame, anzi dell'unità di
entrambe le specie dei fenomeni vitali37. Nessuna
meraviglia pertanto se la nuova dottrina della metempsicosi si allaccia a questa piri ampia espressione di
ciò che è psichico, poiché è fondata evidentemente
sul pensiero di questa unità tra anima vitale e coscienza.
L'idea di un'anima indipendente dal corpo, migrante senza posa attraverso diverse esistenze, non era
possibile nel presupposto della distinzione omerica tra
un'anima vitale (rp"Xrù che nel momento della morte
abbandona il corpo ma non pensa e non sente, e un'anima cosciente (8up,6E) legata interamente a organi e processi fisici. La soprawiyertza dell'anima in quanto io
spirituale e morale della persona era ammissibile soltanto nel caso in cui il fondamento animale, senza il
quale questo essere non era concepibile neanche per
la mentalità orfica, fosse separabile dal corpo e a sua
volta il più possibilmente incorporeo. Ciò aweniva con
l'anima-soffio accettata dal pensiero di Anassimene e dei
suoi contemporanei. Se prescindiamo dal quesito (insolubile, data la perdita quasi completa della tradizione
(^r'. v:
oRrGrNE DELLÀ,
TpoÈrl suLLA DrvrNrrÀ. orr,r-',txru,l' I37
rlorir:n) riguardante l'origine della dottrina della melnrnpsicosi, è chiaro che Ia parte feconda e pregna di
nv'vcrrirc non era l'idea mitica dell'errabonda migra,r,iorrc, bensi la spinta che doveva dare allo sviluppo
rlr.l concetto di anima, quale unità di vita e spirito,
r, .lt forza con la quale sentiva Ia natura particolare
r, Iir rlipendenza di questa psiche, essere spirituale di
l'ronte al corpo 38. Se rammentiamo che la dottrina piI tgorica in quel medesimo tempo equiparava all'aria Io
rgrazio vuoto fra i corpi, vedeva dunque nell'aria l'incorporeo 3e, ci apparirà chiaro come per il pensiero arr:uico I'anima-respiro dovesse essere il substtato dello
spirito in quanto essenza autonoma e incorporea.
Questa emancipazione e questo arricchimento dell'idea di psiche erano preparati da diversi elementi di
quel tempo. Quando Anassimene pone I'uguaglianza di
psiche e aria, non vuol dire che egli Ia identifichi con
qualche cosa di incorporeo nel mondo empirico. Secondo lui, l'aria è l'origine di ogni divenire e perire,
la quale agisce quale causa divina dentro questo processo e al di là di esso. Questa possiede anche in origine la vita e, come abbiamo reputato di dover interpretare le parole del filosofo, la coscienza 40. Per guesto modo di vedere la morte non può essere se non
il ritorno del singolo alla causa primaria, I'ingresso in
nuove forme. Ciò che distingue la teoria della metempsicosi è il mantenimento dell'unità dell'io in questa vita, tanto prima che dopo. Di fronte al panteismo
della filosofia troviamo qui un motivo particolarmente
religioso: la durata della persona quale quantità moralespirituale responsabilc, attivamente cooperante al proprio destino, in m.ezzo all'universale divenire e perire
nella natura, aI guale anche l'uomo sembrava passivamente soggetto. Dall'opposizione a questa idea panteistica e naturalistica dell'uomo l'antropologia reli-
138
LA
TEOLOGIA,
DEI PRIMI
PENSA.TORI GRECI
giosa della fede nella metempsicosi riceve una dignitìr
che la solleva sopra il livello della mitologia primitiva.
Non che questa idea della soprawivenza sia nata senzir
preparazione. La religione tlei misteri greci, la cui origine pre-ellenica è adombrata da parecchi fatti dcl
culto e dell'architettura, d.ichiarava beato colui che era
partecipe della santa visione degli epopti e della superiore sapienza. Egli poteva sperare in una sorte migliore dopo la morte, come dicono i nostri autori, ma
senza indicare se questa promessa fosse accompagnata
dall'idea di una soprawivenza della vita personale al.
Meno ancora possiamo dire se vi si pensasse a una soprawivenza dell'anima quale essere cosciente, sepalato
dal corpo. Questa separazione dell'anima dal corpo era
forse suggerita dall'esercizio del culto dionisiaco che doveva portare all'estasi perché in queste sue condizioni
interiori il credente vedeva il dio e si fondeva con lui.
Ma nemmeno qui si apprende alcunché di una particolare teoria dell'anima, per quanto il culto dionisiaco
e il culto orfi.co andassero uniti. Anche questa specie
di religione può dunque considelarsi, se mai, come
preparazione dell'orfica fede in un'esistenza dell,anima
indipendente dal corpo
Nel presentare Ia vera e propria dottrina orfica dell'anima gli studiosi recenti hanno mescolato spesso fonti
piri tarde e concezioni provatamente antiche con cosi
poco scrupolo che non si poté fare a meno di chiedere
con animo scettico se sia possibile attribuire con certezza Ia dottrina della metempsicosi a una setta orfica
realmente esistente. Lasciamo dunque da parte tutt.o
quanto è venuto dopo. Le testimonianze piit sicure e
piÉ antiche sono i versi di Pindaro nella II Ode olimpica, dedicata al re Terone di Agrigento, nei quali parla
delle sue convinzioni religiose sulla vita dopo Ia morte;
c guel frammento del medesimo pocta che servi al
(:Ar'-
v: oRrerNE
DELLA, TEoRrA. sur,r,À DrvrNrr-À
onr,r,'ar'urre 139
llr,lrrl.c per interpretare Ia cted.er\za omerica intorno aIl'rrrritrra a2. Per quanto poco possa contribuire a com'
il suo valore di documento di
di concetto religioso dell'aldilà
forma
rrrrrr tleterminata
rrl t,cmpo di Pindaro è inestimabile. È vero che nemrrcno qui Pindaro dice che questa è la dottrina degli
orlici, ma anche se qualcuno dovesse perciò mettelne
irr tlubbio I'origine orfica, rinunceremmo volentieri al
irome? purché in compenso si riconosca che si tratta
rlclla prima documentata comparsa d'una concezione
rr:ligiosa intorno all'essenza dell'anima, Ia quale ha
rvuto cons eg:uerrze storiche considerevoli e le cui linee
lrrincipali compaiono nettamente in Pindaro.
Nella II Ode olimpica il poeta canta la virtri virile
c Ia divina grazia del potere e della ricehezza che ornano iI sovrano al guale l'od.e è inditizzata, cioè Areta
c Plutos, le due doti inscindibili clell'itleale umano secondo l'antica nobiltà gleca' Accanto a questi però egli
pone in terzo luogo la nuova promessa di ricompensa
c castigo nell'aldi[à, secondo la pia credenza della comunità religiosa di cui con ogni probabilità faceva
parte colui al quale iI poeta qui si rivolge. Può darsi che
aB'
Pindaro avesse appreso questa dottrina proprio da lui
Il quesito se il poeta stesso fosse nel novero degli iniziati non è forrrulato giustamente; in ogni easo però
quella fede nell'aldilà iliede Ie ali piri audaci alla sua fan-
prr.rrrlcre guest?ultima,
tasia poetica e religiosa. Secondo questa cledenza, esi§te
un mondo di là del quale soltanto la morte dissuggella
l'ingresso. I morti che si sono resi colpevoli in questa vita
vi trovano un tribunale severo. Ai buoni èriservata una
esistenza piri lieve e senza lacrime. Per loro il sole non
tramonta? per loto non c'è lavoro, non c'è bisogno'
I malvagi soffrono tormenti di cui nessun occhio
può sopportare la vista. Ma chi ha resistito tre volte
nelle due vite, di qua e di là, senza contaminare la sua
140
LA TEOLOGIA DEI PRIMI PENSATORI GRECI
anima », entra nella vasta sala di Kronos che sorgc
nelle isole dei beati. Là soffiano venti oceanici, ardono
fiori d'oro, o in terra su alberi splendenti, o alimentati
«
dall'acqua. Con questi i beati si incoronano. Una descrizione altrettanto esuberante, concreta e tangibile
dei dolori e delle gioie nell'aldilà si trova nel frammento
di un threno pindarico perduto 44. Di « anime » che vi
fanno penitenza, finché nel nono anno Persefone le fa
risalire al sole di quassri, si parla in un'altra frarnmentaria serie di versia5. Da queste anime provengono augu.
sti sovrani, uomini dotati di forza insolita e grandi
saggi che poi gli uomini venerano come eroi.
Gli orfici univano all'escatologia il postulato di una
vita pura secondo dati precetti. Questo §ioE esigeva
anzitutto l'astinenza dal versare sangue in qualungue
forma e anche dal nutrirsi di carne animale aG e dal
fare sacrifici cruenti: ciò portava a precise norme rituali dell'alimentazione. L'uomo si vede addossare la
responsabilità della sorte futura della sua « anima » nell'aldilà e, sia che speri Ia salvezza soltanto dall'osservattza di un rituale esteriore o da una consacrazione
etica del suo modo fi vivere, sente che il suo posto
non è tutto in questo mondo. La sua « anima » è
un'ospite scesa nella dimora del corpo e proveniente
da una superiore sfera divina. È interamente se stessa
soltanto nel sogno e nell'ora della morte quando il
corpo la lascia libera a7. Ya notato che Aristotele si
esprime cosi guasi letteralmente quando, nel celebre
frammento di un suo dialogo precoce ancora platoneggiante, si pronuncia sull'essenza dell'animaa8. Anche lui
accenna alla visione del sogno e aI presentimento del
moribondo, momenti nei quali l'anima è interamente
con se stessa e manifesta la sua vera natura. C'è una
linea diretta dalla teoria orfica dell'anima alla filosof.a
di Platone e di Aristotele e alla loro concezione della
cA,p.
v:
oRrcrNE DTLLA TEoRrA. suLLA DrvrNrrÀ orr,r,',s'NrùrA' 141
rlivinità dell'anima o dello spirito, anche se essi hanno
liberato questa idea dell'anima dai tratti materiali che
l)oteya ancora avere. Il passo di Aristotele che coincide
r:osi perfettamente col frammento di Pindaro si tlova
in una lunga discussione sull'origine del pensiero di Dio'
llasta questo pet dimostrare la grande importanza teo'
Lrgica dell'idea orfica dell'anima. L'interiore esperienza
tlell'anima intorno al suo legame con un mondo supe'
riore è, secondo Platone e Aristotele, accanto alla vi'
sione del moto regolare dei corpi celesti, cioè all'esperienza del cosmo, la principale fonte della certezza del
divino
La
ae.
scarsa conoscenza che abbiamo delle iniziazioni
orflche non ci permette di aflerrare chiaramente iI nesso
tra le idee dominanti circa la natura dell'anima e I'espe-
rienza del divino. Ma la dottrina della divinità delI'anima è senza dubbio un cardine nella storia dell'origine del pensiero filosofico di Dio. È ..ero che questa
religione non era una filosofia, ma si plesentaYa sommamente affine a un modo di pensare rivolto al mondo
trascendente. Se la teologia filosofica dopo Platone e
Aristotele collocò accanto alle motiva zioni r azionali dell'esistenza ili Dio la realtà dell'esperienza psichica del
divino, questo pensielo fu sviluppato precisamente sul
tipo religioso dei misteri e delle iniziazioni- Qui aweniva quella specie di « esperienza » religiosa che Aristotele descrive nelf importante frammento, secondo il
quale chi veniva iniziato non d.oveva conoscere (p'aùeia)
ma patire (naùeiu) qualche cosa e venire interiormente
predisposto in un determinato modo, semple che ne
avesse la capacità 50. L'esperienza del divino nelle iniziazioni è un patire dell'anima contrapposto al mero
conoscere dell'intelletto che non ha bisogno di una particolare affinità col proprio oggetto 51. IJna frase come
questa ci fa supporre che la divinità dell'anima, preser'
142
Là, TEOLOEIA. DEI PRIMI PENSÀ.TORI GRECI
vata da ogni turbamento col conservalsi pura, offriva
garanzia che l'iniziando fosse accessibile all,azione
del divino. Ma non è stata la filosofia della scuola platonica a prendere in cosi grande considerazione la religione dei misteri. La fede orfica nella meternpsicosi
si riscontra, come è noto, anche in Pitagora che, a
quanto pare, la legava stranamente alle sue indagini
matematiche. Anche la norma di vita pitagorica fa pensare al ptog della comunità orfica, benché la derivazione non arrivi ai particolari e i pitagorici abbiano
pure molto del proprio. "dnche Parmenide, Eraclito ed
Empedocle si mostrano al eorrente della teoria orfica
intorno all'anima 52. Quando Socrate considera supremo
compito della vita quello di preservare l,anima dell'uomo da ogni danno 53r ![uesta insistenza, difficilmente
comprensibile per i greci piri antichi, sul valore dell'anima non si spiega senza il fatto che la religione orfica
è rivolta all'interiore e senza la fede espressa dalla parola d'ordine di questo ploE: «Anch'io sono di stirpe
divina ». L'appello di Socrate agli uomini perché ab-
la
biano cura della loro anima 5a non contiene, è vero, alcun
accenno a un aldilà, e il confronto di questa cura del-
l'anima con quella che l'uomo ha del suo corpo conferisce al pensiero socratico un aspetto piuttosto razionale e terreno. Storicamente è molto probabile c[e
Socrate stesso non abbia sorpassato questo limite. PIatone invece ha collegato l'invito pratico-pedagogico di
Socrate ad aver cura dell'anima con la dottrina orfica
della provenienza divina dell'anima e ha approfondito
il mònito socratico facendone una religione dell,anima
in senso morale, dando a quel monito la veste religiosa
della tradizione orfica. fI contenuto metafisico della valutazione socratica dell'anima si esprime in Platone
nella dottrina dei due mondi; e soltanto iI mondo interiore è quello del vero essere. Questo non è orfismo
cA.p.
v:
oRrGrNE DELLA TEonrA' suLLA' DrvrNrrÀ
opr'l'lrtrrul
143
la orfi.ca fede nell'anima è la prepara'
zione storica alla dottrina platonica di essa e non a
rlogmatico, ma
caso servi aI fiIosofo da fonte dell'elemento simbolico
c mitico nella descrizione poetico'concreta della sua me'
tafisica dell'anima.
NOTE AL CAPITOLO QUINTO
lEnwrwRorror,Psyche:Seelenkult'uniltJnstetbli,chheitsglaube
tler Griechen, ?a e Ba ed., Tiìbingen 1921'
z lbid., p. 2.
non si può dl-I"^:oj
' 7b1;.','p. +. ln"u" se, secondo T:h{"'
orrre'
ner Omero tàtto finisce con Ia morte, ciò che rimane' la VUXq
parola'
della
significato
uostro
nel
i-"u"r-.
i'r*,""i""e"i"ri
-*-r-ò-""o',
Iiiaile,
l, i-s; il,
105; un"a divergenza
è
costituita
d.a 23, 244.
6 Roror, op. cit., p. 4 sgg.
8 Lbid., pp. 46-47.
t iirilr'.i fr.-m. 131. Cfr. Rouoo, op' .cit', p' 6' Le parole
»
ut bi"*o tradotte con- « immagine della vita
g.""fr" iiTi"iut.
"fr"
eiòa)'ott.
sono aìCovoe -òt'io,
""*;
O;, Manen oiler Von ilen (Jt'formen iles TotenW.'d.
4
sgg'
slaubens, Berlin 1923, P.
- Rieordo
"*5"+;'. É.'ò;;, ;; '"it'' pl? lo ha notato giustamentc'
qi"ttion" del concetto omerico di anima
f..ouenti àiscussioni'sull"
,;?
"Éì"t.'rl
collega all'università di
E;;;ì
"llo'u
"di ;;- che uscisse il libro
otro. A quel rempo ci rrol/1;
di ^io
iii"r.-rii_^
;;;;';;;;"";ente d'accordo sul terreno dal quale-parti por rl
nrof. Otto nella monografia
alla nota precedente' Tanto
a quanto pareo la tradizione orale
flii;".""]# di;il;;;;;;;.entano'"ittta
tJJ;; p"r "i6 chà riguaida suesto problema'
ffiù;J,,iiii.
ro
§/. F. Orto,
1r Cfr. nota 7.
oP. cit., PP. B-j0'
,, òil: ;;;;"-pio w. F. otto, op' cit', p' 17'.rl piri noto esempio
vita "'i;'O;;;; t'i ttot" in ltiaàe' 22' 16l' .il'|'à
del sisniflcato di «;'È;;,a;;
tnnoòdv'oto' rirteo' rramm' 7' 4 Diehr
iZàÌi"i'ii";;;
in cui parla
ne deriva iI composto $iliy'uy'ii nclìo stesso,rnodo
piÉ
petde
yuyfi
seguenti
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NLi
ii l,ì,'i,,,'.riòuilor.
-se'rnpre
nel linguaggio
I""L,f".i-"fÉ1"," "n" ri*u"" ancori pr_incipaimente
epica' D'altro ca,to
];';;;#;t
;;;i influenzati dalla tradizione
A'u'*ugo"' adoperino -la-.p-ar ola .pu vl1
ì"'frIi""ii' "il" Efi;; ; era
mantenuta wiva nel dialetto ionico
aì^oJ." che si
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"."',,
Omero'
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tempo
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dal
"" ;-cr..-ià-""".ruì"['A-,ernoo Odissea 11.. Ulisse yi p]9- ricono'
somii"rii i morti cire ha cono.ciuti in vita dalla
è rilevata
"""r"tl-$r{oiìi
Elianza che hanno con i viventi. La stessa somiglianza
?;'ii;;d;:h,'4";s;. 4""" ra vuvil di Patroclo appare in sogno ad
744
LA TEOLOOIA DEI PRIMI PENSATORI GRECI
Achille: nciuf aùtrit
1téye$dq re
d1,para xal,, émuie xaì Ewiy,.
stessi abiti di patroclo.
.xai
qtesl ( antma » porta persino
gli
.y.
F.
Orr:o,
op.
cir.,-p.
45.
]:
Ànz"r.
15
di Otto contro Rohde che ammettela uììa
sper.ie di sillogismo primitivo, secondo il quale si sarebbe dedotta lrr
t'edc neìl.r csistenza dclla tpuy4 da espàrienze eome il s.rgno, Iir
Cfr. la polemica
morte, I'estasi ecc.
16 Enxsr Brcrar,, Homerischer
Seeelenglaube: seschichtli&e Grunil_
zù_ge
men-schlicher Seeelena^orsteltung (,l
lelrten
Geseìlschaft »
I,
Schiifterr dEr Kònigsberger Gefasc. Z, Èeitin 1925). Benché nòn mi sent,
di seguire Bickel nelle sue considerazioni sul cadavere vivente
trovo osservazioni preziose nella sua critica della teoria
di Otto.
17 Cfr._specialmente
Brcrnr,, op. cit., pp. 2J2,258. Cfr. anche
_
Jo.lcnru Borrrun, Die Seele uni do, 'tcÈ im homerischen Epos,
Leipzig-Berlin 1929, p. lt3.
t8 Brcrel, op. cit- p. 259.
ls W. F. Orro cerca-di dimostrare che in
Omero yuyfi signifi,ca
« vita » ogniqualvolta non si allude all,ombra
nell'Adè. 'i!ia Senche
poemi
di Omero si noti una forte inclinazione vcrso il significato
_nei
di « vita », ci_ sono passi nei quali il vero significato rimane iicerto e,
:lonos,tante ii predominio del significato di«vita», esso rappresenta
indubbiamente una tappa piÉ-progredita di astrazione nàllo sviecc.J
luppo della parola.
20 N.ell.'.Iliadeo
ztr.iz. Similmerle
9, 409 si legge che I'anima àpreiyetu égxoq, òòduin lliade, 16, 856: ?puxù ò, éx'Qeiléaì ntapeur1
'Aòdoòe ptBilxtt.
:1 Aristotele, De anima, l, 5, 410 22
b
sgg. (Orfeo B ll).
22 In Omero non si trovano
tracce di quéita'antica credénza,
23 Nella lirica greca, dove si
esprime natriralmente in prevalenza
,..
I'io coi relat ivi sentimenli utnani. la parola guprj; che'in Ornero
significa pure
«
anima » nel senso di coscienza acquiÉta ancora mag-
gior peso di prima.
2' Aezio, [, 3, 4 (Auassimene B 2l: olot,i,prXù.... f1
.,
4petéqa
uqQ oùoct ouyxoatei 4pdq, xaì 67ov ròy xdopov nutùpa xaì àfip
neQL€X€1.
2s Diogene
26
2?
Laeruio,9, 19 (Senofane A t).
Aristotele, Phys. 4, 6,213 b 22 (Scuola'pitagorica, B 30 Diels).
Vedi nota 2ì. Cfr. il risultaro parallelo jel c"apitolo precedenr'e
intorno all'influsso della filosofia nàturalistica sui'problÉrni teogonici del secolo VI.
28 Cfr. nota 24. È certo
che Diogene di Apollonia, il quale aveva
abbracciato Ia teoria di Anassimeie. immaginava ii suà principio
(l'aria) anirnato e « a conoscenza di molte èose, (nilJ"à.
.
f1amm, B 8). Similmente I'autore dello scritto ippocratico
"iò6q,,
"t
li,torro
al morbo socro (cap. l9).
Brcrr;r,, op. cit., 260 sgg.
]f
30 !!r.
Cfr. Iliade, ll, 334; Odissei,-2l, lS4, 171.
31 Intorno al concetto di yuyfi
in.Anassimene cfr. nota 24.
Ho seguito questo svilupfb' del concetto di areté neila mia
_
'-'
Paideia entro la storia dello spiiito greco; per l,etirnologia e il significato del vocabolo cfr. I, ir. it., p. 3g É nota 10.
NOTE
AL
145
C.ÀP. V
83 Per es. Il. 13, 671l. 6xa 6è $up.òq, d\1,ù' dnò peLéau
tyupfi), Od. L7" 221; 15, 354.
($vpéq:
u Per la storia dello sviluppo del concetto greco di tpa4f cfr.
.lorrn BunNnr, The Socratic Doctrine of thc SouI' in « Proceedings of
thc British Academy», 1915-16, p. 235 sgg.
s5 Cfr. W. F. Otto, op. cit., p. I intorno alle due principali
lìrrme dell'idea dell'anima, l'omerica che egli identifica con l'antica
r:rcdenza popolare e la mistica.
36
Questa è l'opinione di Otro Kunx, Religion der Griechen, II
(llerlin
37
38
1935),
p.
147.
Cfr. sopra, p. 135.
Nel pensiero omerico non c'era ancora questa antitesi tra
corpo e anima che si trova cosi spesso piti tardi. Quando Omero
contrappone la Euyfi al corpo, il corpo o iI cadavere è detto generalmente « I'uomo stesso » (aù6q); cfr. nota 4 dove ho registrato
una eccezione a questa regola.
3s Cfr. F. M. Conwrono. The Inuention of Space, ir Essays in
Honour of Gilbert Murray, London 1936, p. 223. Cfu. anche J. Bun-
Nnr, Early Greek Philosophyn, pp. 109, 186, L94, 229.
a0 Cfr. sopra, p. 13I e note 24, sgg.
41 C. A. Lonrcro Aglaophamus, I, p. 69 sgg.
a2 Pindaro, Ol. II 63 sgg. e framm. 129-33.
a3 Cfr. Wrrelrowt'tz, Pin(lar, Berlin 1922. pp. 248-52. Wilarnowitz osserva giustamente che Pindaro non doveva essere nece§sariamente iniziato per poter descrivere, come fa, l'escatologia
orfica, A quanto pare, però, Wilamowitz trascura I'impressione
che questa credenza deve aver fatta sul poeta se poté ispirargli
questi versi.
{a Pindaro, framm. 129-30.
45
a0
lbid., framm. 133.
A proposito della rinuncia al cibo animale quale tratto caratteristico d,el Pioq orfico cfr. i passi riportati piÉ sopra, cap. IV,
nota 11 a p. 116.
a7 Cfr. Pindaro, framm. l3l.
a8 Aristotele, framm. 10 Rose. Intorno a questo frammento cfr.
il rnio Aristotele, tr. it., p. 213 sg.
4e Per una interessarÌte applicazione prognostica di questo orfico
concetto dell'anima nella medicina greca (IIepì òrzhqe, libro 4) cfr.
la mia Paideia, tr. it., III, p.
66 sg,
Aristotele, framm. l5 Rose. Cfr. il mio Aristotele, tr. it., p. 212.
La parola greca che Aristotele (framm. 15) usa per questa
interiore « disposiziore » dell'anima (« disposizione » ne è la traduzione letterale) è òtareBilaat. /ri$eoq, che in origine era una
espressione professionale dei medici, fu applicata all'anima da Platone e Aristotele. Oltre alla prova razionale dell'esistenza di Dio
50
51
Aristotele conosce una seconda via, piuttosto sentimentale, per arrivare alla certezza intorno alle cose divine (cfr. iL rnio Aristotele,
tr. it., p. 213 sgg.). In De cael.2, 1,284 b 3 egli chiama questo sentimento o questa intuizione dell'anima, in scnso figurato. pauteia
nepì rò» $eòu.
52 Cfr. i capp. VI-VIII di questo libro. Persino Democrito nel
libro Zegi eò$u pi't 1c, che nella forma sciolta delle &no$ijxu conteneva
10.
-
W.
JAEGER, La, teologid
ilei prirni pensatori
grecì,,
146
LÀ, TEOLOGIA
DEI
PRI1UI PENSATORI GRECI
un manuale della sua etica, pare abbia chiamato divini lo spiriro
(uotg) e l'anima (rp"y"fi, sia pure in senso metaforico. Cfr. B 37 t:
B 112, posto che le « sentenze di Democrate » siano veramento
sue. Cfi. H. LlNernuocK, AOEI» EUIPY»MIH, Studien zu
Demolerits Ethih unil Erleenntnislehre, irt' t< Neue Philol. I]nters. »
ed. Jaeger, vol. X, Berlin 1935' Cfr. anche il framm. B 18.
5a hitorno alla preoccupazione di Socrate per I'anima cfr. la
loriia Paiileia, tr. it., II, p. 73 sgg.
5a Cfr. Orfeo B 19.
CEprror,o Spsro
IL
MISTERO DELL'ESSERE
SECONDO PARMENIDE
La critica esercitata da Scnofane sulla religione popolare e Ia rinascita della speculazione teogonica ci
hanno mostrato la profonda efficacia della filosofia ionica della natura sul movimento religioso nei larghi circoli del secolo YI. Con Parmenide di Elea ritorniamo
alla filosofia in senso stretto. Tutto il pensiero filosofico
era rivolto flnora al mondo fisico. Esso partiva dal
problema del perenne fondamento del divenire e d.el
perire, dal problema dell'origin" (àpXil. Con la teoria
parmenidea dell'essere (Ìiu) viene in luce un nuovo originale aspetto del pensiero. Karl Reinhardt, il benemerito rinnovatore della nostra comprensione di Parmenide, si è occupato brevemente, nelle ultime pagine
del suo libro, anche del problema del rapporto tra conoscenza filosofica e sentimento religioso nella filosofia di Parmenide. Egli definisce quest'ultimo « un
pensatore che non ha altro desiderio fuori della conoscerr.za) non sente alcun freno tranne la logica, rimane
indiflerente davanti a Dio e al sentimento » 1. fl creatore della metafisica dell'essere che pif tardi con Platone e Aristotele diventa « uno strumento per attuate
nell'uomo la brama di essere immortale e di accogliere
il divino » 2, esulerebbe, se la presentazione di Reinhardt
fosse esatta, dal quadro entto iI quale consideriamo
qui i pensatori greci. La sua filosofia diventerebbe addi-
148
LA TEOLOCIÀ DII PRIMI PENS,A.TORI GRECI
specie di simbolo del primordiale istinto
umano della conoscenza pura che, « privo di ogni riguardo religioso e morale, segue la via tracciata, nello
spirito della pif spietata analisi». Rappresentanti di
questo spirito sono? secondo Reinhardt, oltre a Parmenide soprattutto Anassagora, Empedocle e Democrito, mentre con Pitagora ed Eraclito l'interpretazionc
religiosa del mondo è in modo singolare pervasa dal
desiderio di conoscenza.
La nostra epoca, in quanto studia la storia delkr
religioni, ha certamente il malvezzo di fare dell'elemento religioso l'unica radice di tutte le forme particolari dello spirito umano, anche del profondamentc
radicato desiderio di conoscenza alla quale, come dice
Aristotele, tutti gli uomini aspirano per natura. Nulla
potrebbe svisare i motivi interiori dei pensatori eroici
che incontriamo sulla soglia d.ella filosofia greca quanto
la smania di farne una schiera di predicatori o scolastici, intenti a dimostrare con rnezzi razionali ciò
che per il loro sentire originario è fede. Le figure
degli dei greci venerate nel culto non furono mai oggetto di un credo dogmatico universale. Il loro essere
e il loro significato erano soggetti alla vicenda storica,
e la continuazione della vita e dell'esperienza umana
rivelò di grado in grado nuove possibilità di sentire
la presenza del divino nella realtà. Ma appunto perciò
dobbiamo guardarci dal contrapporre il concetto di una
pura conoscetrza a questa sfera religiosa come qualcosa
di ermeticamente chiuso e isolato, all'incirca come talvolta la scienza moderna ha segnato i propri limiti rispetto aIIa fede cristiana. I greci non avevano ancora
la coscienza delf indipendenza di questi settori « autonomi » dello spirito. Una delle fonti piri importanti tra
quelle dell'esperienza ùm.ataa che hanno collaborato a
trasformare I'ereditata idea mitica del divino è la co-
rittura una
c^t,. vr: rL Mrsrtno nrr,loossEnu sEcoNDo
pÀ.RMENTDE
t49
della realtà; e come da principio
l'inrlagine religiosa alimentò il bisogno di sapere, cosi
vicoversa anche la speculazione filosofica dei greci, riv,rlta sempre alla totalità dell'esistenza, svolse una
lìrnzione religiosa e produsse una forma particolare di
rr:ligione. Nella sua struttura spirituale corrispondeva
rul mutato rapporto di forze tra la ragionc e il sentirnento nell'uomo nuovo della filosofia. Pensiamo di
over mostrato che non è possibile seguire Reinhardt (il
quale a sua volta sembra tentennante in questo caso) e
inserire Anassimandro e Anassimene nella schiera degli
uomini miranti al puro conoscere? e isolare invece Senofane quale teologo radicale separandolo da tutti gli
altri pensatori, anche se la manifestazione del suo sentimento religioso palesi differenze tra lui e loro. Il
pensiero razionale mostra ai filosofi una nuova immagine del mondo che soddisfa profondamente anche il
loro sentimento religioso. Senofane conserva proprio
questa forza religiosa della fiIosofia naturale, tanto piri
che egli non è in origine uno studioso del mondo
noHcenza razionale
fisico.
Il problema si presenta uguale anche rispetto a Parmenide. Il quesito non è: la sua ricerca del puro essere
ha per lui una mèta religiosa, poniamo la dimostrazione dell'esistenza di Dio nel senso tradizionale o magari cristiano? bensi: la speculazione intorno al vero
essere ha per il suo autore un'importanza che in qualche rnodo possa qualificarsi religiosa, benché egli stesso
non dia a questo essere il nome di Dio ? Fintanto che
era ancora dominante la vecchia concezione dei rapporti tra Senofane e Parmenide, secondo la quale Seil padre della scuola eleatica e il suo Dio
unico era la preparazione teologica dell'essere puramente logico di Parmenide, il quesito intorno al contenuto religioso della dottrina di Parmenide ilifficilnofane era
150
L,A. TEOLOGI,A,
DEI PRIMI PENS},TORI
ERECI
CAP.
mente poteva trovare una risposta positiva. Infatti rrr.l
suo concetto dell'essere era difficile scorgere piÉ chc il
consapevole tentativo fi togliere il guscio teologico rrrl
estrarre il contenuto ontologico della speculazione urritaria del suo maestro 3. Se però il pensiero di Parmr,-
nide è un fatto del tutto originale, molto diverso rrr.l
suo significato dall'idea mistica del dirrino IJno nellir
natura, come la insegna Senofane, bisogna riproporre il
quesito sul suo contenuto religioso. Non lo si può giudicare dal confronto con Senofane, ma soltanto dallr
sue stesse parole.
Parmenide espose la sua dottrina in forma di poema.
Se è giusta la nostra affermazione che Senofane non
ha mai scritto un poema didattico sulla natura? ma prc-
sentò la sua critica degli dei antichi e della tradizionale visione del mondo nei suoi epigrammi o silli a,
la seelta del poerna didattico quale forma letteraria
piri adatta alla fllosofia d.i Parmeuide fu un ardimento
molto significativo. Si vede che egli respinge in piena
coscienza la nuova forma dello scritto in prosa, introdotta da Anassimandro. Si potrebbe pensare che questo ionio nell'ambiente dell'Italia meridionale, che in
parte era di stirpe dorica e parlava dorico, non sapesse
scrivere bene l'ionico moderno ma per farsi intendere
da tutti dovesse ricorrere alla lingua panellenica di
Omero e pertanto aI verso. Ma per lui, evidentemente,
non si trattava soltanto di farsi intendere meglio e di
scegliere il dialetto piri noto, tant'è vero che il suo poema didascalico non si rifà direttamente a Omero, bensi
alla Teogonia di Esiodo. Questa era I'opera che per
la prima volta aveva posto la poesia epica al servizio
di chi volesse conoscere e presentare il mondo degli dei.
È v""o che dopo di allora il pensiero filosofico degli ioni
aveva sostituito agli clei di Esiodo il « divino » nel
senso della causa primaria d.i Anassimandro? ma per
ll
vI: IL MISTERo
DELI,,ESSERE SECoNDo PARMENIDE I51
fatta da Parmedella forma poetica adottata dal venerando teologo predecessore, non contiene forse la confessione di
unt gara con lui, per quanto nel rimanente il pensiero
ri;4oroso e concettuale del filosofo di Elea sia in conI ruBto con la fantasiosa mitopea di Esiodo ? Un pirÉ
tl.l.cnto confronto insegna con piena cettezza che doblriamo pensare soltanto alla Teogonio di Esiodo? non
giù al suo poema sulle fatiche dell'agricoltore, per trovare il modello di Parmenide.
Il parallelismo tra lui e la Teogonia di Esiodo apl)are con particolare chiarezza nella seconda parte del
l»oema parmenideo. Qui troviamo non solo l'Eros cosmogonico di Esiodo ma con esso, sempre che si possa
fidarsi della fonte filosofica di Cicerone nel primo libro del
De natura d.eorum, numerose divinità allegoriche come
Ia Guerra, Ia Lite, il Desiderio ecc., la cui provenienza
d,alla Teogonia di Esiodo non può essere contestata 5.
Ma che cosa indusse Parmenide a relegare queste divinità esiodee nella seconda parte della sua opera che
studia il mondo della mèra appalenza, e a contrapporvi
ciò che egli chiama verità: il suo concetto dell'essere
pcnsiero agonale dei greci Ia scelta,
rrirl,r,,
eterno
?
La
Teogonia si era dichiarata nel proemio una rivelazione di esseri divini. Con intenzione aveva fatto della
breve invocazione delle Muse, ormai convenzionale all'inizio dell'epopea, I'avvincente ed esauriente racconto
della personale avventura del pastore Esiodo di Ascra,
quando nel suo paese ai piedi dell'Elicona, il monte sacro alle dee, queste gli apparvero presso iI suo gregge
e gli diedero l'ispirazione 6 che nessun altro poeta prima
di lui aveva ricevuto: I'ispirazione veramente profetica
di rivelare gli dei eterni e la loro origine. Dev'essere
stato questo punto? a suggerire a Parmenide di presentarsi come successore e superatore
di
Esiodo. Anche
t52
cÀr,.
LA TEOLOGI/" DEI PRIMI PENSATORI GRECI
vr: rL
MrsrERo opl,l,'psspnr sEcoNDo PÀ,RMENTDE 153
rèt!'uttivo della dea, il quale conduce dovunque incoIrrrr. l'uomo che sa. Per questo cammino tirai innanzi.
Srr rli csso infatti mi portavano i saggi destrieri che
lirrrvano il cocchio, e le fanciulle avevano la guida.
l,'rrssc incandescente dei rlrozzi mand.ava un suono si'
lrillnte (poiché ai due lati era mosso da due cerchi
trrrbinosi) quando le figlie del sole, abbandonata la
crrga della Notte e huttato indietro il velo dal capo,
rrcr:clerarono Ia corsa. Li si apre la porta dove si scinrkrno i sentieri della Notte e del Giorno, incorniciata
rltll'architrave e dalla soglia di pietra. La porta stessa
r:hc è fatta di etere, è chiusa da grandi battenti. La
chiave che gira di qua e di là è conservata da Dike
la quale perseguita ogni delitto. Le fanciulle la tranrluillarono con lusinghiere parole e la convinsero saggiamente a tirare dalla porta il paletto. Questa si spalancò e apri le fauci dei battenti dopo aver fatto girare
sui cardini i battenti rivestiti di bronzo e incastrati
con perni e cavicchi. Direttamente attraverso la porta
le fanciulle guidarono nei solchi e cocchio e cavalli.
E la dea mi diede benigna il benvenuto. Mi prese la
destra e cosi mi parlò: o' O giovane che? compagno di
viaggio di immortali conducenti, sei giunto con la pariglia che ti porta alla nostra dimora, ti saluto; non
una moira malvagia ti guidò per questo cammino, che
in verità è lontano dal sentiero degli uomini, bensi
Temi e Dike. Perciò apprenderai ogni cosa: tanto il
cuore incrollabile della rotonda verità quanto I'opi'
nione dei mortali di cui non c'è da fidarsi " ».
fn questa descrizione la pittura concleta dei parti'
colari: delle dee, della pariglia, del viaggio e delfingresso aI mondo superiore, è dovuta all'espressione
poetica. Il linguaggio con la sua robusta concisione è
ben lontano da quella pallida allegoria che la nostra
estetica scolastica è disposta ad attribuire al poeta filo-
lui infatti nella scena dell'ascensione al cielo, dcscriurr
nel suo grandioso proemio, introduce il poema sull'r,ssere etelno come diretta e unica rivelazione divina x.
Molte volte si è trascurato con leggerezza questo pr()(.mio come forma insignificante per il pensatore astrailr).
come pura concessione allo stile del poema didascalic,,.
su per giÉ come per secoli si era trascurata e consirl.rata pura esteriorità la forma dialogica di Platone. frr
tempi recenti i filologi hanno giustamente fatto notar(ì
questa forma di introd.uzione e indicato la sua importanza pel la comprensione del contenuto filosofico. In
questo caso non si può dawero parlare di stile convenzionale, perché tutto è vissuto personalissimamente, como
dimostra la voluta deviazione dal modello di Esiodo.
Quanto è diverso, per esempio, il proemio del poema
filosofico di Empedocle al quale piuttosto si attaglierebbe questa osservazione ! Il parallelo di Parmenide
con Esiodo va ancora piri in là: il suo poema vuol annunciare la verità, aletheia, che egli ha appreso dalle
labbra della dea stessa; la riporta infatti in discorso
diretto e. È un esatto riscontro alle Muse che rivelano
la verità a Esiodo 10. Questi f'u il primo nella tradizione
della letteratura greca a conferire alla parola « verità »
questo denso significato frlosofico 11 che Parmenide accoglie a sua volta e inalza a un nuovo livello dello sviluppo semantico. Egli annuncia la « verità » sull'essere
eterno e senza inizio quale contrapposto all'apparenza
e ad ogni fallace « opinione dei mortali » 12. Basta questa netta contrapposizione per dichiararla divina, come
Parmenide conferma espressamente con l'invenzione
poetica della dea che a lui, unico favorito fra i mortali, rivela questo messaggio.
Ascoltiamo le sue parole 13: « La pariglia che mi
porta mi trasse avanti fin dove la mia mente desiderava di ayartzate) dopo avermi portato sul cammino
,*
t54
LA. TEOLOGIA
DEI PRIMI PENSÀ,TORI
GRECI
sofo. D'altro canto dobbiamo dire che proprio il trrrsparente doppio senso giustifica queste immagini all'inizio di un poema filosofico. La pariglia non va certamente interpretata in senso platonico quale veicolo
dell'anima umana, come fa Sesto Empirico, il qualc
ci ha conservato per intero questo inestimabile brano
dell'opera perduta14. È d"tto infatti abbastanza chiaramente che il cocchio, il guale porta iI poeta alla mèta,
è guidato da esseri supetiori senza il suo intervento. La
via che prende è « il cammino lontano dal sentiero d.egli
uomini ». Nessuno spirito mortale lo può trovare. SoItanto le figlie di Helios, quando si scoprono il capo ehe
tengono sempre avviluppato in questo nostro mondo
notturno? possono indicargli il cammino. Soltanto la loro
intercessione, non la sua propria forua gli può procurare l'ingresso nel regno della luce dove esse dimorano.
La dea sovrana di guesto regno, Ia quale lo saluta,
dichiara esptessamente che il suo ingresso in questo
mondo è una grazia sovrumana? e ciò che egli ne riferisce non è già quanto egli stesso vi ha visto, bensi,
parola per parola, la ripetizione fi una rivelazione che
egli riceve religiosamente dalle labbra di lei. II possesso
di guesta rivelazione lo inalza al di sopra di tutti gli
uomini, ma lo obbliga anche a diffondere con zelo la
verità divina e a combattere decisamente la «illusione
dei mortali ».
Di fronte a questo preludio sovrumano nessuno potrà pensare che il filosofo abbia voluto soltanto mettersi
in mostra per far colpo. La visione di questo fatto misterioso nel regno della luce è un?autentica esperienza
religiosa: l'esperienza dei deboli occhi umani che si volgono alla verità nascosta? di modo che tutta la vita
ne viene trasformata. Questa specie di esperienza non
ela contenuta nella religione del culto statale, ma il
modello va cercato nella religiosità d.elle iniziazioni e
(:AI'. VI: II, MISTERO DELL'ESSERE SECOI§DO PARMENIDE I55
rlr.i rnisteri. Parmenide li conobbe probabilmente nelI'lt.rlia meridionale dove a suo tempo erano molto in
nuf.(o 16. Secondo I'odierno uso linguistico, si potrebbero
rrrrr:lrc chiamare «orfici», data la tendenza a credere
r.hr: questa chiave apra tutte le porte chiuse 16. Ma per
i rrostri fini il nome conta poco. Tanto piri evidente è
il particolare tipo religioso su1 quale è modellata la
rlr:scrizione di Parmenide, coi particolari fissi quali:
l'individuale esperienza interiore del divino, 1o zelo
rcsponsabile di annunciare la verità rivelata personalrnente al credente e I''aspirazione a motivare una convinzione comune con altri che ad essa vengono convertiti. fn origine la « scuola filosofica » non è altro che
la forma secolarizzata di questa comunità religiosa.
Quando Parmenide lamenta che i mortali si aggirano
sul cammino dell'errore o quando parla della loro
« mente errabonda » 17, par di sentire l'eco di un?esortazione religiosa. Anche iI Prometeo eschileo trae da
questa atmosfera alcune note del grande discorso nel
quale si vanta eùqetrjg delle réyuar, umane. Il genere d.el
discorso degli antichi profeti greci è andato perduto,
ma ancora riusciamo a identificarne lo stile nelle
opere che ne hanno subito I'influsso. « Hanno orecchie
e non od.ono, hanno occhi e non vedono » 18. Vero è
che per Parmenide orecchie e occhi sono i seduttori
dell'uomo le; perciò egli può parlare soltanto sulle generali del loro errare per vie sbagliate.
Naturalmente non è da pensare che Parmenide con
la sua filosofia abbia voluto sostenere la causa di qualche setta religiosa o abbia soltanto derivato tratto per
tratto la descrizione della sua awentura dal prototipo
di una tale setta. Se anche questo modello aiutò il
filosofo a concretare l'espressione del suo proprio atteggiamento spirituale, esso rimane in ogni caso un
atto originale di creazione del pensiero. È molto piÉ
156
LÀ. TEOLOGIA.
DEI PRIMI PENSATORI
GRECI
di una metafora: è la trasposizione dell'espressione r(.ligiosa nel campo filosofico per cui si viene a formarr,
veramente un nuovo mondo spirituale. Proprio la fucoltà non solo di motivare teoremi o stabilire fatti, mir
di costruire un intero mondo spirituale e di dargli una
forma, distingue la f.losofia dei greci nei suoi massimi
rappresentanti dalle cosiddette scienze particolari chc
allora incominciavano a nascere, sia a fianco della filosofi.a, sia dal suo seno. Il fenomeno che lo spirito
filosofrco crea un proprio ltosmos e un proprio 6ios mcdiante concetti e forme desunte dalla vita della comunità religiosa o statale e tradotte in concetti e formc
specificamente filosofici, attraversa tutta la storia del
pensiero greco e richiama continuamente la nostra attenzione. Mentre una volta si pensava che queste cose
fossero prive d'imp ortarrza per il contenuto filosofico,
dal nostro punto di vista, che per principio non segue
piri soltanto la storia d.ei dogmi, devono acquistare un
piÉ grande valore. Nella vita spirituale dei greci il filosofo che crea simboli non è meno importante di quello
che dimostra teoremi. Soltanto nel linguaggio dei simboli lo spirito dei teoremi acquista talvolta il suo tono
particolare.
Un elemento fondamentale della posizione di Parmenide è il fatto che egli non si nasconde omericamente
dietro all'argomento come i filosofi ionici, ma? come
Esiodo, annuncia in proprio nome una speciale rivelazione. ll proemio esprime la dignità religiosa di questo
suo insegnamento e della sua unica e dominante esperienza: l'arrivo alla conoscenza del vero essere. Il cammino sul quale lo guidano le figlie del SoIe non passa,
eome dice il testo dei nostri cod.ici, impugnato giustamente dalla critica, « attraverso tutte le città » 20, come
se Parmenide fosse un altro Ulisse che per infi.nita
smania di sapere visita Ie città e i paesi degli uomini
(:^p- vr: rL MrsrERo nELL'EssÉRg stcoNDo
paRMENTDE
157
prrrumente per conoscerli 21; è la via della salvezza int rr»vabile su questa terra, come era indicata dalla reli-
gionc dei misteri. In questo ambiente religioso il conccl.to, in sé innocuo, del « cammino » aveva ricevuto
l,r'r la prima volta quel denso significato che ha sempre
rrrl linguaggio di Parmenide: il senso dell'unico camrrrino giusto e salutare che porta alla conoscenzazz. Tn
rcguito la lingua filosofica coniò la parola simile péùoòoE
r:lre pure indica il cammino verso una mèta, ma quanto
r) vuoto, quanto puramente « metodico » il significato
rli questa metafora in confronto al cammino di Parrnenide che (se guesto tentativo di ricostruzione coglie
il senso originario) « guida dovunque incolume l'uomo
che sa»!23 Soltanto la via della salvezza gaid,al'uomo
« incolume », e anch'essa guida cosi soltanto « l'uomo
che sa ». fn questa defi.nizione troviamo, per la prima
volta nella lingua fiIosofica greca, la personalità del
filosofo come tale, come possessore della conoscenza:
non perché egli voglia gloriarsene, ma per presentarla
quale dono di una potenza divina e dirsene con orgogliosa modestia semplice strumento. Questo è il significato del concetto di « uomo che sa » 241 è un uomo
che ha avuto in dono un sapere di superiore provenienza, come nelle iniziazioni religiose si distingueva
il sapiente o mistico dal non-iniziato.
f versi coi quali incomincia la parte centrale del
poema di Parmenide si sono conservati nei frammenti 2 e 3 (4 e 5 nelle precedenti edizioni della raccolta
di Diels). « Suwia, voglio annunciare (e tu porgi ascolto
alla mia parola) quali uniche vie delf indagine si possono pensare. Una via dice: è e non può non essere.
Questa è la via della persuasione, poiché segue la verità. L'altra via invece dice: non è, e questo non essere
è necessario. Questo sentiero è, te lo annuncio, del tutto
inesplorabile. Infatti ciò che non è tu non puoi né co-
158
LA, TEOLOGIA.
DEI PRIMI PENSATORI
GRECI
noscere (è impraticabile) né pronunciare; lo stesso irrfatti è pensare ed essere ». La « verità » annunciata ncl
primo proemio, dalla quale qui per la prima volta si
solleva il velo, sorprende, per la sua imponente e quasi
fredda semplicità, I'ascoltatore preparato alla piÉ ebbrl
visione dalla grandiosa promessa divina. Anche questo
fatto, anzi proprio questo ricorda la reale esperienz:r
del mistico, la cui mente deve liberarsi dal conturbante contatto con le cose terrene per poter accoglierc
le cose sacre che L'iniziazione gli deve rivelare. Appunto nella loro semplicità hanno il potere di esprimere una suprema sapienza. I fondatori d.ei misteri sapevano benissimo che il piri profondo segreto si trova
sempre in ciò che è apparentemente palese 25.
Le due vie, la giusta e la sbagliata, hanno molta
parte nel simbolismo religioso del piri tardo pitagorismo. Esse simboleggiano la scelta, davanti alla quale
ogni uomo si trova con la sua responsabilità, la scelta
tra una vita moralmente buona e una vita cattiva 26. In
questo senso vediamo sui monumenti funebri di un'epoca posteriore la sacra Y a due bracci, segno di apparteroero,za alla setta e della giusta decisione che al defunto
assicura le gioie perpetue nell'aldilà 27. Purtroppo non
sappiamo fin dove risalga il pensiero delle due vie. Doveva essere familiare a un periodo precoce: lo dimo-,
strano gli Erga di Esiodo con la loro dottrina dello
stretto sentiero dell'Areté e del largo stradone dell'Inettitudine 28. Non è fuori di luogo suppore che anche la
fede nell'aldilà, professata dalla setta religiosa e descritta da Pindaro, abbia accolto l'immagine della via,
dato ehe questa religione si fondava proprio sull'idea
di un'incessante migrazione dell'anima. E forse non è
un caso se Pindaro stesso? nel passo citato, parla di
una « via di Zeus » che dopo la morte le anime percorrerebbero? se l?uomo è vissuto giustarnente ed entra
cl.p. vr: rL lrrsrERo prr,l'psgpnr sECoNDo PÀ,RMENTDE 159
rrr,l regno della beatitudine 2e. È chiaro però che l'im'
rrrngine della via e della scelta cosciente era applicata
vita di qua, quando si consid.eri l'influsso
olrr: secondo Ia religione il contegno di qua aveva sulla
nrrche alla
rrorte nell'aldilà 30. L'immagine delle due vie professata
rlrr Parmenide dipende, come le simili idee del suo proe'
rnio, da una trasposizione del simbolismo religioso agli
utti spirituali della filosofia.
Mentre qui allude nettamente a due vie, quella del'
l'essere e quella del non essere? in un altro passo questa
immagine si allarga. A quanto pare egli vi introduce
una telza via per la quale chi non sa etra alla cieca:
è la via che ad. un tempo reputa reale l'esistenza dell'essere e quella del non essere 31. Si capisce che le
due vie cosi chiaramente distinte non si possono unire.
Ma quelli che vanno brancolando, quelli con due teste,
muti e ciechi, credono di poterlo fare in quanto consi'
derano la stessa cosa prima come esistente, poi come
non esistente, e pensano di poter seguire in tutto ciò
che esiste prima I'una delle vie e di poter poi tornate
indietro e seguire l'altra. La tetza via d.unque non è
una strada a sé accanto alle due altre, a quella esplorabile e a quella inesplorabile, ma consiste soltanto
nella (illecita) combinazione delle due vie che in verità
si escludono. Questa loro impossibile unione è quanto
Parmenide aspramente combatte, perché f illusione degli
uomini considera possibile e cerca questa unione, men'
tre nessuno dovrebbe facilmente imboccare la via del
non essere. Questa è l'unica ragione per cui Parmenide
parla di un.a tetza via: e qui dobbiamo rammentare
che la relativa parola greca (ddd6) da Omero in poi
non indica soltanto il sentiero tracciato o la strada,
ma anche il percorso verso una mèta. Soltanto in questo
significato si può parlare di una terza « via » nel caso
che uno percorra prima l'una, poi l'altra via.
o
160
LA TEOLOGIÀ. DEI PRIMI PENS.A.TORI
ERECT
Qual è il significato della netta alternativa tra csall'inizio e srrllrr
quale fonda tutta la sua dottrina ? E a chi si riferisr,r'
la polemica dell'uomo che sa 32 contro le «teste doppir: ,,.
i «non sapienti » (eìòheg oòòéa)33 i quali non intendorro
iI potere escludente di questa alternativa e credon,,
perciò di poter percorrete entrambe le vie nello stesso
tempo ? Incominciamo dalla lisposta alla seconda domanda, al guesito intorno allo sfondo storico della filosofia di Parmenide. Prima si intendeva di solito per
« teste doppie » un determinato pensatore, poiché l'idea
che la stessa cosa è e nello stesso tempo non è e che
in tutto ciò che è si può sempre percorrere la via di
andata e ritorno pareva attagliarsi esattamente a Eraclito e alla sua dottrina dell'unità dei contrari 3a. fo
non posso che condividere i dubbi formulati recentemente contro questa interpretazione 35. Questa invettiva da profeta contro le erranti teste doppie, contto
i perennemente muti e ciechi, non può essere diretta
contro una sola testa intelligente che abbia raccolto
intorno a sé alcuni proseliti esaltati, ma colpisce tutti
i mortali. Di questi ha fatto parte anche Parmenide
fi.no aI momento in cui la dea gli rivela la vera situaziolce. Chi dice queste parole infatti è lei, non Parmenide, Naturalmente finora l'umanità non ha espresso
la propria ingenua coscienza della realtà nella forma
precisa che essere e non essere siano la stessa cosa.
Ma è stato Parmenide a riassumere in questa formula
paradossale I'assurdità della visione del mondo che costringe tutti gli uomini, la folla ignorante e i filosofi
naturalisti, nei ceppi del medesimo errore. Che il bersaglio dell'attacco sia questa ingenua visione del mondo
è provato anzitutto dal lungo frammento sull'essere
(B B Diets) nel quale Parmenide si accinge all'impresa
di definire alcuni attributi di ciò che veramente è. Dal
sere e non essere che Parmenide espone
(ìAI" VI: IL MISTERO OrIT,ESSPNT
SECONDO
PÀ.RMENIDE 161
r,rrrlr:tto dell'essere egli desume come qualità costiIrrlivc il non essere divenuto e l'essere imperituro e
rl, r.sclude interamente la pluralità e il moto. Queste
rrllirrrr: però sono le qualità fondamentali di ciò che la
liloxolìa ionica della natura, in accordo con la coscienza
nrl{(ìnua, plesuppone quale realtà. La ( natura » della
,;rrrrft: parlano gli ionici presenta il quadro d'un inlr.xsante divenire e perire; una medesima cosa esiste
r, poi non esistc piri. L'idea fondamentale di Parmerrirlt: è che l'eternamente uno, che la filosofia naturale
('crcava di afferrare nel divenire e nel perire come
origine ineessantemente mossa di tutte le cose, non
xoddisfa il rigoroso concetto clell'essere.
Cosi si spiega anche la strana indicazione di « ente »
(&) che fin da1 primo verso forma il vero oggetto del
rliscorso di Parmenide. Evidentemente egli è stato il
primo a coniare questa espressione, Ia quale però non
i: caduta dal cielo senza preparazione, ma risale al linguaggio e alla mentalità dei filosofi ionici. Essi chiamavano senza dubbio il mondo delle cose che nascono
dalla causa prima e vi si dissolvono, rà. dara, vale a dire
ciò che è. La loro innovazione era stata questa: di non
partire, come il pensiero mitico del passato, da tradizioni e finzioni incontrollate, ma da ciò che l'uomo
trova nella propria esperienza, e di cercar di spiegarlo
con se stesso. Ora, Parmenide prende sul serio la pretesa degli dyta a un essere reale e scopre che questa pretesa non si addice a ciò che fi.nora gli uomini hanno
chiamato cosi 36. Il vero essere non può aver parte nel
non essere. Non può essere neanche molteplice ma soltanto uno? poiché il molteplice è soggetto alla vicenda
e aI moto, questi però sono in contradtlizione con Ia
natura dell'essere che è stasi e riposo. Dunque non esistono dyta al plurale, ma esiste soltanto ut dy37. Questo
risultato non concorcla, è vero, con la testimonianza
11.
-
W, JaEeER, La teologia dei
p?i'n1,ì
pensato4 ,recì,,
t62
LA. TEOLOGII,
DEI PRIMI PENSATORI
GRECI
dei sensi, ma allora vrrol dire che questi rono fal.l:r,'i
e devono sottomettersi aI rigoroso esame dell'intellrlt,,
38. Se esso riconosce soltanto un unico ente, n()u
Q"dyoq)
vuol dire che questo sia soltanto oggetto del pensir,r,,
nel senso delf idealismo moderno. Non è possibile r:h,'
questo sia il significato della f'amosa equazione di pr:rrsare ed essere 3e. La punta di questa tesi è volta conlr()
la possibilità di conoscere il non ente. Per Parrmenirl,'
t)oeiy rto$ ha ancora il significato che ha per Platorrr'.
il quale lo contrappone nettamente alla percezione d.r'i
sensi. Da Omero in poi aoeia signifr.ca sempre la percr,zione di un oggetto e l'identificazione cli esso per ciò
che è a0. Anche l'oggetto d.el uoeia, del quale parla Par« l'ente », è preso dall'esperienza u-rnarta e dato
con essa. Parmenide non dubita perciò della sua esiste:nza, come d'altro canto il yoeh, diventa se stesso solo
in quanto conosce il reale. Ciò che l'intelletto ()"6yoq)
vi aggiunge è la essenziale considerazione che questo
ente non può essere come i sensi ce lo mostrano: un
molteplice e mosso.
La logica, alla quale Parmenide era portato dalla
sua intelligenza, doveva spingerlo alla critica della conoscenza umana. Già il fatto di aver esposto Ia sua
teoria nella forma figurata delle due « vie » a1 dimostra
quanto egli fosse dominato dal motivo della conoscenza. Lo conferma anche la distinzione delle due parti
della sua opera in « verità » e « apparertza t» 42l. essa considera Ia metafisica della prima parte e la fisica della
seconda con un criterio espressamente noetico 43. La
necessità che il pensiero di Parmenide, presentandosi
con stupefacente sicurezza di s6, fa valere con tanto vigore è la necessità logica insita nel eoncetto dell'essele 44. Egli però non conosce ancora il concetto quale
veicolo della logica forrnale, ma è convinto di aflerrare
veramente col suo ragionamento logico l'essere stesso.
menide,
(i^1,.
vr: rL
MrsTERo »pr,r,'n§sonp socol§Do PA.RMENTDE 163
f,l lrcnsi un essere diverso dalle cose, della cui esistenza
prrrltno i fisici, ma è significativo che egli ponga questo
r,r{H(ìrc come vero di ftonte a quello dclla fisica. Pur supr,rlrrdola rimane dunque ancora sullo stesso terreno
rli cssa, sul terreno della realtà oggettiva. Anche f inevililbile quesito, donde sia mai nata I'apparenza alla
,;utlc fino allora tutti gli uomini erano attaccati e come
riit arrivata a un riconoscinr.ento cosi universale, asHume per lui senza volere la forma di una fisica.
Questa discussione si trova, come è noto, nella ser:onda parte dcltra sua opera. Fatto è che Parmenide non
rlistingue ancora con precisione mod.erna tra sostanza
c oggetto della conoscenza. Perciò non può esporre
l'origine dell'apparenza se non descrivendo l'origine del
mondo apparente 45. Egli presenta tutta una cosmogonia, sempre con I'intenzione di spiegare che e per
quale ragione iI mondo, di cui descrive il divenire, non
r) un mondo reale ma soltanto apparente 46. Il problema
principale della cosmogonia di questo mondo apparente
ò per lui, dopo che ha climostrato come ciò che è sia
soltanto uno, il quesito donde provenga l'apparenza
della pluralità delle cose. Essa è data, secondo lui, con
l'affermazione di una dualità di principi che il pensiero
umano aveva ammesso senza esitazione fin dall'inizio.
Parmenide deriva pertanto tutto il mondo apparente
dalla primaria antitesi della luce e della notte in quanto
forze coordinate ed equilibrate a7. Il principio di questo
« apparente ordinamento del rm.ondo » è la mescolanza,
il cui simbolico autore è iI dio Eros che il filosofo
desunse dalla Teogonis, d,i Esiodo a8. Sopra di lui sta la
dea che guida il mondo e ha il trono nella zona fra
i due anelli sovrapposti che cingono il mondo, I'anello
igneo e quello notturno ae. La volontà di spiegare l'origine e la struttura dell'apparenza non è, del resto, rnantenuta costantemente nella seconda parte. Pare sia
t64
LA, TEOLOGIÀ, DEI PRI1III PENS,{TORI GRECI
stata una cosmogonia completa che, tra I'altro, tr:rt
tava l'origine del cielo, della via lattea, del sole, dr.ll;r
luna e delle stelle, come dice Parmenide nell'introrlrrzione che ci è rimastas0. AIla mescolanza di luce e tr,nebra nel mondo esterno corrisponde la medesima m,,scolanza nelle membra del corpo umano, dalla qurrl,.
procede il pensiero 51. Siccome la nostra conoscenza ir
basata sul principio che l'uguale conosce l'uguale, il
pensiero, in virtri d.ella mescolanza della quale è rr rr
prodotto, può conoscere soltanto quel mondo misto dc.ll'apparenza, nel quale Ia notte è considerata equivalente alla luce, il non essere all'essere. La scissione dcll'unico essere attraversa dunque il mondo esteriore nellr
stesso modo in cui attraversa l'uomo e iI suo pensiero.
Il simbolismo diurno del proemio, che descrive il viaggio al mondo della verità e dell'essere 52, è ripreso nella
dottrina della seconda parte intorno all,origine del
mondo apparente dal dualismo di luce e notte 53. Si è
pensato che la seconda parte contenesse determinate
dottrine di filosofia naturale, come ad esempio quella
dei pitagorici, della quale si sente effettivamente qualche eco. Non è possibile invece stabilire una completa
egraaglianza tra essa e la òd{a di Parmenide, e si fraintende il significato di tutta la costruzione quando si
creda che lo zelo polemico abbia spinto il pensatore a
gravare la sua opera con una tale massa di materiale
altrui5a. Il suo tentativo di spiegare l'origine del mondo
apparente, anche se ci soddisfa poco, è del tutto
originale. Senza di esso forse non sentiremmo tutto
l'ardimento della parte prima, dove il filosofo si stacca
da questo mondo considerato fallaee e si inalza alla
verità.
In epoca recente si è formulato pirÉ volte il quesito
del rapporto fra le due parti del poema, fra la verità
e l'apparenza, e si sono date diverse risposte. La ra-
(:Àp.
vr: Ir, MrsrERo opl,l'nsspnn
sÉcoNDo plR[rENrDÉ 165
piorrrr di ciò stava anzitutto nel sentimento (forse troppo
rtr,rrl.r'rno) del «r vuoto » dell'essere parmenideo. Si cre-
l.c di porvi riparo collegando piri strettamente i
gli apl,igli relativi nell'opera di Parmenide. Si trovò che
rlr.l
,lrrc mondi dell'essere e del divenire e cercando
rrrrr:he
il significato della sua concezione
dell'essere deve
consistere nel risolvere l'enigma del mondo, come ave-
vtno tentato di fare i filosofi naturalisti ricorrendo a
rrn unico principio originario. fn questo modo l'essere
rli Parmenide venne a trovarsi vicino a questo prinr:ipio e divenne l'àQyil, il principio del mondo ilel divenire. Lo si contrappose al concetto astratto dell'esscre secondo Platone, al quale si arriva pxescindendo
rlai particolari caratteri delle specie. Confrontato con
questo astratto, l'essere di Parmenicle apparve piÉ denso
c piÉ potente. Questa densità però gli veniva dall'essere una compagine di potenze che tenesse unito il
mondo dei fenomeni55. Esso dovrebbe allora abbracciare, per cosi dire, iI mondo del divenire e del perire.
Ma ciò contrasta con le parole di Parmenide: « Dike,
la potenza della legge immutabile, tiene l'essere nei
propri ceppi e non lo lascia libero dimodoché possa
divenire o perire » 56. « Il divenire e il perire sono spenti
e dimenticati in esso » si legge in un altro passo a ploposito di ciò che è 57. Oltre a ciò questa concezione riduce troppo ciò che è a mero essere, e tutta la dottrina
di ciò che è diventa troppo l'aspetto del mondo dal
punto di vista del suo essere. Secondo Parmenide però
all'aspetto del mondo in quanto è non si contrappone
con uguali diritti un secondo aspetto del mondo in
quanto è mosso, come per Aristotele 58. Questo mondo
del divenire è soltanto apparernza) mentre il mondo delI'essere è la verità. La dottrina dell'essere non ha il
c6mpito di spiegare il mondo naturale della pluralità
e del moto, ma viceversa la strana dottrina del mondo
166
L,A. TEOLOGIA
DEI PRIMI
PENS,A.TORI GRECI
apparente è chiamata a rendere comprensibile l'errorc
degli uomini che all'Uno hanno sostituito la dualità
come punto di partenza e al riposo hanno sostituito
il
moto
5e.
Nel grande frammento B, che si è conservato nel suo
complesso, Parrnenide cerca di dare alcuni attributi
dell'essere i quali ne determinano meglio la natura60.
Ya notato che tutte qlrcste qualità sono ricavate dalla
negazione di qualità del mondo sensibile. L'essere è ingenerato, imperituro, tutto intero, unico, immobile, illimitato nel tempo e compiuto. Questi predicati indicano
chiaramente la tendenza del pensiero di Parmenide:
essa allontana dal mondo del divenire e porta verso un
altro essere assoluto; il filosofo scorge iI proprio merito
nell'avere estratto questo essete d.aila diretta esperienza
sensibile, e non considera il suo assoluto quale sostrato
o motore imrroto della realtà fenomenica. Secondo lo
Stenzel, il pensiero della filosofia ionica avrebbe tolto
la f,orma al mondo u,; goi si potrebbe dire che il pensiero di Parmenide non si ferma a questa dissoluzione
della forma del mondo, ma giunge fino ad una concezione acosmistica della realtà, cioè nega alla realtà
la prerogativa di costituire un « mondo ». Quando, servendosi di un paragone evidentemente pitagoreggiante,
dice che l'essere è uniforme in ogni verso come può
essere una sfera 62, siamo, per cosi dire, all'ultimo resto
di forma del mondo che egli non riesce a eliminare,
benché proprio in questo passo aflermi espressamente
che si tratta soltanto di un paragone. Questo essele
si spiega ancora meno con concetti posteriori come
quello di materia 63.
Esso si presenta come forma pura del pensiero nel
quale è radicata tutta l'indagine filosofica dei primi
tempi: l'esistenza eterna quale fondamento di ogni conoscenza" I milesii l'avevano trovata nel loro primo
clp. vr: rL
MrsrERo oEt,lorssnnr sECoNDo paRlrDNrDE 167
principio e I'avevano dichiarata divina. Anche Parmerrirlo contrappone il suo essere al mondo dell' « illusione
rloi mortali » e ne fa dare notizia dalla d.ea della luce
r:he non è se non I'esponente teologico del valore di
{lucsto vero essere. Ma se n.on andiamo errati, questo
ò un nuovo modo di considerare il problema al quale
i pensatori precedenti avevano risposto equiparando il
loro principio al divino. L'unione della conoscenza dell'essere alla sfera religiosa esiste anche in Parmenide,
anzi è messa particolarmente in rilievo. D'altro canto
però egli rinuncia a equiparare l'essere a Dio, anche
se le epoche successive hanno continuato a scorgere
nella dottrina delllessere assoluto e dei suoi attributi
una teologia filosofica. Dovremmo pertanto accostarci
maggiormente alle intenzioni di Parmenide, se parliamo di un suo mistero dell'essere; in questo caso terremmo conto della forma che egli stesso diede alla sua
dottrina. Certo, un teologo dirà che in questo mistero
manca Dio, ma il vivo sentimento religioso vedrà in
questa pura ontologia una rivelazione e un autentico
mistero e si sentirà profondamente toccato dall'esperienza parmenidea dell'essere: in altre parole, il fatto
religioso consiste qui piri nella commozione umana
e nel deciso atteggiamento vexso l'alternativa di verità
e apparenza che nella qualificazione divina dell'oggetto
in sé e per sé.
Alla fin fine però la base di questo atteggiamento
religioso da parte di colui che conosce, « clell'uomo che
sa » 64, sta per un greco nella dignità e nell'importanza
ili ciò che è conosciuto. A questo proposito non possiamo separare abbastanza nettamente l'essere di Parmenide dal nostro concetto di realtà, reso"prosaico dall'astlazione della moderna scienza naturale. Lo distingue Ia sua perfezionc espressamente affermata 65, che
per il pensielo greco lo fa apparire, se non eome un Dio
NOTE
LA TEOLOCIA. DEI PRIMI PENSATORI (]RECI
168
personale, almeno su un livello divino66. Ciò vale anclc
per il paragone tra l'essere e la sfera che per i pitago-
rici era la piÉ perfetta delle forme; e la luce e il
Ii-
mite (népaq) erano collocati, nella dottrina pitagoricrr
dei contrari, sulla stessa linea del bene. Se Parmenidr..
che del resto combatte ogni dualismo di questo gr:nere, punta talmente sull'affinità con la luce e sui limiti dell'essere, è chiaro che prese la sua via particolare tra il monismo della teoria milesia d,ell'apeiron e il
dualismo pitagorico di peras e apeiron, in quanto da
una parte non intese il vero essete, come avevano fatto
i milesii, illimitato ma limitato, e dall'altra dichiarò
che il mondo, nel quale il limitato e l'illimitato sono
mescolati, è pura apparenza. Il piÉ forte motivo rcligioso della considerazione filosofica del mondo consisteva ormai nell'idea dell'unità. Parmenide lo rafforzò
accogliendo nell'unità le qualità della perfezione, dell'immobilità e del limite.
NOTE
AL
CAPITOLO SESTO
K^ll
Ruxrren»r, Parmenides unil die Geschichte d.er grie1
Bonn 1916, p. 256.
2 RntNrunor, op, cit.
3
_ _ PiÉ sopra. a p. 66 sg,, abbiamo visto che questa concezione
del rapporto tra Parmenidè e Senofane indusse I'aìtore d,el De Xenophane Melisso Gorgia ad attribuire alcune idee fondamentali di
Parmenide a Senofane par dare maggior rilievo a questo preteso
-
chischen Philosophie,
rapporto.
a Cfr. p. 69 sgg.
5 Parmenide A 37.
6 Esiodo, Theog.22 sgg.
7- Ibid. 33:
xai p' éxil.oa$' 6pueb paxdgau yéuoq aìèu édway.
8 Parmenide B l.
s lbid. B l, 29 sgg.
Esiodo. Theos. 28.
u Per I'evoluziòne del concetto greco di verità e dei suoi sinonimi cfr. la monografia di 'Wrr,urr,rlr Lurunn, Wahrheit unil Liige
im iihesten Griechentum, Borna-Leipzig 1935. Il Luther ha visto bene
(p. l2I sgg.) che Esiodo segna l'inizio di un'èra nuova.
10
12 Parmenide
B l,
29-30.
l3 Parmenide B 1, 1 sg.
ld Sesto Empirico 7, 111
AL CAP. VI
169
sgg.
r! Nell'introduzione al suo scritto sul poema
didascalico
di
Par-
(Berlin 1897) Hpnu,rxN Drrls studiò il motivo della rivelnzione nel proemio dell'opera di Parmenide e lo mise in relazione
tott Ia storia clella piri antica religione greca.
l0 Drrls, op. cit,, presume un influsso orlìco che poi fu accettato
rlu ultri. Intorno alla questione orfica in genere cfr. p. 99 sgg.
17 Parmenide B 6, 6.
18 Eschilo, Prom, 447. Per tracce di eloquio profetico nella lingrrrr di Eraclito cfr. p. L77 sg.
ro Parmenide B 7, 4 (già B i, 35).
20 Parmenide B l, 2-3:66òu,,..ff xarà ndut' ìiouy qéget eiòha
q,ina (ndw' dotq N, ruiw' àtq lt, nrivza tn }xÒ. Cfr. i tentativi
rli reintegrazione del testo di questo passo fatti da studiosi morlr:rni in Dtnr,s, Vorsokrdtiher, I, ad loc.
2r Cfu. OtL. I, 3: nil)d:a àuùprbnau iòea do'rea xai yéoy éWa.
22 Circa la metafora della via nel primo pensiero greco cfr. Orrrrorride
rRrED BECr(En, Das
Bilil iles Weges unil oerwanilte Vorstellungen
Einzelschriften zttlrt llermes » 4, Ber1937). L'autore studia l'uso e il significato di questa immagine
rroll'antica letteratura greca e dedica un capitolo particolare a Parrnenide (p. 139 sgg.).
2a In Paideia,tr. it.o f, p. 331 n. 3 ho proposto di modificare la
parola guasta do'cq (Parmenide B 1, 3) in àowi1: la «via» della
verità porta « l'uomo che sa » (aiò&a gdtza) « incolume » domnque
vada. Similmente Eschilo nel linguaggio religioso diEumen.3l5 dice
che I'uomo « puro » (xal8apdq)" che cioè conserva le mani libere da
rnacchiao « attraversa incolume la vita » (àooùg ò' aì6ya òrcryuet).
Questo è il tono voluto dal contesto del proemio di Parmenide.
Dopo aver proposto questa reintegrazione del testo mi accorsi che
int friihgriechischen Denhen («
lin
Meineke l'aveva trovata già prima: che è una conferma della sua
esattezza. La mia proposta fu accolta da O. Becker (cit. alla
nota prec.), p. 140 n. 5.
2a Parmenide ebbe questa « rivelazione » non per un atto di
grazia verso la sua persona ma in quanto « uomo sapiente » (eidòe
qdts). Cfr. B 1, 3.
25 Le parole di Goethe sul « sacro pubblico segreto » sono un
tentativo di esprimere l'essenza del mistero vero e proprio.
28 Cir. Cebetis tabula, capp. 12 e 21. Le testimonianze piri recenti
intorno alle due vie furono raccolte da A. BnrNrullrx; cfr. p. 620
del suo articolo citato alla nota seguente.
27 Cfr. A. Bnrxru"u+N, Din Denkmal iles Neupythagoreismus, in
N. F. 66 (1911), p. 616 sgg.
Esiodo, Opp. et dics, 286 sgg.
Pindaro, Ol. 2,77. Intorno alle due vie che le anime dei huoni
e dei cattivi devono percorrere dopo la morte cfr. Platone, Gorg.
«Rheinisches Museum»,
28
2s
524
a e Resp.
6L4 c.
Per il mito nella Repubblica di Platone e il suo concetto della
paideia quale preparazione alla scelta del giusto p/oq uella vita futura, cfr. Paideia, tr. it., II, p. 643 sgg. Platone segue un modello
« orfico » nel quale introduce I'idea della paid,eia. Circa la paiileia
30
LA TEOLOGIA DEI PRIMI PENSA.TORI GRECI
170
NOTE
quale « via» (tat3r71 xroeeaxéou) cfr. anche Ps. Plat.o Epin. ()t)! r.
Cfr, la simile nuova interpretazione dell'« isola dei beati » da p:rr tr.
di Platone corne paiileia filosofica: Paid,eia, tr. it,, II, pp.520, 551'.
a1 Parmenide B 6.
32 Id. B l, 3: eiòha gdt'ca.
33 Id. B 6, 4 sgg.
3a Le parole « uomini con due teste » (Parrnenide
B 6, 5)
furorr,,
per la prima volta riferite ad Eraclito da J.mos Bnnx.Lvs, Gesonr'
mehe Abhandl. I 62, seguito da studiosi come Diels, Gompcrz,
Burnet e altri. Essi credevano che la presentazione di questi uonìiui
calzasse perfettamente per Eraclito: secondo Parmenide, costorr
avrebbero assunto che « esscre e non essere solo e non sono la stcss:r
cosa) e che « tutte le cose vanno in direzioni opposte » (nil,i»zgonl,;
éott. ril.eafloq). Cfr. Eraclito B 60: <idòq iiua xdra pla xaì ò:urfi.
Cfr. K. RnrNn"a.nor, Parmeniiles, p. 64 sgg.
Per le parole zd dara, Ì1 cprSoq zCou dutau (:q6ors zdtu npay
p&au) che si trovano di frequenza laei guornoi, greci e devono ri-
o lrrr.orno all'Eros cfr. Farmenide B 13; intorno alla mesco'
ll 9, B 12, B 16. Non posso essere d'accordo con RrrNrtanlr,
lil, r.lt,, p. 74, dove dice che il concetto di mescolanza, il quale ha
rrirn purti: cosi significativa nella posteriorc filosofia greca, abbia
rlrrl ln sua origine e sia dunque derivato dal pensiero puramente
lirgk'o t: rrrctafisico di Parmenide, Dev'essere stato usato molto prima
lrilhr rncdicina e nella scienza naturale, donde Parmenide lo trasferi
rrnl ploprio argomento.
{b Pìrmeniàe B 12, 3. Cfr. l'interpretazione degli anelli data
rlrr l)rur,s, Parmemiiles' Lehrgeilicht, pp. 105, 107, che però non chiarlrr.rr rlel tutto il significato di o'retadrepat,. Cfr. BunNnr, Early Greek
l'hilosophy, p. 191.
no Parmenide B 10,
B 11.
lil. B 16.
Id. B 1, g-10.
63 Id. B B, 56 sgg.; B 9.
òr
[,r
36
filosofi naturalisti presero la parola drza dall'uso della lingua comune, Ia polernica di Parmenide è diretta tanto contro costoro,
quanto contro i filosofi. Non si può assolutamente riferire a un unico
pensatore come Eraclito iI passo in cui Parmenide parla della « gentc
sorda e cieca t) otETò né),er,y te xaì oòx eh,at, taòtòy ueudpto'rat,poich(:
ueadpn'rar non indica l'opinione di uno o di alcuni, bensi la perversione del vdpog dorninante (cioè della tradizione). Cfr. Senofane B 2,
13 d lL' eìxfi pd)"a to6ro uopilezan, che pure si riferisce allacommunis
opinio degli uomini. Cfr. anche il passo parallelo dello stesso Parmenide B 8, 38-39: t(t nd:n' dvolt(a) to'rar.6ooa pgo'roì xadùeato
nenot$éreq e-itar, d)o1$fi: le loro opinirini su questo argomento « non
sono altro che parole » che non contengono alcuna verità.
37 Parmenide B 8.
Id. B 7, 3 - B B, I (già ts I, 34-37).
Id. B 3, B 8, 34.
Cfr. ora K. voN Fmrz in « Classical Philology » XXXVIII
(1943), p. 79 sgg. circa il significato di uo6q, rtoeiy ecc. in Omero, e
ivi, XL (19a5), p, 236 per il significato di queste parole in Par38
3e
a0
menide.
a1 Parmenide B 2, B 6.
42 Id. B l, 29-30; B 8, 50 sgg.
a3 L'autore è costretto a chiedere
Tiibingen 1925, pp. B-15.
a5 Ne ha dato una prova convincente K. RorNnenot, Parmenides,
aG
p. B0 sgg.
Il monilo della dd[o, come è preseutato da
Parmenideo si
basa sulla tradizionale opinione dei mortali (cfr. ueȎptorae B 6, B,
e qui sopra, nota 36) che essere e non essere siano la stessa cosa
e pure non lo siano. Essa è il mondo visto con occhi umani e sta di
fronte al mondo dell'essere come lo vede la dea della verità, Infatti
in realtà è lei che parla quando Farmenide dice « mortali
47
Parmenide
B
{J, 55 sgu.
e Èì
9.
è del parere che nella seconila parte
p"eso le mosse da opinioni pitagoriche.
l)i(G (cfr. qui soprao nota 49), p. 63 pensa che questa qarte -abbia
ruppreàentato qràlcota come'una dossografia nella maniera che fu
irr-uso piri tardi presso i peripatetici, e abbia elencato le opinioni di
04
»,
BunNnr, op. cit., p. IB4 sgg.
rlol poema Parmènide
ibbi"
likrsofi precedenti. Contro I'una e l'altra opinione cfr. Rrrruenor,
op.
- cit., p, 28 n.
1.
65 Cfr. Kunr Rrrzr,pr., Parmeniiles, Frankfurt 1934' p. 50.
60 Parmenide B 8o 13 sgg.: toù etvexev oiite yeuéo$ar, oìit' d)'J'uo$at
ìLvijx,e lixr1 ya)d.oaoa néò21otu. Diels traduce: «Perciò la giustizia
rron ha lasiiaio liberi ilai lòro ceppi il divenire e il perire, ma li tiene
nuldi». Egli prende dunque gli infiniti yeuéo$at e d)'J'oo$at, come oggotti di ò.afixe. L'ogget{o d,i /ix4 ù4xe è invece-zò ddro che tan-to
ilui quanto nei versi 22 e 26 deve essere ricavato da ciò che qrecede'
(Nella O, edizione dei Vorsokratiker del Diels, Kranz ha accolto l'inicrpretazione esatta). Troì/o esattamente la medesima costruzione
ùi d.qfixe con I'accusativo con I'infinito in Gregorio di Nissa (P. G.
45, ii73 D Migne), il quale, a quanto sembra, trasferiscc un pensiero di Farmenidà nel pensiero teologico cristiano' Cfr. H. FnÀx'
KrlL) Parm.enides-Stuilien, in « Giitt. Gel. N. », 1930, p. 159' che per
primo ha giustamente contestato l'interpretazione dielsiana di que-
sti
l'indulgenza del lettore per
questo voluto uso anacronistico di una terminologia assai posteriore.
aa Cfr. E. Horrnrnxl+, Die Sprache und die archai.sche Logik,
t7t
lrrrrrg
35
salire fino alla scuola milesia cfr. sopra, pp.30, 32. Siccome però questi
AL CAP. VI
versi.
67 Parmenide B B, 21.
58
interpretazione
farebbe corrispondere, la prima- par^te
Questa
del poerna di Parmenide alla Metafisica di Aristotele qu-ale filosofia
delltessere in quanto essere (òr fi iiu'S ela seconda parte alla sua Fi'
sica, alla teoria dell'essere in quanto mosso (òz fi xoqtdu).
6e In altri termini, iI procedimento di Parmenide è esattamente
a quello che ci si àspetterebbe da un-punto di vista moderno.
opposto
--oo queà-ti
caratteri sono detti segnavia (oilpaza) lungo la strada
che conduce alla verità; framm. B 8, 2.
61 J. STENZEL rrel Handbuch der Philosophie: Die Metaphysik
iles Ahertums, Miinchen-Berlin 1929, pp. 34' 36, 47.
62 Parrnenide B B, 43-44.
63 BunNrt, op. cit., p. 182
fa notare giustamente chc il concetto dell'cssere secondo Parmenide ha agito sulle tre pili influenti
'.1
,1
,i
.1
L72
L-T. TEOLOGIA
DEI PRIMI PENST.TORI
GRECI
dottrine di presocratici posteriori intorno alle prime componenti
rrrir
i quattro elementi di Empeilocle, le omeom,,.i,,
di Anassagora e gli atomi di Democrito. Ma non posso essere d,t,.cordo eon.lui quando ne r,rrol dedurrc che ì'essère di Parmerrirl,.
debba e-s,sere stato perciò « materia » e qui pone il suo vero sigrri-
t_eriali dell'universo:
ficato. Che cosa dovesse accadere dell'esÀere-di Parmenide non al)pena uno dei suoi discepoli ne dava un'interpretazione materialr,,
ci mostra Melisso di Samo il quale abbandonò-logicamente uno tl.i
suoi.car-atteri principali, la limitatezza, e lo adàguò all'àgyi tttrteriale di Anassimandro, cioè all'apeiron.
oa Parmenide B 1, 3.
66 Parmenide B B, 4.
66 La,via che porta alla conoscenza
di questo essere è «bcrr
-lontana
dal sentiero dei mortali» (framm. B-1,27) e l,uomo chc
la percorre e ne raggiunge la fine, cioè la verità, è detto felice dell:r
sua sorte. Il concetto cristiano di un Dio personale che abbiamo
il sentimento rcL"Tpr" in mexte non deve offuscare l'idea c[e per
ligioso greco l'essere di Parmerride è « divino ,, -co-" Io è l,idea platonica del bene. Cfr. la mia Paiileia, tr. it., II, p. 492 sgg.
I
gÀ.Prrolo Srcrrrlro
ERACLITO
Il periodo tra la fine del YI secolo a. C. e i primi
rlcccnni del Y segna in Grecia una linascita dello spirito religioso. Esso si manifesta nelle opere individuali
rl.r:ll'arte e della poesia piÉ che nella religione degli dei
rr{liciali e nelle sette neofite che si sogliono citare a testimonianza cli questo spirito. Accanto alla poesia e all'arte vediamo anzitutto la filosofia diventare un ter'
rcno fecondo di grandi personalità religiose. La cosiddetta religione in senso ristretto non può prescntare
nulla di simile. La serie dei personaggi incomincia con
Pitagora, che fondò una specie di ordine. IJna mente
ben diversa è Senofane, l'aud.ace illuminista che senza
riguardi dichiara mistif.cazioni le idee della credenza pitagorica nella metempsicosi, allo stesso modo in cui
combatte gli dei antropomorfi della religione popolare
e dei poeti; ma questa battaglia ò combattuta con l'intima certezza di una superiore coscienza fiIosofi.ca di Dio
alla quale egli sa di essere atrivato. Parmenide sceglie
la forrna religiosa della rivelazione c del mistero per
comunicare la sua visione filosofica del puro essere
nella quale rivela che il mondo dei sensi è apparente;
egli considera infatti la sua esperienza come lisposta
al problema religioso che agita tutto il suo ambiente.
Pitagora, Senofane e Parmenide appartengono tutti e
tre alla nuova civiltà dell'Italia meridionale, sorta dalla
174
C,A.P.
L,{, TEOLOGI,A. DEI PRIMI PENSÀ.TORI GRECI
fusione dello spirito ionico importato con l?aulr»r:f.rrir
natura sociale e religiosa. Eraclito, l,ultimo della gr.r.i,..
rivela che anche la patria ionica della filosofia era :r,,,r
tata dallo stesso problema religioso. Questi pcnsirt.rr
cosi diversi nella loro intima struttura hanno irr ,.,,
mune, segno dei tempi, il tono profetico e apostolir,
che li unisce ai grandi poeti contemporanei Eschil, ,.
Pindaro. Fer il pensiero filosofico dei greci questo irl)
passionato pronunciarsi della personalità non era strlo
caratteristico fin da principio. Nella filosofia ionica rl,.i
vecchi milesii aveva dominato lo spirito dell,osservirzione e dell'indagine puta. Non saremo probabilmerrrr.
in errore supponendo che negli scritti didascalici rli
Anassimandro o di Anassimene la persona dell,autore norr
si sia presentata diversamente da come si presenta nell,opera geografica di Ecateo di Mileto, loro successore, cioi:
come io critico dello studioso il quale esprime liberamente le sue opinioni diverse da quelle della massa.
Non vi era ancota traccia di apostolato, anche sc la
« teoria » della natura poteva indurre lo studioso a dichiarare « divino » il suo primo principio 1. Il d.esid.erio
di spiegare le cose razionalmente non ammetteva un
tono cosi patetico. Soltanto dalla irrequieta ricerca religiosa, che segui quel primo period.o di uso della ragione ardito e sicuro di sé, nacque il tipo del filosofo
fondatore di religioni o profeta, ehe, sorpassand.o le formule tradizionali, procede a una nuova interpretazione
dell?esistenza.
Questa concezione del carattere di Eraclito è molto
diversa dall'immagine che per molto tempo si era creduto di doverne tlarre dagli autori antichi, specialmente
da Platone e Aristotele. È vero che questi non tentano
di afferrare l'insieme della sua dottrina, ma essa è considerata sotto determinati angoli visuali, dovuti non
a lei stessa, bensi alla filosofia di Platone e di Aristo-
VII: ERACLITO
175
t,,lc\Essi pongono Eraclito nel novero dei {ìlosofl della
l,rtulp a fianco di Talete, Anassimandro e Anassimene,
,, xtab\Iiscono che diversamentc cla loro indicò nel fuoco
principio 2. Come filosofo del divenire è poi
,,ntr{pposto a Parmenide, il pensatore tlell'essere 3. Se,,rndolFlatcne e Aristotele, la filosofia di Eraclito culurina lrella d.ottrina del flusso perpetuo di tutte le cose,
rcl ndura {e7. Platone avrebbe poi limitato la validità
,li questa tesi al mondo dei sensi e stabilito nel suo
rrrondo clelle idee I'essere duraturo e ad un tempo l'oggr:tto di una vera e incrollabile conoscenzaa. In' questo
rrrodo la dottrina di Eraclito era riconosciuta quale solido fondamento della verità assoluta e dichiarata grarlino importante nella storia della filosofia, dal quale
xi saliva alla vetta di Platone. Considerata pel se stessa,
la dottrina del flusso eracliteo era una grandiosa idea
rrnilaterale, la cui importanza consisteva nel ridurre a
cspressione universale il risultato metafrsico della precedente filosofia ionica.
Come altrove, anche in questo caso gli studi recenti
lranno cercato di emancipalsi à poco a poco dal criterio
di Platone e Aristotele c di attenersi anzitutto ai frammenti di Eraclito che sono pervenuti fino a noi 5. Anche
noi dobbiamo metterci per questa via, pur non potendo
fare del tutto a meno delle notizie dossografiche di
autori antichi posteriori, in quanto non esprimono giudizi propri ma completano i frammenti con notizie
di fatto.
Noi dobbiamo partire dall'esame della forma originale della lingua in cui sono scritti i frammenti di Era'
clito. Non la si può confrontare né con il discorso didascalico della prosa filosofica di Anassimandro e Anassimene, fin dove ce ne Possiamo fare un'idea, né coi
silli di Senofane o col poema di Parmenide. Eraclito è
iI creatore d'uno stile filosofico nuovo, le cui forme sono
tl prifuo
,
r76
LA. TEOLOGIA DEI PRIMI PENSATORI GRECI
di un acume enormemente impressionante di ,nr/po_
" all,/nizi,,
tenza veranTente lapidaria 6. È vero che oltre
del suo libro non possediamo alcun brano piftorto
lungo, ma soltanro singoli periodi: la loro foìrq, .".rata però fa supporre che non è un caso se le
]teoric
di Eraclito ci sono tramandate soltanto attraveriso un
numero sorprendente di siflatte sentenze. O trttj il.ro
Iibro era scritto in questa forma, o era particolalmentc
ricco di tali sentenze e indusse i tardi rielaboratori
a spendere il capitale in moneta spicciola. Vieu fatto
di pensare agli « aforismi » attribuiti a fppocrate, ma
purtroppo la loro forma non è originale: alcune sen_
tenze sono derivate da altri scritti ippocratici che le
contengono in un discorso continuato e piti completo z.
D'altro canto il principio stilistico degli « aforismi » è
già un'imitazione di modelli composti di tali sentenze
singole, e l'autore cerca ora di comporre qualcosa di si_
mile ricorrendo a Ippocrate. può anche darsi che pro_
prio Eraclito gli servisse da mod.ello e l,aforismu fi.se
la forma in cui scriveva 8. Non è probabile che un,opera
continuata constasse di frasi come le seguenti: Carat_
tere - demone per l,uomo (B II9) 1. Raggio asciutto - anima migliore e piri saggia (B l1B). via in sa_
lita e in discesa - sempre la stessa (B 60). Invisibile
armonia - meglio che palese (B S4). Uno _ per me
dieeimila, se è il migliore (B 49). La sapienza iei p.o_
verbi antichi aveva trovato anzitutto la forma po"ii"u,
specialmente negli Erga di Esiodo e nella ,uccoltu di
Teognide di Megara. Anche qui troviamo lunghi elenchi
di sentenze sciolte. La stessa forma si trova tladotta
in prosa nello scritto di Demo crito Della tranquillità
d'animo (negì eòOuplqe) e nei consigli a Demonico che
ci sono tramandati come opera di fsocrate. persino quest'ultimo riesce con difficoltà a mettere insieme ,orop-er.
unitaria con numerosi singoli mòniti, dovuti in parte
CAP. VII: ERACLITO
r77
lntica tradizione, e per le sentenze di Democrito,
i nostri frammenti, non è facile immaginare
uir c+testo unitario. Esse si avvicinano piri di tutte le
rrltre pllo stile di Eraclito e si può dimostrare che lo
imitalo in parecchi punti.
Ld sentenze di Eraclito sono però di tono quanto
mai diverso dalle norme di vita della preced"rt" .ug{,ezza proverbiale. Non si può ridurne lo stile a un
rrrl
r,r'r:o\do
rrnico denominatote, perché comprende in sé parecchi
t:lementi affini tra loro. Li esamineremo qui di seguito
in base ai frammenti stessi e in rapporto al loro contenuto 10.
L'inizio dello scritto, fortunatamente conservato,
parla della parola che il filosofo annuncia, del logos.
Gli uomini non comprendono questa parola benché sia
eterna 11. Non la comprendono né prima di udirla né
quando la odono pcr la prima volta. Ma anche se il
/ogos significa anzitutto la parola dello stesso Eraclito,
essa non è soltanto la sua parola umana? ma la parola
che esprime l'eterna verità e realtà, e perciò eterna
dura 12. « Benché tutto awcnga secondo la legge fi questa parola, gli uomini fanno come se non ne avessero
alcuna esperienza, ogniqualvolta si trovano di fronte a
parole od opere come io le espongo 13, in quanto spiego
e interpreto ogni cosa second.o la sua natura e il modo
in cui si comporta. Ma ciò che gli altri uomini compiono quando sono desti rimane loro nascosto allo
stesso modo in cui non sono coscienti di ciò che fanno
nel sonno » (B 1). Cosi non parla un maestro, uno studioso, ma il profeta che scuote gli uomini dal sonno.
L'importanza di questa immagine per la mentalità di
Eraclito appare dal fatto che egli se ne serve ripetutamente. In un altro punto parla di un « cosmo dei veglianti», la qual cosa postula un mondo dei dormientila.
Qui però non è inteso lo stato flsiologico, bensi l'essere
1?.
-
W.
J.a,EeER,
La teologia ilei primi pensatori
greci,,
a
/o
L.4. TEOT,OCIA DEI I'RIMI PI'NSÀTORI GRII']I
C,{,P.
infatti già nelle prime frasi Eraclito
aveva detto che ciò che chiamiarno esser desti èrnegli
altri uomini talmente privo di coscienza spiritu4le dei
veri eventi nella realtà, che quasi non si riesce a distinguerlo dal sonno. Anche il brusco contrasto fra l,autorc
che si sente unico possessorc della « parola » e Ia totalità degli « altri uomini » 15 i quali non comprendono
questa parola, benché tutto nel mondo sia regolato su
di essa, ha un tono profetico. Certo, Eraclito non annuncia la volontà di un Dio, bensi un principio, secondo
il quale tutto avviene. Egli è il profeta di una verità
riconosciuta dallo spirito? ma questa verità non è puramente teoretica come, ad esempio, la rivelazione di
Parmenide. Non si considela abbastanza che parmenide parla sempre di yoeiy e udrlpa quando vuol indicare
I'attività dello spirito filosofico, mentre invece Eraclito
dice qqoaeta che in greco ha sempre espresso il giusto
pensiero, la giusta intuizione (con palese riferimento
al contegno pratieo dell'uomo) 16. Perciò il vocabolo è
particolarmente adeguato alla conoscenza morale e religiosa. Nella preghiera di Agamennon e a Zous Eschilo
chiama gqoueTu l'intuizione religiosa dell,evento tragico
govelnato da Dio e del conseguente e conseio atteggiamento umano17. La saggezza delfica dell,autolimitazi,one
di ogni aspirazione umana e il timore della sovrumana hybris sono Epoaeiu. Eraclito insegna agli uomini a
gqoaeiu di fronte alla sua nuova visione del mondo. In
questo senso parla anche di « parole e opere » che egli
esporrà 18 e nelle quali gli uomini « si provano » invano,
poiché non possiedono la visione della vera essenza
delle eose. Dunque la sua dottrina deve influire anche
sul contegno pratico dell'uomo. Lo si vede anche altrove,
quando parla della saggezza come di un dire e fare
il vero 1e. In un altro punto dice che non si deve agire
e parlare come nel sonno 20. Eraclito è il primo pehsadesti con lo spirito:
VII:
ERACLITO
L79
torc phe non solo vuol conoscere ciò che è, ma con ciò
l)retende di rinnovare la vita degli uomini. Il possibile
r:ontrifuto d,el logos si manifesta nell'immagine della
veglia e del sonno. Egli non vuol essere un Prometeo,
non vuole insegnare agli uomini alcun mezzo nuovo
c piri intelligente per raggiungere i loro fini umani, ma
vuol renderli capaci di condurre la vita da svegli, consci
del logos, seconclo il quale awiene ogni cosa 21.
Prima di chiedere quale sia iI contenuto del logos
che gli uomini non intendono e pure sta alla base di
tutto, cerchiamo di afferrarne la natura attraverso
un'altra sua qualità che Eraclito mette ripetutamente
in rilievo. Gli «svegli» hanno un cosmo comune22,
mentre (cosi hisogna completare) i dormienti hanno ciascuno una propria mentalità. Ciò è esatto letteralmente,
ma ò anche simbolico, come abbiamo visto, e non solo
l'imnragine dello « sveglio », ma anche la piÉ precisa
definizione di essa mediante il possesso di uu « mondo
comune » con gli altri esseri che, nel contatto con loro,
si dimostra tale, mentre il mondo dei dormienti non
risulta accessibile agli altri. A questo proposito un altro
frammento trae da questo pensiero una deduzione pratica: « Perciò si deve seguire ciò che è comune. Ma
benché il logos sia comune, i molti vivono come se
avessef,o una ragione privata » 23. Non appena esige seriamente di vivere e agire allo stato sveglio, il filosofo
urta contro I'ostacolo di questa mancante comunione
dell'intuizione o, n:reglio, di ciò che la folla considera
tale. E se in un altro framrnento si legge: « Cormune a
tutti è l'intuizione (qqoueia) » 24, non si tratta di una
contracLdizione, ma si vuol dire soltanto che ogni vera
intuizione, una volta riconosciuta, si distingue perché
unisce e obbliga direttamente tutti quelli che vi hanno
parte. Cosi l'annuncio filosofico si scinde dal grande numero delle opinioni private degli uomini, con le quali
$
180
L.A, TEOLOGIA
DEI PNIMI PENSATORI GR]'CI
CA.P.
sermbra che abbia grande somiglianza, perché non è urr
bene comune, bensi la convinzione di un solo. Corrrr.
Parmenide cerca di rendere comprensibile l,umano isolamento del filosofo, che ha conosciuto il vero esser(.,
mediante l'immagine della rivelazione avuta 25, anclr,,
Eraclito ha bisogno della particolare giustificazione dellir
propria solitudine di fronte al resto dell,umanità. Du
questo punto si riesce a intendere la coscienza religiosa
della sua vocazione. Senza questa coscienza profetica
egli non avrebbe la forza di sopportare la pressiont,
della stragrande maggiora:nza degli ignoranti, dei « molti » 26. Egli però è sostenuto dalla convinzione di esserc
il rappresentante del logos che dapprima riesce incom_
prensibile agli uomini, anche se lo odono, ma poi, una
volta conosciuto, raccoglie in un cosmo comune coloro
che lo riconoscono. Cosi il pensiero liberatore del filosofo, che sembra soltanto un altro esempio del dissolvimento spirituale d'una società individu alizzata frno
ai limiti del possibile, diventa per Eraclito proprio quel
legame che la può stringere in una nuova comunità.
Sembrerebbe pertanto che il contenuto del logos sia
di natura etica e politica, e in un certo senso lo è,
come dimostra, oltre al suo riferimento al « parlare e
agire » degli uomini, il sempre nuovo rilievo in cui viene
messa la comunione ([ouda) del logos 27. Non è assolutamente lecito considerare questo concetto chiaramente
sociale di Eraclito soltanto come espressione metaforica dell'universalità logica. Il problema del pensiero
filosofico è effettivamente inteso da Eraclito per la
prima volta nella sua funzione sociale. Il logos non è
soltanto l'universale, ma il comune. Ma se in questo
modo esso si avvicina alla legge statale che obbliga
tutti i cittadini, d,altro canto è molto di pifi della legge,
sia pure di una comunità grandissima e potentissima,
perché è quello che è comune a tutti ([uaòu ndwaa)zl.
VII:
DRACLITO
lBl
!,'rrrgano di questa comunione universale è il aodg, lo
« Parlare con spirito » ([òu un"t) significa, secondo
l,)raclito, rinforzarsi « con ciò chc è comune (€rrd,t),
(:ome una polis si consolida con la legge (adp,E), anzi
nncora pirl saldamente. fnfatti tutte le leggi umane
rqono alimentate dall'unica legge divina. Questa domina fin dove vuole ed è sufficiente pet tutti e si impone in tutto » (B 114).
Qui troviamo per la prima volta nel pensiero filosofico il concetto della « legge », e precisamente in un
senso piri elevato di quello politico, riportato alla natura della realtà e oggetto della suprema e universale
conoscenza 2e. Questo trasferimento era già preparato
dalla definizione del mondo delle cose quale « coordinamento » o « cosmo » che abbiamo fatto risalire alla
prece«lente filosofia della natura 30 e che Eraclito usa
in ogni caso come concetto a lui familiare in maniera
quasi terminologica. Anche l'interpretazione simbolica
degli eventi nel mondo nel senso di un processo o di
una lite giuridica (in greco : dìke) presso Anassimandro
ne è un preludio. Eraclito riprende questa espressione
comeT per esempio, in questa sentenza: « Il sole non
sorpasserà le sue misurel altrimenti le Erinni, sgherri
della Dike, sapranno trovarlo » (B 9a). In questo caso
Dike è f incarnazione dell'ordine infrangibile nella natura. A prima vista la menzione delle Erinni stupisce;
e vien fatto di pensare a Omero, dove intervengono
quando il cavallo di Achille gli predice la morte 31. La
novità di Eraclito sta ncl concentrare tutto questo simbolismo giuridico nel concetto di una legge cosmica che
domina su tutto. Per distinguerla dall'umana la chiama
« legge divina ». E cosi svolge meglio l'equazione di
Anassimandro tra il principio originario e il divino 32.
Egli però non vede il divino soltanto nell'eternità e nel
potere univcrsale, ma unisce questo concetto al prinxgririto.
§
tB2
LA TEOIOCIà. DDI PRIMI PENSJ.TORI
CAP. VII:
GRECI
cipio giuridieo ehe Anassimanclro ayeva creduto di r.r,,vare negli eventi naturali. euesto principio è orrrrrri
ricavato dalla somma suprema dell,ordine giuritlir:,,
umano e della moralità, dal concetto di legge, ed ò
interpretato come legge di tutte le leggi. È l""ito ,up,porre che il libro di Eraclito, iniziato con l,idea dr.l
logos, procedesse poi a definirlo come comune a tutti r.
conxe conoscenza della legge divina. Soltanto cosi conr_
prendiamo con quale diritto il pensatore si presenli
come profeta. Il logos, in base al quale tutto avvient:,
pur rimanendo nascosto agli uomini, è la legge divina.
La diana del filosofo è un invito a co*pi"re àa svegli
la volontà di questa legge. passando cosi sul terreno
teologico, si vede con partieolare chiarezza
la profonda
differenza tra la legge eraclitea e il nostro concetto
moderno di Iegge naturale BB. Quest,ultima è soltanto
una generica formula descrittiva che comprend.e un dato
complesso di fatti osservati, mentre invece la legge divina di Eraclito è un autentico concetto normativo: è
la norma suprema degli eventi dell,universo la quale
stabilisce il significato e il valore di questi eventi.
Il contenuto teologico del solenne annuncio del logos
di Eraclito induce a chiedere se e in che modo la dot_
trina e l'opera del filosofo corrispondessero a questo
preludio. fncomiuciamo col consultare la tradizione antica su questo punto. Diogene Laerzio afferma che lo
scritto di Eraclito si impernia sulla dottrina della na_
tura dalla quale prende il titolo; e che si suddivide in
tre considerazioni, una sul tutto, una politica e una
teologica 3a. Naturalmente il titolo è nato dopo e non
è garantito, ma se ne può dedurre che la. base di tutto
era una cosmologia, come si può ricavare d.ai cenni
di Diogene. Questi però o la sua fonte notarono che il
titolo non corrispondeva al contenuto. Lo confermano
i nostri drammenti, che però draltro canto escludono
ERACLITO
183
tra l'elemento cosmologico, quello
ir:o-Irolitico e quello teologico in tre parti separate.
Srr l)io*"r" le definisce tre logoi, o ha reso pi6 grossoInrrrr un'osservazione giusta o ha pensato soltanto a
r rc specie di enunciazioni che nello scritto di Eraclito
ri possono distinguere ma sono strettamente intrecr,irrt«r. Perciò non è possibile considerare la teologia
cornc parte separata della sua dottrina. La si deve inlcrrdcre insieme con la cosmologia come un tutto inrrcindibile, anchc se vogliamo dare rilievo alla parte
trrologica. fn altra occasione ho paragonato il rapporto
lì'a i tre logoi con tre sfere o tre anelli concentrici 35.
l,)ssi sono retti da un medesimo principio. Facendo
rlr:rivare tale principio in primo luogo dalla cosmologia, non seguiamo soltanto l'impressione suggerita dai
lrammenti, ma anche le indicazioni di Diogene. Se
rluest'ultimo dice che l'opera di Eraclito è tenuta in'
sicme dalla linea fisica, mette conto, però, di menzionare che il grammatico Diodoto, il quale pure ha
riflettuto sul rapporto tra l?elemento fisico e quello
« politico » di Eraclito, è del parere che lo scritto non
tratti affatto della natura, bensi dello stato e della co'
munità e che I'elemento fisico vi setva soltanto da
csempio. A Diodoto non parve fine a se stesso, ma
sostegno di ciò che egli chiama il lato politico 36.
Il pensiero di Eraclito si concentra nella dottrina
dell'armonia dei contrari. Proprio questa permette di
chiarire il rapporto tra le diverse parti di questa filosofia. Da una parte gli esempi cosmologici servono a
chiarire questa verità f,ondamentale e a dimostrare l'esisterr:-a e I'efficacia del principio dei contrari 37. Ma la
sua. giurisdizione va di gran lunga oltre la fisica, e
la sua applicazione alla vita umana sembra quasi piri
importante dell'applicazione alla filosofia della natura.
D'altra parte Eraclito commenta i fatti cosmici con le
unn nctta distinzione
r,t
184
LA
TEOLOGIA.
DEI PRIMI PINSÀTORI
GRECI
CÀ.P.
esperienze del mondo umano che ne ricevono un significato simbolico 38. « fl contrasto è padre e re univer_
sale. Gli uni fa dei, gli altri uomini. Gli uni fa servi,
gli altri liberi » (B S3). fn una delle piri grandi espe_
rienze della vita umana è ravvisato l,urto ostile dellr:
forze contrarie quale principio universale che pervadc
tutti i settori dell,essere. In questo modo la guerra di_
venta, per cosi dire, la prima esperienza filosofica di
Eraclito. Non è soltanto la fredda costatazione d,un
noto stato di fatto ma, come rivela il tono pieno di
pathos, anche Ia sua nuova e sconcertante interpreta_
zione e valutazione. Illuminando il fenomeno complessivo dei contrari col fenomeno parziale della « go""ru r,
Eraclito potenzia l,audacia paradossale della sua affer_
mazione e del suo elogio di questo fatto fondamentale
del mondo. Infatti per il sentimento comune degli uomini la guerra è il fatto pif spaventevole. Che opinione si
può avere della perfezione di un mondo dove questo
malanno domina sovrano ? Eraclito mira nientemeno
che a rivoluzionare la mentalità normale dichiarando
che persino la divisione del mondo in dei e uomini,
in schiavi e liberi, cioè, secondo concetti greci, la base
di ogni ordinamento, dipende dalla guerra. Dobbiamo
ricordare che in altra occasione egli predica un pas_
saggio dell'uomo nella sfera del divino attraverso l,esaltazione eroica dei caduti in guerra se. Nella sua mente
guesta credenza universalmente greca acquista un pal_
ticolare significato perché uomini e d.ei sono contrari.
Gli « uomini » dei quali parla 40 sono evidentemente i
soprawissuti che la vittoria rende in parte schiavi, in
parte liberi. Le parole sulla guerra esprimono però
la generalizzazione del conflitto fra i contrari quale
supremo principio del mondo. Eraclito lo proclama in
tono di predica e di inno, e definendolo padre e re di
tutte le cose lo inalza al trono di sovrano d.el mondo a1.
VII:
ENA.CLITO
185
La definizione del conflitto quale padre e re di tutte
lrr cose ci ha rivelato il contenuto della legge divina
che, secondo le parole di Eraclito, è il fondamento di
t.rrtte le leggi umane e della comunità che esse sostengono 42. Il principio è equiparato a Dio §tesso: « Dio è
giorno-notte, inverno-estate, guerta-pace, sazietà-fame.
l,)gli si muta come il fuoco che mescolato con incensi
rì denominato dal diverso profumo di ciascuno di essi »
(Iì 6?). La guerra quale contrario d.ella pace è allineata
con altre tipiche antitesi della vita cosmica, sociale e
biologica, non ha dunque lo stesso ampio significato
simbolico che ha nella dichiarazione che la guerra è
madre di tutte le cose. Questo elenco di esempi spiega
ancor piÉ chiaramente che cosa si debba intendere per
« guerra » in un superiore senso simbolico. È la continua
vicenda e battaglia dei contrari nel mondo, tra i quali
sono anche la guerra e la pace. Tutti risalgono a uno
solo che si presenta in travestimenti sempre diversi e
perciò è chiamato dagli uomini con vari nomi. Questo
unico contrasto che si afferma nella lotta e nella
vicenda, Eraclito lo chiama Dio. Esso non è meno
nella notte che nel giorno, nell'inverno che nell'estate,
nella guerra che nella pace, nella fame che nella sazietà, o, come dice in un altro passo, non meno nella povertà che nell'abbondartza4s. Non lo si può definire
parte positiva di una coppia antitetica di valore e
disvalore, n6 lo si può intendere come somma di
tutte le parti positive di tutti i contrari possibili nel
mondo. n È serop"" lo stesso: vivo e moÌto, sveglio e
dormiente, giovane e vecchio. Infatti tluesto, capovol'
gendosi, è quello e quello, capovolgendosi, è di nuovo
questo » (B BB). ,L'immagine del capovolgersi e compenetrarsi dice come nei contrari susseguentisi nel temPo
e quindi separati per la nostra coscienza si mantenga
l'unità. Eraclito è instancabile nell'inventare sempre
186
LA TEOì]OGI/. DEI PRIMI PENSÀ.TORI GRECI
nuove immagini per questa unità dei contrari. A
l:rl
fine crea le parole contatto o collegamento e arrr()_
nia, vale a dire commettitura. fl « Àntatto » interrrlr.
l'unità dal lato meccanico, l, « armonia » piuttosto tlirl
lato dinamico.
« fntero e non intero, convergente e
divcr_
gente, accordo e disaccordo sono collegamenti (coudyrcq).
Da tutto uno e da uno tutto » (B l0). nN.n capiscor,,
come divergendo si accordi con se stesso: congiunzionc
controtesa come nell,arco e nella lira » (B SI).
Questi due ultimi esempi esprimono chiaramente la
nuova e feconda idea della tensione. fl termine di
pa_
ragone fra l'arco e la rira è ra dinamica dene forz,.
contrarie accoppiate per un,azione comuneT le quali
di_
vergono per natura, ma nella loro unione producono
Ltrra terza cosa che è una forza intelligentemente
guidata. La parola greca per esprimere
congiun[r"rru
zione è « armonia ». fl coneetto, specie nella Grecia
piÉ
antica, è usato in senso piri largo di guello musicil",
che per noi è piri familiare. Esso indiia ogui compa_
gine tettonica o tecnica, e anche nella musica risale
a
utra cotTcezione simile. l,,immagine della Iira sugge_
risce I'idea dell'almonia musicale, anche ." io qràJ,
caso ciò che importa è un,altra cosa, cioè la teÀione.
A me però sembra poco probabile che Eraclito abbia
rinunciato al paragone clellrarmonia musicale, quantunque altri lo aflermino- proprio in base ,l paruloo"
della lira e dell'arco aa. È spiacevole d.over rnettere in
dubbio una testimonianza di Aristotele dove dice che,
secondo Jlraclito, il divergente (àar[{aoa) si unisce
e
dal diverso proviene la piri bella armonia.
eui non può
essere che l'armonia musicaleaE. Anche ,r, ult"o
pi..o
di Aristotele attribuisce espressamente a Eraclito L,Àsempio della « armonia dell,alto e del basso » quale argo_
mento contro Omero che a torto avrebbe rrraledeito
la lite tra gli dei e tra gli uomini a6. Eraclito clev,essere
CAP.
VII:
ERA.CLITO
lB7
ricorso anche all'armonia dei sessi che vi è citata come
csempio. I tlubbi formulati in proposito non sono con'
vincenti a?. Fatto è che il concetto eracliteo dell'unità
dci contrari non è univoco. Non si riferisce unicamente
né al contatto o collegamento né alla tensione o accordo o fusione. Eraclit.o fa largo uso di esempi ma
non in senso induttivo, bensi in senso simbolico: con
ossi non esprime una astrazionc logica chiaramente deIinibile quanto piuttosto una profonda intuizione che
brilla dei piÉ svariati colori.
In sostanza I'unità di Eraclito non è intuibile in
nessuna delle forme visibili che gli servono da paragone. Non per nulla dice: « L'armonia invisibile è meglio della palese » (B 54). Appunto perché « invisitrrile »
è nascosta all'occhio umano, nonostante che sia la
forza suprema pet la quale tutto avviene nel mondo.
« La natura ama nascondersi » (B 123). GIi uomini, dice
Eraclito in altra occasione, si lasciano ingannare nella
conoscenza delle cose visibili al pari di Omero che pure
era piÉ saggio di tutti i greci. Fu ingannato da fanciulii che uccidevano pidocchi quand o gli dissero : « Tutto
ciò che abbiamo visto e afferrato lasciamo qui. Ciò che
invece non abbiamo visto e non afferrato portiamo con
noi » (B 56): vero indovinello che simbolicamente rispecchia la situazione degli uomini davanti alla realtà.
Fer Eraclito questa è il massimo di tutti gli indovinelli. Secondo lui, il filosofo non è chi spiega il mondo
fisico o scopre una nuova realtà al di là dell'apparenza
dei sensi, bensi chi scioglie enigmi e interpreta il senso
recondito degli eventi nel mondo e nella vita:
Hier ergreifet ohne Sàumnis
Ileilig òfrentlich Geheimnis 47a
Di qui la predilezione dell' « oscuro » Eraclito per
uno stile che, come la natura stessa? non rlcette in m.ostra
IBB
LA TEOLOGIÀ DEI PRIMI PENST,TORI
GRECI
il proprio intimo, ma spesso parla per enigmi o
CÀ.P.
s,,
miglia all'oracolo di Delfo del cui signore Eraclito rlir.,.:
« Egli non si pronuncia e non nasconde: egli accenrrrr
(B 93). Anche il linguaggio della Sibilla richiama la s,,,,
attenzione filosofica: « Con labbra folli ella dice cos,.
non rise, non imbellettate, non profumate» (B 92).
Non sembra di ascoltare parole che nella forma
1,i',i
condensata descrivono il linguaggio del filosofo stesso /
fl tono da oracolo, la tendenza al mistico e all,enigmir_
tico concorda con tutto il suo atteggiamento profetico.
« Gli uomini sono in contraddizione col logos,
col qual,.
però sono continuamente in contatto, e le cose che in_
contrano ogni giorno sono loro estranee » (B ?2). Occorn,
quindi che intervenga il mediatore e interprete. « per
chi non ha ascoltato me, ma (attraverso le mie parole)
il logos, è saggio riconoscere che tutto è uno » (B S0).
Cosi Eraclito ritorna continuamente su questo ar_
gomento. L'unità di tutte le cose è il suo alfa e omega.
Ma se abbiamo appreso quanto prenda sul serio qr"Jro
suo messaggio, quanto stimi colui che lo reca agli uo_
mini e quanto si sforzi di presentarlo come vera cono_
scelnza del divino e di circondarlo d,un profondo mi_
stero, diventa sempre piri urgente chiedere in che cosa
consista mai la novità di questa d.ottrina e in quali
rapporti stia con la filosofia dei predecessori. Già la
filosofia dei naturalisti aveva parlato di una prima
causa di tutte le cose, Senofane aveva predicato ,r, Dio
universale, Parmenide aveva insegnato lrunità e uni_
cità dell'essere e tentato di dimostrare apparenza la
pluralità del mondo concreto. Sulle prime non sem_
bra facile dire in quale particolare modificazione d.ella
dottrina dell'unità consista il merito originale di
Eraclito.
ll principio unitario dei milesii era, in qaanto àqyj
sostauziale, in testa a un processo rettilineo dell,evolu_
,,
VII:
ERA,CLITO
189
rlorro dcl mondo. Essi volevano indagare come e donde
lirnrc nata ogni cosa e che cosa fosse stata da principio.
I'lltr:lito consid.era il processo del divenire e perire come
r!r)Él.unte capovolgimento dei contrari e 1o esperimenta
rr,.ltt « via in su e in giÉ » che ogni cosa percorre inr'(.HHuntemente a8.
Egli applica il suo principio anche
nllu cosmologia d.ove troviamo la singolare dottrina del
lìroco, fondamento indistruttibile del mondo. Yero è
olrr: i frammenti non ci dànno una fisica compiuta ed
ò piÉ che dubbio che Eraclito si sia creduto capace di
rrrigliorare le teorie dei predecessori milesii. Si ilirebbe
rJrrasi che anche la scelta del fuoco quale sostanza ori'
ginaria si debba spiegare con l'idea del capovolgimento
rlci contrari e della loro perpetua vicenda, idea che
rlomina tutto il suo pensiero. Non è neanche certo che,
in genere, si possa chiamare principio (àpXil il fuoco.
« Questo ordinamento del mondo, il medesimo per tutti,
non fu fatto cosi da nessun Dio e nessun uomo, ma era
sempre, è e sarà fuoco eternamente vivo che a misura
si accende e a misura si spegne » (B 30). Non sarà ne'
cessario soflermarci sulla piri esatta interpretazione di
queste parole, ehe urta contto parecchie diffrcoltà, né sul
quesito ancora aperto se Eraclito ahbia sostenuto l'incendio del mondo (èxruipao6) che gli stoici gli attribuivano. A me sembra chiaro che neanche l'antichità
abbia posseduto affermazioni precise di Eraclito su un
periodo dell'universo nel quale tutto si dissolve nel
fuoco 4e, ma penso che questa opinione sia dedotta da
frasi come questa: « Il tutto è valuta di scambio per
fuoco e il fuoco per il tutto, come merci per oro e olo
per merci » (B 90). Ma questo scambio avviene conti'
nuamente nel mondo, come si rileva da questo frammento: « Mutazioni del fuoco: in primo luogo mare,
la metà di esso terra, la metà vento ardente » (B 21).
Qui si allude celtamente al continuo circolo degli ele-
190
LA TIIOLOCIi{ DEI PRIMI pENSTtTORI GRECI
menti. Tutto ciò fa pensare che Eraclito anche nell:r
cosmologia abbia messo soprattutto in rilievo la pr,,_
pria dottrina dei contrari. Mentre i vecchi filosofi natrrralisti avevano tentato di spicgare le origini del monrl,,
con le sue forze fondamentali dall,unica causa prinrl
mediante ipotesi fisiche come la secrezione, la condcrr_
sazione e la rarefazione 50, Eraclito tiene evidentement.(l
assai meno al « come » fisico e molto piri alla confermir
della sua idea fondamentale che ogni evento si cornpir,
sotto forma di contrari e nei contrari stessi si costi_
tuisce continuamente l'unità 51. Essa sta quindi al cen_
tro ed è sempre presente, anche se il processo como
tale è rapido come un fiume che non è piri il medesimo
quando uno vi si tuffa Ia seconda volta. « Mutando si ri_
posa » (B B4). Anche la totalità del mondo è soggetta
a questo mutamento, anchressa trova nel fuoco il con_
trario nel quale si tramuta. Si capisce quindi perché
Eraclito non si accontenti di formule quali «tutto É di.."_
nuto dall'uno» o «tutto è uno» ma dichiari che «da
tutto uno c da uno tutto » 52. A lui importa appunto
la reversibilità del processo EB.
Eraclito non tenta come Parmenid.e di saldare
l'unità in un essere rigido, ma la trova nel mutamento
perpetuo. Perseguendo, dunque, lo stesso scopo, per_
corre Ia via opposta. Recentemente si è detto che que_
sta soluzione del problema dell,unità sia la piiÉ
cata e presupponga la conoscenza di parmenide;"o*ptie che
Eraclito, senza accettare l'essere immoto e senza ripudiare la pluralità concreta, cerchi di salvare l,unità
come principio eterno 5a. A me quest,ipotesi non sembra
probabile. Stabilire l,unità nel concetto eleatico dell'essere era una delle vie possibili; quella di Eraclito
però, che dà la possibilità di conservare lrunità nel
mondo del mutamento, era piri affine alla visione fisica
che gli ionii avevano del mondo ed è piri conforme aI
CAP.
VII:
ERACLITO
191
Bpirito. Nuova è la concezione mistica del pensiero
rrnitalio la quale fa intendere comc la visione del mondo
rhri filosofi naturalisti stimoli le forze religiose nelI'uomo a una reazione sempre piri forte e le inviti a
rrt.rappargli cot nezzi propri una nuova interpretazione
rl,r:ll'esistenza. In ciò sta l'originalità di Eraclito. Egli
rron è sulla stessa linea dei fisici antichi ma è profonrlamente sconvolto dalle loro verità cosi grandi e travolgenti che da principio elano presentate senza badare
rrll'effetto che dovevano produrre sulla vita interiore
dell'uomo e sulla sua posizione nel mondo. Eraclito è
il pensatore che per prirno si espone senza riguardi a
(Iuesta azione la quale rninaccia di distruggere l'uomo
c di rendere impossilcile una vita sensata dell'individuo.
[.'idea del cosmo, in quanto rivelazione dell'unica legge
divina alla quale ogni essere è soggetto e che l'uomo
r) chiamato ad osservare, diventa per lui il punto di partenza verso una nuova interpretazione del mondo e
dell'esistenza ufllana. Egli vuol portare gli uomini ad
accogliere consapevolmente questa legge e ad accettarla eroicamente con tutto il loro « fare e pensare ».
Può sembrare che nel nostro concetto Eraclito si
scosti dai filosofi in senso rigoroso e si awicini a Senofane, il quale subisce anche lui l'influsso dei filosofi
naturalisti ma è qualcosa di diverso da loro, un illu'
minista, urì rnaestro del popolo per proprio conto, che
dalla nuova scoperta trae conseguenze per gii dei antichi e per la visione mitica del mondo. Senonché questo confronto, che si è voluto fare recentemente, vale
soltanto nell'esteriore e porta fuori di strada s. Eraclito non è uomo delle piazze come il poeta dei Silli.
Eraclito è un solitario. L'interessamento molteplice
e fervido del Colofonio, il quale non concentra mai la
sua mente in una creazione di pensiero tutta sua, e l'irrequieta varietà delle sue produzioni e dei suoi attegIru()
192
LÀ, TEOLOGIA,
DEI PRIMI PENSATORI
GRECI
CAP. VII:
giamenti sono esattamente il contrario della forza ,,,
lida e condensata di Eraclito che sa raccogliersi in rrrr,r
creazione unica e grandiosa. Eraclito è un pensat.r,r,.
personale come pochi. Nonostante i suoi violenti, trrl
volta cinici attacchi alla religione popolare, non ò rrrr
semplice illuminista 56. Dietro a questo aspetto sta urr:r
propria serrata visione del mondo che non solo rovescia le idee del passato? ma sottopone Ia vita allrr
sua nuova legge divina. Di questa capacità di compr._
netrare e formare la vita partendo da un centro n«rrr
troviamo in Senofane nessuna traccia. Crè un unit:o
passo dove dice ehe lui e la sua mentalità sono utili
all'ordinamento statale 57, ma in questo punto egli corn_
batte per la sua posizione sociale e considera il proprio
sapere in antitesi alle virtri agonali della capacità spor_
tiva che i greei del suo tempo apprezzayano piÉ delto
spirito. Ciò ha ben poco a che vedere col qqoaelu di Era_
clito. Che opinione questi avesse di Senofane risulta
dalle sue stesse parole: « La polimatia non insegna la
comprensione. Altrimenti l,avrebbe insegnata a Esiodo,
Pitagora, Senofane ed Ecateo » (B 40).
« Tra tutti coloro, dei quali ho ud.ito le
dottrine,
nessuno arriva a eapire che ciò che è saggio è separato
da tutto » (B 108). Peccato che proprio queste parole,
con le quali Eraclito afferma di essere arrivato piri lorr_
tano di tutti, non si possano intendere con piena chia_
rezza. Che cosa è il saggio che è separato da tutto ?
« Separato da tutto » può valere soltanto per Ie
cose
del mondo empirico. Il saggio di cui egli parla non
è dunque identico con nessuna di esse né esiste in
alcuna di esse, ma le sorpassa tutte. Lruomo in parti_
colare non può pretendere questo attributo. « La na_
tuta umana (i18oq) non ha intuizioni 88, le ha soltanto
la natura divina » (B 7B), dice un,altra sentenza. « IJno
solo, l'unico saggio, non vuole e pure vuole esser chia-
ER-A"CLITO
193
rrrltrr Zcus » (B 32). In nessun altro punto il modo in
rrr l,lraclito intende il suo rapporto con la religione
'
,1,.1 popolo appare piri manifesto di qui. Egli distingue
lrrr usanze e idee che gli sembrano indegne e vergoprrso e che egli bolla senza risparmio, da una parte?
',, rlrrll'altra, l'idea religiosa del Dio supremo? il eui
rronrr: Zeus gli è sacro perché suscita concetti puri e
urrlrlirni 5e. Certo non si può equiparare la sua idea di
llio con la figura di Zeas rrnanizzata, ma ciò nonoalrrrrtc questo nome indica, secondo lui, la strada che
r,gli percorre sotto la guida della conoscenza 60. Tutte
1,. ;rarole di Eraclito sul rapporto tra l'uomo e Dio cerrnno accuratamente di allontanare da Dio ogni qualitrì umana. « IJn uomo è puerile per la divinità come
rrrr fanciullo per l'uomo » (B 79). Si accenna anche al
lrroblema della figura di Dio, come si è visto già in
Srnofane e come era ovvio in un ambiente che veneruva gli dei nelle loro immagini. « Confrontato con Dio,
I'rromo pirÉ bello è una scimmia » (B B3). Cosi anche
i prodotti della mente umana sono « giuochi da bambini » (B 70). « Infatti anche ciò che il piÉ degno di
I'r:de conosce e fissa è soltanto credibile. Certo però
Dike saprà acciuffare i mentitori e i loro congiurati »
(ts 28). « Esiste un'unica sapienza: di comprendere l'intuizione che governa tutto e in tutto » (B 4I). La parola « governare » ci richiama alla memoria la tesi di
Anassimandro che poneva l'apeiron pari al divino. Dopo
di allora era evidentemente l'espressione usata per l'attività del principio divino che guida il mondo 61. La
vediamo ritornare anche unita alla teoria del fuoco nell'affeunazione che « il tutto è governato dalla folgore »
(B 64). Qui la folgore è, anche con allusione a Zetrs,
l'arma del Dio supremo, lo strale furibondo del fuoco
primordiale che giunge dall'universo. Se è in grado di
governare 62, vuol dire che il fuoco è, seppure non
13.
rfl
-
W, J,tEcDn, La teologia rlei prim;ì pensatori greci,
t94
LA. TEOLOGIÀ.
DEI PRIMI
NOTE -A.L CÀ.P.
PENSÀ,TORI GRECI
uguale a Dio, in stretti rapporti eon la suprema siril
gezza, In Anassimandro non pare che il governo rl,.l
principio sia da attribuire ad una intelligenzai tarrt.
Senofane quanto Eraclito gli attriliuiscono lo spiri r ,,
che muove il mondo e la sapienza supremai m& s,ltanto con Eraclito l'attività spirituale di Dio è mcgli,,
determinata dall'unità dei contrari contenuta nella lcgg,.
divina. Ma una legge promulgata da un singolo 1ruò
ancora chiamarsi legge ? fl concetto di legge prov(.niente dall'àmbito giuridico è per i greci la norma g(:nerale cui tutti obbediscono. Al tempo di Eraclito l,r
si stabiliva per lo piri con votazioni a maggioranza. Si
tratta di un'epoca democratica. Questa norma, validir
per tutti, che è espressione del cosmo, Eraclito la dev,.
collegare con l'idea unitaria del principio supremo chc
esige la figura di un sovrano divino. Egli risolve il dilemma dichiarando: n È legge anche obbedire alla volontà d'un solo » (B 33). Se Dio stesso, nella sua perfezione assoluta, è il tiranno, la sua volontà è invero
la legge piri salutare per tutti 63.
NOTE AL CAPITOLO SETTIMO
1 Cfr. sopra, p. 45 sg.
2 Questa opinione proviene da Aristotele (Metaph. A 3, 9B4a B)
il quale dopo Omero e Taleteo rappresentanti dell'ipotesi clell'acqua,
e dopo Anassimene e Diogene, rappresentanti dell'ipotesi dell'aria,
presenta Ippaso ed Eraclito come coloro che quale prima causa
materiale avrebbero preferito il fuoco. Su questo punto tutti gli
antichi dossografi sono pienamente d'accordo, da Teofrasto a Nemesio di Emesa, poiché alla fin fine tutti dipendono da Aristotele.
3 Aezio 1,230 7 (Dror,s,Doxographi, p. 320): 'Hgdù.emogfipeplau
pèu xai ord.ou éx tdu 6)"o» àai1pet.
I Questo aspetto della filosofia di Eraclito fu messo in rilievo
da Platone: cft. Crat. 402a. Aristotele, Metaph. A 6, 987a 34 sgg.
considera addirittura il ndyza {ei uno dei motivi fondamentali dell'ontologia di Platone. D'altro canto le parole nduta {eZ non si trovano nei nostri frammenti di Eraclito e forse non risalgono neanche
a lui, bensi a qualche posteriore seguace della sua dottrina, como
VII
r95
ilo o gli « eraclitei » menzionati da Platone, Theaet, LB9e,
440c. A giustificare questa loro interpretazione della fiIosofia
rli l,lraclito essi potevano certo richiiìmtrsi ad asserzioni come
ll 12, B 49a, B 91.
6 Cfr. K. RnrNulnnto Parmeniileso p. 205 sgg. Zeller e Burnet
r.lrr: seguivano ancora gli antichi dossografi videro perciò in Eraclito
nrrzitutto il filosofo naturalista sul tipc dei l\{ilesii. Reinhardt osnr:rva giustamente che ciò che in Eraclito corrisponde all'tineqou
rli Anassimandro e all'dr di Parmenide non è il fuoco, bensi ér zò
dul\iy.<(L'unico sapiente » non è un attributo del fuoco, ma il fuoco
I llrr I
lirnt.
ir, r:ome dice Reinhardt, Ia forma nella quale esso si manifesta ed
cxlrrime fisicamente. Cfr, anche H. Cnnnxrss, Aristotle's Criticism
of Presocratic Philosophy, Baltimore 1935.
6 Cfr. BnuNo SNnr.r,, in « Ilermes » LXI, p. 353; Vrr,.luowrrzo
irr « Ilermes » LXII, p. 276,
? Cfr. l'analisi che degli aforismi ippocratici dà E. Lrtr:nÉ,
Oouares d."Hippocrate, IV, pp. 435-43.
8 È notoo e uon c'è bisogno di provarlo, che Eraclito fu molto
lctto da alcuni autori della nostra collezione « ippocratica ». Più
rli tutti lo cita l'autore d,el IIepì òruhqE.
e I numeri fra parentesi si riferiscono alla numerazione dei
frammenti di Eraclito nei l/orsolcratiker di H. Drnr,s, I0. Sono inscriti nel testo soltanto dove i frammenti vengono riportati alla
lcttera.
10 Gli ultimi decenni hanno recato, frutto di un interessamento
scmpre crescente, una vasta bibliografia sul pensiero di Eraclito.
Ne menziono la nuova interpretazione pif profonda e completa
dei frammenti: Or,or GrcoN, Untersuch,ungen zu Heraklit, Leipzig
1935. Cfr. le mie pagine su Eraclito in Paiileia, tr. it., I, pp. 332-342.
11 Io unisco à"e[, con ééwog (Diels) e non con à[werot. yiaoarar (Bur'
net). Cfr. loesauriente discussione su queste parole in Greox, op.
cit., p. 1 sgg. Cfr. l'uso ionico di étba (: reale, autentico) in Ippocrate,
De uet. meil., cap. 1. La medicina .ri è chiamata réylr1 éo6oa. Cor,
rc6 ),6you èéutoE à.e[ cfr. é6u'rog €uvo6 (Fraclito B 2). Per il contenuto vedi B 34: à{iuercr àxo6oauzeg xotqoiotu éoixaow' cpdrq aù'coiot»
paptupei napedutag ànehtau Cfr. anche B 72. Benché volutamente
retorico, Io stile prende qui il colore dali'antico discorso religioso
dei profeti.
12 Similmente B 50: oòx épo6 ilJ"à rc6 ).6you àxoioautag.
73 òmtpéau non .: òmqoipeuoE: cfr. Erodoto VII 16 dove lo
si dice d.ella yvtilttl @tou éyò òruqéa\.
1a Eraclito B 89: «I veglianti hanno il medesimo cosmo». Cfr.
anche la contrapposizione di veglia e sonno in B 210 B 26, B 73.
15 Cfr. Eraclito B 1: "roùq 6è ii),ltot.6 ù,$primouE.
76 Cft. voeiv, ud4pa in Farmenide B 7,2; B 2,2i B 3; B 6' 1
e 6; B 8o 8,17,36 ecc. (Invece Parmenide B 16,3 Epouéer); Fla'
clito usa gpdurpog, gpoue-tu, qpduqoq in B 2, B 17, B 64,8 llz (?),
B 113, B 116, Circa il significato pratico di gpdurloq efr. il mio lri-
it., p. 106 sgg. Eraclito chiama tò qpoaetu àpezìy peylott1,
B 112 (Kranz preferisce la variante oaqgoueiu),
stotele, tr.
17
18
Cfr. Eschilo, -1,,
Ag. 116.
Eraclito, B
énq xaì
éqya.
196
LA. TEOLOGIA
rs Id.,
DEI PNIMI PENSATORI
GRECI
B 112, ooqi| (sci[. iozi) il.a\éa léytu xaì
20 [d., B 73, où òti aonrp
xaStiòoitaE
21 Id., B 1.
22 Cfr. qui sopra, nota 14.
23 Id., B 2.
24 Id., B 113.
25 Cfr. sopra, p. 154.
26 Id., B 29, B I04. Cfr. anche
B 49.
27 Cfr. qui sopra, p. 179.
28 Eraclito B 113.
2e Cfr. il mio articolo Die Anfiinge der
NOTE A.L CAP.
norciu.
noici» xo.ì ].éyetv.
Rechtsphilosophie und, di"
Griechen, in « lgilsshrifl f. philosophische Forschuig
3o Cfr. sopra, p. 51.
31 Le Erinni colpiscono ogni infrazione
di quelle
remmo le leggi naturali della vita. Cfr. Omeio,
32
33
Cfr. sopra, p. 45
, IIi,
p. 334 sgg.
che noi chianlrAtB.
Il. Lg,
sg.
fln'osservazione simile abbiamo dovuto fare intorno al significato della Dike di Anassimandro. Cfr. sopra, p. 50 sg.
Diogene Laerzio, 9, 5 (Eraclito A l): zò^ òè
aùttu
$epépeuolu
^ ^34
'òrilptltat
pìv ùnò roù .ouli7-ourog [ftqì qùotaE,0,.frLio»
òi
-io-r.ì
e-tE rQe tq
riq re tòu nryì toù na»tò; xaì nolLttxòv x,ù
$edoyrx,6u.^oyoùc,.
35 Vedi Paid.eia, tr. it., I, p. 340.
36 Diogene Laerzio, 9, 15 (Eraclito
A t) cita fra i commentatori
di. Eraclito il- grammatico
.Diodoto, 69 oii q4or negì gt3oeaE eh,ar, zr\
oiyypap.pa. il.),à nryì no).nriaE, zrì dÈ zriqi EioàaE i» iapaòeiyparog€iòFt xeio|at. Le parole nserva solianìo da esempio àhe É,,
usato nel testo, mi sembrano la migliore traduzione -del"ogreco dl
nagaòeiypatoq eiòet xe[o$at.Ciò vuol-dire che Eraclito dieàe, sott,,
fo_rma di paralleli cosmici, una spiegazione filosofica della vita umana
alla quale era anzitutto intereisaio, Per lui il cosmo era la vita
umana in grande. Questa fu certamente Ia via per la quale i predecessori di EracHtò erano giunti all'idea del c6'smo. A".,"r,oro'rpplicato il concetto dell'ordinè sociale umano al mondo nella sua tàtalità dove l'avevano ritrovato. Con l,opinione di Diodoto circa
il libro,.di Fra,clito si potrebbe pa.agonire l,inrerpretazione della
Repubblica di Platone che ho dato in Paideia, II: cheìioè quest,opera
di Platone non èo come reputa la maggior parte dei lettorì, un t'rattato sul migliore governo della polisf bensi sulla natura e sull,educazione dell'anima umana, e che la politeia è soltanto la cornice
ideale della paideia platonica.
37 Giorno e notte, Eraclito B 57; vita
e morte, B 62, B T?; umido
e asciutto, caldo e freddo, B 126. Cfr. anche B 65 e B 67 (citato nel
testo, p. 185). Cfr. qui sotto, nota 43,
3e Cfr. il passaggio dalla sfera cosmica
alla umana in B 62:
gio^rno e notte, inverno e estate, guerra e pace, eccessiva sazietà
e fame..Per.l'interpr,etazione_di B-65 e 6? e per il passaggio degli
esernpio ivi riportati da Eraclito, dalla sfera cor-ica alla viù ,-aia
e viceversa cfr. la nota 43.
3e Eraclito B 24, B 25.
ao Vedi ivi, B 53.
a1 Per l'elernento poetico
dell'inno nel linguaggio dei filosofi pre-
VII
L97
p.44 sg. Con le parole di Eraclito nd).epoq n du t ou pèy fidriQ éd'tt,, nrl.ut au òè paot).eiE si potrebbero conlìorrtare quelle di Anassimandro (A f 5) sul carattere divino delxrxrrrrtici cfr. soprao
I'upeironz xaì nepÉ7ew iinaure
rloi xrtiuta xuPepttdy.... xaì
rrt'irc' elyat tò ùeiou. Simili sono le parole con le quali Diogene di
Apollonia (B 5) dichiara divino il suo principio cosmicoo cioè I'aria:
xui pot òoxet tò rì1u »òqou éyou eiaat 6 àì1p xd.oipeuoE ònò tdta
rù,flQtimau xaì 6nò todzou nda'rag xoBqaiio'\u xaì ndytal
xgo'reiu, e nella riga successiva ,4ctì éfli ndu à-qiy$at xaì xr d u r a
t\t.r*t$éyat. xaì èu naatì, éyeiyat. Questi passi paralleli dimostrano
il
r:ango divino del polemos di Eraclito, e in questo senso Filodemo,
l)e piet. M, 26 (p, 81 Gomperz) interpretò le parole di Eraclito.
l)ice infatti: xaì'ròy nd)"epoa zrdì 'ròu lia zòu atiròa etuat, xa&rinep
xuì tòr,'Hgriil'enou ),éyetu. ll carattere divino del polenos di Eraclito è confermato anche dagli attributi che egli gli assegna altrove
r: che lo legano ed eguagliano ad altri aspetti del suo principio sul)remo, per es. al concetto fondamentale del « comune » ([utdu), SaJrienza e ragione sono comuni a tutti (cfr. sopra, p. 179). Nel
l'r:amm. B0 egli applica I'attributo «comune» alla guerra: eidiror
r)è yg\ zòu nritr"epou é6ura §uudu, xaì òixqa
kdr' éQo %aì XQe(i)» (quest'ultima parola
épr,u,
xaì ywòp.ùa
ndyrct
è guasta e nor è stata
ancora emendata in modo soddisfacente). Il paragone fra Ia guerra
o ura lite giudiziaria (dihe), con la quale la guerra ha in comune il
(Ìontrasto, dimostra che in fondo la concezione del monilo di Erat:lito risale all'interpretazione che Anassimandro dà al processo di
divenire e perire come lite giudiziaria. Cfr. sopra, p, 50. Le parole
nél,epou èét'ra [uuéu sono una variazione dell'omerico [aaòE' Eat:d).rcE
(Iliade, 18, 309). Omero « sapeva » dunque « la verità » e, benché
la dottrina di Eraclito intorno ai contrari non provenga da discus-
sioni su Omero (come pensa Gigon, op. cit., p. 1I7), il poeta è tuttavia chiamato a testimonio di questa dottrina, nello stesso modo
in cui viene attaccato ogniqualvolta
la verità (cfr. qui sotto, nota 46).
sembra
in contraddizione
con
a2
Eraclito B 114. Cfr. sopra, p. 181. Eraclito afferma che questo
divino, simile in ciò alla guerra (B 53), « regna fin dove vuole,
soddisfa tutte le cose ed è padrone di tutto »: attributi che spettano soltanto all'onnipotenza divina. Perciò « guerra » non è in
questo caso la guerra, bensi il principio dell'(armonia dei) contrari
uép,og
che governa
43
il
mondo.
Id., B 65. Qui sono indicati i contrari
XQt?lpodùurl e
r'4éQoe,
In B 6? soto xdqog e )"ry6g. Qualcuno ha manifestato il sospetto
che si tratti soltanto di varianti di uno stesso frammentoo ma, come
sappiamo, Eraclito aveva la consuetudine di far valere il suo principio mediante ripetizioni, come appare da altri passi (cfr. B 32
con B 41 e vedi RETNHARDT, op. cit,, p. 62 n. l). Ciò si spiega col
carattere profetico del suo linguaggio e si accorda con la sua posizione di maestro dei
«
dormienti». Le parole xépog e ).LpéEindicano,
a quanto pare, soltanto l'esperienza umana della fame e della sazietà, mentre la variante yQndpooiyq e xdpog in B 65 rivela che
si tratta di un principio di piÉ vasta applicazione. Per I'interpreta-
zione dei due frammenti cfr. Greor.+, op. cit., p. 49 (vedi sopra,
nota 10). Gigon vede giustamente che le parole si riferiscono a un
LÀ TEOLOGIA DEI PRIll{I
198
PENS.A.TORI ORECI
principio-di-universalità cosrnica. Anche « guerra e pace » clrr: ;,r,,
cedono « la fame e la sazietà » (B 67) hannò chiaraÀente Io slr.r,,,,
carattere cosmico, benchd l'uomo ne faccia esperienza soltanto rrcll,r
vita_umana. Qui arriva a intenderle per la prima volta dall,inttr.r,,
44
a5
Intorno a Eraclito B SI cfr. Grcoxf op. cit., p. 28.
Eraclito B B. Greox, cheo in base a B 5f, è àel parcn: r.lrr.
Ia dottrina dell'armonia professata da Eraclito non ab-bia nic,,r,.
a che fare con l'armonia musicale (cfr. op. cit., p. 23), deve n:rtrr
ralmente considerare sospctto il frarnmenio B B (pp,2'5, lli;o .rirr,,
che le parole s:Jla xct).).iot4 àppovia si riferisconà-chiaraménto ll
musicale quale prodìtto della lite (eris), della tensiorr,.
delle corde. Ora questo incontro di u lite , e ì, armonia » non (.r:r
forse p_er_Eraclito l'esempio classico che egli poi ampliò facenrl,,,,,.
un simbolo di universalità cosmica? Secondò lui, è staio il medesirrr,,
principlo 4ella lite e della tensione a produrre la lira e l,arco, stnrmen-ti deile arti della pace e della guerra.
ao Aristotele, Eth. Euilem. Bo 1,-1235a
25 (Eraclito A 22).
a7 GrGoN, op. cit., p. 11? mette in dubbio
l,autenticità dei'drr,.
contrari 4pqù: |ii),u che Aristotele ettribuisce espressamente irrl
Eraclito (Eth. Eud. B, l, 1235a 26-27). L,aryomenra-zione di Gigorr
no_n è-molto chiara.
FgIi dice soltanto (p. ffZ): «Nella cornir,,.
della dottrina di Eraclito esposta finora è'àifficilé collocare propr:i,
». Arist_otele, De gen. an.. L, L7,724b g presentà pulr
91Qee»:$if,u
l'unione di mascbile e femminile come esempio d,eila yéueori t:.t
l'ar_monia_
è.yo.yr
ittty.
_azo {«Qui afferrate senzaindugio sacro pubblicomistero». Goetho,
Epirrhema,, nel ciclo di poesie-Golt unil-Weh.
N.d.:f.1.
a8 Eraclito
ae Cfr. K.
B
-
60.
RnrNuenor, Parmeniiles, p. 169 sgg. il quale, sull'escmpio di Sc leiermacher e altri, diilostra, càirtro felle", co,
argomenti ineonfutabili che Eraclito non anticipò la dottrina stoica
della éxnrjqaol6 clel mondo
50 Secondo Anassimandro
(A 9)_ le cose sorsero per à.néxgrcq
da.ll'apeirono secondo Anass_imène (A S) per njxuaàq e p,itioorE
della sostanza prima, cioè dell'aria.'
51
fltti_si può affermare che, come osserva RrrNn,lnor (op.
. p.Dii73-),
cit.,
-Eraclito non ebbe una cosmoloEia sviluppata .""oido
le norme della
scuola milesia. Teofrasto, nei
di Diogene
Laerzio (?,^9),_ ."rl sapeva evidentemente piri "i"ssrriò
di quanto potC riley3ig d.-P 90 (nopòE, àpor.pì1u -rà nduta). Secòndo quàsto, lo-ororytiou
di Eraclito era il fuoco;'e'se Teofrasto deduce dà questo prin;ipio
tà ywdpeua per ndxaaotE e à.qaiaoq, questa deve èssere ìn,int-e.pretazione sua. Rassoprnalo aggiunge: oarpùc òè ot6èv txri\erat.In
vcrità,-la spiegazione è facile, se Leniamo presente che tutto il pensiero di Eraclito era rivolto all'unità delie cose.
52 Eraclito B 10, B 50.
53 Id., B 51, B 59, B 60.
5a
Cfr. I(, RrrNuanor, op. cir.o p. 64 sgg. Egli ha capovolto la
tradizionale opinione circa
il rappo-.to
stoii"co
fia Eraclito e par-
menide, secondo la quale Parmenide avrebbe criticato Eraclito.
Ma per quanto io sia d'accordo con Reinhardt che parmenide B 6
non può cssere rivolto contro Eraclito (vcdi sopra, p. 160), non
NOTE A.L CAP.
ItÒr qnesto ne risulta che
rlrrr: pensatori e che
si debba
VII
capovolgere
r99
il rapporto fra i
la teoria di Eraclito intorno all'unità dei
con-
tltri sia un tentativo di mettere d'accordo Parmenide con l'esperiunza comune e con le idee dei precedenti filosofi naturalisti.
06
Cfr. Grcox, op. cit,o p. 135 sgg.
e passim. Gigon vede
in Era-
llito uno spirito sintetico che ha subito l'influsso di idee e tradizioni
0l.crogenee. La teologia di Eraclito gli sembra un « elemento estra-
nella sua filosofia che « accanto alla cosmologia fa un effetto
rrrolto strano ». Per conseguenza va cercando un influsso esteriore
r:hc possa spiegare questo clemento nel pensiero di Eraclito e ne
rrco »
t.rova la fonte in Senofaneo il pensatore che può considerarsi tra
i presocratici il teologo per eccellenza. Ma beuchd Eraclito abbia
rlualche tratto in comune con Senofane (quando per es. per la sua
irlea tli Dio rifiuta ogni analogia antropomorfa), le loro teologie
sono essenzialmente diverse, Non solo hanno radici diverse, ma
gono del tutto diflerenti anche nel loro spirito. Non si può vedere
in Eraclito un tardo rappresentante della filosofia naturalistica
ionica il quale abbia iufuso in questo corpo una teologia senofanea quale anima, mentre invece le sue idee teologiche, come
quelle cosmologiche, derivano dall'aver portato a termine il pensamento della io-cogit1 milesia trasformando quest'ultima in una fi-
losofia che diventò anzitutto interpretazione dell'universo. Come
abbiamo cercato di dimostrare in questo libro, la filosofia naturalistica ionica ebbe fin da principio l'elemento teologico. La vera radice
dell'idea di Dio in Eraclito è la. dike di Anassimandro piuttosto che
l'onnipresente supremo Dio celeste di Senofane. Per Eraclito l'essenza di ciò che egli ehiama Dio si manifesta negli effetti della sua
dilee nel cosmo, nella lite e nelloarmonia dei contrasti fondamentali
che costituiscono la vita del mondo. È una originale e logica concezione dell'essere. Senofane arriva al suo concetto del Dio supremo
per tutt'altra via. Egli combatte quei tradizionali attributi degli tlei
che gli sembra non « siano conformi » (ènmpéner.u') alla natura del
divino. L'autore dei SilJoi parte da una critica morale e cosmologica
dell'opinione convenzionale intorno agli dei. E bensi vero che la
nuova concellone cosmica dell'universo che egli aveva appresa dai
filosofi milesii contribui al concetto senofaneo della dignità e po-
tenza divina; soltanto un universale Dio celesteo che domina il
mondo col suo pensiero senza spostarsi di qua e di là, poteva adempiere le esigenze di ciò che Senofane intendeve per « conveniente
a Dio »; eppure non si può dire che il suo corcetto del potere di Dio
e della sua azione nel mondo sia derivato da una nuovao logica
visione della vita umana e cosmica, come invece si può dire di Eraclito. D'altro canto la questione della natura del divino pare abbia
avuto nel pensiero di Eraclito uno spazio maggiore e un posto pif
eminente che nella cosmologia dei milesii. Cosi poté accadere che
interpreti antichi di tempi posteriori parlassero di una palte teologica, una politica e una cosmologica della sua filosofia o, in genere,
non considerassero la sua cosmologia come fine a se stessa (cfr.
p. 196, note 34 e 36).
56 Cfr. Eraclito B 14 e B 15, dove si scaglia contro i riti del
culto di Dioniso. Ma in complesso il suo atteggiamento contrario
alla religione popolare consiste piuttosto nel rnodificarne i concetti
200
LÀ, TEOLOCI,A,
DEI PRIMI PENSATORI
GRÉCI
NOTE
la propria fiIosofia, cioè partendo dal suo nuovo centnr.
non
interpreta » ma ( sottintende » (Goethe, Faust), cotrr,.
-«
secondo
Egli
accade spesso nei mistici. Vedi Zeus (B 82) e'la « Speranza i
1èl,"icl
della religione dei misteri nel suo tempo (B ZZ)..Similmente t,.
Xrinni veng_oljl^ intese rn un nuovo senso cosmico (B 94). L,oscu,,,
$Su-aggio dell'oracolo di Apollo a Delfo diventa,'nel pensiero rli
Eraclito, un simbolo per il linguaggio della natura (B-93); e cosi
anche la-6gura profetica delta §ilila (B 92). Nello slesso'modt» i.
trattato il mito degli eroi che dopo la loro morte diventano crr_
stodi dei vivi (B 63).
57 Senofane B 2,79 sgg. Cfr. sopra, p.
80.
58 Eracljto B.7B: i1Bo.q yàp ù»\gùntrcu
pè» oi,x iytt y»ùpaE,0ttrt
..
òì_éye1.. Dieìs, Gigon e altri traducoro yvùp4 con «intuizion"',,, p,,rola che ho conservato nel testo, che però ha bisogno di una spi,,'cl'r.
q-o_rio19t Tn Teognide 60 yudpar, sono n norme , d u misure ,,
ibid. 693: l'eccesso ha mandato in rovina molti uomini stolti, poicht!
è difficile tcner la misura nclla feliciLà. Ivtbp4 è precisarnente
iuest,,
yudaat, pétgo_u.,-pe1 cu! è detta il meglio che'glidei po.ruro d"r" u
un uomo (ibid. lLTl), poiché «possiede (la-coscieiza de)i limiti
di tutto »: che è evidentemente una parafrasi di Solone, framm. 16
Diels, dove dice che la cosa piÉ difficile sta ncl veder l,invisibile misura_della yv@lto6ii,tl Ia quale possiede i timiti (neiqara) di tutto. In
Paid.eia, tr. it--, I, p. 241-n. ?3 ho dimostrato Àediìrnte'questi passi
p_aralleli che Clemente di Alessandria deve essere in erràre quànilo
riferisce la yvatpootiu4 nei versi di Solone soltanto a Dio. -Solonc
deve aver avuto in mente una quaÌità umana, per quanto rarissima.
Si.potrebbe ricorrere anche a Teognide B9S: yaòptqq où6èu ìipewov
ày.ì1p iytr aòrò.q it aùtqu oùò' ayrapToivtTE, Xi[n, àOiiaqArepo»'. F,ro,clito invece diee realmente ciò che CleÀìnte-fa'dire a-Solàne: che
la natura umana non possiede afratto yyritun ma soltanto la natura
divina. Persino un uomo adultc paragonato ton Dio è ufinrcq (B 79).
Il divino, ooqdu^ è.effettivamenie nrivtr»v e1loQ,6péyo; 6i ìOSy '"
perciò è detLo Éz rò oogd» (B 32 e B 4l). Se Ià yvtnl,a di bracliio ò
la consapevolezza della'misura (4Érporr), sarà fi,i 'fotn" inrenderc
perché E_racljto parli cosi spesso'di àiiura a pìoposito delle cose
divine: il sole non sorpasseìà la sua misura tÉ Sal; il cosmo è zDo
anrdpetov pé.tqa-xaì ànoopet»ùpuov p{rpa (B 30).'Cfr. Ia fra"e peì
r_pÉ-trar, tic, tòv aùtòy Ldyo» (B 3l) intorno a 9d).aooa e alle sue modificazioni. Anche Ia continua vicenda (àwapotpr) de'l luoco e di
« tutte le cose » fra loro (B 90) presuppone l,idea é;una misura
alla
quale esso è soggetto.
5s
60
Cfr. qui sopra, nota 56.
Difficilmente si potrà affermare che Eraclito « dando e non
dando il nome ,, di Zeus al suo Dio abbia fatto una « conccssione
a.lla credenza popolare » (GrcoN, op. cit., p. 140).
61 Anassimandro A 15. Cfr. sopia p. .13
sgg. Cfr. le osservazioni
di Gigon-al testo di Eraclito B 4i; ma poco-ìmporta che si legga
_èxu|éQunoe (Diels) oppure f xtBtQadrat (-Bywate"). Intoiio
alla divina yuLip4 cfr. soprà, nota'S8.'Ilìiyta òù n,jarau 1 una formula reìigiosa che si trova spesso in forma simile,
82 Tà òè nriata oìaxi(er. Kcqaoudg (Eraclito
B 645; oìaxllew è
fu-en
l'attività del timoniere
(da oia§); coini xupeguat,, oioia
i.fiAi-i.".-,
rl spesso usata
in
senso
AL
CÀ.P.
VII
20L
traslato per I'attività del saggio sovrano o re.
ll luoco o (in linguaggio mitologico) « la folgore » sostituisce in B 64
il sovrano divino.
63 Sarà opportuno ricordare chc ncl campo d'esperienza dei
grcci la l"gg"
per lo piÉ opera di un uomo, del legislatore, una
""r
sprccie di incarnazione
tlella massirna sapienza urnana. Platone nelle
Loggi (6a1b) fa derivare la sapienza del legislatore d.al ).éyo; che
r:gli chiama divino. Se teniamo presente questo fatto, comprenderemo
piÉ facilmente iì pensiero di Eraclito quando dice: aéy,oq xaì §où.fi
nt[$eo$ar, éudg, (B 33). Non significa tirannidc come la intende Prorneteo, che chiama Zers tpay"ùg %oì fiaQ' éamQ 'tò òixcu,ov èya»
(Eschilo, Pronr. 186).
Clprror,o Om.tvo
EMPEDOCLE
Mentre i greci della madrepatria nelle storiche battaglie di Salamina e di Flatea ricacciano in Asia la
l)otenza dei persiani irrompente attraverso iI Mare Egeo,
per concentrare poi, nei decenni dopo la vittoria, tutte
le energie nello sviluppo interno ed esterno dello stato,
il movimento filosofico, partito dala fonia, resta circoscritto al cosiddetto periodo classico, come nel preccdente YI secolo, alle zone marginali della civiltà greca.
Questo stato di cose non cambia nemmeno con l?attivo
risorgimento dello spirito greco nella madrepatria, nella
grande poesia dei tragici e di Pindaro. Arvetrate fi
piri di un secolo rispetto al pensiero illuminato delle
teorie cosmologiche ioniche, le stirpi autoctone in mezzo
a un mondo ormai largamente tazionalizzato attingono
dalle profondità di forze ancora vergini la capacità di
questa grande trasmutazione poetica d.el mondo. Questa
ha tutt'altra origine della filosofia. Al centro della sua
visione del mondo sta l'esperienza delle sorti umane e
del superarnento di esse con lo spirito dell'umanità
tragico-eroica che era maturata nei gravi conflitti di
un secolo tutto rivolgimenti intestini e minacce esterne.
Mentre dunque nella poesia della madrepatria,
espressione appassionata di questa nuova esperienza di
dolore e di vita, l'impeto del pensiero freddamente ra-
204
LA TEOLOGIÀ. DEI PRIMI PENSA.TORI GRECI
zionale sembra essersi temporaneamente arrestato, r.
mentre lo spirito greco compie una decisa svolta lrrtropocentrica reagendo palesemente contro la sovr;r_
nità quasi illimitata della ragione indagante, la fiI,,sofia nelle zone periferichc delle colonie greche i,r
oriente e in occidente pcrsegue con meravigliosa cr,_
starl.za la via ormai presa. Il suo libero e vittorioso svi_
luppo in tutto un secolo non poteva essete annullato^
e anche la nuova comparsa del problema etico e rcli_
gioso divenne soltanto un,occasione per attingere nuo\ir
forza e ticchezza. Senofane, il precursore, aveva inco_
rrinciato a purgare la coscienza religiosa dallrantropo_
morfismo delle antiche credenze; dopo di allora i gerrni
di un'interpretazione metafisico-religiosa della nuova
visione scientifica del mondo, insiti già nella filosofia na_
turale dei milesii, si erano sviluppati sempre piÉ sotto
l'influsso della corrente religiosa di quel tempo. Circa
contemporaneamente e indipendentemente l,uno dal_
l'altro, Parmenide aveva contrapposto all, apparenza
dell'incessante divenire e perire il suo essere uno e
incrollabile raccogliendovi il senso d.i ogni esistenza,
mentre Eraclito aveva scoperto nell,unità dei contrari
il nucleo divino nel mondo del d.ivenire.
f due pensatori non avevano né voluto né potuto
fornire una vera e propria interpretazione della natura
sul tipo degli antichi milesii, sotto l,asperto di una com_
piuta cosrnogonia. Questo lato essenziale della filosofia
dalla quale discende tutta la scienza posteriore
lonlca,
della natura, rivive con Empedocle e fa con lui un
grande passo avanti. La successiva filosofia greca da
Platone e Aristotele in poi lo consid.erò e citò continua_
mente come creatore della teoria degli elementi e quindi
della fisica corrispondente. Ma dal nostro punto di vista
ha maggiore importanza il fatto che egli non impersona
questo tipo di scienziato nella sua Iturezza, bensi in una
CAP.
VIII:
EMPEDOCLE
205
lrlrrna complicata dal desiderio di dare un'interpreta'
zionc metafisica dello stato naturale dell'esistenza'
(.)rrr:sto elemento espressamente religioso in Empedocle
r:lrc, come è owio, trovò molta eco nei mistici neopla'
t,onici della tarda antichità, doveva plesentare notevoli
rlitlicoltà ai commentatori moderni in quanto scorgevano in lui, come già il suo entusiastico ammiratore
l:ucrezio 1, soltanto o prevalentemente il materialista
c il naturalista; tant'è vero che cercarono di separarlo
(:ome corpo estraneo o lo biasimarono alrneno come
ttteggiamento illogico. Ma quanto piri manifesta si
l)resenta la tensione fra Empedocle naturalista ed
lìmpedocle uomo religioso, tanto pi6 egli costituisce
un caso esemplare in una storia della teologia dei filosofi greci.
fl problema religioso assume in Empedocle già esteriormente un aspetto tutto diverso da quello dei suoi
predecessori. Esso non si nasconde, come in Parmenide,
dietro un concetto rigorosamente universale del puro
cssere che, soltanto con la forma di rivelazione divina
in cui è annunciato, rivela la sua importanza metafisica.
Né lo si può confrontare con la visione cosmica di Eraclito dove l'intuizione logica della dialettica del processo
fisico, l'unità dei contrari, è ad un tempo rivelazione
del divino mistero dell'univcrso. Di Empedocle possediamo i frammenti di due poemi epici indipendenti,
i quali espongono I'uno la visione fisica del mondo,
l'altro l'aspetto religioso dell'esistenza umana: sono
l'opera Dellct nattr'ra e i Kathatmoi ossia «Puriflcazioni».
Nel poema della natura Empedocle, nativo di Agrigento in Sicilia, segue in quanto alla forma il conterraneo Parmenide, oriundo dell'Italia meridionale, serrza
il cui influsso non sarebbe neanche pensabile la concezione della teoria degli elementi formulata da Emped.ocle. I Katharmoi sono per noi l'unica opera del-
CAP.
206
LA. TEOLOEIÀ.
DEI PNIMI
l'antica poesia greca nella quale la religiosità orfica si
presenta, sia pure in f,orma spiritualmente trasfigurata,
attraverso la mediazione di un'importante personalità.
Come si debbano intendere le due opere che sono espres-
di una stessa personalità è un quesito molto discusso recentemente, al quale si è cercato di dare risione
sposte molto diverse.
Per molto tempo si pensò che nel calme lustrale
Empedocle unisca alla « fisica meccanica » della sua
principale opera filosofica idee religiose, come la metempsicosi e la pre-esistenza e il divieto di mangiar carne, idee che « non solo non hanno con essa
alcun legame scientifico, ma persino la contraddicono
»
(Eduard Zel\er):. Altri hanno tentato di trasformare
la posizione affiancata dei due poemi in una successione e di vedere nel loro diverso atteggiamento due
gratli di una medesima evoluzione (I)iels, Bidez) 3. Si
volle che Empedocle passasse da oscuri inizi religiosi
a pensieri rigorosamente razionali, o che iu anni successivi, insoddisfatto della spiegazione meccanica del
rnondo, abbracciasse l'irrazionale fede orfica nella redenzione e nell'espiazione. Questi tentativi di risolvere
il problenaa hanno rrn lato buono in quanto riconoscono
la necessità di considerare, piri. di quanto non si sia
fatto Énora, la personalità di Empedocle che contiene
entrambi i mondi. fn essa bisogna cercare, a quanto
sembra, la ragione per cui egli riunisce cose cosi opposte. Naturalmente ciò ha un'importanza che non è
soltanto biografiea. D'altro canto la distribuzione nel
tempo dei due atteggiamenti spirituali, che noi sentiamo
contrastanti, in due successivi periodi della vita di Em-
al quesito della possibilità
soggettiva di fonderli insieme, ma il quesito è soltanto
rimandato, e iI concetto dell'evoluzione nel tempo serve
ad ammorbidire il problema stesso. In realtà si abbanped.ocle, non è una risposta
VIII:
EIìTPEDOCLE
PENSÀ.TORI CRECI
prima
dona senz'altro I'unità spiritualc della personalità
di vedere a sufficienza se la figura di Empedocle offra
epiun appiglio per spezzettare la sua vita interiore in
eodi
"i"!"ti. f"
forse ha la sua parte di colpa il
"iA
dell'esperienza religiosa che, secondo la psico-
concetto"
logia mod.erna, molte volte ha un che di sentimentale'
di incalcolabile, di improvviso' Ma anche se la catarsi
si
otfica di Empedocle fots" "'-'"rrota realmente cosi'
potrebbe fo*r" t"prtare seriamente che i saldi concetti
fisici fondamen.tali del poema della natura, i quali per
tanti secoli furono fondamento di ogni studio scientifico
ilella natura, abbiano percluto per il loro autore ogni
via
importanza eosi rapidamente da indurlo a buttarli
di
con leggere zt'a e a detlicarsi a un'esperienza esaltata
comprensione
la
velso
passo
tutt'alilo genere ? Il primo
dovrà qoinai corrsiste," nel ristabilire, nella sua primitiva arri.inomia, il problema se i d'ue Empedocli' iI na'
turalista e il mistico-religioso, vadano messi l'uno ac-
cantoall'altrool'unocontrol'altrorcomehatentato
di fare per primo Ettore Bignone nel suo libro su Empedocle
i,
lrgoulmeote attraente per la psicologia e per
ia storia deilo spirito; e hisognerà scoprire nell'anti'
tesi I'unità.
L'importanza d'ella personalità umana del filosofo
della sua d'ottrina è ammessa inper la
"'orop""n.ione
àiruttu*"oie fin dalla tradizione antica' Di nessun altro
biopresocratico possediamo una cosi ricca tradizione
nell'ang"ufi"u. Empidocl" fu in genere considerato piri
ii"Uia; che nella orLierna storia d'ella filosofia' Questa
com'
tende a interpretarlo come un filosofo incline al
Parcon
confrontarlo
si
può
promesso, e ù verità non
pen'
di
figura
sua
i"oide per il rigore e il peso della
piÉ
figure
satore. Ciò nonostante è sempre una delle
altro
affascinanti dell'Olimpo presocratico, rlorl fosse
per il suo valore storico, poiché ci consente di penetrare
208
LA TEOLOGIA DEI PRIMI PI)NSATORI GRICI
piÉ che con altri nella cultura spirituale dell,Orrr.,
dente greco. La potente originalitf di guesta
cultur:r
si manifesta in lui coi piri ricchi e singolari
colorir,.
La complessità del suo mondo interiore non
d.ipcn,l,.
soltanto da motivi individuali: essa rispecchii
",,,,
particolare evidenza l,intima stratificazione
d.ella
tura in Sicilia e nclla Magna Grecia e provacrrl_
irrl
un tempo l'unità spirituale di questi due centri
dr:llir
colonizz azione ellenica o ccidentale,
geo grafi c amente cos i
vicini. I due disparati- elcmenti deilo lpirito
di Empc_
docle erano tradizionali in guelle *"gioj. L,illuminismo
fisico, proveniente dall,Ionia p"iàuro"rte
importato
da Senofane? aveva già dato"lJ sra impronta a una
personalità veramente autoctona come il siracusano
Epicarmo 6, le cui commedie avevano riportato
i mag_
giori trionfi durante la giovinezza di Empedocle.
D,al_
tra^ parte la religiosità orfica non aveva
mai agito cosi
a fondo come in Occidente, neanche in Atenef
benché
sotto le ali della tirannide di pisistrato il circolo
molto
attivo di Onomacrito se ne occupasse talvolta con
molto
joria e letteratura greca
contemporanea e immediatamente precedente
si trovano, oltre che nei pitagorici dell,ftaHa meridionale,
proprio in un inno di pindaro rivolto al tiranno
sici,]r1o T:""ie di Agrigento 7 e nell,agrigentino Empedocle. Anche le tracce piri importuini'ai una
similc
religiosità rimasteci dal periodo ellenistico
provengono
dalla Magna Grecia 8. r confluire di idee orfiche
e di
metodi esatti, applicati alle scienze fisiche, nella
persona di Empedocle va dungue giudicato
alla stessa
stregua dell'unione personale dello spirito classico
razionale e dello spirito religioso cristiano
in una stessa
pelsona del nostro tempo.
L'esistenza tradizionale di elementi spirituali
cosi diversi e Ia loro reciproca compenetrazione nel
medesimo
fervore. fnfluenze orfiche nella
CÀ,P.
VIII:
EMPEDOCLE
209
individuo dovevano produrre un nuovo tipo sintetico
d.i personalità filosofica. Il carattcre mentale di Empe«locle è quello di una vastità straordinaria, di una intima tensione e di una impressionabile ricettività universale. Aristotele ha espresso il dullbio se la poesia
cli Empedocle abbia qualcosa in comune con quella di
Omero tranne il metro 9, e certamente non si può applicare questa misura alla sua poesia se vogliamo intenderla giustamente 10. Ma soltanto un ingegno veramente poetico poteva accogliere in sé gli enormi contrasti che agiscono nella mente di Empedocle. In virtÉ di
una fantasia mutevole e fervida, soltanto un poeta nato
poteva accettare verità di natura cosi diversa e coltivarle nella loro assolutezza, benché inconciliabili fra
loro. Nel carme della natura si direbbe che ogni parti-
colare s'inserisca nel quadro di un'unica costruzione
con la logica ferrea del vero filosofo. Ma non appena
udiamo i primi versi del canto lustrale, ci troviamo
in un regno dominato da un modo di pensare tutto
diverso, cioè mistico-teologico. Pare che le due forme
di pensiero non si indeboliscano e danneggino a vicenda
in alcun modo; ciascuno dei due regni abbraceia alla
sua maniera la realtà totale. In comune hanno soltanto
il fatto di essere entrambi realtà poetica e di presentarsi sotto forma di poesia, che è per i greci la forma
del mito.
Fin da principio abbiamo fatto notare che tra il
mondo mitico della precoce poesia greca e il terreno
tazionale della filosofia non c'è una frattura insormontabile 11. La razion alizzazione della realtà incomincia fin
dal mondo mitico di Omero ed Esiodo e d,altro canto
anche l'interpretazione razionale che i milesii danno
della natura contiene un germe di energia poetica procluttiva e creatrice di miti. Questa non è minore in
Empedocle in seguito alla progressiva complicazione
14.
._ W, Jj.EcDli, La
teologùa
dei primi. pensaturi greci.