Geometria UNO La regola dei segni di Cartesio

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Geometria UNO
La regola dei segni di Cartesio
Corso di Laurea in Matematica
Anno Accademico 2013/2014
Alberto Albano
15 maggio 2014
1
La Regola
La cosiddetta Regola dei segni di Cartesio fu enunciata nel 1637 da Cartesio
nella sua famosa Géométrie, dove venne data la prima esposizione della geometria analitica. La Regola si trova all’inizio del Livre Troisième, pag. 371–374
dell’edizione originale che si può trovare online all’indirizzo
http://fr.wikisource.org/wiki/Livre:Descartes La Géométrie.djvu
All’indirizzo
https://archive.org/details/geometryofrene00desc
si trova l’edizione con la classica traduzione in inglese di David Eugene Smith
(la Géométrie è scritta in francese, leggibile se si conosce il francese moderno).
Cartesio diede l’enunciato, ma nessuna dimostrazione della regola. Negli
anni seguenti si sviluppò una polemica sul vero originatore della regola e sull’autore della prima dimostrazione completa e rigorosa. In generale, la prima
dimostrazione rigorosa viene attribuita a De Gua nel 1742. Nel 1828, Gauss
diede una dimostrazione puramente algebrica e molto semplice. Molte altre dimostrazioni, di varie natura, sono state date nel corso degli anni. Una storia
completa, con alcune dimostrazioni molto semplici, si può leggere all’indirizzo
http://arxiv.org/abs/1309.6664
Vi sono varie versioni della Regola, con ipotesi più o meno restrittive. La
versione che dimostreremo è la seguente:
Teorema 1.1. Se un polinomio a coefficienti reali in una indeterminata ha
tutte le radici reali, allora il numero di radici positive (strettamente maggiori di
zero), considerate con la loro molteplicità, è uguale al numero delle variazioni
di segno nella serie dei suoi coefficienti.
Questa versione è utile nella classificazione delle forme quadratiche perché i
polinomi considerati sono i polinomi caratteristici di matrici simmetriche reali e
sappiamo, per il teorema spettrale, che tali polinomi hanno tutte le radici reali.
Un enunciato più generale copre il caso in cui non sappiamo a priori che
tutte le radici sono reali e dice:
1
2 LA DIMOSTRAZIONE
2
Teorema 1.2. Il numero delle variazioni di segno è il massimo numero di radici
positive di un polinomio a coefficienti reali. Il numero effettivo di radici positive
è pari al massimo oppure al massimo diminuito di un numero pari.
I teoremi precedenti non affermano nulla su quante siano le radici negative.
Nel caso in cui tutte le radici sono reali si ottiene facilmente per differenza,
poiché il numero di radici nulle è semplice da calcolare. In generale, le radici
negative di p(x) sono esattamente tante quante le radici positive di p(−x) e
quindi si può applicare la regola dei segni a quest’ultimo polinomio. Cartesio
in realtà enuncia già una regola per le radici negative, basata sui segni del
polinomio originale. Nell’ultima delle referenze citate sopra, si vede come una
stessa dimostrazione possa coprire entrambi i casi.
Prima di iniziare la dimostrazione, chiariamo il significato dell’espressione
“variazioni di segno”. Sia p(x) il polinomio considerato. Si scrivono tutti i coefficienti del polinomio, in ordine decrescente (o crescente) di grado tralasciando
i coefficienti nulli. Si considera la serie di numeri ottenuta: una variazione di
segno è quando due termini consecutivi hanno segni opposti.
Per esempio, sia
p(x) = 3x7 − x5 + x4 + x2 − 3x + 2
La serie da considerare è
3, −1, 1, 1, −3, 2
e il numero di variazioni è 4. Possiamo quindi affermare che p(x) ha 4 oppure 2
oppure nessuna radice positiva.
Notiamo che quando il numero di variazioni è pari, la forma generale della
regola non afferma niente sull’esistenza delle soluzioni mentre, per numero di
variazioni dispari, afferma che esiste almeno una soluzione reale (positiva).
2
2.1
La dimostrazione
La derivata di un polinomio
In questa parte preliminare, stabiliamo alcune relazioni fra le radici di un
polinomio e le radici della sua derivata.
Lemma 2.1. Una radice di un polinomio è radice della sua derivata con molteplicità diminuita di uno.
Dimostrazione. Sia p(x) = (x − a)k q(x) con q(x) non divisibile per (x − a), cioè
k ≥ 1 è la molteplicità di a come radice di p(x). Osserviamo che la condizione
“q(x) non divisibile per (x − a)” è equivalente a “q(a) 6= 0”.
Si ha
p0 (x) = k(x − a)k−1 q(x) + (x − a)k q 0 (x)
= (x − a)k−1 [kq(x) + (x − a)q 0 (x)]
= (x − a)k−1 F (x)
Poiché F (a) = kq(a) 6= 0, il polinomio F (x) non è divisibile per (x − a) e
quindi k − 1 è la molteplicità di a come radice di q 0 (x).
Notiamo il caso particolare: per k = 1, a non è radice di q 0 (x).
2 LA DIMOSTRAZIONE
3
I prossimi risultati sono conseguenze del teorema di Rolle.
Lemma 2.2. Se tutte le radici di un polinomio sono reali, anche tutte le radici
della sua derivata sono reali. Inoltre, fra due radici successive di p(x) c’è una
radice di p0 (x) e questa radice è semplice (molteplicità 1).
Dimostrazione. Siano x1 < x2 < · · · < xk le radici di p(x) di molteplicità
rispettivamente m1 , m2 , . . . , mk . L’ipotesi che tutte le radici siano reali dice
che
m1 + m2 + · · · + mk = n = deg p(x)
Per il lemma precedente, la derivata p0 (x) ha radici x1 < x2 < · · · < xk con
molteplicità m1 − 1, m2 − 1, . . . , mk − 1. Inoltre, per il teorema di Rolle, fra
due radici reali di p(x) c’è almeno una radice reale di p0 (x) e quindi p0 (x) ha
almeno altre k − 1 radici reali. Ma
(m1 − 1) + (m2 − 1) + · · · + (mk − 1) + k − 1 = n − 1 = deg p0 (x)
e quindi p0 (x) non può avere altre radici, che sono quindi tutte reali e con le
molteplicità enunciate.
Lemma 2.3. Se p(x) ha tutte le radici reali e k di queste sono positive, allora
il numero di radici positive della derivata p0 (x) è k oppure k − 1.
Dimostrazione. Siano x1 < x2 < · · · < xs le radici positive di p(x) di molteplicità rispettivamente m1 , m2 , . . . , ms . L’ipotesi sul numero di radici positive
dice che
m1 + m2 + · · · + ms = k
La derivata avrà come radici positive x1 < x2 < · · · < xs con molteplicità diminuite di 1, le radici semplici y1 , y2 , . . . , ys−1 contenute fra le radici consecutive
positive e, eventualmente, un’altra radice semplice y0 compresa nell’intervallo
fra la massima radice negativa e x1 . Osserviamo che la radice y0 potrebbe essere
negativa o nulla, oppure non esserci se x1 è la minima radice di p(x).
In totale, il numero di radici positive di p0 (x) è
(m1 − 1) + (m2 − 1) + · · · + (ms − 1) + (s − 1) = k − 1
se y0 non è positiva oppure
(m1 − 1) + (m2 − 1) + · · · + (ms − 1) + (s − 1) + 1 = k
se y0 è positiva.
2.2
Sia
Dimostrazione del Teorema 1.1
p(x) = an xn + an−1 xn−1 + · · · + a0
un polinomio di grado n. Questo implica che an 6= 0 e possiamo supporre che
an > 0. In tutto quello che segue supporremo sempre che p(x) abbia tutte le
radici reali. Per prima cosa dimostriamo che
Lemma 2.4. Se p(x) ha k radici positive (considerate con la loro molteplicità),
allora il segno dell’ultimo coefficiente di p(x) diverso da zero è (−1)k .
2 LA DIMOSTRAZIONE
4
Dimostrazione. Sia ah l’ultimo coefficiente non nullo. Poiché tutte le radici sono
reali, possiamo scomporre completamente il polinomio
p(x) = an xn + an−1 xn−1 + · · · + ah xh
= an xh (x − x1 ) . . . (x − xk )(x − xk+1 ) . . . (x − xn−h )
dove le radici x1 , . . . , xk sono positive e xk+1 , . . . , xn−h sono negative.
Allora ah è il prodotto
ah = an · (−1)k · x1 x2 . . . xk (−xk+1 ) . . . (−xn−h )
e poiché tutti i numeri scritti sono positivi, il segno è (−1)k .
Cominciamo adesso la dimostrazione del teorema, che avviene per induzione
sul grado del polinomio. Per n = deg p(x) = 1 il teorema è vero: se p(x) =
a1 x + a0 , l’unica radice è x1 = −a0 /a1 che è positiva se e solo se a1 e a0 hanno
segno opposto (cioè se e solo se c’è una variazione).
Supponiamo ora il teorema dimostrato per tutti i polinomi di grado n − 1
aventi tutte le radici reali. Sia come prima
p(x) = an xn + an−1 xn−1 + · · · + a0
di grado n. Se a0 = 0 abbiamo che p(x) = xq(x). I polinomi p(x) e q(x) hanno
lo stesso numero di radici positive e lo stesso numero di variazioni di segno.
Poiché deg q(x) = n − 1, il teorema è vero per q(x) e quindi anche per p(x).
Sia ora a0 6= 0 e consideriamo la derivata
p0 (x) = nan xn−1 + (n − 1)an−1 xn−2 + · · · + a1
Notiamo che l’ultimo coefficiente non nullo della derivata è il coefficiente subito
prima di a0 nella serie dei coefficienti del polinomio p(x). Abbiamo allora che se
i segni di a0 e dell’ultimo coefficiente non nullo della derivata coincidono p(x)
e p0 (x) hanno lo stesso numero di variazioni di segno (perché eliminare a0 dalla
serie non cambia il numero di variazioni), se invece i segni sono opposti p0 (x)
ha una variazione in meno di p(x).
Poiché il segno dell’ultimo coefficiente non nullo determina la parità del
numero di radici positive (Lemma 2.4), nel primo caso il numero di radici di
p(x) e di p0 (x) hanno la stessa parità, nel secondo caso hanno parità contraria.
D’altra parte, per il Lemma 2.3 la differenza fra i due numeri può essere
solo 0 oppure 1 e quindi quando la parità è la stessa i due numeri devono essere
uguali mentre quando la parità è diversa il numero di radici positive di p0 (x)
deve essere minore di 1 del numero di radici positive di p(x).
Per ipotesi induttiva il teorema è vero per la derivata p0 (x), cioè il numero
di radici positive è uguale al numero delle variazioni di segno. Poiché passando
da p0 (x) a p(x) il numero di radici positive e il numero di variazioni o rimane
lo stesso per entrambi o aumenta di uno per entrambi, il teorema è vero anche
per p(x).
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