PHTLS 1° parte - CRI Sede San Dona` di Piave

Manuale per soccorritori
Supporto vitale
di base al
traumatizzato
Secondo linee guida PHTLS
Basic PreHospital Trauma Life Support
Edizione Settembre 2007
Realizzata dal Settore Formazione Volontari del Soccorso Mirano
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Introduzione
In questo manuale vengono illustrati i principi su cui si
basa l’approccio al soggetto politraumatizzato. Vengono poi illustrate alcune tecniche specifiche in grado di
soddisfare i principi di base, consapevoli del fatto che
non esiste un unico metodo applicabile alle innumerevoli variabili che si possono incontrare nel soccorso
preospedaliero.
Il metodo che noi proponiamo riprende, e adatta alla
nostra realtà, le linee guida del PHTLS (PreHospital
Trauma Life Support). Il PHTLS è incentrato sui principi, non sulle preferenze e promuove il pensare critico.
Si ritiene che data una buona preparazione di base, il
soccorritore sia in grado di prendere delle decisioni
ragionate in merito all’assistenza da fornire al paziente.
L’obiettivo che ci prefiggiamo è far comprendere al
soccorritore di Croce Rossa quali sono i principi fondamentali su cui si basa un corretto approccio al soggetto traumatizzato attraverso l’apprendimento di conoscenze teoriche e abilità pratiche.
Il protocollo di approccio e trattamento del politraumatizzato deve perseguire alcuni principi fondamentali:
¬ Valutazione rapida e accurata;
¬ Identificazione dello shock e dell’ipossia;
¬ Esecuzione dell’intervento giusto al momento giusto;
¬ Trasporto rapido verso l’ospedale giusto.
Riteniamo importante sottolineare che la memorizzazione e l’esecuzione schematica di algoritmi non può
essere sempre e rigorosamente applicata agli scenari
di soccorso traumatologico. Ogni scenario presenta
variabili e peculiarità che il soccorritore deve riconoscere, valutare e trattare sfruttando il “principi” acquisiti in questo corso e integrandoli con la propria esperienza.
IL POLITRAUMA
In una accezione molto generale, un trauma può essere definito come una interazione o impatto tra la
vittima e l’agente (fonte di energia). Il temine impatto
non indica necessariamente un incidente automobilistico. L’investimento di un pedone, una ferita da arma
da fuoco, un muratore che cade dall’impalcatura, uno
sportivo che viene colpito da una palla ad alta velocità
sono tutti impatti. In ciascun caso, vi è un trasferimento di energia tra un oggetto in movimento e i tessuti
della vittima del trauma oppure tra la vittima in movimento ed un ostacolo fisso.
Con la parola "POLITRAUMA" si intende la presenza
di lesioni associate a carico di due o più distretti corporei che possono coesistere con la compromissione
più o meno grave delle funzioni vitali.
Epidemiologia del trauma
Il Trauma costituisce la prima causa di morte per le
persone al di sotto dei 44 anni e la terza causa di morte per tutte le fasce di età.
Volontari del Soccorso Mirano-Spinea
Ogni anno in Italia si verificano, esclusivamente a seguito di incidenti stradali, circa 8000 morti, a cui devono essere aggiunti un numero impressionante di feriti
con esiti più o meno invalidanti (fonti Istat Aci 2000).
Il pesante impatto di questa patologia sui giovani è la
causa principale di perdita di anni di lavoro con enormi costi sociali. Benché la prevenzione rappresenti il
cardine per la riduzione delle patologie traumatiche,
un migliore trattamento del paziente politraumatizzato
può portare ad una netta riduzione della mortalità.
Molte delle morti e delle invalidità da trauma sono infatti prevenibili. La percentuale delle morti prevenibili è
stimata tra il 33% e il 73%. Poiché la maggior parte
dei decessi conseguenti a trauma avviene prima dell'arrivo in ospedale è di importanza fondamentale migliorare la qualità del soccorso nella fase preospedaliera. Il miglioramento del soccorso preospedaliero ha
non solo l'obiettivo di ridurre la mortalità nella prima
fase del trattamento, ma soprattutto quello di limitare i
danni secondari dovuti ad anossia, ipotensione o a
manovre incongrue, fattori che sarebbero responsabili
della maggior parte degli esiti gravemente invalidanti.
L'impiego sul terreno di tecniche di rianimazione avanzata permette di ridurre la mortalità e di limitare i danni secondari.
mortalità
Croce Rossa Italiana
Fig. 1. Comparazione tra mortalità (decessi x anno) causata da malattie cardiovascolari, cancro e trauma (Fonte Ministero della Salute anno 2002).
Mortalità per trauma
Dallo studio dei decessi avvenuti in seguito ad un evento traumatico si può osservare una distribuzione
trimodale con tre picchi caratteristici (Donald Trunkey,
American College of Surgeons).
1° picco (50%) mortalità immediata
Circa il 50% dei decessi avviene direttamente sul luogo dell’evento o comunque entro circa un ora dall’evento a causa di lesioni gravissime. È dovuta al danno
primitivo che si sviluppa a carico di organi come il cervello, cuore e grossi vasi. L’intervento, anche immediato, dei soccorritori non arreca alcun beneficio. Questo picco può essere ridotto solo adottando misure
preventive (limiti di velocità, cinture di sicurezza, airbag ecc).
2° picco (30%) mortalità precoce
Circa il 30% dei decessi avviene entro le prime 4-6
ore dall’evento a seguito di emorragie importanti, in-
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Croce Rossa Italiana
sufficienza respiratoria o traumi cranio-encefalici. La
mortalità è legata al danno secondario conseguente
ad ipossia ed ipoperfusione.
Il trattamento presospedaliero adeguato ed efficace,
in questi casi può davvero fare la differenza diminuendo la mortalità e la disabilità.
3° picco (20%) mortalità tardiva
Un certa percentuale di decessi avviene anche a distanza di settimane o mesi dall’evento traumatico. In
genere in questi casi la mortalità è legata a danni secondari al trauma (insufficienza multiorgano, infezioni,
problemi respiratori ecc).
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fornendo un trasporto rapido verso una struttura idonea a continuare il trattamento.
Un intervento qualificato nelle prime ore (Golden
Hour, ora d’oro) dal momento dell’evento aumenta le
probabilità di sopravvivenza e la qualità della vita del
paziente.
La Golden hour o Golden period è il tempo che intercorre tra il momento dell’incidente ed il trattamento
definitivo fornito in ospedale da personale qualificato.
Il soccorritore preospedaliero ha il compito fondamentale di valutare le condizioni del paziente sulla scena
dell’incidente e sulla base delle sue osservazioni decidere in merito al trattamento ed il trasporto. Entro
un’ora dall’evento il traumatizzato deve ricevere le
cure migliori possibili per la sua situazione.
Al concetto di golden hour bisogna aggiungere quello
ancora più importante dei 10 minuti di platino. Dieci
minuti è il tempo che dovrebbe essere dedicato sul
posto al paziente traumatizzato per identificare la gravità delle lesioni e per effettuare un trattamento essenziale in caso di lesioni pericolose per la vita.
Ogni minuto addizionale trascorso sulla scena è tempo sottratto al periodo d’oro e quindi tempo che trascorre prima di ricevere il trattamento definitivo.
Catena del soccorso traumatologico
Fig. 2. Distribuzione temporale dei decessi per trauma.
L’obiettivo del soccorso preospedaliero è quello di
abbassare il secondo picco di mortalità e di influenzare positivamente il terzo prevedendo, con un corretto
trattamento iniziale, l’instaurarsi delle complicanze
mediante azioni mirate durante la fase acuta del trauma.
Golden Hour
Una ricerca eseguita in uno dei primi trauma center
degli Stati Uniti ha evidenziato che i pazienti che avevano ricevuto un trattamento definitivo più precoce
dopo un incidente avevano una percentuale di sopravvivenza molto superiore rispetto a quelli il cui trattamento era stato ritardato (studio del Dr Adams Cowley).
Una ragione di questo miglioramento nella sopravvivenza è la conservazione della capacità dell’organismo di produrre energia per mantenere la funzionalità
degli organi. Per il soccorritore, questo si traduce nel
mantenimento dell’ossigenazione e della perfusione,
L’obiettivo di ridurre la mortalità e la morbilità (stato di
malattia) da trauma può essere raggiunto esclusivamente attraverso un’insieme coordinato di azioni che
vanno dalla fase di allerta, all’invio dell’equipe sulla
scena, sino alla centralizzazione del traumatizzato
presso l’ospedale più idoneo per il trattamento definitivo.
L’adozione di sequenze razionali di manovre
(algoritmi) può rendere più efficace l’intervento sia
nella fase extraospedaliera che intraospedaliera.
Per ridurre la mortalità e la morbilità da trauma occorre che si susseguano in maniera ottimale un complesso coordinato di azioni definite catena del soccorso
traumatologico, dalla fase di allertamento al trasporto
dei feriti alla struttura più adatta per il loro trattamento.
L’obiettivo del soccorso extraospedaliero è trasportare
il traumatizzato all’ospedale giusto nel tempo giusto e,
soprattutto, nel modo giusto, riducendo l’incidenza
delle morti evitabili
1. Allarme e Dispatch - Il Dispatch regola i meccanismi di processo della chiamata per garantire l’invio
dell’équipe più adeguata. Inoltre l’arrivo dell’équipe
sulla scena non deve prescindere dalla valutazione
della sicurezza ambientale e dei potenziali rischi.
2. Triage preliminare - In caso di incidenti la presenza di più vittime è frequente ed è pertanto essenziale riconoscere le lesioni che richiedono un trattamento prioritario e quali feriti trasportare prima.
3. Trattamento preospedaliero.
4. Triage dei feriti agli ospedali più idonei: centralizzazione dei traumi gravi. La centrale operativa
del 118 dovrà indirizzare il traumatizzato all’ospedale più idoneo sulla base delle informazioni fornite
dal soccorritore preospedaliero.
5. Trattamento ospedaliero.
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Prevenzione dei traumi
Croce Rossa Italiana
La prevenzione
“Prevenire il trauma è ancora più importante che
trattare il trauma”.
Ricordiamo che i Volontari della Croce Rossa
non sono impegnati solamente nelle operazioni
di soccorso sanitario. La Croce Rossa sostiene e
promuove attivamente campagne di prevenzione
e sensibilizzazione anche nei riguardi del
problema trauma.
Pertanto riportiamo in questo testo alcune
nozioni fondamentali che possono aiutare il
soccorritore a comprendere e diffondere le
strategie di prevenzione del trauma.
Prevenzione: insieme di atti o comportamenti
che hanno il compito di impedire l’insorgenza e
la propagazione di un vento dannoso, per mezzo
di interventi sulla popolazione e sull’ambiente. In
base agli obiettivi e ai metodi di intervento la
prevenzione del trauma viene classificata in tre
tipi.
VALUTAZIONE E TRATTAMENTO
Il terzo anello della catena rappresenta il nucleo del
trattamento preospedaliero ed ha come obiettivo, innanzitutto, la sopravvivenza immediata del paziente,
ottenibile con la rapida valutazione e riconoscimento
di uno stato critico ed il contemporaneo inizio delle
opportune manovre di rianimazione.
Le fasi del trattamento preospedaliero sono suddividibili in 5 tempi:
1.
valutazione della scena;
2.
Valutazione primaria;
3.
Valutazione secondaria;
4.
Trattamento sul posto;
5.
Trasporto e monitoraggio.
Sulla scena di un emergenza il ferito è la persona più
importante. La squadra di soccorso deve intervenire
tempestivamente ed in maniera coordinata. Il soccorritore non ha tempo per pensare e richiamare alla memoria le nozioni apprese durante il corso o per ricordare dove si trovano i presidi negli zaini o in ambulanza. Tutte queste informazioni, e altre ancora, devono
essere immagazzinate nella memoria. La squadra di
soccorso deve avere una buona preparazione tecnica,
deve conoscere le procedure ed i materiali e soprattutto deve saper lavorare in maniera coordinata.
Tutte queste abilità possono essere acquisite e mantenute solamente con l’addestramento e aggiornamento continuo.
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Prevenzione primaria: azioni volte a far si che il
trauma non si verifichi (fase pre-evento). Rientrano in
questa categoria tutti gli interventi educativi
(campagne di sensibilizzazione, diffusione di
informazioni ecc), legislativi (leggi sulla sicurezza dei
luoghi di lavoro e sulla prevenzione degli infortuni,
ecc) e strutturali (messa in sicurezza della rete
stradale, adozione di misure di prevenzione in casa e
nei luoghi di lavoro, ecc).
Prevenzione secondaria: azioni volte a minimizzare la
gravità delle lesioni provocate da un trauma.
L’obiettivo di questo livello di prevenzione è quello di
limitare i danni, ad esempio, adottando i dispositivi di
protezione individuale, utilizzando cinture di sicurezza
e air bag nei veicoli ecc.
Prevenzione terziaria: azioni volte a limitare le
conseguenze immediate e a ridurre gli esiti invalidanti
del trauma migliorando le fasi del trattamento preospedaliero e ospedaliero (fase post-evento).
Ricordate che il soccorritore ha la responsabilità di
fornire all’infortunato la migliore assistenza sanitaria
possibile: il nostro infortunato non ci ha scelto, siamo
noi che abbiamo scelto di soccorrerlo.
VALUTAZIONE DELLA SCENA
L’intervento del soccorritore inizia molto prima dell’incontro con l’infortunato. L’anticipazione è quella fase
che precede l’arrivo sul posto, il soccorritore, sulla
base delle informazioni ricevute inizia a farsi un idea
sull’evento, suddivide i compiti dell’equipaggio e predispone il materiale che potrebbe servire.
Una volta arrivati sul posto l’immagine della scena
crea un impressione che influenza l’intera valutazione
del soccorritore. Una certa quota di informazioni può
essere raccolta guardando e ascoltando il racconto
del ferito o dei testimoni. Un’attenta valutazione della
scena consente di identificare il problema, delimitarlo,
dimensionarlo e mettere in atto tutti i dispositivi per
prestare soccorso in sicurezza.
Nella valutazione della scena sono incluse due componenti:
Sicurezza. La prima priorità per chi è coinvolto nel
soccorso è la sicurezza dei soccorritori e dell’infortunato.
La centrale operativa 118 già al momento della chiamata deve essere in grado, per quanto possibile, di
identificare la presenza di potenziali pericoli allo scopo
di inviare preventivamente personale tecnico idoneo
(vigili del fuoco, forze dell’ordine ecc) e consentire ai
soccorritori di dotarsi dei dispositivi di protezione individuali opportuni.
Nell’attesa del personale preposto per garantire la
sicurezza della scena, il soccorritore può mettere in
atto le manovre minime per la sicurezza come togliere
le chiavi dal quadro elettrico di una macchina incidentata, segnalare visivamente l’incidente, spegnere eventuali focolai d’incendio con l’estintore presente in
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ambulanza, ecc. Non deve inoltre tralasciare la sicurezza del paziente; se la scena non è sicura il ferito
deve essere spostato prima di iniziare la valutazione
ed il trattamento.
Numerosi sono gli elementi che possono generare
una situazione di pericolo, anche evolutivo, per il soccorritore ed il ferito. Tra questi citiamo:
¬ fuoco, fumo, liberazione di sostanze tossiche volatili, esplosivi. In questi casi richiedere immediatamente l’invio dei VVFF e cercare di identificare la
sostanza tossica attraverso i cartelli identificativi
(codice Kemler).
¬ Scarsa visibilità, posizione pericolosa in strada o
traffico non controllato: in attesa delle forze dell’ordine o dei VVFF, l’autista dell’ambulanza provvederà a segnalare visivamente la vostra presenza
(torce luminose, fumogeni, lampeggianti ecc).
¬ Presenza di liquidi organici: il soccorritore deve
sempre indossare tutti i DPI a disposizione per ridurre il rischio di contaminazione con liquidi organici infetti. Molta attenzione deve essere posta per la
presenza di aghi o materiale tagliente utilizzati durante l’intervento. Prima di abbandonare la scena
bisogna provvedere alla “bonifica ambientale“ controllando che non rimanga sul posto materiale pericoloso.
¬ Aggressioni o presenza di armi. Non avvicinarsi
alla scena finche le forze dell’ordine non abbiano
immobilizzato o allontanato gli aggressori e non
abbiano rimosso le armi eventualmente presenti.
Se il ferito ha un atteggiamento aggressivo o è in
stato di arresto farsi accompagnare dalle forze dell’ordine durante il trasporto in ospedale.
In ogni caso usate il “buon senso“!
Situazione. Durante l’osservazione della scena il soccorritore deve porsi diverse domande che potrebbero
aiutarlo nella valutazione della scena:
¬ Quanti feriti ci sono? L’identificazione corretta del
numero dei feriti è un punto cardine della valutazione per evitare di non rilevare, e quindi trattare, pazienti coinvolti nell’evento. Una volta identificati tutti
i feriti, devono essere applicate le corrette tecniche
di triage per la scelta della priorità di trattamento.
Sulla base di questa valutazione sarà possibile
richiedere alla CO l’invio di altro personale sanitario (ambulanze, automedica, elisoccorso ecc).
¬ Cos’è successo veramente? Quale è stato il meccanismo del trauma e quali forze ed energie hanno
causato le lesioni?
¬ Sulla base della cinematica quali lesioni mi posso
aspettare?
La conoscenza e la valutazione del meccanismo di
lesione (cinematica) permettono di elaborare un indice
di sospetto che consente di sospettare, individuare e
trattare precocemente anche lesioni poco apparenti.
Un soccorritore può non riconoscere una semplice
lesione perché non sa dove guardare. Un’attenta valutazione della scena, effettuata utilizzando i principi
della cinematica, permette al soccorritore di identificare la maggior parte delle lesioni prima ancora di toccare il paziente.
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CINEMATICA DEL TRAUMA
Si definisce cinematica il processo di valutazione della
scena compiuto ai fini di determinare la dinamica dell’evento, basandosi sulle forze coinvolte.
La valutazione di un paziente traumatizzato deve
comprendere informazioni sulla cinematica. Ad esempio, un guidatore che urta il volante subirà un’estesa
cavitazione sulla parete anteriore del torace in seguito
all’impatto; immediatamente il torace ritorna alla sua
forma originale, o quasi.
Un soccorritore che non ha nozioni di cinematica, si
preoccuperà solamente delle abrasioni presenti sul
torace del ferito. Il soccorritore con nozioni di cinematica riconoscerà invece che un ampia cavità era presente al momento dell’impatto, che le coste si sono
dovute ripiegare verso l’interno e che il cuore, i grossi
vasi e i polmoni sono stati compressi. Questo gli consentirà di sospettare lesioni più gravi e potenzialmente
letali, pertanto sarà più accorto nella valutazione e
nella gestione del ferito e inizierà il trasporto più velocemente.
L’identificazione precoce, l’adeguata comprensione e
il trattamento appropriato delle lesioni sottostanti potranno influenzare in maniera determinante la vita o la
morte del traumatizzato.
Sulla base dei principi che governano la prevenzione
delle lesioni traumatiche, il trattamento di un traumatizzato può essere suddiviso in tre fasi:
¬ La fase pre-impatto include tutti gli eventi che precedono l’incidente, come l’assunzione di droghe,
alcool, farmaci, alterazioni dello stato mentale o
patologie preesistenti. Molta attenzione deve essere posta per individuare se l’incidente è stato causato da una patologia medica acuta. Ad esempio
un guidatore anziano può avere un dolore toracico
suggestivo di un infarto miocardio a seguito dell’incidente o può aver provocato l’incidente a seguito
di un infarto.
¬ -La fase dell’impatto inizia quando un oggetto in
movimento colpisce un altro oggetto. In generale lo
scambio di energia può avvenire: tra un oggetto in
movimento e la vittima ferma o viceversa; o tra gli
organi interni e le strutture rigide del corpo della
vittima.Ad esempio in un incidente automobilistico
si ha un primo impatto del veicolo contro un palo,
un secondo impatto del conducente contro il veicolo
ed un terzo impatto tra gli organi interni sul corpo
del conducente (teoria del triplice impatto).
¬ La fase dell’impatto inizia non appena il corpo ha
assorbito l’energia dell’impatto e il paziente è diventato un traumatizzato.
Le informazioni raccolte nelle fasi pre-impatto e dell’impatto devono essere utilizzate dal soccorritore per
comprendere la cinematica del trauma e generare un
indice di sospetto per le lesioni potenziali da trattare
nella fase post-impatto.
Il primo passo per comprendere l’effetto delle forze
che producono una lesione è identificare e valutare il
tipo di energia coinvolta nell’impatto e stabilire quali
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possono essere le ripercussioni nell’anatomia dell’organismo.
La cinematica si basa sui principi fondamentali della
fisica.
Prima legge di Newton sul moto
Un corpo in stato di quiete tende a mantenere il suo
stato di quiete ed un corpo in stato di moto tende a
rimanere in stato di moto finché non interviene su di
esso una forza esterna a modificare tale stato. Questa
legge ci consente di comprendere la “teoria del triplice
impatto” spiegata precedentemente.
Fig. 3. Teoria del triplice impatto: collisione del veicolo (1°
impatto), collisione del corpo sul veicolo (2° impatto) e collisione degli organi sul corpo (3° impatto).
Legge sulla conservazione dell’energia.
L’energia non può essere creata né distrutta, ma solo
cambiare forma. Un veicolo che si muove possiede un
energia cinetica (o di movimento), quando urta qualcosa la sua energia può essere trasformata in energia
meccanica, termica, elettrica o chimica. Ad esempio,
un veicolo che urta un palo trasforma la sua energia
cinetica in energia meccanica che deforma la carrozzeria e danneggia gli occupanti. Analogamente un
veicolo che investe un pedone trasferisce la sua energia al pedone che viene sbalzato lontano. Nel caso di
un motociclista che cade e striscia la schiena a terra,
l’energia di movimento viene trasformata in energia
termica.
Fig. 4. L’energia meccanica di un’auto che urta un albero
viene convertita nella forza che deforma la carrozzeria.
L’energia residua viene trasferita agli occupanti del veicolo
e ai loro organi interni. Il grado di deformazione della carrozzeria può dare una stima dell’energia coinvolta.
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Legge sull’energia cinetica.
L’energia cinetica di un corpo può essere calcolata
con l’equazione:
In cui m è la massa o peso del corpo e υ è la velocità.
Da questa equazione è evidente che la velocità incide
maggiormente rispetto alla massa nel calcolo dell’energia cinetica. Ne deriva che vi saranno molti più
danni in un incidente ad alta velocità rispetto ad una
collisione a bassa velocità e che un corpo leggero,
che viaggia a velocità elevata, ha un energia cinetica
maggiore rispetto ad un corpo pesante che viaggia a
lentamente.
Fig. 5. L’impatto del piantone dello sterzo contro il torace
del conducente di un veicolo che collide ad una velocità di
circa 60 Km/ora può essere considerata equivalente all’urto
di un palo della luce scagliato alla stessa velocità contro il
torace di un individuo fermo.
Distanza di arresto
Un altro fattore importante da considerare in una collisione è la distanza di arresto. Prima dell’urto, il veicolo
e il conducente si muovono alla stessa velocità. Al
momento dell’urto, entrambi decelerano fino allo zero.
Questa forza di decelerazione si trasmette al corpo
del guidatore. Se la frenata è lunga, la decelerazione
produce una dissipazione della forza e i danni risultanti saranno proporzionalmente ridotti.
Questa relazione inversa tra la distanza di arresto e le
lesioni risultanti può essere applicata anche alle cadute dall’alto. Una persona ha maggiori possibilità di sopravvivenza dopo una caduta se impatta una superficie comprimibile. La stessa caduta con impatto su una
superficie dura può produrre lesioni molto più gravi.
Questo principio vale anche per altre tipologie di incidente. Ad esempio, un veicolo che urta contro un pilastro si danneggerà più seriamente di un veicolo che
ne tampona un altro(l’energia viene assorbita e dissipata da entrambi i veicoli).
Cavitazione
Quando un oggetto in movimento colpisce il corpo
umano, o viceversa, i tessuti vengono allontanati dalla
loro posizione creando una cavità temporanea o permanente.
La cavità temporanea che si forma al momento dell’impatto, a seconda dell’elasticità del tessuto, può
scomparire quando i tessuti colpiti ritornano nella loro
posizione. Non è quindi visibile quando il soccorritore
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esamina il paziente. La formazione di una cavità temporanea crea uno stiramento dei tessuti mentre una
cavità permanente è causata dalla compressione o
lacerazione dei tessuti. In questo caso i tessuti non
ritornano alla forma originaria e quindi la cavità può
essere ancora visibile dopo l’impatto.
Fig. 6. Un colpo al torace con una mazza da baseball o un
pugno all’addome non lasciano alcuna impronta evidente,
ma causano certamente danni. Pertanto, la raccolta completa delle informazioni sull’evento consentirà al soccorritore di determinare approssimativamente la dimensione della
cavità creatasi al momento dell’impatto e di prevedere le
lesioni possibili.
TRAUMA CHIUSO E PENETRANTE
In generale i traumi vengono classificati in chiusi o
penetranti, ciò che unicamente li distingue è la penetrazione della cute.
Lo scambio di energia è direttamente correlato alla
densità e alla superficie dell’area frontale nel punto di
contatto tra l’oggetto e il corpo della vittima. Se tutta
l’energia di un oggetto è concentrata su una piccola
area di cute, essa verrà probabilmente lacerata e l’oggetto penetrerà all’interno dei tessuti. Mentre se l’energia è distribuita su un area cutanea maggiore l’oggetto non penetrerà nei tessuti.
Nel trauma chiuso le lesioni sono dovute a lacerazione e cavitazione. La cavità che si forma è di tipo temporaneo, mentre nel trauma penetrante si formano sia
una cavità temporanea che una permanente.
Trauma chiuso
Nel caso di un trauma chiuso, nell’impatto sono coinvolte due forze: distrazione (o strappamento) e compressione. La forza di distrazione è determinata dal
fatto che un organo o una struttura cambia velocità
più rapidamente di un altro organo o di un’altra struttura. La forza di compressione è il risultato dello schiacciamento di un organo o di una struttura contro un
altro organo o struttura.
Trauma penetrante
Numerosi oggetti sono in grado di produrre lesioni
penetranti, nel novero sono da comprendere le ferite
da lama (punta e taglio) e le ferite da arma da fuoco.
La gravità delle lesioni da lama dipendono essenzialmente dai seguenti fattori: lunghezza della lama, angolo di penetrazione della stessa e regione del corpo
interessata. Ad esempio una pugnalata nella regione
alta dell’addome può aver causato lesioni intratoraciche e viceversa, una ferita della base del torace può
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aver determinato lesioni della milza o del fegato. È
importante ricordare che qualora l’agente causale della lesione fosse ancora ritenuto nel corpo della vittima,
questo non andrà rimosso per nessun motivo perché
la presenza del corpo estraneo consente talora di garantire l’emostasi di un vaso lesionato e perché la rimozione “alla cieca” senza visualizzazione chirurgica
può compromettere il successivo trattamento. È quindi
buona norma mantenere in sede qualsiasi corpo estraneo penetrante, riducendone la dimensione se
necessario e stabilizzandolo con mezzi di contenzione
(garze, medicazioni,…) in modo da limitarne i movimenti.
Nel caso di ferite da arma da fuoco particolarmente
rilevanti nel determinare la gravità della lesione appaiono la regione corporea colpita, il tragitto del
proiettile (foro di entrata e di uscita) e il tipo e velocità
del proiettile stesso. La valutazione di questi aspetti
può essere di grande aiuto nella comprensione dei
sintomi e nella gestione del paziente.
Fig. 7. Il danno ai tessuti, nella cavità temporanea, è maggiore di quello creato dalla cavità permanente generata dal
passaggio di un proiettile. Quanto più veloce o grosso è il
proiettile, tanto più grande sarà la cavità temporanea e
maggiore la zona di tessuto danneggiata.
La cinematica dei traumi chiusi e penetranti viene approfondita ulteriormente alla fine del capitolo.
Indicatori di trauma grave
(in base alla cinematica)
Elevata EC trasmessa
¬
Caduta da un altezza > 5 mt;
¬
Grave deformazione del veicolo;
¬
Cappottamento del veicolo;
¬
Impatto ad alta velocità.
Impatto ad elevata EC
¬
Morte di un altro passeggero del veicolo;
¬
Tempo di estricazione > 20 min.
Ridotta protezione della persona
¬
Proiezione esterna dal veicolo;
¬
Pedone, ciclista o motociclista travolto;
¬
Pedone, ciclista o motociclista proiettato lontano o arrotato.
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VALUTAZIONE PRIMARIA
Nel paziente politraumatizzato, le priorità principali
sono la rapida identificazione e trattamento delle lesioni pericolose per la vita.
La mortalità e gli esiti invalidanti conseguenti ai traumi, sono legati all’effetto diretto dell’impatto iniziale
(danno primario) ed al manifestarsi di condizioni, come ipossia, ipercapnia, ipovolemia ed ipotensione,
che aggravano l’entità delle lesioni e causano danni
spesso irreversibili (danni secondari).
Alla base delle lesioni critiche pericolose per la vita
molto spesso vi è la mancanza di una adeguata ossigenazione dei tessuti che conduce a un metabolismo
anaerobio (produzione di energia senza ossigeno),
meccanismo che è alla base dello shock.
I punti chiave per la valutazione e il trattamento di un
traumatizzato sono: (1) vie aeree, (2) ventilazione, (3)
ossigenazione, (4) controllo dell’emorragia e (6) perfusione. Questa sequenza garantisce la capacità dell’organismo di ossigenare le cellule e dei globuli rossi di
distribuire ossigeno ai tessuti.
La strategia da impiegare prevede una sequenza di
priorità diagnostico-terapeutiche che vanno affrontate
sempre rigorosamente nella stessa sequenza: prima
la pervietà delle vie aeree (A), poi la ventilazione (B),
infine la circolazione (C) secondo lo schema:
1. identificazione delle condizioni di pericolo
2. trattamento delle condizioni di pericolo
3. rivalutazione continua e contemporanea di 1 e 2
Per il soccorritore, deve essere automatico stabilire
rapidamente le priorità e portare a termine la valutazione primaria entro breve termine. Perciò bisogna
memorizzare le fasi della valutazione, comprenderne
la progressione logica e ricordare la sequenza di trattamento.
Qualora la valutazione primaria dia esito negativo,
ovvero paziente critico o instabile, il soccorritore non
dovrà procedere oltre con la valutazione secondaria.
Se fosse necessario, dovrà attuare sul posto le manovre di rianimazione o provvedere al trasporto veloce in
ospedale garantendo comunque l’immobilizzazione
atraumatica della colonna. Questo non elimina la necessità di un trattamento preospedaliero, significa solo: farlo in fretta, farlo bene e farlo in corsa verso l’ospedale.
Fortunatamente, la maggioranza dei traumatizzati non
si presentano in condizioni critiche al termine della
valutazione primaria. In questi casi i soccorritori possono impiegare un tempo maggiore per la valutazione
primaria e secondaria.
La valutazione primaria inizia con un colpo d’occhio
globale delle condizioni generali del traumatizzato per
identificare ogni problema evidente riguardante l’ossigenazione, la circolazione, le emorragie o la presenza
di grossolane deformità. Quando il soccorritore si avvicina al ferito, può vedere se sembra respirare sufficientemente, se è vigile o incosciente o se si muove
spontaneamente.
Anche se l’impressione generale, soprattutto all’occhio di un soccorritore poco esperto, può sembrare
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buona, non bisogna prescindere dall’effettuare un’attenta e critica valutazione oggettiva delle condizioni
sistemiche generali.
La valutazione primaria deve procedere rapidamente
(non più di 30-60 secondi) ripercorrendo uno schema
in 5 punti (A-B-C-D.E).
La valutazione nel PHTLS è basata sul concetto
“tratto quando trovo”, cioè il trattamento viene intrapreso man mano che viene identificata una condizione pericolosa per la sopravvivenza.
Valutazione primaria
A
B
C
D
E
Airway & cervical spine control - pervietà
delle vie aeree e controllo rachide cervicale
Breathing- respirazione e ventilazione
Circulation - circolazione e controllo delle
emorragie
Disability - stato neurologico
Exposure - esposizione: scoprire il paziente prevenendo l’ipotermia
Valutazione simultanea
Nel descrivere i processi decisionali e di trattamento nel soccorso al traumatizzato, le informazioni devono necessariamente essere presentate in un formato lineare (la fase A seguita
dalla fase B ecc). Questa presentazione delle
informazioni rende le spiegazioni più semplici e
facilita la comprensione e la memorizzazione
dei concetti. Nella realtà pratica, il nostro cervello può valutare le informazioni ricevute contemporaneamente da tutte le sorgenti, categorizzarle secondo le priorità e ordinarle in modo
da seguire l’albero decisionale indicato. L’elaborazione simultanea di questi dati consente al
soccorritore di identificare quale componente
debba essere trattata per prima. Per quanto
l’approccio ABCDE descritto possa anche non
rispecchiare la sequenza con cui le informazioni vengono raccolte o ricevute, esso serve a
stabilire le priorità di trattamento.
FASE A
VIE AEREE
La pervietà delle vie aeree è sempre la priorità assoluta. Di ipossia si muore in pochissimi minuti. Emorragia
e ipovolemia portano a morte in tempi nettamente superiori.
Le vie aeree devono essere valutate rapidamente per
assicurare che siano pervie (aperte e libere) e che
non ci sia pericolo di ostruzione.
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L’ostruzione delle prime vie aeree può essere dovuta
a:
¬ Caduta della lingua (soggetto incosciente);
¬ Materiale estraneo (sangue vomito, cibo, denti
ecc.);
¬ Edema o spasmo delle vie aeree;
¬ Trauma diretto alle vie aeree.
Prima di iniziare le manovre di ripristino della pervietà
delle vie aeree deve essere valutata la coscienza del
paziente. Se il paziente parla o sta respirando adeguatamente potrebbe non essere necessario eseguire
alcuna manovra, se al contrario il paziente è incosciente o è presente una ostruzione delle vie aeree
ricordiamo che la manovra di iperestensione del capo
deve essere sempre evitata, potendo determinare lo
scivolamento-lussazione di una vertebra instabile e
provocare lesioni al midollo.
Per valutare lo stato di coscienza di un traumatizzato
chiamare ad alta voce il soggetto e applicare uno stimolo doloroso (pizzicotto) a livello del brodo anteriore
del muscolo trapezio (sopra la clavicola); evitare di
scuotere il soggetto per le spalle.
Per garantire la pervietà delle vie aeree nel traumatizzato si possono utilizzare tecniche alternative quali:
1. sub-lussazione della mandibola; la trazione della
mandibola può essere eseguita anche se fratturata
perché comunque facilita la pervietà delle vie aeree.
2. apertura della bocca ed impiego di cannule orofaringee.
Il posizionamento di un collare cervicale talora permette di per sé di risolvere un’ostruzione delle vie aeree.
Un'altra priorità è rappresentata dalla rimozione delle
secrezioni o materiale estraneo attuata con un aspiratore portatile o con una pinza per il materiale voluminoso.
È opportuno che gli aspiratori da soccorso siano dotati
anche di una cannula rigida ad ampio lume (tipo chirurgico), essendo molto più efficaci per rimuovere vomito e corpi semi-solidi.
Ricordate di iperossigenare sempre il paziente prima
e dopo l’aspirazione.
(Per l’esecuzione di queste tecniche si rimanda al capitolo sul BLS).
STABILIZZAZIONE DELLA COLONNA CERVICALE
In ogni traumatizzato con un significativo meccanismo
di lesione bisogna sospettare una lesione della colonna vertebrale fino a quando questa non sia stata definitivamente esclusa (evidenza radiografica).
Il soccorritore, mentre mantiene la pervietà delle vie
aeree, deve sempre ricordare che sussiste la possibilità di un danno alla colonna cervicale. I movimenti
eccessivi potrebbero provocare o aggravare un danno
neurologico. Ne deriva che durante tutte le manovre di
valutazione il collo deve essere mantenuto manualmente in posizione neutra.
Il collare cervicale deve essere sempre posizionato a tutti i traumatizzati subito dopo aver verificato la
pervietà delle vie aeree.
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Va ricordato che il collare impedisce solo i movimenti
di flesso-estensione ma permette i movimenti di rotazione laterale della testa. Per questo motivo l’immobilizzazione manuale del capo deve essere mantenuta
finché non sia garantita una completa immobilizzazione spinale completa (paziente su tavola spinale con
fermacapo e cinghie ben allacciate).
La tecnica di posizionamento del collare cervicale è
descritta nella sezione “tecniche specifiche”.
Va ricordato che l'assenza di segni e sintomi caratteristici non rende mai superflua l'immobilizzazione. Infatti, in alcuni traumatizzati perfettamente coscienti e con
fratture del rachide, il dolore manca completamente
nel 27% dei casi; inoltre, sempre in presenza di frattura, il dolore è assente nel 72% dei casi se il paziente è
in coma o solo confuso. Infine, l’assenza di dolore a
livello del rachide è particolarmente frequente nei feriti
che presentano traumi gravi a livello di altri distretti.
Fig. 8. Durante tutte le fasi della valutazione primaria, il
soccorritore posto dietro la testa del traumatizzato si occuperà di mantenere in posizione neutrale il collo.
FASE B
RESPIRAZIONE- VENTILAZIONE
Se pur resa cronologicamente conseguente, con finalità squisitamente didattiche, la valutazione della presenza di respiro avviene inevitabilmente in maniera
contemporanea al controllo della pervietà delle vie
aeree. Un paziente che verbalizza, ad esempio, è di
fatto cosciente, ha le vie aeree pervie, ventila ed ha
verosimilmente una pressione sistolica >50 mmHg.
La prevenzione dell'ipossia e dell'ipercapnia
(concentrazione elevata di CO2 nel sangue) costituiscono una priorità assoluta nel trattamento del traumatizzato, specialmente in presenza di un trauma cranico. È quindi necessario garantire tempestivamente,
oltre alla pervietà delle vie aeree, la somministrazione
di ossigeno ed un adeguato supporto ventilatorio.
Le cause di insufficienza respiratoria (acuta posttraumatica), oltre all’occlusione delle prime vie aeree
(già analizzata al punto A - Airways), possono essere
numerose e legate al meccanismo traumatico o a cau-
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se neurologiche (vedi sezione dedicata ai traumi maggiori).
La valutazione della ventilazione e l’eventuale trattamento devono essere rapidi.
In caso di arresto respiratorio (apnea o gasping) si
dovrà procedere con le normali manovre rianimatorie
illustrate nel protocollo BLS, naturalmente evitando
sempre l’iperestensione del capo.
Il punto B della valutazione primaria prevede pertanto:
1.
Valutazione delle condizioni della ventilazione:
Nella fase B può essere utile per ricordare le valutazioni da compiere la regola dell’ OPACS:
O: Osservo
Osservare il carattere del respiro (eupnoico, disponico, gasping ecc.), la profondità della ventilazione
(superficiale, normale o profonda) ed esaminare
visivamente il torace alla ricerca di ferite, contusioni, corpi estranei ecc. Valutare la presenza di cianosi (segno tardivo di ipossia).
P: Palpo
Palpare il torace valutando l’espansione toracica di
entrambi gli emitoraci (simmetrica, asimmetrica), la
presenza di avvallamenti o lesioni ossee evidenti,
la presenza di enfisema sottocutaneo (raccolta di
aria sottocute che provoca un caratteristico crepitio
alla palpazione).
A: Ausculto- ascolto
Auscultare il torace con il fonendoscopio per identificare suoni ventilatori anormali, diminuiti o assenti.
L’auscultazione del torace non è consigliata ai Volontari perché richiede una elevata esperienza pratica. Il soccorritore deve comunque prestare attenzione alla presenza di rumori caratteristici della
respirazione difficoltosa (rantoli, fischi, stridore,
voce roca, ecc.).
C: Conto
Valutare la frequenza respiratoria contando gli atti
respiratori
FR normale o eupnoica: 12-20 atti/min per l’adulto.
FR rallentata o bradipnea: < 12 atti/min. una frequenza ventilatoria molto bassa può indicare ischemia cerebrale (diminuito apporto di ossigeno alle
cellule del cervello).
FR rapida o tachipnea: 20-30 atti/min. una FR > a
30 atti/min indica una tachipnea grave. La causa
che provoca l’aumento della FR è l’aumentato accumulo di anidride carbonica nel sangue o un basso livello di ossigeno. Una FR elevata indica che i
tessuti non ricevono abbastanza ossigeno. La carenza di O2 innesca il metabolismo anaerobio e
alla fine un aumento della CO2.
S: Saturimetria
Appena possibile valutare la saturazione di ossigeno con il pulsossimetro. Se lo strumento non è immediatamente disponibile, non ritardare le successive fasi di valutazione; la saturazione può essere
rilevata anche in un secondo tempo.
Un segno di allarme è il riscontro di una saturazione inferiore a 90% o una saturazione che non migliora con l’ossigeno.
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2.
Manovre terapeutiche e provvedimenti
Ossigeno sempre - Il primo fondamentale provvedimento terapeutico da attuare in un paziente politraumatizzato è quello di somministrare ossigeno puro
(100%), al fine di ottenere una correzione dell’ipossiemia.
Anche in presenza di FR normale, il soccorritore deve
comunque osservare il traumatizzato attentamente.
Sebbene possa apparire attualmente stabile, è opportuno prendere comunque in considerazione la somministrazione di ossigeno supplementare.
Nei pazienti in respiro spontaneo è indicato l’utilizzo di
mascherine con reservoir (utilizzando un flusso di 12 15 lt/min e con il reservoir gonfio).
Assistenza ventilatoria - In caso di depressione respiratoria (FR rallentata eccessivamente) o tachipnea
grave, la ventilazione deve essere assistita avendo
tuttavia sempre cura di rispettare il rachide cervicale.
Utilizzare quindi un pallone AMBU collegato a fonte di
ossigeno e ventilare il paziente coordinandosi con i
sui atti respiratori residui.
In caso di arresto respiratorio iniziare le manovre rianimatorie così come descritto nel manuale BLS.
FR (atti/min)
Trattamento
Apnea o gasping
Ventilazione artificiale
Rallentata (<12)
Ventilazione assistita o totale
Normale (12-20)
Osservazione
Eventuale O2 supplementare in
maschera (12-15 lt/min)
Rapida (20-30)
O2 in maschera (12-15 lt/min)
Eccessivamente
rapida (>30)
Ventilazione assistita
Tab. 1. Principi del trattamento della ventilazione basato
sulla frequenza respiratoria spontanea.
FASE C
CONTROLLO DELLE EMORRAGIE
La priorità di trattamento al punto C - Circulation è
sempre la ricerca e l’identificazione di importanti foci
emorragici, in particolare di quelli esterni comprimibili
(fondamentalmente a carico degli arti).
L’identificazione ed il trattamento rapido delle emorragie è una priorità assoluta perchè la perdita di sangue
può portare rapidamente alla morte per shock ipovolemico.
La valutazione primaria non potrà avanzare se le emorragie non saranno sotto controllo.
Il trattamento delle emorragie, soprattutto quelle interne, non è facile in ambiente extraospedaliero quindi il
riscontro di un emorragia importante deve indurre il
soccorritore ad optare per il trasporto veloce in ospedale.
Le tecniche da utilizzare per cercare di arrestare un
emorragia esterna dipendono dall’entità della lesione.
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Controllo
delle
emorragie
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Pressione diretta
L’unica tecnica sicuramente efficace, ed al contempo la meno dannosa per i tessuti, è la pressione diretta sul focolaio emorragico attraverso
una compressione manuale.
Comprimere il focolaio di emorragia posizionando un pacchetto di garze fissato con un bendaggio compressivo. In questo modo si esercita
una pressione selettiva sul vaso lesionato determinando una minore danno ischemico dei
tessuti a valle. Non rimuovere mai una medicazione una volta applicata altrimenti potreste far
ricominciare l’emorragia e provocare un’ulteriore lesione.
Porre un’altra garza sopra quella ormai inzuppata di sangue; continuare così fino a quando
l’emorragia non si è arrestata o fino a quando
non affidate la vittima al personale di una struttura sanitaria.
L’applicazione di una pressione diretta richiede
l’impegno di un soccorritore che deve essere
distolto da altre procedure; se possibile farsi
aiutare da eventuali astanti.
Fig. 9. Pressione diretta esercitata mediante una
fasciatura compressiva.
Sollevamento
Questo metodo è impiegato unitamente alla
pressione diretta. Quando si solleva un arto, in
modo che la ferita si trovi sopra il livello del cuore, la forza di gravità riduce la pressione sanguigna e quindi consegue un rallentamento della
fuoriuscita di sangue.
Non di dovrà mai utilizzare questa tecnica in
caso di eventuali fratture o lussazioni, corpi estranei nella ferita o sospetto di lesioni spinali.
Punti di compressione
Se il metodo della pressione diretta e quello
combinato del sollevamento non sortissero ef-
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fetti soddisfacenti, l’approccio successivo sarà l’impiego dei punti di compressione. Scegliere sempre il
punto di compressione a monte della ferita ed esercitare un’energica compressione manuale.
In caso di emorragie esterne nella zona addominale o
toracica non esistono punti di compressione, cercare
quindi di arrestare l’emorragia solo cola pressione
diretta.
Per le emorragie di tutto l’arto inferiore il punto di
compressione si trova nella regione inguinale dove si
avverte alla palpazione il battito dell’arteria femorale
o nell’arteria poplitea (dietro al ginocchio) per le emorragie basse della gamba..
Le emorragie di tutto l’arto superiore, del braccio in
particolare, si bloccano comprimendo l’arteria ascellare che decorre nel cavo ascellare.Se il focolaio emorragico si trova nell’avambraccio o nella mano allora è possibile comprimere l’arteria omerale in corrispondenza dell’incavo interno del gomito.
Le emorragie dei grossi vasi del collo, anche se sono
sempre difficili da arrestare senza intervento chirurgico, potranno eventualmente essere fermate comprimendo nell’incavo tra clavicola e scapola l’arteria
succlavia.
Laccio emostatico
L’applicazione di un laccio emostatico è una misura
estrema che dovrà essere utilizzata come ultima risorsa e quindi impiegato solo quando tutti gli altri metodi per controllare emorragie potenzialmente letali
hanno dato esito negativo. L’applicazione di un laccio
emostatico determina una riduzione o arresto del circolo a valle del punto di applicazione con danni ischemici al tessuto non irrorato e gravi danni da riperfusione una volta che viene ristabilita la normale
circolazione. Tale manovra è pertanto da limitare a
circostanze estreme (emorragie non controllabili o più
feriti con gravi emorragie esterne da soccorrere contemporaneamente); il laccio emostatico risulta invece
indicato nel controllo di emorragie da amputazione.
Una volta applicato, il laccio emostatico non va mai
tolto per non provocare un brusco ripristino della circolazione in grado di generare un forte scompenso
circolatorio.
Riferite sempre al personale sanitario l’ora e i minuti
esatti in cui è stato applicato il laccio.
I punti di applicazione di un laccio emostatico possono essere solamente in corrispondenza della radice
del braccio o a livello della parte alta della coscia.
Fig. 10. Punti di compressione. Da sinistra a destra: a. succlavia, a. ascellare, a. omerale, a. femorale, a. poplitea.
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CONTROLLO DELLA PERFUSIONE
La valutazione del deficit o della compromissione del
sistema circolatorio e fondamentale per valutare il trasporto di ossigeno ai tessuti: non serve a nulla ossigenare i globuli rossi se poi questi non riescono a trasportare l’ossigeno in periferia.
Polso: il primo parametro da rilevare è la presenza/
assenza di polso radiale, che consente di avere anche
un’idea grossolana della frequenza cardiaca. La presenza di polso radiale palpabile è indicativa di una
pressione arteriosa sistolica (PAS) maggiore o uguale
a 90 mmHg. La mancata rilevazione di polso radiale
bilaterale imporrà l’immediata ricerca della presenza
di polso carotideo; la sua presenza indica una PAS fra
50 e 80 mmHg.
L’assenza del polso carotideo implica l’immediata applicazione della manovre rianimatorie (BLS).
Oltre alla presenza di polso, va rilevata la qualità e la
regolarità del polso periferico.
Nella valutazione primaria, la determinazione dell’esatta frequenza cardiaca non è necessaria, mentre
una stima approssimativa consente di procedere speditamente con la valutazione. La reale FC viene rilevata in una fase più avanzata del processo di valutazione.
Riempimento capillare: valutare il tempo di riempimento capillare premendo sul letto ungueale. La pressione esercitata rimuove il sangue dal letto capillare,
la determinazione della velocità con cui si verifica il
ritorno del sangue, apprezzabile dal cambiamento di
colore, è un utile indicatore per valutare la circolazione periferica. Un tempo di riempimento capillare superiore a 2 secondi indica che il letto capillare non sta
ricevendo un’adeguata perfusione. In ogni caso questo parametro, preso da solo, non è del tutto affidabile
come indicatore della perfusione periferica perché
risente di molti fattori (temperatura, utilizzo di farmaci
vasocostrittori o vasodilatatori, vasculopatie periferiche ecc).
Fig. 11. Valutare il riempimento capillare esercitando una
leggera pressione sopra l’unghia. Calcolare il tempo in cui il
colore dell’unghia passa da bianco a rosa.
Cute: valutare il colore della cute (rosea, pallida o
cianotica) la temperatura (calda fredda) e l’umidità
(cute asciutta o sudata). L’alterazione di questi parametri sono indici importanti di shock in fase iniziale.
Pressione arteriosa: la rilevazione della pressione
con lo sfigmomanometro può essere ritardata ed es-
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sere effettuata anche nella valutazione secondaria.
Qualora i tempi per l’estricazione o la liberazione del
paziente si prolungassero, allora la pressione dovrà
essere valutata costantemente. Ricordiamo che una
PAS inferiore a 100 mmHg è indice di shock scompensato e quindi deve indurre il soccorritore non professionale a un immediato allertamento di un’équipe
ALS.
FASE D
VALUTAZIONE NEUROLOGICA
Avendo valutato e corretto, per quanto possibile, i fattori coinvolti nella distribuzione di ossigeno ai polmoni
e nella sua circolazione corporea, il passo successivo
è la misura diretta della funzione cerebrale, che è una
misura indiretta dell’ossigenazione cerebrale. Lo scopo è determinare il livello di coscienza del traumatizzato e accertare una possibile ipossia.
Un livello di coscienza alterato deve allertare il soccorritore di quattro possibili evenienze:
¬ riduzione dell’ossigenazione cerebrale (dovuta a
ipossia e/o ipoperfusione);
¬ lesione del sistema nervoso centrale;
¬ assunzione di alcool, droghe o farmaci;
¬ squilibrio metabolico (diabete, epilessia, arresto
cardiaco).
Un soggetto agitato, combattivo e non collaborante
deve essere considerato come se fosse ipossico, fino
a prova contraria.
Durante la valutazione neurologica, il soccorritore dovrebbe determinare, anche interrogando eventuali
testimoni, se il paziente ha perso conoscenza e se si
per quanto tempo. Inoltre bisogna porre molta attenzione ai fattori confondenti. Paziente sordo-muto, straniero, assunzione di sostanze tossiche, patologie preesistenti che condizionano il livello di coscienza
(demenze, malattie del SNC ecc).
Per valutare il livello di coscienza vi riportiamo due
metodi: la scala AVPU, più semplice e meno accurata,
e la Glasgow Coma Score (GCS), più complessa e
sicuramente più accurata.
Consigliamo ai soccorritori meno esperti di utilizzare il
metodo AVPU e valutare il GCS in un secondo momento quando si hanno a disposizione le schede d’intervento in cui sono riportate le singole voci della scala.
Lo score A.V.P.U.
Il metodo A.V.P.U. è stato finora proposto nella valutazione primaria del soccorso al trauma in quanto ha il
vantaggio di essere assai rapido e di semplice applicazione. Per questi motivi, lo schema A.V.P.U. è utilizzabile indistintamente da qualsiasi soccorritore addestrato, indipendentemente dalla qualifica, e si applica
valutando rapidamente:
A Alert: paziente sveglio, cosciente e reattivo;
V responds to Vocal stimuli: paziente incosciente,
che reagisce ad uno stimolo verbale;
P responds to Painful stimuli: paziente incosciente,
che reagisce ad uno stimolo doloroso;
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U Unresponsive: paziente incosciente, nessuna reazione agli stimoli.
Un paziente rinvenuto in condizioni P o U impone l’immediato allertamento di un’équipe ALS per possibili
problemi legato alla compromissione delle vie aeree.
Glasgow Coma Scale (GCS)
La scala di Glasgow consente una rapida valutazione
dello stato di coscienza indagando tre aspetti essenziali:
¬
E - eyes = apertura degli occhi,
¬
V - verbal = risposta verbale
¬
M - motor = risposta motoria.
punteggio
Apertura degli occhi
Spontanea
Dopo stimolo verbale
Dopo stimolo doloroso
Nessuna
Risposta verbale
Appropriata
Confusa
Parole senza senso
Suoni incomprensibili
4
2
1
dita”. Se il soggetto non esegue il comando deve essere sottoposto ad uno stimolo doloroso e quindi valutata
la miglior risposta motoria. Se tenta di allontanare la
sorgente dello stimolo dolorose è un soggetto che
“localizza” il dolore. Le altre possibili risposte al dolore
includono la retrazione dallo stimolo, la flessione anormale (postura decorticata), l’estensione delle estremità
superiori (postura decerebrata) e l’assenza completa di
mobilità
Il punteggio viene riportato in sequenza per ogni singolo parametro valutato. Ad esempio un GCS di 13 potrà
essere così riportato E3 V4 M6 indicando che il paziente ha perso un punto sulla valutazione dell’apertura
degli occhi e un punto sulla risposta verbale.
Il punteggio massimo GCS è 15 e indica un paziente
privo di deficit neurologici, mentre il punteggio più basso è 3 ed è generalmente un pessimo segno. Un punteggio uguale o inferiore a 8 indica una lesione grave e
indurre il soccorritore a ritenere il paziente un paziente
critico.
La valutazione neurologica al primo esame è importante anche al fine di poter interpretare correttamente l'evoluzione del quadro a una seconda osservazione intra-ospedaliera.
5
4
3
2
Nessuna
1
Risposta motoria
Esegue ordini semplici
6
Localizza uno stimolo doloroso
5
Retrae allo stimolo doloroso
Flette gli arti allo stimolo
Estende gli arti allo stimolo
Non reagisce
4
3
2
1
TOT:___
Tab. 2. Glasgow Coma Score (GCS).
Per ogni voce dell’ EVM viene assegnato il punteggio in
base alla miglior risposta fornita. Per esempio, se l’occhio destro del traumatizzato è talmente tumefatto da
non potersi aprire, ma il sinistro si apre spontaneamente, allora il punteggio per la componente E sarà 4. Se il
soggetto con gli occhi chiusi li apre al comando verbale
del soccorritore (“apri gli occhi”) allora il punteggio sarà
3. Se non reagisce allo stimolo verbale, allora dovrà
essere applicato uno stimolo doloroso (pizzicotto).
Per valutare la risposta verbale si formulare domande
del tipo “Cosa ti è successo?”, “come ti chiami?”, “che
giorno è oggi?”. Se il soggetto è orientato, riuscirà a
fornire una risposta coerente (appropriata), altrimenti la
risposta verbale verrà valutata come confusa, inappropriata, incomprensibile o assente.
Per valutare la terza componente, la risposta motoria, il
soccorritore deve dare al soggetto un unico semplice e
non ambiguo comando come, ad esempio: “solleva due
Fig. 12. Risposta allo stimolo doloroso: flessione anormale
(a sinistra) ed estensione anormale (a destra).
Pupille
Il soccorritore più addestrato potrà ricevere ulteriori
informazioni dall’esame delle pupille. Le pupille possono essere uguali o diverse (anisocoriche), di aspetto normale, puntiformi (miosi) o dilatate (midriasi), reagenti o non reagenti alla luce (la pupilla normale risponde alla luce restringendosi).
Fig. 13. Dall’alto verso il basso: pupille normali, dilatate
(midriasi), diseguali (anisocoriche), e ristrette (miosi).
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FASE E
ESPOSIZIONE & PROTEZIONE TERMICA
La valutazione primaria si conclude idealmente con
l’esposizione dei distretti corporei (svestizione del paziente) limitando i movimenti attivi e passivi del ferito e
la simultanea protezione termica (impiego di coperte
e/o metalline). Tuttavia in ambiente preospedaliero il
punto E viene effettuato limitatamente a quanto concesso dalle condizioni meteorologiche e tenuto conto
della necessità di non esporre il paziente alle basse
temperature e rispettare la privacy. La regola generale
è rimuovere tanti vestiti quanto è necessario per determinare la presenza o assenza di una certa condizione o lesione. Il soccorritore non deve temere di
spogliare il soggetto se quello è il solo modo per effettuare correttamente la valutazione.
Restando inteso che i vestiti bagnati devono comunque essere rimossi, per quanto riguarda gli abiti asciutti ci si comporterà tenendo conto sia dell’esigenza di poter procedere ad un esame obiettivo il più
completo possibile (senza che sfuggano eventuali foci
emorragici), ma anche della situazione ambientale
magari eseguendo questa fase della valutazione una
volta all’interno del mezzo di soccorso. Il telo metalline
deve essere impiegato subito per prevenire l’ipotermia. Ricordiamo che tale presidio non riscalda il soggetto ma ne evita la dispersione termica, quindi dovrà
essere posizionato a diretto contatto con il soggetto
con la parte oro verso l’esterno.
Fig. 14. I vestiti possono essere rapidamente rimossi tagliandoli come indicato dalle linee tratteggiate..
STABILIRE LE PRIORITÀ
Se durante la valutazione primaria vengono identificate delle lesini potenzialmente mortali. Il traumatizzato
deve essere rapidamente “impacchettato” dopo aver
intrapreso le limitate procedure indicate sulla scena.
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In assenza di impedimenti contingenti, i soccorritori
devono limitare la presenza sulla scena a un massimo
di 10 minuti, o anche meno qualora la valutazione primaria dia esito negativo (paziente critico o instabile).
In questi casi procedere al trasporto urgente dopo
aver garantito l’immobilizzazione spinale.
La valutazione secondaria preospedaliera inizia solo
una volta completata la primaria e se le condizioni del
ferito lo consentono. Al termine dell'ABCDE primario
devono essere stati garantiti: pervietà delle vie aeree,
ventilazione e circolo. Tutti i feriti devono avere: un collare cervicale, e, con l'eccezione dei soli traumi minori,
O2 alla massima concentrazione di ossigeno. Qualora
l’equipe di soccorso sia composta da personale professionale (medici e infermieri) è opportuno che i feriti (con
l’esclusione dei soli traumi minori) abbiano una via venosa (due se vi sono segni di compromissione emodinamica o se il trauma è maggiore).
NON PASSARE ALLA VALUTAZIONE SECONDARIA
SE IL PAZIENTE NON E’ STABILE.
Limitare la permanenza sulla scena ad un massimo di 10 minuti in
presenza di alcune delle seguenti
condizioni:
¬ Cinematica sfavorevole = impatto
alta energia
¬ Vie aeree compromesse o a rischio
¬ Ventilazione difficoltosa e non migliorata dall’ossigeno
- FR alterata
- Ipossia – SpO2 < 95% con ossigeno
- Dispnea
- PNX aperto, iperteso o sospetto
¬ Emorragia esterna importante o sospetta emorragia interna
¬ Segni di shock avanzato
¬ Stato neurologico anormale
- GCS< 13
- Convulsioni
- Deficit motori o sensitivi
¬ TRAUMI PENETRANTI
¬ Amputazioni
¬ Ipotermia
¬ Gravidanza
¬ Ustioni estese
¬ Altre patologie concomitanti
¬ Età > 55 anni
Tab. 3. Principali criteri che definiscono un traumatizzato
critico o instabile.
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VALUTAZIONE SECONDARIA
Terminata la valutazione primaria, si passa quindi all'identificazione delle singole lesioni (certe o potenziali).
L’obiettivo di questa fase denominata Valutazione secondaria è identificare lesioni o problemi che non siano stati identificati nella valutazione primaria.
Dal momento che una valutazione primaria ben eseguita identifica tutte le condizioni pericolose per la vita, la valutazione secondaria identifica i problemi meno gravi. Permette di escludere quindi lesioni non rilevate precedentemente e che possono comportare rischi durante il trasporto (foci emorragici, presenza di
ferite o corpi penetranti). I tempi di esecuzione devono
pertanto essere molto brevi e la valutazione può essere
sospesa, se necessario, quando, nel corso dell'esame
si evidenziano segni clinici che indicano la necessità di
una centralizzazione immediata (segni d'allarme o red
flags).
La valutazione secondaria, eseguita secondo uno
schema semplificato, può permettere anche a personale non professionale l’identificazione di segni di allarme
tali da indurre a richiedere l’intervento immediato di
un’equipe ALS.
Valutazione secondaria
1.
2.
3.
Segni vitali
Esame testa - piedi
Anamnesi (SAMPLE)
Segni vitali
Il soccorritore deve continuamente rivalutare la qualità
del polso e della frequenza respiratoria e tutti gli altri
elementi della valutazione primaria, poiché possono
verificarsi anche repentinamente dei cambiamenti significativi. In questa fase i segni vitali devono essere
valutati anche quantitativamente.
Il gruppo completo dei segni vitali comprende: FR, Saturazione di O2, FC, PAO. La valutazione neurologica,
GCS, pupille, stato motorio e sensibilità di tutte e quattro le estremità, potrà essere eseguita con maggiore
attenzione rispetto a quella sommaria eseguita durante
la valutazione primaria.
A seconda della situazione, i segni vitali possono essere raccolti simultaneamente da un secondo soccorritore, mentre il primo prosegue con le fasi successive della valutazione. È consigliabile ripetere le valutazioni
ogni 3-5 minuti o comunque dopo ogni cambiamento
nelle condizioni o alla comparsa di nuovi problemi.
Anamnesi (SAMPLE)
Il soccorritore dovrebbe cercare di raccogliere il maggior numero di informazioni da riportare nella scheda
d’intervento e comunicare poi al personale sanitario.
Per facilitare questo compito può essere utile ricordare l’acronimo SAMPLE
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S
A
M
P
L
E
Segni e sintomi
Allergie
Medicine- farmaci che il paziente ha assunto o
assume regolarmente
Patologie: problemi medici rilevanti o interventi
chirurgici recenti.
uLtimo pasto
Eventi correlati al trauma
Esame testa - piedi
La valutazione secondaria adotta l’approccio “guarda
ascolta e senti”; il corpo viene indagato, identificando
lesioni segni e sintomi, regione per regione partendo
dalla testa e arrivando ai piedi (esame testa piedi).
Osservare
¬ Esaminare tutta la cute di ogni regione.
¬ Rilevare emorragie esterne o segni di emorragie
interne, quali gonfiore di un arto o ematoma in espansione.
¬ Notare lesioni dei tessuti molli (abrasioni, contusioni,
ustioni, ferite).
¬ Rilevare masse, gonfiori o deformazioni che non
dovrebbero esserci.
¬ Rilevare particolari alterazioni della cute e del suo
colore.
¬ Annotare qualsiasi cosa che “non sembra normale”.
Ascoltare
¬ Notare qualsiasi rumore anormale durante la respirazione.
Palpare
¬ Muovere attentamente e delicatamente ogni osso
della regione, rilevare se questa manovra produce
crepitii, dolore o movimenti non naturali.
¬ Palpare fermamente ogni parte della regione. Annotare se si muove qualcosa che non dovrebbe muoversi o se si avverte qualcosa di anormalmente molliccio, se si rilevano pulsazioni che non dovrebbero
esserci e se tutti i polsi sono presenti.
TESTA
Cranio - Ispezione e palpazione della teca cranica dal
vertice alla base per ricercare ferite penetranti, fratture
evidenti. Ricercare attentamente tra i capelli della vittima la presenza di lesioni o sanguinamenti.
Base cranica - Ricerca di segni che possono far sospettare una frattura: otorragia, segno del procione
(ematoma periorbitale), ematoma mastoideo.
Encefalo - Ricerca di segni di sospetta lesione intracerebrale: anomalia delle pupille Ricontrollo regolare
del livello di coscienza Segni di allarme sono la comparsa o l’aggravamento di confusione, agitazione, sopore, coma (Glascow Coma Scale < 8, livello P della
scala AVPU). Talvolta dopo il trauma il paziente può
rimanere per qualche tempo in condizioni relativamente buone prima di evidenziare un approfondimento
dello stato di coscienza (intervallo libero). Attenzione
anche alla comparsa di crisi convulsive.
Faccia - ricerca di evidenti fratture con emorragie
massive, ferite penetranti; la presenza di uno di questi
segni può comportare rischi importanti di compromissione delle vie aeree.
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E’ importante considerare che un trauma facciale severo è frequentemente associato a trauma cranico e/o
a trauma del rachide cervicale che impongono una
attenta valutazione e gestione del paziente.
Il controllo delle emorragie della faccia si ottiene con
la compressione diretta della ferita, limitandosi ad esercitare una pressione sufficiente a fermare il flusso
di sangue. I corpi penetranti conficcati nella guancia
sono gli unici che possono essere rimossi.
Lesioni bulbi oculari - In loro presenza, riferimento
immediato a centro con Oculistica. Attenzione, il paziente non deve tossire! Verificare l’eventuale presenza di lenti corneali a contatto e segnalarne la presenza.
Fig. 15. L’esplosione dell’airbag contro gli occhiali può produrre abrasioni al volto.
COLLO
Tessuti molli - Ricerca di ferite penetranti, ematomi
pulsanti, enfisema sottocutaneo (possibile compromissione delle vie aeree e grossi vasi). La presenza di
stridore inspiratorio, voce roca, grave difficoltà respiratoria possono indicare un trauma laringeo.
Rachide cervicale - Ricerca di segni e sintomi di
interessamento midollare: parestesie, paresi, alterazione della sensibilità e motilità ai 4 arti, ipotensione
con bradicardia relativa.
TORACE
I segni ed i sintomi suggestivi di lesioni potenzialmente e rapidamente fatali (pnx iperteso, pnx aperto) dovrebbero già essere stati individuati nell’ambito della
valutazione primaria; nel corso della valutazione secondaria bisogna confermare l’assenza di queste patologie e ricercare i segni più sfumati evocativi di trauma toracico maggiore. Tra i segni evocatori di lesione
toracica maggiore ricordiamo: contemporanea presenza di lesioni craniche e addominali (il torace è in mezzo. In caso di ferite penetranti (potenziali lesioni vascolari maggiori) i corpi trapassanti non devono essere rimossi.
ADDOME
Parete - Ricerca ferite penetranti, rapida distensione
della parete addominale, (emorragia acuta?) ; NB: I
corpi trapassanti non devono essere rimossi.
Valutare attentamente la zona in prossimità dell’ombelico alla ricerca di una contusione posta trasversalmente sull’addome. Questa lesione (segno della cintura di sicurezza) può segnalare la presenza di lesioni
interne anche gravi causate da una cintura di sicurezza non indossata correttamente.
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Fig. 16. Una cintura di sicurezza posta al di sopra del margine del bacino, in posizione non corretta, provoca la compressione degli organi tra la parete addominale posteriore
in movimento e la cintura stessa. Possono verificarsi lesioni
del pancreas e degli organi retroperitoneali, nonché lesioni
da scoppio del piccolo intestino e del colon..
BACINO
Una lesione traumatica dell’anello pelvico presuppone
un trauma di elevata energia che si associa frequentemente a lesioni degli organi interni. La pelvi deve essere palpata una sola volta per la ricerca di instabilità
ponendo un pressione lieve ed uguale sopra le creste
iliache (direzione mediale). Dal momento che questa
manovra può aggravare l’emorragia, deve essere eseguita una sola volta.
Ricordare che il sanguinamento da fratture pelviche
complesse è sempre rilevante; perciò le gravi fratture
del bacino comportano una mortalità elevata.
Particolare attenzione va riservata alle fratture esposte, sospettabili in presenza di evidenti asimmetrie o
di lesioni sanguinanti; si tratta di lesioni gravissime,
che presuppongono traumi di estrema violenza, gravate da altissima mortalità.
Fig. 17. Posizione della mani nella manovra per verificare
la stabilità del bacino.
DORSO
La parte posteriore del tronco deve essere sempre
esaminata.Se il soggetto si trova in posizione supina,
la valutazione può essere eseguita quando si effettua
il log-roll del soggetto per posizionarlo su una tavola
spinale.
ARTI
La valutazione delle estremità inizia a livello della clavicola per gli arti superiori e a livello del bacino per gli
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arti inferiori e procede verso la porzione più distale di
ciascuna estremità.
Vasi - Ricerca di foci emorragici non identificati durante la valutazione primaria. Ossa e articolazioni - Ricerca di segni e/o sintomi di frattura (allineamento ove
possibile, immobilizzazione).
TRATTAMENTO
Le fasi del trattamento preospedaliero di un traumatizzato prevedono:
¬ l’immobilizzazione del paziente in posizione supina
su una tavola spinale rigida mantenendo un allineamento neutrale.
¬ Splintaggio delle lesioni muscoloscheletriche. Immobilizzazione di tutte le fratture delle estremità
con appositi presidi.
¬ Medicazione delle ferite, se necessario.
Generalmente il trattamento definitivo per un paziente
traumatizzato può essere soltanto la sala operatoria.
Ogni ritardo nel trattamento definitivo riduce la possibilità di sopravvivenza.
Il trattamento fornito al paziente traumatizzato sul
campo è come la RCP per il soggetto in arresto cardiaco: è un azione di mantenimento. Garantisce la
sopravvivenza fino al trattamento definitivo.
I presidi, e le relative tecniche di utilizzo, per garantire
l’immobilizzazione vengono riportati nelle schede
”tecniche specifiche”.
TRASPORTO
Il trasporto verso la struttura sanitaria idonea, deve
iniziare non appena il paziente è stabile e immobilizzato correttamente.
Per alcuni traumatizzati critici, l’inizio del trasporto è
l’aspetto più importante del trattamento definitivo sul
campo.
Se il ferito presenta degli indicatori di rischio, non bisogna indugiare sulla scena dell’evento. La valutazione secondaria può essere eseguita anche durante il
trasporto.
Nella nostra realtà, la scelta dell’ospedale verso cui
centralizzare il traumatizzato viene effettuata dalla
Centrale Operativa del 118 sulla base delle informazioni fornite dai soccorritori. Quindi una corretta raccolta e trasmissione delle informazioni è fondamentale
per trasportare il traumatizzato all’ospedale appropriato più vicino, cioè l’ospedale più vicino meglio attrezzato per far fronte ai suoi problemi.
MONITORAGGIO E RIVALUTAZIONE
Durante il trasporto il soccorritore deve continuare
sempre a monitorare le funzioni vitali e ripeter la valutazione primaria seguendo lo schema riportato. Una
continua rivalutazione dei punti della valutazione primaria aiuterà ad assicurarsi che l’evoluzione della
patologia del traumatizzato non ne comprometta le
funzioni vitali.
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COMUNICAZIONE
La Centrale operativa è l’anello di congiunzione tra
l’equipe di soccorso extraospedaliero ed il personale
del Pronto Soccorso di destinazione. Le comunicazioni pertanto dovranno essere chiare, precise, pertinenti
e soprattutto costanti. Le informazioni in merito alle
caratteristiche della scena, numero dei feriti, condizioni generali del/dei feriti, trattamento effettuato sul posto e tempo stimato di arrivo in ospedale saranno molto utili al personale del PS per prepararsi adeguatamente la vostro arrivo.
Altrettanto importante è la compilazione della scheda
d’intervento. La scheda deve essere redatta in modo
accurato e completo e consegnata in copia all’arrivo in
PS.
La scheda è un documento legale: riporta le informazioni su quello che è stato trovato e sulle azioni compiute dai soccorritori e può essere usata a fini medicolegali (non la perdete!). “Se non è scritto sulla scheda,
non è stato fatto”, ricordare questa frase vi servirà per
tutelarvi anche da possibili strascichi legali.
Il soccorritore deve anche relazionare verbalmente,
passando la consegna al medico o all’infermiere del
PS affidandogli la responsabilità del paziente. Questo
rapporto verbale può fornire una visione della storia
dell’incidente e delle azioni compiute dal soccorritori e
della risposta del paziente anche a chi non era presente.
Al termine dell’intervento, una discussione (debriefing)
con la squadra di soccorso, ed eventualmente con il
personale del PS, aiuterà i soccorritori ad analizzare
l’intervento ed individuare i punti in cui potersi migliorare. Un sistema per migliorare deve prevedere l’analisi e la verifica dei risultati.
punteggio
A Frequenza respiratoria
10-29 atti /min
> 29 atti/min
6-9 atti/min
1-5 atti min
0
B Pressione sistolica
>89 mmHg
76-89 mmHg
50-75 mmHg
1-49 mmHg
assente
C Glasgow Coma Score
13-15
9-12
6-8
4-5
<4
Punteggio totale = A+ B + C
4
3
2
1
0
4
3
2
1
0
4
3
2
1
0
Tab. 4. Revised Trauma Score (TS). Scala che consente di
calcolare numericamente un punteggio per il trauma. Il TS
viene riportato per completezza pur non essendo molto
utilizzato dai soccorritori volontari.
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VALUTAZIONE SCENA
Sicurezza
Situazione
SI
Necessità di risorse aggiuntive?
Avvisare C.O.
NO
Procedere se in sicurezza
Assicurare pervietà
vie aeree
NO
Vie aeree pervie?
SI
FASE B
FR <12
FR >20
FR 12-20
Considerare
ventilazione assistita
Considerare
ventilazione assistita
FASE C
O2 per mantenere
SpO2 > 95%
Emorragie esterne?
SI
NO
Controllo emorragie
Valutare lo shock
FASE E FASE D
V A L U T A Z I O N E
P R I M A R I A
FASE Ac
Protezione rachide cervicale
Valutazione neurologica
Esposizione/protezione
SI
PERICOLO DI VITA?
NO
VALUTAZIONE SECONDARIA
Segni vitali, anamnesi,
esame testa -piedi
Immobilizzazione spinale
(tempo sulla scena < 10 minuti)
SI
PERICOLO DI VITA?
NO
TRASPORTO
Valutazione secondaria nel tragitto
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TRATTAMENTO
TRASPORTO
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CINEMATICA DEL TRAUMA CHIUSO
Nel trauma chiuso le lesioni possono essere provocate da qualsiasi tipo di impatto, quali incidenti
stradali, collisioni tra pedoni e veicoli, cadute, incidenti sportivi o esplosioni. Tutti questi meccanismi di lesione sono trattati separatamente e per
ognuno di essi vengono discussi gli effetti del trasferimento di energia sugli specifici elementi anatomici di ciascuna regione del corpo.
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è la lussazione del ginocchio con possibile interessamento dei grossi vasi e legamenti. Quando
è il femore il punto di impatto, l’energia viene assorbita dall’osso che può fratturarsi. Se il femore
rimane intatto, la prosecuzione del movimento in
avanti può determinare lussazione dell’anca.
Una deformazione del cruscotto su cui il ginocchio ha impattato costituisce un indicatore chiave
del fatto che su questa articolazione e sulle strutture adiacenti si è scaricata una quantità significativa di energia.
C I N E M AT I C A
COLLISIONE TRA VEICOLI
La collisione tra veicoli (auto, moto o mezzi pesanti) è il più comune esempio di trauma chiuso.
Le collisioni tra veicoli sono pressoché riconducibili a 5 dinamiche: 1) impatto frontale, 2) tamponamento o impatto posteriore, 3) impatto laterale,
4) impatto con rotazione del veicolo e 5) cappottamento. Ognuna di queste collisioni causa tipi
diversi di lesioni che possono essere sospettate
utilizzando la cinematica nella fase di valutazione
della scena. Esaminando il veicolo incidentato, si
può determinare la dinamica e, poiché gli occupanti assorbono lo stesso tipo e la stessa quantità di energia assorbita dal veicolo, sospettare
delle lesioni specifiche.
Impatto frontale
In un impatto frontale, la prima collisione avviene
quando l’auto, o la moto , colpisce un ostacolo:
un muro, un albero o un altro veicolo. La valutazione del danno riportato alla parte anteriore del
veicolo indica approssimativamente la velocità
del mezzo al momento dell’impatto.
In questo tipo di incidente, una persona non trattenuta dai sistemi di ritenzione (cinture di sicurezza, airbag, ecc.) è sottoposta ad una improvvisa
decelerazione.
Benché il veicolo cessi bruscamente di muoversi
in avanti, l’occupante, se non indossa cinture di
sicurezza che attutiscono l’urto, continua il suo
moto seguendo uno dei due possibili percorsi:
“giù e sotto” o “su e spora”.
Traiettoria “su e sopra”: il moto in avanti solleva il
corpo al di sopra del volante. Il capo è solitamente la prima parte che colpisce il parabrezza, il torace e l’addome impattano contro il volante o il
cruscotto.
Quando il capo arresta il suo movimento impattando contro una struttura rigida si possono generare delle lesioni all’encefalo e alla colonna cervicale.
Traiettoria “giù e sotto”: l’occupante del veicolo
continua il suo moto finché non incontra il cruscotto o il piantone dello sterzo. Il piede, se è
piantato sul pavimento o sul pedale del freno, a
ginocchio disteso, può andare incontro a un meccanismo di torsione e angolatura eccessiva, mentre il tronco continua il suo moto in avanti, con
conseguente frattura dell’articolazione della caviglia. Nella maggior parte dei casi sono le ginocchia a flettersi ed a urtare il cruscotto. Se l’urto
avviene a livello della tibia la lesione più probabile
Fig. 18. Nell’impatto frontale la mancanza delle cinture di sicurezza può determinare una traiettoria di tipo
“su e sopra” (a sinistra) o di tipo “ giù e sotto” (a destra).
Tamponamento
Il tamponamento avviene quando un veicolo fermo o in movimento viene urtato da dietro da un
altro veicolo che si muove a velocità superiore.
L’energia dell’impatto è convertita in accelerazione. Maggiore è la differenza di velocità tra i due
mezzi, tanto più grande è l’energia in grado di
provocare danni.
Un tamponamento provoca un brusco movimento
in avanti del tronco. Se il poggiatesta è posizionato correttamente anche il capo si muove in avanti
con il tronco. Se il poggiatesta è posizionato troppo in basso o è assente, il capo subisce una forte
iperestensione con possibili lesioni al rachide cervicale e alle strutture di supporto del collo.
Il veicolo tamponato può a sua volta urtare contro
un ostacolo quindi alle lesioni provocate dall’impatto posteriore vanno sommate quelle provocate
dall’impatto frontale.
Fig. 19. Poggiatesta posizionato correttamente (a
sinistra) e poggiatesta assente (a destra).
Impatto laterale
Un veicolo, urtato su un lato, viene allontanato
dal luogo dell’impatto nella direzione del veicolo
impattante.
L’occupante può subire tre tipi di impatti: 1) impatto con il veicolo, 2) impatto contro altri passeggeri e 3) intrusione della carrozzeria all’interno del
compartimento passeggeri.
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Nel disarcionamento, il motociclista viene scagliato dalla moto come un proiettile, continuando a
volare in aria finché non impatta al suolo o non
urta un altro oggetto. Le lesioni saranno localizzate nel punto di impatto e si irradieranno al resto
del corpo in base all’energia assorbita.
C I N E M AT I C A
Fig. 20. Nell’impatto laterale, il passeggera senza
cinture di sicurezza urta contro le strutture interne e
contro gli altri passeggeri. L’intrusione della portiera
dentro l’abitacolo rappresenta un’altra fonte di lesioni.
Capottamento
Nel capottamento, il veicolo è sottoposto a numerosi impatti secondo varie angolazioni e quindi le
lesioni sono difficilmente prevedibili. Certamente
le lesioni sono più gravi se gli occupanti non utilizzavano sistemi di sicurezza e, molto spesso,
possono venire eiettati fuori dall’abitacolo. Data
l’intensità dell’energia scambiata nel capottamento, anche gli occupanti che indossavano le cinture
di sicurezza possono subire delle lesioni da
“strappamento” in quanto il corpo rimane aderente al sedile ma gli organi interni continuano a
muoversi e possono lacerarsi nei punti di inserzione.
Fig. 21. Durante un capottamento, l’occupante non
assicurato dalle cinture può subire lesioni multiple
urtando ripetutamente contro le strutture interne all’abitacolo.
Eiezione dal veicolo
In tutti gli incidenti automobilistici, c’è il rischio
che un passeggero venga eiettato fuori dal veicolo. Il questi casi il rischio di riportare lesioni mortali è elevatissimo a causa della somma degli impatti multipli e della mancata protezione del corpo
che urta contro gli ostacoli ed il terreno, e della
possibilità che la vittima venga investita dello
stesso veicolo e o da altri che sopraggiungono.
INCIDENTI MOTOCICLISTICI
Gli incidenti motociclistici determinano un numero
significativo di decessi e lesioni invalidanti sia per
l’intensità dell’energia scambiata che per la modesta protezione fornita da parte di casco e abbigliamento protettivo. Il casco infatti protegge la
testa ma non offre alcuna protezione alla colonna
vertebrale.
Le lesioni da incidente motociclistico dipendono
dalla tipologia dell’impatto iniziale e dai successivi
impatti che seguono l’urto iniziale.
Fig. 21. Quando una moto urta frontalmente un ostacolo, il corpo del motociclista viaggia in avanti e al di
sopra della moto, urtando con le cosce il manubrio.
Negli impatti angolari, la moto cade sul motociclista oppure questo può rimanere schiacciato tra la
moto e l’oggetto colpito. Ne possono risultare lesioni agli arti inferiori e superiori e lesioni al bacino e alla cavità addominale.
Il soccorritore deve controllare le deformazioni del
veicolo, la distanza della moto dal punto di primo
impatto, le deformazioni di oggetti o veicoli che
può aver urtato, la distanza alla quale si trova
l’infortunato dal luogo del primo impatto ed il tipo
di superficie urtata (asfalto, terreno, bordi del
marciapiede, guard-rail, ecc).
Nella valutazione della scena, il soccorritore oltre
a tener conto della dinamica dell’incidente dovrà
anche valutare se il motociclista indossava dispositivi di protezione (casco, guanti, tuta con protezioni rinforzate e stivali) e in quale stato si trovano dopo l’impatto. Il casco è sicuramente il migliore dispositivo per proteggere il capo, a patto che
sia della dimensione giusta, ben allacciato e possibilmente di tipo integrale per proteggere anche
il volto.
INVESTIMENTO DI PEDONI
Il rischio di lesioni pericolose è alto in tutti i casi di
investimento di pedoni. Nella valutazione delle
lesioni da investimento bisogna prendere in considerazioni tre momenti:
1. Impatto iniziale: il pedone viene urtato dalla
parte anteriore del veicolo. Possibili lesioni agli
arti inferiori e talvolta al bacino.
2. Impatto secondario: urto del torace contro il
cofano o parabrezza del veicolo. Possibili lesioni al torace addome, volto, testa, colonna e
arti superiori. Le lesioni al capo e al volto dipendono dalla possibilità della vittima di proteggersi con le braccia.
3. Impatto terziario: il pedone viene sbalzato e
scaraventato a terra, contro altri ostacoli o arrotato. Possibili lesioni multisistemiche.
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Fig. 22. Quando un pedone viene investito da un
auto si verificano, generalmente, tre impatti.
Nel valutare le lesioni da investimento bisogna
prendere in considerazione anche altri fattori importanti: età e statura del pedone e altezza del
veicolo (auto, suv, furgone, TIR, ecc.).
Quando un adulto vede che sta per essere investito tenta di proteggersi scansandosi. Pertanto,
le lesioni si verificano spesso in sede laterale o
posteriore. Al contrario, i bambini vengono spesso urtati anteriormente dal veicolo e vengono colpiti più in alto rispetto ad un adulto. Tutti i bambini
investiti da un auto dovrebbe essere considerati
politraumatizzato che richiedono un rapido trattamento e trasporto.
CADUTE DALL’ALTO
Per valutare le lesioni riportare in una caduta dall’alto bisogna tenere in considerazione tre fattori:
1. Altezza della caduta. Le vittime che cadono da
altezze maggiori hanno una maggiore incidenza di lesioni, perché la loro velocità aumenta
nella caduta. In generale, la caduta da un altezza superiore a tre volte l’altezza di chi cade
è da considerarsi sempre grave.
2. Superficie di impatto. Il tipo di superficie su cui
la vittima urta, ed in particolare il suo grado di
elasticità, è un fattore determinante per la distanza di arresto.
3. Parte corporea di primo impatto. Stabilire quale
parte del corpo ha urtato per prima è importante per capire il meccanismo di lesione. Quando
la prima parte del corpo a toccare il suolo sono
i piedi si verifica quella che viene scherzosamente definita “sindrome di Zorro”. L’energia
cinetica viene trasferita agli arti inferiori potendo produrre lesioni e fratture alle ossa dei piedi, in particolare frattura dei calcagni, alle caviglie, tibia e perone fino al femore e bacino. Il
corpo viene spinto in una flessione forzata a
causa del peso della testa e del tronco ancora
in movimento, con possibili fratture da compressione della colonna vertebrale.
Se la vittima cade in avanti, poggiando le mani,
si possono produrre fratture dei polsi o delle
ossa degli arti superiori fino alla spalla.
Se la vittima urta con la testa, come accade nel
caso di un tuffo in acqua bassa, l’intero peso e
la forza del moto di tronco, bacino e arti inferiori possono determinare fratture del tratto cervicale della colonna oltre al trauma diretto al capo.
Fig. 23. Caduta dall’alto. Primo impatto con i piedi (a
sinistra), con le mani (al centro) o con la testa (a destra).
TRAUMI SPORTIVI
In quasi tutte le attività sportive, siano esse pratiche a livello agonistico o amatoriale, esiste la
possibilità di riportare dei traumi legati ad un meccanismo lesivo ad alta energia. Questi traumi
possono essere causati da improvvise forze di
decelerazione o da eccessive compressioni, torsioni, iperestensione o iperflessioni.
Le lesioni potenziali di una vittima che subisce un
urto ad alta velocità, come può accadere ad esempio nel pattinaggio, nel ciclismo, nel motociclismo o in altri sport, sono simili a quelle che si
verificano nel caso dell’investimento o delle collisioni tra veicoli in cui l’occupante viene sbalzato
fuori dal veicolo. In altri casi, le lesioni possono
essere provocate da una trasmissione diretta dell’energia, come può accadere quando due giocatori di rugby si scontrano. L’energia può essere
trasmessa anche da oggetti lanciati ad alta velocità come il discetto dell’hockey o una palla da
baseball.
I meccanismi potenziali comunemente associati a
ogni singolo sport sono troppo numerosi per poterli descrivere in dettaglio pertanto riportiamo
alcuni criteri da valutare per identificare la cinematica di un incidente sportivo.
¬ Valutare la presenza di lesioni potenzialmente
mortali.
¬ Valutare il paziente sulla base della dinamica
dei lesione: quali forze hanno agito e in che
modo? Quali sono le lesioni evidenti? A quale
parte del corpo è stata trasmessa l’energia?
Quali altre lesioni possono essere state prodotte dal trasferimento di energia?.
¬ Le forze che hanno prodotto una lesione in una
vittima possono aver causato altre lesioni in
un'altra vittima? Ad esempio, se nello scontro
diretto tra due giocatori uno si è provocato una
frattura alla gamba, deve esserci una parte dell’altro giocatore che ha urtato con una equivalente energia.
¬ Determinare se erano stati indossati i dispositivi
di protezione e determinare se hanno riportato
dei danni.
¬ Valutare eventuali lesioni provocate dall’urto
alle attrezzature. Ad esempio la presenza di un
bastone da hockey rotto dopo uno scontro in
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pista deve far sorgere la domanda di quale corpo lo abbia rotto, in che modo e in particolare
quale parte del corpo lo abbia colpito o vi sia
caduta sopra.
¬ Valutare la presenza di possibili lesioni associate.
¬ Fate attenzione perché l’adrenalina e la capacità degli atleti di sopportare bene il dolore possono falsare le valutazioni sottostimando delle
lesioni importanti.
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LESIONI DA SCOPPIO
Le esplosioni possono essere suddivise in tre
fasi: primaria, secondaria e terziaria, a ciascuna
fase corrisponde un meccanismo lesivo caratteristico.
Le lesioni primarie sono causate dall’onda di
pressione dell’esplosione. Si manifestano solitamente negli organi contenenti gas, come i polmoni e il tratto gastrointestinale. L’onda di pressione
rompe e lacera i capillari e le membrane degli
organi contenenti gas (cavitazione) e può danneggiare anche il sistema nervoso centrale.questo meccanismo può causare un grave
danno o la morte senza alcun segno esterno di
lesione. Anche le ustioni conseguenti all’onda
d’urto vengono considerate lesioni primarie comuni. Le ustioni avvengono sulle aree del corpo
non protette rivolte verso la fonte dell’esplosione.
Le lesioni secondarie avvengono quando la vittima è colpita da schegge, detriti o altri frammenti
scagliati dall’esplosione. Le lesioni secondarie
includono lacerazioni, fratture e ustioni.
Le lesioni terziarie si hanno quando la vittima viene scaraventata contro un oggetto o un ostacolo
fisso.le lesioni dipendono dalla superficie colpita
e dalla distanza percorsa. Il meccanismo lesivo è
simile a quello delle cadute dall’alto e dell’eiezione da veicolo.
Le lesioni secondarie e terziarie sono le più evidenti e spesso non quelle trattate più aggressivamente. Le lesioni primarie sono le più gravi ma
spesso sono sottovalutate o addirittura nemmeno
sospettate.
1
2
sono lesioni a bassa velocità, sono solitamente
associate a minori traumi secondari. La gravità
delle lesioni dipende dalla profondità, dalla lunghezza della lama, dall’angolazione della penetrazione e dalla possibilità che la lama sia stata
ruotata all’interno del corpo. Ovviamente il fattore
più importante per stabilire le possibili lesioni è
identificare il tragitto effettuato dal corpo contundente per capire quali organi interni possono essere stati colpiti.
Se l’oggetto contundente è ancora all’interno della ferita non deve essere rimosso, va immobilizzato al meglio e iniziato precocemente il trasporto.
Non devono essere sottovalutate le ripercussioni
medico-legali e la possibilità di inquinamento delle prove: ogni cosa che viene toccata o rimossa
per soccorrere il paziente, deve essere accuratamente annotata e segnalata alla competenti autorità giudiziarie.
ARMI AD ALTA ENERGIA
Le armi a media o alta energia (pistole e fucili) in
generale non danneggiamo dolo direttamente il
tessuto lungo il tragitto del proiettile, ma anche
indirettamente i tessuti presenti ai lati della traiettoria.
I fattori che influenzano la dimensione dell’area
frontale di impatto sono:
¬ Profilo: dimensione iniziale del oggetto e suo
cambiamento in seguito all’impatto;
¬ Rotazione:movimento che un oggetto esegue
modificando l’angolo assunto all’interno del corpo rispetto a quello di penetrazione nel corpo
stesso;
¬ Frammentazione: quando un oggetto si rompe
dopo essere penetrato nel corpo.
Tanto più grande è l’area frontale di impatto e
tanto maggiore è la quantità di energia scambiata
e quindi la dimensione della cavità creata.
3
Fig. 24. In un esplosione si riconoscono tre momenti
lesivi.
CINEMATICA DEL TRAUMA PENETRANTE
ARMI A BASSA ENERGIA
Le armi a bassa energia, dette anche armi bische, comprendono le armi manuali come coltelli
o punteruoli ma anche qualsiasi oggetto acuminato in grado di penetrare la cute. Poiché queste
Fig. 25. A sinistra, trauma penetrante da arma bianca:
il danno prodotto da un coltello dipende dal movimento all’interno del corpo. A destra, ferita da arma da
fuoco. La rotazione e la compressione in entrata producono un foro rotondo ed ovale, in uscita la ferita e
lacera e aperta. I gas incandescenti provenienti dalla
canna dell’arma posta in prossimità della cute possono produrre ustioni. Se l’arma si trova entro 25 cm
dalla cute alcune particelle solide possono tatuare la
cute con piccole aree ustionate.
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IMMOBILIZZAZIONE MANUA LE DEL RACHIDE CERVICA LE
Dopo avere determinato che, in base al meccanismo di lesione, si può sospettare una colonna instabile, il primo passo è provvedere all’immobilizzazione manuale del rachide cervicale. La testa deve
essere afferrata e posta delicatamente in una posizione neutrale, salvo controindicazioni: spasmo
eccessivo di muscoli del collo, aumento del dolore,
comparsa o aggravamento di un deficit neurologico
come parestesie e paresi, traumi penetranti al collo
o notevole disallineamento del collo. Una appropriata posizione neutrale in asse può essere mantenuta con una lievissima trazione. Una lieve trazione sufficiente a provocare un alleggerimento sul
piano assiale deve essere esercitata sul paziente
seduto o in piedi. La posizione neutra è quella in
cui il collo non risulta né flesso, né esteso, né inclinato e neppure ruotato, ed è quella che consente il
maggior spazio del midollo spinale all’interno del
canale vertebrale.
Portare la testa in una posizione neutrale, rappresenta un rischio minore rispetto a caricare e trasportare il paziente con la testa in posizione angolata.
Anche dopo il posizionamento del collare cervicale,
la testa deve essere sempre mantenuta in allineamento manuale.
SOGGETTO SEDUTO O IN PIEDI
Nei soggetti trovati in posizione seduta o in piedi,
l’immobilizzazione manuale del capo deve essere
effettuata dal soccorritore posto dietro alla testa.
Da dietro il paziente, il soccorritore deve porre le
mani sulle orecchie senza muovergli la testa. I pollici vengono posizionati sulla parte posteriore del
cranio ed i mignoli appena sotto gli angoli della
mandibola. Le restanti dita vengono allargate a
piatto sulla superfici laterali della testa. Aumentare
la forza della presa per mantenere la testa in posizione stabile e assicurarsi una presa stabile. Esercitare una leggera trazione verso l’alto.
Se la testa non è in posizione neutrale in asse, rialinearla lentamente, se non controindicato.
SOGGETTO SUPINO
Per ottenere la posizione neutra è necessario tracciare
una ipotetica linea lungo l’asse della colonna, che incroci
ad angolo retto (90°) la linea ipotetica dello sguardo del
traumatizzato..
Se il soggetto è rinvenuto in posizione supina, il
soccorritore per mantenere l’immobilizzazione manuale del rachide si pone dietro la testa stando inginocchiato o disteso. Posizionare le mani ai due
lati della testa coprendo le orecchie con i palmi. I
pollici sono posti sopra la fronte e le altre dita, disposte a piatto, sulla guancia fino all’angolo della
mandibola. Allargare le dita in modo da assicurare
una presa salda e stabilizzare la testa del soggetto.
Posizionare i propri gomiti e gli avambracci sul terreno o sulle ginocchia per mantenerli fermi.
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I soli collari cervicali non immobilizzano adeguatamente, aiutano semplicemente a supportare il collo
e a ridurne i movimenti. I collari cervicali rigidi limitano la flessione di circa il 90%, l’estensione. La flessione laterale e la rotazione del 50% circa.
Un collare cervicale rigido fornisce un importante
contributo all’immobilizzazione, ma deve essere
sempre associato all’immobilizzazione manuale o
meccanica fornita da un presidio di immobilizzazione adatta (tipo fermacapo).
In commercio ci sono diversi modelli di collari cervicali differenti nella struttura e nel metodo di utilizzo.
In questo testo riportiamo i principali modelli utilizzato nel nostro territorio ridondando che il soccorritore deve conoscere, e saper utilizzare, anticipatamente il modello di collare cervicale in dotazione nei
mezzi di soccorso.
Modello WizLoc® o Stifneck®: collare in un unico
pezzo dotato di meccanismo in grado di adeguare
la misura del presidio sulle
misure anatomiche del
Modello NecLoc®: collare
in due pezzi. La tecnica di
utilizzo prevede l'applicazione successiva delle due
parti riducendo notevolmente il rischio di torsioni
del collo.
DIMENSIONAMENTO
E' molto importante il corretto dimensionamento del
collare in base al paziente. Un collare che sia troppo corto non sarà efficace e permetterà movimenti
di flessione. Un collare troppo largo causerà iperestensione del capo o un movimento libero se il mento è al suo interno. Un collare troppo stretto potrebbe compromettere la circolazione delle vene del
collo e la respirazione. Inoltre un collare della misura errata, soprattutto se più grande, provoca dolore
ai lati della mandibola.
Un collare che non permette alla mandibola di muoversi verso il basso ed alla bocca di aprirsi senza
provocare movimenti della colonna, può contribuire
al rischio di aspirazione del contenuto gastrico qualora il soggetto vomiti.
La misura corretta del collare si prende misurando
con le dita la distanza dita una linea immaginaria
che passa a livello del mento e dell’angolo della
mandibola ed il margine superiore del muscolo trapezio.
Tale misura viene riportata sul collare e deve corrispondere alla distanza tra il bottone nero ed il margine inferiore del collare lateralmente.
Ricorda:
¬ I Collari da soli non immobilizzano.
¬ Il collare deve essere della misura appropriata.
¬ Il collare non deve limitare la capacità di
aprire la bocca.
¬ Il collare non deve causare ostruzioni od
ostacolare la ventilazione.
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APPLICAZIONE DEI COLLARI NEC L OC ®
SOGGETTO SEDUTO
¬ Il soccorritore che arriva per primo sulla scena
(leader) immobilizza il capo manualmente ponendosi a lato del soggetto.
¬ Il secondo soccorritore si dispone dietro al soggetto e afferra la testa come descritto precedentemente. Il leader lascia la presa solo quando è
certo che il compagno abbia una presa sicura.
¬ Il 2° soccorritore riallinea la testa in posizione
neutra esercitando una leggera trazione verso
l’alto.
¬ Il leader esegue la fase A della valutazione primaria, libera il collo da indumenti o accessori
che possono ostacolare le manovre e ispeziona
(palpa ed osserva) il collo del ferito alla ricerca
di lesioni che richiedono trattamento immediato
o segni particolari (enfisema, turgore delle giugulari, ecc)
¬ Il leader prende la misura corretta del collare
così come descritto precedentemente.
¬ Afferra con una mano la parte anteriore del collare e la appoggia sul torace dell’infortunato facendola scivolare sino a quando va a raccogliere ed appoggiarsi alla parte inferiore della mandibola.
¬ Con una mano mantiene il collare in posizione
mentre con l’altra fa passare dietro il collo la
stringa e la fissa al velcro in corrispondenza del
segnale che si trova sul collare.
¬ Posiziona poi la parte posteriore del collare (il
verso corretto è indicato dalle frecce) sotto e
dietro la nuca.
¬ Esercitando una trazione simmetrica fa aderire
le due strisce di velcro alla porzione anteriore.
In questa fase bisogna evitare torsioni o flessioni del collo. Per posizionare simmetricamente i
due fissaggi di velcro è consigliabile fare perno
con i pollici sull’apertura anteriore del collare.
¬ Il leader chiede all’infortunato se riesce ad aprire la bocca, controlla che il collare con comprima la trachea o prema eccessivamente sul torace e verifica se e possibili rilevare il polso carotideo attraverso l’apertura anteriore..
¬ Il secondo soccorritore mantiene l'immobilizzazione anche dopo aver messo il collare.
Posizionare la parte anteriore.
Fissare la parte anteriore del collare.
Far scivolare la parte posteriore dietro la nuca.
SOGGETTO SUPINO
¬ Il soccorritore che arriva per primo sulla scena
(leader) immobilizza il capo manualmente ponendosi a lato del soggetto.
¬ Il secondo soccorritore si inginocchia dietro la
testa del soggetto (con i gomiti poggiati sul terreno) ed immobilizza manualmente il capo.
¬ Le altre fasi procedono senza variazioni rispetto
alla tecnica per il soggetto seduto.
Fissare le due strisce di velcro alla parte anteriore.
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D E L
C A S C O
Se il traumatizzato indossa un casco, in particolar ¬ Dopo la rimozione del casco il leader sostiene
modo se di tipo integrale, questo va rimosso subito
tutto il peso del capo finché il compagno non si
durante la fase di valutazione primaria, per avere un
posiziona per l’immobilizzazione manuale.
immediato accesso al viso ed alle vie aeree e per ¬ Una volta tolto il casco potrebbe essere necespoter posizionare il capo in allineamento neutrale.
sario posizionare uno spessore sotto la testa del
Per eseguire la manovra di rimozione del casco sosoggetto per mantenere l’allineamento neutrale.
no necessari due soccorritori ben addestrati.
¬ Proseguire le manovre con la valutazione primaSpiegate sempre alla vittima, se cosciente, che coria e l’applicazione di un collare cervicale.
sa vi apprestate a fare. Se protesta perché gli hanno detto che il casco non va rimosso, spiegategli
che le persone non preparate non dovrebbero rimuoverlo, ma voi, che siete soccorriti addestrati,
potete toglierlo proteggendo la colonna vertebrale.
Se il casco viene rimosso dai soccorritori, questo
dovrà essere portato in PS insieme al paziente per
consentire al personale sanitario di stimare la gravità delle lesioni anche dall’analisi dei danni riportati
al casco. Se all’arrivo dei soccorritori il casco è già
stato rimosso (dal ferito stesso o da astanti), è necessario lasciarlo lì per i rilievi delle forze dell’ordiCorretta posizione delle mani dei soccorritori.
ne.
Non tentare di rimuovere il casco in presenza di
oggetti conficcati o qualora la testa ed il collo del
traumatizzato si presentino in posizione innaturale
non compatibile con la vita.
TECNICA
¬ Il soccorritore che arriva per primo sulla scena
(leader) immobilizza il capo, facendo presa sul
casco, ponendosi a lato del soggetto.
¬ Il 2° soccorritore si pone dietro la testa e afferra il
casco in corrispondenza dei margini inferiori. Se
possibile, con le dita cerca di “agganciare” anche
la mandibola per garantire una maggiore stabilizzazione. Se il capo non è in asse, il 2° soccorritore
cercherà di riallineare il capo molto lentamente.
¬ Il leader, inginocchiato a lato del soggetto, apre la
visiera, toglie gli occhiali se presenti e slaccia (o se
necessario taglia) la cinghia mentoniera.
¬ Il leader posiziona una mano sotto il collo e regge
la regione occipitale. È consigliabile poggiare l’avambraccio al suolo per garantire un miglior supporto. Con l’altra mano afferra la mandibola: pollice
sull’angolo della mandibola da un lato e indice e
medio sull’angolo dell’altro lato. Per ottenere una
presa più stabile si può poggiare l’avambraccio
sullo sterno del soggetto, senza esercitare pressione.
¬ Quando il leader ha una presa sicura, il 2° soccorritore rimuove il casco trazionando in linea retta e
utilizzando un movimento basculante per superare
l’estremità del naso da parte della mentoniera. Il
soccorritore può aumentare lo spazio all’interno del
casco comprimendo con le dita l’imbottitura posta
nei margini inferiori.
Il casco viene estratto con un movimento basculante.
Rimosso il casco, il leader sostiene il peso del capo.
Il 2° soccorritore allinea il capo in posizione neutra.
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A R T I
chiude sommariamente con il velcro.
¬ La manovra prosegue con l’aspirazione dell’aria
con pompa o con aspiratore ed il contemporaneo
modellamento della steccobenda attorno all'arto
mentre questa si indurisce.
¬ Chiusura progressiva velcro
¬ Il 1° soccorritore controlla il polso a valle e il ritorno capillare
¬ ATTENZIONE, nelle fratture esposte lasciare un
varco sul punto della frattura modellando opportunamente la steccobenda, per permettere la cura
della parte di osso esposto. Disinfettare opportunamente e coprire con garze o teli sterili la ferita.
¬ Per togliere la steccobenda basta aprire la valvola
per permettere all'aria di rientrare e rendere morbida la steccobenda così da poterla sfilare agevolTECNICA
mente.
¬ Togliere gli indumenti (compresi braccialetti, orologi, anelli…) nella zona fratturata: se non fosse
possibile sfilare gli indumenti senza provocare
dolore o senza provocare troppi movimenti allora
tagliarli con l’apposita forbice tagliabiti.
¬ 1° soccorritore: controlla il polso a valle ed esegue allineamento dell'arto e mantenimento della
"linea" in lieve trazione (posizionare le mani in
corrispondenza delle articolazioni).
¬ 2° soccorritore posiziona attorno all'arto la steccobenda, infilandola da sotto o dal lato, a seconda
della situazione
Il soccorritore solleva l’arto fratturato trazionando leg¬ Il 1° soccorritore adagia l’arto sulla steccobenda e germente verso di sé.
In commercio sono disponibili diversi dispositivi per
l’immobilizzazione degli arti: stecche rigide, presidi
sagomabili o presidi di trazione, ma in ogni caso i
principi di utilizzo sono gli stessi.
L’immobilizzazione degli arti deve essere eseguita
nella fase del trattamento dopo la valutazione primaria o dopo la valutazione secondaria se il paziente è stabile.
L’arto fratturato deve essere riallineato in posizione
anatomica esercitando una lieve trazione. Il riallineamento va sospeso se compare importante resistenza o contrattura muscolare o se provoca intenso dolore o in caso di lesioni delle grosse articolazioni.
Steccobende a depressione
Costruita un involucro di materiale plastico con
all'interno microsfere di materiale espanso. Una
valvola che separa l'aria presente all'interno da
quella esterna. La valvola può essere di due tipi:
valvola di non ritorno o valvola con tappo (tipo
canotto). Possono essere modellate a piacere
attorno agli arti e fissate con strisce di velcro. Viene poi data consistenza alla forma modellata aspirando l'aria interna con una apposita pompa o
con l’aspiratore. Sono radiotrasparenti e disponibili in diverse misure.
Steccobende rigide
Le steccobende rigide sono costruite in materiale
plastico; consistono di una parte rigida e di una
parte modellabile attorno all’arto mediante strisce
di velcro; non contengono un camera d’aria quindi
non necessitano di aspirazione. Sono più veloci da
applicare e più resistenti anche se garantiscono un
immobilizzazione meno efficace. Questo presidio
non consente di immobilizzare l’arto in posizione
differente da quella anatomica.
Sono radiotrasparenti e disponibili in un ampia
gamma di misure.
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La mobilizzazione atraumatica va intesa come l’esecuzione di una serie di manovre atte a consentire
il trasferimento del traumatizzato dalla superficie su
cui giace ad un piano rigido per il trasporto; lo scopo di queste manovre è quello di mantenere sempre l’allineamento e l’immobilizzazione della colonna vertebrale in toto. Per consentire l’immobilizzazione della colonna vertebrale sono stati creati diversi presidi, il più usato e diffuso è senz’altro la
tavola spinale. La tavola consente di sollevare e
trasportare il paziente mantenendo l’allineamento
neutrale e garantisce un immobilizzazione sufficiente anche ai quattro arti, inoltre fornisce un buon isolamento termico, meccanico ed elettrico.
La spinale è un piano di appoggio rigido costruito in
materiale plastico, non deformabile, radiotrasparente, leggero e lavabile. Può sopportare pesi elevati
(finoa 160-170Kg a seconda del modello). La Tavola Spinale deve avere almeno 10 maniglie ed oltre
16 fori perimetrici per poter consentire un fissaggio
dedicato con le cinture in dotazione.
Per fissare il paziente alla tavola si possono utilizzare due tipi di sistemi di ritenzione: le cinghie ragno
dotate di chiusura a velcro o delle cinghie con chiusura di sicurezza in metallo (a sgancio rapido).
L’immobilizzazione cranio-cervicale viene garantita
da un dispositivo, il fermacapo, dotato di due cunei
di materiale morbido che vengono disposti ai lati
della testa ed ancorati su un apposito supporto
(cuscinetto).
Per poter caricare un paziente sulla tavola spinale
sono necessari almeno tre soccorritori (meglio se 4)
in grado di eseguire la manovra di “log roll”; cioè in
grado di eseguire una manovra di rotazione sul fianco dell’infortunato, necessaria per posizionare la
tavola spinale, riuscendo a mantenere sempre l’immobilizzazione del rachide. La tecnica varia a seconda che il traumatizzato sia rinvenuto in posizione supina, in posizione prona o in piedi.
S P I N A L E
CARICAMENTO SU TAVOLA SPINALE
SOGGETTO SUPINO
Prima di iniziare qualsiasi manovra di immobilizzazione spinale, spiegate attentamente al paziente
cosa vi apprestate a fare. Venire “impacchettati”
non rappresenta certo una esperienza confortevole!
Quindi cercate di rassicurare il vostro paziente spiegando che le manovre che vi accingete ad eseguire
sono una misura precauzionale. Un paziente collaborante renderà il vostro lavoro più semplice.
La sequenza di intervento, fino all’applicazione del
collare cervicale, non varia ed è già stata descritta.
¬ Al temine della valutazione primaria, o della secondaria, il leader se decide per l’immobilizzazione su tavola spinale, si fa portare tutto il materiale
dal 3° soccorritore della squadra e allinea gli arti
del paziente in posizione anatomica (se non controindicato).
¬ Il 3° S. posiziona la tavola spinale a lato del paziente con la base di appoggio del fermacapo a
livello del vertice del capo del traumatizzato (la
tavola deve essere almeno “una testa” sopra il
paziente).
¬ Mentre il 2° soccorritore (da qui in avanti chiamato
leader di manovra LM) rimane dietro la testa e
mantiene l’allineamento manuale, il leader si inginocchia di lato all’altezza del torace e il 3° S. all’altezza delle ginocchia del paziente (dall’altro lato
rispetto alla spinale).
¬ Il leader afferra con una mano la spalla e con l’altra il bacino e l’estremità dell’arto superiore (polso
o avambraccio). Il 3° S afferra con una mano la
parte laterale del torace (incrociandosi con il braccio del leader) e con l’altra afferra l’arto inferiore
sulla coscia poco sopra l’articolazione del ginocchio.
L’asse spinale viene posizionato da un lato e i soccorritori si dispongono dall’altro lato del ferito.
¬ Al via del LM, il traumatizzato viene ruotato su un
fianco. Questa operazione deve avvenire in modo
sincrono, è fondamentale la coordinazione dei
soccorritori per mantenere l’allineamento testapiedi. Il LM deve seguire il movimento di rotazione
mantenendo sempre l’immobilizzazione neutrale
del capo.
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Al via del Leader di manovra, il ferito viene ruotato su
un fianco.
¬ Il 3° S posiziona una mano sotto il bacino inferiormente e con l’altra mano afferra il bordo superiore
libero della spinale utilizzando una maniglia.
¬ Al via del LM, si inizia la rotazione del traumatizzato e della tavola. Anche in questa fase la coordinazione è fondamentale per evitare scivolamenti laterali del paziente.
¬ Su indicazione del LM, il traumatizzato deve essere centrato sulla tavola. Il leader lo afferra per
le spalle mentre il 3° S afferra il bacino. Il movimento deve avvenire seguendo una linea diagonale per minimizzare i movimenti laterali della
colonna.
¬ Terminata la rotazione, il leader lascia la mano
che faceva presa sul bacino ed esegue il controllo
del dorso alla ricerca di possibili lesioni non evidenziate in precedenza. Con la stessa mano poi
afferra la spinale e la avvicina fino a farla aderire
alla schiena del traumatizzato.
¬ Se è presente un 4° soccorritore, questo avrà il
compito di posizionare la tavola spinale inclinandola per farla aderire meglio alla schiena.
Il ferito viene centrato sull’asse spinale.
¬ L’immobilizzazione prosegue con l’applicazione
delle cinghie di contenzione e del fermacapo
(vedi oltre).
L’asse spinale viene posizionata sul dorso del ferito
inclinandola il più possibile.
¬ Il leader, con la mano che era sul bacino, afferra il
bordo superiore libero della spinale utilizzando
una maniglia, l’altra mano viene posizionata a
cucchiaio sotto la spalla inferiore del traumatizzato.
Il leader con una mano afferra la spinale e con l’altra la
spalla del ferito.
CARICAMENTO SU TAVOLA SPINALE
SOGGETTO PRONO
Se il traumatizzato viene rinvenuto in posizione prona o semiprona è necessario ruotarlo, eseguendo
una manovra di prono-supinazione o log -roll, per
poter eseguire le valutazioni. Il collare cervicale può
essere posizionato con sicurezza solo quando il
soggetto è allineato supino sulla tavola spinale.
Qualora il soggetto indossi il casco e si trovi in posizione prona, allora sarà necessario ruotarlo in posizione supina, rimuovere il casco, posizionare il collare cervicale e quindi procedere al caricamento su
asse spinale come descritto per il soggetto supino.
La manovra di prono-supinazione viene effettata,
quando possibile, ruotando il soggetto dalla parte
opposta a quella in cui è rivolto inizialmente lo
sguardo.
¬ Il leader d’intervento arriva per primo sulla scena
e immobilizza manualmente il capo ponendosi di
lato.
¬ Il 2° soccorritore (leader di manovra) si pone dietro la testa del soggetto e immobilizza manualmente il capo. Le sue mani dovranno essere posizionate calcolando che alla fine della manovra di
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rotazione dovranno trovarsi nella posizione descritta per il soggetto supino. Quindi se il traumatizzato si trova con il volto rivolto verso il lato sinistro del LM, la mano sinistra verrà posizionata dal
lato che poggia a terra mentre la mano destra
immobilizza la parte opposta libera della testa.
Anche il corpo del LM sarà spostato lateralmente
in modo tale che al termine della rotazione si trovi
già nella posizione corretta.
Quando il traumatizzato si trova ruotato sul lato i soccorritori cambiano l’orientamento delle mani e afferrano
anche la tavola.
¬ Al via del LM la rotazione viene completata. I soccorritori di lato indietreggiano e fanno scivolare
dalle proprie ginocchia il traumatizzato adeso alla
spinale fino a raggiungere la posizione finale .
¬ Su indicazioni del LM, il traumatizzato viene centrato sulla tavola con la tecnica descritta precedentemente.
¬
La manovra prosegue con l’applicazione del collaIl LM si posiziona calcolando la posizione finale in cui si
re cervicale e dei sistemi di ritenzione.
dovrà trovare al termine della rotazione
¬ Il leader allinea gli arti in posizione anatomica.
¬ Il leader ed il 3° S si posizionano a lato del traumatizzato dalla parte in cui verrà effettuata la rotazione. Le mani dei sue soccorritori afferrano il
paziente negli stessi punti descritti per il soggetto
supino. La tavola spinale viene appoggiata sulle
cosce dei soccorritori posti di lato sempre rispettando la regola per cui deve essere almeno una
testa sopra il traumatizzato. Se presente un quarto soccorritore, la tavola potrà essere infilata di
lato tra le cosce dei soccorritori e la schiena del
traumatizzato quando questo si trova ruotato di
lato.
I due soccorritori si posizionano in ginocchio dal lato in
cui verrà effettuata la rotazione.
¬ Quando tutti sono in posizione il LM dà il via alla
rotazione. Il traumatizzato viene girato su un fianco (perpendicolare al terreno) in modo sincrono e
mantenendo l’allineamento della colonna.
¬ A questo punto i soccorritori di lato cambiano l’orientamento delle mani. Il leader con la mano che
era sul bacino afferra la spalla che poggia sul terreno e con l’altra mano afferra la tavola in corrispondenza della spalla. Il 3° S con la mano che
era sulla coscia afferra il bacino dalla parte che
poggia sul suolo e con l’altra mano afferra la spinale in corrispondenza del bacino.
CARICAMENTO SU TAVOLA SPINALE
SOGGETTO IN PIEDI
Questa tecnica è indicata per l’immobilizzazione di
un soggetto trovato in piedi qualora la valutazione
del meccanismo lesivo dia indicazione all’immobilizzazione spinale.
La manovra può essere eseguita da 2 o tre soccorritori.
¬ Il leader immobilizza frontalmente il capo del paziente e gli spiega le manovre che si accingono
ad eseguire.
¬ Il LM si pone dietro il soggetto e immobilizza manualmente il capo.
¬ Il leader posiziona il collare cervicale.
¬ Il 3°S posiziona la tavola spinale tra il paziente ed
il LM, facendola aderire alla schiena del soggetto.
¬ Il leader ed il 3° S di dispongono ai due lati e passano il proprio braccio sotto l’ascella del soggetto
e afferrano una maniglia della tavola il più in alto
possibile. L’altra mano dei soccorritori afferra una
maniglia il più in basso possibile, avendo cura di
afferrare entrambi le maniglie alla stessa altezza.
Quindi posizionano il proprio piede dal lato verso
il paziente dietro lo spigolo a terra posteriormente
alla tavola, per impedire che scivoli indietro.
¬ Al via del LM, il paziente e la tavola vengono lentamente abbassati al suolo mantenendo l’allineamento.
¬ Mentre il paziente e la tavola vengono abbassati
al suolo, l’immobilizzazione manuale del rachide
viene mantenuta ruotando le mani che tengono
ferma la testa.
¬ Quando il soggetto e la tavola sono a terra, la
manovra prosegue con l’allineamento e con l’applicazione dei sistemi di ritenzione.
Se la manovra viene eseguita da due soli soccorritori afferreranno con una mano la spinale passando
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il braccio sotto l’ascella e con l’altra mano immobi- POSIZIONAMENTO DEI SISTEMI DI RITENZIONE
lizzeranno di lato il capo.
CINGHIE RAGNO
La tavola spinale viene posizionata tra il traumatizzato
La tecnica di seguito descritta si riferisce ad uno dei
prodotti in commercio. In caso di sistemi tecnicamente differenti, seguire le istruzioni del produttore.
Mentre il LM mantiene l’immobilizzazione manuale
del capo (collare gia applicato), gli altri due soccorritori si dispongono ai due lati del ferito e agiscono in
modo sincrono fissando le cinghie laterali facendole
passare attraverso le maniglie della spinale. Le cinghie iniziali (a “Y”), vengono fissate sopra le spalle
(il punto di biforcazione della Y deve trovarsi sotto il
margine inferiore del collare). La parte longitudinale
della cinghia deve essere posizionata al centro e
ben tesa. Le altre cinghie devono essere posizionate all’altezza del torace, del bacino, sopra le ginocchia e in corrispondenza delle caviglie. In questa
fase le cinghie vengono solo posizionate. Successivamente il leader, ponendosi a cavalcioni sopra la
spinale, fissa tutte le cinghie in modo simmetrico
evitando spostamenti laterali del paziente.
Posizione delle cinghie laterali nel sistema a ragno.
I soccorritori di lato afferrano il paziente e la tavola.
FERMACAPO
Una volta fissate le cinghie ragno si può procedere
posizionando i due blocchi laterali del fermacapo
sull’apposito cuscinetto applicato sulla tavola spinale. I due blocchi dovranno essere posizionati uno
alla volta. Il LM dovrà sfilare la mano mentre il compagna avvicina il blocco per poi afferrare lateralmente il blocco stesso. Fino a quando non sarà posizionata la cinghia che passa sopra il collare in
corrispondenza del mento ed la cinghia che passa
sopra la fronte, il LM non dovrà abbandonare la propria posizione.
La tavola ed il traumatizzato vengono calati lentamente
al suolo.
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TRAUMI MUSCOLOSCHELETRICI
I traumi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico
sono un riscontro molto frequente nell’attività di un
soccorritore.
I traumi possono interessare un solo componente dell’apparato muscoloscheletrico (ossa, muscoli o articolazioni) o, come accade frequentemente, dare origine
a lesioni più complesse. Generalmente un trauma
isolato non determina una condizione di pericolo per
la vita, ma ciò non deve distrarre il soccorritore dall’effettuare un attenta valutazione delle condizioni generali dell’infortunato (valutazione primaria) e individuare
il meccanismo di lesione.
Ricordate sempre che un trauma minore può distrarre
il soccorritore dalla ricerca di altre lesioni potenzialmente pericolose per la vita in altre parti del corpo.
Non lasciate che il dolore riferito dal paziente o l’aspetto di una lesione impressionante, vi distraggano
dal prendere in considerazione eventuali lesioni più
gravi. Ad esempio se soccorrete una persona con un
evidente frattura del polso dovrete sempre porvi queste domande: come è avvenuta la frattura?. L’infortunato potrebbe essere semplicemente inciampato oppure essere caduto in seguito ad un episodio sincopale. È l’unica lesione presente? L’infortunato cadendo
potrebbe essersi fratturato o lussato la spalla? Cadendo ha sbattuto la testa? Quali altri segni e sintomi sono presenti? Qual è stato il meccanismo di lesione?
Cercate di capire come è avvenuto l’infortunio; la determinazione del meccanismo di lesione e del trasferimento di bassa o alta energia permetterà al soccorritore di sospettare la presenza di lesioni più critiche.
Sulla base di queste considerazioni possiamo raggruppare i traumi muscoloscheletrici in tre categorie
principali.
¬ Traumi muscoloscheletrici isolati non pericolosi per
la sopravvivenza (frattura isolata di un arto);
¬ Traumi muscoloscheletrici non pericolosi per la
sopravvivenza, ma associati a un trauma multisistemico che necessita di un trattamento salvavita
(lesioni rischiose per la vita e fratture agli arti);
¬ Traumi muscoloscheletrici rischiosi per la vita
(frattura pelvica o di femore con imponente perdita
di sangue.
Ai soccorritori non viene richiesto di differenziare i
diversi traumi muscoloscheletrici, ma di identificare e
trattare le condizioni pericolose per la vita e, tempo
permettendo, di identificare e stabilizzare le lesioni
delle estremità.
Ricordiamo ai soccorritori che la conoscenza a grandi
linee dell’anatomia e della fisiologia del corpo umano
costituiscono le basi con le quali poter comprendere
meglio il meccanismo di lesione e correlare le lesioni
superficiali con le lesioni interne. Nell’appendice troverete le nozioni di base riguardanti l’anatomia e la fisiologia dell’apparato muscoloscheletrico.
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I traumi muscoloscheletrici possono determinare quattro principali tipologie di problemi che richiedono un
trattamento preospedaliero:
1.
instabilità: fratture e lussazioni;
2.
Lesioni dei tessuti molli: strappi muscolari e
distorsioni;
3.
Emorragia;
4.
Perdita di sostanza: amputazioni o subamputazioni.
FRATTURE
Per frattura traumatica si intende l’interruzione della
naturale continuità dell’osso dovuta a cause meccaniche che esplicano una forza tale da superare i limiti di
elasticità e resistenza del tessuto osseo su cui essa è
diretta. La frattura patologica può avvenire in modo
apparentemente spontaneo, o a seguito di un trauma
di lieve entità, in un osso già indebolito da malattie di
diversa natura (osteoporosi, malattie genetiche, malattie della tiroide ecc.). La frattura è considerata una
lesione grave in quanto oltre al tessuto osseo possono essere compromessi i tessuti molli circostanti con
interessamento quindi di muscoli, tendini, legamenti,
nervi, vasi o cute.
I traumi capaci di esplicare tale forza si distinguono in:
¬ traumi diretti: provocano la frattura nello stesso
punto in cui sono applicati.
¬ Traumi indiretti: provocano la frattura a distanza dal
loro punto di applicazione.
CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE
Le fratture traumatiche devono essere prima di tutto
distinte in due gruppi diversi che differiscono sia per
quanto riguarda il trattamento sia per la prognosi.
Fratture chiuse: nessuna comunicazione del focolaio
osseo con l’esterno. Nelle fratture chiuse pur essendoci danni di varia natura nelle parti molli circostanti il
sito di frattura, la cute rimane integra.
Fratture aperte o esposte: una ferita più o meno ampia della pelle mette in comunicazione i frammenti
ossei con l’esterno. La lesione cutanea può essere
prodotta da un agente esterno oppure avvenire ad
opera di un moncone osseo appuntito che perfora la
cute.
In relazione al possibile spostamento dei monconi
ossei le fratture vengono ulteriormente classificate in:
Fratture composte: i monconi ossei rimangono in
asse e conservano rapporti tali da non alterare la morfologia originaria del segmento scheletrico.
Fratture scomposte: fratture che generano lo spostamento dei monconi ossei. L’entità e la direzione della
dislocazione variano in rapporto al meccanismo traumatico.
Esiste un’ulteriore complessa classificazione delle
fratture che tiene conto del grado di frattura, della rima
di frattura e del rapporto con le articolazioni. Queste
classificazioni possono essere effettuate solo osservando la frattura ai raggi x (radiografia). Pur essendo
lo studio radiografico di una frattura un esame di pertinenza medica, per completezza in questo testo illustreremo le principali classificazioni ricordando co-
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munque che per un soccorritore sarà sufficiente conoscere la classificazione sopra esposta.
Fratture complete: fratture che interessano tutto l’osso nel suo spessore. In base all’orientamento ed alle
caratteristiche della rima di frattura possono essere
classificate in trasversali, oblique, spirali, comminute
(quando la forza impressa genera diversi frammenti
ossei) ecc.
Fratture incomplete: fratture che non interessano
tutto l’asse osseo, esse possono essere dette infrazioni quando la rima di frattura si arresta a distanza più o
meno grande dal punto di partenza o fratture a “legno
verde” tipiche dell’infanzia a causa dell’incompleta
ossificazione.
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Esposizione della frattura: la presenza di una ferita
che espone l’osso è sempre causa di contaminazione
batterica e costituisce quindi un levato rischio di contrarre un infezione dell’osso (osteomielite) specie se la
frattura non viene pulita e disinfettata accuratamente.
Lesioni vascolari: la lesione dei vasi sanguigni importanti può osservarsi sia in caso di fratture aperte che
in caso di fratture chiuse. Ogni lesione può potenzialmente determinare abbondanti perdite di sangue interne all’osso o per la lacerazione dei vasi e muscoli
molto vascolarizzati adiacenti al sito di lesione. Nella
sindrome ischemica la frattura può generare una compressione o contusione delle pareti muscolari delle
arterie con conseguente spasmo e insufficiente vascolarizzazione dei tessuti a valle del sito di lesione
(ischemia tessutale). Da queste considerazioni si evince quanto sia importante il controllo delle condizioni
generali di circolo periferico nelle fratture degli arti. In
caso di ischemia il polso a valle della lesione è difficilmente o per niente apprezzabile e la cute è fredda,
pallida e insensibile al dolore.
Lesioni nervose periferiche: lesioni di vario tipo e grado dei nervi periferici possono prodursi in seguito a
fratture o lussazioni. Nel migliore dei casi si tratta di
una interruzione funzionale delle fibre nervose a causa di una contusione o distensione delle fibre nervose,
in questi casi il danno subito in genere è reversibile.
Ben più grave è la sezione completa o parziale del
tronco nervoso che spesso è irreversibile.
Clinicamente le lesioni nervose periferiche comportano un deficit motorio e sensitivo di grado variabile a
seconda dell’entità della lesione e del tronco nervoso
interessato, potendo andare da sintomi come formicolii, perdita di sensibilità, perdita della capacità di eseguire alcuni movimenti sino alla paresi o alla paralisi.
Lesioni nervose centrali: lesioni complete o parziali del
midollo spinale si possono verificare a seguito di fratture o traumi del rachide. I traumi spinali verranno trattati più approfonditamente nel capitolo dedicato.
Lesioni viscerali: lesioni traumatiche di organi toracici,
addominali o pelvici sono una complicazione diretta di
fratture che interessano la gabbia toracica, il bacino o
il rachide. Tali lesioni verranno ampliamente trattate
successivamente nel testo.
Fig. 26. Classificazione delle fratture.
COMPLICAZIONI
Le fratture possono dar luogo ad una serie di complicazioni a livello locale o generale che possono insorgere precocemente o tardivamente.
Complicazioni locali
Le complicazioni locali precoci di un frattura derivano
da lesioni delle parti molli (cute, muscoli, tendini ecc.)
circostanti il focolaio di frattura mentre le lesioni tardive derivano da processi patologici che si manifestano
anche a distanza di tempo dall’evento traumatico e
possono essere conseguenza della frattura stessa o
di uno scorretto trattamento (infezioni, paralisi, ossificazione scorretta ecc.).
Fig. 27. Frattura distale dell’omero con compressione di
un’arteria e un nervo a livello dell’articolazione del gomito.
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Complicazioni generali
Shock ipovolemico: l’instaurarsi di uno shock ipovolemico causato da un emorragia interna od esterna è
una delle complicanze precoci di più frequente osservazione e pericolosità in caso di fratture (per approfondimenti vedi capitolo dello shock). Il soccorritore
dovrebbe cercare di valutare la potenziale perdita di
sangue causata dal trauma attraverso la stima della
fuoriuscita di sangue (chiazza sull’asfalto, vestiti impregnati, ecc.) e riferendosi alla tabella sottostante
che riporta la perdita ematica approssimativa per la
frattura semplice di ciascun distretto osseo.
OSSO
Costa
Emorragia
interna
approssimativa (ml)
150
Radio o ulna
250-500
Omero
500-750
Tibia o perone
500-1000
Femore
1000-2000
Bacino
1000 - massiva
Tab. 5. Stima approssimativa della perdita di sangue associata a frattura di un singolo ossso .
Shock neurogeno: questo tipo di shock può instaurarsi
a seguito di un trauma è di solito benigno ed è causato dall’attivazione brusca del sistema parasimpatico.
Come conseguenza di questa attivazione per via riflessa si avrà una forte vasodilatazione sistemica accompagnata da un aumento delle resistenze vascolari
periferiche (vasocostrizione periferica). I segni e sintomi tipici sono pallore, ipotensione, polso debole e bradicardico spesso accompagnato da un episodio sincopale, in genere lo shock neurogeno si risolve spontaneamente.
Infezioni: nelle fratture esposte il rischio di contaminazione batterica è molto elevato. Diversi microrganismi,
in genere anaerobi come quello che provoca il tetano
o la gangrena gassosa, possono trovare nell’osso e
nelle ferite profonde l’ambiente ideale nel quale riprodursi. Attraverso il circolo ematico poi le infezioni possono diffondersi in tutto l’organismo e generare setticemia.
Tromboembolia: è una complicazione tardiva di un
evento traumatico prevalentemente agli arti inferiori. A
seguito di una protratta immobilizzazione dalle vene
della circolazione sistemica, soprattutto dalle gambe,
si staccano dei trombi o emboli che possono raggiungere e ostruire alcune arterie vitali.
SEGNI E SINTOMI DELLE FRATTURE
Segni locali:
¬ Dolore spontaneo, di solito forte e costante, o provocato da movimenti o dalla palpazione.
¬ Tumefazione locale con più o meno grave deformità
del segmento (accorciamento, rotazione, angolazione).
¬ Posizione anomala dell’arto. In caso di frattura di
femore l’arto risulta essere più corto e il piede è in
posizione extrarotata verso l’esterno.
¬ Crepitio alla palpazione (sensazione che dà l’osso
quando le estremità dei frammenti fratturati sfregano
uno contro l’altro).
¬ Ecchimosi, abrasioni, escoriazioni o ferite comunicanti o meno con il focolaio di frattura.
¬ Alterazione del colore e della temperatura della pelle.
¬ Osso esposto (fratture esposte).
¬ Perdita di funzionalità dell’arto interessato
(impossibilità a muovere attivamente l’arto fratturato).
¬ Perdita del polso a valle del focolaio di frattura.
¬ Parestesia (perdita della sensibilità,formicolio, o pizzicore), paresi (diminuzione della motilità muscolare) o paralisi (perdita della sensibilità e motilità) dell’arto interessato.
Segni generali:
Segni e sintomi dello shock ipovolemico.
Molte fratture possono essere asintomatiche, specialmente subito dopo il trauma quando i muscoli possono essere contratti e quindi tenere congiunti i frammenti ossei. In alcuni casi, in particolare negli incidenti
sportivi, il ferito può non avvertire alcun dolore a causa dell’alto livello di ormoni eccitanti in circolo.
Inoltre, non dimenticate che il ferito può essere distratto dalla frattura a causa di altre lesioni concomitanti o
può succedere il contrario quando la frattura distrae il
ferito da altre lesioni magari più gravi.
Tutte queste considerazioni devono rafforzare la convinzione che una attenta valutazione del meccanismo
di lesione può creare un indice di sospetto anche in
assenza di una sintomatologia indicativa di frattura.
La presenza di una frattura può essere esclusa solo
con un esame radiografico della parte lesa. Per questo, in caso di dubbio, la lesione va trattata come una
frattura.
Fig. 28. A sinistra, frattura chiusa del radio. Evidente la
deformazione nella parte distale dell’avambraccio. A destra, frattura chiusa di radio e ulna. Evidente il gonfiore e
la deformazione nella porzione mediale dell’avambraccio,
si noti la posizione anomala assunta dall’arto fratturato.
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DISTORSIONI
a
b
d
e
c
f
Quando l’apparto articolare viene sottoposto a notevoli sollecitazioni si possono produrre lesioni acute alle
strutture ossee e legamentose.
Nella distorsione i capi ossei vengono sollecitati oltre
il limite della normale flessibilità articolare lungo direttrici del movimento non fisiologiche, così da determinare una sovradistensione dell’apparato caspulolegamentoso con lacerazioni parziali o totali di capsula, legamenti, tendini o rottura di menischi intrarticolari. Durante le distorsioni più gravi i rapporti articolari si
alterano momentaneamente, tornando peraltro a normalizzarsi spontaneamente non appena cessa l’azione traumatica. Vi possono essere vari tipi di lesione
legamentosa, parziale o completa.
Le lesioni articolari e legamentose sono comuni soprattutto a livello della caviglia, del ginocchio, del gomito, del polso e delle dita delle mani (articolazioni
mobili).
Nei casi più gravi di lesioni complesse vengono coinvolte più strutture articolari (menischi e legamenti).
Le lesioni, dal punto di vista meccanico, possono essere di due tipi:
¬ da sovraccarico funzionale (sollecitazione articolare
abnorme e/o eccessivamente ripetuta);
¬ Traumatiche (cadute o colpi diretti).
g
Fig. 29. FRATTURA DEL FEMORE. Il femore può fratturarsi in diversi punti: le fratture dell’estremità prossimale (a,
b e c) sono tipiche dell’età senile. L’osteoporosi indebolisce l’osso quindi anche delle banali cadute accidentali
possono generare una frattura del femore anche per azione di forze di scarsa entità. Nel giovane e nell’adulato,
queste fratture sono causate dall’applicazione di una forza
di entità notevole. Le fratture dell’estremità mediale (5 e 6)
sono generalmente causate da un trauma ad elevata energia per lo più indiretto. I monconi ossei possono traslare e
determinare un accorciamento dell’arto. Traumi particolarmente violenti, possono provocare fratture doppie, nelle
quali si viene a separare un cilindro osseo suscettibile di
spostamento autonomo rispetto ai segmenti ossei adiacenti. I traumi diretti provocano prevalentemente fratture comminute (frammentazione dell’osso). Le fratture ditali (f)
sono spesso associate a traumatismi anche del ginocchio .
In tutti i casi la frattura del femore è un evento che può
avere delle complicazioni gravi (immediate e tardive). Il
problema maggiore è sicuramente la perdita di sangue
(fino ad 1 litro e oltre) causata dalla lacerazione dei vasi
nutritivi del femore ma anche dalla lacerazione dei vasi e
delle masse muscolari adiacenti provocata dai monconi
ossei. In alcuni casi, specie nelle lesioni della testa del
femore, l’irrorazione sanguigna all’arto inferiore può risultare compromessa generando uno stato di ischemia che può
degenerare fino alla necrosi (morte dei tessuti). I segni
locali sono rappresentati da tumefazione, deformità, ematoma, accorciamento dell’arto, angolazione e rotazione di
vario grado prevalentemente in extrarotazione (g) e impotenza funzionale.
Fig. 30. Trauma discorsivo al ginocchio con diversi gradi
di interessamento delle strutture lamentose.
SEGNI E SINTOMI
¬ Ematoma e tumefazione periarticolare;
¬ Dolore ai movimenti articolari ed al carico;
¬ Instabilità articolare più o meno grave, dipendente
dal carico;
¬ Ematro (versamento di sangue nella capsula articolare).
¬ Esternamente una distorsione può confondersi con
una frattura.
LUSSAZIONI
Per lussazione si intende la perdita permanente dei
rapporti dei capi articolari. Il meccanismo traumatico è
uguale a quello che provoca una distorsione, ma di
intensità ben maggiore in quanto, una volta perduti i
reciproci rapporti, i capi articolari non li riacquistano
più spontaneamente. Una lussazione si verifica per
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l’allontanamento di due capi articolari, mentre in una
frattura i due frammenti derivano da uno stesso segmento osseo.
Il trauma diretto o indiretto che provoca una lussazione può ledere anche i legamenti e i tendini della capsula articolare.
La sublussazione invece, indica che le superfici articolari rimangono in contatto parziale ma non sono più
correttamente allineate.
La lussazione si definisce recidivante quando si ripete
varie volte ad intervallo vario di tempo, per traumi modesti o per semplici movimenti, mentre è detta abituale quando si riproduce più volte nella stessa giornata,
spesso senza dolore.
Le lussazioni più frequenti si verificano a carico dell’articolazione della spalla, dell’anca, del gomito e delle
dita delle mano.
Fig. 31. La lussazione della spalla si realizza prevalentemente per caduta sul braccio in estensione ma può essere
provocata anche da un trauma diretto alla spalla. La testa
dell’omero può spostarsi in avanti (come nell’immagine),
indietro o in alto rispetto alla cavità che lo ospita in condizioni normali.
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Lussazione
rotula
Posizione
normale
Fig. 33. Le lussazioni del ginocchio sono poco frequenti
considerata la notevole energia che deve essere applicata
per lacerare contemporaneamente i vari mezzi di unione del
ginocchio. Generalmente un trauma, diretto o indiretto, al
ginocchio provoca un trauma discorsivo con gradi differenti
di interessamento di legamenti, tendini e menischi. Comunque, nelle lussazioni del ginocchio generalmente la tibia si
sposta in avanti provocando una deformazione, l’ematro è
cospicuo e l’impotenza funzionale assoluta.
Molto più spesso un trauma diretto a ginocchio flesso provoca la lussazione della rotula (immagine sotto). La rotula
(o patella) diviene visibile e palpabile sulla faccia laterale
esterna del ginocchio. In alcuni casi il dislocamento della
patella può associarsi a rottura dei tendini che normalmente
la tengono in sede anatomica.
Complicazioni precoci
¬ Paralisi nervose periferiche: per compressione dei
nervi periferici da parte del capo articolare lussato.
¬ Lesioni vascolari: per compressione, stiramento,
spasmo o rottura di arterie e vene.
¬ Lesione della capsula articolare, dei legamenti o dei
muscoli che contornano l’articolazione.
¬ Shock ipovolemico o neurogeno: in caso di lussazioni gravi e particolarmente dolorose come quelle dell’anca o della colonna vertebrale.
¬ Fratture: spesso si può associare anche la frattura
dei capi articolari (frattura-lussazione).
Fig. 32. Le lussazioni dell’anca sono prodotte da traumi
indiretti di notevole entità. In seguito ad un urto del ginocchio contro una superficie impattante, mentre la coscia è
flessa, si produce una forza lungo l’asse del femore che ne
determina la lussazione posteriore. In questi casi l’arto si
presenta accorciato, addotto ed intraruotato. Nella lussazione anteriore (meno frequente) l’arto risulta essere extraruotato e la testa del femore si rende palpabile in posiziona
anomala.
Complicazioni tardive
Le complicazioni tardive sono in genere conseguenza
di un trattamento scorretto o di un ritardo nel trattamento (riduzione della lussazione). Le complicazioni
più frequenti sono la lussazione recidivante o abituale,
l’instabilità articolare, l’artrosi deformante, la necrosi
ischemica causata dalla compressione dei vasi o la
paralisi per compressione o lacerazione dei nervi.
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LESIONI MUSCOLARI
Fig. 34. A sinistra, lussazione posteriore della testa del
femore con compressione del nervo ischiatico. A destra,
lussazione posteriore del gomito associata a frattura prossimale dell’ulna.
SEGNI E SINTOMI
¬ Dolore, spesso acuto e molto intenso. Il dolore può
acutizzarsi quando l’articolazione è sottoposta a
carico.
¬ Alterazione del normale aspetto della regione colpita. In caso di lussazione scapolo-omerale si evidenzia l’aspetto a “spalla cadente”. In caso di lussazione dell’anca l’arto può risultare ruotato in vario grado sia esternamente che internamente ma in linea di
massima risulta sempre accorciato.
¬ Diastasi (allontanamento) palpabile dei capi articolari.
¬ Impotenza funzionale completa con impossibilità ai
movimenti articolari sia attivi che passivi. Il soggetto
assume spesso una posizione di difesa. In caso di
lussazione della spalla istintivamente si sorregge il
gomito con la mano controlaterale.
¬ Ematoma, ematro e tumefazione periarticolare. L’ematoma può non essere presente nelle lussazioni,
ad eccezione del ginocchio, perché le articolazioni
hanno un minimo apporto di sangue.
¬ Segni e sintomi dello shock.
Fig. 35. Manifestazione clinica tipica della lussazione della
spalla. Si noti l’aspetto a “spallina di ufficiale” della spalla
lussata.
L'architettura muscolare è caratterizzata da un insieme di fasci muscolari disposti parallelamente che contraendosi solo in parte o massivamente producono un
movimento che esprime una forza più o meno intensa.
Possiamo quindi paragonare le fibre muscolari, che si
contraggono e si rilasciano in rapida successione, al
movimento ciclico dei pistoni di un motore e come i
pistoni hanno bisogno di raggiungere la temperatura
di esercizio e di essere ben lubrificati per lavorare in
modo ottimale, così le fibre muscolari necessitano di
essere ben vascolarizzate mediante il riscaldamento
prima di uno sforzo. Infatti una fibra muscolare che
sostenga uno sforzo improvviso senza un adeguato
riscaldamento si espone al rischio di subire rotture
della sua struttura la cui riparazione non potrà mai
eguagliare la plasticità e contrattilità della fibra sana.
Le lesioni muscolari acute sono di frequente riscontro
in tutte le discipline sportive e la loro incidenza viene
calcolata tra il 10 ed il 30 % di tutti i traumi da sport.
Il meccanismo di produzione della lesione può essere
a seguito di un trauma diretto o indiretto.
Nel primo caso l’agente che produce la lesione è esterno, colpisce il muscolo con particolare violenza; il
danno solitamente è maggiore se l’urto avviene quando il muscolo è contratto. L’effetto di un trauma diretto
è la contusione muscolare. Se la forza applicata è di
lieve entità si verifica solo una piccola infiltrazione emorragica ma se il trauma è più forte si verificherà una
perdita di sangue maggiore con possibile lacerazione
(strappo) delle fibre muscolari. Gli unici segni esterni
di una contusione muscolare sono l’ematoma ed il
dolore alla palpazione.
Nel secondo caso (trauma indiretto) la lesione della
muscolatura è legata ad una contrazione troppo rapida del muscolo da una fase di completo rilasciamento.
Il muscolo può subire una distrazione (stiramento)
delle fibre muscolari fino alla rottura parziale o completa dei fasci muscolari. In caso di rottura dei muscoli, oltre al dolore e all’impotenza funzionale, e possibile
osservare la formazione di un avvallamento più o meno profondo tra i monconi muscolari retratti.
Fattori predisponenti possono essere lo scarso allenamento, l’eccessiva fatica muscolare, la scorrettezza
del gesto atletico, fattori ambientali climatici (il freddo)
o terreni di gioco che non consentano la perfetta aderenza provocando movimenti scoordinati.
In entrambi i casi le lesioni prodotte vengono classificate in vari gradi a seconda del coinvolgimento del
numero di fibre muscolari, del grado di lesione delle
stesse e delle strutture connettivali e vascolari ad esse intimamente connesse.
Le lesioni muscolari isolate non rappresentano una
condizione pericolosa per la vita dell’infortunato pertanto il trattamento preospedaliero consiste nel riposo
funzionale del muscolo interessato e applicazione di
impacchi freddi.
Frequentemente il muscolo è sede di lesioni penetranti, la lesione muscolare è in questo caso una complicazione di una ferita cutanea o di una frattura scomposta di un osso adiacente.
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AMPUTAZIONI
Fig. 36. Lesione muscolare: lacerazione della porzione
mediale del muscolo gastrocnemio (muscolo del polpaccio).
ROTTURE TRAUMATICHE DEI TENDINI
Anche i tendini possono essere oggetto di traumatismi
più o meno gravi (contusioni, lussazioni, disinserzioni
ecc) ma il caso più grave è sicuramente la rottura di
un tendine.
Il fattore scatenante è comunemente uno sforzo, anche modesto, o una brusca contrazione muscolare. I
tendini più colpiti sono il tendine calcaneale, o comunemente detto tendine d’Achille che da inserzione sul
calcagno ai muscoli gemelli del polpaccio, ed il tendine del muscolo bicipite o del tricipite.
Il meccanismo traumatico più comune nello sportivo è
rappresentato da uno sforzo improvviso di notevole
entità di uno o più muscoli con l’articolazione bloccata.
Esempi tipici di rottura del tendine d’Achille sono il
calciatore che effettua uno stacco improvviso con il
piede bloccato a terra dai tacchetti delle scarpe o lo
sciatore che cade in avanti con il piede bloccato dall’attacco dello sci.
I sintomi principali sono: dolore acuto in sede di lesione, retrazione del muscolo interessato con formazione
di un avvallamento nel sito di rottura del tendine, possibilità di palpare e spesso di vedere una bozza carnosa prodotta dall’accorciamento del muscolo, gradi
diversi di alterazione motoria.
Quando un tessuto è completamente separato da un’estremità, resta totalmente privo di nutrimento e ossigenazione. Questo tipo di lesione è detta amputazione o avulsione. Per amputazione si intende la perdita
di una parte o di tutto un arto, e con avulsione si intende la lacerazione dei tessuti molli.
Inizialmente il sanguinamento può essere grave in
questo tipo di lesione, tuttavia i meccanismi di difesa
dell’organismo determineranno una vasocostrizione
nel sito di lesione così da ridurre la perdita di sangue.
Un trauma successivo in quella sede può staccare i
coaguli o interrompere lo spasmo vasale, facendo
riprendere il sanguinamento.
Più a lungo la parte amputata resta senza ossigeno,
meno facilmente sarà possibile reimpiantarla con successo. Raffreddare la parte amputata, senza congelarla, permette di ridurre il metabolismo e di prolungare questo periodo critico.
Le amputazioni sono immediatamente evidenti al soccorritore non appena giunge sulla scena. Dal punto di
vista psicologico il soccorritore deve trattare questa
lesione con molta cautela. Se il paziente non è consapevole dell’amputazione, dirglielo sulla scena può non
essere vantaggioso.
La valutazione primaria deve essere completata prima
di ricercare l’eventuale arto amputato. La vista di un
amputazione può essere orribile, ma non devono mai
essere dimenticate le priorità di trattamento: se il paziente non respira, l’amputazione diventa un problema
secondario.
Fig. 38. In caso di amputazione
traumatica si può verificare la
cosiddetta “sindrome dell’arto
fantasma”. Il soggetto può percepire una sensazione dolorosa
riferita ad una estremità che è
stata asportata.
TRATTAMENTO TRAUMI AGLI ARTI
Fig. 37. Rottura sottocutanea del tendine d’Achille.
Il soccorritore deve attenersi alle seguenti priorità tutte
le volte che ha a che fare con paziente con un trauma
alle estremità:
1.
Trattare tutte le condizioni pericolose per la vita.
2.
Trattare tutte le condizioni connesse all’arto
traumatizzato.
3.
Trattare tutto il resto (se il tempo lo consente).
L’attenersi a queste priorità non significa ignorare le
lesioni all’arto o non proteggerlo da ulteriori danni.
Significa invece che in un paziente politraumatizzato
con lesioni agli arti che non sono pericolose per la
vita, bisogna attuare manovre rapide e generali.
I soggetti con trauma muscoloscheletrico pericoloso
per la vita dovrebbero essere identificate durante la
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valutazione iniziale e ricevere il trattamento appropriato immediatamente che, in linea di massima, consiste
nell’immobilizzazione spinale. Sottolineiamo ancora
una volta che in caso di trauma muscoloscheletrico le
condizioni pericolose per la vita sono legate all’instaurarsi dello shock ipovolemico.
Nei soggetti senza lesioni o condizioni pericolose per
la vita, il trauma muscoloscheletrico può essere identificato e affrontato nella valutazione secondaria.
Il trattamento consistete nell’immobilizzazione dell’arto
o del segmento osseo interessato.
Se un arto è sottoposto a uno stress anomalo a causa
della posizione del paziente oppure per un’angolazione anormale, il soccorritore dovrebbe tentare di riallineare l’arto riportandolo in posizione anatomica. L’allineamento è controindicato qualora il movimento provochi un dolore troppo intenso o se si avverte una
forte resistenza al movimento.
L’immobilizzazione impedisce ai segmenti ossei di
muoversi ulteriormente e quindi peggiorare la frattura,
inoltre garantisce una vasocostrizione che limita il
sanguinamento senza ostacolare il ritorno venoso impedendo così il fenomeno dell’ischemia. Una corretta
immobilizzazione limita la sintomatologia dolorosa e
previene ulteriori lesioni ai tessuti molli.
L’immobilizzazione di fratture agli arti (superiori e inferiori) può essere eseguita con apposite stecche rigide
o con steccobende a depressione o, in assenza di
questi specifici presidi, con materiale di fortuna come
ad esempio un asse di legno e dei pezzi di stoffa. La
cosa importante da ricordare è che la stecca deve
avere una lunghezza sufficiente ad immobilizzare l’articolazione prossimale e distale al segmento osseo
fratturato. Ad esempio, per una frattura del radio la
steccatura dovrà interessare il segmento che va dall’articolazione del gomito all’articolazione del polso. In
caso di lesioni alle articolazioni o alle ossa, anche il
muscolo spesso risulta essere danneggiato.
La steccatura è consigliabile anche nei casi in cui non
vi siano indicazioni di fratture: in questo modo si impediscono ulteriori lesioni e si limitano le emorragie interne.
La tecnica di posizionamento dei presidi per l’immobilizzazione degli arti è stata descritta nelle schede tecniche.
In generale, la gestione di lesioni scheletriche agli arti
deve prevedere i seguenti passaggi:
1. Arrestare qualsiasi sanguinamento e trattare il paziente in stato di shock.
2. Valutare la funzione motoria e vascolare distalmente alla sospetta lesione.Le fratture possono causare
la lacerazione o la chiusura dei vasi sanguigni. Rilevare sempre la presenza del polso a valle della sospetta frattura. L’assenza di polso indica la presenza di una lesione importante ai vasi sanguigni e
quindi una situazione urgente. E’ inoltre buona norma il controllo del ricambio capillare prima e dopo
l’immobilizzazione (normale se il tempo è minore di
2 secondi). Anche i nervi possono essere lesionati
con conseguente possibile insensibilità o ridotta
capacità di movimento.
3. Supportare la zona lesa.
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4. Togliere abiti, gioielli o altri accessori per evitare
che impediscano la circolazione se aumentasse il
gonfiore.
5. Immobilizzare l’estremità lesionata con appositi presidi, o con mezzi di fortuna, includendo le articolazioni sopra e sotto la lesione.
6. Rivalutare l’estremità lesa dopo l’immobilizzazione
per valutare eventuali cambiamenti nella funzione
neurovascolare (sensibilità, polso, riempimento capillare). Il ghiaccio, applicato subito, può dare sollievo, ridurre il dolore e l’edema conseguente al trauma.
Trattamento fratture esposte
In caso di fratture esposte la complicanza comune è la
contaminazione batterica: lavare abbondantemente la
ferita con soluzione fisiologica, se possibile utilizzare
abbondante soluzione jodata per disinfettare la ferita ,
non disinfettare con acqua ossigenata o soluzione
alcolica e coprire quindi con telini o garze sterili.
In caso di esposizione di superfici articolari applicate
una medicazione umida (telini sterili imbevuti di soluzione fisiologica) per evitare che le cartilagini si secchino con l’esposizione all’aria.
Fate attenzione a non porre la steccobenda sopra la
ferita aperta.
Trattamento fratture del bacino
Le fratture del bacino rappresentano sempre un indice
di pericolosità a causa della cospicua perdita ematica
stimata. Inoltre l’instabilità del bacino rende difficile i
movimenti. Cercate di muovere il meno possibile il
traumatizzato, immobilizzatelo su tavola spinale facendo attenzione ad imbottire gli eventuali spazi vuoti
attorno alla cintura pelvica. Se le condizioni lo consentono, potete anche immobilizzare il traumatizzato utilizzando il materassino a depressione.
Trattamento lussazioni-distorsioni
Come regola generale, le sospette lussazioni o distorsioni dovrebbero essere immobilizzate nella posizione
in cui si trovano evitando movimenti che potrebbero
muovere ulteriormente l’articolazione. Non tentare in
nessun caso di ridurre una lussazione.
In caso di sospetta lussazione o distorsione associata
ad altre lesioni importanti, immobilizzazione viene effettuata direttamente su tavola spinale. In caso di lussazioni o distorsioni isolate immobilizzare l’articolazione colpita utilizzando le steccobende a depressione
modellate attorno all’articolazione, un bendaggio elastico o i triangoli. In caso di lussazione della spalla
immobilizzare l’arto con il gomito flesso a 90°.
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TRAUMA CRANICO
Il trauma cranico rappresenta per frequenza e per impiego di risorse, uno dei maggiori problemi sanitari;
oltre il 60% delle vittime d’incidenti stradali presentano
traumi cranio-encefalici.
La classificazione del trauma cranico è molto complessa è prende in considerazioni diversi aspetti (forza
impressa, agente causale, danni provocati, ecc.). In
questo testo ci limiteremo ad una breve classificazione e al riconoscimento dei sintomi e segnali di un trauma cranico.
Sulla base del meccanismo di scambio di energia, i
traumi al capo possono essere suddivisi in traumi
chiusi e traumi aperti o penetranti.
Trauma chiuso
Come già ampiamente discusso nel capitolo dedicato
alla cinematica, nel trauma chiuso le lesioni sono provocate dalla formazione di una cavità temporanea che
allontana i tessuti dal punto di impatto. Le lesioni sono
provocate dai fenomeni di compressione e lacerazione.
Compressione. Quando il corpo si muove in avanti,
con il capo in posizione anteriore, come nel caso di un
urto frontale o di un tuffo di testa, è il capo che impatta
e riceve per primo il trasferimento di energia. Successivamente, mentre il tronco prosegue nel suo movimento in avanti, si verifica la compressione della testa. Il trasferimento di energia avviene inizialmente a
livello dello scalpo e del cranio. Il cranio può essere
compreso e fratturato.
Lacerazione. Dopo che il cranio ha terminato il suo
moto in avanti, il cervello continua a muoversi nello
stesso senso, iniziando a comprimersi contro il cranio
intatto o fratturato, producendo una concussione, una
contusione o una lacerazione. Il cervello è soffice e
comprimibile, quindi la sua lunghezza si riduce. La
parte posteriore dell’encefalo, continuando il suo moto
in avanti, può allontanarsi dalla superficie interna del
cranio, che ha già cessato il suo movimento. Questa
separazione del cervello dal cranio può stirare o lacerare qualunque vaso della zona con conseguente raccolta di sangue nello spazio tra le meningi ed emorragia.
Fig. 39. Quando il cranio interrompe il proprio moto in avanti, il cervello continua a muoversi. La parte del cervello
più vicina al punto di impatto viene compressa, contusa e
forse anche lacerata, mentre la porzione più distale all’impatto si separa dalla scatola cranica con strappamento e
lacerazione dei vasi coinvolti.
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Trauma penetrante
Quando un corpo contundente penetra nel cranio, la
sua energia viene distribuita all’interno di uno spazio
chiuso generando una cavità temporanea ed una permanente. Il tessuto cerebrale viene compresso contro
la parete interna del cranio (scatola rigida) che non è
in grado di espandersi subendo molti più danni di
quelli riscontrabili in caso di una possibile libera espansione. Se l’energia è sufficientemente grande
(armi ad alta energia) il cranio può anche esplodere.
Le lesioni craniche traumatiche possono essere suddivise in due categorie considerando il meccanismo di
lesione.
Lesioni cerebrali primarie
Lesioni causate da un trauma diretto al cervello con
possibili lesioni vascolari associate. I neuroni, cellule
permanenti, possono subire un danno importante come diretta conseguenza del trauma. Se il danno subito è sufficientemente esteso, può causare la morte dei
neuroni che non sono più in grado di rigenerarsi. In
base alla zona dell’encefalo colpita e all’estensione
del danno, il traumatizzato può subire dei danni neurologici permanenti di diverso grado.
Lesioni cerebrali secondarie
Alcuni fattori secondari possono provocare un ampliamento e un aggravamento della lesione primaria e dei
deficit neurologici permanenti. Per un soccorritore, è
di fondamentale importanza riconoscere e trattare
precocemente queste condizioni per ridurre al minimo
l’estensione dei danni neurologici.
Le lesioni secondarie possono a loro volta essere
suddivise in sistemiche e intracraniche.
Le cause sistemiche devono essere riconosciute e
trattate già in fase preospedaliera. Queste comprendono l’ipossia, l’alterazione del livello di anidride carbonica (ipocapnia o ipercapnia), l’anemia e l’ipotensione e l’alterazione della concentrazione di glucosio.
Ricordiamo che i neuroni sono molto sensibili alla riduzione della concentrazione di ossigeno. Il tessuto
cerebrale già ischemico a causa dell’evento primario,
è molto sensibile anche a brevi periodi d’ipossia. La
morte irreversibile dei neuroni si instaura anche dopo
soli 4-6 minuti di assenza di ossigeno (danno anossico).
In un soggetto traumatizzato sono molte le cause che
portano ad ipossia: l’ostruzione delle vie aeree a causa della lingua nel soggetto incosciente o per presenza o aspirazione di vomito e sangue, un trauma toracico che influenza la meccanica ventilatoria ecc. Generalizzando, ricordate che tutte le cause che portano ad
ipoventilazione o iperventilazione inducono uno stato
di ipossia e/o un alterazione della concentrazione di
anidride carbonica che peggiora ulteriormente la ventilazione.
Lo stato confusionale rappresenta molto spesso il primo sintomo di una scarsa ossigenazione cerebrale.
L’intossicazione da stupefacenti e alcool può portare
rapidamente ad un quadro di ipoventilazione che contribuisce ad aumentare la concentrazione di CO2 e
quindi a peggiorare gli scambi gassosi.
Tutte queste considerazioni ci portano ad affermare
che in un traumatizzato, una delle priorità più impor-
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tanti, è garantire una corretta ventilazione.
Una lesione traumatica alla testa può provocare emorragie sia interne che esterne, inoltre in un politraumatizzato ci può essere una perdita di sangue legata a
lesioni in altri distretti. L’anemia che consegue ad una
grave perdita ematica, può compromettere l’ossigenazione a livello sistemico e a livello cerebrale aggravando ulteriormente il danno anossico. Il riscontro di uno
stato di ipotensione (PAS inferiore a 100 mmHg) è un
sego tardivo di shock ipovolemico e pertanto deve
allertare il soccorritore.
Le cause intracraniche di lesione cerebrale secondaria sono convulsioni, edema e la formazione di ematomi intracranici. Sia l’edema che il sanguinamento causano un aumento della pressione intracranica (PIC).
L’edema cerebrale può essere immaginato come un
vero e proprio rigonfiamento del cervello causato dall’aumento del liquido extracellulare. Il rigonfiamento
della massa cerebrale, comprimendo l’encefalo, aggrava lo stato ipossico.
La formazione di un ematoma intracranico è una condizione potenzialmente molto pericolosa per la vita,
perché la massa dell’ematoma va ad occupare uno
spazio molto importante all’interno della scatola cranica.
Un soggetto che ha subito un grave trauma cranico, è
a rischio di sviluppare crisi convulsive per diversi motivi. L’ipossia, alterazioni elettrolitiche, l’ipoglicemia possono lesionare il tessuto cerebrale generando un focolaio epilettogeno in grado di scatenare crisi convulsive del tutto simili alle crisi epilettiche.
Effetti dell’impatto
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movimento dell’encefalo all’interno di esso.
La commozione cerebrale è una sindrome clinica consecutiva ad un trauma cranico, caratterizzata da immediata e transitoria perdita di coscienza, in assenza
di lesioni sicuramente dimostrabili e di interessamento
della scatola cranica.
Al ripristino della coscienza si possono manifestare
dei deficit di memoria: amnesia retrograda, ovvero
incapacità di ricordare gli eventi prima dell’incidente, o
amnesia anterograda (molto frequente), difficoltà di
ricordare particolari avvenuti dopo la ripresa della coscienza. Questo deficit di memoria spesso è a breve
termine ma genera nel paziente uno stato di ansia per
le sue condizioni di salute. La perdita di memoria a
lungo termine associata alla commozione è rara, molto più spesso il soggetto invece non riuscirà più a ricordare il momento del trauma. Per il soccorritore può
essere difficile ricostruire la dinamica dell’evento basandosi sul racconto del traumatizzato.
Una commozione può essere tanto lieve che il paziente stesso non si accorge della lesione. Di solito questo
tipo di trauma non provoca danni rilevabili ai tessuti
cerebrali. La maggior parte dei soggetti con commozione cerebrale avverte un senso di “stordimento”
spesso accompagnato da intensa cefalea (mal di
test).
Un esempio tipico di trauma commotivo è la perdita di
coscienza di un pugile che viene messo “fuori combattimento” da un pugno inferto alla testa (kock-out).
Nelle forme non commotive il paziente ha subito un
trauma cranico di lieve entità, tale da provocargli solamente dolore nel punto di impatto ma nessuna perdita
di coscienza.
Sui tessuti:
Escoriazioni
Contusioni
Ferite
Avvulsioni
Sul cranio
Fratture
Ferite - scalpo
Sul tessuto cerebrale
Contusione- ematoma
Emorragia
Lacerazioni
Edema
á PIC
Tab. 6. Effetti locali dell’impatto sulle strutture anatomiche
del capo.
TRAUMI CRANICI SPECIFICI
COMMOZIONE CEREBRALE
La commozione cerebrale, o concussione, può essere
immaginata come uno “scuotimento” del cervello all’interno della scatola cranica rigida.
Si osserva tipicamente dopo un impatto brusco che
provoca un’improvvisa decelerazione del cranio e un
Fig. 40. L’amnesia retrograda è l’incapacità di ricordare gli
venti precedenti l’impatto, l’amnesia anterograda riguarda
l’incapacità di ricordare gli avvenimenti successi immediatamente dopo l’impatto (buco di memoria).
CONTUSIONE CEREBRALE
Un trauma diretto alla testa può generare una contusione (ematoma) della massa cerebrale nel punto
stesso in cui viene colpita o, per contraccolpo, nella
direzione esattamente opposta alla prima come esito
del brusco movimento del cervello che si muove all’interno della scatola cranica.
I segni e sintomi di una contusione variano a seconda
della localizzazione e delle dimensione dell’area contusa. Il tessuto cerebrale che viene schiacciato può
andare incontro ad una necrosi localizzata e generare
delle piccole emorragie intracraniche. Il danno ischemico cerebrale può portare alla formazione di edema
diffuso. L’effetto di questa massa di liquido extracellulare, può manifestarsi anche a distanza di ore dall’impatto.
I traumi in grado di provocare una perdita di coscienza
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prolungata di solito causano una contusione di grado
variabile.
Fig. 41. Le contusioni più profonde derivano dall’applicazione di forze di accelerazione e decelerazione che spostano la massa cerebrale in relazione alla scatola cranica
rigida. La lesione di può verificare nel punto di applicazione della forza (lesione da colpo) ma anche, dato che l’encefalo torna indietro, nel punto antipolare (lesione da contraccolpo).
FRATTURE CRANICHE
Le fratture della scatola cranica possono essere provocate da un trauma chiuso o da un trauma penetrante. La presenza di fratture craniche accresce notevolmente la possibilità che vi siano delle lesioni intracraniche.
In alcuni casi un’attenta palpazione della testa può
evidenziare segni di avvallamenti o instabilità ossea.
Le fratture aperte sono molto pericolose perchè possono consentire l’ingresso di batteri e aria nel liquor, e
inoltre possono costituire una via di uscita di liquor e
materia cerebrale.Le fratture aperte, come pure tutte
le ferite della testa, devono essere sempre considerate ad altissimo rischio di infezioni (meningite), quindi
vanno sempre accuratamente protette con teli sterili.
La fuoriuscita di sangue o liquor (liquido giallo) dall’orecchio o dal naso deve indurre il soccorritore a sospettare una frattura della base cranica.
Fig. 42. Le fratture delle ossa craniche possono essere
depresse o infossate con possibile penetrazione dei frammenti ossei, o possono essere lineari.
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L’evoluzione classica di un ematoma epidurale consiste in una prima breve perdita di coscienza dopo il
trauma e in una ripresa dello stato di coscienza seguita da un secondo rapido deterioramento. Durante il
periodo di coscienza, detto “intervallo lucido”, il traumatizzato può essere lucido ed orientato oppure soporoso e lamentare cefalea.
Il livello di coscienza può deteriorare rapidamente.
Questa considerazione conferma l’importanza della
valutazione costante delle funzioni vitali (coscienza,
respiro e circolo) che non deve mai essere trascurata
in nessuna fase nell’approccio e trattamento del traumatizzato.
Ematoma subdurale. Raccolta di sangue tra la dura
madre e l’aracnoide. Sono provocati da lacerazione
dei vasi del cervello o delle meningi a causa di un
trauma ad energia medio-alta. Non è necessario un
trauma cranico diretto perché si abbia un’emorragia
subdurale, essendo sufficienti le sole forze di accelerazione, in particolare nei soggetti anziani o nei soggetti in terapia anticoagulante.
Le conseguenze possono manifestarsi immediatamente oppure possono comparire dopo giorni o mesi
dall’incidente.
Oltre alle alterazioni del livello di coscienza, che vanno dalla perdita transitoria della coscienza fino al coma, si possono manifestare altri segni neurologici specifici in base alla localizzazione dell’ematoma
(anormalità delle pupille, deficit motori, disturbi della
vista, cefalea, cambiamenti di personalità ecc.).
Ematoma intracerebrale. Lesione dei vasi sanguigni
all’interno del cervello come diretta conseguenza di un
trauma chiuso contusivo. Poiché la scatola cranica è
inestensibile, qualsiasi ematoma al suo interno comprime direttamente il cervello e fa aumentare la pressione intracranica. Questi ematomi possono continuare ad aumentare di volume dopo il trauma aggravando
sempre più le condizioni neurologiche.
Fig. 43. Classificazione degli ematomi cerebrali in base
alla sede di localizzazione.
EMATOMI INTRACRANICI
SEGNI E SINTOMI
Gli ematomi intracranici consistono nella formazione
di una massa di sangue nello spazio tra le meningi o
direttamente nel tessuto cerebrale. In tutti i casi, questa massa di sangue occupa spazio all’interno della
scatola cranica contribuendo all’aumento della pressione intracranica.
In base alla localizzazione, possono essere classificati
in:
Ematoma epidurale. Raccolta di sangue tra il cranio
e la dura madre (meninge più esterna). Sono provocati spesso da traumi a bassa energia in zona temporale
tipo un pugno o il colpo di una palla da tennis.
In circa il 50% dei casi, l’accurata valutazione dei traumatizzati cranici è resa spesso difficile dalla contemporanea presenza di lesioni in altre parti del corpo.
Può essere utile distinguere fra quattro classi di segni.
1. Segni di trauma
Riguardano soluzioni di continuità del cuoio capelluto,
lesioni della volta cranica, escoriazioni, contusioni,
ematomi, ferite lacero-contuse, talora con copioso
sanguinamento data la notevole vascolarizzazione,
fino a giungere ad avulsione di gran parte del cuoio
capelluto (ferite a scalpo).
Avvallamenti o soluzioni di continuità della scatola
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cranica sono evidenti segni di frattura. Peraltro molte
fratture craniche non presentano alcun segno visibile
dall'esterno. Lesioni o tumefazioni del cuoio capelluto
sono segni certi di trauma cranico, ma non danno nessuna informazioni sulla sua gravità e, in alcuni casi,
possono essere assenti.
Emorragia dal naso o dall’orecchio (rinorragia o otorragia) associata o meno a perdita di liquido liquor
(liquido chiaro, giallastro sui vestiti) dal naso dall’orecchio (rino o otoliquorrea).
Ematomi periorbitali (occhio da procione) ed ematomi
retroauricolari (segno di Battle) sono generalmente
riscontri tardivi.
Fig. 44. Nell’immagine sono riportati alcuni dei segni esterni di trauma cranico.
2. Alterazioni sistemiche
Alterazioni della funzione respiratoria (bradipnea, dispnea, iperventilazione, apnea, respiro rapido e superficiale, â SpO2 ecc.) fino all’arresto respiratorio.
Alterazioni
della
funzione
cardiocircolatoria
(bradicardia, ipotensione, aumentato tempo di riempimento capillare, polso rapido e superficiale) fino all’arresto cardiocircolatorio.
Pallore, cute fredda e sudata (segni di ipoperfusione).
Cefalea, vertigini, vomito a getto non preceduto da
nausea.
Disturbi della vista o della parola (difficoltà ad articolare le parole).
3. Segni di compromissione neurologica
L'amnesia dell'evento è estremamente comune, meno
comune l'amnesia retrograda, nella quale l'ultimo ricordo risale a parecchio tempo prima del trauma. Non
si tratta di sintomi allarmanti, ma indicano senz'altro
una commozione cerebrale.
Le convulsioni sono indici comuni di compromissione
neurologica.
Deficit motori di vario grado (prevalentemente emiparesi).
Bradicardia e ipertensione (qualora si verifichino contemporaneamente) rappresentano il segno di Cushing
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e sono indici di edema cerebrale.
Le pupille forniscono informazioni importanti sulla sede e gravità della lesione, valutare quindi il diametro
pupillare e la reazione alla luce.
4. Disturbi di coscienza
Una perdita di coscienza transitoria (da pochi secondi
a pochi minuti) è comunemente associata a un trauma
cranico ed è indice di commozione cerebrale, in genere senza conseguenze per il paziente.
I disturbi della coscienza possono andare dalla semplice confusione mentale fino a stupore, sonnolenza o
coma, sono quasi sempre associata a una lesione
cerebrale. In alcuni casi si può assistere a cambiamenti della personalità: soggetto aggressivo.
Un peggioramento improvviso dello stato di coscienza
dopo un intervallo libero (da pochi minuti a 24 ore)
indica la formazione di un ematoma cerebrale o la
comparsa di edema cerebrale.
La valutazione dello stato di coscienza andrebbe eseguita per mezzo della Glasgow Coma Score (GCS). Di
norma lo stato di coscienza è correlato con la gravità
del trauma cranico, ma non nelle ferite craniche penetranti, che possono essere molto gravi anche senza
compromissione dello stato di coscienza.
Fig. 45. Classificazione della gravità delle Lesioni Craniche Traumatiche effettuata considerando la durata della
perdita di coscienza ed il livello di GCS.
TRATTAMENTO
La gestione efficace di un soggetto con una lesione
cranica traumatica inizia con le manovre classiche che
permettono di risolvere le condizioni potenzialmente
mortali individuate nella valutazione primaria o emerse
durante le altre fasi del soccorso. In generale, l'azione
del soccorritore deve essere mirata al raggiungimento
dei seguenti obbiettivi:
1. Garantire la pervietà delle vie aeree.
I soggetti incoscienti o con un diminuito livello di coscienza necessitano di assistenza per garantire la
pervietà delle vie aeree con le tecniche o mezzi già
esposti.
2. Controllare il vomito.
L'aspirazione del contenuto gastrico va sempre evitata, aspirare solo il vomito presente nel cavo orale
Contemporaneamente, è necessario evitare manovre
che potrebbero aggravare una lesione cervicale.
Nel caso di paziente incosciente o sospetto di lesione
cervicale occorre immobilizzare adeguatamente il paziente in posizione neutra. In queste condizioni il controllo del vomito può diventare problematico. Per
svuotare bocca e prime vie aeree da contenuto gastrico e sangue è necessario girare il paziente sul fianco,
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sempre però proteggendo il rachide cervicale e mantenendo l'asse testa-collo-tronco. Questa operazione
può essere semplice qualora il paziente sia immobilizzato su una tavola spinale, complessa qualora sia
immobilizzato per mezzo di dispositivi meno adatti
(barella cucchiaio, assi corte), estremamente difficoltosa qualora il paziente non sia immobilizzato.
L'utilizzo di un aspiratore per liberare bocca e prime
vie aeree è possibile, ma non sempre è efficace a meno che il contenuto gastrico non sia estremamente
fluido.
3. Proteggere il rachide cervicale.
Circa il 5% di pazienti con grave trauma cranico presenta una frattura cervicale associata quindi provvedere all’immobilizzazione del rachide cervicale posizionando un collare cervicale e immobilizzare il paziente su un piano rigido. Ridurre l'ipertensione endocranica e i danni anossici.
4. Prevenire l’ipossia.
Somministrare ossigeno ad alto flusso con l’obiettivo
di mantenere la saturazione di O2 superiore al 95%. In
caso di respirazione difficoltosa prendere in considerazione la ventilazione assistita a pressione positiva
(con pallone ambu) o la ventilazione artificiale in caso
di gasping o arresto respiratorio.
L'ossigeno riducendo l'ipossia cerebrale contribuisce a
combattere l'edema cerebrale.
5. Controllo emorragie e ferite.
Non tamponare eventuali rinorragie o otorragie. Un’emorragia esteriorizzata rappresenta un naturale drenaggio di un ematoma endocranico.
Coprire con teli o garze sterili le ferite aperte e tamponare le eventuali emorragie esterne. In caso di fratture
craniche non esercitare una pressione eccessiva direttamente sul sito di lesione.
LESIONI VERTEBRO MIDOLLARI
La parte ossea della colonna vertebrale può normalmente sopportare forze piuttosto elevate di energia
(fino a 7000 Kg). I movimenti ad alta velocità, gli incidenti automobilistici a bassa o media energia o gli
sport di contatto possono superare facilmente questo
limite generando delle lesioni di vario genere alla colonna.
Le lesioni traumatiche della colonna vertebrale possono essere limitate alle sole strutture di rivestimento e
contenimento delle vertebre (contusioni, distorsioni dei
legamenti, lussazioni…) oppure dare luogo a vere e
proprie fratture delle vertebre. La complicanza più grave di un trauma vertebrale è, naturalmente, la possibile compromissione del midollo spinale (dalla contusione allo stiramento o alla sezione completa e irreversibile del midollo) o delle radici dei nervi spinali. In alcuni casi il trauma alle vertebre potrebbe generare una
colonna instabile, ma non produrre un immediato danno midollare.
La mancanza di deficit neurologici non esclude
una frattura o una colonna instabile.
Sebbene la presenza di una buona risposta motoria e
sensitiva agli arti indichi che il midollo è attualmente
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intatto, non esclude la presenza di una colonna instabile che potrebbe peggiorare con i movimenti.
SPECIFICI MECCANISMI DI LESIONE
I meccanismi traumatici che possono causare una
lesione spinale sono:
Il caricamento assiale può avvenire in molti modi. Più
comunemente, questa compressione della colonna si
verifica quando la testa urta un oggetto e il peso del
corpo ancora in movimento si scontra con la testa ferma. Il caricamento assiale si verifica anche quando un
soggetto cade in piedi da un’altezza considerevole. In
questo modo, il peso della testa e del torace sono indirizzati contro la colonna lombare, mentre la colonna
sacrale rimane ferma.Durante questo scambio di energia, la colonna vertebrale tende ad esagerare le
normali curvature e, a livello di queste regioni , si verificano fratture e compressioni.
Fig. 46. Caricamento assiale. La colonna può essere compressa direttamente lungo il proprio asse se l’impatto avviene con il capo (a sinistra) oppure può scaricare l’energia a livello della colonna lombare o sacrale nelle cadute in
piedi da altezze superiori a 4 mt (a destra).
L’eccessiva flessione (iperflessione), l’eccessiva estensione (iperestensione) e l’eccessiva rotazione
possono causare lesioni ossee e strappamento dei
muscoli e dei legamenti, dando luogo a una lesione o
ad uno stiramento del midollo spinale.
La distrazione (eccessivo allungamento della colonna)
si verifica quando una parte della colonna è stabile e
la parte restante ha un movimento longitudinale che
può facilmente generare uno stiramento o strappamento del midollo spinale.
Fig. 47. Comportamento delle vertebre cervicali nei movimenti di distrazione, estensione, compressione e flessione.
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La flessione laterale improvvisa o eccessiva richiede
un movimento molto minore rispetto alla flessione o
all’estensione prima che si verifichi il trauma. Durante
un impatto laterale, il tronco e la colonna toracica vengono spostati lateralmente. La testa tende a rimanere
nella propria posizione finché viene spinta dalle articolazioni cervicali. Essendo spostato il centro di gravità,
la testa tende a ruotare lateralmente dando luogo a
lussazioni e fratture ossee.
Fig. 48. Rotazione o flessione laterale della colonna vertebrale.
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porta anestesia sottolesionale ad esempio una lesione
midollare a livello dorsale determina paralisi e anestesia solo degli arti inferiori ma una lesione completa
localizzata nel tratto cervicale porta rapidamente a
morte a causa della paralisi dei muscoli respiratori.
Nelle sezioni incomplete vengono preservate alcune
fibre dei tratti motori o sensitivi causando una sintomatologia più lieve come la perdita della sensibilità
termica, dolorifica o tattile o la perdita di alcune funzioni motorie.
Sebbene una sezione incompleta determina danni
minori, bisogna ricordarsi che un movimento incauto
del soccorritore potrebbe far evolvere la lesione incompleta in una completa.
Lo shock neurogeno secondario ad una lesione spinale rappresenta un sintomo aggiuntivo rilevante. Lo
shock neurogeno, a differenza di quello di origine ipovolemica, conduce allo stato di ipoperfusione tessutale a causa di una brusca vasodilatazione provocata
dalla perdita del tono simpatico. In questi casi non vi è
la tachicardia caratteristica degli altri tipi di shock, al
contrario nello shock neurogeno la pelle e calda e asciutta, la FC è bassa e anche la pressione è bassa.
Fig. 49. Mell’immagine sono riportati alcuni esempi di lesioni (fratture, lussazioni, lesioni dei legamenti) a carico
della colonna vertebrale.
LESIONI MIDOLLARI
Le lesioni primarie si verificano al momento dell’impatto o dell’applicazione delle forze e possono causare
una compressione del midollo, una lesione diretta del
midollo (generalmente a causa di un frammento osseo
tagliente), o una interruzione della vascolarizzazione
del midollo.
Le lesioni secondarie si verificano dopo il trauma iniziale e possono includere la formazione di edema,
ischemia o lo spostamento di un frammento osseo.
I segni possono essere i più disparati in relazione al
livello della lesione midollare; in generale più alta risulta essere una lesione midollare maggiore sarà la gravità.
La contusione midollare comprende contusioni o sanguinamenti del tessuto midollare, che possono anche
determinare una temporanea perdita delle funzioni
motorie e sensitive distalmente alla lesione. Il tessuto
contuso può indurre uno stato ischemico del tessuto e
di conseguenza un edema che comprime ancora di
più il midollo. Questa lesione può essere reversibile se
il midollo ha subito solo un lieve danno.
La sezione del midollo spinale può essere completa o
incompleta. In una sezione completa sono interrotte
tutte le fibre nervose del tratto spinale al di sotto della
sede di lesione. Una sezione midollare completa com-
Fig. 50. Immagine che illustra come le sezioni alte del midollo (cervicali) producano tetraplegia, mentre lesioni più
basse possono generare uno stato di paraplegia.
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SEGNI E SINTOMI
La sintomatologia neurologica caratteristica di una
lesione midollare è caratterizzata da tre ordini di disturbi, che riguardano la sensibilità, la mobilità e la
funzione sfinterica.
¬ Dolore al collo o alla schiena
¬ Dolore al movimento del collo o della schiena
¬ Dolore alla palpazione della colonna vertebrale
¬ Qualsiasi deformità della colonna vertebrale
¬ Difesa o rigidità dei muscoli del collo o della schiena
¬ Paralisi, paresi, intorpidimento o formicolio nelle
gambe e nelle braccia
¬ Segni e sintomi di shock neurogeno
¬ Perdita della funzione degli sfinteri
¬ Dinamica e cinematica indicatrice di sospetta lesione spinale.
Di fronte ad un infortunato senza segni clinici riferibili
a lesioni midollari non si può affatto escludere che
abbia lesioni alle vertebre o ai legamenti della colonna
vertebrale tali da renderla instabile e quindi estremamente vulnerabile ad ogni movimento.
TRATTAMENTO
Il trattamento nei casi di sospette lesioni vertebrali è
l’immobilizzazione spinale. Ovviamente, il soccorritore
prima di arrivare alla decisione di immobilizzare completamente il traumatizzato, dovrà aver almeno completato la valutazione primaria e trattato eventuali problemi riscontrati.
Il meccanismo traumatico può essere utilizzato come
aiuto nel determinare le indicazioni all’immobilizzazione spinale. Il soccorritore deve utilizzare un buon giudizio clinico e, se in dubbio, immobilizzare.
Nel caso di un trauma chiuso, esistono determinate
condizioni che impongono l’immobilizzazione spinale:
¬ Livello alterato di coscienza. GCS< 15, stato mentale alterato, lesione cranica traumatica.
¬ Dolore o dolorabilità alla colonna.
¬ Deficit o disturbi neurologici.
¬ Deformità anatomiche della colonna.
L’assenza di questi indicatori non esclude la presenza
di una lesione alla colonna.
Quando un paziente ha un meccanismo traumatico
significativo, in assenza delle condizioni appena elencate, e valutata l’attendibilità del paziente, il soccorritore può decidere comunque per l’immobilizzazione
spinale. Sospettare sempre la presenza di lesioni vertebrali in ogni paziente con un trauma; il solo esame
neurologico non può escludere la presenza di lesioni
che possono essere confermate solo dopo esame
radiologico.
Se il soccorritore valuta che il meccanismo del trauma
non è indicativo di trauma spinale o altro tipo di trauma importante e la valutazione attenta e accurata del
paziente non evidenzia niente di anormale può anche
decidere di non procedere con l’immobilizzazione spinale.
L’attendibilità di un paziente deve essere valutata
prendendo in considerazione i seguenti punti:
¬ Intossicazione. Soggetti sotto l’influsso di droghe,
alcool o farmaci.
¬ Lesioni distraenti. I traumi distraenti sono quelli con
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lesioni molto dolore o particolarmente impressionanti
che possono impedire al soggetto di dare risposte
affidabili.
¬ Barriere di comunicazione. Barriere linguistiche, stati
di demenza mentale o pazienti che per una qualsiasi
ragione non possono comunicare.
IMMOBILIZZAZIONE SPINALE
L’immobilizzazione spinale prevede il posizionamento
del soggetto in posizione supina su una tavola rigida
mantenendo l’allineamento neutrale. La testa, il collo,
il tronco e il bacino devono essere immobilizzati in una
posizione di allineamento neutrale per prevenire qualsiasi ulteriore movimento che possa determinare un
danno al midollo.
L’immobilizzazione spinale segue i comuni principi di
trattamento delle fratture: “l’articolazione sopra” della
colonna indica che la testa deve essere immobilizzata
e “l’articolazione sotto” indica il bacino.
Una modesta flessione anteriore o estensione delle
braccia non causa movimenti significativi dell’articolazione delle spalle. Qualunque movimento o angolazione del bacino determina un movimento del sacro e
delle vertebre ad esso collegate. Ad esempio un movimento laterale di entrambi gli arti inferiori può determinare una angolazione del bacino ed una curvatura
laterale della colonna.
Spesso i soccorritori pongono troppa attenzione su particolari strumenti di immobilizzazione senza comprendere i principi dell’immobilizzazione.
I seguenti criteri generali possono servire come valido strumento per misurare quanto efficacemente il soggetto sia
stato immobilizzato:
¬ L’immobilizzazione manuale in asse è stata iniziata immediatamente e mantenuta fino alla sua sostituzione con
un ausilio meccanico?
¬ È stato correttamente applicato un collare cervicale?
¬ Il tronco è stato assicurato sulla tavola prima della testa?
¬ Il presidio può muoversi in su e in giù rispetto al tronco?
¬ Può muoversi a destra e sinistra rispetto alla parte superiore del tronco?
¬ Può muoversi a destra e sinistra rispetto alla parte inferiore del tronco?
¬ Qualche parte del tronco può muoversi anteriormente
rispetto al presidio?
¬ Le cinghie che attraversano il torace ne impediscono la
normale escursione?
¬ La testa è efficacemente immobilizzata in modo da non
potersi muovere in nessuna direzione?
¬ La testa si trova in una posizione neutrale in asse?
¬ C’è qualcosa che limita o impedisce i movimenti di apertura della bocca?
¬ Le gambe sono ben immobilizzate in modo da non poter
compiere alcun movimento?
¬ Il bacino e le gambe sono in posizione neutrale?
¬ Le braccia sono adeguatamente immobilizzate alla tavola
e al tronco?
¬ Ci sono cinghie che compromettono la circolazione periferica di un arto?
¬ Mentre veniva applicato il presidio, il paziente è stato
urtato, scosso o ha compiuto un qualsiasi movimento in
grado di compromettere una colonna instabile?
¬ L’intera procedura è stata completata in un tempo congruo?
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COLPO DI FRUSTA
Il colpo di frusta è un evento traumatico relativamente
frequente negli incidenti stradali ed in particolare dei
tamponamenti automobilistici. Per inerzia la testa del
passeggero o del guidatore viene proiettata repentinamente e violentemente all’indietro e subito dopo, per
rimbalzo, ricade in avanti, producendo delle lesioni da
stiramento prevalentemente a carico dei muscoli del
collo.
I danni sono considerevolmente più gravi in assenza
di poggiatesta; in questi casi si possono riscontrare
danni cerebrali legati allo scuotimento dell’encefalo
nella scatola cranica.
La sintomatologia è molto variabile potendo andare da
dolore e rigidità in sede nucale, cefalea fino a perdita
di sensibilità e forza agli arti superiori nei casi più gravi. Altri sintomi associati in modo variabile al colpo di
frusta sono vertigini, disturbi visivi e auditivi, nausea,
raucedine. Il dolore può comparire anche dopo ore o
alcuni giorni dal trauma.
In questi casi, se non ci sono indicazioni all’immobilizzazione spinale, è sempre consigliabile applicare un
collare cervicale di tipo rigido o morbido.
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del sangue) è solitamente secondaria al metabolismo
anaerobio di cellule scarsamente ossigenate.
Un insufficiente ventilazione polmonare può essere
causata anche da una contusione del tessuto polmonare che determina alterazioni nel rapporto ventilazione-perfusione o da mutamenti pressori all'interno dello
spazio pleurico che determinano uno spostamento
delle strutture mediastiniche e un collasso del polmone.
Le lesioni del torace che non vengono riconosciute a
causa di una valutazione non completa o poco attente
possono compromettere la ventilazione o gli scambi
respiratori. L’obiettivo “terapeutico” del soccorritore è
migliorare la respirazione prevenendo o trattando l’ipossia e l’ipoventilazione.
Le lesioni toraciche possono essere penetranti o chiuse.
Trauma chiuso
Compressione. Se l’impatto di una collisione è incentrato sulla parte anteriore del torace, lo sterno assorbe
il trasferimento iniziale di energia. Quando lo sterno si
arresta bruscamente, la parte toracica posteriore
(muscoli e colonna vertebrale) e tutti gli organi contenuti nella cavità toracica continuano a muoversi in
avanti finché non urtano lo sterno.
Il proseguimento del moto in avanti provoca un incurvamento delle coste fino a superare la loro elasticità. Il
che può produrre fratture costali o un lembo costale
mobile oltre a produrre danni agli organi interni.
Lacerazione. Il cuore, e i grossi vasi sanguigni come
l’aorta sono relativamente mobili nel torace. Quando
in una collisione la struttura scheletrica si ferma bruscamente, il cuore ed il tratto iniziale dell’aorta continuano il loro moto in avanti. Le forze di trattamento
prodotte possono lacerare l’aorta proprio in corrispondenza della giunzione tra la porzione libera e la porzione ancorata.
Fig. 51. Il colpo di frusta è un danno legato a traumi che
causano distorsione o stiramento delle strutture muscololegamentose del rachide cervicale a seguito di movimenti
di iperflessione o iperestensione.
TRAUMI TORACICI
La gabbia toracica è una struttura importantissima
perché ha la duplice funzione di proteggere gli organi
vitali (cuore, polmoni, esofago, trachea, grossi vasi) e
permettere la respirazione. I traumi toracici causati da
fenomeni contusivi, compressivi o penetranti possono
provocare danni agli organi vitali che si ripercuotono
sulla funzione cardiocircolatoria e polmonare. Un trauma toracico spesso determina ipossia tissutale. L'ipossia ha origine da una inadeguata disponibilità di
sangue ossigenato a livello dei tessuti sia per la diminuzione della perfusione sia per la diminuzione del
trasporto di ossigeno da parte dei globuli rossi. L’ipercapnia (aumento della concentrazione di CO2 nel sangue) è legata alla diminuzione della ventilazione mentre l’acidosi (accumulo di acidi e diminuzione del pH
Fig. 52. Nel trauma toracico chiuso sono coinvolte forze di
compressione di strappamento.
Trauma penetrante
Nelle lesioni penetranti qualsiasi organo o struttura
contenuta nella gabbia toracica può essere leso.
Non bisogna mai sottovalutare la possibilità che un
oggetto penetrante nella gabbia toracica possa interessare anche le strutture contenute nella cavità addominale.
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In base alle strutture interessate dal trauma, i traumi
toracici possono essere così suddivisi:
Lesioni della gabbia toracica:
¬ Fratture costali
¬ Volet costale
¬ Fratture dello sterno
Lesioni viscerali:
¬ Pneumotorace
¬ Emotorace
¬ Tamponamento cardiaco
¬ Contusioni polmonari
¬ Traumi esofagei
¬ Traumi tracheali
¬ Rottura traumatica dell’aorta
¬ Rottura del diaframma
SEGNI E SINTOMI DI TRAUMA TORACICO
I segni e sintomi di trauma toracico, sia che interessi
le strutture ossee, i polmoni o gli altri organi contenuti
nel torace, comprendono: dispnea, tachipnea, dolore
che generalmente peggiora durante l’inspirazione e
tutti i segni legati all’instaurarsi di uno stato di shock.
Non bisogna dimenticare che spesso le lesioni toraciche sono inserite in un contesto di più traumi. L’assenza di sintomi, tuttavia, non sottintende l’assenza di
lesioni.
Poiché gli organi fondamentali per la respirazione e la
circolazione cono contenuti nel torace, le lesioni maggiori del torace possono causare alterazioni fisiologiche pericolose per la vita del paziente.
A seconda poi dei diversi tipi di lesione si potranno
riscontrare segni e sintomi caratteristici.
FRATTURE COSTALI
Le fratture costali semplici sono raramente pericolose
per la vita. I segni e sintomi includono dolore intenso
che peggiora con il movimento, dolore locale alla palpazione e, talvolta, crepitio osseo. Molto spesso le
fratture sono a carico delle coste dalla 3° all’8° e si
verificano nella porzione laterale. Di maggiore importanza sono la valutazione e il riconoscimento delle
lesioni associate alle strutture sottostanti, spesso pericolose per la vita come perforazione di un polmone da
parte del margine aguzzo di una costa fratturata o
lesione di altri visceri (cuore, diaframma, fegato, milza
e reni).
Fig. 53. Meccanismo di lesione che provoca fratture costali
per l’applicazione di una forza in direzione anteroposteriore (a sinistra) o in senso trasversale rispetto al
torace (a destra).
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TRATTAMENTO
Il trattamento dei soggetti con fratture costali non complicate e in assenza di indicatori per l’immobilizzazione spinale, consiste essenzialmente nel trattamento
del dolore. Il soccorritore può alleviare il dolore provocato dalle coste fratturate con l’immobilizzazione e la
limitazione dei movimenti del torace dal lato leso.
Questo obiettivo può essere ottenuto utilizzando il
braccio del paziente e un bendaggio a fascia che non
comprima troppo e non ostacoli però la respirazione.
Se non sussistono controindicazioni, il soggetto può
essere trasportato in decubito laterale dal lato leso per
limitare i movimenti del torace dalla parte fratturata e
consentire la normale espansione del emitorace sano.
LEMBO COSTALE O VOLET COSTALE
Il lembo costale è generalmente causato da un impatto sullo sterno o sulla parete laterale del torace. In una
collisione frontale lo sterno impatta contro la colonna
dello sterzo. La continuazione, per inerzia, del movimento in avanti della parete posteriore del torace flette le coste fino alla loro frattura. Il lembo toracico si
verifica quando due o più coste adiacenti si fratturano
in due o più punti. Il segmento di torace che si trova
fra le due fratture perde la sua stabilità meccanica con
il resto della gabbia toracica. Il segmento libero si
muove in direzione opposta alla gabbia toracica sia
durante l’inspirazione che durante l’espirazione creando un respiro paradosso.
Il risultato del movimento paradosso della gabbia toracica è una diminuzione della ventilazione che determina ipossia e ipercapnia.
Il movimento paradosso spesso può essere estremamente difficile da individuare. Inizialmente, lo spasmo
dei muscoli intercostali può limitare il moto paradosso,
ma quando questi muscoli si rilassano il lembo costale
diventa più evidente.
Fig. 54. Volet costale a sinistra. A destra respiro paradosso. Se la stabilità della parete toracica viene persa per la
presenza di coste fratturate in due o più punti, quando la
pressione intratoracica diminuisce durante l’inspirazione,
la pressione atmosferica esterna forza all’interno il lembo
costale. Quando la pressione endotoracica aumenta nell’espirazione, il lembo costale è spinto all’esterno.
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TRATTAMENTO
Tutti i pazienti con lembo costale evidente devono
ricevere ossigeno supplementare. Se la ventilazione e
la saturazione di ossigeno non migliorano nonostante
l’ossigeno è bene prendere in considerazionel’ipotesi
si assistere la ventilazione con il pallone ambu.
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trarsi contro un’altra auto: istintivamente prende un
respiro profondo e lo trattiene isolando così i polmoni.
Se l’urto è abbastanza violento, i polmoni possono
esplodere come un sacchetto di carta pieno di aria
che viene schiacciato tra le mani.
CONTUSIONE POLMONARE
Una contusione polmonare è una porzione di polmone
lesionata a tal punto da causare un sanguinamento a
livello del tessuto polmonare. L’aumento della quantità
di liquido nello spazio tra la membrana degli alveoli e
la parete dei capillari rende più difficoltoso il passaggio di ossigeno impedendo l’ossigenazione del segmento affetto. Quando l’area contusa è di dimensioni
rilevanti si avranno ripercussioni importanti sulla ventilazione.
PNEUMOTORACE
Per pneumotorace (o PNX) s’intende la penetrazione
di aria nello spazio pleurico. L’aria che penetra determina la separazione dei foglietti parietale e viscerale
delle pleure, al progressivo aumento dell’aria in questo spazio segue il collasso del polmone.
In condizioni fisiologiche, l’accoppiamento che permette di trasmettere al polmone i movimenti della gabbia toracica, è realizzato costringendo la pleura polmonare, che riveste la superficie esterna del polmone,
a aderire intimamente alla pleura parietale che rivesta
internamente la gabbia toracica. Con questo sistema il
movimento di espansione della gabbia toracica ”tira” i
polmoni creando così una pressione negativa che costringe l’aria ad entrare attraverso i sistemi di conduzione. Nella fase espiratoria la distensione della gabbia toracica fa ritornare i polmoni nella conformazione
iniziale e quindi l’aria viene spinta fuori.
Se entra dell’aria nello spazio pleurico i due foglietti si
separano intaccando il meccanismo che consente di
ventilare i polmoni. La pressione dell’aria presente
nello spazio pleurico comprime il polmone impedendo
l’ingresso dell’aria che arriva dai bronchi durante l’inspirazione. Ne consegue un’alterazione della meccanica respiratoria con conseguente ipoventilazione.
Fig. 55. La compressione del polmone contro la glottide
chiusa, conseguente a un impatto sulla parete anteriore o
laterale del torace, può determinare un pneumotorace
chiuso.
PNEUMOTORACE APERTO
Si verifica quando l’aria penetra nella gabbia toracica
dall’esterno, attraverso una ferita (ferita penetrante da
corpo estraneo o lacerazione causata dal margine
aguzzo di una o più coste fratturate).
Le ferite più grandi rimangono completamente aperte,
permettendo all’aria di entrare ed uscire dallo spazio
pleurico. Altre ferite, dette ferite soffianti, creano un
meccanismo a valvola, l’aria entra nello spazio pleurico ma non è in grado di uscire. Questo meccanismo è
molto pericoloso perché può portare rapidamente allo
stabilirsi di un pneumotorace iperteso.
PNEUMOTORACE SPONTANEO
Questo tipo di pneumotorace non è di origine traumatica ed è dovuto, solitamente, alla rottura di piccole
bolle che ritrovano sulla parte apicale dei polmoni al di
sotto della pleura viscerale. Questa patologia si osserva generalmente in individui giovani, alti e magri, quasi sempre fumatori. Il pnx spontaneo può determinare
un collasso minimo o completo del polmone.
PNEUMOTORACE CHIUSO
Fig. 56. Una ferita produce una breccia nella parete toracica attraverso cui l’aria può entrare e uscire dalla cavità
pleurica. L’aria può entrare nello spazio pleurico da due
parti: un’apertura nella parete toracica o un’apertura nei
bronchi o nei polmoni.
Si verifica quando l’aria penetra nella gabbia toracica
attraverso una lesione del polmone, dei bronchi o della trachea senza che vi sia una discontinuità dei tessuti che lo rivestono, fenomeno detto del “sacchetto di
carta”. Per fare un esempio, pensate a cosa succede
ad una persona quando si accorge che sta per scon-
Qualsiasi apertura nella parete toracica crea una via
attraverso cui l’aria può penetrare dall’esterno nel torace. La pressione negativa che si crea all’interno del
torace durante l’inspirazione risucchia l’aria esterna
nel torace. Quest’aria rimane all’esterno del polmone
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su quel lato del torace nello spazio tra i due foglietti
pleurici e pertanto non partecipa agli scambi gassosi.
Il polmone viene compresso e non si può espandere
per la presenza di aria nello spazio pleurico e perché
dai bronchi non arriva aria a causa dell’alterazione
della meccanica respiratoria.
Il trattamento specifico in caso di pneumotorace aperto deve essere rivolto all’immediata chiusura della
breccia toracica per evitare l’evoluzione in PNX iperteso.
La ferita deve essere coperta con una medicazione
chiusa solo su tre lati in maniera da creare una valvola
che consente all’aria di uscire ma non di entrare.
Se si osserva un peggioramento progressivo della
respirazione o la comparsa di segni tipici di PNX iperteso, la medicazione deve essere rimossa subito.
Fig. 57. Una medicazione semiocclusiva chiusa su tre lati
crea una valvola a lembo che consente all’aria di uscire
dallo spazio pleurico ma non di entrarci.
PNEUMOTORACE IPERTESO
Il PNX iperteso è una situazione estremamente pericolosa per la vita del paziente causata dalla formazione di una valvola unidirezionale che consente all’aria
di entrare nello spazio pleurico ma non di uscirne. Può
essere conseguenza di un pneumotorace aperto ma
anche chiuso.
L’aumento della pressione intrapleurica, fino a superare la pressione atmosferica, fa collassare completamente il polmone del lato affetto. Il polmone “sgonfio”,
con il suo peso, comprime e sposta dal lato opposto le
strutture che stanno al centro del torace (mediastino).
La ventilazione è ancora più compromessa perché
anche il polmone sano viene compresso dalle strutture del mediastino. La compressione del cuore e delle
vene cave determinano una riduzione del ritorno venoso al cuore e di conseguenza una diminuzione della
gittata cardiaca.
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SEGNI E SINTOMI
La presentazione del paziente con pneumotorace,
indipendentemente dal fatto che sia aperto, chiuso o
iperteso, varia a seconda della pressione intratoracica
che si è sviluppata. In alcuni casi, i segni e sintomi
possono essere lievi o irrivelabili, mentre in altri casi
possono essere molto severi e in grado di pregiudicare le funzioni vitali.
In linea generale, i segni e sintomi possono essere:
¬ difficoltà respiratorie (dispnea, tachipnea, fino a gasping e arresto respiratorio).
¬ Cianosi
¬ Dolore toracico di tipo pleurico
¬ Presenza di ferite o corpi estranei penetrati nel torace
¬ Deformità della gabbia toracica e asincronia nei movimenti respiratori
¬ Rumori e crepitii sottocutanei percepiti toccando il
torace (enfisema sottocutaneo)
¬ Ipossia severa
¬ Frattura di 4 o più coste o volet costale
¬ Segni di traumi o contusioni in sede toracica
¬ Inoltre, in caso di PNX iperteso:
Enfisema sottocutaneo: anomala raccolta di aria
nello strato sottocutaneo. L’enfisema sottocutaneo
è particolarmente evidente nella regione laterale del
collo in corrispondenza del passaggio della giugulare sottoforma di gonfiore che al tatto emette dei
caratteristici crepitii o nella regione superiore del
torace.
Turgore giugulare: la distensione delle vene del
collo è causata dalla compressione delle vene cave
(il sangue non riesce a tornare al cuore). Il turgore
delle giugulari è un segno tradivo, tuttavia, se il paziente ha anche una cospicua emorragia, questo
segno non sempre è rilevabile.
Deviazione laterale della trachea. La deviazione
della trachea dalla linea mediana visibile nel collo è
un segno tardivo molto grave ed è causato dallo
spostamento del mediastino.
TRATTAMENTO
A tutti i soggetti con pneumotorace deve essere somministrato ossigeno ad alti flussi e deve essere garantita un’adeguata ventilazione. Nel caso specifico di
pneumotorace aperto, la ferita deve essere chiusa
con una medicazione a tre lati.
Il riscontro di segni e sintomi suggestivi di pnx aperto
o iperteso, deve far allertare il soccorritore. In questi
casi l’ospedalizzazione deve essere il più rapido possibile. Il trattamento salvavita, in caso di pnx iperteso,
è la decompressione con ago. Questa manovra, che
prevede l’inserimento di un ago nello spazio pleurico
del lato affetto, può essere eseguita solo da personale
sanitario anche nella fase extraspedaliera.
Rottura tracheo-bronchiale
Fig. 58. PNX iperteso. Se la quantità di aria intrappolata
nello spazio pleurico continua ad aumentare, non solo
collassa il polmone dal lato colpito, ma anche il mediastino
viene compresso e la pressione intratoracica aumenta,
con diminuzione del flusso ematico capillare e compressione della vena cava.
Qualsiasi porzione dell’albero tracheo-bronchiale può
essere lesionata da ferite penetranti o da traumi chiusi. Queste lesioni permettono un rapido e massiccio
spostamento dell’aria nell’spazio pleurico e producono
un PNX iperteso. La ventilazione assistita in questi
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casi può non essere utile perchè forza l’aria attraverso
la breccia della trachea o dei bronchi aumentando
ancora di più la pressione intrapleurica.
Fig. 59. Rottura tracheobronchiale. La ventilazione
assistita a pressione positiva
può forzare direttamente
l’aria attraverso la breccia
determinando un PNX iperteso.
EMOTORACE
L’emotorace consiste nella presenza di sangue nello
spazio pleurico, prevalentemente, a seguito di un evento traumatico (traumi contusivi o penetranti) o per
la rottura traumatica dei vasi sanguigni intercostali.
L’emotorace è un’urgenza grave perché può portare
rapidamente a shock ipovolemico (lo spazio pleurico
può contenere fino a 3 litri di sangue per ciascun lato).
Benché sia un’evenienza molto rara, l’emotorace può
verificarsi in associazione con un pneumotorace.
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TAMPONAMENTO CARDIACO
Raccolta di liquido o sangue nello spazio pericardico
in seguito ad un evento traumatico o non della parete
toracica, rottura della parete ventricolare in corso di
IMA, dissecazione aortica, pericarditi...
Il tamponamento cardiaco è un evento relativamente
frequente negli incidenti automobilistici in cui il torace
urta violentemente contro il volante (trauma evitabile
con l’uso della cintura di sicurezza e dell’air bag) o
come conseguenza di una ferita da arma bianca.
La fuoriuscita di sangue dallo spazio pericardico non è
possibile quindi ad ogni sistole (contrazione del cuore)
la quantità di sangue si accumula sempre di più comprimendo il cuore e impedendo l’espansione diastolica. Questo meccanismo riduce la gittata cardiaca e
diminuisce la perfusione miocardica.
Un paziente con tamponamento cardiaco può non
presentare altri sintomi che quelli correlati alle lesioni
toraciche e allo shock. Il sacco pericardico può accogliere 200-300 ml di sangue prima che si verifichi il
tamponamento, tuttavia, quantità minori possono ridurre significativamente la gittata cardiaca.
Il sangue che si accumula tra i foglietti pericardici ostacola il riempimento cardiaco determinando una
diminuzione della gittata cardiaca con conseguente
aumento della frequenza cardiaca come meccanismo
compensatorio. Altri segni sono ipotensione, turgore
delle giugulari (dato dalla congestione venosa), polso
piccolo e dispnea.
TRATTAMENTO
Trasporto rapido e somministrazione di ossigeno supplementare.
Fig. 60. Emotorace. La quantità di sangue che può accumularsi nello spazio pleurico può arrivare a 3 litri
(emotorace massivo).
SEGNI E SINTOMI
I segni e sintomi sono direttamente legati allo shock
ipovolemico e, in minor misura, alla compressione dei
polmoni da parte della massa di sangue.
TRATTAMENTO
Il soccorritore in questi casi può solo cercare di trattare i sintomi in attesa di un veloce intervento sanitario o
ricovero in PS.
Fig. 61. Tamponamento cardiaco. L’accumulo di sangue
nello spazio pericardico limita l’espansione del ventricolo.
Rottura traumatica dell’aorta
La rottura traumatica dell’aorta è solitamente dovuta a
una lesione da strappamento data da una brusca variazione di velocità. Se la resistenza alla tensione dell’aorta viene superata questa si può lacerare o sezionare completamente nel punto di maggiore instabilità.
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Nella maggioranza dei pazienti questa lesione provoca una rottura completa del vaso e morte entro la prima ora per dissanguamento.
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Trauma penetrante
Un trauma penetrante è sicuramente più evidente e la
traiettoria dell’agente lesivo (oggetto appuntito o arma
da fuoco) può essere visualizzata mentalmente per
identificare le possibili lesioni interne.
La valutazione della dinamica, la presenza di segni
come abrasioni, contusioni od ecchimosi in zona addominale, pelvica o lombare o la rigidità addominale ,
difesa o distensione devono indurre il soccorritore a
sospettare la presenza di un trauma addominale.
Il trattamento, in questi casi, rispetta il protocollo traumi. Eventuali oggetti conficcati non devono mai essere
rimossi.
Fig. 60. L’aorta discendente è strettamente fissata alla
colonna vertebrale, a contrario dell’arco aortico e del cuore. La rottura a causa di forze di strappamento avviene
generalmente a livello della giunzione tra aorta discendente e arco aortico.
TRAUMI ADDOMINALI
Trauma chiuso
Compressione. Durante una collisione con impatto
frontale, gli organi interni, compressi dalla colonna
vertebrale contro il volante o il cruscotto, possono
rompersi. Gli organi solidi che più frequentemente
vanno incontro a lesioni con questo meccanismo sono
il pancreas, la milza, il fegato e i reni.
Le lesioni possono risultare da un aumento della pressione nell’addome.
Il diaframma è la più debole di tutte le pareti che circondano la cavità addominale. Può essere strappato
o lacerato a seguito di un aumento della pressione
intraddominale. La lacerazione dl diaframma porta
delle conseguenze importanti nella meccanica respiratoria (il diaframma è coinvolto attivamente nella respirazione). Inoltre, attraverso la lacerazione, organi addominali possono entrare nella cavità toracica con
inevitabili conseguenze per la normale espansione
toracica.
Lacerazione. Le lesioni agli organi addominali si verificano prevalentemente nei punti più deboli come l’inserzione sui foglietti del peritoneo. La lesione degli
organi intra-addominali produce una cospicua perdita
di sangue. Per questo motivo riconoscere precocemente i segni e sintomi di uno shock ipovolemico è di
fondamentale importanza.
Eviscerazione
In caso di ferite aperte, gli organi addominali possono
fuoriuscire (più frequentemente si tratta di grasso omentale o di anse intestinali). In questi casi non bisogna mai tentare di riposizionare gli organi eviscerati
nella cavità addominale. La porzione fuoriuscita deve
essere medicata e coperta con garze sterili inumidite
con soluzione salina sterile. Questa medicazione non
si deve mai asciugare e deve essere coperta con una
medicazione asciutta allo scopo di conservare il calore
del paziente.
Fig. 61. Trauma addominale chiuso. Forze di compressione e strappamento.
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IL TRAUMA PEDIATRICO
Il trauma è la prima causa di morte nel bambino, con
un'eziologia variabile in relazione all'età:
¬ Dalla nascita a un anno - Soffocamento, ustioni,
annegamento, cadute.
¬ Da 1 a 4 anni - Incidenti del traffico (come occupante del veicolo), ustioni, annegamento, cadute.
¬ Da 5 a 14 anni - Incidenti del traffico stradale
(come occupante del veicolo o pedone), lesioni da
bicicletta, ustioni, annegamento.
Nei bambini sono più frequenti le lesioni multisistemiche; lesioni toraciche e addominali sono generalmente dovute a traumi chiusi di notevole entità, mentre,
contrariamente all'adulto, sono meno frequenti le lesioni da corpi penetranti. Inoltre possono verificarsi
lesioni anche severe ad organi interni in assenza di
fratture come conseguenza della maggiore elasticità
del tessuto osseo.
Le priorità di trattamento sono le stesse che negli
adulti, ma occorre avere a disposizione materiali idonei, unitamente ad una buona conoscenza delle diversità anatomo-fisiologiche che devono essere tenute
ben presenti nella valutazione dei parametri vitali.
A - Airways e B - Breathing
Considerazioni generali sulla gestione delle vie
aeree
Il bambino è particolarmente esposto ad ostruzione
delle vie aeree:
1. le dimensioni del capo del bambino, relativamente
più grande di quello di un adulto, consentono una
scarsa flessione del collo quando il bambino è posto in posizione supina su una superficie piana.
Per il mantenimento della posizione neutra del capo può essere necessario posizionare un telino
sotto le spalle.
2. Il bambino soporoso o incosciente perde il tono
faringeo e diviene rapidamente incapace di deglutire e proteggere le vie aeree.
La lingua molto grande tende ad occludere rapidamente le vie aeree nel bambino incosciente.
4. I bambini in età prescolare e scolare possono avere denti mobili, che possono facilmente staccarsi
ed ostruire le vie aeree. Statisticamente, l’incidenza maggiore di ostruzione delle vie aeree da inalazione di corpo estraneo è a carico dei bambini in
età prescolare.
6. Nei bambini traumatizzati la dilatazione gastrica è
di comune riscontro per la grande quantità d’aria
deglutita sotto stress, ciò favorisce il vomito con
rischio aumentato di inalazione, disloca il diaframma e comprime la vena cava inferiore, diminuendo
il ritorno venoso e quindi provocando ipotensione.
7. Protezione rachide cervicale. Non sempre si ha a
disposizione un collare cervicale di misura idonea.
Nei bambini più piccoli si può ovviare a questo pro-
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blema utilizzando un telino ripiegato fissato con del
cerotto in nastro.
Fig. 62. Nei bambini può essere necessario posizionare
uno spessore sotto le scapole per trovare la posizione
neutra del capo.
C – Circolazione ed emorragie
Il polso carotideo è di difficile reperimento nel bambino
di età inferiore ad un anno: il polso brachiale è quello
più facilmente apprezzabile; il polso femorale rappresenta una valida alternativa.
Ricordare che la tachicardia compensatoria di una
ipovolemia nel bambino non si accompagna ad un'ipotensione proporzionale, come nell'adulto, per la sua
maggior capacità di vasocostrizione: un bambino può
essere spiccatamente ipovolemico e mantenere una
pressione relativamente normale! È errato quindi pensare che un bambino sia in equilibrio solo perché
mantiene una buona pressione.
SEGNI DI SHOCK
I parametri vitali del bambino differiscono sensibilmente da quelli dell’adulto: ad esempio, la pressione arteriosa sistolica (massima, PAS) normale è uguale a 80
mmHg più 2 volte l'età, la volemia è pari a 80 ml per
Kg di peso, i segni di shock compaiono dopo una perdita volemica del 25%. la tachicardia rappresenta il più
importante segno di ipovolemia e shock in un bambino; ogni tachicardia in un bambino traumatizzato va
considerata, a priori, come indice di ipovolemica.
D – Valutazione neurologica
I bambini più difficilmente comunicano spontaneamente con le persone non familiari. Se a questo fattore, si
sommano lo stress, il dolore e la presenza di numerose persone sconosciute, la cooperazione diretta del
bambino traumatizzato potrà essere estremamente
difficoltosa.
Potrebbe quindi risultare alquanto difficile valutare lo
stato di coscienza di un bambino, non potendo comunicare con lui “liberamente”. I parenti,i genitori o eventuali astanti possano fornire delle informazioni importanti sul livello di coscienza prima dell’evento, ma sarà
il paziente a fornirci gli elementi chiave per determinare lo stato attuale. Il miglior indicatore dello stato di
coscienza del bambino può essere il livello di attività e
la risposta agli stimoli ambientali. Osservandolo, in
pratica, le sue reazioni nell’ambiente circostante e la
comunicabilità con i genitori è la possibile valutazione
il livello di coscienza.
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Tab. 7. GCS pediatrica.
E- esposizione e protezione termica
Fig. 64. Immobilizzazione del bambino direttamente su
seggiolino (a sinistra) e immobilizzazione spinale utilizzando il corsetto estricatore (a destra).
I bambini devono essere esaminati alla ricerca di altre
lesioni potenzialmente pericolose per la vita.
Nel bambino la superficie corporea è maggiore rispetto al volume quindi il calore può essere disperso più
rapidamente.
Immobilizzazione spinale
L’indicazione all’immobilizzazione spinale nel paziente
pediatrico è basata sul meccanismo della lesione e sui
segni clinici. La soglia decisionale per l’immobilizzazione è spesso più bassa dell’adulto, data la sua impossibilità di comunicare adeguatamente.
In relazione all’età del bambino, può essere necessario posizionare uno spessore sotto il tronco in modo
da riportare la testa in posizione neutra. Lo spessore
deve essere piano ed essere abbastanza grande da
assicurare che tutta la colonna poggi su un piano rigido. Per l’immobilizzazione totale si possono utilizzare
diversi presidi: una steccobenda a depressione per i
neonati, la tavola spinale o il ked per i bambini un po’
più grandi o,ancora meglio, una tavola spinale pediatrica. In tutti i casi sarà necessario imbottire gli spazi
vuoti con dei telini.
Se il bambino si trova ancora dentro il seggiolino, questo andrà immobilizzato direttamente nel seggiolino
utilizzando dei telini.
Fig. 63. In assenza di appostiti presidi. L’immobilizzazione
spinale di lattanti e bambini può essere ottenuta utilizzando dei telini ripiegati e cerotto in nastro per fissare il tutto.
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