DIABETE MELLITO e RETINOPATIA DIABETICA
Il diabete mellito è una complessa malattia metabolica ad eziologia multipla, in cui predomina il disordine del
metabolismo glucidico su quello lipidico e proteico. La caratteristica essenziale è l’iperglicemia cronica.
I due principali difetti determinanti la malattia diabetica sono:
a) la carenza assoluta o relativa di insulina, l’ormone che permette l’utilizzo del glucosio circolante da parte dei tessuti
insulino dipendenti, vale a dire muscoli, fegato e tessuto adiposo. Il deficit di insulina è secondario alla mancata
secrezione di insulina da parte delle cellule beta contenute nelle”insule pancreatiche” o isole di Langherans in
risposta all’incremento della glicemia qualunque ne sia la causa (carico alimentare di carboidrati, neoglucogenesi da
stress, etc. )
b) l’insulino resistenza ovvero il fenomeno biologico caratterizzato da maggiore difficoltà dei tessuti sopramenzionati a
rispondere all’azione biologica insulinica per cui essi abbisognano di più ormone per averne gli stessi effetti
ipoglicemizzanti. Le beta cellule sono così indotte a produrre più insulina per mantenere la glicemia entro il range di
normalità; pertanto tendono ad esaurirsi più precocemente. Usualmente, nella realtà clinica , entrambi i difetti sono
diversamente combinati realizzando differenti fenotipi clinici in grado di spiegare le diversità individuali.
Il diabete si distingue in vari tipi :
- il diabete tipo 1°: nel 99% dei casi su base autoimmune, nell’1% di origine idiopatica. Interessa poco meno del 10%
della popolazione diabetica; è noto anche come diabete infanto giovanile,perché compare nell’infanzia e
nell’adolescenza,anche se talvolta nell’età neonatale.Non è comunque infrequente la manifestazione del diabete tipo 1°
in epoche i successive , usualmente non oltre i 30 anni. E’ conosciuto pure come insulino dipendente perché fin
dall’esordio clinico necessita di insulina per la sopravvivenza.
- il diabete tipo 2°: colpisce all’incirca il restante 90% dei diabetici, spesso sovrappeso , con accumulo di grasso
prevalentemente addominale. E’ noto anche come diabete grasso o dell’età adulta e senile. Questo forma di diabete
trova un grande ausilio di cura nei cambiamenti di stile di vita, vale a dire nell’’alimentazione più moderata ,
mediterranea associata a più moto. Abbisogna di farmaci ipoglicemizzanti orali e solo nel lungo periodo anche di
insulina.
- il diabete secondario: deriva da malattie d’organo ( fegato,pancreas, etc.), da cause genetiche e da farmaci (cortisone
in primis ).
- il diabete gestazionale: diagnosticato e ricercato sempre più negli ultimi anni, coinvolge un 4% delle donne italiane in
gravidanza con una variazione compresa tra l’1% e il 14% a seconda della popolazione studiata e dei test diagnostici
usati. Esso è legato ad un disordine del metabolismo glucidico che si evidenzia usualmente nel 3° trimestre di
gravidanza. Se non identificato e curato, crea problemi al feto, favorendone un eccessivo aumento di peso o
macrosomia con problemi al momento del parto di ipoglicemia, ipocalcemia etc. fino al distress polmonare. La
macrosomia fetale comporta anche difficoltà di travaglio di parto.
Il diabete mellito, con la sue complicanze, è uno dei maggiori problemi sanitari dei paesi economicamente evoluti e la
sua prevalenza è in continuo aumento. Esso è tale da indurre gli esperti a parlare di epidemia mondiale del diabete. Si
calcola che i diabetici nel 1998 fossero 140 milioni; saranno 350 milioni nel 2030. In Italia la prevalenza del diabete
tipo 1° risulta essere tra lo 0.4 e l’1 per mille. L’incidenza di nuovi casi anno è compresa tra 6 i 10 casi per mille nella
fascia d’età tra 0 e 14 anni, mentre è stimata in 6.72 nell’età da 15 a 29 anni, con l’eccezione della Sardegna, ove
incidenza e prevalenza sono elevatissime. La prevalenza del diabete tipo 2° è in continua crescita a causa
dell’allungamento della vita della popolazione diabetica e per l’aumento dell’obesità da sedentarietà ed
iperalimentazione, specie di CHO e grassi.
La malattia spesso per anni è asintomatica e non di rado la diagnosi viene posta in occasione di ricoveri addirittura per
complicanze in atto. Da ciò deriva che la prevalenza della malattia nota è tra il 4 e 5%, mentre le indagini mirate con il
test da carico orale di glucosio forniscono percentuali sensibilmente più alte, tra il 6 e 11%. Il fenomeno del diabete
misconosciuto è pertanto molto importante. Dal momento che la malattia diabetica si associa spessissimo ad altre
condizioni di rischio cardiovascolari quali obesità, ipertensione, dislipidemia che concorrono a definire la sindrome
metabolica, si deve escludere il diabete nelle persone che presentino una o più componenti della sindrome stessa. Un
recente studio italiano, lo studio IGLOO , ha messo in luce che tra le persone sopra i 55 anni, con uno o più fattori di
rischio cardiometabolici, una su 5 aveva il diabete senza saperlo.
L’incidenza e la prevalenza del diabete nel Veneto e nel nostro territorio sono abbastanza sovrapponibili a quelli medi
nazionali. Pertanto i dati epidemiologici citati debbono destare attenzione e sollecitare le Autorità Sanitarie preposte a
creare una rete organizzativa diabetologica a maglie sempre più strette, che va dal medico di medicina generale, agli
specialisti ambulatoriali, alle strutture complesse specialistiche e U.O. generaliste con letti dedicati ai diabetici. Ad ogni
livello devono esserci competenze che vanno dalla prevenzione alla cura del diabete, ovviamente, dotate di risorse
adeguate per ridurre le crescenti complicanze e “cost- effective”.
Come già anticipato, il diabete è una malattia cronica, progressiva sul piano metabolico. Necessita infatti nel corso del
tempo di cure sempre più impegnative per mantenere lo stesso adeguato grado di controllo glicemico e lipo-proteico.
Ovviamente va considerato anche malattia evolutiva a livello di complicanze d’organo. Esse si distinguono in patologie
che coinvolgono i vasi di scorrimento e di nutrizione (arterie e capillari), talvolta in sovrapposizione, talora in
successione. Sono suddivise in malattie del microcircolo ( retina, nervi e reni ) e del macrocircolo ( arterie
coronarie,carotidi ed arterie endocraniche, arterie degli arti inferiori, specie quelle sotto poplitee ). La perdurante noxa
patogena su intima- media delle arterie determina la continua riduzione di calibro, la formazione di placche, fino
all’occlusione delle stesse per fenomeni trombotici, favoriti dallo stato trombofilico. Esempio paradigmatico di danno
del macrocircolo, ma nello stesso tempo drammatico negli stadi più avanzati, è il crearsi di questo processo nelle arterie
coronarie con conseguente ischemia di tipo cronico od acuto, quale l’infarto. Quest’ultimo evento è più grave nei
diabetici ed ha maggiori complicanze durante l’ospedalizzazione nelle Unità Coronariche e nel periodo post dimissione.
Circa un terzo dei degenti nelle strutture di emergenza cardiologica sono diabetici noti o diagnosticati nel corso
dell’evento ischemico acuto. Non è infrequente che dopo un evento infartuale emerga una condizione di insufficienza
cardiaca, difficilmente differenziabile clinicamente dallo scompenso di cuore dovuto a patologia del microcircolo
cardiaco su base metabolica.
L’azione deleteria dell’iperglicemia sul microcircolo, ad esempio nel rene, si concretizza dapprima con la disfunzione
endoteliale e successivamente con la morte delle stesse cellule endoteliali che rivestono la parete endoluminale dei
capillari glomeruli renali avvolti, a loro volta, da podociti o cellule epiteliali della lamina epiteliale viscerale. Inoltre
l’iperglicemia determina ipertrofia ed iperplasia delle cellule simil muscolari o cellule mesangiali che sono anche di
sostegno agli assi capillari del glomerulo. Negli Stati Uniti, ma ormai anche in Italia, il diabete è al primo posto tra le
cause di insufficienza renale cronica. La nefropatia diabetica è la più frequente causa di dialisi e trapianto di rene.
Un’altra complicanza severa e progressiva nell’ambito delle patologie da microangiopatia diabetica è la retinopatia.
Colpisce sia il paziente diabetico di tipo 1° che il diabetico di tipo 2°. Abitualmente si ritiene che la retinopatia nei due
tipi abbia una origine comune sostenuta dall’iperglicemia, ma in realtà vi è eterogeneità clinica che si palesa nel tipo 1°
prevalentemente con lesioni ischemiche associate a neoangiogenesi e nel tipo 2° maggiormente con manifestazioni di
edema. Viene usualmente riscontrata dopo molti anni dall’insorgenza del diabete. Nel caso in cui il controllo della
malattia diabetica non sia ottimale le lesioni retiniche compaiono più precocemente. Negli anni 90, lo studio americano
WESDR ( Wisconsin Epidemiologic Study of Diabetic Retinopaty ), una delle ricerche più estese di tutta la storia della
medicina, ha dimostrato che dopo 20 anni di malattia quasi tutti i diabetici tipo 1° e oltre il 60% dei diabetici tipo 2°
presentavano un qualche grado di danno retinico. Tuttavia non è raro che la retinopatia possa essere rilevata nel
diabetico tipo 2° già al momento della diagnosi, per un ritardo diagnostico del diabete.
La retina è una sottile membrana che riveste la parte interna dell’occhio ed è formata da milioni di cellule (fotorecettori)
in grado di trasformare gli impulsi luminosi provenienti dal mondo esterno in impulsi elettrici che inviati al cervello
danno così origine al meccanismo della visione.
Nella retinopatia diabetica il microcircolo subisce un danno progressivo in quanto i capillari vanno incontro a
progressiva occlusione con conseguente incapacità di perfusione e quindi di ossigenazione ai fotorecettori.
Nel valutare l’incidenza e la prevalenza della retinopatia dobbiamo ricordare che in Italia i diabetici sono circa 3 milioni
con l’aggiunta di un altro 30% a cui non è stata ancora posta diagnosi. Quasi il 60%, quindi circa 2 milioni, hanno o
svilupperanno una retinopatia diabetica e fra di essi 2-300.000 andranno incontro a una grave diminuzione della vista.
Incidenza,prevalenza e gravità della retinopatia sono strettamente legate agli anni di durata della malattia diabetica ed al
grado del controllo metabolico del diabete. Tuttavia l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia sono fattori
di accelerazione della comparsa della retinopatia e contribuiscono al suo aggravamento così come determinanti genetici
di suscettibilità al danno retinico sono in grado di modularlo.
Esistono sostanzialmente due forme di retinopatia diabetica: la forma non proliferante (meno grave) e la forma
proliferante (più grave).
Nella forma non proliferante i capillari della retina presentano alterazioni parietali con aumentata permeabilità e
dilatazioni per scomparsa dei periciti (microaneurismi). Data la loro fragilità possono sanguinare producendo
emorragie. La parete alterata dei capillari trasuda fluidi (leakage ) con rigonfiamento retinico (edema) e fuoriuscita di
materiale lipo-proteico che si accumula nella retina circostante (essudati duri).
Con l’accrescersi del danno microvascolare si arriva ad una perdita totale dei periciti che avvolgono la parete esterna
del capillare e alla scomparsa delle cellule endoteliali (capillare acellulare) favorendone l’occlusione per cui la retina va
incontro ad ischemia e di conseguenza perde la sua funzione. Quando più capillari retinici si occludono tanto più si
estendono le zone ischemiche ed infartuali; quest’ultime si palesano come essudati molli. Queste aree di retina
gravemente danneggiate dall’ischemia, nel tentativo di supplire alla ridotta ossigenazione producono un fattore HIF,
acronimo di Hypossic Inducibile Factor, il quale genera a sua volta il VEGF, iniziali di Vascular Endothelial Growth
Factor, che è vasopermeabilizzante e neoangiogenico. È questa appunto la forma più grave, denominata proliferante.
Sfortunatamente questi neovasi formati sono estremamente fragili, perché non provvisti di periciti, e crescono in
maniera disordinata anche sulla superficie della retina. Essi si rompono molto facilmente dando luogo ad emorragie
vitreali che con il loro riassorbirsi e recidivare formano tessuto cicatriziale, che contraendosi progressivamente, può
provocare il distacco della retina.
Le lesioni iniziali della retinopatia diabetica non danno generalmente sintomi soggettivi, per cui il danno retinico può
essere già presente pur non causando la minima diminuzione del visus. Il mancato danno visivo negli stadi iniziali della
retinopatia diabetica dà al paziente diabetico la falsa impressione di non avere problemi. Solo quando le alterazioni
coinvolgono la parte centrale della retina (edema della macula) il paziente avverte qualche disturbo. Lamenta una
progressiva difficoltà visiva, soprattutto nella lettura del giornale. Talvolta l’annebbiamento può essere improvviso e
violento per la comparsa di una emorragia nel vitreo all’interno dell’occhio (emovitreo).
Non essendo presenti disturbi visivi nelle fasi iniziali della retinopatia diabetica, solo l’esame del fondo dell’occhio
praticato da un Oculista o da un Diabetologo Esperto (con expertise nel campo dell’indagine oftalmoscopica e
retinografica del fondo ma anche del “grading” delle lesioni retiniche) potrà mettere in evidenza piccole emorragie
retiniche ed essudati. Se l’esame del fondo retinico, indispensabile una volta l’anno per quasi tutti i soggetti diabetici,
evidenzia lesioni di una certa importanza è necessaria una successiva fluorangiografia. Questo esame consiste
nell’iniettare ev. nel braccio del paziente fluorescina, sostanza che raggiunge e colora in pochi secondi tutta la
circolazione retinica. Il quadro viene fotografato in sequenza e la sua valutazione permette all’Oculista di scoprire le
iniziali alterazioni di permeabilità vasale con leakage della parete dei capillari e di accertare la presenza di aree
ischemiche ed infartuali. Da queste si generano fattori come l’ HIF, a sua volta in grado di promuovere la produzione di
VEGF con stimolo alla neoproliferazione vasale. Nelle forme avanzate della retinopatia diabetica la terapia si fonda sul
trattamento laser che consiste nell’utilizzare un raggio di luce laser potentissimo per colpire la retina nelle aree
ischemiche e di neoangiogenesi. La fotocoagulazione laser coagula la retina nei focolai interessati dalla malattia e le
cicatrici ottenute annullano la produzione di HIF e quindi anche la crescita dei neovasi. Il trattamento laser stabilizza la
retinopatia nell’80% dei casi, quando utilizzato tempestivamente ed assolutamente prima che compaiano emorragie
vitreali. Il laser non permette mai un miglioramento della vista, ma serve ad evitare un peggioramento e soprattutto a
stabilizzare nel tempo le condizioni dell’occhio.
Nei casi in cui la retinopatia diabetica sia particolarmente grave ed evoluta, le emorragie abbiano invaso il vitreo ed i
processi cicatriziali creino trazioni sulla retina bisogna passare alla chirurgia (vitrectomia). Sotto controllo microscopico
si fa penetrare all’interno dell’occhio una sonda sottilissima (vitrectomo) che taglia, frantuma ed aspira i coauguli di
sangue e le briglie patologiche che sollevano la retina. Durante lo stesso intervento è possibile cauterizzare i capillari
che sanguinano ed effettuare un trattamento laser (endolaser) di tutte le aree retiniche patologiche.
La recente introduzione dell’ OCT ( Optical Coherence Tomography ) o tomografia a coerenza ottica, ha permesso di
valutare l’edema retinico fin dagli esordi. Si tratta di uno scanner che serve a quantificare lo spessore retinico, in
particolare a livello della regione maculare. È infatti proprio qui, all’interno del polo posteriore dell’occhio, che si ha
aumento dello spessore della retina per accumulo di fluidi (edema ) responsabile del progressivo decadimento visivo.
Di recente, la terapia farmacologia della retinopatia diabetica si è arricchita di un farmaco efficace; vi è oggi la
possibilità di eseguire iniezioni di Avastin, un farmaco anti VEGF, all’interno dell’occhio appunto per ridurre l’edema
retinico. Con tali punture (se ne fanno in media 3 e vengono eseguite ambulatorialmente). Si inietta nel vitreo quindi un
farmaco con proprietà inibenti la permeabilità vasale ed anti neoangiogeniche.Esso è in grado di bloccare il leakeage
vasale regolarizzando l’alterata permeabilità dei capillari responsabile dell’accumulo di fluidi (edema) a livello della
macula e lo sviluppo di nuovi vasi all’interno della retina. Se il diabete insorge prima della pubertà (diabete di tipo 1) il
primo controllo oculistico è sufficiente dopo 5 anni; se viene riscontrato nell’adolescenza e comunque prima dei 20
anni, l’esame della retina va eseguito ogni 2-3 anni. In tutti gli altri casi il controllo del fondo oculare deve essere fatto
al momento della diagnosi di diabete. Infatti circa il 20-30% di questi pazienti presenta retinopatia diabetica quando
scopre di essere diabetico. Ciò è legato al fatto che molto spesso la malattia diabetica tipo 2°, come già accennato, viene
diagnosticata molti anni dopo la sua reale insorgenza.
Dopo 10 anni di malattia diabetica circa il 50% dei pazienti presenta una retinopatia più o meno importante e la
percentuale sale all’80-90% dopo 20 anni di malattia diabetica. Nei paesi occidentali la retinopatia diabetica è la causa
più frequente e più grave di deficit visivo nella popolazione in età lavorativa, nella fascia d’età compresa tra i 20 e 65
anni.
Una grande quantità di studi in tutto il mondo ha dimostrato il ruolo fondamentale dell’iperglicemia, in maniera
inconfutabile, nello sviluppo e nella progressione della retinopatia diabetica. L’iperglicemia induce l’attivazione di varie
vie metaboliche, in particolare l’aumento del flusso dei polioli mediante la stimolazione dell’aldoso reduttasi,
l’eccessiva formazione di AGEs (Advanced Glycation End Products ), l’iperattivazione di isoforme PKC (Protein
Kinase C) e l’ incremento del ciclo dell’esosamina. Essi tutti aumentano lo stato ossido riduttivo e quindi hanno nello
stress ossidativo il cosiddetto “common soil “. Quindi solo l’ottimale controllo della glicemia, al fine di evitare elevati
picchi glicemici ma anche “sbalzi” (ipoglicemia ed iperglicemia) riduce di molto il rischio di generare retinopatia e a
lungo termine impedisce la riduzione del visus. Premesso che anche nel diabete come in ogni malattia cronica, la
miglior cura è sempre rappresentata dalla prevenzione il paziente con diabete mellito, deve seguire uno scrupolosissimo
auto monitoraggio della glicemia capillare, adattando se necessario la terapia in atto (dieta, ipoglicemizzanti orali,
insulina) e periodicamente eseguire controlli presso il Servizio Diabetologico, in modo da mantenere un duraturo buon
controllo glicemico con valori di emoglobina glicosilata prossimi ai valori di normalità. Parimenti devono essere tenuti
sotto controllo tutti quei fattori acceleranti la comparsa e la progressione della retinopatia inclusa la sospensione del
fumo di sigaretta.
Se nonostante l’attento controllo metabolico del diabete e dei fattori di accelerazione della retinopatia essa avanza oltre
un certo stadio, la laser terapia diventa l’unico presidio (specie se eseguita precocemente) in grado di prevenire e
rallentare la progressione.
In presenza di un marcato edema della retina è indicata la terapia iniettiva intravitreale di anti VEGF (Avastin). Nei casi
infine in cui la retinopatia diabetica sia particolarmente evoluta, le emorragie abbiano interessato il vitreo e ci sia una
trazione sulla retina bisogna praticare senza indugio l’intervento di vitrectomia.
La retinopatia diabetica,quindi il danno tissutale, dipende sostanzialmente dalla durata dell’iperglicemia e dalla qualità
del controllo metabolico, ma anche da determinanti genetici di suscettibilità al danno retinico e da fattori acceleranti
come l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia ,il fumo, etc..
La cura efficace,quanto meno nelle fasi meno evolute, è sostanzialmente riconducibile al buon controllo metabolico: il
diabetico deve porsi come obiettivo glicemie quasi sovrapponibili a quelli dei non diabetici non solo a digiuno, ma
anche dopo i pasti. Deve evitare i picchi glicemici che si verificano dopo pasti contenenti abbondanti quantità di
“zuccheri“senza l’adeguato incremento delle dosi di insulina. Vale a dire che chi è affetto da diabete deve impegnarsi a
riportare e mantenere l’emoglobina glicata, specchio dei valori della glicemia negli ultimi 2 / 3 mesi, attorno al 6.5%. e
comunque non oltre 7%. Inoltre deve normalizzare i valori della pressione arteriosa (al di sotto di 130/80 nnHg ) ed
assicurare che i valori di colesterolo LDL o colesterolo “cattivo” siano al di sotto di 100 mg% ml e i trigliceridi a meno
di 150 mg%ml
Pertanto i cardini della terapia sono sostanzialmente gli ipoglicemizzanti orali (insulino sensibilizzanti, insulinosecretagoghi, incretine ed inibitori dell’alfaglicosilasi intestinale ) e/o l’insulina. La dieta ha un ruolo importante. Molti
pazienti, anche con il diabete tipo 2°, trovano un notevole miglioramento nella gestione della malattia e della qualità
della loro vita dopo aver appreso l’uso corretto dei cibi imparando ad identificare e scegliere tra quelli ad elevato,
moderato e basso contenuto di zuccheri. L’attività fisica ha certamente un ruolo non trascurabile nell’ottenere un buon
controllo metabolico, determinando un minor fabbisogno di insulina e/o di farmaci ipoglicemizzanti orali ed ottenendo
nel contempo un miglior controllo del peso corporeo. Consente una migliore performance fisica accompagnata da
maggiore benessere e crescita dell’autostima. Nel caso di dislipidemia ed ipertensione arteriosa sono necessarie
“statine” e “fibrati” ed ipotensivi, specie quelli appartenenti alla famiglia degli Ace Inibitori e dei Sartanici. Infine sono
di qualche importanza anche quei farmaci in grado di migliorare il flusso ematico e di ridurre l’aggregazione piastrinica,
data la trombofilia spesso presente nel diabetico, specie di tipo 2°.
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