DIABETE MELLITO e RETINOPATIA DIABETICA Il diabete mellito è una complessa malattia metabolica ad eziologia multipla, in cui predomina il disordine del metabolismo glucidico su quello lipidico e proteico. La caratteristica essenziale è l’iperglicemia cronica. I due principali difetti determinanti la malattia diabetica sono: a) la carenza assoluta o relativa di insulina, l’ormone che permette l’utilizzo del glucosio circolante da parte dei tessuti insulino dipendenti, vale a dire muscoli, fegato e tessuto adiposo. Il deficit di insulina è secondario alla mancata secrezione di insulina da parte delle cellule beta contenute nelle”insule pancreatiche” o isole di Langherans in risposta all’incremento della glicemia qualunque ne sia la causa (carico alimentare di carboidrati, neoglucogenesi da stress, etc. ) b) l’insulino resistenza ovvero il fenomeno biologico caratterizzato da maggiore difficoltà dei tessuti sopramenzionati a rispondere all’azione biologica insulinica per cui essi abbisognano di più ormone per averne gli stessi effetti ipoglicemizzanti. Le beta cellule sono così indotte a produrre più insulina per mantenere la glicemia entro il range di normalità; pertanto tendono ad esaurirsi più precocemente. Usualmente, nella realtà clinica , entrambi i difetti sono diversamente combinati realizzando differenti fenotipi clinici in grado di spiegare le diversità individuali. Il diabete si distingue in vari tipi : - il diabete tipo 1°: nel 99% dei casi su base autoimmune, nell’1% di origine idiopatica. Interessa poco meno del 10% della popolazione diabetica; è noto anche come diabete infanto giovanile,perché compare nell’infanzia e nell’adolescenza,anche se talvolta nell’età neonatale.Non è comunque infrequente la manifestazione del diabete tipo 1° in epoche i successive , usualmente non oltre i 30 anni. E’ conosciuto pure come insulino dipendente perché fin dall’esordio clinico necessita di insulina per la sopravvivenza. - il diabete tipo 2°: colpisce all’incirca il restante 90% dei diabetici, spesso sovrappeso , con accumulo di grasso prevalentemente addominale. E’ noto anche come diabete grasso o dell’età adulta e senile. Questo forma di diabete trova un grande ausilio di cura nei cambiamenti di stile di vita, vale a dire nell’’alimentazione più moderata , mediterranea associata a più moto. Abbisogna di farmaci ipoglicemizzanti orali e solo nel lungo periodo anche di insulina. - il diabete secondario: deriva da malattie d’organo ( fegato,pancreas, etc.), da cause genetiche e da farmaci (cortisone in primis ). - il diabete gestazionale: diagnosticato e ricercato sempre più negli ultimi anni, coinvolge un 4% delle donne italiane in gravidanza con una variazione compresa tra l’1% e il 14% a seconda della popolazione studiata e dei test diagnostici usati. Esso è legato ad un disordine del metabolismo glucidico che si evidenzia usualmente nel 3° trimestre di gravidanza. Se non identificato e curato, crea problemi al feto, favorendone un eccessivo aumento di peso o macrosomia con problemi al momento del parto di ipoglicemia, ipocalcemia etc. fino al distress polmonare. La macrosomia fetale comporta anche difficoltà di travaglio di parto. Il diabete mellito, con la sue complicanze, è uno dei maggiori problemi sanitari dei paesi economicamente evoluti e la sua prevalenza è in continuo aumento. Esso è tale da indurre gli esperti a parlare di epidemia mondiale del diabete. Si calcola che i diabetici nel 1998 fossero 140 milioni; saranno 350 milioni nel 2030. In Italia la prevalenza del diabete tipo 1° risulta essere tra lo 0.4 e l’1 per mille. L’incidenza di nuovi casi anno è compresa tra 6 i 10 casi per mille nella fascia d’età tra 0 e 14 anni, mentre è stimata in 6.72 nell’età da 15 a 29 anni, con l’eccezione della Sardegna, ove incidenza e prevalenza sono elevatissime. La prevalenza del diabete tipo 2° è in continua crescita a causa dell’allungamento della vita della popolazione diabetica e per l’aumento dell’obesità da sedentarietà ed iperalimentazione, specie di CHO e grassi. La malattia spesso per anni è asintomatica e non di rado la diagnosi viene posta in occasione di ricoveri addirittura per complicanze in atto. Da ciò deriva che la prevalenza della malattia nota è tra il 4 e 5%, mentre le indagini mirate con il test da carico orale di glucosio forniscono percentuali sensibilmente più alte, tra il 6 e 11%. Il fenomeno del diabete misconosciuto è pertanto molto importante. Dal momento che la malattia diabetica si associa spessissimo ad altre condizioni di rischio cardiovascolari quali obesità, ipertensione, dislipidemia che concorrono a definire la sindrome metabolica, si deve escludere il diabete nelle persone che presentino una o più componenti della sindrome stessa. Un recente studio italiano, lo studio IGLOO , ha messo in luce che tra le persone sopra i 55 anni, con uno o più fattori di rischio cardiometabolici, una su 5 aveva il diabete senza saperlo. L’incidenza e la prevalenza del diabete nel Veneto e nel nostro territorio sono abbastanza sovrapponibili a quelli medi nazionali. Pertanto i dati epidemiologici citati debbono destare attenzione e sollecitare le Autorità Sanitarie preposte a creare una rete organizzativa diabetologica a maglie sempre più strette, che va dal medico di medicina generale, agli specialisti ambulatoriali, alle strutture complesse specialistiche e U.O. generaliste con letti dedicati ai diabetici. Ad ogni livello devono esserci competenze che vanno dalla prevenzione alla cura del diabete, ovviamente, dotate di risorse adeguate per ridurre le crescenti complicanze e “cost- effective”. Come già anticipato, il diabete è una malattia cronica, progressiva sul piano metabolico. Necessita infatti nel corso del tempo di cure sempre più impegnative per mantenere lo stesso adeguato grado di controllo glicemico e lipo-proteico. Ovviamente va considerato anche malattia evolutiva a livello di complicanze d’organo. Esse si distinguono in patologie che coinvolgono i vasi di scorrimento e di nutrizione (arterie e capillari), talvolta in sovrapposizione, talora in successione. Sono suddivise in malattie del microcircolo ( retina, nervi e reni ) e del macrocircolo ( arterie coronarie,carotidi ed arterie endocraniche, arterie degli arti inferiori, specie quelle sotto poplitee ). La perdurante noxa patogena su intima- media delle arterie determina la continua riduzione di calibro, la formazione di placche, fino all’occlusione delle stesse per fenomeni trombotici, favoriti dallo stato trombofilico. Esempio paradigmatico di danno del macrocircolo, ma nello stesso tempo drammatico negli stadi più avanzati, è il crearsi di questo processo nelle arterie coronarie con conseguente ischemia di tipo cronico od acuto, quale l’infarto. Quest’ultimo evento è più grave nei diabetici ed ha maggiori complicanze durante l’ospedalizzazione nelle Unità Coronariche e nel periodo post dimissione. Circa un terzo dei degenti nelle strutture di emergenza cardiologica sono diabetici noti o diagnosticati nel corso dell’evento ischemico acuto. Non è infrequente che dopo un evento infartuale emerga una condizione di insufficienza cardiaca, difficilmente differenziabile clinicamente dallo scompenso di cuore dovuto a patologia del microcircolo cardiaco su base metabolica. L’azione deleteria dell’iperglicemia sul microcircolo, ad esempio nel rene, si concretizza dapprima con la disfunzione endoteliale e successivamente con la morte delle stesse cellule endoteliali che rivestono la parete endoluminale dei capillari glomeruli renali avvolti, a loro volta, da podociti o cellule epiteliali della lamina epiteliale viscerale. Inoltre l’iperglicemia determina ipertrofia ed iperplasia delle cellule simil muscolari o cellule mesangiali che sono anche di sostegno agli assi capillari del glomerulo. Negli Stati Uniti, ma ormai anche in Italia, il diabete è al primo posto tra le cause di insufficienza renale cronica. La nefropatia diabetica è la più frequente causa di dialisi e trapianto di rene. Un’altra complicanza severa e progressiva nell’ambito delle patologie da microangiopatia diabetica è la retinopatia. Colpisce sia il paziente diabetico di tipo 1° che il diabetico di tipo 2°. Abitualmente si ritiene che la retinopatia nei due tipi abbia una origine comune sostenuta dall’iperglicemia, ma in realtà vi è eterogeneità clinica che si palesa nel tipo 1° prevalentemente con lesioni ischemiche associate a neoangiogenesi e nel tipo 2° maggiormente con manifestazioni di edema. Viene usualmente riscontrata dopo molti anni dall’insorgenza del diabete. Nel caso in cui il controllo della malattia diabetica non sia ottimale le lesioni retiniche compaiono più precocemente. Negli anni 90, lo studio americano WESDR ( Wisconsin Epidemiologic Study of Diabetic Retinopaty ), una delle ricerche più estese di tutta la storia della medicina, ha dimostrato che dopo 20 anni di malattia quasi tutti i diabetici tipo 1° e oltre il 60% dei diabetici tipo 2° presentavano un qualche grado di danno retinico. Tuttavia non è raro che la retinopatia possa essere rilevata nel diabetico tipo 2° già al momento della diagnosi, per un ritardo diagnostico del diabete. La retina è una sottile membrana che riveste la parte interna dell’occhio ed è formata da milioni di cellule (fotorecettori) in grado di trasformare gli impulsi luminosi provenienti dal mondo esterno in impulsi elettrici che inviati al cervello danno così origine al meccanismo della visione. Nella retinopatia diabetica il microcircolo subisce un danno progressivo in quanto i capillari vanno incontro a progressiva occlusione con conseguente incapacità di perfusione e quindi di ossigenazione ai fotorecettori. Nel valutare l’incidenza e la prevalenza della retinopatia dobbiamo ricordare che in Italia i diabetici sono circa 3 milioni con l’aggiunta di un altro 30% a cui non è stata ancora posta diagnosi. Quasi il 60%, quindi circa 2 milioni, hanno o svilupperanno una retinopatia diabetica e fra di essi 2-300.000 andranno incontro a una grave diminuzione della vista. Incidenza,prevalenza e gravità della retinopatia sono strettamente legate agli anni di durata della malattia diabetica ed al grado del controllo metabolico del diabete. Tuttavia l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia sono fattori di accelerazione della comparsa della retinopatia e contribuiscono al suo aggravamento così come determinanti genetici di suscettibilità al danno retinico sono in grado di modularlo. Esistono sostanzialmente due forme di retinopatia diabetica: la forma non proliferante (meno grave) e la forma proliferante (più grave). Nella forma non proliferante i capillari della retina presentano alterazioni parietali con aumentata permeabilità e dilatazioni per scomparsa dei periciti (microaneurismi). Data la loro fragilità possono sanguinare producendo emorragie. La parete alterata dei capillari trasuda fluidi (leakage ) con rigonfiamento retinico (edema) e fuoriuscita di materiale lipo-proteico che si accumula nella retina circostante (essudati duri). Con l’accrescersi del danno microvascolare si arriva ad una perdita totale dei periciti che avvolgono la parete esterna del capillare e alla scomparsa delle cellule endoteliali (capillare acellulare) favorendone l’occlusione per cui la retina va incontro ad ischemia e di conseguenza perde la sua funzione. Quando più capillari retinici si occludono tanto più si estendono le zone ischemiche ed infartuali; quest’ultime si palesano come essudati molli. Queste aree di retina gravemente danneggiate dall’ischemia, nel tentativo di supplire alla ridotta ossigenazione producono un fattore HIF, acronimo di Hypossic Inducibile Factor, il quale genera a sua volta il VEGF, iniziali di Vascular Endothelial Growth Factor, che è vasopermeabilizzante e neoangiogenico. È questa appunto la forma più grave, denominata proliferante. Sfortunatamente questi neovasi formati sono estremamente fragili, perché non provvisti di periciti, e crescono in maniera disordinata anche sulla superficie della retina. Essi si rompono molto facilmente dando luogo ad emorragie vitreali che con il loro riassorbirsi e recidivare formano tessuto cicatriziale, che contraendosi progressivamente, può provocare il distacco della retina. Le lesioni iniziali della retinopatia diabetica non danno generalmente sintomi soggettivi, per cui il danno retinico può essere già presente pur non causando la minima diminuzione del visus. Il mancato danno visivo negli stadi iniziali della retinopatia diabetica dà al paziente diabetico la falsa impressione di non avere problemi. Solo quando le alterazioni coinvolgono la parte centrale della retina (edema della macula) il paziente avverte qualche disturbo. Lamenta una progressiva difficoltà visiva, soprattutto nella lettura del giornale. Talvolta l’annebbiamento può essere improvviso e violento per la comparsa di una emorragia nel vitreo all’interno dell’occhio (emovitreo). Non essendo presenti disturbi visivi nelle fasi iniziali della retinopatia diabetica, solo l’esame del fondo dell’occhio praticato da un Oculista o da un Diabetologo Esperto (con expertise nel campo dell’indagine oftalmoscopica e retinografica del fondo ma anche del “grading” delle lesioni retiniche) potrà mettere in evidenza piccole emorragie retiniche ed essudati. Se l’esame del fondo retinico, indispensabile una volta l’anno per quasi tutti i soggetti diabetici, evidenzia lesioni di una certa importanza è necessaria una successiva fluorangiografia. Questo esame consiste nell’iniettare ev. nel braccio del paziente fluorescina, sostanza che raggiunge e colora in pochi secondi tutta la circolazione retinica. Il quadro viene fotografato in sequenza e la sua valutazione permette all’Oculista di scoprire le iniziali alterazioni di permeabilità vasale con leakage della parete dei capillari e di accertare la presenza di aree ischemiche ed infartuali. Da queste si generano fattori come l’ HIF, a sua volta in grado di promuovere la produzione di VEGF con stimolo alla neoproliferazione vasale. Nelle forme avanzate della retinopatia diabetica la terapia si fonda sul trattamento laser che consiste nell’utilizzare un raggio di luce laser potentissimo per colpire la retina nelle aree ischemiche e di neoangiogenesi. La fotocoagulazione laser coagula la retina nei focolai interessati dalla malattia e le cicatrici ottenute annullano la produzione di HIF e quindi anche la crescita dei neovasi. Il trattamento laser stabilizza la retinopatia nell’80% dei casi, quando utilizzato tempestivamente ed assolutamente prima che compaiano emorragie vitreali. Il laser non permette mai un miglioramento della vista, ma serve ad evitare un peggioramento e soprattutto a stabilizzare nel tempo le condizioni dell’occhio. Nei casi in cui la retinopatia diabetica sia particolarmente grave ed evoluta, le emorragie abbiano invaso il vitreo ed i processi cicatriziali creino trazioni sulla retina bisogna passare alla chirurgia (vitrectomia). Sotto controllo microscopico si fa penetrare all’interno dell’occhio una sonda sottilissima (vitrectomo) che taglia, frantuma ed aspira i coauguli di sangue e le briglie patologiche che sollevano la retina. Durante lo stesso intervento è possibile cauterizzare i capillari che sanguinano ed effettuare un trattamento laser (endolaser) di tutte le aree retiniche patologiche. La recente introduzione dell’ OCT ( Optical Coherence Tomography ) o tomografia a coerenza ottica, ha permesso di valutare l’edema retinico fin dagli esordi. Si tratta di uno scanner che serve a quantificare lo spessore retinico, in particolare a livello della regione maculare. È infatti proprio qui, all’interno del polo posteriore dell’occhio, che si ha aumento dello spessore della retina per accumulo di fluidi (edema ) responsabile del progressivo decadimento visivo. Di recente, la terapia farmacologia della retinopatia diabetica si è arricchita di un farmaco efficace; vi è oggi la possibilità di eseguire iniezioni di Avastin, un farmaco anti VEGF, all’interno dell’occhio appunto per ridurre l’edema retinico. Con tali punture (se ne fanno in media 3 e vengono eseguite ambulatorialmente). Si inietta nel vitreo quindi un farmaco con proprietà inibenti la permeabilità vasale ed anti neoangiogeniche.Esso è in grado di bloccare il leakeage vasale regolarizzando l’alterata permeabilità dei capillari responsabile dell’accumulo di fluidi (edema) a livello della macula e lo sviluppo di nuovi vasi all’interno della retina. Se il diabete insorge prima della pubertà (diabete di tipo 1) il primo controllo oculistico è sufficiente dopo 5 anni; se viene riscontrato nell’adolescenza e comunque prima dei 20 anni, l’esame della retina va eseguito ogni 2-3 anni. In tutti gli altri casi il controllo del fondo oculare deve essere fatto al momento della diagnosi di diabete. Infatti circa il 20-30% di questi pazienti presenta retinopatia diabetica quando scopre di essere diabetico. Ciò è legato al fatto che molto spesso la malattia diabetica tipo 2°, come già accennato, viene diagnosticata molti anni dopo la sua reale insorgenza. Dopo 10 anni di malattia diabetica circa il 50% dei pazienti presenta una retinopatia più o meno importante e la percentuale sale all’80-90% dopo 20 anni di malattia diabetica. Nei paesi occidentali la retinopatia diabetica è la causa più frequente e più grave di deficit visivo nella popolazione in età lavorativa, nella fascia d’età compresa tra i 20 e 65 anni. Una grande quantità di studi in tutto il mondo ha dimostrato il ruolo fondamentale dell’iperglicemia, in maniera inconfutabile, nello sviluppo e nella progressione della retinopatia diabetica. L’iperglicemia induce l’attivazione di varie vie metaboliche, in particolare l’aumento del flusso dei polioli mediante la stimolazione dell’aldoso reduttasi, l’eccessiva formazione di AGEs (Advanced Glycation End Products ), l’iperattivazione di isoforme PKC (Protein Kinase C) e l’ incremento del ciclo dell’esosamina. Essi tutti aumentano lo stato ossido riduttivo e quindi hanno nello stress ossidativo il cosiddetto “common soil “. Quindi solo l’ottimale controllo della glicemia, al fine di evitare elevati picchi glicemici ma anche “sbalzi” (ipoglicemia ed iperglicemia) riduce di molto il rischio di generare retinopatia e a lungo termine impedisce la riduzione del visus. Premesso che anche nel diabete come in ogni malattia cronica, la miglior cura è sempre rappresentata dalla prevenzione il paziente con diabete mellito, deve seguire uno scrupolosissimo auto monitoraggio della glicemia capillare, adattando se necessario la terapia in atto (dieta, ipoglicemizzanti orali, insulina) e periodicamente eseguire controlli presso il Servizio Diabetologico, in modo da mantenere un duraturo buon controllo glicemico con valori di emoglobina glicosilata prossimi ai valori di normalità. Parimenti devono essere tenuti sotto controllo tutti quei fattori acceleranti la comparsa e la progressione della retinopatia inclusa la sospensione del fumo di sigaretta. Se nonostante l’attento controllo metabolico del diabete e dei fattori di accelerazione della retinopatia essa avanza oltre un certo stadio, la laser terapia diventa l’unico presidio (specie se eseguita precocemente) in grado di prevenire e rallentare la progressione. In presenza di un marcato edema della retina è indicata la terapia iniettiva intravitreale di anti VEGF (Avastin). Nei casi infine in cui la retinopatia diabetica sia particolarmente evoluta, le emorragie abbiano interessato il vitreo e ci sia una trazione sulla retina bisogna praticare senza indugio l’intervento di vitrectomia. La retinopatia diabetica,quindi il danno tissutale, dipende sostanzialmente dalla durata dell’iperglicemia e dalla qualità del controllo metabolico, ma anche da determinanti genetici di suscettibilità al danno retinico e da fattori acceleranti come l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia ,il fumo, etc.. La cura efficace,quanto meno nelle fasi meno evolute, è sostanzialmente riconducibile al buon controllo metabolico: il diabetico deve porsi come obiettivo glicemie quasi sovrapponibili a quelli dei non diabetici non solo a digiuno, ma anche dopo i pasti. Deve evitare i picchi glicemici che si verificano dopo pasti contenenti abbondanti quantità di “zuccheri“senza l’adeguato incremento delle dosi di insulina. Vale a dire che chi è affetto da diabete deve impegnarsi a riportare e mantenere l’emoglobina glicata, specchio dei valori della glicemia negli ultimi 2 / 3 mesi, attorno al 6.5%. e comunque non oltre 7%. Inoltre deve normalizzare i valori della pressione arteriosa (al di sotto di 130/80 nnHg ) ed assicurare che i valori di colesterolo LDL o colesterolo “cattivo” siano al di sotto di 100 mg% ml e i trigliceridi a meno di 150 mg%ml Pertanto i cardini della terapia sono sostanzialmente gli ipoglicemizzanti orali (insulino sensibilizzanti, insulinosecretagoghi, incretine ed inibitori dell’alfaglicosilasi intestinale ) e/o l’insulina. La dieta ha un ruolo importante. Molti pazienti, anche con il diabete tipo 2°, trovano un notevole miglioramento nella gestione della malattia e della qualità della loro vita dopo aver appreso l’uso corretto dei cibi imparando ad identificare e scegliere tra quelli ad elevato, moderato e basso contenuto di zuccheri. L’attività fisica ha certamente un ruolo non trascurabile nell’ottenere un buon controllo metabolico, determinando un minor fabbisogno di insulina e/o di farmaci ipoglicemizzanti orali ed ottenendo nel contempo un miglior controllo del peso corporeo. Consente una migliore performance fisica accompagnata da maggiore benessere e crescita dell’autostima. Nel caso di dislipidemia ed ipertensione arteriosa sono necessarie “statine” e “fibrati” ed ipotensivi, specie quelli appartenenti alla famiglia degli Ace Inibitori e dei Sartanici. Infine sono di qualche importanza anche quei farmaci in grado di migliorare il flusso ematico e di ridurre l’aggregazione piastrinica, data la trombofilia spesso presente nel diabetico, specie di tipo 2°. Bibliografia Amos A.,McCarthy D., Zimmet P.:the rising global burden of diabetes and its complications:estimates and projectionsto the year 2010.Diabet. Med.14 (Suppl.5 ) S1,1997. Kahan S.E.: The relative contributions of insulin resistance and beta cell dysfunctions to the pathophyiology of type 2diabetes.Diabetologia 46: 3,200 Lakka H.M.,Laaksonen D.E., Lakka T.A., NiskanenL.k.,Kupusalo E.,Tuomilehto J.,Salonen J.T.:The metabolic syndrome and total and cardiovascular disease mortality in middle aged men. J:A:M:A:288:2709,2002 Klein R, Klein BE, Moss SE, Davis MD, DeMets DL. :The Wisconsin epidemiologic study of diabetic retinopathy. IV. Diabetic macular edema. Ophthalmology. 1984 Dec;91(12):1464-74. Klein R, Klein BE, Moss SE, Davis MD, DeMets DL., The Wisconsin epidemiologic study of diabetic retinopathy. II. Prevalence and risk of diabetic retinopathy when age at diagnosis is less than 30 years. Arch Ophthalmol. 1984 Apr;102(4):520-6. Klein R, Klein BEK, Moss SE, et al. The Wisconsin Epidemiologic Study of diabetic retinopathy III. Prevalence and risk of diabetic retinopathy when age at diagnosis is 30 or more years. Arch Ophthalmol 102: 527–533, 1984. "Early Treatment Diabetic Retinopathy Study (ETDRS). Manual of Operations. Baltimore: ETDRS Coordinating Center, University of Maryland. Available from: National Technical Information Service, 5285 Port Royal Road, Springfield, VA 22161; accession no. PB85 223006/AS.". "The Diabetes Control and Complications Trial Research Group. The effect of intensive treatment of diabetes on the development and progression of long-term complications in insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J Med. 1993; 329:977-86.". Progression of retinopathy with intensive versus conventional treatment in the Diabetes Control and Complications Trial. Diabetes Control and Complications Trial Research Group. Ophthalmology 102: 647–661, 1995. UK Perspective Diabetes Study Group. Intensive blood glucose control with sulphonilureas or insulin compared with conventional treatment and risk of complications in patients with type 2 diabetes (UKPDS 33). Lancet 837–853, 1998. Porta M, Tomalino MG, Santoro F, et al. Diabetic Retinopathy as a cause of blindness in the province of Turin, northwest Italy, in 1967–1991. Diabetic Med 12: 355–361, 1995 Photocoagulation treatment of proliferative diabetic retinopathy: the second report of Diabetic Retinopathy Study findings. Ophthalmology 1978;85:82-106. Early photocoagulation for diabetic retinophaty. ETDRS report number 9. Early Treatment Diabetic Retinophathy Study Recearch Group. Ophthalmology 1991;98:766-85. Early vitrectomy for severe vitreous hemorrhage in diabetic retinophathy. Four- year result of a randomized trial: Diabetic Retinophathy Vitrectomy Study Report 5. Arch. Ophthalmol. 1990;108:958-64. Castellarin A, Grigorian R, Bhagat N et al. Vitrectomy with silicone oil infusion in severe diabetic retinopathy. Br. J. Ophthalmol. 2003;87:318-21. Yamamoto T, Hitani K, Tsukahara I et al. Early postoperative retinal thickness changes and complications after vitrectomy for diabetic macular edema. Am. J. Ophthalmol. 2003;135:14-9. Fontana M, Verriest G.,Modification by fluoangiography of colour vision in diabetic patients; Bull Soc Belge Ophtalm. 1985; 215: 37-47. Simoens P, De Schaepdrijver L, Lauwers H Morphologic and clinical study of the retinal circulation in the miniature pig. A: Morphology of the retinal microvasculature; Exp Eye Res. 1992 Jun; 54(6): 965-73 Arevalo JF, Garcia-Amaris RA;Intravitreal bevacizumab for diabetic retinopathy; Curr Diabetes Rev. 2009 Feb.; 5(1): 39-46 Thew M; Rapid resolution of sever retinal neovascularisation in proliferative diabetic retinopathy following adjuntive intravitreal bevacizumab (avastin); Clin Exp Optom; 2009 Jan; 92(1): 34-7 Kook D, Wolf A, Kreutzer T, Neubauer A, Strauss R, Ulbig M., Long-term effect of intravitreal bevacizumab (avastin) in patients with chronic diffuse diabetic macular edema ; Retina 2008 Oct; 28(8): 1053-60 A. Basso M. Pedrotti