CLASSI IV^Ai AS 2015-2016 LATINO: PROSPETTO SINTATTICO RIASSUNTIVO CON ESEMPI Per facilitare il ripasso, specie in vista delle prove integrative di settembre, riassumo i punti principali della sintassi che abbiamo studiato quest’anno; questo non toglie che sia necessario conoscere anche gli argomenti qui non inclusi come, ad esempio, i complementi di luogo (per questo ripassate gli esercizi svolti su Exercitia Latina I). Ogni paragrafo è accompagnato da frasi, solitamente d’autore, che devono essere tradotte: lessico, grammatica (morfologia e sintassi) e traduzione delle frasi saranno oggetto d’accertamento alle prove integrative di settembre. S’intende che tutti gli studenti sono tenuti a lavorare su questo materiale: gli esiti del lavoro estivo saranno accertati all’inizio del prossimo anno scolastico. Le frasi presuppongono la conoscenza di tutta la morfologia studiata nel corso dell’anno scolastico: gli schemi flessionali si trovano alle pagg. 307 ss. di Familia Romana; ripassate anche gli esercizi svolti su Exercitia Latina I. Le frasi sono state scelte per illustrare, di volta in volta, un particolare aspetto della sintassi; s’intende però che vi si possono incontrare anche altri elementi della sintassi. Alle prove integrative di settembre le valutazioni saranno effettuate sulla base dei livelli minimi per le lingue classiche definiti nel documento pubblicato su questo stesso sito. 1) Cur? Quia/quod. Cur (perché?) introduce una proposizione interrogativa diretta (v.anche n 6.); la risposta (proposizione causale) è introdotta da quia o quod (perché, poiché). Attenzione a non confondere: cur è solo interrogativo, quia e quod sono solo causali (e non si confonda quod congiunzione causale con quod pronome relativo). La risposta a cur? può consistere anche in una proposizione finale (v. n. 12): Es. Perché fai questo? Per non finire in rovina. a) Cur ista res digna odio est, nisi (se non) quod est turpis? (Cic.). b) Cur igitur Clodius victus est a Milone? Quia non semper viator a latrone, nonnumquam etiam latro a viatore occiditur (Cic.). c) Cur non mitto meo stibi, Pontiliane, libellos? – Ne mihi tu mittas, Pontiliane, tuos (Mart.) d) Me miserum! Cur non ades? (Cic.). e) Cur non dicis quod cogitas? (Cic.) 2) Altro. Alĭus (‘altro’ fra molti: gen. sing. per i tre generi alīus; dat. sing. per i tre generi alĭi), alter (‘altro’ fra due: gen. sing. per i tre generi alterīus; dat. sing. per i tre generi alteri), ceteri (‘tutti gli altri’), reliqui (‘i rimanenti’). Da ricordare l’uso di alius e di alter ripetuti: alii… alii… alii ecc.: gli uni… gli altri… gli altri; alter… alter: l’uno…, l’altro. Bisogna poi tener presente che alius significa, propriamente, ‘diverso’: perciò alii alia faciunt vuol dire letteralmente ‘persone diverse fanno cose diverse’ e perciò, come normalmente si dice in italiano, ‘chi fa una cosa, chi un’altra’. a) Octavia et Livia, altera soror Augusti, altera uxor, amiserunt filios iuvenes (Sen.). b) Satis magnum alter alteri theatrum sumus (Sen.). c) Sunt agrorum partes aliae pestilentes, aliae salūbres (Cic.). d) Alii in aliam partem perterriti ferebantur (=fugiebant) (Caes.). e) Alteri dimicant, alteri victorem timent (Cic.). f) Ego existimo Maximo, Marcello, Scipioni, Mario et ceteris magnis imperatoribus non solum prpter virtutem, sed etiam propter fortunam imperia mandata (esse) atque exercitus esse commissos (Cic.) g) Caesar duas legiones ad fines Treverorum, duas in Lingonibus (nel paese dei Lingoni), sex reliquas in Senonum finibus in hibernis collocavit (Caes.). 3) Idem e ipse. Idem stabilisce un’identità fra due termini, ipse li oppone. Eodem die significa ‘nel medesimo giorno’, eo ipso die significa ‘proprio in quel giorno’ (e non in un altro). L’italiano frequentemente usa in entrambi i casi ‘stesso’ (eodem die ‘nello stesso giorno’; eo ipso die ‘in quello stesso giorno’), ma il significato è molto diverso. a) Erat collis sub ipsis radicibus montis (Caes.). b) Non possum id in te reprehendere quod in me ipso probavi (Cic.). c) Eodem die Caesar equitum magnam partem flumen traiecit (traghettò di là dal…) (Caes.). d) Vultus Socratis semper idem fuit (Cic.). 4) Omnis e totus. Omnis indica un tutto analizzato nelle sue parti (Gallia omnis est divisa in partes tres (Caes.): la Gallia tutta è divisa in tre parti); totus indica il tutto come unità compatta (Lesbia pulcherrima tota est (Cat.): ‘Lesbia è tutta quanta bellissima’). a) Tactus (il senso del tatto) toto corpore aequabiliter fusus est (Cic.). b) Omne animal est mortale (Cic.) c) Trahimur omnes studio laudis (Cic.). d) Saevit toto Mars impius orbe (Verg.). e) Omnes mali sumus (Sen.). 5) Uso di doceo ed edoceo (‘insegnare’). I verbi doceo ed edoceo hanno il cosiddetto doppio accusativo della cosa insegnata e della persona a cui si insegna: doceo aliquem aliquid, ‘insegno a qualcuno qualcosa’ a) Catilina iuventutem mala facinora edocebat (Sall.). b) Eadem haec quae ego scio Strattipŏclem edocebo (Plaut.) c) Dionysius propter inopiam litteras puerulos Corinthi docuit (Val. Max.). d) Quid (=cur) nunc te, asine, litteras doceam (dovrei insegnarti)? (Cic.)? e) Potes artem eam tu potissimum nos docere (Cic.). 6) Proposizioni interrogative dirette Sono introdotte come segue. 1) Particelle interrogative: -ne enclitico ad indicare una domanda reale: venitne? (‘è venuto?’); nonne ad indicare la domanda retorica per la quale ci si aspetta risposta positiva: nonne canis similis est lupo? (il cane non è forse simile al lupo?’ si intende un sì, perché i due animali si assomigliano); num ad indicare la domanda retorica per la quale ci si aspetta risposta negativa: num homo similis est lupo? (‘è forse l’uomo simile al lupo?’ si intende un no perché le due creature hanno forma molto diversa fra loro). 2) Pronomi e avverbi interrogativi: quis - quid; ubi, quo, unde; quousque (fino a quando?); cur (v. n. 1) ecc. 3) Semplice tono di voce: tenes quid dicam? (Ter.): ‘intendi quello che dico?’ L’interrogativa disgiuntiva è composta di due membri (talvolta anche di più), il primo dei quali esclude l’altro. (es: ‘questa sillaba è breve o lunga?’): il primo membro è introdotto da utrum, il secondo da an (dunque utrum…an; o anche –ne…an): utrum brevis an longa haec syllaba est? O anche brevisne an longa haec syllaba est? Talvolta nel primo membro si omette la particella (domanda particolarmente energica): brevis an longa haec syllaba est?. All’italiano ‘o no’ corrisponde an non (più raro, ma classico necne) Il modo è normalmente l’indicativo (vedremo in seguito l’uso del congiuntivo in queste proposizioni). a) Num eloquentiā Platonem superare possumus? (Cic.). b) Nonne ad te L. Lentulus venit? (Cic.). c) Tune has pepulisti fores? (Ter.). d) Cur ista res digna odio est nisi quod est turpis? (Cic.) e) Custosne urbis an direptor et vexator esset (sarebbe) Antonius? (Cic.). f) Sed isne est quem quaero (cerco) an non? (Ter.). g) Quam rem publicam habemus? In qua urbe vivimus? (Cic.) h) Quid (=cur) venisti? (Plaut.). i) Quis clarior in Graecia Themistocle fuit? j) Qot philosophi inveniuntur ita morati ut Socrates et Plato? (Cic.) k) Uter est insanior horum? (Hor.) l) Quid est libertas? (Cic.). m) Quae res umquam non modo in hac urbe, sed in omnibus terris est gesta maior? Quae gloriosior? Quae coomendatior hominum memoriae sempiternae? (Cic.). 7) Proposizioni subordinate relative. Sono introdotte dal pronome relativo qui, quae quod (e da qualche altro che faremo). Il pronome relativo si riferisce ad un antecedente nella sovraordinata, che può essere un nome o un pronome (per il pronome v. sotto). Es.: ‘l’uomo (antecedente) che (pronome relativo) vedi è mio padre’: vir quem vides pater meus est. Come si vede, in latino il relativo concorda con l’antecedente in genere e numero, mentre il caso è quello richiesto nell’ambito della proposizione relativa. Nel nostro esempio quem è l’oggetto di vides ed è posto in caso accusativo; il genere (maschile) e il numero (singolare) di quem dipendono da quelli del suo antecedente vir che è maschile e singolare. Si può variare per vedere come funziona il meccanismo: ‘gli uomini che vedi sono i nostri padri’ è in latino viri quos vides patres nostri sunt; ‘la donna che vedi è mia madre’ si rende con mulier quam vides mater mea est; le donne che vedi sono le nostre madri è mulieres quas vides matres nostrae sunt. Il pronome relativo può essere retto da una preposizione: ‘la città in cui ora ci troviamo è bella’ è in latino urbs in qua nunc sumus pulchra est. a) Amicitia quae desinere potuit vera numquam fuit (Hier.). b) Caesar tres cohortes reliquit iisdemque custodiam navium longarum tradidit, quas ex Italia traduxerat (Caes.). c) Nullus dolor est quem non longinquitas temporis minuat et molliat (Cic.). d) Non caret is qui non desiderat (Cic.). e) Quam multa (quante notizie) collecta sunt de rebus iis quae gignuntur e terra! (Cic.). f) Mihi numquam venerat in mentem furorem et insaniam optare (augurare) vobis in quam incidistis (Cic.). Se l’antecedente del relativo è un pronome (molto spesso si tratta di is, ea, id) si può tacere quando è nello stesso caso del relativo (bis dat (is) qui celeriter dat (Publ. Syr.): dà due volte chi –oppure colui che- dà prontamente). Molto frequente, data l’identità delle forme, è l’omissione del pronome antecedente neutro (ovviamente anche il relativo sarà neutro) anche se uno dei due è in caso nominativo e l’altro in accusativo: si honesta sunt (ea) quae facis, omnes sciant (Sen.): se le cose che fai sono oneste, tutti lo sappiano). g) Improbe Neptunum accusat qui iterum naufragium facit (Publ. Syr.). h) Diis proximus est ille, quem ratio, non ira movet (Claud.). i) Seiunge te ab iis cum quibus te temporum (circostanze) vincula coniunxerunt (Cic.). j) Bonum igitur quod est, honestum est (Cic.). 8) Proposizioni subordinate con l’accusativo e l’infinito. In latino le proposizioni subordinate oggettive e soggettive hanno il costrutto dell’accusativo con l’infinito: il soggetto va in accusativo, il verbo all’infinito (es.: puto te probum esse, ‘credo che tu sia onesto’). I tempi dell’infinito sono usati come segue. a) Infinito perfetto: esprime anteriorità rispetto al verbo della sovraordinata, che può essere in tempo principale o storico (puto te numquam Romam venisse: ‘credo che tu non sia mai venuto a Roma; putabam te numquam Romam venisse: ‘credevo che tu non fossi mai venuto a Roma’). b) Infinito presente: esprime contemporaneità rispetto al verbo della sovraordinata, che può essere in tempo principale o storico (puto te probum esse, ‘credo che tu sia onesto’; putabam te probum esse, ‘credevo che tu fossi onesto’). Infinito futuro: esprime posteriorità rispetto al verbo della sovraordinata, che può essere in tempo principale o storico (puto te Romam venturum esse: ‘penso che tu verrai a Roma’; putabam te Romam venturum esse: ‘pensavo che tu saresti venuto a Roma’. Nelle infinitive, dunque, i tempi dell’infinito sono usati in valore relativo (non assoluto) secondo le norme della consecutio temporum (=uso relativo dei tempi nelle subordinate ad indicare un rapporto di anteriorità, contemporaneità o posteriorità rispetto al verbo della sovraordinata). Il soggetto in latino va normalmente espresso anche là dove l’italiano non ne sente il bisogno (‘pensi di essere onesto’: putas te probum esse). Se il soggetto dell’infinitiva è alla terza persona singolare o plurale e coincide con quello della sovraordinata, va espresso con se (putabat se Romam venturum esse: ‘pensava di venire/che sarebbe venuto a Roma’; putabant se Romam venturos esse: pensavano di venire/che sarebbero venuti a Roma). Dicendo invece putabant eos Romam venturos esse si intende che altri, diversi dal soggetto di putabant, sarebbero venuti a Roma. a) Nescire me fateor (Cic.). b) Scis me haec dixisse per iocum (Plaut.). c) Scribis te ad me venturam esse (Cic.). d) Anaxagoram ferunt (raccontano), nuntiata morte filii, dixisse: «Sciebam me genuisse mortalem» (Cic.). e) Vivere sine illo scio me non posse (Plaut.). f) Ariovistus respondit sese (=se) non sine magna spe magnisque praemiis domum propinquosque reliquisse (Caes.). g) Facile me a te vinci posse certo scio (Cic.). h) Mos est Athenis laudari in contione eos qui sint in proeliis interfecti (Cic.). i) Apud Homerum Calchantem dixisti ex passerum numero belli Troiani annos auguratum esse (Cic.). Con l’accusativo e l’infinito si costruisce anche il verbo iubeo: ‘io ordino’, ‘io comando’: il latino dice ‘io comando che qualcuno faccia qualcosa’, mentre l’italiano preferisce ‘io comando a qualcuno di fare qualcosa’; il latino dice anche ‘il comandante ordina che i prigionieri siano liberati’ (imperator iubet liberari captivos), mentre in italiano si preferisce dire ‘il comandante ordina di liberare i prigionieri’. Con l’accusativo e l’infinito si possono costruire anche volo (‘voglio’), nolo (‘non voglio’) e malo (‘preferisco’). j) Dux milites castra munire iussit k) Dux castra muniri iussit l) Caesar milite equitesque conscendere naves iubet (Caes.). m) Sub vesperum Caesar portas claudi militesque ex oppido exire iussit (Caes.). n) C.Marii reliquias (ceneri) dissipari iussit Sulla victor (Cic.). o) Romulus urbem constituit quam e suo nomine Romam iussit nominari (Cic.). p) Id vos ignorare nolui (Corn. Nep.). q) Timoleon maluit se diligi quam metui (Corn. Nep.). r) Saguntini parentes suos liberos emŏri quam servos vivere maluerunt (Cic.). 9) Con il nominativo e l’infinito (non con l’accusativo e l’infinito) si costruisce il verbo videor: ‘io sembro’. Si dice dunque amicis videor probus (non probum!) esse (‘agli amici sembro essere onesto’, ‘agli amici sembra che io sia onesto’, ‘sembro onesto agli amici’), amicis videris probus esse (‘agli amici sembri essere onesto’, ‘agli amici sembra che tu sia onesto’, ‘sembri onesto agli amici’), amicis videmini probi esse (‘agli amici sembrate essere onesti’, ‘agli amici sembra che siate onesti’, ‘sembrate onesti agli amici’). Questo costrutto di videor si chiama personale perché il soggetto della dipendente in italiano (‘io’ in ‘sembra che io sia onesto’) è in latino il soggetto di videor (‘io sembro essere onesto’: videor probus esse). Cf. il parallelo costrutto inglese di to seem: he seems to be happy. a) Non homines habitare mecum mihi hic videntur, sed sues (Plaut.). b) Tibi stultus esse videor (Cic.). c) Pompeius visus est mihi vehementer esse perturbatus (Cic.) d) Liberati esse regio dominatu videbamur (Cic.). e) Romae videor (=mihi videor) esse cum tuas litteras lego (Cic.). f) Scripsi satis, ut mihi visus sum, diligenter (Cic.). Col nominativo e l’infinito si costruiscono anche i verbi dicor (‘io sono detto’, si dice che io’), putor (‘io sono creduto’, ‘si crede che io’), feror (‘io sono narrato’, ‘si narra che io’), trador (‘io sono tramandato’, ‘si tramanda che io’), narror (‘io sono narrato’, ‘si narra che io’) e qualche altro. Es.: dicor probus esse (‘io sono detto essere onesto’, ‘si dice che io sia onesto’). Si tratta dello stesso costrutto che abbiamo visto per videor. Cf. il parallelo costrutto inglese di to say e di qualche altro verbo: he is said to be jealous of her. a) Brutum et Cassium laudavisse dicor (Tac.). b) Eodem fere tempore pons in Hibēro prope effectus [esse] nuntiabatur (Caes.). c) Lycurgi temporibus Homerus etiam fuisse traditur (Cic.). d) Xanthippe, Socratis philosophi uxor, morosa admodum fuisse fertur et iurgiosa (Gell.). e) Acilius prudens esse in iure civili putabatur (Cic.). 10) Proposizioni interrogative indirette e consecutio temporum del congiuntivo. Le interrogative indirette sono proposizioni subordinate sostantive (o completive: equivalgono cioè a un sostantivo con funzione di complemento oggetto). Le interrogative indirette sono introdotte dagli stessi pronomi interrogativi, avverbi interrogativi e particelle interrogative che si usano anche per le interrogative dirette. Nota bene: nelle interrogative indirette num non introduce la domanda retorica di senso negativo e significa semplicemente ‘se’. In italiano non bisogna confondere il ‘se interrogativo’ (ti chiedo se sei ancora in casa) col ‘se’ che introduce la protasi di un periodo ipotetico (se sei in casa significa che stai male): in latino il ‘se’ interrogativo è num, il ‘se’ del periodo ipotetico è si. Le interrogative indirette hanno il verbo al congiuntivo secondo le norme della cosiddetta consecutio temporum: la consecutio temporum è, lo ripetiamo, l’uso relativo dei tempi nelle subordinate ad indicare un rapporto di anteriorità, contemporaneità o posteriorità rispetto al verbo della sovraordinata. Esempi: 1) ex te quaero quid feceris (‘ti chiedo che cosa hai fatto’: anteriorità rispetto al verbo della sovraordinata (tempo principale) espressa col perfetto congiuntivo); 2) ex te quaero quid facias (‘ti chiedo che cosa fai’: contemporaneità rispetto al verbo della sovraordinata (tempo principale) espressa col presente congiuntivo); 3) ex te quaesivi quid fecisses (‘ti chiesi che cosa avevi fatto’: anteriorità rispetto al verbo della sovraordinata (tempo storico) espressa col piuccheperfetto congiuntivo); 4) ex te quaesivi quid faceres (‘ti chiesi che cosa facevi’: contemporaneità rispetto al verbo della sovraordinata (tempo storico) espressa con l’imperfetto congiuntivo. Non abbiamo ancora studiato la posteriorità. a) Quaero ex te sisne ex pauperrimo dives factus (Cic.) [qui fio=divento] b) Di utrum sint necne sint quaeritur (Cic.) c) Qui inquirit quid in se dictum sit, se ipse inquietat (Sen.). d) Si quaeritis, plane quid sentiam enuntiabo (Cic.). e) Iocone an serio ille haec dicat, nescio (Ter.). f) Concupiit scire quid [mulier] faceret (Petr.). g) Nullam apud me reliquisti dubitationem, quantum me amares (Cic.). 11) Proposizioni completive con ut/ne e il congiuntivo. Esprimono la volontà di chi prega, comanda ecc.: hanno il congiuntivo presente in dipendenza da un tempo principale, il congiuntivo imperfetto in dipendenza da un tempo storico. Sono proposizioni subordinate sostantive (o completive: equivalgono cioè a un sostantivo con funzione di complemento oggetto) ed esprimono una volontà (questo le differenzia, di solito, dall’accusativo con l’infinito; ma iubeo, che esprime un comando e dunque una volontà, è seguito dall’accusativo con l’infinito e vuole ut solo quando si tratta di deliberazioni ufficiali: senatus decrevit populusque iussit ut…). a) Quaeso ut scribas quam saepissime (Cic.). b) Ego Rufum nostrum laudo non quia tu, ut ita facerem petisti, sed quia est ille dignissimus (Plin. Giun.). c) Tenemus memoriā Q.Catulum esse coactum ut vita se ipse privaret (Cic.). d) Caesar per litteras Trebonio magnopere mandaverat ne per vim oppidum expugnari pateretur (Caes.). e) Caesar scalas parari militesque armari iubet (Caes.). 12) Proposizioni finali. Indicano il fine in vista del quale si agisce. Si usa il congiuntivo presente in dipendenza da un tempo principale, il congiuntivo imperfetto in dipendenza da un tempo storico, come nelle sostantive con ut/ne. Le finali non sono però proposizioni completive, ma avverbiali: equivalgono cioè a complementi indiretti con funzione avverbiale (in questo caso un complemento di fine. Ad es. in ‘Ti porto dal dottore perché tu guarisca’ la finale ‘perché tu guarisca’ equivale a ‘in vista della tua guarigione’. a) Maiores nostri ab aratro adduxerunt Cincinnatum illum ut dictator esset (Cic.). b) Ut facilius intellegere possitis, ea quae facta sunt ab initio vobis exponemus (Cic.). c) Hoc totum omitto prpter id (=ob eam causam), ne offendam tuas patientissimas aures (Cic.). d) Id ut intellegatis, quaeso ut diligenter attendatis (Cic.). e) Domitores equorum non verbera solum adhibent ad domandum, sed cibum etiam saepe subtrahunt, fame ut debilitetur eculeorum (dei puledri) nimis effrenata vis (Cic.). 13) Proposizioni consecutive. Indicano la conseguenza della reggente. Hanno ut (negazione ut non; come il non lascia intendere, si tratta di un congiuntivo eventuale). Le consecutive sono in genere precedute da correlativi come adeo, ita, sic, tam, talis, tantus, tot ecc. I tempi del congiuntivo sono spesso slegati dalla consecutio perché la conseguenza di un fatto può situarsi su un piano cronologico diverso (ad esempio, la conseguenza attuale di un fatto passato ha il congiuntivo presente): nel corso dell’anno abbiamo però incontrato solo consecutive in cui il tempo del congiuntivo si lascia ricondurre alle regole della consecutio e a queste ci limiteremo. a) Spero me sic vivere ut, mortuus, nemini (a nessuno) iocus sim (Petr.). b) Adeone me delirare censes ut ista esse credam (Cic.). c) Socratis responso (alla risposta di Socrate) iudices sic exarserunt ut capitis (a morte) hominem innocentissimum condemnarent (Cic.). d) Usque eo (fino a tal punto) difficiles sumus ut nobis non satisfaciat ipse Demosthenes (Cic.). e) Tantae discordiae secutae sunt ut et tyranni existerent et optimates exterminarentur (Cic.). 14) Neque. Il latino di solito non dice et non, ma neque (o nec). Es.: mihi videris Epicharmi, acuti nec insulsi hominis, sententiam sequi (‘mi sembra che tu segua il parere di Epicarmo, uomo acuto e non privo di spirito’: qui nec = et non). All’italiano ‘e nessuno’ il latino risponde trasferendo la negazione sulla congiunzione e sostituendo al pronome o avverbio di senso negativo un pronome o avverbio indefinito: et nemo (‘e nessuno’-come pronome)>nec quisquam, et nullus (‘e nessuno’-come aggettivo)>nec ullus, et nihil (‘e niente’)>nec quicquam, et numquam (‘e mai’) >nec umquam, et nusquam (‘e in nessun luogo’)>nec usquam. a) Est adventus Caesaris in expectatione, neque tu id ignoras (Cic.). b) Memini (ricordo) neque umquam obliviscar noctis illius (Cic.). c) Veni Athenas neque me quisquam ibi agnovit (Cic.). d) Leontinus Gorgias (Gorgia da Leontini) centum et septem complevit annos, neque umquam in suo studio atque opere cessavit (Cic.). e) Collegit innumerabilia oracula Chrysippus, nec ullum sine locuplete auctore atque teste (senza addurre una fonte e una testimonianza autorevole) (Cic.). f) Deiotărus magno animo et erecto est, nec umquam succumbet inimicis, ne fortunae quidem (Cic.). 15) Neve. Due proposizioni subordinate col verbo al congiuntivo volitivo (dunque proposizioni volitive con ut/ne o proposizioni finali) che siano entrambe negative sono coordinate con neve (o neu). Es.: Cavendum est (bisogna essere attenti) ne adsentatoribus patefaciamus aures neve adulari nos sinamus (Cic.): bisogna stare attenti a non prestare ascolto agli adulatori e a non lasciarci adulare. a) Milites vigilabant ne hostes occulte accederent neve (neu) castra improviso adorirentur. b) Vos hortor ne timeatis neve fugiatis. c) P. Valerius legem ad populum tulit ne quis magistratus (che nessun magistrato) civem Romanum adversus provocationem necaret neve verberaret. (Cic.) d) Est enim boni viri, quem eundem sapientem licet dicere, haec duo tenere in amicitia: primum ne quid fictum sit neve simulatum; deinde non solum ab aliquo allatas criminationes repellere, sed ne ipsum quidem esse suspiciosum semper aliquid existimantem ab amico esse violatum (Cic.). 16) Il possessivo di terza persona singolare e plurale. Il latino usa meus, mea, meum (mio), tuus, tua, tuum (tuo), noster, nostra, nostrum (nostro), vester, vstra, vestrum (vostro) come l’italiano. Invece l’uso è diverso per la terza persona singolare (‘suo’) e plurale (‘loro’: es: le loro case): se ‘suo’ ‘loro’ si riferisce al soggetto della proposizione si usa suus, sua, suum, che ha dunque un valore riflessivo, tanto per il singolare quanto per il plurale (‘vede i suoi figli’: liberos suos videt; ‘vedono i loro figli’: liberos suos vident); se invece il possessore non è il soggetto della proposizione si usa il genitivo di un pronome dimostrativo: eius, eorum, earum (da is, ea, id), huius, horum, harum ( da hic, haec, hoc), ecc. Liberos eius vident significa dunque che essi vedono i figli di una persona diversa dal soggetto, ad es. i figli di un amico; che si tratti o meno di un riflessivo, l’italiano dice sempre ‘suo’ e ‘loro’. Da notare bene: in una proposizione subordinata che esprime il pensiero del soggetto della sovraordinata, ogni riferimento al soggetto della sovraordinata si fa col riflessivo suus. Nell’ambito delle subordinate che abbiamo studiato quest’anno si tratta delle infinitive, delle interrogative indirette, delle sostantive con ut/ne e delle finali. Es.: me a portu praemisit domum, ut haec nuntiarem uxori suae (da Plaut.): mi ha mandato avanti dal porto ad annunziare questi fatti a sua moglie. Allo stesso modo si usa il pronome riflessivo di terza persona singolare e plurale se. ad es.: Caesar me ut sibi essem legatus non solum suasit, sed etiam rogavit (Cic.): Cesare non solo mi propose, ma anche mi pregò di fargli da legato. a) Camillus mihi scripsit te secum locutum esse (Cic.). b) Metellus, multa pollicendo, legatis persuadet uti (=ut) Iugurtham sibi traderent (da Sall.: l’imperfetto congiuntivo è dovuto al fatto che persuadet è un presente storico con valore di passato). c) Patres conscripti legatos in Bithyniam miserunt qui (=ut) ab rege peterent ne inimicissimum suum (scil. Hannibalem) secum haberent sibique dederet (Cic.: attenzione a distinguere bene a chi si riferiscono suum, secum e sibi). d) Verres a Sthenio petere coepit ut operam suam polliceretur seque adiuvaret (Cic.: anche qui attenzione a distinguere bene a chi si riferiscono i due riflessivi). e) Vox ex M. Favonio audistis (=audivistis) Clodium sibi dixisse periturum esse (=moriturum esse) Codium triduo (Cic.). 17) Il participio. a) Il participio presente si declina secondo la terza declinazione; ha sempre forma e significato attivi (anche i verbi deponenti hanno il participio presente di forma attiva; non esiste il participio presente passivo). b) Il participio passato si forma dal supino e si declina come gli aggettivi della prima classe in –us, -a, -um; nei verbi attivi ha significato passivo: laudatus significa ‘che è stato lodato’ (dunque il participio passato è proprio solo dei verbi transitivi attivi; i verbi intransitivi attivi non hanno il participio passato perché non possono essere passivi); nei verbi deponenti, transitivi e intransitivi, il participio passato ha significato attivo (profectus: ‘che è partito’; hortatus: ‘che ha esortato’). c) Il participio futuro (laudaturus: ‘che loderà’, ‘che sta per lodare’, ‘che è intenzionato a lodare’ ecc.) è usato molto raramente da solo nel latino classico. I tempi del participio sono usati in valore relativo: rispetto al verbo reggente il participio presente esprime contemporaneità, il participio passato esprime anteriorità, il participio futuro esprime posteriorità. Il participio può equivalere a un attributo o rendere in forma implicita diversi tipi di proposizioni subordinate: causali, temporali, protasi di un periodo ipotetico (=ipotetiche), concessive. Es.: Curio ad focum sedenti magnum auri pondus Samnites cum attulissent (quando portarono), repudiati sunt (Cic.): quando i Sanniti portarono (cum attulissent) portarono a Curio, mentre sedeva (sedenti) presso il focolare, una grande quantità d’oro, furono respinti. a) Sp. Maelius, regnum appetens, interemptus est. b) C. Servilium Ahala Ap. Maelium regnum appetentem interemit. c) Tibi profecto hoc dicens non displicebo. d) Interdiu (di giorno) stellae, solis luce obscurate, non appārent. e) Interdiu stellas non conspicimus, solis luce obscuratas. f) Nobis non magna cupientibus omnia denegasti (=denegavisti). g) Ulixes, multa adversa passus, tamen animo numquam defecit. h) Ignosces (‘perdonerai’+dativo) mihi hoc dicenti. i) Hostes, hanc adepti victoriam, in perpetuum se fore (=futuros esse) victores confidebant. Il participio futuro, in unione con le forme del verbo esse, serve nel latino classico a formare la perifrastica attiva che esprime a) imminenza (apes evolaturae sunt: le api stanno per alzarsi in volo), b) intenzione (cenaturi sumus: abbiamo intenzione di pranzare), c) predestinazione (fiet quod futurum est: accadrà ciò che è destinato che accada, ciò che deve accadere). Apes evolaturae sunt può significare, a seconda del contesto, imminenza (le api stanno per alzarsi in volo), intenzione (le api hanno intenzione di alzarsi in volo) e predestinazione (le api sono destinate ad alzarsi in volo). a) Iniuriam qui facturus est, iam facit (Sen.). b) Quid nobis futurum est? (Cic.). c) Omnia quae ventura sunt in incerto iacent (Sen.). d) Abiturusne es? (Plaut.). e) Unus aggressurus es Hannibalem (Liv.). Per esprimere in forma implicita proposizioni subordinate causali, temporali, ipotetiche (=protasi di un periodo ipotetico) e concessive il latino usa spesso l’ablativo assoluto: il verbo è un participio in caso ablativo col soggetto esso pure in ablativo. ‘Absolutus’ significa letteralmente ‘sciolto’: l’ablativo assoluto non deve avere nessun rapporto esplicito con la proposizione reggente, in particolare il soggetto non può essere il medesimo. L’ablativo assoluto si può avere: a) col participio presente di tutti i verbi, transitivi o intransitivi, attivi o deponenti (iubente Caesare; hortante duce); b) col participio passato dei verbi deponenti intransitivi (profectis militibus, partiti i soldati) e transitivi attivi (interfecto Caesare ucciso Cesare); ricordate che nei verbi deponenti il participio passato ha valore attivo, nei verbi attivi e transitivi ha valore passivo; la parola mnemotecnica è DITA. Anche con l’ablativo assoluto i tempi del participio sono usati in valore relativo. a) Caesar, exploratis regionibus, albente caelo, omnes copias castris educit (Caes.) b) Quis potest, aut deserta per se patria aut oppressa, beatus esse? (Cic.). c) Caesar, orta luce, Britanniam relictam conspexit (Caes.) d) Pontifices (et) augures Romulo regnante nulli erant (non esistevano): ab Numa Pompilio creati sunt (Liv.) e) Horatius, occisis tribus Curiatiis et duobus amissis fratribus, domum se victor recepit (Cic.). f) Omnia summa es adeptus, multis (tibi) invidentibus (Cic.). 18) Il gerundio. Completa la declinazione dell’infinito e ha senso attivo. Nom.: legere prodest (leggere è utile); genit.: legendi cupiditas (il desiderio di leggere); dat.: legendo operam dare (applicarsi alla lettura); acc.: legere cupio (desidero leggere), ma con la preposizione si usa il gerundio (ad legendum tempus deest: manca il tempo per leggere); ablat.: legendo discimus (leggendo impariamo). a) Beate vivendi cupiditate omnes incensi sumus (Cic.). b) Agebat Alexandrum furor aliena vastandi (Sen.). c) Nulla res tantum ad dicendum proficit quantum scriptio (la stesura dei discorsi) (Cic.). d) Romani audendo et bella ex bellis serundo (=serendo) magni facti sunt (Sall.). e) Plorando fessus sum (Cic.). f) Ex providendo appellata est prudentia (Cic.). g) Non solum ad discendum propensi sumus, verum etiam ad docendum (Cic.). Bologna, 9 giugno 2016