teoria della mente nei disturbi dello spettro autistico

Università degli studi dell'Aquila
- Dipartimento di Medicina clinica,Sanità pubblica,
Scienze della vita e dell'Ambiente-
Laurea Triennale in scienze psicologiche applicate
indirizzo:Unico
Tesi di Laurea
TEORIA DELLA MENTE
NEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Laureanda
Flavia Martini
Relatrice
Elisabetta Tozzi Alleva
Anno Accademico 2013-2014
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A mia madre
e alla mia splendida famiglia
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INDICE
Introduzione...................................................................... 4
Capitolo 1) I processi metacognitivi
1.1. Definizione........................................................................ 6
1.2. La Teoria della Mente........................................................ 9
1.3. Lo sviluppo metacognitivo............................................... 15
Capitolo 2) Metacognizione nell'autismo
2.1. I disturbi dello spettro autistico....................................... 18
2.2. Desrizione del quadro comportamentale autistico............ 20
2.3. Teoria patogenetica - Deficit della Teoria della Mente....... 25
2.4. Altre ipotesi interpretative............................................... 32
Capitolo 3) Valutazione diagnostica
3.1. Strumenti diagnostici nell'autismo.................................. 37
3.2. Test specifici per indagare lo sviluppo
della Teoria della Mente........................................................... 41
Capitolo 4) Trattamento
4.1. Strategie di intervento..................................................... 49
4.2. Training metacognitivo.................................................... 51
Conclusione..................................................................... 56
Bibliografia....................................................................... 58
3
INTRODUZIONE
La Teoria della Mente è la capacità di comprendere gli stati mentali
propri e altrui (emozioni, desideri, credenze e intenzioni) ,prevedere e
interpretare il comportamento dell'altro, non in base a quello che
crede ma in base a quello che gli altri pensano.
Si tratta di un modulo cognitivo che solitamente si sviluppa intorno al
quarto anno d'età,rendendo l'uomo un essere
sociale,collaborativo,competitivo e dipendente da quanto gli uomini
riescono ad inferire ciò che è nella mente dell'uno e dell'altro.
Un mancato sviluppo della Teoria della Mente può essere
determinante di molti deficit,tantoché Baron-Cohen e i suoi
collaboratori,sono stati tra i primi ad avanzare l'ipotesi che la
compromissione del meccanismo TOMM (Theory of Mind Mechanism)
può essere considerata una delle cause responsabili dell'autismo,in
particolare delle difficoltà affettive e relazionali tipiche di questo
disturbo.
L'autismo è considerato la più grave tra tutte le patologie
psichiatriche dell'infanzia, che colpisce circa 4 ogni 10.000
bambini,maggiormente di sesso maschile.
E' possibile fare una diagnosi di autismo se è presente una
significativa compromissione nell'area dell'interazione sociale,del
linguaggio comunicativo verbale e non verbale e nel gioco simbolico
fin prima del terzo anno d'età,oltre alla manifestazione di
comportamenti bizzarri ed interessi limitati e ripetitivi.
Purtroppo ancora ad oggi si tratta di una condizione che permane per
tutto l'arco della vita,anche se visibili possono essere miglioramenti
nelle qualità di vita,nelle capacità di adattamento e nelle abilità
compromesse nei bambini autistici, in seguito ad interventi educativi
e terapeutici mirati a questo disturbo pervasivo dello sviluppo.
Secondo Baron-Cohen (2000) i soggetti affetti da autismo non hanno
la capacità di inferire gli stati mentali altrui ovvero i loro
pensieri,opinioni,desideri,intenzioni e l'abilità di utilizzare determinate
informazioni per interpretare,spiegare e prevedere un loro
comportamento in rapporto a quello che ciascuno di noi pensa che
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l'altro sente,desidera e conosce.
Per questo il bambino non è in grado di accedere ad una teoria della
mente rimanendo in una situazione di cecità mentale
(Baron-Cohen,1995) che limita la reciprocità sociale e la capacità
empatica ,un deficit che non gli permette di accedere al significato
emotivo condiviso che fortifica la relazione con l'altro.
Partendo dall'ipotesi avanzata da Baron-Cohen e i suoi
collaboratori,attraverso questa tesi ho cercato di illustrare il rapporto
significativo tra deficit della Teoria della Mente e l'autismo.
Nel primo capitolo mi sono soffermata sulla metacognizione,
illustrando gli aspetti e i correlati neurofisicologici che ne sono alla
base e che ne determinano lo sviluppo.
Nel secondo capitolo,dopo aver descritto il quadro comportamentale e
diagnostico dell'autismo, ho esposto i maggiori modelli
interpretativi,soffermandomi con maggior interesse ,sull'ipotesi
avanzata da Baron-Cohen secondo la quale, alla base dell'autismo vi è
un mancato sviluppo o una compromissione della Teoria della Mente.
Nel terzo capitolo ho illustrato gli strumenti che vengono utilizzati per
la diagnosi del disturbo autistico,con particolare riferimento a quelli
specifici per la rilevazione dello sviluppo della Teoria della Mente nel
bambino.
Infine nel quarto capitolo ho esposto i principali interventi educativi e
riabilitativi utilizzati nel trattamento di questa sindrome
comportamentale,in particolar modo al training metacognitivo
elaborato nel 1999 da Howlin,Baron-Cohen e Hadwin,attualmente
disponibile anche in formato CD-ROM.
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CAPITOLO 1
I processi metacognitivi
1.1 Definizione
Noi possediamo molteplici meccanismi psichici che collaborano e
interagiscono tra loro,affinché siano possibili la comunicazione e
l'interazione interpersonale.
Fondamentale è la consapevolezza dei propri stati mentali ,la capacità
di saperli comprendere e monitorare, al fine di riflettere sulla propria
mente e su quella degli altri oltre alla comprensione ed
interpretazione dei comportamenti propri ed altrui.
Tali capacità sono determinate dall'attività metacognitiva, considerata
come l'insieme delle conoscenze che ogni individuo possiede sul
funzionamento cognitivo e sul controllo del proprio comportamento
quando chiamato a svolgere un determinato compito
(Brown,Armbruster e Baker,1986).
L'insieme delle interpretazioni sui propri stati interni emotivi,affettivi e
cognitivi sono alla base delle conoscenze metacognitive che sono
applicate grazie ai processi cognitivi e di autoregolazione, che ci
permettono a loro volta di interagire con l'ambiente esterno.
Questi processi sono coinvolti nella comunicazione,nella
consapevolezza di sè e nella regolazione delle relazioni sociali, per
questo qual'ora non saremo in grado di monitorare e controllare i
nostri stati mentali , non avremo la possibilità di identificare le
intenzioni e cause alla base del comportamento altrui,fattore che
andrà ad influire negativamente sulla relazione con gli altri.
Alla fine degli anni '70 sono stati condotti i primi studi rispetto alla
metacognizione.
Il primo ad utilizzare questo termine è stato Flavell ,che inizialmente
parlò di metamemoria per indicare le conoscenze possedute
dall'individuo per il rilevamento,l'elaborazione,
l'immagazzinamento,l'archiviazione e il recupero delle informazioni
apprese nell'arco della vita.
Gli studi sulla metamemoria hanno contributo alla comprensione
delle conoscenze nel campo della metacognizione, sia perché la
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memoria ha un ruolo centrale nel funzionamento cognitivo, sia perché
è in stretta connessione con le altre attività mentali.
Le conoscenze di metamemoria secondo alcuni autori sono rilevabili
fin dall'età scolare,in particolare tra i quattro e i cinque anni il
bambino è in grado di intuire il nesso tra imparare e ricordare,a
riconoscere il ricordo e la possibilità di dimenticare.
La mancata memorizzazione può avvenire in caso di stanchezza
individuale, mancata comprensione o ascolto del messaggio o al fatto
di averlo ascoltato soltanto una volta.
A questa età, i bambini concepiscono la possibilità di ricordare meglio,
ricorrendo all’aiuto di altre persone per il recupero dell’informazione
con la consapevolezza delle differenze individuali nella capacità di
memorizzazione.
L'utilizzo di queste capacità mnestiche aumenta in modo esponenziale
tra i cinque e i sette anni d' età.
I bambini cominciano in questo periodo a fare riferimento alla
variabile tempo come fattore implicato nella capacità di memoria.
Inoltre hanno la consapevolezza che non necessariamente un buon
apprendimento si risolve in un buon ricordo, per il fatto che
un’informazione può essere dimenticata anche per il semplice
trascorrere del tempo.
Infine dai 9 anni all’adolescenza, vi è una migliore specificazione e
definizione delle conoscenze precedentemente acquisite e una
maggiore attenzione alle strategie legate al recupero dell’informazione,
infatti il bambino fa maggiormente riferimento all’importanza del
ripristino delle condizioni di memorizzazione.
Flavell nell'articolo pubblicato nel 1976 ha delineato le tre tappe che i
bambini acquisiscono gradualmente rispetto alla memorizzazione e al
recupero delle informazioni acquisite.
Nella prima tappa il bambino impara ad identificare tutte quelle
situazioni nelle quali è fondamentale l'acquisizione delle informazioni
che potrebbero essere necessarie per esperienze e situazioni future.
La seconda tappa invece gli permetterà l'aggiornamento e
l'integrazione di tali informazioni con quelle precedentemente
acquisite,fino alla terza ed ultima tappa grazie alla quale il bambino
sarà in grado di ricercare, rilevare e selezionare le informazioni più
adeguate,per il raggiungimento di un determinato obiettivo o per la
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risoluzione di un problema.
Flavell riconosce la metacognizione come un processo intenzionale,
conscio, previdente e diretto a realizzare un obiettivo o un risultato,
definendola come ogni conoscenza o attività cognitiva verso l'attività
mentale propria ed altrui;un pensiero non condiviso da Reder,
Schunn, Kentridge, Heywood (2000) secondo i quali i processi
metacognitivi non hanno bisogno della consapevolezza ed
intenzionalità dell'individuo.
Infine definisce, che la metacognizione riguarda il controllo attivo e la
conseguente regolazione di tali processi cognitivi in relazione agli
oggetti e dati ai quali si riferiscono,generalmente al servizio di uno
scopo od obiettivo concreto.
Nel documento, Flavell ha proposto un modello formale di
monitoraggio metacognitivo , includendo le quattro classi che lo
determinano:
(a) conoscenza metacognitiva;
(b) le esperienze metacognitive;
(c) i compiti o obiettivi;
(d) le strategie o attività.
Nella prima classe Flavell racchiude tutte quelle conoscenze circa i
fattori che influiscono sulle attività cognitive,fattori che sono stati
distinti in:
-variabili della persona:riferite a se stessi in termini di capacità,limiti
di memoria e modalità di elaborazione delle informazioni;
-variabili dell'attività o del compito:relative alla sua difficoltà e alla
sua tipologia ;
-variabili della strategia che sarà applicata per il potenziamento del
proprio comportamento cognitivo.
La seconda classe ovvero quella dell'esperienza metacognitiva va ad
individuare le risposte soggettive interne circa le conoscenze,gli
obiettivi e le strategie applicate dall'individuo.
Tra esse rileviamo le risposte affettive all'attività, che vanno ad
influenzare notevolmente il comportamento dell'individuo in
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specifiche situazioni.
Ad esempio il fallimento ,il successo,la frustrazione o la soddisfazione
sono risposte affettive che hanno un effetto sullo svolgimento di un
compito e sul raggiungimento di un determinato obiettivo.
Un'esperienza metacognitiva che si può verificare qual'ora sarà
richiesta esplicitamente in una determinata situazione,quando
quest'ultima sarà inattiva o nuova,se è necessario fare inferenze,
formulare giudizi, prendere decisioni oppure se si è in difficoltà nello
svolgimento del compito o se commesso un errore.
Le conoscenze e le esperienze metacognitive sono alla base delle
ultime due classi definite da Flavell, nelle quali rileva i compiti e gli
obiettivi che dovranno essere raggiunti e tutte quelle strategie
applicate dall'individuo per il controllo e il monitoraggio delle proprie
attività cognitive.
Infine Flavell riconosce l'importanza della metacognizione in varie
applicazioni tra cui la comunicazione,la lettura ,la
scrittura,l'acquisizione del linguaggio,la memoria,l'attenzione,il
problem-solvin e le interazioni sociali oltre alla componente
autoriflessiva relativa alle rappresentazioni di sè,della propria
personalità e dei propri comportamenti.
1.2 La Teoria della Mente
La teoria della mente è la capacità di comprendere gli stati mentali
propri e altrui (emozioni, desideri, credenze e intenzioni) ,prevedere e
interpretare il comportamento dell'altro, non in base a quello che
crede ma in base a quello che gli altri pensano.
Questo modulo cognitivo si sviluppa intorno al quarto anno
d'età ,permettendo al bambino di saper pensare come pensano gli altri
e guardare il mondo non dal proprio punto di vista ma da quello
dell'altro.
I concetti di Metacognizione e Teoria della Mente hanno conosciuto un
forte sviluppo nell’ambito delle scienze cognitive degli ultimi trent’anni.
In particolare, per la Teoria della Mente, le ricerche si sono sviluppate
a partire dagli studi sulla capacità degli scimpanzé di prevedere il
comportamento di un attore umano in situazioni finalizzate verso uno
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scopo.
Nel loro articolo “Does the chimpanzee have a Theory of Mind?”,
Premack e Woodruff (1978) hanno dimostrato che scimpanzé
addestrati al linguaggio, sono in grado di mettere in atto
comportamenti intenzionali e quindi di stabilire una connessione tra
le proprie azioni e gli scopi altrui,ma non di attribuire stati mentali
all'altro.
Per questo gli autori hanno rilevato che i primati non umani si
limitino al tentativo di influenzare quello che l’altro fa (ovvero il loro
comportamento), ma non provano ad influenzare ciò che l’altro crede;
tuttavia l’acquisizione di una Teoria della Mente è una prerogativa
della mente umana normale (Karmiloff-Smith, 1992).
Lo sviluppo della Teoria della mente parte dalla capacità di attribuire
degli stati mentali intenzionali (emozioni,desideri) a sè e agli altri,fino
a quelli epistemici (credenze,pensieri) utilizzati nella previsione ed
interpretazione del comportamento manifesto.
Dagli studi sulla comprensione del funzionamento mentale dei primati
presero avvio molte ricerche sul compito della falsa credenza.
Questa nozione è diventata un criterio evolutivo molto importante per
stabilire in che momento i bambini sviluppano completamente una
Teoria della Mente strutturalmente simile a quella adulta.
Heinz Wimmer e Joseph Perner (1983) sono stati i primi ad utilizzare
una procedura sperimentale per verificare la capacità di
“comprendere la nozione di falsa credenza”: il False Belief Task.
Nel loro esperimento, i ricercatori mostrano e spiegano ai bambini
una scenetta in cui vi sono due personaggi.
Uno di loro mette della cioccolata sotto una tazza e se ne va dalla
stanza dove sono entrambi mentre l’altro cambia la cioccolata di posto,
in assenza del primo.
Nella scena successiva,una volta fatto rientrare il personaggio,si
domanda al bambino dove il primo personaggio ha cercato la
cioccolata nascosta.
La ricerca evolutiva ha dimostrato che verso i quattro anni i bambini
normodotati distinguono chiaramente lo stato reale delle cose (“la
cioccolata è sotto la seconda tazza”) dalla rappresentazione del
personaggio (“la cioccolata è sotto la prima tazza”) e predicono il
comportamento del personaggio non in funzione dello stato di fatto,
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ma in funzione della rappresentazione mentale che gli attribuiscono.
In altre parole intorno ai quattro anni di età il bambino riesce a
rappresentarsi che l’oggetto verrà cercato dove il personaggio crede
che sia e non dove realmente è.
Wimmer e Perner (1983) conclusero che tali risultati sono collegati
all’emergere di una nuova abilità cognitiva definita appunto Teoria
della Mente.
Prima dei quattro anni il bambino ha un'attenzione preferenziale
verso specifici stimoli esterni, che mediante l'interazione sociale si
evolve in attenzione condivisa e comunicazione intenzionale di tipo
proto-dichiarativo, precursori della Teoria della mente alla fine del
primo anno d'età.
Nelle comunicazioni proto-imperative il bambino utilizza l’attenzione
condivisa (indicando o usando lo sguardo) come mezzo per ottenere
un oggetto o scopo,attraverso una richiesta non-verbale.
Tali gesti si trasformano in comunicazioni proto-dichiarative nel
momento in cui il gesto di indicare ha la funzione di esprimere un
commento non-verbale su un determinato stato di cose.
Per questo non si tratta più soltanto di influenzare il comportamento
altrui, ma di modificare l’attenzione o lo stato mentale dell'altro
attraverso un processo interattivo che consente la trasmissione di
informazioni mediante il contatto mentale (Camaioni, 1995).
Sempre in questo periodo si può osservare il "riferimento sociale" che
da la possibilità al bambino di utilizzare la madre come codificatore
per situazioni nuove o sconosciute,utilizzando la sua risposta emotiva
come risposta d'azione (Klinnert et al., 1983, cit. in Camaioni, 1995).
Secondo Leslie un ulteriore precursore della teoria della mente è il
gioco di finzione, che permette al bambino di rappresentare da un
aspetto fisicamente presente un oggetto assente.
L’associazione del gioco di finzione alla Teoria della Mente è
giustificata dal fatto che entrambi implicano tre funzioni:
1) “reversibilità debole”; un oggetto può rappresentare due cose al
tempo stesso;
2) “funzione simbolica”; un oggetto può rappresentarne un altro;
3) “funzione metarappresentativa”,che corrisponde alla
rappresentazione di rappresentazioni mentali.
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Infine un altro aspetto legato all’acquisizione di una Teoria della
Mente riguarda la manifestazione del pensiero narrativo intorno ai
ventiquattro mesi, ovvero di una forma di narrazione mentale di
eventi riguardanti l’azione e l’intenzionalità umana, che permette al
bambino di interpretare la sua conoscenza sul mondo (Bruner e
Feldman;1993).
Flavell,Miller e Miller sostengono che il bambino ,nel corso dello
sviluppo, acquisisce alcuni postulati di base che scandiscono
l’evolversi e la strutturazione della sua Teoria della Mente:
- La mente esiste: a partire dal primo anno di vita il bambino è
orientato agli altri,in modo specifico e distinto da quello con cui
comprende e agisce sugli oggetti;
- La mente collegata al mondo fisico: a tre anni il bambino è in
grado di associare stimoli fisici a stati mentali;
-La mente è separata dal mondo fisico e differisce da esso: Il
bambino inizia a distinguere il reale dall'immaginario;
-Le rappresentazioni possono essere false : A partire dai quattro
anni il bambino differenzia tra concreto e astratto,potendo però
cadere in una falsa credenza (riconoscere la differenza tra lo stato
affettivo delle cose e la rappresentazione mentale propria ed altrui);
-La mente lavora in modo attivo: il bambino sviluppa la
consapevolezza che l'interpretazione della realtà può essere
influenzata da conoscenze pregresse.
Le funzioni della teoria della mente comprendono una vasta gamma di
stati mentali:
-Dare un senso al comportamento interpersonale : la lettura
della mente è fondamentale per la comprensione del mondo
umano,comprendendo gli stati mentali avremo la possibilità di
comprendere e spiegare il comportamento altrui(Dennet,1978);
-Dare senso alla comunicazione:possiamo formulare ipotesi sugli
stati mentali attribuendo un significato alla comunicazione verbale e
non verbale(Grice,1975);
-Ingannare:la possibilità di distorcere la realtà richiede,da un lato
l'influenzamento delle credenze che determinerà una falsa
convinzione e dall'altro la capacità di comprendere che l'ingannato
agirà come se la convinzione falsa fosse vera(Sodian e Frith,1992).
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I bambini normodotati manifestano un’evidente capacità di fingere
subito dopo aver acquisito il concetto di falsa credenza ovvero a
partire dai quattro anni di età.
-Empatizzare: L'empatia è la capacità di mettersi nei panni degli
altri interpretando e condividendo le emozioni altrui, capacità alla
base della Teoria della Mente.
I bambini di tre anni sono in grado di capire lo stato emozionale
provocato da situazioni esterne su una persona mentre a cinque anni
comprendono le emozioni dell'altro basandosi su ciò che essi pensano
stia per accaderle.
-Riflettere su di sè: importante non sarà solo la comprensione degli
stati mentali altrui ma anche la capacità del bambino di comprendere
i propri stati mentali e comportamenti. Non appena il bambino riesce
ad attribuire stati mentali a se stesso può cominciare a riflettere sulla
sua stessa mente con la capacità di distinguere l’apparenza dalla
realtà e a riconoscere la fallibilità delle sue opinioni;le cause del suo
comportamento; la fonte della sua conoscenza e la capacità di
esaminare nella sua mente le possibili soluzioni ai suoi problemi
prima ancora di agire.
-Persuadere:Mediante la persuasione si ha la possibilità di fornire
all'altro delle informazioni al fine di modificare le proprie opinioni e
credenze sulla realtà(Howlin,Baron-Cohen,Hadwin,1999)
Attraverso le varie ricerche è emerso un linguaggio universale che
parla di stati mentali (Brown-1991;Avis e Harries-1990)e che alla
base della capacità di leggere la mente troviamo quattro particolari
meccanismi (Baron-Cohen-1995):
-Il rilevatore dell'intenzionalità (ID);
-Il rilevatore della direzione degli occhi (EDD);
-Il meccanismo dell'attenzione condivisa (SAM);
-Meccanismo della teoria della mente (TOMM).
Il rilevatore dell'intenzionalità è un meccanismo innato che il bambino
possiede per leggere nel proprio comportamento gli stati mentali.
Si tratta di un dispositivo percettivo che interpreta gli stimoli in
movimento in termini di due stati mentali primitivi volizionali
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di scopo e desiderio, che si attiva in presenza di qualsiasi input
percettivo che rileviamo mediante gli organi di senso (soprattutto
vista,udito e tatto).
Questo è il primo meccanismo di cui il bambino ha bisogno per
leggere la mente.
Il secondo meccanismo è il rilevatore della direzione degli occhi,che
ovviamente si attiva grazie agli stimoli rilevati mediante la vista.
Esso ha tre funzioni basilari ovvero: l' individuazione degli occhi,
l'individuazione della direzione degli occhi (per rappresentare la
relazione esistente tra gli occhi individuati e la cosa verso la quale
sono diretti)e l' interpretazione dello sguardo.
Il terzo meccanismo ,quello dell'attenzione condivisa a differenza dei
precedenti che costruiscono delle rappresentazioni
diadiche,costruisce delle rappresentazioni triadiche (ovvero quelle
rappresentazioni determinate dal rapporto tra un agente,il sè e un
terzo oggetto, verso il quale vi sarà interesse da parte dei primi due.)
Il SAM costruisce delle rappresentazioni triadiche,specificando
l'attenzione condivisa,solo se riceve informazioni rispetto allo stato
percettivo di un altro agente. Inizialmente confronta lo stato percettivo
di un altro agente con quello del sè e successivamente fonde le
rappresentazioni diadiche dell'altro e quelle riguardanti il proprio
stato percettivo entro una rappresentazione triadica.
Questo permette al SAM di rilevare se le persone stanno
guardando,annusando,toccando o udendo la stessa cosa.
Questi meccanismi sono fortemente in relazione tra loro, in quanto il
SAM mette a disposizione dell'EDD l'output dell'ID, consentendole di
leggere la direzione degli occhi in termini di scopi e desideri di un
agente.
Dalla nascita ai nove mesi l'infante ha a disposizione l'ID e le funzioni
basilari dell'EDD,tra i nove e i diciotto mesi entra in scena il SAM fino
ai quarantotto mesi circa, in cui si sviluppa il TOMM preannunciato
dai giochi di finzione che consentono la conquista degli stati mentali
del "credere" e del "sapere".
Mentre i primi tre meccanismi ci permettono di leggere il
comportamento in termini di stati mentali volizionali (desiderio,scopo)
e di leggere la direzione degli occhi in termini percettivi(vedere),
il meccanismo della teoria della mente ha la duplice funzione di
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rappresentare l'insieme degli stati mentali epistemici e di trasformare
le conoscenze mentalistiche in una teoria utile per l'interpretazione
del comportamento sociale.
1.3 Lo sviluppo metacognitivo
L'attuale approccio consente di concepire lo sviluppo metacognitivo in
parallelo allo sviluppo cognitivo fin dal momento della nascita,mediate
un processo inconscio e gerarchico,a partire dal riconoscimento degli
stati mentali fino al loro monitoraggio e controllo.
Alla nascita il bambino è dotato di sistemi comportamentali pronti ad
essere attivati dagli stimoli provenienti dall'ambiente esterno.
Fra questi troviamo quelli determinati dell'attaccamento ovvero del
rapporto significativo che si sviluppa tra il bambino e la propria figura
di riferimento, che sarà alla base di tutti i rapporti affettivi e
relazionali che il bambino stabilirà in futuro.
Bowlby delineando la teoria dell'attaccamento ha rilevato
l'importanza di questa relazione nello sviluppo delle capacità
metacognitive oltre al suo effetto sull'organizzazione del sè, sulla
regolazione affettiva,sull'acquisizione della competenza sociale e sulla
capacità di adattamento all'ambiente.
Questo è possibile grazie a dei modelli operativi che regolano il
comportamento del bambino verso le figure di riferimento e con tutte
le altre persone con le quali entra in relazione.
Questi modelli permettono al bambino di sviluppare una
rappresentazione secondaria di sè,dell'altro e del mondo che lo
circonda mediate la competenza di metarappresentazione,
determinata dall'interiorizzazione della risposta di " rispecchiamento"
della madre verso i bisogni richiesti dal figlio,possibilità che si potrà
manifestare solo in caso di uno stile di attaccamento sicuro.
Oltre alla base sicura,grazie al contributo di Mary Ainsworth tramite
la Strange situation,sono stati rilevati ulteriori stili di attaccamento
come quello ansioso-ambivalente e ansioso-evitante caratterizzati da
fattori che influenzeranno la formazione della personalità e del sè del
bambino.
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Questo dimostra la predisposizione del bambino a relazionarsi con gli
altri fin dalla nascita,ponendo una particolare attenzione al volto e
alle emozioni espresse dall'altro,capacità che raggiungerà il suo
massimo sviluppo intorno ai sei mesi,quando il neonato è in grado di
riconoscere le persone dal volto ( a partire dalla madre), a distinguere
le varie espressioni e a mostrare una preferenza per i volti considerati
più "attraenti"(Flavell,Miller e Miller,1993).
Il sistema comportamentale dell'attaccamento è fondato su strutture
cerebrali innate che spingono il neonato a ricercare la sicurezza e
vicinanza protettiva della madre,potendo così far riferimento alle aree
che mediano le risposte emozionali (amigdala e insula) oltre alla
corteccia paracingolata anteriore,il solco temporale superiore,e la
giunzione temporo-parietale (Bartels e Zek).
Allan Schore (1994) ha riconosciuto il coinvolgimento della corteccia
orbitofrontale alla base dell'attaccamento e della metacognizione.
Fin dalla nascita i dendriti localizzati in questa area cerebrale si
accrescono e determinano delle connessioni con la corteccia visuolimbica del lobo temporale ,nella quale è elaborata l'informazione
emozionale relativa alla mimica del volto umano.
Infatti il bambino grazie all'attivazione di tale area è in grado di
interpretare l'espressione facciale materna e rilevarne delle
modificazioni. Attraverso le funzioni orbito-frontali,i modelli operativi
interni regolano i comportamenti di attaccamento, in connessione con
i centri limbici e le strutture sottocorticali, fondamentali per la
maturazione delle rappresentazioni che il bambino matura verso
sè,verso l'oggetto e sulla loro relazione in termini affettivi.
La capacità metacognitiva e il sistema dell'attaccamento inoltre
dipendono dall'attività della corteccia prefrontale,le cui aree mediali e
orbitofrontali sono fondamentali per la rappresentazione implicita ed
esplicita degli stati mentali altrui,per la gestione delle relazioni
interpersonali.
Infine per una buona abilità metacognitiva sarà richiesta l'attivazione
di ulteriori aree come quella ippocampale,l'amigdala,l'ipotalamo e la
corteccia cingolata anteriore.
E' evidente quindi che il bambino possiede una intersoggettività
primaria,una competenza (le cui basi sono geneticamente determinate)
confermata dalla precoce capacità di imitazione del bambino.
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Questa capacità è stata rintracciata nei correlati neurofisiologici dei
neuroni mirror o neuroni specchio,che hanno proprietà
somatosensoriali, visive e motorie legate a dimensioni cognitive come
la previsione o l' anticipazione dell'azione che viene svolta dall'altro.
I neuroni come sappiamo sono le cellule nervose che trasmettono gli
impulsi nervosi dalle aree centrali a quelle periferiche per lo scambio
delle informazioni ,rispondendo sia agli eventi esterni che interni
dell'organismo.
Rizzolatti alla fine degli anni '80 e inizi degli anni '90 ha
rilevato,inizialmente nelle scimmie (precisamente localizzati nella
circonvoluzione frontale inferiore F5) e successivamente negli uomini
dei neuroni, che si attivano quando osserviamo qualcun altro fare la
nostra stessa azione in particolare con la bocca,con le mani e con i
piedi.
I neuroni mirror infatti non rispondono solo ad uno specifico
movimento ma anche in base allo scopo del gesto,indipendentemente
dal fatto che sia eseguito od osservato grazie alla risonanza affettiva e
capacità empatica verso l'altro.Grazie alle ricerche condotte tramite
l'uso della risonanza magnetica funzionale è stato possibile rilevare la
localizzazione di tali neuroni nell'uomo,nella porzione anteriore del
lobo parietale inferiore,nel giro frontale inferiore,nel solco temporale
superiore e nella corteccia pre-motoria.
Il malfunzionamento di questi neuroni impediscono alla persona e al
bambino di comprendere il comportamento altrui, di anticipare le
intenzioni e di condividere le proprie emozioni e stati mentali; proprio
come avviene nell'autismo,un aspetto che sarà descritto nel
successivo capitolo.
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CAPITOLO 2
Metacognizione nell'autismo
2.1 I disturbi dello spettro autistico
Quando parliamo di disturbi pervasivi dello sviluppo facciamo
riferimento a diversi quadri clinici caratterizzati da alterazioni che
interessano l'interazione sociale e la comunicazione verbale e non
verbale oltre dagli interessi stereotipati,afinalistici e limitati.
La prima descrizione di tali disturbi è stata elaborata da Leo Kanner,
nel suo famoso articolo apparso sulla rivista Nervous Child nel 1943,
nel quale emerge come i bambini da lui osservati presentavano delle
caratteristiche comuni, tra le quali l'assenza o le anomalie nello
sviluppo del linguaggio,l'isolamento sociale,la resistenza al
cambiamento,la mancanza di interessi e di consapevolezza degli altri.
Molti autori lo consideravano come una forma di schizofrenia
infantile proprio come Bender (1947) ipotizzando che l’autismo e la
schizofrenia fossero parte di un continuum di uno stesso processo
sintomatologico evolvendo, entrambe le condizioni, verso un disturbo
della relazione con l’altro.
Kanner si rifiutò di considerare l'autismo come una manifestazione
precoce della schizofrenia,definendolo come un disturbo del contatto
affettivo nel quale fondamentale è il rapporto che si stabilisce tra il
bambino e i genitori fin dai primissimi momenti di vita,enfatizzando
l'idea dei cosiddetti "genitori frigorifero" ovvero genitori freddi,distanti
e poco responsivi verso i bisogni (soprattutto affettivi) dei loro figli.
Inoltre in merito alle cause pur riconoscendo la mancanza di prove
per una specifica etiologia ancora oggi sconosciuta, si afferma che
l'autismo è dovuto ad una condizione congenita grazie alle
significativa concordanza del disturbo rilevata in gemelli omozigoti
(che presentano lo stesso patrimonio genetico), ricondotti all'anomalia
di un gene localizzato sul cromosoma 7 che comporta alterazioni
dello sviluppo della corteccia cerebrale.
I fattori biologici causa di autismo sono noti solo nel 20% dei casi e la
presenza di anomalie metaboliche sembra interessi il 5% dei casi.
Le ricerche sui fattori neuropatologici hanno evidenziato, in alcuni
18
casi, la presenza di anomalie localizzate nel cervelletto, nel sistema
limbico e nella corteccia cerebrale in particolare nell'amigdala e
nell'ippocampo (Baron-Cohen et al;2000;Schultz et al;2003).
Inoltre si suppone che anomalie quantitative o qualitative a livello
recettoriale o nei neuroni attivi nel sistema fronto-striatale,in
particolare l'ossitocina,la dopamina e la serotonina,possano essere
coinvolte nel determinismo del disturbo autistico.
In altri casi è stato evidenziato il ruolo dei fattori esogeni infettivi,
tossici, farmacologici, traumatici, e vascolari che possono
manifestarsi nel periodo pre-,peri-, e post-natale.
Gli studi condotti sui fattori genetici e sulle anomalie cromosomiche,
ha portato alla scoperta dell’eziologia certa del Disturbo di Rett nella
mutazione del gene MECP2 localizzato sul cromosoma Xq28.
Non vanno inoltre sottovalute le patologie neurologiche associate alla
sindrome che aggravano il quadro clinico: iper o ipo-tonia, turbe della
coordinazione motoria, distonie, stereotipie motorie, dismorfismi,
alterazioni dell’udito (sordita’ di conduzione neurosensoriale o mista),
ritardo mentale ed epilessia (presente tra il 20 e 30% dei casi).
Contemporaneamente Asperger (1944) delineò un disturbo molto
simile all'autismo di Kanner contraddistinto da quest'ultimo per la
buona abilità cognitiva e linguistica fortemente alterata nei bambini
autistici,notando delle significative differenze come un eloquio più
scorrevole, la difficoltà nell'esecuzione di movimenti grossolani e non
di quelli fini e una diversa capacità di apprendere in quanto Asperger
definiva i suoi pazienti "pensatori astratti", mentre secondo Kanner
essi apprendevano meglio in maniera meccanica.
Questi disturbi oltre al disturbo disintegrativo della fanciullezza e la
sindrome di Rett sono classificati all'interno dei disturbi pervasivi
dello sviluppo come riportato nel DSM-III,DSM-III-R e IV.
Quando si parla della sindrome di Rett si fa riferimento ad un
disturbo neurologico che si manifesta prevalentemente nel sesso
femminile a partire dalla fine del primo anno d'età.
Dei tipici sintomi di questa sindrome sono i movimenti stereotipati
delle mani,l'alterazione nella motricità che determina nel tempo la
perdita di autonomia.
Il disturbo disintegrativo della fanciullezza si differenzia dall'autismo
per l'età d'esordio,in quanto si manifesta dopo il terzo anno d'età.
19
Inizialmente nel bambino è visibile un normale sviluppo nelle abilità
comunicative e relazionali, fino ad una fase di regressione che
determina l'esordio della patologia.
Infine il disturbo di Asperger è una patologia molto vicina all'autismo
ma in esso è possibile notare una minore compromissione a carico
delle interazioni sociali,della motricità,delle abilità comunicative e
cognitive.
2.2 Descrizione del quadro comportamentale
autistico
Quando parliamo di autistico facciamo riferimento ad una sindrome
comportamentale che coinvolge tutte le aree dello sviluppo,con
alterazioni durature e relativamente stabili nelle abilità sociali e
comunicative.
Si tratta di una condizione rara che colpisce circa 4 ogni 10.000
bambini,maggiormente di sesso maschile.
Secondo il DSM-V è possibile fare una diagnosi di autismo in
presenza di una compromissione nell'area dell'interazione sociale,del
linguaggio comunicativo verbale e non verbale e nel gioco simbolico
fin prima del terzo anno d'età.
Per diagnosticare il disturbo dello spettro autistico è necessario
soddisfare i seguenti criteri diagnostici inseriti nel DSM-V:
A) Deficit persistenti della comunicazione sociale e
dell'interazione sociale in molteplici contesti:
- Deficit della reciprocità socio-emotiva,che vanno da un approccio
sociale anomalo e dal fallimento della normale reciprocità della
conversazione a una ridotta condivisione di interessi,emozioni o
sentimenti,all'incapacità di dare inizio o di rispondere a interazioni
sociali;
- Deficit dei comportamenti comunicativi utilizzati per l'interazione
sociale,che vanno dalla comunicazione verbale e non verbale
scarsamente integrata ad anomalie del contatto visivo e del linguaggio
20
del corpo o deficit della comprensione e dell'uso dei gesti,a una totale
mancanza di espressione facciale e di comunicazione non verbale;
- Deficit dello sviluppo,della gestione e della comprensione delle
relazioni,che vanno dalle difficoltà di adattare il comportamento per
adeguarsi ai diversi contesti sociali,alle difficoltà di condividere il
gioco di immaginazione o di fare amicizia,all'assenza di interesse verso
i coetanei.
B) Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti,
ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti
fattori,presenti attualmente o nel passato:
- Movimenti,uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi;
- Rigidità verso la routine priva di flessibilità o rituali di
comportamento verbale o non verbale;
- Interessi molto limitati,fissi che sono anomali per intensità o
profondità;
- Iper o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti
verso aspetti sensoriali dell'ambiente;
C) I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello
sviluppo;
D) I sintomi causano una significativa compromissione del
funzionamento in ambito sociale,lavorativo,scolastico e in altri
contesti di vita;
E) Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità
intellettiva o da ritardo globale dello sviluppo.
Specificare se:
- con o senza compromissione intellettiva associata;
- con o senza compromissione del linguaggio associata;
- se associato a una condizione medica o genetica nota o a un fattore
ambientale;
21
- se associato ad un altro disturbo del neurosviluppo,mentale o
comportamentale;
- con catatonia.
Nella diagnosi occorre tener sempre presente l'individualità del
paziente nella manifestazione e gravità della patologia, oltre alla
possibile modificazione della sintomatologia nelle diverse fasi di
sviluppo.
In merito a questo aspetto sono stati rilevati tre sottogruppi di
bambini autistici sulla base delle loro capacità comunicative e
relazionali:
- i bambini inaccessibili sono coloro affetti da una grave forma di
autismo che li porta a "tirarsi fuori" da qualsiasi tipo di relazione;
-i bambini passivi pur isolandosi saranno in grado di interagire con
l'altro qualora saranno adeguatamente sollecitati e stimolati;
-i bambini attivi ma bizzarri saranno coloro che pur prendendo
l'iniziativa nella relazione lo fanno in modo inappropriato e
inopportuno.
Quando parliamo di autismo facciamo riferimento ad un disturbo che
colpisce prevalentemente i maschi,la cui caratteristica principale è
l'evidente tendenza di questi bambini a chiudersi in se stessi e vivere
in un mondo tutto loro fin dai primi anni di vita.
A volte lo sviluppo di un bambino è ritardato dalla nascita,altre volte
i bambini sembrano svilupparsi normalmente per poi
improvvisamente regredire e perdere le capacità sociali e/o
linguistiche precedentemente acquisite.
I primi ad accorgersi di una difficoltà nell'interazione sociale sono
proprio i genitori che notano l'incapacità del bambino a stabilire un
contatto occhi-occhi,ad adattarsi al corpo della madre quando
quest'ultima lo cambia o lo prende in braccio (dialogo tonico)oltre alla
mancata condivisione dei propri bisogni ed emozioni.
Nel corso dello sviluppo la compromissione dell'interazione sociale si
estende ai coetanei e alle altre figure adulte,un aspetto visibile
soprattutto con l'ingresso del bambino nella scuola dell'infanzia.
Il bambino infatti tende a chiudersi in se stesso,a posizionarsi in un
22
angolo della stanza e ad aggirarsi tra gli altri bambini senza stabilire
nessun tipo di contatto fisico ed oculare ,si isola,non risponde quando
qualcuno lo chiama e non partecipa alle attività di gruppo e di gioco.
Contemporaneamente è possibile notare i deficit comunicativi verbali
e non verbali che possono essere di vario genere.
Nei primi anni di vita la comunicazione verbale è caratterizzata da
gergolalie,stereotipie verbali che il bambino ripete continuamente in
assenza di finalità e significati oltre all'ecolalia sia immediata che
differita. Il bambino infatti tende a ripetere le domande che le vengono
poste piuttosto che dare delle risposte (ecolalia immediata) e di
ripetere frasi,parole e suoni proveniente dall'ambiente esterno(ecolalia
differita).
Anche in età avanzata il linguaggio è caratterizzato da una scarsa
produzione spontanea e mancata intenzionalità nell'iniziare e
sostenere una conversazione con l'altro, senza renderlo partecipe dei
propri interessi e stati d'animo.
A livello non verbale è possibile rilevare la mancanza della
mimica,dello sguardo,dell'espressioni,delle posture e dei gesti in
particolare quelli a scopo dichiarativo, considerati come un segno
patognomonico presente fin dal primo anno.
A partire dai due anni si manifestano i manierismi e le stereotipie
motorie (come lo sbattere le mani o portarle alla bocca e i tipici
ciondolamenti del tronco),il disinteresse verso gli altri,la mancata
condivisione emotiva,i comportamenti e riti compulsivi e l'angoscia
sviluppata davanti alle novità per la rigidità verso le abitudini
quotidiane.
Nel gioco è possibile rilevare un eccessivo e maniacale interesse per
alcune parti degli oggetti, verso i quali i bambini autistici non
mostrano interesse per il loro significato pratico, bensì li utilizzano in
modo inappropriato manipolandoli lungamente,ripetitivamente,in
modo meccanico e in assenza di finalità pratica.
Un ulteriore difficoltà è quella di saper regolare le proprie emozioni o
ad esprimerle in modo appropriato, il bambino può iniziare a urlare,
piangere, o ridere istericamente per nessun motivo
apparente,sviluppare paura verso stimoli innocui e sviluppare
comportamenti aggressivi sia eterodiretti che autodiretti
tramite varie forme di autolesionismo in assenza di motivazione.
23
Attraverso le varie ricerche è stato possibile rilevare la presenza di
comorbidità ovvero la contemporanea presenza di più disturbi in
bambini autistici.
Circa il 75% dei pazienti presentano il ritardo mentale (Q.I. < 70) di
cui il 50% presentano ritardo mentale moderato e grave.
La presenza del deficit intellettivo non può essere considerato come
una spiegazione per i deficit sociali in quanto alcuni bambini autistici
presentano un quoziente intellettivo nella norma o al disopra della
norma (idioti sapienti) con delle abilità intellettive eccellenti e per il
fatto che i bambini non autistici ma ritardati non manifestano
compromissioni nella competenza sociale e relazionale rispetto alla
loro età mentale.
L'epilessia è un ulteriore disturbo che può manifestarsi in comorbidità
con l'autismo nel 30-40% dei casi.
Le crisi solitamente si sviluppano durante il periodo adolescenziale
ma possono insorgere in varie forme fin dalla prima infanzia.
Le crisi maggiormente presenti sono quelle parziali complesse e quelle
generalizzate di tipo tonico-clonico,in quanto sia l'autismo che
l'epilessia sono dei fenomeni determinati da un danno encefalico
localizzato a livello del lobo temporale.
Molti bambini con disturbo autistico presentano un'ipersensibilità
verso gli stimoli sensoriali in particolare verso quelli uditivi e tattili.
A volte possono ignorare le persone che parlano rivolgendosi a loro o
che li chiamano fino al punto di apparire sordi, altre volte possono
essere disturbati da suoni più morbidi,sono molto sensibili anche al
tatto per questo rabbrividiscono dopo una pacca sulla spalla o un
contatto fisico con l' altro.
Le cause del disturbo autistico non sono state ancora oggi ben
delineate ma gli studi ci riportano a fattori genetici,anomalie
neurologiche,condizioni mediche associate anche se l'ipotesi più
accreditata sono le anomalie dello sviluppo cognitivo ed emotivo in
riferimento alla TEORIA DELLA MENTE.
24
2.3 Teoria patogenetica - Deficit della Teoria
della Mente
La teoria della mente è la capacità di comprendere gli stati mentali
propri e altrui (emozioni, desideri, credenze e intenzioni) ,prevedere e
interpretare il comportamento dell'altro, non in base a quello che
crede ma in base a quello che gli altri pensano.
Questo modulo cognitivo si sviluppa intorno al quarto anno
d'età,permettendo al bambino di saper pensare come pensano gli altri
e guardare il mondo,non dal proprio punto di vista ma da quello
dell'altro.
Attualmente la compromissione della teoria della mente è considerata
una delle ipotesi eziologiche responsabili dell'autismo in particolare
delle difficoltà affettive e relazionali tipiche di questo disturbo.
Secondo Baron-Cohen (2000) i soggetti affetti da autismo non hanno
la capacità di inferire gli stati mentali altrui ovvero i loro
pensieri,opinioni,desideri,intenzioni e l'abilità di utilizzare determinate
informazioni per interpretare,spiegare e prevedere un loro
comportamento in rapporto a quello che ciascuno di noi pensa che
l'altro sente,desidera e conosce.
Per questo il bambino non è in grado di accedere ad una teoria della
mente rimanendo in una situazione di cecità mentale (BaronCohen,1995) che limita la reciprocità sociale e la capacità
empatica ,un deficit che non gli permette di accedere al significato
emotivo condiviso,che fortifica la relazione con l'altro.
Quando parliamo di cecità mentale,facciamo riferimento ad una
condizione in cui non si è in grado di produrre spiegazioni o ipotizzare
motivazioni riguardo al comportamento e alle azioni altrui.
Questa diviene una condizione di grande svantaggio nei bambini
autistici quando nell'interazione sociale devono prevedere il
comportamento delle altre persone e riconoscere le intenzioni
comunicative,capacità che in bambini normodotati permettono in
modo veloce e accurato di attribuire gli stati mentali all'interlocutore
(Baron-Cohen,Surian e Van der Lely).
25
Infine il deficit di mentalizzazione può incidere sulla comunicazione
verbale rendendo difficoltosa la produzione di enunciati
contestualmente appropriati e i vari aspetti pragmatici come la
regolazione dell'intonazione. I soggetti autistici sono portati a
produrre discorsi difficili da seguire,sconvenienti e caratterizzati da
un'intonazione monotona oltre ad un tono vocale o eccessivamente
alto oppure eccessivamente basso.
Qual'ora è presente una disfunzione a carico del meccanismo
TOMM( teoria della mente), si incontra la difficoltà di comprendere lo
stato epistemico del credere ovvero la capacità di capire quando
qualcun'altro nutre una falsa credenza.
Per dimostrare questo Baron Cohen,Leslie e Frith (1985) hanno
sottoposto dei bambini senza disabilità,autistici e con sindrome di
Down con età compresa tra i 3-4
anni ad un esperimento per la
comprensione della falsa credenza.
Nel test sono presenti due
bambole,la prima, Sally che
posiziona una biglia nel suo cestino
dopo averlo coperto con un panno
prima di andar via e Anne che in
sua assenza sposta la biglia dal
cestino dentro ad una scatola.
Chiedendo al bambino dove Sally
cercherà la sua biglia, i bambini
normali e quelli con sindrome di
Down risposero correttamente ( cioè
che la cercherà nella sua
collocazione originaria) a differenza
della maggior parte degli autistici
che indicavano il posto in cui era
realmente la biglia.
L'obiettivo del test è quello di rilevare la capacità di prevedere il
comportamento di un altro individuo se fondato su una credenza che
il bambino sa essere falsa nella realtà dei fatti, proiettando la sua
opinione della realtà sull'altro soggetto.
Il bambino sottoposto al test considera questo comportamento come
26
uno stato mentale intenzionale dell'altra persona, che coincide con la
falsa credenza che esiste solo nella mente dell'altro ( in questo caso di
Sally) e non in quella del bambino che è in grado di distinguerla ed
attribuirla al prossimo.
Una capacità che non si sviluppa in bambini con autismo ma che
normalmente viene acquisita a partire dal quarto anno d' età.
E' evidente un mancato sviluppo ed affinamento della capacità di
rappresentazione e di meta-rappresentazione.
In particolare quest'ultima capacità, che rappresenta l'essenza stessa
della teoria della mente, consente al sistema cognitivo di costruire
descrizioni di eventi ipotetici, come le descrizioni di oggetti di finzione,
di pensieri, di sogni, i quali, piuttosto che riferirsi alla realtà esterna,
si rifanno ad altre rappresentazioni.
La difficoltà incontrata nella formulazione delle rappresentazioni
genera ulteriori difficoltà nello sviluppo delle relazione empatiche
ovvero basate sull'empatia, una capacità innata di comprendere l'altro,
escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e
ogni giudizio morale,immedesimandoci e mettendoci nei panni
dell'altro.
L'ipotesi di base sostenuta da Baron-Cohen(1985) è che nei bambini
autistici non si sviluppi in modo normale la capacità di concepire che
le altre persone conoscono, vogliono, sentono e credono qualcosa e
che questo deficit metarappresentivo dia luogo a vere e proprie
anomalie comunicative e di comportamento sociale, che determinano
le difficoltà nella relazione con l'altro con il conseguente isolamento
sociale.
Evidenziando il processo di sviluppo della teoria della mente nel
bambino,é importante ricercare le varie tappe evolutive ed analizzare i
comportamenti considerati come i precursori di questa teoria.
Fra questi, i più precoci nello sviluppo sembrano essere l'attenzione
condivisa (Baron-Cohen, 1989) e la comunicazione intenzionale di
tipo proto-dichiarativo (Camaioni, 1993).
L'attenzione condivisa consiste nel comportamento che i bambini
cominciano a manifestare verso i nove mesi circa, quando mostrano
interesse per le cose osservate dall'adulto, focalizzando lo sguardo in
maniera alternata verso l' oggetto fissato e verso l'adulto stesso.
Gli autistici mostrano un deficit di attenzione condivisa e ciò significa
27
che non sono in grado di condividere un focus di attenzione con l'altro.
La sequenza comunicativa di tipo proto-dichiarativo rappresenta un
comportamento dello stesso tipo, attivato dal bambino con finalità
comunicative.
Si evidenzia quando il bambino indica un oggetto all'adulto
alternando il proprio sguardo tra l'oggetto ed il volto dell'adulto, finché
anche quest'ultimo guarda nella stessa direzione.
In queste sequenze (l'attenzione condivisa e la comunicazione
intenzionale di tipo proto-dichiarativo) il bambino non intende
semplicemente influenzare il comportamento dell'altro per ottenere un
obiettivo materiale (come quando indica un oggetto che desidera
avere); egli intende piuttosto influenzare lo stato interno dell'altro
relativamente ad un aspetto della realtà esterna, in particolare il
provare interesse per qualcosa o il condividere un'esperienza
(Camaioni, 1998).
In condizioni sia osservative che sperimentali, questi bambini si
mostrano capaci di produrre e comprendere il gesto di indicare con
funzione di richiesta, mentre raramente utilizzano lo stesso gesto con
funzione dichiarativa, cercando cioè di convogliare l'attenzione
dell'adulto sullo stesso (Mundy, Sigman, Ungerer e Sherman, 1986;
Baron-Cohen, 1989, 1998).
E' necessario per questo distinguere tra l'attribuzione di "agentività"
cioè l'idea che le persone sono agenti di un'azione e possono quindi
essere utilizzate per il raggiungimento di uno scopo e l'attribuzione di
"intenzione" cioè la rappresentazione dell'altro come individuo che ha
intenzioni e comprende quelle altrui,un comportamento che non si
sviluppa nei bambini autistici.
Un altro fondamentale comportamento precursore è rappresentato
dal gioco di finzione.
Nel momento in cui il bambino mette in atto dei giochi simbolici,
solitamente fra i diciotto ed i ventiquattro mesi, la sua capacità di
meta-rappresentazione si evidenzia molto nettamente.
Far finta che una banana sia un telefono, infatti, non porta il
bambino a ritenere che la banana ed il telefono siano la stessa cosa.
Egli è consapevole della differenza, in quanto gioca a rappresentare
delle rappresentazioni,in altre parole rappresenta una situazione che
28
include una banana nel mondo percettivo e una situazione che
contiene un telefono nel mondo della finzione.
Nei bambini normodotati è possibile analizzare tre livelli di sviluppo:
-Gioco sensomotorio,in cui il bambino esplora le caratteristiche fisiche
dell'oggetto;
-Gioco funzionale: in cui il bambino organizza il gioco e ne comprende
la funzionalità e l'uso;
-Gioco di finzione:in cui il bambino trasforma mentalmente un oggetto
in un altro,con la consapevolezza che esiste differenza tra la vera
identità dell'oggetto e quella di finzione(capacità acquisita a partire
dal secondo anno di vita).
Nei bambini autistici si riscontra l'assenza di finzione nel gioco che
invece è limitato e caratterizzato da stereotipie.
Infine vi è l'imitazione,il primo meccanismo che permette al bambino
di fare la prima distinzione tra cose e persone.
Nel corso dello sviluppo si rilevano segnali di imitazione
proto-referenziale,cioè l'imitazione che viene utilizzata per capire come
funziona il mondo.
I bambini autistici hanno difficoltà ad imitare le azioni degli
altri,qual'ora gli viene chiesto di imitare un'azione non convenzionale
con un oggetto comune,il bambino autistico commette maggiori errori
rispetto ad un bambino normodotato della stessa età ( Smith e Bryson
1994).
Nell'autismo possiamo comunque notare dei fenomeni di imitazione
verso parole,frasi,suoni (in caso di ecolalia) e comportamenti che a
prima vista possono smentire la presenza di un deficit ma che se
osservati attentamente risultano privi di significati e
finalità,confermando l'ipotesi precedentemente illustrata.
Quando si parla di imitazione è importante soffermarsi sul
funzionamento di specifici neuroni localizzati nelle regioni frontali
(corteccia premotoria e area di Broca) e parietali (Rizzolatti,1996),
dedicati all'elaborazione visiva delle informazioni sulle azioni svolte
dagli altri.
Si tratta dei cosiddetti neuroni mirror o neuroni specchio scoperti da
Rizzolatti tra la fine degli anni '80 e gli inizi degli anni '90.
29
Inizialmente furono individuati nelle scimmie (precisamente nella
circonvoluzione frontale inferiore F5) e successivamente negli
uomini,dei neuroni che si attivano sia quando si esegue un'azione sia
quando osserviamo qualcun altro fare la stessa azione in particolare
con la bocca,con le mani e con i piedi.
I neuroni mirror non rispondono solo ad uno specifico movimento ma
anche in base allo scopo del gesto indipendentemente dal fatto che sia
eseguito od osservato grazie alla risonanza affettiva e capacità
empatica verso l'altro.
Inoltre queste cellule non sono puramente motorie o sensoriali,hanno
un duplice ruolo nella capacità degli esseri umani di comprendere le
azioni e intenzioni altrui (Cornelio-Nieto,2009).
Quando si è testimoni di un' azione l'osservatore comprende l'azione
dell'altro mimandola dentro di sè,infatti è possibile prevedere e
interpretare uno stato mentale dell'altro ricostruendo dentro di sè la
sua azione grazie all'attivazione dei neuroni specchio e della sua
capacità empatica.
Queste osservazioni confermano l'ipotesi che questi neuroni non solo
inviano segnali motori ma consentono all'uomo di determinare le
intenzioni di altri individui simulando mentalmente le loro azioni.
Nelle scimmie, il ruolo di questi neuroni può essere limitato alla
previsione di semplici azioni dirette ad un preciso scopo ma negli
esseri umani possono essere alla base della capacità di interpretare e
prevedere le intenzioni altrui più complesse.
La coincidenza tra la sede dei neuroni specchio negli esseri umani e
quella del modulo di ToMM fa sì che la disfunzione di questo sistema
neurale sia inserita nel disturbo autistico .
Dal momento che l’autismo si identifica in un deficit generale della
comunicazione dato da un cattivo funzionamento del ToMM, è
plausibile stabilire che il sistema dei neuroni specchio sia implicato
anche in altre abilità cognitive dipendenti da questa componente e
compromesse in presenza di autismo.
L’attività del sistema dei neuroni specchio e la sua manifestazione
attraverso la capacità imitativa rappresenta dunque un punto
comune nello sviluppo ontogenetico sia del linguaggio che del ToMM.
Secondo Baron-Cohen (1997), tale sistema è localizzato nella
corteccia orbito-frontale, sia dell’emisfero destro che sinistro.
30
Proprio nella regione frontale di quest’ultimo emisfero è normalmente
situata l’area di Broca, sede umana dei neuroni specchio.
È allora automatico stabilire che un completo o parziale deficit del
sistema dei neuroni mirror sia caratteristico dei soggetti autistici, e
che, contemporaneamente, possa apportare sia un non-sviluppo che
uno sviluppo deficitario di competenze socio-comportamentali e
linguistiche, pressoché inscindibili nei casi di tale patologia.
Come dimostrato dai vari studi è possibile affermare che entrambi i
sistemi sono coinvolti nella comprensione ed inferenza di azioni ed
intenzioni ,con particolare attivazione dei neuroni mirror durante
l'elaborazione visiva delle azioni altrui (come e cosa) e della Teoria
della Mente durante l'elaborazione delle intenzioni (perchè).
L'appropriata integrazione tra l'intenzione e i mezzi è possibile grazie
alla connessione di questi due sistemi,possibile ad aree cerebrali tra
cui la corteccia prefrontale mediale,la corteccia cingolata posteriore e
il solco temporale superiore a livello della giunzione temporo-parietale
che li mantengono in continua comunicazione.
Per rilevare la connessione e la compromissione di determinati sistemi
in soggetti autistici Lange ha condotto uno studio osservazionale su
un campione sperimentale composto da ventisei soggetti con autismo
e un gruppo di controllo composto da ventotto soggetti con normale
sviluppo. Ai partecipanti venivano presentati sedici blocchi di
immagini di cui otto per il compito di
intenzione e otto per l' attività mezzi.
Ogni blocco era composto da quattro
immagini ciascuna delle quali
raffigurava l'intenzione del modello
attraverso l'uso di oggetti comuni. A
questo punto ciascun partecipante era
chiamato ad indicare in primis se
l'intenzione dietro l'azione del modello
era ordinaria o inusuale e
successivamente se i mezzi o il modo
in cui è stata fatta l'azione era corretta
o meno.
Durante lo svolgimento dei compiti di intenzione tramite FMRI è stata
rilevata una maggior attività a carico del giro frontale di sinistra e
31
destra,del solco temporale superiore,della giunzione temporo-parietale
e della corteccia cingolata posteriore mentre durante l'attività mezzi
nel cingolo centrale di destra e sinistra e nel lobulo parietale inferiore.
Confrontando i rilevamenti FMRI tra i due gruppi è stata rilevata una
connettività e attivazione fortemente ridotta in soggetti autistici
rispetto al gruppo di controllo in particolar modo nelle aree frontali e
temporo-parietali. Dai risultati ottenuti Lang ha potuto confermare
l'alterata attivazione e compromissione nelle funzionalità e
connessione di questi due sistemi fondamentali per la relazione.
In conclusione è possibile definire che la disfunzione del sistema dei
neuroni mirror nella sindrome dello spettro autistico determina
l'incapacità di comprendere le azioni degli altri e di considerarli come
esseri pensanti con intenzioni e motivazioni intellettuali
(Cornelio-Nieto,2009).
Gli studi di anatomia neurologica dimostrano le connessioni tra
corteccia orbito frontale,il solco temporale superiore e l'amigdala
quando si attiva il meccanismo TOMM.
La corteccia orbito frontale è situata nella superficie centrale dei lobi
frontali in una posizione che Brodmann definì come aree 10-14.
Le lesioni a carico di questa area determinano la perdita del ruolo
sociale,modifiche nel comportamento,la ridotta capacità di giudizio,il
ridotto senso del pericolo e l'anomalo uso del linguaggio a causa delle
alterazioni che interessano l'area di Wernicke per la comprensione del
linguaggio.
Anche le lesioni a carico dell'amigdala determinano sintomi tipici
dell'autismo come l'anomala percezione sociale,l'incapacità di
attribuire un significato emotivo agli stimoli,l'ipersensibilità e la
manifestazione eccessiva di ansia e paura.
2.4. Altre ipotesi interpretative
I disturbi dello spettro autistico sono contraddistinti da menomazioni
nell'interazione sociale,nella comunicazione,nella capacità
immaginativa e da schemi ripetitivi e stereotipati.
E' per questa eterogeneità che ancora ad oggi non è stato individuato
un meccanismo patogenetico alla base di determinato disturbo.
32
Baron-Cohen (2000) pone alla base dell'autismo il deficit della Teoria
della Mente ma nonostante ciò un deficit metarappresentativo e
metacognitivo non è in grado di dare una spiegazione all'autismo.
Innanzitutto la Teoria della Mente è un deficit che si manifesta a
partire dal quarto anno di vita mentre la tipica sintomatologia
autistica ancor prima di questo periodo,inoltre i deficit sociali non
dipendono esclusivamente dal malfunzionamento metacognitivo o
dalla sua assenza come nel caso dei comportamenti stereotipati,il
deficit linguistico e la difficoltà incontrata nei processi di
pianificazione ed organizzazione di un piano d'azione (Williams).
Per questo gli studiosi hanno ricercato ulteriori ipotesi e teorie in
grado di dare una spiegazione alla vasta gamma dei sintomi autistici.
Teoria Socio- Affettiva
Secondo questa teoria vi è una predisposizione innata ad interagire
con l'altro (Hobson,1993).
Si tratta di un bisogno innato che presuppone l'esistenza di strutture
encefaliche il cui funzionamento determina l'elaborazione di stimoli
sociali,che viene definito con diversi termini, quali empatia non
inferenziale (Hobson, 1989) o intersoggettività primaria (Trevarthen et
al., 2001).
Il lattante fin dai primissimi momenti di vita mostra un interesse per
l'altro che viene riconosciuto come "qualcosa che è simile a me" e
stimola il bisogno di relazione.
Questa abilità è determinata da un modulo cognitivo già esistente alla
nascita e che si sviluppa progressivamente nel tempo grazie alle
esperienze emozionali e relazioni vissute dal bambino nel corso della
vita.
L'autismo, secondo questa teoria è caratterizzato da un'innata
incapacità di interagire,di condividere emozioni e di imparare a
riconoscere gli stati mentali dell'altro oltre ai deficit a carico della
cognizione sociale,del linguaggio e dei processi di simbolizzazione.
Debolezza della coerenza centrale
Frith (1989) ha tentato di spiegare le disfunzioni sociali
nell’autismo ipotizzando un danno specifico della capacità di integrare
l’informazione a differenti livelli.
33
Una caratteristica del normale processo di elaborazione delle
informazioni evidenzia la tendenza di riunire insieme le diverse
informazioni per costruire sempre più alti livelli di contesto
del significato.
Questa caratteristica universalmente condivisa del processo di
elaborazione dell’informazione è disturbata nella sindrome autistica e
una carenza a livello di coerenza centrale potrebbe spiegare, almeno
in parte, i deficit che si riscontrano.
Infatti, la debole spinta verso una coerenza interna sarebbe in grado
di spiegare la triade di sintomi dell'autismo (a livello comunicativo, di
interazione sociale e di comportamento).
Si tratta quindi della capacità di sistematizzare in modo coerente le
esperienze che permettono di accrescere le conoscenze,un abilità
assente o deficitaria in bambini autistici che invece presentano:
- un'incapacità di cogliere lo stimolo nel suo complesso;
- un'elaborazione segmentata dell'esperienza;
- un'incapacità di accedere dal particolare al generale;
- una polarizzazione esasperata su frammenti di esperienza.
Una condizione che porta il bambino a non cogliere il significato degli
stimoli nel loro complesso ma a rimanere legato solo a dati
parcellizzati dell'esperienza.
Deficit delle funzioni esecutive
I sintomi comportamentali tipici dello spettro autistico possono essere
spiegati dalla presenza di un deficit a carico delle funzioni esecutive
ovvero di una serie di abilità,alla base dei processi di organizzazione e
pianificazione dei comportamenti di risoluzione dei problemi.
Tra queste abilità troviamo:
- la capacità di mantenere attiva un'area di lavoro contenente tutte le
informazioni inerenti al compito in esame;
- la capacità formulare mentalmente un piano d'azione;
- la capacità di non soffermarsi esclusivamente sulla formulazione
della risposta e sui dati percettivi che provengono dall'ambiente
esterno;
- la capacità di inibire le risposte impulsive;
34
- la capacità di essere attenti ai feedback;
- la capacità di spostare l'attenzione sui vari aspetti del contesto.
Queste capacità si acquisiscono durante lo sviluppo e rappresentano
il nucleo centrale di complesse strutture cognitive che in
neuropsicologia sono definite come funzioni esecutive.
Il primo a definirle è stato Shalice per descrivere quelle funzioni
cognitive superiori che sono deputate all'esecuzione di compiti
cognitivi e motori mediante l'inibizione degli stimoli, la capacità di
automonitorarsi,giudicare e correggere se stessi e programmare i vari
processi decisionali.
In altre parole consistono in una serie di operazioni mediate dai lobi
frontali, che consentono il controllo volontario del comportamento
cognitivo e motorio (Job, 1998).
Sono stati ipotizzati due modi di controllo: uno automatico ed uno
volontario (Norman e Shallice, 1986; Shallice, 1988).
I processi di controllo automatico vengono attivati in situazioni
abituali, quando il comportamento consiste in sequenze d'azione ben
apprese (ad esempio guidare l'auto in condizioni di tranquillità
per un autista esperto).
In genere sono le condizioni esterne ad attivare automaticamente le
sequenze d'azione e queste vengono eseguite in modo fluido e senza
richiedere attenzione.
Il controllo automatico consente anche l'esecuzione di più azioni
contemporanee (ad esempio: guidare la macchina in un percorso
conosciuto e seguire la radio o tenere una conversazione).
I processi di controllo volontario vengono attivati, invece, in situazioni
nuove o che richiedono azioni intenzionali, con il comportamento che
viene organizzato in relazione agli scopi personali e non alle
condizioni-stimolo esterne (ad esempio: porre attenzione alla guida
per seguire delle indicazioni in una città non conosciuta).
Questi processi assolvono alla funzione di assicurare il
massimo di flessibilità al comportamento, che altrimenti sarebbe
limitato ad attività stereotipate e permettono di interrompere e
correggere sequenze di azioni già avviate (Job, 1998).
Le aree cerebrali implicate nell'organizzazione delle funzioni esecutive
sono rappresentate dalla corteccia prefrontale e ai nuclei della
base,regioni ricche di neuroni dopaminergici e noradrenergici il cui
metabolismo e funzionamento risultano alterati in bambini affetti da
autismo.
Come afferma la Ozonoff (1995), alcuni aspetti dell'autismo ricordano
35
i deficit della funzione esecutiva che seguono un danno frontale.
Il comportamento delle persone autistiche, infatti, appare spesso
rigido ed inflessibile; molti bambini autistici sono angosciati ad ogni
modificazione dell'ambiente e insistono a seguire la loro routine in
maniera ossessiva (Turner, 1998), tendono a concentrare l'attenzione
su aspetti minimali e a dar vita a comportamenti stereotipati, possono
essere impulsivi e avere difficoltà a ritardare o inibire le risposte.
Alcuni individui autistici possiedono ampia memoria meccanica, ma
non accennano ad utilizzare in maniera funzionale questa capacità.
Sembrano esistere, quindi, una serie di analogie a livello
comportamentale fra deficit prefrontali e autismo.
Questo deficit inoltre può essere responsabile:
- dell'impulsività (dovuta all'incapacità di inibire le risposte
inappropriate);
- dell'ipersensibilità (per l'incapacità di cogliere il tutto senza rimanere
ancorato al particolare);
- della perseverazione ( per l'incapacità di ridirezionare flessibilmente
l'attenzione).
Anche tale modello, così come quello della Coerenza Centrale,
individua nell’Autismo un deficit cognitivo di natura “generale” e non
limitato all’elaborazione degli stimoli sociali (come ipotizzato, viceversa,
dal Deficit della Teoria della Mente).
36
CAPITOLO 3
Valutazione diagnostica
Nei cinquant'anni che sono trascorsi da quando l'autismo è stato
riconosciuto per la prima volta, la patologia ha continuato ad essere
diagnosticata con troppo ritardo.
Durante gli anni ottanta era comune che l'autismo passasse
inosservato fino al momento in cui il bambino raggiungeva l'età
scolare in quanto, sia i genitori che il medico spiegavano i tipici
sintomi come una fase di passaggio o un lieve segno di ritardo nello
sviluppo.
Attualmente grazie ad un’accurata anamnesi familiare e
personale, all' osservazione clinica e all’utilizzo di strumenti di
valutazione standardizzati è possibile diagnosticare l'autismo a
partire dal terzo anno d' età,quando iniziano a manifestarsi i
primi tipici sintomi della patologia.
I bambini con un possibile disturbo dello spettro autistico, dovrebbero
essere valutati da un team di professionisti con esperienza nella
diagnosi dei disturbi pervasivi dello sviluppo,in quanto fondamentale
è una diagnosi precoce che permette un immediato intervento
terapeutico,capace di determinare dei miglioramenti nello sviluppo e
sintomatologia del disturbo.
Una diagnosi precoce che potrà essere ottenuta osservando il
comportamento del bambino e rilevando uno sguardo assente nel
lattante,lo scarso interesse per gli altri,l'assenza di sorriso e angoscia
davanti agli estranei,l'assenza di pianto quando la madre si allontana
e il rifiuto verso il contatto fisico.
Anche l'asimmetria posturale nello sviluppo predeambulatorio
( giacere, raddrizzarsi, sedere, camminare a carponi, stare in piedi e
camminare) è considerata un indicatore precoce dei disturbi dello
spettro autistico.
Il comportamento sociale del bambino, è organizzato secondo schemi
geneticamente predeterminati che hanno l'obiettivo di inviare segnali
37
alla madre come nel caso del pianto,primo segnale comunicativo fin
dai primissimi momenti di vita.
Nei bambini autistici però è possibile rilevare un pianto anomalo che
comporta la difficile comprensione da parte dell'adulto con
conseguenti sentimenti di disagio e risposte inappropriate (Esposito e
Venuti,2009).
Infatti sono state riscontrate delle compromissioni nelle aree coinvolte
nella modulazione del pianto ovvero nella zona del tronco encefalico e
del sistema limbico.
Prendendo spunto dal DSM IV ,per delineare il profilo diagnostico
dell'autismo,è necessario rilevare:
- un esordio della sintomatologia entro i trenta mesi di età;
- una carenza globale di reattività nei confronti di altre persone;
- un deficit grossolani nello sviluppo del linguaggio ;
- la presenza di forme espressive verbali caratterizzate da ecolalie,
stereotipie, inversioni di pronomi, enunciati incomprensibili;
- la presenza di reazioni bizzarre a vari aspetti dell'ambiente, come ad
esempio resistenza ai cambiamenti, interesse particolare o inusuale
attaccamento per oggetti prevalentemente inanimati;
- Aggressività verso se stessi o verso gli altri (non nella totalità dei
casi) ;
- Il mancato o inadeguato raggiungimento di altre abilità non verbali,
quali le autonomie, i comportamenti sociali, le capacità di
adattamento.
3.1 Strumenti diagnostici nell'autismo
La diagnosi di Autismo è basata su criteri esclusivamente
comportamentali,ciò comporta la necessità di adottare procedure
diagnostiche altamente standardizzate, integrate da strumenti di
valutazione validati a livello internazionale, quali l'Autism Diagnostic
Interview – Revised (ADI-R), l’ Autism Diagnostic Observation
Schedule (ADOS), la Childhood Autism Rating Scale (CARS) ,
L'Autism Behavior Checklist (ABC) e il Gillian Autism Rating Scale
(GARS).
ADI-R Autism Diagnostic Interview – Revised
(Lord et al., 1994)
38
E' un'intervista semi-strutturata rivolta ai genitori, che indaga sulla
relazione sociale,sulla comunicazione e sui comportamenti rituali e
stereotipati.
Rappresenta un modo standardizzato e sistematico di usare le
descrizioni del comportamento fatte dal genitore,per determinare il
processo di sviluppo e le caratteristiche comportamentali che
soddisfano i criteri diagnosti per l'autismo.
E' uno strumento composto da novantatre item,la cui
somministrazione richiede un tempo compreso tra i novanta minuti e
un'ora e trenta minuti circa,oltre a training specifici e successive
procedure di convalida.
Ha la capacità di differenziare i soggetti con autismo da quelli con
deficit mentale,sia bambini che adulti,con il limite che al di sotto di
un'età mentale di diciotto - ventiquattro mesi perde specificità e
attendibilità.
ADOS Autism Diagnostic Observation Schedule
(Lord et al., 2000)
E' uno strumento osservativo semi-strutturato,complementare
all'intervista semi-strutturata per i genitori (ADI-R), molto utilizzato
per la diagnosi dell'autismo.
Si tratta di un test la cui somministrazione richiede dai trenta ai
quarantacinque minuti,oltre alle successive procedure di convalida,a
partire dai due anni d'età (anche in soggetti non verbali) fino all'età
adulta.
E' utilizzato per la valutazione della comunicazione,della reciprocità
sociale,del gioco simbolico e dei comportamenti stereotipati.
L'ADOS permette di valutare il comportamento del soggetto in
risposta a specifici stimoli ed attività,per la rilevazione delle
informazioni sociali e comunicative.
Tutte queste situazioni sono organizzate,al fine di attivare una serie di
comportamenti,ai quali in seguito ad un accurata codifica,sarà
attribuito un punteggio da parte dell'osservatore.
CARS Childhood Autism Rating Scale
(Schopler et al., 1988)
Si tratta di una scala valutativa del comportamento autistico che
prevede una somministrazione di circa trenta minuti a partire dai due
39
anni d'età.
E' uno strumento che permette di esplorare e valutare quindici aree di
sviluppo quali:
- relazioni interpersonali;
- l'imitazione;
- l'affettività;
- l'utilizzo del corpo;
- il gioco e l'uso degli oggetti;
- il livello di adattamento;
- la responsività agli stimoli visivi;
- la responsività agli stimoli uditivi;
- le modalità sensoriali;
- le reazioni d'ansia;
- la comunicazione verbale;
- la comunicazione extra-verbale;
- il livello delle attività;
- il funzionamento cognitivo;
- le impressioni generali dell'esaminatore.
A ciascun'area viene attribuito un punteggio da 1 a 4 ( 1= normalità;
2= lievemente anormale; 3= moderatamente anormale; 4= gravemente
anormale).
La somma può variare tra i 15 e i 60 punti ed esprimere la gravità del
disturbo; se il punteggio è superiore ai 31 è possibile rilevare la
presenza di una situazione autistica nei bambini mentre negli
adolescenti è necessario raggiungere i 27 punti.
GARS Gillian Autism Rating Scale
40
(Gilliam,1995)
E' una checklist rivolta ai genitori,agli insegnanti e ai professionisti
per identificare la severità dei sintomi autistici nei soggetti con età
compresa tra i tre e i ventidue anni.
E' uno strumento suddiviso in quattro sottogruppi:
- comportamenti stereotipati;
- comunicazione;
- interazione sociale;
- sottotest opzionale che descrive lo sviluppo durante i primi 3 anni di
vita.
ABC L'Autism Behavior Checklist
(Krug,Arid,Almond,1980)
E' una scala valutativa composta da cinquantasette
domande,ciascuna delle quali si riferisce ad un particolare
comportamento, suddivise in cinque categorie:
- linguaggio;
- socializzazione;
- uso degli oggetti;
- sensorialità;
- autonomia.
Viene utilizzato a partire dai diciotto mesi per la valutazione degli
effetti dovuti all'intervento terapeutico durante le visite periodiche
piuttosto che come strumento diagnostico.
3.2 Test specifici per indagare lo sviluppo della
Teoria della Mente
Per indagare sullo sviluppo della teoria della mente è possibile
utilizzare specifici test,come suggerito da Baron-Cohen.
41
Il test della distinzione delle prestazioni psicofisiche, permette di
rilevare la capacità del bambino nel distinguere le entità mentali da
quelle fisiche.
Questo metodo consiste nel raccontare una storia in cui un
personaggio ha un esperienza mentale (ad esempio il pensiero di avere
un determinato oggetto), mentre l'altro ha un'esperienza fisica e
reale( ad esempio il possesso effettivo dell'oggetto).
Dopo ogni storia viene chiesto al soggetto di giudicare quale
personaggio, secondo lui,ha la possibilità di produrre un azione
sull'oggetto in esame (ad esempio toccarlo).
La maggior parte dei bambini normodotati di tre - quattro anni
risponde correttamente al test,indicando che è il personaggio che
possiede l'oggetto quello che lo può toccare,a differenza dei bambini
autistici che non sono in grado di distinguere le entità mentali da
quelle fisiche (Baraon-Cohen, 1989).
Normalmente i bambini di quattro anni superano con facilità anche il
test della distinzione dell'apparenza-realtà.
A tal proposito Flavell,Green e Flavell(1986) hanno dimostrato che,
quando vengono loro presentati oggetti dall'apparenza ingannevole
( come una spugna dipinta in maniera tale da sembrare un sasso), i
bambini erano in grado di dire non solo a cosa somigliasse ma anche
che cosa fosse in realtà.
Per far questo è necessario cogliere il significato di entrambi gli oggetti
e rappresentare mentalmente sia l'oggetto per come è effettivamente e
per quello che appare.
E' stato così possibile dimostrare che i bambini normodotati, rispetto
a quelli autistici possiedono la capacità di distinguere tra la loro
credenza iniziale e la loro conoscenza attuale dell'oggetto (BaronCohen,1898).
Una difficoltà incontrata anche nel superamento delle prove di
comprensione delle metafore,del sarcasmo,delle battute e
dell'ironia.
Queste prove richiedono un livello metacognitivo più alto che viene
normalmente acquisito intorno agli otto anni, che non si sviluppa
neanche nei bambini autistici ad "alto funzionamento".
Se lo sperimentatore definisce una tazza con il termine scarpa,il
bambino normodotato ne riconosce l'ironia, comprendendo
42
l'intenzione di scherzare dell'adulto,a differenza dei bambini autistici
che dichiarano solo lo sbaglio commesso,senza comprenderne l'ironia
e il sarcasmo.
Un ulteriore aspetto che caratterizza la teoria della mente è la
capacità di applicare al mondo delle emozioni la comprensione delle
credenze.
I bambini normodotati hanno la capacità di riconoscere sia le
emozioni primarie ( come la gioia e la tristezza) che quelle
secondarie( come la vergogna e sorpresa),a differenza degli autistici
che non hanno la capacità di interpretare e comprendere quest'ultime
in quanto basate su credenze (Baron-Cohen,Spitz e Cross 1993).
Nella prova di comprensione delle cause delle emozioni è
importante tener presente che le emozioni possono essere
determinate sia da eventi fisici che da stati mentali,come credenze e
desideri.
Baron-Cohen (1991) attraverso i suoi esperimenti ha scoperto che
anche i bambini autistici sono consapevoli,del fatto che le emozioni
possono essere causate da situazioni,manifestando però una
significativa inferiorità rispetto ai bambini normodotati, nel prevedere
le emozioni del personaggio qual'ora sono basate su una sua credenza.
Il test per la comprensione delle funzioni della mente è stato
originariamente ideato da Wellman ed Estes per capire come il
bambino concepisce le funzioni mentali .
Una volta chiesto ai bambini a cosa serve il cervello,in risposta molti
fanno riferimento ad una serie di funzioni mentali come il sognare,il
pensare e al suo ruolo nel comportamento.
I bambini autistici pur conoscendo la collocazione del cervello e le
sue funzioni fisiche non sono in grado di menzionare le sue
funzionalità mentali (Baron-Cohen,1989).
Il test sulla falsa credenza ha finito per rappresentare lo strumento
per verificare la presenza della capacità di mentalizzazione.
Si parla di test sulla falsa credenza di primo ordine qual'ora il
soggetto è chiamato ad inferire solo sugli stati mentali altrui,a
differenza da quello di secondo ordine in cui il bambino è chiamato a
comprendere delle credenze sulle credenze(ad esempio cosa Marco
pensa che Maria pensi).
Nella sua versione più classica, il test sulla falsa credenza consiste nel
43
presentare al bambino una scenetta con due personaggi in cui il
primo( Maxi) mette l’oggetto che tiene in mano (ad esempio un
dolcetto) in un determinato posto prima di uscire dalla stanza.
In sua assenza, il secondo personaggio sposta l’oggetto da un cassetto
della scrivania (dove era stato riposto da Maxi) a un’anta dell’armadio.
A questo punto, Maxi rientra con l’intenzione di riprendere il dolcetto
nascosto in precedenza mentre lo sperimentatore chiede al bambino
dove Maxi andrà a cercarlo.
La risposta corretta, ovvero che lo cercherà là dove crede che sia (e
cioè nel cassetto della scrivania), equivale al riconoscimento della
falsa credenza.
Questa risposta viene fornita dalla totalità dei bambini normodotati
solo a partire dai quattro - cinque anni ( Wellman, Cross e Watson,
2001).
L'obiettivo del test è quello di rilevare la capacità di prevedere il
comportamento di un altro individuo se fondato su una credenza che
il bambino sa essere falsa nella realtà dei fatti, proiettando la sua
opinione della realtà sull'altro soggetto.
Il bambino sottoposto al test considera questo comportamento come
uno stato mentale intenzionale dell'altra persona, che coincide con la
falsa credenza che esiste solo nella mente dell'altro e non in quella del
bambino,che è in grado di distinguerla ed attribuirla al prossimo.
Pertanto è possibile definire che verso i quattro anni i bambini
normodotati distinguono chiaramente lo stato reale delle cose dalla
credenza di un'altra persona, con la capacità di predire il loro
comportamento in funzione della sua rappresentazione mentale.
I bambini autistici non possiedono ne la capacità di dissociare la
propria rappresentazione da quella altrui,ne di comprendere che
l'altro si rappresenta la realtà in funzione delle conoscenze a questi
disponibili.
Solo pochi bambini autistici sono in grado di superare questi test in
quanto sviluppano la capacità di comprendere le credenze,una
competenza che emerge intorno ai sei anni d'età,quindi più tardi
rispetto ai bambini normodotati nei quali si manifesta a partire dai
quattro anni.
Quest'ultimi pur capaci di superare correttamente i test di primo
ordine non sono in grado di superare quelli di secondo ordine,più
44
difficili e complessi ( Happè,1994).
Alcuni autistici ad alto funzionamento o con sindrome di Asperger
possono superare i test di falsa credenza di secondo ordine durante
l'adolescenza,riscontrando delle difficoltà nei test più avanzati di
Teoria della Mente come quelli che implicano la deduzione
dell'inganno (Happè,1994)o la decodifica di stati mentali derivati
dall'espressione compiuta dalla fascia degli occhi (Baron-Cohen,2001).
Il meccanismo della falsa credenza è anche alla base della
comprensione dell'inganno.
Altre prove che dimostrano il deficit a carico della Teoria della Mente
nei bambini autistici provengono da uno studio naturalistico
sull'inganno nell'autismo, nel quale viene chiesto al bambino di
nascondere una monetina nella mano (Baron-Cohen,1992).
Attraverso vari tentativi pur riuscendo a tenere lontano l'oggetto dal
campo visivo non riescono a nascondere i segnali visibili,che
permettono alla persona chiamata ad indovinare di inferire
su dove si trova la moneta.
Per esempio omettono di chiudere la mano,nascondono la moneta
sotto gli occhi della persona che deve indovinare oppure suggerendo
dove è stata nascosta.
I bambini normodotati o affetti da handicap mentali (ma non da
autismo)compiono meno errori di questo tipo,completando
correttamente il test.
Infatti i bambini autistici dimostrano grosse difficoltà nelle prove
d'inganno che possono comprendere sia una comprensione che una
produzione (Baron-Cohen,2000).
Nella prova di riconoscimento di parole che riguardano i stati
mentali,il bambino autistico incontra molte difficoltà nell'individuare
e nel riconoscere le parole (come pensare,sognare) relative a stati
mentali propri e altrui (Baron-Cohen,1994).
Questo è dovuto sia da un deficit della teoria della mente ma anche
dal carente possesso del lessico psicologico,determinante della
mancata e limitata presenza di parole legate a stati mentali,nelle
conversazioni spontanee,nelle descrizioni e nelle storie.
Nella prova per testare la capacità di dedurre cosa l'altro desidera
tramite la direzione dello sguardo, i bambini con normale sviluppo
a partire dai quattro anni, sono in grado di capire ciò che la persona
45
sta pensando, attraverso la direzione degli occhi (Baldwin,1991 e
Bruner,1983).
Gli occhi rappresentano una vera e propria modalità comunicativa,il
bambino per indicare un oggetto alterna il suo sguardo tra l'oggetto in
esame e il volto dell'adulto, finché quest'ultimo guarda nella stessa
direzione.
Il bambino,con questo, non intende solo influenzare il comportamento
dell'altro ma anche di influenzare lo stato interno altrui ,come il
provare interesse per qualcosa o il condividere un'esperienza
(Camaglioni,1998).
I bambini normodotati utilizzano la direzione dello sguardo sia per
raggiungere un determinato scopo e come attribuzione di intenzione
(cioè la rappresentazione dell'altro come individuo che ha intenzioni e
comprende quelle altrui), un comportamento che non si sviluppa nei
bambini autistici.
Il deficit relativo all'intenzionalità è possibile rilevarlo tramite le prove
di comprensione delle intenzioni. Se al bambino dopo aver chiesto
di sparare, con una pistola giocattolo, ad uno dei bersagli presenti e
di dichiarare la destinazione, i bambini normodotati rispondono
correttamente, indicando il bersaglio che avevano intenzione di colpire.
I bambini autistici invece,non comprendendo le proprie intenzioni
rispondono in riferimento al risultato effettivo,commettendo errori nel
test.
Nei bambini autistici che hanno acquisito il linguaggio sembra essere
presente un inadeguato sviluppo della fonologia,della sintassi,della
semantica e della pragmatica (Tager-Flusberg,1981-1989).
La pragmatica si riferisce alla capacità di definire le relazioni tra il
linguaggio e chi lo usa,in rapporto agli scopi,ai bisogni,ai ruoli e alle
intenzioni di chi parla oltre che al contesto.
La pragmatica non verbale si riferisce alla produzione ed
interpretazione delle espressioni facciali, dei gesti e delle posture
assunte durante la relazione con l'altro.
Infatti i bambini autistici non guardano negli occhi la persona con cui
stanno parlando,non usano gesti,espressioni e non condividono le
loro emozioni con l'altro.
Similmente è presente un deficit nella pragmatica verbale,per questo
non hanno iniziativa comunicativa spontanee,non sono in grado di
46
sostenere una conversazione e di utilizzare regole conversazionali
come il rispetto dei turni e dell'argomento centrale della conversazione
(Grice,1975).
Inoltre,attraverso le prove di pragmatica è emerso che i bambini
autistici non sono in grado di adattare il discorso al proprio
interlocutore,di adeguare il contenuto del proprio discorso in base a
ciò che l'interlocutore sa o ha bisogno di sapere.
Infine il test dell'immaginazione è rilevante per la teoria della
mente,in quanto consente di costruire un mondo irreale unicamente
esistente nella propria mente e nell'essere in grado di rifletterci.
Questa capacità appare assente in caso di autismo,anche a causa dei
deficit delle funzioni esecutive, che sopprimono gli approcci
tradizionali al disegno.
Se al bambino viene chiesto di disegnare oggetti irreali o impossibili,
proprio per l'incapacità di immaginazione e rappresentazione mentale,
risultano riluttanti e incapaci davanti a determinate richieste
(Baron-Cohen,2001).
Il THOMAS (Theory of Mind Assessment Scale) è uno strumento
diagnostico che valuta direttamente e in modo esplicito,la capacità di
teorizzare sulla mente propria e su quella altrui.
Si tratta di un'intervista semi-strutturata applicata in un colloquio tra
intervistatore ed intervistato,dove quest'ultimo è chiamato ad
esprimere direttamente la propria conoscenza sui propri stati mentali
e su quelli degli altri.
E' un'intervista composta da varie domande aperte,che lasciano la
possibilità all'intervistato di esprimere il proprio pensiero e qual'ora
ciò non avviene,all'intervistatore spetta di motivarlo e stimolarlo nella
risposta anche attraverso esempi reali e di vita quotidiana.
Le domande sono organizzate in quattro scale:
-Scala A,Io-Me relativa alla conoscenza che il soggetto intervistato ha
dei propri stati mentali, (ad esempio, «Sono infelice>>);
-Scala B, Altro-Sé relativa alla conoscenza che le altre persone hanno
dei propri stati mentali (ad esempio «Le altre persone sanno quello che
vogliono»);
-Scala C, Io-Altro relativa alla conoscenza che, dal punto di vista del
soggetto, le altre persone hanno degli stati mentali del soggetto stesso
(ad esempio, «Gli altri pensano che io sia un inetto»);
47
-Scala D, Altro-Me relativa alla conoscenza che il soggetto ha degli
stati mentali degli altri (ad esempio, «Credo che le altre persone
ottengano quello che vogliono»).
Ognuna delle seguenti scale esplora la consapevolezza,la relazione e
realizzazione degli stati mentali.
La consapevolezza è la capacità che il soggetto ha di percepire e
differenziare in sé e negli altri credenze, desideri ed emozioni e
riconoscere i differenti stati mentali, per poter comprendere le
relazioni causali che li legano l’uno all’altro e al mondo esterno.
La relazione è la capacità di cogliere le relazioni causali
tra i diversi stati mentali e i comportamenti che ne discendono e la
realizzazione è l’effettiva capacità di mettere in atto strategie per
raggiungere gli obiettivi desiderati.
Una volta terminata l'intervista,per ogni risposta viene attribuito un
punteggio da 0 a 4,punteggi che vengono inseriti in una griglia di
siglatura pronta per essere esaminata.
Tutte le informazioni aggiuntive,come le altre eventualmente
estrapolabili dall’analisi della griglia, vanno ad integrare e arricchire
in modo rilevante il profilo del soggetto intervistato.
48
CAPITOLO 4
Trattamento
4.1 Strategie di intervento
Come è stato illustrato nei precedenti capitoli,l'autismo è una
sindrome comportamentale,caratterizzata dalla compromissione di
tutte le aree di sviluppo del soggetto che ne è affetto.
Pertanto per un appropriato progetto terapeutico sono necessari una
serie di interventi finalizzati al miglioramento dell'interazione
sociale,della comunicazione,all'ampliamento degli interessi e ad una
maggior flessibilità degli schemi comportamentali e d'azione.
L'ABA (Applied Behaviour Analysis): è un metodo comportamentale
utilizzato per interpretare e modificare il comportamento ,per sfruttare
la formazione di riflessi condizionati e per stimolare l'acquisizione di
nuove competenze.
L'efficacia dell'ABA è riconosciuta fin dagli anni '60 (Baer, Wolfe
e Risley,1968) ma solo a partire dagli anni '80 è stata dimostrata
la sua efficacia negli interventi comportamentali, per il trattamento
terapeutico di varie patologie come nel caso dell'autismo (Lovaas).
Questo metodo consente ai bambini di ottenere significativi
miglioramenti nelle abilità cognitive,nello sviluppo del linguaggio,nelle
abilità scolastiche e in quelle adattive,con il vantaggio di mantenerle
nel tempo (Mceachin,Smith e Lovaas,1993).
Prima di tutto,per ottenere questo,è necessario considerare la
problematicità del comportamento in esame, attraverso l'osservazione
diretta del bambino nei vari contesti di vita quotidiana (a partire
dall'ambiente familiare e da quello scolastico), mediante la quale è
possibile identificare la frequenza,la durata e l'intensità del
comportamento.
49
Per poter definire l'obiettivo da dover raggiungere grazie all'intervento
comportamentale, l'ABA analizza oltre al comportamento altri tre
elementi :Gli antecedenti,le conseguenze e il contesto.
Fondamentale per la correzione del comportamento è l'istruzione
diretta e l'insegnamento incidentale,metodi affiancati dall'utilizzo del
rinforzo e delle altre tecniche comportamentali come la sollecitazione
(prompting), la riduzione delle sollecitazioni (fading), il modellamento
(modelling) e l'adattamento (shaping).
Secondo l'approccio comportamentale l'ambiente è lo spazio fisico in
cui realizzare i programmi di intervento,a differenza degli approcci
evolutivi o interattivi,secondo i quali assume una valenza terapeutica
perché luogo di interazione,scambio e conoscenza.
Tra questi approcci troviamo il Denver Model at the University of
Colorado (Rogers,2000),utilizzato nel contesto familiare e scolastico
per favorire l'iniziativa, la motivazione e la partecipazione del
bambino nelle interazioni sociali e il Developmental Intervention
Model (Greenspan et al., 1999) il cui obiettivo è quello di
incrementare sia le competenze comunicative che simboliche del
bambino affinché stabilisca maggiori relazioni sociali ed espanda i
propri stati emotivi all'altro.
Il programma educativo TEACCH (Treatment and Education of
Autistic and related Communication Handicapped Children) è stato
elaborato da Schopler agli inizi degli anni '80, con l'obiettivo di
favorire e promuovere le autonomie del bambino oltre al
miglioramento delle sue qualità di vita personali,sociali e lavorative.
Attualmente è utilizzato per applicate un insieme di attività
educative,sia individuali che contestuali,rivolte ai bambini con
disturbi pervasivi dello sviluppo o con disturbi comunicativi.
La messa in atto di queste attività si basa su quattro criteri :
-Modello di interazione: Secondo questo criterio i bisogni del bambino
e il suo potenziale di apprendimento,si possono rilevare nel contesto
di interazione tra il bambino e l'ambiente esterno;
-Prospettive di sviluppo: E' necessario tenere in considerazione lo
sviluppo globale delle diverse aree,al fine di definire un intervento
riabilitativo appropriato ed individualizzato;
-Relativismo comportamentale: Il bambino presenta delle difficoltà nel
generalizzare una risposta comportamentale ad ambiti diversi da
50
quelli in cui è stata appresa;
-Gerarchia di addestramento: Gli obiettivi dell'intervento educativo
sono mirati alla modifica del comportamento e al superamento delle
problematiche che incidono sull'adattamento all'ambiente.
La valutazione ,del programma TEACCH avviene mediante tre diverse
modalità;la prima utilizza test intellettivi e scala standardizzate per
valutare lo sviluppo del bambino;la seconda osserva i vari
comportamenti e la terza è finalizzata alla raccolta delle informazioni
emerse dal colloquio con i genitori, ovvero all'anamnesi personale e
familiare del bambino. Si tratta di un programma educativo
individualizzato che tiene in considerazione sia delle priorità della
famiglia che delle predisposizioni del bambino, in modo tale da
aumentare la motivazione e rendere l’apprendimento più gradevole
possibile.
Infine tra gli interventi terapeutici rivolti al bambino autistico viene
incluso quello psicoterapeutico che si rifà alle tecniche di
gioco,introdotte da Melanie Klein nel 1922,le terapie di
psicomotricità,logopedia e farmacologia per il trattamento delle
manifestazioni associate in comorbidità.
4.2 Training metacognitivo di Howlin,
Baron-Cohen e Hadwin
Come affermato nei capitoli precedenti,i bambini autistici presentano
un deficit alla Teoria della Mente,considerato alla base delle
compromissioni comportamentali tipiche dell'autismo.
Per questo è necessario elaborare trattamenti,per promuovere le
abilità mancanti o limitate nei bambini che ne sono affetti.
Un programma assai efficiente è stato elaborato da Howlin,
Baron-Cohen e Hadwin nel 1999, rivolto all'insegnamento di strategie
per il riconoscimento degli stati mentali,all'individualizzazione delle
conseguenze comportamentali prodotte da tali contenuti e per il
miglioramento delle abilità sociali e comunicative.
E' un intervento che prevede l'insegnamento di tre aree:
- l'area delle emozioni;
51
- il sistema delle credenze e delle false credenze;
- il gioco simbolico.
A) Insegnare a riconoscere le emozioni:
Il primo obiettivo è quello di promuovere il riconoscimento delle
emozioni su di sè e sugli altri da parte dei bambini autistici.
Le proposte elaborate si organizzano in cinque livelli:
-Il riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografie:
l'educatore mostra al bambino delle foto in cui sono raffigurati volti
umani,ciascuno dei quali assume particolari espressioni facciali
rispetto a ciò che il personaggio sta provando.
Il bambino è invitato a riconoscere e distinguere le varie emozioni
raffigurate (rabbia,paura,tristezza e felicità) inizialmente con l'aiuto
dell'educatore,fino a compiti più complessi qual'ora in grado di
superare correttamente il test.
-Riconoscimento delle emozioni in disegni schematici:
In questo caso ,al bambino non vengono mostrate delle foto bensì dei
disegni quando invitato a riconoscere e distinguere le emozioni
espresse dai volti raffigurati.
-Identificazione delle emozioni causate da situazioni:
L'obiettivo è quello di educare il bambino al riconoscimento delle
emozioni come conseguenza di particolari situazioni di vita quotidiana.
- Identificazione delle emozioni causate dal desiderio:
A questo livello il bambino viene educato a riconoscere le
emozioni,determinate dal raggiungimento o meno di quanto
desiderato.
- Identificazione delle emozioni causate d opinioni:
Questo è il livello più elevato per il riconoscimento delle emozioni.
Il bambino è impegnato a riconoscere stati emotivi contrapposti
(tristezza e felicità),che si manifestano nei personaggi illustrati,in base
a ciò che pensano.
52
B)Insegnamento a discriminare le false credenze:
Anche in questo caso,l'intervento è organizzato in cinque livelli:
-Capacità di comprendere cosa vedono le altre persone
(prospettiva visiva semplice):
A questo livello si vuole dimostrare come le persone vedono cose
diverse in base alla loro posizione d'osservazione.
Esempio: L'educatore mette un cartoncino con la figura di un elefante
sul pavimento tra sè e il bambino,in modo che uno dei due veda la
figura dritta e l'altro alla rovescia.
Vengono quindi poste le domande sulla propria percezione:"Quando
guardi la figura dell'elefante è dritta o al rovescio?" e sulla percezione
altrui:"Quando la guardo io,la vedo dritta o al rovescio?"
-Capacità di comprendere come la realtà percepita appare alle
altre persone(prospettiva visiva complessa):
Ci si focalizza su come gli oggetti possono apparire se osservati da
diverse prospettive.
A differenza del livello precedente,viene utilizzata un'unica
raffigurazione,osservata dal bambino da diverse posizioni.
-Capacità di comprendere il principio "vedere porta a sapere":
Secondo questo principio per conoscere qualcosa o qualcuno è
necessaria l'osservazione e la sperimentazione diretta o indiretta,che
avviene mediante una valutazione su di sè e una sugli altri.
-Capacità di comprendere le false credenze:
Questo livello ha l'obiettivo di educare i bambini a comprendere le
credenze degli altri non corrispondenti alla realtà.
Il programma si articola su due esercitazioni;la prima prevede lo
spostamento inaspettato di oggetti come avviene nel paradigma di
Sally e Anne (Baron-Cohen,1988) e la seconda sui contenuti
inaspettati. In quest'ultimo esperimento,ad un personaggio viene
chiesto di indicare cosa si trova all'interno del tubo di Smarties,dal
quale una volta aperto fuoriesce una matita. Successivamente viene
richiuso e chiesto al bambino di prevedere la risposta di un soggetto
che non era presente all'apertura del tubo,rispetto al suo contenuto.
L'obiettivo è quello di educare il bambino autistico al principio
53
secondo cui;se le persone non sanno che le cose sono
cambiate,pensano che siano rimaste le stesse.
C) Il gioco simbolico:
Anche quest'ultima fase del programma di Howlin et al. (1999)
si articola su cinque livelli:
Il gioco sensomotorio, il gioco funzionale emergente, il gioco
funzionale acquisito,il gioco del far finta emergente e distinzione tra
realtà e finzione ed infine il gioco di finzione acquisito.
Attraverso il gioco sensomotorio il bambino normodotato,esplora le
caratteristiche fisiche dell'oggetto mentre il bambino autistico si limita
a manipolare gli oggetti,a sbatterli a terra,a tirarli in aria e a metterli
in bocca.
Questo livello comprende tutte quelle attività ripetitive ed ossessive
come l'allineamento degli oggetti e la loro suddivisione per forma e /o
colore.
Nel gioco funzionale invece il bambino organizza il gioco,sostituendo
degli oggetti simili tra loro,nella tipologia e nella funzionalità.
In questo caso il gioco non può essere considerato di finzione in
quanto il bambino non fa riferimento a capacità simboliche e non
percepisce l'oggetto come reale se più piccolo (Leslie,1987).
Attraverso il gioco di finzione, il bambino trasforma mentalmente un
oggetto in un altro,con la consapevolezza che esiste differenza tra la
vera identità dell'oggetto e quella di finzione(capacità acquisita a
partire dal secondo anno di vita).
Nei bambini autistici si riscontra l'assenza di tale gioco che invece
risulta limitato e caratterizzato da stereotipie.
A tal proposito Howlin,Baron-Cohenn e Hadwin(1999) propongono
due aspetti essenziali nel gioco di finzione:
1)La sostituzione degli oggetti con altri che non hanno le stesse
funzionalità;
2)L'azione fittizia.
Il training metacognitivo elaborato da Howlin,Baron-Cohen e Hadwin
(1999) è stato realizzato in formato CD-ROM (Pinelli e Santelli,2005).
Il trattamento è presentato sotto forma di cartone animato ed è
formato da otto test e training per valutare le competenze cognitive ed
54
emotive dei bambini che presentano deficit nella sfera relazionale.
I bambini seguendo le vicende di due fratellini (Lillo e Lilla),con l'aiuto
del cagnolino Pepe, sono stimolati al riconoscimento delle emozioni e
alle comprensione degli stati mentali dei due personaggi.
Le vicende illustrate sono organizzate per livelli,che ripercorrono tutti
i punti delineati dalla programmazione metacognitiva elaborata da
Howlin et al.(1999).
Il vantaggio del training in formato virtuale è quello di poter
continuare l'intervento riabilitativo anche a casa da parte dei genitori
oltre che nei centri specializzati e presso le scuole dalle figure
professionali che se ne occupano.
L'estensione del trattamento promuove sia il consolidamento che il
mantenimento delle abilità acquisite nel tempo,con il fine di
migliorare le qualità di vita di bambini con deficit cognitivi,relazionali
e sociali.
55
CONCLUSIONE
In conclusione è possibile definire che il marcato deficit della Teoria
della Mente può essere considerato come una delle cause
determinanti dell'autismo,come suggerito dall'ipotesi patogenetica.
La compromissione del meccanismo TOMM (Theory of Mind )è
responsabile di molteplici incapacità presenti nel bambino
autistico,prima fra tutte quella di attribuire stati mentali a se stesso e
agli altri oltre alla mancata abilità di interpretare,comprendere e
prevedere il comportamento altrui.
Il bambino in questo caso non è in grado di formulare ipotesi sugli
stati mentali, attribuendo un significato alla comunicazione verbale e
non verbale e di persuadere l'altro,al fine di modificare le proprie
opinioni e credenze sulla realtà.
La possibilità di distorcere la realtà richiede un processo cognitivo
complesso, in quanto da un lato l'influenzamento delle credenze
determinerà una falsa convinzione e dall'altro la capacità di
comprendere che l'ingannato agirà come se la convinzione falsa fosse
vera (Sodian e Frith,1992).
L'incapacità di fingere e soprattutto di distinguere la realtà dalla
finzione è un aspetto tipico della sindrome autistica,che può essere
ricondotta alla mancata acquisizione del concetto di falsa
credenza,solitamente appreso intorno al quarto anno d'età.
Importante non sarà solo la comprensione degli stati mentali altrui
ma anche la capacità del bambino di comprendere i propri stati
mentali e comportamenti.
Non appena il bambino riesce ad attribuire stati mentali a se stesso
può cominciare a riflettere sulla sua stessa mente con la capacità di
distinguere l’apparenza dalla realtà e a riconoscere la fallibilità delle
56
sue opinioni,le cause del suo comportamento, la fonte della sua
conoscenza e la capacità di esaminare nella sua mente le possibili
soluzioni ai suoi problemi prima ancora di agire.
Ovviamente questa capacità non sarà acquisita dal bambino autistico
in quanto non è in grado di accedere ad una teoria della mente,
rimanendo in una situazione di cecità mentale (Baron-Cohen,1995).
Quando parliamo di cecità mentale,facciamo riferimento ad una
condizione in cui non si è in grado di produrre spiegazioni o ipotizzare
motivazioni riguardo al comportamento e alle azioni altrui.
Questa diviene una condizione di grande svantaggio nei bambini
autistici quando nell'interazione sociale devono prevedere il
comportamento delle altre persone e riconoscere le intenzioni
comunicative,capacità che in bambini normodotati permettono in
modo veloce e accurato di attribuire gli stati mentali all'interlocutore.
Infine questa condizione limita nell'autistico, la reciprocità sociale e la
capacità empatica.
L'empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri interpretando
e condividendo le emozioni altrui, capacità alla base della Teoria della
Mente.
I bambini di tre anni sono in grado di capire lo stato emozionale
provocato da situazioni esterne su una persona mentre a cinque anni
comprendono le emozioni dell'altro basandosi su ciò che essi pensano
stia per accaderle.
Naturalmente questo sviluppo non avviene nei bambini autistici che
per questo non hanno la possibilità di accedere al significato emotivo
condiviso, che in condizioni di normalità fortifica la relazione con
l'altro.
E' per questa eterogeneità nella sintomatologia che ancora ad oggi
non è stato individuato un meccanismo patogenetico alla base di
determinato disturbo.
Baron-Cohen (2000) pone alla base dell'autismo il deficit della Teoria
della Mente ma nonostante ciò un deficit metarappresentativo e
metacognitivo non è in grado di dare una spiegazione all'autismo.
Innanzitutto la Teoria della Mente è un deficit che si manifesta a
partire dal quarto anno di vita mentre la tipica sintomatologia
autistica ancor prima di questo periodo,inoltre i deficit sociali non
dipendono esclusivamente dal malfunzionamento metacognitivo o
57
dalla sua assenza come nel caso dei comportamenti stereotipati,il
deficit linguistico e la difficoltà incontrata nei processi di
pianificazione ed organizzazione di un piano d'azione (Williams).
Per tale motivo è necessario tenere in considerazione le altre ipotesi
interpretative e il differenziamento dei vari livelli meta-cognitivi,per la
strutturazione di un appropriato intervento terapeutico e per una
maggior comprensione di un disturbo così complesso qual'é lo spettro
autistico.
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