Università degli studi dell'Aquila - Dipartimento di Medicina clinica,Sanità pubblica, Scienze della vita e dell'Ambiente- Laurea Triennale in scienze psicologiche applicate indirizzo:Unico Tesi di Laurea TEORIA DELLA MENTE NEI DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO Laureanda Flavia Martini Relatrice Elisabetta Tozzi Alleva Anno Accademico 2013-2014 1 A mia madre e alla mia splendida famiglia 2 INDICE Introduzione...................................................................... 4 Capitolo 1) I processi metacognitivi 1.1. Definizione........................................................................ 6 1.2. La Teoria della Mente........................................................ 9 1.3. Lo sviluppo metacognitivo............................................... 15 Capitolo 2) Metacognizione nell'autismo 2.1. I disturbi dello spettro autistico....................................... 18 2.2. Desrizione del quadro comportamentale autistico............ 20 2.3. Teoria patogenetica - Deficit della Teoria della Mente....... 25 2.4. Altre ipotesi interpretative............................................... 32 Capitolo 3) Valutazione diagnostica 3.1. Strumenti diagnostici nell'autismo.................................. 37 3.2. Test specifici per indagare lo sviluppo della Teoria della Mente........................................................... 41 Capitolo 4) Trattamento 4.1. Strategie di intervento..................................................... 49 4.2. Training metacognitivo.................................................... 51 Conclusione..................................................................... 56 Bibliografia....................................................................... 58 3 INTRODUZIONE La Teoria della Mente è la capacità di comprendere gli stati mentali propri e altrui (emozioni, desideri, credenze e intenzioni) ,prevedere e interpretare il comportamento dell'altro, non in base a quello che crede ma in base a quello che gli altri pensano. Si tratta di un modulo cognitivo che solitamente si sviluppa intorno al quarto anno d'età,rendendo l'uomo un essere sociale,collaborativo,competitivo e dipendente da quanto gli uomini riescono ad inferire ciò che è nella mente dell'uno e dell'altro. Un mancato sviluppo della Teoria della Mente può essere determinante di molti deficit,tantoché Baron-Cohen e i suoi collaboratori,sono stati tra i primi ad avanzare l'ipotesi che la compromissione del meccanismo TOMM (Theory of Mind Mechanism) può essere considerata una delle cause responsabili dell'autismo,in particolare delle difficoltà affettive e relazionali tipiche di questo disturbo. L'autismo è considerato la più grave tra tutte le patologie psichiatriche dell'infanzia, che colpisce circa 4 ogni 10.000 bambini,maggiormente di sesso maschile. E' possibile fare una diagnosi di autismo se è presente una significativa compromissione nell'area dell'interazione sociale,del linguaggio comunicativo verbale e non verbale e nel gioco simbolico fin prima del terzo anno d'età,oltre alla manifestazione di comportamenti bizzarri ed interessi limitati e ripetitivi. Purtroppo ancora ad oggi si tratta di una condizione che permane per tutto l'arco della vita,anche se visibili possono essere miglioramenti nelle qualità di vita,nelle capacità di adattamento e nelle abilità compromesse nei bambini autistici, in seguito ad interventi educativi e terapeutici mirati a questo disturbo pervasivo dello sviluppo. Secondo Baron-Cohen (2000) i soggetti affetti da autismo non hanno la capacità di inferire gli stati mentali altrui ovvero i loro pensieri,opinioni,desideri,intenzioni e l'abilità di utilizzare determinate informazioni per interpretare,spiegare e prevedere un loro comportamento in rapporto a quello che ciascuno di noi pensa che 4 l'altro sente,desidera e conosce. Per questo il bambino non è in grado di accedere ad una teoria della mente rimanendo in una situazione di cecità mentale (Baron-Cohen,1995) che limita la reciprocità sociale e la capacità empatica ,un deficit che non gli permette di accedere al significato emotivo condiviso che fortifica la relazione con l'altro. Partendo dall'ipotesi avanzata da Baron-Cohen e i suoi collaboratori,attraverso questa tesi ho cercato di illustrare il rapporto significativo tra deficit della Teoria della Mente e l'autismo. Nel primo capitolo mi sono soffermata sulla metacognizione, illustrando gli aspetti e i correlati neurofisicologici che ne sono alla base e che ne determinano lo sviluppo. Nel secondo capitolo,dopo aver descritto il quadro comportamentale e diagnostico dell'autismo, ho esposto i maggiori modelli interpretativi,soffermandomi con maggior interesse ,sull'ipotesi avanzata da Baron-Cohen secondo la quale, alla base dell'autismo vi è un mancato sviluppo o una compromissione della Teoria della Mente. Nel terzo capitolo ho illustrato gli strumenti che vengono utilizzati per la diagnosi del disturbo autistico,con particolare riferimento a quelli specifici per la rilevazione dello sviluppo della Teoria della Mente nel bambino. Infine nel quarto capitolo ho esposto i principali interventi educativi e riabilitativi utilizzati nel trattamento di questa sindrome comportamentale,in particolar modo al training metacognitivo elaborato nel 1999 da Howlin,Baron-Cohen e Hadwin,attualmente disponibile anche in formato CD-ROM. 5 CAPITOLO 1 I processi metacognitivi 1.1 Definizione Noi possediamo molteplici meccanismi psichici che collaborano e interagiscono tra loro,affinché siano possibili la comunicazione e l'interazione interpersonale. Fondamentale è la consapevolezza dei propri stati mentali ,la capacità di saperli comprendere e monitorare, al fine di riflettere sulla propria mente e su quella degli altri oltre alla comprensione ed interpretazione dei comportamenti propri ed altrui. Tali capacità sono determinate dall'attività metacognitiva, considerata come l'insieme delle conoscenze che ogni individuo possiede sul funzionamento cognitivo e sul controllo del proprio comportamento quando chiamato a svolgere un determinato compito (Brown,Armbruster e Baker,1986). L'insieme delle interpretazioni sui propri stati interni emotivi,affettivi e cognitivi sono alla base delle conoscenze metacognitive che sono applicate grazie ai processi cognitivi e di autoregolazione, che ci permettono a loro volta di interagire con l'ambiente esterno. Questi processi sono coinvolti nella comunicazione,nella consapevolezza di sè e nella regolazione delle relazioni sociali, per questo qual'ora non saremo in grado di monitorare e controllare i nostri stati mentali , non avremo la possibilità di identificare le intenzioni e cause alla base del comportamento altrui,fattore che andrà ad influire negativamente sulla relazione con gli altri. Alla fine degli anni '70 sono stati condotti i primi studi rispetto alla metacognizione. Il primo ad utilizzare questo termine è stato Flavell ,che inizialmente parlò di metamemoria per indicare le conoscenze possedute dall'individuo per il rilevamento,l'elaborazione, l'immagazzinamento,l'archiviazione e il recupero delle informazioni apprese nell'arco della vita. Gli studi sulla metamemoria hanno contributo alla comprensione delle conoscenze nel campo della metacognizione, sia perché la 6 memoria ha un ruolo centrale nel funzionamento cognitivo, sia perché è in stretta connessione con le altre attività mentali. Le conoscenze di metamemoria secondo alcuni autori sono rilevabili fin dall'età scolare,in particolare tra i quattro e i cinque anni il bambino è in grado di intuire il nesso tra imparare e ricordare,a riconoscere il ricordo e la possibilità di dimenticare. La mancata memorizzazione può avvenire in caso di stanchezza individuale, mancata comprensione o ascolto del messaggio o al fatto di averlo ascoltato soltanto una volta. A questa età, i bambini concepiscono la possibilità di ricordare meglio, ricorrendo all’aiuto di altre persone per il recupero dell’informazione con la consapevolezza delle differenze individuali nella capacità di memorizzazione. L'utilizzo di queste capacità mnestiche aumenta in modo esponenziale tra i cinque e i sette anni d' età. I bambini cominciano in questo periodo a fare riferimento alla variabile tempo come fattore implicato nella capacità di memoria. Inoltre hanno la consapevolezza che non necessariamente un buon apprendimento si risolve in un buon ricordo, per il fatto che un’informazione può essere dimenticata anche per il semplice trascorrere del tempo. Infine dai 9 anni all’adolescenza, vi è una migliore specificazione e definizione delle conoscenze precedentemente acquisite e una maggiore attenzione alle strategie legate al recupero dell’informazione, infatti il bambino fa maggiormente riferimento all’importanza del ripristino delle condizioni di memorizzazione. Flavell nell'articolo pubblicato nel 1976 ha delineato le tre tappe che i bambini acquisiscono gradualmente rispetto alla memorizzazione e al recupero delle informazioni acquisite. Nella prima tappa il bambino impara ad identificare tutte quelle situazioni nelle quali è fondamentale l'acquisizione delle informazioni che potrebbero essere necessarie per esperienze e situazioni future. La seconda tappa invece gli permetterà l'aggiornamento e l'integrazione di tali informazioni con quelle precedentemente acquisite,fino alla terza ed ultima tappa grazie alla quale il bambino sarà in grado di ricercare, rilevare e selezionare le informazioni più adeguate,per il raggiungimento di un determinato obiettivo o per la 7 risoluzione di un problema. Flavell riconosce la metacognizione come un processo intenzionale, conscio, previdente e diretto a realizzare un obiettivo o un risultato, definendola come ogni conoscenza o attività cognitiva verso l'attività mentale propria ed altrui;un pensiero non condiviso da Reder, Schunn, Kentridge, Heywood (2000) secondo i quali i processi metacognitivi non hanno bisogno della consapevolezza ed intenzionalità dell'individuo. Infine definisce, che la metacognizione riguarda il controllo attivo e la conseguente regolazione di tali processi cognitivi in relazione agli oggetti e dati ai quali si riferiscono,generalmente al servizio di uno scopo od obiettivo concreto. Nel documento, Flavell ha proposto un modello formale di monitoraggio metacognitivo , includendo le quattro classi che lo determinano: (a) conoscenza metacognitiva; (b) le esperienze metacognitive; (c) i compiti o obiettivi; (d) le strategie o attività. Nella prima classe Flavell racchiude tutte quelle conoscenze circa i fattori che influiscono sulle attività cognitive,fattori che sono stati distinti in: -variabili della persona:riferite a se stessi in termini di capacità,limiti di memoria e modalità di elaborazione delle informazioni; -variabili dell'attività o del compito:relative alla sua difficoltà e alla sua tipologia ; -variabili della strategia che sarà applicata per il potenziamento del proprio comportamento cognitivo. La seconda classe ovvero quella dell'esperienza metacognitiva va ad individuare le risposte soggettive interne circa le conoscenze,gli obiettivi e le strategie applicate dall'individuo. Tra esse rileviamo le risposte affettive all'attività, che vanno ad influenzare notevolmente il comportamento dell'individuo in 8 specifiche situazioni. Ad esempio il fallimento ,il successo,la frustrazione o la soddisfazione sono risposte affettive che hanno un effetto sullo svolgimento di un compito e sul raggiungimento di un determinato obiettivo. Un'esperienza metacognitiva che si può verificare qual'ora sarà richiesta esplicitamente in una determinata situazione,quando quest'ultima sarà inattiva o nuova,se è necessario fare inferenze, formulare giudizi, prendere decisioni oppure se si è in difficoltà nello svolgimento del compito o se commesso un errore. Le conoscenze e le esperienze metacognitive sono alla base delle ultime due classi definite da Flavell, nelle quali rileva i compiti e gli obiettivi che dovranno essere raggiunti e tutte quelle strategie applicate dall'individuo per il controllo e il monitoraggio delle proprie attività cognitive. Infine Flavell riconosce l'importanza della metacognizione in varie applicazioni tra cui la comunicazione,la lettura ,la scrittura,l'acquisizione del linguaggio,la memoria,l'attenzione,il problem-solvin e le interazioni sociali oltre alla componente autoriflessiva relativa alle rappresentazioni di sè,della propria personalità e dei propri comportamenti. 1.2 La Teoria della Mente La teoria della mente è la capacità di comprendere gli stati mentali propri e altrui (emozioni, desideri, credenze e intenzioni) ,prevedere e interpretare il comportamento dell'altro, non in base a quello che crede ma in base a quello che gli altri pensano. Questo modulo cognitivo si sviluppa intorno al quarto anno d'età ,permettendo al bambino di saper pensare come pensano gli altri e guardare il mondo non dal proprio punto di vista ma da quello dell'altro. I concetti di Metacognizione e Teoria della Mente hanno conosciuto un forte sviluppo nell’ambito delle scienze cognitive degli ultimi trent’anni. In particolare, per la Teoria della Mente, le ricerche si sono sviluppate a partire dagli studi sulla capacità degli scimpanzé di prevedere il comportamento di un attore umano in situazioni finalizzate verso uno 9 scopo. Nel loro articolo “Does the chimpanzee have a Theory of Mind?”, Premack e Woodruff (1978) hanno dimostrato che scimpanzé addestrati al linguaggio, sono in grado di mettere in atto comportamenti intenzionali e quindi di stabilire una connessione tra le proprie azioni e gli scopi altrui,ma non di attribuire stati mentali all'altro. Per questo gli autori hanno rilevato che i primati non umani si limitino al tentativo di influenzare quello che l’altro fa (ovvero il loro comportamento), ma non provano ad influenzare ciò che l’altro crede; tuttavia l’acquisizione di una Teoria della Mente è una prerogativa della mente umana normale (Karmiloff-Smith, 1992). Lo sviluppo della Teoria della mente parte dalla capacità di attribuire degli stati mentali intenzionali (emozioni,desideri) a sè e agli altri,fino a quelli epistemici (credenze,pensieri) utilizzati nella previsione ed interpretazione del comportamento manifesto. Dagli studi sulla comprensione del funzionamento mentale dei primati presero avvio molte ricerche sul compito della falsa credenza. Questa nozione è diventata un criterio evolutivo molto importante per stabilire in che momento i bambini sviluppano completamente una Teoria della Mente strutturalmente simile a quella adulta. Heinz Wimmer e Joseph Perner (1983) sono stati i primi ad utilizzare una procedura sperimentale per verificare la capacità di “comprendere la nozione di falsa credenza”: il False Belief Task. Nel loro esperimento, i ricercatori mostrano e spiegano ai bambini una scenetta in cui vi sono due personaggi. Uno di loro mette della cioccolata sotto una tazza e se ne va dalla stanza dove sono entrambi mentre l’altro cambia la cioccolata di posto, in assenza del primo. Nella scena successiva,una volta fatto rientrare il personaggio,si domanda al bambino dove il primo personaggio ha cercato la cioccolata nascosta. La ricerca evolutiva ha dimostrato che verso i quattro anni i bambini normodotati distinguono chiaramente lo stato reale delle cose (“la cioccolata è sotto la seconda tazza”) dalla rappresentazione del personaggio (“la cioccolata è sotto la prima tazza”) e predicono il comportamento del personaggio non in funzione dello stato di fatto, 10 ma in funzione della rappresentazione mentale che gli attribuiscono. In altre parole intorno ai quattro anni di età il bambino riesce a rappresentarsi che l’oggetto verrà cercato dove il personaggio crede che sia e non dove realmente è. Wimmer e Perner (1983) conclusero che tali risultati sono collegati all’emergere di una nuova abilità cognitiva definita appunto Teoria della Mente. Prima dei quattro anni il bambino ha un'attenzione preferenziale verso specifici stimoli esterni, che mediante l'interazione sociale si evolve in attenzione condivisa e comunicazione intenzionale di tipo proto-dichiarativo, precursori della Teoria della mente alla fine del primo anno d'età. Nelle comunicazioni proto-imperative il bambino utilizza l’attenzione condivisa (indicando o usando lo sguardo) come mezzo per ottenere un oggetto o scopo,attraverso una richiesta non-verbale. Tali gesti si trasformano in comunicazioni proto-dichiarative nel momento in cui il gesto di indicare ha la funzione di esprimere un commento non-verbale su un determinato stato di cose. Per questo non si tratta più soltanto di influenzare il comportamento altrui, ma di modificare l’attenzione o lo stato mentale dell'altro attraverso un processo interattivo che consente la trasmissione di informazioni mediante il contatto mentale (Camaioni, 1995). Sempre in questo periodo si può osservare il "riferimento sociale" che da la possibilità al bambino di utilizzare la madre come codificatore per situazioni nuove o sconosciute,utilizzando la sua risposta emotiva come risposta d'azione (Klinnert et al., 1983, cit. in Camaioni, 1995). Secondo Leslie un ulteriore precursore della teoria della mente è il gioco di finzione, che permette al bambino di rappresentare da un aspetto fisicamente presente un oggetto assente. L’associazione del gioco di finzione alla Teoria della Mente è giustificata dal fatto che entrambi implicano tre funzioni: 1) “reversibilità debole”; un oggetto può rappresentare due cose al tempo stesso; 2) “funzione simbolica”; un oggetto può rappresentarne un altro; 3) “funzione metarappresentativa”,che corrisponde alla rappresentazione di rappresentazioni mentali. 11 Infine un altro aspetto legato all’acquisizione di una Teoria della Mente riguarda la manifestazione del pensiero narrativo intorno ai ventiquattro mesi, ovvero di una forma di narrazione mentale di eventi riguardanti l’azione e l’intenzionalità umana, che permette al bambino di interpretare la sua conoscenza sul mondo (Bruner e Feldman;1993). Flavell,Miller e Miller sostengono che il bambino ,nel corso dello sviluppo, acquisisce alcuni postulati di base che scandiscono l’evolversi e la strutturazione della sua Teoria della Mente: - La mente esiste: a partire dal primo anno di vita il bambino è orientato agli altri,in modo specifico e distinto da quello con cui comprende e agisce sugli oggetti; - La mente collegata al mondo fisico: a tre anni il bambino è in grado di associare stimoli fisici a stati mentali; -La mente è separata dal mondo fisico e differisce da esso: Il bambino inizia a distinguere il reale dall'immaginario; -Le rappresentazioni possono essere false : A partire dai quattro anni il bambino differenzia tra concreto e astratto,potendo però cadere in una falsa credenza (riconoscere la differenza tra lo stato affettivo delle cose e la rappresentazione mentale propria ed altrui); -La mente lavora in modo attivo: il bambino sviluppa la consapevolezza che l'interpretazione della realtà può essere influenzata da conoscenze pregresse. Le funzioni della teoria della mente comprendono una vasta gamma di stati mentali: -Dare un senso al comportamento interpersonale : la lettura della mente è fondamentale per la comprensione del mondo umano,comprendendo gli stati mentali avremo la possibilità di comprendere e spiegare il comportamento altrui(Dennet,1978); -Dare senso alla comunicazione:possiamo formulare ipotesi sugli stati mentali attribuendo un significato alla comunicazione verbale e non verbale(Grice,1975); -Ingannare:la possibilità di distorcere la realtà richiede,da un lato l'influenzamento delle credenze che determinerà una falsa convinzione e dall'altro la capacità di comprendere che l'ingannato agirà come se la convinzione falsa fosse vera(Sodian e Frith,1992). 12 I bambini normodotati manifestano un’evidente capacità di fingere subito dopo aver acquisito il concetto di falsa credenza ovvero a partire dai quattro anni di età. -Empatizzare: L'empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri interpretando e condividendo le emozioni altrui, capacità alla base della Teoria della Mente. I bambini di tre anni sono in grado di capire lo stato emozionale provocato da situazioni esterne su una persona mentre a cinque anni comprendono le emozioni dell'altro basandosi su ciò che essi pensano stia per accaderle. -Riflettere su di sè: importante non sarà solo la comprensione degli stati mentali altrui ma anche la capacità del bambino di comprendere i propri stati mentali e comportamenti. Non appena il bambino riesce ad attribuire stati mentali a se stesso può cominciare a riflettere sulla sua stessa mente con la capacità di distinguere l’apparenza dalla realtà e a riconoscere la fallibilità delle sue opinioni;le cause del suo comportamento; la fonte della sua conoscenza e la capacità di esaminare nella sua mente le possibili soluzioni ai suoi problemi prima ancora di agire. -Persuadere:Mediante la persuasione si ha la possibilità di fornire all'altro delle informazioni al fine di modificare le proprie opinioni e credenze sulla realtà(Howlin,Baron-Cohen,Hadwin,1999) Attraverso le varie ricerche è emerso un linguaggio universale che parla di stati mentali (Brown-1991;Avis e Harries-1990)e che alla base della capacità di leggere la mente troviamo quattro particolari meccanismi (Baron-Cohen-1995): -Il rilevatore dell'intenzionalità (ID); -Il rilevatore della direzione degli occhi (EDD); -Il meccanismo dell'attenzione condivisa (SAM); -Meccanismo della teoria della mente (TOMM). Il rilevatore dell'intenzionalità è un meccanismo innato che il bambino possiede per leggere nel proprio comportamento gli stati mentali. Si tratta di un dispositivo percettivo che interpreta gli stimoli in movimento in termini di due stati mentali primitivi volizionali 13 di scopo e desiderio, che si attiva in presenza di qualsiasi input percettivo che rileviamo mediante gli organi di senso (soprattutto vista,udito e tatto). Questo è il primo meccanismo di cui il bambino ha bisogno per leggere la mente. Il secondo meccanismo è il rilevatore della direzione degli occhi,che ovviamente si attiva grazie agli stimoli rilevati mediante la vista. Esso ha tre funzioni basilari ovvero: l' individuazione degli occhi, l'individuazione della direzione degli occhi (per rappresentare la relazione esistente tra gli occhi individuati e la cosa verso la quale sono diretti)e l' interpretazione dello sguardo. Il terzo meccanismo ,quello dell'attenzione condivisa a differenza dei precedenti che costruiscono delle rappresentazioni diadiche,costruisce delle rappresentazioni triadiche (ovvero quelle rappresentazioni determinate dal rapporto tra un agente,il sè e un terzo oggetto, verso il quale vi sarà interesse da parte dei primi due.) Il SAM costruisce delle rappresentazioni triadiche,specificando l'attenzione condivisa,solo se riceve informazioni rispetto allo stato percettivo di un altro agente. Inizialmente confronta lo stato percettivo di un altro agente con quello del sè e successivamente fonde le rappresentazioni diadiche dell'altro e quelle riguardanti il proprio stato percettivo entro una rappresentazione triadica. Questo permette al SAM di rilevare se le persone stanno guardando,annusando,toccando o udendo la stessa cosa. Questi meccanismi sono fortemente in relazione tra loro, in quanto il SAM mette a disposizione dell'EDD l'output dell'ID, consentendole di leggere la direzione degli occhi in termini di scopi e desideri di un agente. Dalla nascita ai nove mesi l'infante ha a disposizione l'ID e le funzioni basilari dell'EDD,tra i nove e i diciotto mesi entra in scena il SAM fino ai quarantotto mesi circa, in cui si sviluppa il TOMM preannunciato dai giochi di finzione che consentono la conquista degli stati mentali del "credere" e del "sapere". Mentre i primi tre meccanismi ci permettono di leggere il comportamento in termini di stati mentali volizionali (desiderio,scopo) e di leggere la direzione degli occhi in termini percettivi(vedere), il meccanismo della teoria della mente ha la duplice funzione di 14 rappresentare l'insieme degli stati mentali epistemici e di trasformare le conoscenze mentalistiche in una teoria utile per l'interpretazione del comportamento sociale. 1.3 Lo sviluppo metacognitivo L'attuale approccio consente di concepire lo sviluppo metacognitivo in parallelo allo sviluppo cognitivo fin dal momento della nascita,mediate un processo inconscio e gerarchico,a partire dal riconoscimento degli stati mentali fino al loro monitoraggio e controllo. Alla nascita il bambino è dotato di sistemi comportamentali pronti ad essere attivati dagli stimoli provenienti dall'ambiente esterno. Fra questi troviamo quelli determinati dell'attaccamento ovvero del rapporto significativo che si sviluppa tra il bambino e la propria figura di riferimento, che sarà alla base di tutti i rapporti affettivi e relazionali che il bambino stabilirà in futuro. Bowlby delineando la teoria dell'attaccamento ha rilevato l'importanza di questa relazione nello sviluppo delle capacità metacognitive oltre al suo effetto sull'organizzazione del sè, sulla regolazione affettiva,sull'acquisizione della competenza sociale e sulla capacità di adattamento all'ambiente. Questo è possibile grazie a dei modelli operativi che regolano il comportamento del bambino verso le figure di riferimento e con tutte le altre persone con le quali entra in relazione. Questi modelli permettono al bambino di sviluppare una rappresentazione secondaria di sè,dell'altro e del mondo che lo circonda mediate la competenza di metarappresentazione, determinata dall'interiorizzazione della risposta di " rispecchiamento" della madre verso i bisogni richiesti dal figlio,possibilità che si potrà manifestare solo in caso di uno stile di attaccamento sicuro. Oltre alla base sicura,grazie al contributo di Mary Ainsworth tramite la Strange situation,sono stati rilevati ulteriori stili di attaccamento come quello ansioso-ambivalente e ansioso-evitante caratterizzati da fattori che influenzeranno la formazione della personalità e del sè del bambino. 15 Questo dimostra la predisposizione del bambino a relazionarsi con gli altri fin dalla nascita,ponendo una particolare attenzione al volto e alle emozioni espresse dall'altro,capacità che raggiungerà il suo massimo sviluppo intorno ai sei mesi,quando il neonato è in grado di riconoscere le persone dal volto ( a partire dalla madre), a distinguere le varie espressioni e a mostrare una preferenza per i volti considerati più "attraenti"(Flavell,Miller e Miller,1993). Il sistema comportamentale dell'attaccamento è fondato su strutture cerebrali innate che spingono il neonato a ricercare la sicurezza e vicinanza protettiva della madre,potendo così far riferimento alle aree che mediano le risposte emozionali (amigdala e insula) oltre alla corteccia paracingolata anteriore,il solco temporale superiore,e la giunzione temporo-parietale (Bartels e Zek). Allan Schore (1994) ha riconosciuto il coinvolgimento della corteccia orbitofrontale alla base dell'attaccamento e della metacognizione. Fin dalla nascita i dendriti localizzati in questa area cerebrale si accrescono e determinano delle connessioni con la corteccia visuolimbica del lobo temporale ,nella quale è elaborata l'informazione emozionale relativa alla mimica del volto umano. Infatti il bambino grazie all'attivazione di tale area è in grado di interpretare l'espressione facciale materna e rilevarne delle modificazioni. Attraverso le funzioni orbito-frontali,i modelli operativi interni regolano i comportamenti di attaccamento, in connessione con i centri limbici e le strutture sottocorticali, fondamentali per la maturazione delle rappresentazioni che il bambino matura verso sè,verso l'oggetto e sulla loro relazione in termini affettivi. La capacità metacognitiva e il sistema dell'attaccamento inoltre dipendono dall'attività della corteccia prefrontale,le cui aree mediali e orbitofrontali sono fondamentali per la rappresentazione implicita ed esplicita degli stati mentali altrui,per la gestione delle relazioni interpersonali. Infine per una buona abilità metacognitiva sarà richiesta l'attivazione di ulteriori aree come quella ippocampale,l'amigdala,l'ipotalamo e la corteccia cingolata anteriore. E' evidente quindi che il bambino possiede una intersoggettività primaria,una competenza (le cui basi sono geneticamente determinate) confermata dalla precoce capacità di imitazione del bambino. 16 Questa capacità è stata rintracciata nei correlati neurofisiologici dei neuroni mirror o neuroni specchio,che hanno proprietà somatosensoriali, visive e motorie legate a dimensioni cognitive come la previsione o l' anticipazione dell'azione che viene svolta dall'altro. I neuroni come sappiamo sono le cellule nervose che trasmettono gli impulsi nervosi dalle aree centrali a quelle periferiche per lo scambio delle informazioni ,rispondendo sia agli eventi esterni che interni dell'organismo. Rizzolatti alla fine degli anni '80 e inizi degli anni '90 ha rilevato,inizialmente nelle scimmie (precisamente localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore F5) e successivamente negli uomini dei neuroni, che si attivano quando osserviamo qualcun altro fare la nostra stessa azione in particolare con la bocca,con le mani e con i piedi. I neuroni mirror infatti non rispondono solo ad uno specifico movimento ma anche in base allo scopo del gesto,indipendentemente dal fatto che sia eseguito od osservato grazie alla risonanza affettiva e capacità empatica verso l'altro.Grazie alle ricerche condotte tramite l'uso della risonanza magnetica funzionale è stato possibile rilevare la localizzazione di tali neuroni nell'uomo,nella porzione anteriore del lobo parietale inferiore,nel giro frontale inferiore,nel solco temporale superiore e nella corteccia pre-motoria. Il malfunzionamento di questi neuroni impediscono alla persona e al bambino di comprendere il comportamento altrui, di anticipare le intenzioni e di condividere le proprie emozioni e stati mentali; proprio come avviene nell'autismo,un aspetto che sarà descritto nel successivo capitolo. 17 CAPITOLO 2 Metacognizione nell'autismo 2.1 I disturbi dello spettro autistico Quando parliamo di disturbi pervasivi dello sviluppo facciamo riferimento a diversi quadri clinici caratterizzati da alterazioni che interessano l'interazione sociale e la comunicazione verbale e non verbale oltre dagli interessi stereotipati,afinalistici e limitati. La prima descrizione di tali disturbi è stata elaborata da Leo Kanner, nel suo famoso articolo apparso sulla rivista Nervous Child nel 1943, nel quale emerge come i bambini da lui osservati presentavano delle caratteristiche comuni, tra le quali l'assenza o le anomalie nello sviluppo del linguaggio,l'isolamento sociale,la resistenza al cambiamento,la mancanza di interessi e di consapevolezza degli altri. Molti autori lo consideravano come una forma di schizofrenia infantile proprio come Bender (1947) ipotizzando che l’autismo e la schizofrenia fossero parte di un continuum di uno stesso processo sintomatologico evolvendo, entrambe le condizioni, verso un disturbo della relazione con l’altro. Kanner si rifiutò di considerare l'autismo come una manifestazione precoce della schizofrenia,definendolo come un disturbo del contatto affettivo nel quale fondamentale è il rapporto che si stabilisce tra il bambino e i genitori fin dai primissimi momenti di vita,enfatizzando l'idea dei cosiddetti "genitori frigorifero" ovvero genitori freddi,distanti e poco responsivi verso i bisogni (soprattutto affettivi) dei loro figli. Inoltre in merito alle cause pur riconoscendo la mancanza di prove per una specifica etiologia ancora oggi sconosciuta, si afferma che l'autismo è dovuto ad una condizione congenita grazie alle significativa concordanza del disturbo rilevata in gemelli omozigoti (che presentano lo stesso patrimonio genetico), ricondotti all'anomalia di un gene localizzato sul cromosoma 7 che comporta alterazioni dello sviluppo della corteccia cerebrale. I fattori biologici causa di autismo sono noti solo nel 20% dei casi e la presenza di anomalie metaboliche sembra interessi il 5% dei casi. Le ricerche sui fattori neuropatologici hanno evidenziato, in alcuni 18 casi, la presenza di anomalie localizzate nel cervelletto, nel sistema limbico e nella corteccia cerebrale in particolare nell'amigdala e nell'ippocampo (Baron-Cohen et al;2000;Schultz et al;2003). Inoltre si suppone che anomalie quantitative o qualitative a livello recettoriale o nei neuroni attivi nel sistema fronto-striatale,in particolare l'ossitocina,la dopamina e la serotonina,possano essere coinvolte nel determinismo del disturbo autistico. In altri casi è stato evidenziato il ruolo dei fattori esogeni infettivi, tossici, farmacologici, traumatici, e vascolari che possono manifestarsi nel periodo pre-,peri-, e post-natale. Gli studi condotti sui fattori genetici e sulle anomalie cromosomiche, ha portato alla scoperta dell’eziologia certa del Disturbo di Rett nella mutazione del gene MECP2 localizzato sul cromosoma Xq28. Non vanno inoltre sottovalute le patologie neurologiche associate alla sindrome che aggravano il quadro clinico: iper o ipo-tonia, turbe della coordinazione motoria, distonie, stereotipie motorie, dismorfismi, alterazioni dell’udito (sordita’ di conduzione neurosensoriale o mista), ritardo mentale ed epilessia (presente tra il 20 e 30% dei casi). Contemporaneamente Asperger (1944) delineò un disturbo molto simile all'autismo di Kanner contraddistinto da quest'ultimo per la buona abilità cognitiva e linguistica fortemente alterata nei bambini autistici,notando delle significative differenze come un eloquio più scorrevole, la difficoltà nell'esecuzione di movimenti grossolani e non di quelli fini e una diversa capacità di apprendere in quanto Asperger definiva i suoi pazienti "pensatori astratti", mentre secondo Kanner essi apprendevano meglio in maniera meccanica. Questi disturbi oltre al disturbo disintegrativo della fanciullezza e la sindrome di Rett sono classificati all'interno dei disturbi pervasivi dello sviluppo come riportato nel DSM-III,DSM-III-R e IV. Quando si parla della sindrome di Rett si fa riferimento ad un disturbo neurologico che si manifesta prevalentemente nel sesso femminile a partire dalla fine del primo anno d'età. Dei tipici sintomi di questa sindrome sono i movimenti stereotipati delle mani,l'alterazione nella motricità che determina nel tempo la perdita di autonomia. Il disturbo disintegrativo della fanciullezza si differenzia dall'autismo per l'età d'esordio,in quanto si manifesta dopo il terzo anno d'età. 19 Inizialmente nel bambino è visibile un normale sviluppo nelle abilità comunicative e relazionali, fino ad una fase di regressione che determina l'esordio della patologia. Infine il disturbo di Asperger è una patologia molto vicina all'autismo ma in esso è possibile notare una minore compromissione a carico delle interazioni sociali,della motricità,delle abilità comunicative e cognitive. 2.2 Descrizione del quadro comportamentale autistico Quando parliamo di autistico facciamo riferimento ad una sindrome comportamentale che coinvolge tutte le aree dello sviluppo,con alterazioni durature e relativamente stabili nelle abilità sociali e comunicative. Si tratta di una condizione rara che colpisce circa 4 ogni 10.000 bambini,maggiormente di sesso maschile. Secondo il DSM-V è possibile fare una diagnosi di autismo in presenza di una compromissione nell'area dell'interazione sociale,del linguaggio comunicativo verbale e non verbale e nel gioco simbolico fin prima del terzo anno d'età. Per diagnosticare il disturbo dello spettro autistico è necessario soddisfare i seguenti criteri diagnostici inseriti nel DSM-V: A) Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell'interazione sociale in molteplici contesti: - Deficit della reciprocità socio-emotiva,che vanno da un approccio sociale anomalo e dal fallimento della normale reciprocità della conversazione a una ridotta condivisione di interessi,emozioni o sentimenti,all'incapacità di dare inizio o di rispondere a interazioni sociali; - Deficit dei comportamenti comunicativi utilizzati per l'interazione sociale,che vanno dalla comunicazione verbale e non verbale scarsamente integrata ad anomalie del contatto visivo e del linguaggio 20 del corpo o deficit della comprensione e dell'uso dei gesti,a una totale mancanza di espressione facciale e di comunicazione non verbale; - Deficit dello sviluppo,della gestione e della comprensione delle relazioni,che vanno dalle difficoltà di adattare il comportamento per adeguarsi ai diversi contesti sociali,alle difficoltà di condividere il gioco di immaginazione o di fare amicizia,all'assenza di interesse verso i coetanei. B) Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti fattori,presenti attualmente o nel passato: - Movimenti,uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi; - Rigidità verso la routine priva di flessibilità o rituali di comportamento verbale o non verbale; - Interessi molto limitati,fissi che sono anomali per intensità o profondità; - Iper o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell'ambiente; C) I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo; D) I sintomi causano una significativa compromissione del funzionamento in ambito sociale,lavorativo,scolastico e in altri contesti di vita; E) Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva o da ritardo globale dello sviluppo. Specificare se: - con o senza compromissione intellettiva associata; - con o senza compromissione del linguaggio associata; - se associato a una condizione medica o genetica nota o a un fattore ambientale; 21 - se associato ad un altro disturbo del neurosviluppo,mentale o comportamentale; - con catatonia. Nella diagnosi occorre tener sempre presente l'individualità del paziente nella manifestazione e gravità della patologia, oltre alla possibile modificazione della sintomatologia nelle diverse fasi di sviluppo. In merito a questo aspetto sono stati rilevati tre sottogruppi di bambini autistici sulla base delle loro capacità comunicative e relazionali: - i bambini inaccessibili sono coloro affetti da una grave forma di autismo che li porta a "tirarsi fuori" da qualsiasi tipo di relazione; -i bambini passivi pur isolandosi saranno in grado di interagire con l'altro qualora saranno adeguatamente sollecitati e stimolati; -i bambini attivi ma bizzarri saranno coloro che pur prendendo l'iniziativa nella relazione lo fanno in modo inappropriato e inopportuno. Quando parliamo di autismo facciamo riferimento ad un disturbo che colpisce prevalentemente i maschi,la cui caratteristica principale è l'evidente tendenza di questi bambini a chiudersi in se stessi e vivere in un mondo tutto loro fin dai primi anni di vita. A volte lo sviluppo di un bambino è ritardato dalla nascita,altre volte i bambini sembrano svilupparsi normalmente per poi improvvisamente regredire e perdere le capacità sociali e/o linguistiche precedentemente acquisite. I primi ad accorgersi di una difficoltà nell'interazione sociale sono proprio i genitori che notano l'incapacità del bambino a stabilire un contatto occhi-occhi,ad adattarsi al corpo della madre quando quest'ultima lo cambia o lo prende in braccio (dialogo tonico)oltre alla mancata condivisione dei propri bisogni ed emozioni. Nel corso dello sviluppo la compromissione dell'interazione sociale si estende ai coetanei e alle altre figure adulte,un aspetto visibile soprattutto con l'ingresso del bambino nella scuola dell'infanzia. Il bambino infatti tende a chiudersi in se stesso,a posizionarsi in un 22 angolo della stanza e ad aggirarsi tra gli altri bambini senza stabilire nessun tipo di contatto fisico ed oculare ,si isola,non risponde quando qualcuno lo chiama e non partecipa alle attività di gruppo e di gioco. Contemporaneamente è possibile notare i deficit comunicativi verbali e non verbali che possono essere di vario genere. Nei primi anni di vita la comunicazione verbale è caratterizzata da gergolalie,stereotipie verbali che il bambino ripete continuamente in assenza di finalità e significati oltre all'ecolalia sia immediata che differita. Il bambino infatti tende a ripetere le domande che le vengono poste piuttosto che dare delle risposte (ecolalia immediata) e di ripetere frasi,parole e suoni proveniente dall'ambiente esterno(ecolalia differita). Anche in età avanzata il linguaggio è caratterizzato da una scarsa produzione spontanea e mancata intenzionalità nell'iniziare e sostenere una conversazione con l'altro, senza renderlo partecipe dei propri interessi e stati d'animo. A livello non verbale è possibile rilevare la mancanza della mimica,dello sguardo,dell'espressioni,delle posture e dei gesti in particolare quelli a scopo dichiarativo, considerati come un segno patognomonico presente fin dal primo anno. A partire dai due anni si manifestano i manierismi e le stereotipie motorie (come lo sbattere le mani o portarle alla bocca e i tipici ciondolamenti del tronco),il disinteresse verso gli altri,la mancata condivisione emotiva,i comportamenti e riti compulsivi e l'angoscia sviluppata davanti alle novità per la rigidità verso le abitudini quotidiane. Nel gioco è possibile rilevare un eccessivo e maniacale interesse per alcune parti degli oggetti, verso i quali i bambini autistici non mostrano interesse per il loro significato pratico, bensì li utilizzano in modo inappropriato manipolandoli lungamente,ripetitivamente,in modo meccanico e in assenza di finalità pratica. Un ulteriore difficoltà è quella di saper regolare le proprie emozioni o ad esprimerle in modo appropriato, il bambino può iniziare a urlare, piangere, o ridere istericamente per nessun motivo apparente,sviluppare paura verso stimoli innocui e sviluppare comportamenti aggressivi sia eterodiretti che autodiretti tramite varie forme di autolesionismo in assenza di motivazione. 23 Attraverso le varie ricerche è stato possibile rilevare la presenza di comorbidità ovvero la contemporanea presenza di più disturbi in bambini autistici. Circa il 75% dei pazienti presentano il ritardo mentale (Q.I. < 70) di cui il 50% presentano ritardo mentale moderato e grave. La presenza del deficit intellettivo non può essere considerato come una spiegazione per i deficit sociali in quanto alcuni bambini autistici presentano un quoziente intellettivo nella norma o al disopra della norma (idioti sapienti) con delle abilità intellettive eccellenti e per il fatto che i bambini non autistici ma ritardati non manifestano compromissioni nella competenza sociale e relazionale rispetto alla loro età mentale. L'epilessia è un ulteriore disturbo che può manifestarsi in comorbidità con l'autismo nel 30-40% dei casi. Le crisi solitamente si sviluppano durante il periodo adolescenziale ma possono insorgere in varie forme fin dalla prima infanzia. Le crisi maggiormente presenti sono quelle parziali complesse e quelle generalizzate di tipo tonico-clonico,in quanto sia l'autismo che l'epilessia sono dei fenomeni determinati da un danno encefalico localizzato a livello del lobo temporale. Molti bambini con disturbo autistico presentano un'ipersensibilità verso gli stimoli sensoriali in particolare verso quelli uditivi e tattili. A volte possono ignorare le persone che parlano rivolgendosi a loro o che li chiamano fino al punto di apparire sordi, altre volte possono essere disturbati da suoni più morbidi,sono molto sensibili anche al tatto per questo rabbrividiscono dopo una pacca sulla spalla o un contatto fisico con l' altro. Le cause del disturbo autistico non sono state ancora oggi ben delineate ma gli studi ci riportano a fattori genetici,anomalie neurologiche,condizioni mediche associate anche se l'ipotesi più accreditata sono le anomalie dello sviluppo cognitivo ed emotivo in riferimento alla TEORIA DELLA MENTE. 24 2.3 Teoria patogenetica - Deficit della Teoria della Mente La teoria della mente è la capacità di comprendere gli stati mentali propri e altrui (emozioni, desideri, credenze e intenzioni) ,prevedere e interpretare il comportamento dell'altro, non in base a quello che crede ma in base a quello che gli altri pensano. Questo modulo cognitivo si sviluppa intorno al quarto anno d'età,permettendo al bambino di saper pensare come pensano gli altri e guardare il mondo,non dal proprio punto di vista ma da quello dell'altro. Attualmente la compromissione della teoria della mente è considerata una delle ipotesi eziologiche responsabili dell'autismo in particolare delle difficoltà affettive e relazionali tipiche di questo disturbo. Secondo Baron-Cohen (2000) i soggetti affetti da autismo non hanno la capacità di inferire gli stati mentali altrui ovvero i loro pensieri,opinioni,desideri,intenzioni e l'abilità di utilizzare determinate informazioni per interpretare,spiegare e prevedere un loro comportamento in rapporto a quello che ciascuno di noi pensa che l'altro sente,desidera e conosce. Per questo il bambino non è in grado di accedere ad una teoria della mente rimanendo in una situazione di cecità mentale (BaronCohen,1995) che limita la reciprocità sociale e la capacità empatica ,un deficit che non gli permette di accedere al significato emotivo condiviso,che fortifica la relazione con l'altro. Quando parliamo di cecità mentale,facciamo riferimento ad una condizione in cui non si è in grado di produrre spiegazioni o ipotizzare motivazioni riguardo al comportamento e alle azioni altrui. Questa diviene una condizione di grande svantaggio nei bambini autistici quando nell'interazione sociale devono prevedere il comportamento delle altre persone e riconoscere le intenzioni comunicative,capacità che in bambini normodotati permettono in modo veloce e accurato di attribuire gli stati mentali all'interlocutore (Baron-Cohen,Surian e Van der Lely). 25 Infine il deficit di mentalizzazione può incidere sulla comunicazione verbale rendendo difficoltosa la produzione di enunciati contestualmente appropriati e i vari aspetti pragmatici come la regolazione dell'intonazione. I soggetti autistici sono portati a produrre discorsi difficili da seguire,sconvenienti e caratterizzati da un'intonazione monotona oltre ad un tono vocale o eccessivamente alto oppure eccessivamente basso. Qual'ora è presente una disfunzione a carico del meccanismo TOMM( teoria della mente), si incontra la difficoltà di comprendere lo stato epistemico del credere ovvero la capacità di capire quando qualcun'altro nutre una falsa credenza. Per dimostrare questo Baron Cohen,Leslie e Frith (1985) hanno sottoposto dei bambini senza disabilità,autistici e con sindrome di Down con età compresa tra i 3-4 anni ad un esperimento per la comprensione della falsa credenza. Nel test sono presenti due bambole,la prima, Sally che posiziona una biglia nel suo cestino dopo averlo coperto con un panno prima di andar via e Anne che in sua assenza sposta la biglia dal cestino dentro ad una scatola. Chiedendo al bambino dove Sally cercherà la sua biglia, i bambini normali e quelli con sindrome di Down risposero correttamente ( cioè che la cercherà nella sua collocazione originaria) a differenza della maggior parte degli autistici che indicavano il posto in cui era realmente la biglia. L'obiettivo del test è quello di rilevare la capacità di prevedere il comportamento di un altro individuo se fondato su una credenza che il bambino sa essere falsa nella realtà dei fatti, proiettando la sua opinione della realtà sull'altro soggetto. Il bambino sottoposto al test considera questo comportamento come 26 uno stato mentale intenzionale dell'altra persona, che coincide con la falsa credenza che esiste solo nella mente dell'altro ( in questo caso di Sally) e non in quella del bambino che è in grado di distinguerla ed attribuirla al prossimo. Una capacità che non si sviluppa in bambini con autismo ma che normalmente viene acquisita a partire dal quarto anno d' età. E' evidente un mancato sviluppo ed affinamento della capacità di rappresentazione e di meta-rappresentazione. In particolare quest'ultima capacità, che rappresenta l'essenza stessa della teoria della mente, consente al sistema cognitivo di costruire descrizioni di eventi ipotetici, come le descrizioni di oggetti di finzione, di pensieri, di sogni, i quali, piuttosto che riferirsi alla realtà esterna, si rifanno ad altre rappresentazioni. La difficoltà incontrata nella formulazione delle rappresentazioni genera ulteriori difficoltà nello sviluppo delle relazione empatiche ovvero basate sull'empatia, una capacità innata di comprendere l'altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale,immedesimandoci e mettendoci nei panni dell'altro. L'ipotesi di base sostenuta da Baron-Cohen(1985) è che nei bambini autistici non si sviluppi in modo normale la capacità di concepire che le altre persone conoscono, vogliono, sentono e credono qualcosa e che questo deficit metarappresentivo dia luogo a vere e proprie anomalie comunicative e di comportamento sociale, che determinano le difficoltà nella relazione con l'altro con il conseguente isolamento sociale. Evidenziando il processo di sviluppo della teoria della mente nel bambino,é importante ricercare le varie tappe evolutive ed analizzare i comportamenti considerati come i precursori di questa teoria. Fra questi, i più precoci nello sviluppo sembrano essere l'attenzione condivisa (Baron-Cohen, 1989) e la comunicazione intenzionale di tipo proto-dichiarativo (Camaioni, 1993). L'attenzione condivisa consiste nel comportamento che i bambini cominciano a manifestare verso i nove mesi circa, quando mostrano interesse per le cose osservate dall'adulto, focalizzando lo sguardo in maniera alternata verso l' oggetto fissato e verso l'adulto stesso. Gli autistici mostrano un deficit di attenzione condivisa e ciò significa 27 che non sono in grado di condividere un focus di attenzione con l'altro. La sequenza comunicativa di tipo proto-dichiarativo rappresenta un comportamento dello stesso tipo, attivato dal bambino con finalità comunicative. Si evidenzia quando il bambino indica un oggetto all'adulto alternando il proprio sguardo tra l'oggetto ed il volto dell'adulto, finché anche quest'ultimo guarda nella stessa direzione. In queste sequenze (l'attenzione condivisa e la comunicazione intenzionale di tipo proto-dichiarativo) il bambino non intende semplicemente influenzare il comportamento dell'altro per ottenere un obiettivo materiale (come quando indica un oggetto che desidera avere); egli intende piuttosto influenzare lo stato interno dell'altro relativamente ad un aspetto della realtà esterna, in particolare il provare interesse per qualcosa o il condividere un'esperienza (Camaioni, 1998). In condizioni sia osservative che sperimentali, questi bambini si mostrano capaci di produrre e comprendere il gesto di indicare con funzione di richiesta, mentre raramente utilizzano lo stesso gesto con funzione dichiarativa, cercando cioè di convogliare l'attenzione dell'adulto sullo stesso (Mundy, Sigman, Ungerer e Sherman, 1986; Baron-Cohen, 1989, 1998). E' necessario per questo distinguere tra l'attribuzione di "agentività" cioè l'idea che le persone sono agenti di un'azione e possono quindi essere utilizzate per il raggiungimento di uno scopo e l'attribuzione di "intenzione" cioè la rappresentazione dell'altro come individuo che ha intenzioni e comprende quelle altrui,un comportamento che non si sviluppa nei bambini autistici. Un altro fondamentale comportamento precursore è rappresentato dal gioco di finzione. Nel momento in cui il bambino mette in atto dei giochi simbolici, solitamente fra i diciotto ed i ventiquattro mesi, la sua capacità di meta-rappresentazione si evidenzia molto nettamente. Far finta che una banana sia un telefono, infatti, non porta il bambino a ritenere che la banana ed il telefono siano la stessa cosa. Egli è consapevole della differenza, in quanto gioca a rappresentare delle rappresentazioni,in altre parole rappresenta una situazione che 28 include una banana nel mondo percettivo e una situazione che contiene un telefono nel mondo della finzione. Nei bambini normodotati è possibile analizzare tre livelli di sviluppo: -Gioco sensomotorio,in cui il bambino esplora le caratteristiche fisiche dell'oggetto; -Gioco funzionale: in cui il bambino organizza il gioco e ne comprende la funzionalità e l'uso; -Gioco di finzione:in cui il bambino trasforma mentalmente un oggetto in un altro,con la consapevolezza che esiste differenza tra la vera identità dell'oggetto e quella di finzione(capacità acquisita a partire dal secondo anno di vita). Nei bambini autistici si riscontra l'assenza di finzione nel gioco che invece è limitato e caratterizzato da stereotipie. Infine vi è l'imitazione,il primo meccanismo che permette al bambino di fare la prima distinzione tra cose e persone. Nel corso dello sviluppo si rilevano segnali di imitazione proto-referenziale,cioè l'imitazione che viene utilizzata per capire come funziona il mondo. I bambini autistici hanno difficoltà ad imitare le azioni degli altri,qual'ora gli viene chiesto di imitare un'azione non convenzionale con un oggetto comune,il bambino autistico commette maggiori errori rispetto ad un bambino normodotato della stessa età ( Smith e Bryson 1994). Nell'autismo possiamo comunque notare dei fenomeni di imitazione verso parole,frasi,suoni (in caso di ecolalia) e comportamenti che a prima vista possono smentire la presenza di un deficit ma che se osservati attentamente risultano privi di significati e finalità,confermando l'ipotesi precedentemente illustrata. Quando si parla di imitazione è importante soffermarsi sul funzionamento di specifici neuroni localizzati nelle regioni frontali (corteccia premotoria e area di Broca) e parietali (Rizzolatti,1996), dedicati all'elaborazione visiva delle informazioni sulle azioni svolte dagli altri. Si tratta dei cosiddetti neuroni mirror o neuroni specchio scoperti da Rizzolatti tra la fine degli anni '80 e gli inizi degli anni '90. 29 Inizialmente furono individuati nelle scimmie (precisamente nella circonvoluzione frontale inferiore F5) e successivamente negli uomini,dei neuroni che si attivano sia quando si esegue un'azione sia quando osserviamo qualcun altro fare la stessa azione in particolare con la bocca,con le mani e con i piedi. I neuroni mirror non rispondono solo ad uno specifico movimento ma anche in base allo scopo del gesto indipendentemente dal fatto che sia eseguito od osservato grazie alla risonanza affettiva e capacità empatica verso l'altro. Inoltre queste cellule non sono puramente motorie o sensoriali,hanno un duplice ruolo nella capacità degli esseri umani di comprendere le azioni e intenzioni altrui (Cornelio-Nieto,2009). Quando si è testimoni di un' azione l'osservatore comprende l'azione dell'altro mimandola dentro di sè,infatti è possibile prevedere e interpretare uno stato mentale dell'altro ricostruendo dentro di sè la sua azione grazie all'attivazione dei neuroni specchio e della sua capacità empatica. Queste osservazioni confermano l'ipotesi che questi neuroni non solo inviano segnali motori ma consentono all'uomo di determinare le intenzioni di altri individui simulando mentalmente le loro azioni. Nelle scimmie, il ruolo di questi neuroni può essere limitato alla previsione di semplici azioni dirette ad un preciso scopo ma negli esseri umani possono essere alla base della capacità di interpretare e prevedere le intenzioni altrui più complesse. La coincidenza tra la sede dei neuroni specchio negli esseri umani e quella del modulo di ToMM fa sì che la disfunzione di questo sistema neurale sia inserita nel disturbo autistico . Dal momento che l’autismo si identifica in un deficit generale della comunicazione dato da un cattivo funzionamento del ToMM, è plausibile stabilire che il sistema dei neuroni specchio sia implicato anche in altre abilità cognitive dipendenti da questa componente e compromesse in presenza di autismo. L’attività del sistema dei neuroni specchio e la sua manifestazione attraverso la capacità imitativa rappresenta dunque un punto comune nello sviluppo ontogenetico sia del linguaggio che del ToMM. Secondo Baron-Cohen (1997), tale sistema è localizzato nella corteccia orbito-frontale, sia dell’emisfero destro che sinistro. 30 Proprio nella regione frontale di quest’ultimo emisfero è normalmente situata l’area di Broca, sede umana dei neuroni specchio. È allora automatico stabilire che un completo o parziale deficit del sistema dei neuroni mirror sia caratteristico dei soggetti autistici, e che, contemporaneamente, possa apportare sia un non-sviluppo che uno sviluppo deficitario di competenze socio-comportamentali e linguistiche, pressoché inscindibili nei casi di tale patologia. Come dimostrato dai vari studi è possibile affermare che entrambi i sistemi sono coinvolti nella comprensione ed inferenza di azioni ed intenzioni ,con particolare attivazione dei neuroni mirror durante l'elaborazione visiva delle azioni altrui (come e cosa) e della Teoria della Mente durante l'elaborazione delle intenzioni (perchè). L'appropriata integrazione tra l'intenzione e i mezzi è possibile grazie alla connessione di questi due sistemi,possibile ad aree cerebrali tra cui la corteccia prefrontale mediale,la corteccia cingolata posteriore e il solco temporale superiore a livello della giunzione temporo-parietale che li mantengono in continua comunicazione. Per rilevare la connessione e la compromissione di determinati sistemi in soggetti autistici Lange ha condotto uno studio osservazionale su un campione sperimentale composto da ventisei soggetti con autismo e un gruppo di controllo composto da ventotto soggetti con normale sviluppo. Ai partecipanti venivano presentati sedici blocchi di immagini di cui otto per il compito di intenzione e otto per l' attività mezzi. Ogni blocco era composto da quattro immagini ciascuna delle quali raffigurava l'intenzione del modello attraverso l'uso di oggetti comuni. A questo punto ciascun partecipante era chiamato ad indicare in primis se l'intenzione dietro l'azione del modello era ordinaria o inusuale e successivamente se i mezzi o il modo in cui è stata fatta l'azione era corretta o meno. Durante lo svolgimento dei compiti di intenzione tramite FMRI è stata rilevata una maggior attività a carico del giro frontale di sinistra e 31 destra,del solco temporale superiore,della giunzione temporo-parietale e della corteccia cingolata posteriore mentre durante l'attività mezzi nel cingolo centrale di destra e sinistra e nel lobulo parietale inferiore. Confrontando i rilevamenti FMRI tra i due gruppi è stata rilevata una connettività e attivazione fortemente ridotta in soggetti autistici rispetto al gruppo di controllo in particolar modo nelle aree frontali e temporo-parietali. Dai risultati ottenuti Lang ha potuto confermare l'alterata attivazione e compromissione nelle funzionalità e connessione di questi due sistemi fondamentali per la relazione. In conclusione è possibile definire che la disfunzione del sistema dei neuroni mirror nella sindrome dello spettro autistico determina l'incapacità di comprendere le azioni degli altri e di considerarli come esseri pensanti con intenzioni e motivazioni intellettuali (Cornelio-Nieto,2009). Gli studi di anatomia neurologica dimostrano le connessioni tra corteccia orbito frontale,il solco temporale superiore e l'amigdala quando si attiva il meccanismo TOMM. La corteccia orbito frontale è situata nella superficie centrale dei lobi frontali in una posizione che Brodmann definì come aree 10-14. Le lesioni a carico di questa area determinano la perdita del ruolo sociale,modifiche nel comportamento,la ridotta capacità di giudizio,il ridotto senso del pericolo e l'anomalo uso del linguaggio a causa delle alterazioni che interessano l'area di Wernicke per la comprensione del linguaggio. Anche le lesioni a carico dell'amigdala determinano sintomi tipici dell'autismo come l'anomala percezione sociale,l'incapacità di attribuire un significato emotivo agli stimoli,l'ipersensibilità e la manifestazione eccessiva di ansia e paura. 2.4. Altre ipotesi interpretative I disturbi dello spettro autistico sono contraddistinti da menomazioni nell'interazione sociale,nella comunicazione,nella capacità immaginativa e da schemi ripetitivi e stereotipati. E' per questa eterogeneità che ancora ad oggi non è stato individuato un meccanismo patogenetico alla base di determinato disturbo. 32 Baron-Cohen (2000) pone alla base dell'autismo il deficit della Teoria della Mente ma nonostante ciò un deficit metarappresentativo e metacognitivo non è in grado di dare una spiegazione all'autismo. Innanzitutto la Teoria della Mente è un deficit che si manifesta a partire dal quarto anno di vita mentre la tipica sintomatologia autistica ancor prima di questo periodo,inoltre i deficit sociali non dipendono esclusivamente dal malfunzionamento metacognitivo o dalla sua assenza come nel caso dei comportamenti stereotipati,il deficit linguistico e la difficoltà incontrata nei processi di pianificazione ed organizzazione di un piano d'azione (Williams). Per questo gli studiosi hanno ricercato ulteriori ipotesi e teorie in grado di dare una spiegazione alla vasta gamma dei sintomi autistici. Teoria Socio- Affettiva Secondo questa teoria vi è una predisposizione innata ad interagire con l'altro (Hobson,1993). Si tratta di un bisogno innato che presuppone l'esistenza di strutture encefaliche il cui funzionamento determina l'elaborazione di stimoli sociali,che viene definito con diversi termini, quali empatia non inferenziale (Hobson, 1989) o intersoggettività primaria (Trevarthen et al., 2001). Il lattante fin dai primissimi momenti di vita mostra un interesse per l'altro che viene riconosciuto come "qualcosa che è simile a me" e stimola il bisogno di relazione. Questa abilità è determinata da un modulo cognitivo già esistente alla nascita e che si sviluppa progressivamente nel tempo grazie alle esperienze emozionali e relazioni vissute dal bambino nel corso della vita. L'autismo, secondo questa teoria è caratterizzato da un'innata incapacità di interagire,di condividere emozioni e di imparare a riconoscere gli stati mentali dell'altro oltre ai deficit a carico della cognizione sociale,del linguaggio e dei processi di simbolizzazione. Debolezza della coerenza centrale Frith (1989) ha tentato di spiegare le disfunzioni sociali nell’autismo ipotizzando un danno specifico della capacità di integrare l’informazione a differenti livelli. 33 Una caratteristica del normale processo di elaborazione delle informazioni evidenzia la tendenza di riunire insieme le diverse informazioni per costruire sempre più alti livelli di contesto del significato. Questa caratteristica universalmente condivisa del processo di elaborazione dell’informazione è disturbata nella sindrome autistica e una carenza a livello di coerenza centrale potrebbe spiegare, almeno in parte, i deficit che si riscontrano. Infatti, la debole spinta verso una coerenza interna sarebbe in grado di spiegare la triade di sintomi dell'autismo (a livello comunicativo, di interazione sociale e di comportamento). Si tratta quindi della capacità di sistematizzare in modo coerente le esperienze che permettono di accrescere le conoscenze,un abilità assente o deficitaria in bambini autistici che invece presentano: - un'incapacità di cogliere lo stimolo nel suo complesso; - un'elaborazione segmentata dell'esperienza; - un'incapacità di accedere dal particolare al generale; - una polarizzazione esasperata su frammenti di esperienza. Una condizione che porta il bambino a non cogliere il significato degli stimoli nel loro complesso ma a rimanere legato solo a dati parcellizzati dell'esperienza. Deficit delle funzioni esecutive I sintomi comportamentali tipici dello spettro autistico possono essere spiegati dalla presenza di un deficit a carico delle funzioni esecutive ovvero di una serie di abilità,alla base dei processi di organizzazione e pianificazione dei comportamenti di risoluzione dei problemi. Tra queste abilità troviamo: - la capacità di mantenere attiva un'area di lavoro contenente tutte le informazioni inerenti al compito in esame; - la capacità formulare mentalmente un piano d'azione; - la capacità di non soffermarsi esclusivamente sulla formulazione della risposta e sui dati percettivi che provengono dall'ambiente esterno; - la capacità di inibire le risposte impulsive; 34 - la capacità di essere attenti ai feedback; - la capacità di spostare l'attenzione sui vari aspetti del contesto. Queste capacità si acquisiscono durante lo sviluppo e rappresentano il nucleo centrale di complesse strutture cognitive che in neuropsicologia sono definite come funzioni esecutive. Il primo a definirle è stato Shalice per descrivere quelle funzioni cognitive superiori che sono deputate all'esecuzione di compiti cognitivi e motori mediante l'inibizione degli stimoli, la capacità di automonitorarsi,giudicare e correggere se stessi e programmare i vari processi decisionali. In altre parole consistono in una serie di operazioni mediate dai lobi frontali, che consentono il controllo volontario del comportamento cognitivo e motorio (Job, 1998). Sono stati ipotizzati due modi di controllo: uno automatico ed uno volontario (Norman e Shallice, 1986; Shallice, 1988). I processi di controllo automatico vengono attivati in situazioni abituali, quando il comportamento consiste in sequenze d'azione ben apprese (ad esempio guidare l'auto in condizioni di tranquillità per un autista esperto). In genere sono le condizioni esterne ad attivare automaticamente le sequenze d'azione e queste vengono eseguite in modo fluido e senza richiedere attenzione. Il controllo automatico consente anche l'esecuzione di più azioni contemporanee (ad esempio: guidare la macchina in un percorso conosciuto e seguire la radio o tenere una conversazione). I processi di controllo volontario vengono attivati, invece, in situazioni nuove o che richiedono azioni intenzionali, con il comportamento che viene organizzato in relazione agli scopi personali e non alle condizioni-stimolo esterne (ad esempio: porre attenzione alla guida per seguire delle indicazioni in una città non conosciuta). Questi processi assolvono alla funzione di assicurare il massimo di flessibilità al comportamento, che altrimenti sarebbe limitato ad attività stereotipate e permettono di interrompere e correggere sequenze di azioni già avviate (Job, 1998). Le aree cerebrali implicate nell'organizzazione delle funzioni esecutive sono rappresentate dalla corteccia prefrontale e ai nuclei della base,regioni ricche di neuroni dopaminergici e noradrenergici il cui metabolismo e funzionamento risultano alterati in bambini affetti da autismo. Come afferma la Ozonoff (1995), alcuni aspetti dell'autismo ricordano 35 i deficit della funzione esecutiva che seguono un danno frontale. Il comportamento delle persone autistiche, infatti, appare spesso rigido ed inflessibile; molti bambini autistici sono angosciati ad ogni modificazione dell'ambiente e insistono a seguire la loro routine in maniera ossessiva (Turner, 1998), tendono a concentrare l'attenzione su aspetti minimali e a dar vita a comportamenti stereotipati, possono essere impulsivi e avere difficoltà a ritardare o inibire le risposte. Alcuni individui autistici possiedono ampia memoria meccanica, ma non accennano ad utilizzare in maniera funzionale questa capacità. Sembrano esistere, quindi, una serie di analogie a livello comportamentale fra deficit prefrontali e autismo. Questo deficit inoltre può essere responsabile: - dell'impulsività (dovuta all'incapacità di inibire le risposte inappropriate); - dell'ipersensibilità (per l'incapacità di cogliere il tutto senza rimanere ancorato al particolare); - della perseverazione ( per l'incapacità di ridirezionare flessibilmente l'attenzione). Anche tale modello, così come quello della Coerenza Centrale, individua nell’Autismo un deficit cognitivo di natura “generale” e non limitato all’elaborazione degli stimoli sociali (come ipotizzato, viceversa, dal Deficit della Teoria della Mente). 36 CAPITOLO 3 Valutazione diagnostica Nei cinquant'anni che sono trascorsi da quando l'autismo è stato riconosciuto per la prima volta, la patologia ha continuato ad essere diagnosticata con troppo ritardo. Durante gli anni ottanta era comune che l'autismo passasse inosservato fino al momento in cui il bambino raggiungeva l'età scolare in quanto, sia i genitori che il medico spiegavano i tipici sintomi come una fase di passaggio o un lieve segno di ritardo nello sviluppo. Attualmente grazie ad un’accurata anamnesi familiare e personale, all' osservazione clinica e all’utilizzo di strumenti di valutazione standardizzati è possibile diagnosticare l'autismo a partire dal terzo anno d' età,quando iniziano a manifestarsi i primi tipici sintomi della patologia. I bambini con un possibile disturbo dello spettro autistico, dovrebbero essere valutati da un team di professionisti con esperienza nella diagnosi dei disturbi pervasivi dello sviluppo,in quanto fondamentale è una diagnosi precoce che permette un immediato intervento terapeutico,capace di determinare dei miglioramenti nello sviluppo e sintomatologia del disturbo. Una diagnosi precoce che potrà essere ottenuta osservando il comportamento del bambino e rilevando uno sguardo assente nel lattante,lo scarso interesse per gli altri,l'assenza di sorriso e angoscia davanti agli estranei,l'assenza di pianto quando la madre si allontana e il rifiuto verso il contatto fisico. Anche l'asimmetria posturale nello sviluppo predeambulatorio ( giacere, raddrizzarsi, sedere, camminare a carponi, stare in piedi e camminare) è considerata un indicatore precoce dei disturbi dello spettro autistico. Il comportamento sociale del bambino, è organizzato secondo schemi geneticamente predeterminati che hanno l'obiettivo di inviare segnali 37 alla madre come nel caso del pianto,primo segnale comunicativo fin dai primissimi momenti di vita. Nei bambini autistici però è possibile rilevare un pianto anomalo che comporta la difficile comprensione da parte dell'adulto con conseguenti sentimenti di disagio e risposte inappropriate (Esposito e Venuti,2009). Infatti sono state riscontrate delle compromissioni nelle aree coinvolte nella modulazione del pianto ovvero nella zona del tronco encefalico e del sistema limbico. Prendendo spunto dal DSM IV ,per delineare il profilo diagnostico dell'autismo,è necessario rilevare: - un esordio della sintomatologia entro i trenta mesi di età; - una carenza globale di reattività nei confronti di altre persone; - un deficit grossolani nello sviluppo del linguaggio ; - la presenza di forme espressive verbali caratterizzate da ecolalie, stereotipie, inversioni di pronomi, enunciati incomprensibili; - la presenza di reazioni bizzarre a vari aspetti dell'ambiente, come ad esempio resistenza ai cambiamenti, interesse particolare o inusuale attaccamento per oggetti prevalentemente inanimati; - Aggressività verso se stessi o verso gli altri (non nella totalità dei casi) ; - Il mancato o inadeguato raggiungimento di altre abilità non verbali, quali le autonomie, i comportamenti sociali, le capacità di adattamento. 3.1 Strumenti diagnostici nell'autismo La diagnosi di Autismo è basata su criteri esclusivamente comportamentali,ciò comporta la necessità di adottare procedure diagnostiche altamente standardizzate, integrate da strumenti di valutazione validati a livello internazionale, quali l'Autism Diagnostic Interview – Revised (ADI-R), l’ Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS), la Childhood Autism Rating Scale (CARS) , L'Autism Behavior Checklist (ABC) e il Gillian Autism Rating Scale (GARS). ADI-R Autism Diagnostic Interview – Revised (Lord et al., 1994) 38 E' un'intervista semi-strutturata rivolta ai genitori, che indaga sulla relazione sociale,sulla comunicazione e sui comportamenti rituali e stereotipati. Rappresenta un modo standardizzato e sistematico di usare le descrizioni del comportamento fatte dal genitore,per determinare il processo di sviluppo e le caratteristiche comportamentali che soddisfano i criteri diagnosti per l'autismo. E' uno strumento composto da novantatre item,la cui somministrazione richiede un tempo compreso tra i novanta minuti e un'ora e trenta minuti circa,oltre a training specifici e successive procedure di convalida. Ha la capacità di differenziare i soggetti con autismo da quelli con deficit mentale,sia bambini che adulti,con il limite che al di sotto di un'età mentale di diciotto - ventiquattro mesi perde specificità e attendibilità. ADOS Autism Diagnostic Observation Schedule (Lord et al., 2000) E' uno strumento osservativo semi-strutturato,complementare all'intervista semi-strutturata per i genitori (ADI-R), molto utilizzato per la diagnosi dell'autismo. Si tratta di un test la cui somministrazione richiede dai trenta ai quarantacinque minuti,oltre alle successive procedure di convalida,a partire dai due anni d'età (anche in soggetti non verbali) fino all'età adulta. E' utilizzato per la valutazione della comunicazione,della reciprocità sociale,del gioco simbolico e dei comportamenti stereotipati. L'ADOS permette di valutare il comportamento del soggetto in risposta a specifici stimoli ed attività,per la rilevazione delle informazioni sociali e comunicative. Tutte queste situazioni sono organizzate,al fine di attivare una serie di comportamenti,ai quali in seguito ad un accurata codifica,sarà attribuito un punteggio da parte dell'osservatore. CARS Childhood Autism Rating Scale (Schopler et al., 1988) Si tratta di una scala valutativa del comportamento autistico che prevede una somministrazione di circa trenta minuti a partire dai due 39 anni d'età. E' uno strumento che permette di esplorare e valutare quindici aree di sviluppo quali: - relazioni interpersonali; - l'imitazione; - l'affettività; - l'utilizzo del corpo; - il gioco e l'uso degli oggetti; - il livello di adattamento; - la responsività agli stimoli visivi; - la responsività agli stimoli uditivi; - le modalità sensoriali; - le reazioni d'ansia; - la comunicazione verbale; - la comunicazione extra-verbale; - il livello delle attività; - il funzionamento cognitivo; - le impressioni generali dell'esaminatore. A ciascun'area viene attribuito un punteggio da 1 a 4 ( 1= normalità; 2= lievemente anormale; 3= moderatamente anormale; 4= gravemente anormale). La somma può variare tra i 15 e i 60 punti ed esprimere la gravità del disturbo; se il punteggio è superiore ai 31 è possibile rilevare la presenza di una situazione autistica nei bambini mentre negli adolescenti è necessario raggiungere i 27 punti. GARS Gillian Autism Rating Scale 40 (Gilliam,1995) E' una checklist rivolta ai genitori,agli insegnanti e ai professionisti per identificare la severità dei sintomi autistici nei soggetti con età compresa tra i tre e i ventidue anni. E' uno strumento suddiviso in quattro sottogruppi: - comportamenti stereotipati; - comunicazione; - interazione sociale; - sottotest opzionale che descrive lo sviluppo durante i primi 3 anni di vita. ABC L'Autism Behavior Checklist (Krug,Arid,Almond,1980) E' una scala valutativa composta da cinquantasette domande,ciascuna delle quali si riferisce ad un particolare comportamento, suddivise in cinque categorie: - linguaggio; - socializzazione; - uso degli oggetti; - sensorialità; - autonomia. Viene utilizzato a partire dai diciotto mesi per la valutazione degli effetti dovuti all'intervento terapeutico durante le visite periodiche piuttosto che come strumento diagnostico. 3.2 Test specifici per indagare lo sviluppo della Teoria della Mente Per indagare sullo sviluppo della teoria della mente è possibile utilizzare specifici test,come suggerito da Baron-Cohen. 41 Il test della distinzione delle prestazioni psicofisiche, permette di rilevare la capacità del bambino nel distinguere le entità mentali da quelle fisiche. Questo metodo consiste nel raccontare una storia in cui un personaggio ha un esperienza mentale (ad esempio il pensiero di avere un determinato oggetto), mentre l'altro ha un'esperienza fisica e reale( ad esempio il possesso effettivo dell'oggetto). Dopo ogni storia viene chiesto al soggetto di giudicare quale personaggio, secondo lui,ha la possibilità di produrre un azione sull'oggetto in esame (ad esempio toccarlo). La maggior parte dei bambini normodotati di tre - quattro anni risponde correttamente al test,indicando che è il personaggio che possiede l'oggetto quello che lo può toccare,a differenza dei bambini autistici che non sono in grado di distinguere le entità mentali da quelle fisiche (Baraon-Cohen, 1989). Normalmente i bambini di quattro anni superano con facilità anche il test della distinzione dell'apparenza-realtà. A tal proposito Flavell,Green e Flavell(1986) hanno dimostrato che, quando vengono loro presentati oggetti dall'apparenza ingannevole ( come una spugna dipinta in maniera tale da sembrare un sasso), i bambini erano in grado di dire non solo a cosa somigliasse ma anche che cosa fosse in realtà. Per far questo è necessario cogliere il significato di entrambi gli oggetti e rappresentare mentalmente sia l'oggetto per come è effettivamente e per quello che appare. E' stato così possibile dimostrare che i bambini normodotati, rispetto a quelli autistici possiedono la capacità di distinguere tra la loro credenza iniziale e la loro conoscenza attuale dell'oggetto (BaronCohen,1898). Una difficoltà incontrata anche nel superamento delle prove di comprensione delle metafore,del sarcasmo,delle battute e dell'ironia. Queste prove richiedono un livello metacognitivo più alto che viene normalmente acquisito intorno agli otto anni, che non si sviluppa neanche nei bambini autistici ad "alto funzionamento". Se lo sperimentatore definisce una tazza con il termine scarpa,il bambino normodotato ne riconosce l'ironia, comprendendo 42 l'intenzione di scherzare dell'adulto,a differenza dei bambini autistici che dichiarano solo lo sbaglio commesso,senza comprenderne l'ironia e il sarcasmo. Un ulteriore aspetto che caratterizza la teoria della mente è la capacità di applicare al mondo delle emozioni la comprensione delle credenze. I bambini normodotati hanno la capacità di riconoscere sia le emozioni primarie ( come la gioia e la tristezza) che quelle secondarie( come la vergogna e sorpresa),a differenza degli autistici che non hanno la capacità di interpretare e comprendere quest'ultime in quanto basate su credenze (Baron-Cohen,Spitz e Cross 1993). Nella prova di comprensione delle cause delle emozioni è importante tener presente che le emozioni possono essere determinate sia da eventi fisici che da stati mentali,come credenze e desideri. Baron-Cohen (1991) attraverso i suoi esperimenti ha scoperto che anche i bambini autistici sono consapevoli,del fatto che le emozioni possono essere causate da situazioni,manifestando però una significativa inferiorità rispetto ai bambini normodotati, nel prevedere le emozioni del personaggio qual'ora sono basate su una sua credenza. Il test per la comprensione delle funzioni della mente è stato originariamente ideato da Wellman ed Estes per capire come il bambino concepisce le funzioni mentali . Una volta chiesto ai bambini a cosa serve il cervello,in risposta molti fanno riferimento ad una serie di funzioni mentali come il sognare,il pensare e al suo ruolo nel comportamento. I bambini autistici pur conoscendo la collocazione del cervello e le sue funzioni fisiche non sono in grado di menzionare le sue funzionalità mentali (Baron-Cohen,1989). Il test sulla falsa credenza ha finito per rappresentare lo strumento per verificare la presenza della capacità di mentalizzazione. Si parla di test sulla falsa credenza di primo ordine qual'ora il soggetto è chiamato ad inferire solo sugli stati mentali altrui,a differenza da quello di secondo ordine in cui il bambino è chiamato a comprendere delle credenze sulle credenze(ad esempio cosa Marco pensa che Maria pensi). Nella sua versione più classica, il test sulla falsa credenza consiste nel 43 presentare al bambino una scenetta con due personaggi in cui il primo( Maxi) mette l’oggetto che tiene in mano (ad esempio un dolcetto) in un determinato posto prima di uscire dalla stanza. In sua assenza, il secondo personaggio sposta l’oggetto da un cassetto della scrivania (dove era stato riposto da Maxi) a un’anta dell’armadio. A questo punto, Maxi rientra con l’intenzione di riprendere il dolcetto nascosto in precedenza mentre lo sperimentatore chiede al bambino dove Maxi andrà a cercarlo. La risposta corretta, ovvero che lo cercherà là dove crede che sia (e cioè nel cassetto della scrivania), equivale al riconoscimento della falsa credenza. Questa risposta viene fornita dalla totalità dei bambini normodotati solo a partire dai quattro - cinque anni ( Wellman, Cross e Watson, 2001). L'obiettivo del test è quello di rilevare la capacità di prevedere il comportamento di un altro individuo se fondato su una credenza che il bambino sa essere falsa nella realtà dei fatti, proiettando la sua opinione della realtà sull'altro soggetto. Il bambino sottoposto al test considera questo comportamento come uno stato mentale intenzionale dell'altra persona, che coincide con la falsa credenza che esiste solo nella mente dell'altro e non in quella del bambino,che è in grado di distinguerla ed attribuirla al prossimo. Pertanto è possibile definire che verso i quattro anni i bambini normodotati distinguono chiaramente lo stato reale delle cose dalla credenza di un'altra persona, con la capacità di predire il loro comportamento in funzione della sua rappresentazione mentale. I bambini autistici non possiedono ne la capacità di dissociare la propria rappresentazione da quella altrui,ne di comprendere che l'altro si rappresenta la realtà in funzione delle conoscenze a questi disponibili. Solo pochi bambini autistici sono in grado di superare questi test in quanto sviluppano la capacità di comprendere le credenze,una competenza che emerge intorno ai sei anni d'età,quindi più tardi rispetto ai bambini normodotati nei quali si manifesta a partire dai quattro anni. Quest'ultimi pur capaci di superare correttamente i test di primo ordine non sono in grado di superare quelli di secondo ordine,più 44 difficili e complessi ( Happè,1994). Alcuni autistici ad alto funzionamento o con sindrome di Asperger possono superare i test di falsa credenza di secondo ordine durante l'adolescenza,riscontrando delle difficoltà nei test più avanzati di Teoria della Mente come quelli che implicano la deduzione dell'inganno (Happè,1994)o la decodifica di stati mentali derivati dall'espressione compiuta dalla fascia degli occhi (Baron-Cohen,2001). Il meccanismo della falsa credenza è anche alla base della comprensione dell'inganno. Altre prove che dimostrano il deficit a carico della Teoria della Mente nei bambini autistici provengono da uno studio naturalistico sull'inganno nell'autismo, nel quale viene chiesto al bambino di nascondere una monetina nella mano (Baron-Cohen,1992). Attraverso vari tentativi pur riuscendo a tenere lontano l'oggetto dal campo visivo non riescono a nascondere i segnali visibili,che permettono alla persona chiamata ad indovinare di inferire su dove si trova la moneta. Per esempio omettono di chiudere la mano,nascondono la moneta sotto gli occhi della persona che deve indovinare oppure suggerendo dove è stata nascosta. I bambini normodotati o affetti da handicap mentali (ma non da autismo)compiono meno errori di questo tipo,completando correttamente il test. Infatti i bambini autistici dimostrano grosse difficoltà nelle prove d'inganno che possono comprendere sia una comprensione che una produzione (Baron-Cohen,2000). Nella prova di riconoscimento di parole che riguardano i stati mentali,il bambino autistico incontra molte difficoltà nell'individuare e nel riconoscere le parole (come pensare,sognare) relative a stati mentali propri e altrui (Baron-Cohen,1994). Questo è dovuto sia da un deficit della teoria della mente ma anche dal carente possesso del lessico psicologico,determinante della mancata e limitata presenza di parole legate a stati mentali,nelle conversazioni spontanee,nelle descrizioni e nelle storie. Nella prova per testare la capacità di dedurre cosa l'altro desidera tramite la direzione dello sguardo, i bambini con normale sviluppo a partire dai quattro anni, sono in grado di capire ciò che la persona 45 sta pensando, attraverso la direzione degli occhi (Baldwin,1991 e Bruner,1983). Gli occhi rappresentano una vera e propria modalità comunicativa,il bambino per indicare un oggetto alterna il suo sguardo tra l'oggetto in esame e il volto dell'adulto, finché quest'ultimo guarda nella stessa direzione. Il bambino,con questo, non intende solo influenzare il comportamento dell'altro ma anche di influenzare lo stato interno altrui ,come il provare interesse per qualcosa o il condividere un'esperienza (Camaglioni,1998). I bambini normodotati utilizzano la direzione dello sguardo sia per raggiungere un determinato scopo e come attribuzione di intenzione (cioè la rappresentazione dell'altro come individuo che ha intenzioni e comprende quelle altrui), un comportamento che non si sviluppa nei bambini autistici. Il deficit relativo all'intenzionalità è possibile rilevarlo tramite le prove di comprensione delle intenzioni. Se al bambino dopo aver chiesto di sparare, con una pistola giocattolo, ad uno dei bersagli presenti e di dichiarare la destinazione, i bambini normodotati rispondono correttamente, indicando il bersaglio che avevano intenzione di colpire. I bambini autistici invece,non comprendendo le proprie intenzioni rispondono in riferimento al risultato effettivo,commettendo errori nel test. Nei bambini autistici che hanno acquisito il linguaggio sembra essere presente un inadeguato sviluppo della fonologia,della sintassi,della semantica e della pragmatica (Tager-Flusberg,1981-1989). La pragmatica si riferisce alla capacità di definire le relazioni tra il linguaggio e chi lo usa,in rapporto agli scopi,ai bisogni,ai ruoli e alle intenzioni di chi parla oltre che al contesto. La pragmatica non verbale si riferisce alla produzione ed interpretazione delle espressioni facciali, dei gesti e delle posture assunte durante la relazione con l'altro. Infatti i bambini autistici non guardano negli occhi la persona con cui stanno parlando,non usano gesti,espressioni e non condividono le loro emozioni con l'altro. Similmente è presente un deficit nella pragmatica verbale,per questo non hanno iniziativa comunicativa spontanee,non sono in grado di 46 sostenere una conversazione e di utilizzare regole conversazionali come il rispetto dei turni e dell'argomento centrale della conversazione (Grice,1975). Inoltre,attraverso le prove di pragmatica è emerso che i bambini autistici non sono in grado di adattare il discorso al proprio interlocutore,di adeguare il contenuto del proprio discorso in base a ciò che l'interlocutore sa o ha bisogno di sapere. Infine il test dell'immaginazione è rilevante per la teoria della mente,in quanto consente di costruire un mondo irreale unicamente esistente nella propria mente e nell'essere in grado di rifletterci. Questa capacità appare assente in caso di autismo,anche a causa dei deficit delle funzioni esecutive, che sopprimono gli approcci tradizionali al disegno. Se al bambino viene chiesto di disegnare oggetti irreali o impossibili, proprio per l'incapacità di immaginazione e rappresentazione mentale, risultano riluttanti e incapaci davanti a determinate richieste (Baron-Cohen,2001). Il THOMAS (Theory of Mind Assessment Scale) è uno strumento diagnostico che valuta direttamente e in modo esplicito,la capacità di teorizzare sulla mente propria e su quella altrui. Si tratta di un'intervista semi-strutturata applicata in un colloquio tra intervistatore ed intervistato,dove quest'ultimo è chiamato ad esprimere direttamente la propria conoscenza sui propri stati mentali e su quelli degli altri. E' un'intervista composta da varie domande aperte,che lasciano la possibilità all'intervistato di esprimere il proprio pensiero e qual'ora ciò non avviene,all'intervistatore spetta di motivarlo e stimolarlo nella risposta anche attraverso esempi reali e di vita quotidiana. Le domande sono organizzate in quattro scale: -Scala A,Io-Me relativa alla conoscenza che il soggetto intervistato ha dei propri stati mentali, (ad esempio, «Sono infelice>>); -Scala B, Altro-Sé relativa alla conoscenza che le altre persone hanno dei propri stati mentali (ad esempio «Le altre persone sanno quello che vogliono»); -Scala C, Io-Altro relativa alla conoscenza che, dal punto di vista del soggetto, le altre persone hanno degli stati mentali del soggetto stesso (ad esempio, «Gli altri pensano che io sia un inetto»); 47 -Scala D, Altro-Me relativa alla conoscenza che il soggetto ha degli stati mentali degli altri (ad esempio, «Credo che le altre persone ottengano quello che vogliono»). Ognuna delle seguenti scale esplora la consapevolezza,la relazione e realizzazione degli stati mentali. La consapevolezza è la capacità che il soggetto ha di percepire e differenziare in sé e negli altri credenze, desideri ed emozioni e riconoscere i differenti stati mentali, per poter comprendere le relazioni causali che li legano l’uno all’altro e al mondo esterno. La relazione è la capacità di cogliere le relazioni causali tra i diversi stati mentali e i comportamenti che ne discendono e la realizzazione è l’effettiva capacità di mettere in atto strategie per raggiungere gli obiettivi desiderati. Una volta terminata l'intervista,per ogni risposta viene attribuito un punteggio da 0 a 4,punteggi che vengono inseriti in una griglia di siglatura pronta per essere esaminata. Tutte le informazioni aggiuntive,come le altre eventualmente estrapolabili dall’analisi della griglia, vanno ad integrare e arricchire in modo rilevante il profilo del soggetto intervistato. 48 CAPITOLO 4 Trattamento 4.1 Strategie di intervento Come è stato illustrato nei precedenti capitoli,l'autismo è una sindrome comportamentale,caratterizzata dalla compromissione di tutte le aree di sviluppo del soggetto che ne è affetto. Pertanto per un appropriato progetto terapeutico sono necessari una serie di interventi finalizzati al miglioramento dell'interazione sociale,della comunicazione,all'ampliamento degli interessi e ad una maggior flessibilità degli schemi comportamentali e d'azione. L'ABA (Applied Behaviour Analysis): è un metodo comportamentale utilizzato per interpretare e modificare il comportamento ,per sfruttare la formazione di riflessi condizionati e per stimolare l'acquisizione di nuove competenze. L'efficacia dell'ABA è riconosciuta fin dagli anni '60 (Baer, Wolfe e Risley,1968) ma solo a partire dagli anni '80 è stata dimostrata la sua efficacia negli interventi comportamentali, per il trattamento terapeutico di varie patologie come nel caso dell'autismo (Lovaas). Questo metodo consente ai bambini di ottenere significativi miglioramenti nelle abilità cognitive,nello sviluppo del linguaggio,nelle abilità scolastiche e in quelle adattive,con il vantaggio di mantenerle nel tempo (Mceachin,Smith e Lovaas,1993). Prima di tutto,per ottenere questo,è necessario considerare la problematicità del comportamento in esame, attraverso l'osservazione diretta del bambino nei vari contesti di vita quotidiana (a partire dall'ambiente familiare e da quello scolastico), mediante la quale è possibile identificare la frequenza,la durata e l'intensità del comportamento. 49 Per poter definire l'obiettivo da dover raggiungere grazie all'intervento comportamentale, l'ABA analizza oltre al comportamento altri tre elementi :Gli antecedenti,le conseguenze e il contesto. Fondamentale per la correzione del comportamento è l'istruzione diretta e l'insegnamento incidentale,metodi affiancati dall'utilizzo del rinforzo e delle altre tecniche comportamentali come la sollecitazione (prompting), la riduzione delle sollecitazioni (fading), il modellamento (modelling) e l'adattamento (shaping). Secondo l'approccio comportamentale l'ambiente è lo spazio fisico in cui realizzare i programmi di intervento,a differenza degli approcci evolutivi o interattivi,secondo i quali assume una valenza terapeutica perché luogo di interazione,scambio e conoscenza. Tra questi approcci troviamo il Denver Model at the University of Colorado (Rogers,2000),utilizzato nel contesto familiare e scolastico per favorire l'iniziativa, la motivazione e la partecipazione del bambino nelle interazioni sociali e il Developmental Intervention Model (Greenspan et al., 1999) il cui obiettivo è quello di incrementare sia le competenze comunicative che simboliche del bambino affinché stabilisca maggiori relazioni sociali ed espanda i propri stati emotivi all'altro. Il programma educativo TEACCH (Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped Children) è stato elaborato da Schopler agli inizi degli anni '80, con l'obiettivo di favorire e promuovere le autonomie del bambino oltre al miglioramento delle sue qualità di vita personali,sociali e lavorative. Attualmente è utilizzato per applicate un insieme di attività educative,sia individuali che contestuali,rivolte ai bambini con disturbi pervasivi dello sviluppo o con disturbi comunicativi. La messa in atto di queste attività si basa su quattro criteri : -Modello di interazione: Secondo questo criterio i bisogni del bambino e il suo potenziale di apprendimento,si possono rilevare nel contesto di interazione tra il bambino e l'ambiente esterno; -Prospettive di sviluppo: E' necessario tenere in considerazione lo sviluppo globale delle diverse aree,al fine di definire un intervento riabilitativo appropriato ed individualizzato; -Relativismo comportamentale: Il bambino presenta delle difficoltà nel generalizzare una risposta comportamentale ad ambiti diversi da 50 quelli in cui è stata appresa; -Gerarchia di addestramento: Gli obiettivi dell'intervento educativo sono mirati alla modifica del comportamento e al superamento delle problematiche che incidono sull'adattamento all'ambiente. La valutazione ,del programma TEACCH avviene mediante tre diverse modalità;la prima utilizza test intellettivi e scala standardizzate per valutare lo sviluppo del bambino;la seconda osserva i vari comportamenti e la terza è finalizzata alla raccolta delle informazioni emerse dal colloquio con i genitori, ovvero all'anamnesi personale e familiare del bambino. Si tratta di un programma educativo individualizzato che tiene in considerazione sia delle priorità della famiglia che delle predisposizioni del bambino, in modo tale da aumentare la motivazione e rendere l’apprendimento più gradevole possibile. Infine tra gli interventi terapeutici rivolti al bambino autistico viene incluso quello psicoterapeutico che si rifà alle tecniche di gioco,introdotte da Melanie Klein nel 1922,le terapie di psicomotricità,logopedia e farmacologia per il trattamento delle manifestazioni associate in comorbidità. 4.2 Training metacognitivo di Howlin, Baron-Cohen e Hadwin Come affermato nei capitoli precedenti,i bambini autistici presentano un deficit alla Teoria della Mente,considerato alla base delle compromissioni comportamentali tipiche dell'autismo. Per questo è necessario elaborare trattamenti,per promuovere le abilità mancanti o limitate nei bambini che ne sono affetti. Un programma assai efficiente è stato elaborato da Howlin, Baron-Cohen e Hadwin nel 1999, rivolto all'insegnamento di strategie per il riconoscimento degli stati mentali,all'individualizzazione delle conseguenze comportamentali prodotte da tali contenuti e per il miglioramento delle abilità sociali e comunicative. E' un intervento che prevede l'insegnamento di tre aree: - l'area delle emozioni; 51 - il sistema delle credenze e delle false credenze; - il gioco simbolico. A) Insegnare a riconoscere le emozioni: Il primo obiettivo è quello di promuovere il riconoscimento delle emozioni su di sè e sugli altri da parte dei bambini autistici. Le proposte elaborate si organizzano in cinque livelli: -Il riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografie: l'educatore mostra al bambino delle foto in cui sono raffigurati volti umani,ciascuno dei quali assume particolari espressioni facciali rispetto a ciò che il personaggio sta provando. Il bambino è invitato a riconoscere e distinguere le varie emozioni raffigurate (rabbia,paura,tristezza e felicità) inizialmente con l'aiuto dell'educatore,fino a compiti più complessi qual'ora in grado di superare correttamente il test. -Riconoscimento delle emozioni in disegni schematici: In questo caso ,al bambino non vengono mostrate delle foto bensì dei disegni quando invitato a riconoscere e distinguere le emozioni espresse dai volti raffigurati. -Identificazione delle emozioni causate da situazioni: L'obiettivo è quello di educare il bambino al riconoscimento delle emozioni come conseguenza di particolari situazioni di vita quotidiana. - Identificazione delle emozioni causate dal desiderio: A questo livello il bambino viene educato a riconoscere le emozioni,determinate dal raggiungimento o meno di quanto desiderato. - Identificazione delle emozioni causate d opinioni: Questo è il livello più elevato per il riconoscimento delle emozioni. Il bambino è impegnato a riconoscere stati emotivi contrapposti (tristezza e felicità),che si manifestano nei personaggi illustrati,in base a ciò che pensano. 52 B)Insegnamento a discriminare le false credenze: Anche in questo caso,l'intervento è organizzato in cinque livelli: -Capacità di comprendere cosa vedono le altre persone (prospettiva visiva semplice): A questo livello si vuole dimostrare come le persone vedono cose diverse in base alla loro posizione d'osservazione. Esempio: L'educatore mette un cartoncino con la figura di un elefante sul pavimento tra sè e il bambino,in modo che uno dei due veda la figura dritta e l'altro alla rovescia. Vengono quindi poste le domande sulla propria percezione:"Quando guardi la figura dell'elefante è dritta o al rovescio?" e sulla percezione altrui:"Quando la guardo io,la vedo dritta o al rovescio?" -Capacità di comprendere come la realtà percepita appare alle altre persone(prospettiva visiva complessa): Ci si focalizza su come gli oggetti possono apparire se osservati da diverse prospettive. A differenza del livello precedente,viene utilizzata un'unica raffigurazione,osservata dal bambino da diverse posizioni. -Capacità di comprendere il principio "vedere porta a sapere": Secondo questo principio per conoscere qualcosa o qualcuno è necessaria l'osservazione e la sperimentazione diretta o indiretta,che avviene mediante una valutazione su di sè e una sugli altri. -Capacità di comprendere le false credenze: Questo livello ha l'obiettivo di educare i bambini a comprendere le credenze degli altri non corrispondenti alla realtà. Il programma si articola su due esercitazioni;la prima prevede lo spostamento inaspettato di oggetti come avviene nel paradigma di Sally e Anne (Baron-Cohen,1988) e la seconda sui contenuti inaspettati. In quest'ultimo esperimento,ad un personaggio viene chiesto di indicare cosa si trova all'interno del tubo di Smarties,dal quale una volta aperto fuoriesce una matita. Successivamente viene richiuso e chiesto al bambino di prevedere la risposta di un soggetto che non era presente all'apertura del tubo,rispetto al suo contenuto. L'obiettivo è quello di educare il bambino autistico al principio 53 secondo cui;se le persone non sanno che le cose sono cambiate,pensano che siano rimaste le stesse. C) Il gioco simbolico: Anche quest'ultima fase del programma di Howlin et al. (1999) si articola su cinque livelli: Il gioco sensomotorio, il gioco funzionale emergente, il gioco funzionale acquisito,il gioco del far finta emergente e distinzione tra realtà e finzione ed infine il gioco di finzione acquisito. Attraverso il gioco sensomotorio il bambino normodotato,esplora le caratteristiche fisiche dell'oggetto mentre il bambino autistico si limita a manipolare gli oggetti,a sbatterli a terra,a tirarli in aria e a metterli in bocca. Questo livello comprende tutte quelle attività ripetitive ed ossessive come l'allineamento degli oggetti e la loro suddivisione per forma e /o colore. Nel gioco funzionale invece il bambino organizza il gioco,sostituendo degli oggetti simili tra loro,nella tipologia e nella funzionalità. In questo caso il gioco non può essere considerato di finzione in quanto il bambino non fa riferimento a capacità simboliche e non percepisce l'oggetto come reale se più piccolo (Leslie,1987). Attraverso il gioco di finzione, il bambino trasforma mentalmente un oggetto in un altro,con la consapevolezza che esiste differenza tra la vera identità dell'oggetto e quella di finzione(capacità acquisita a partire dal secondo anno di vita). Nei bambini autistici si riscontra l'assenza di tale gioco che invece risulta limitato e caratterizzato da stereotipie. A tal proposito Howlin,Baron-Cohenn e Hadwin(1999) propongono due aspetti essenziali nel gioco di finzione: 1)La sostituzione degli oggetti con altri che non hanno le stesse funzionalità; 2)L'azione fittizia. Il training metacognitivo elaborato da Howlin,Baron-Cohen e Hadwin (1999) è stato realizzato in formato CD-ROM (Pinelli e Santelli,2005). Il trattamento è presentato sotto forma di cartone animato ed è formato da otto test e training per valutare le competenze cognitive ed 54 emotive dei bambini che presentano deficit nella sfera relazionale. I bambini seguendo le vicende di due fratellini (Lillo e Lilla),con l'aiuto del cagnolino Pepe, sono stimolati al riconoscimento delle emozioni e alle comprensione degli stati mentali dei due personaggi. Le vicende illustrate sono organizzate per livelli,che ripercorrono tutti i punti delineati dalla programmazione metacognitiva elaborata da Howlin et al.(1999). Il vantaggio del training in formato virtuale è quello di poter continuare l'intervento riabilitativo anche a casa da parte dei genitori oltre che nei centri specializzati e presso le scuole dalle figure professionali che se ne occupano. L'estensione del trattamento promuove sia il consolidamento che il mantenimento delle abilità acquisite nel tempo,con il fine di migliorare le qualità di vita di bambini con deficit cognitivi,relazionali e sociali. 55 CONCLUSIONE In conclusione è possibile definire che il marcato deficit della Teoria della Mente può essere considerato come una delle cause determinanti dell'autismo,come suggerito dall'ipotesi patogenetica. La compromissione del meccanismo TOMM (Theory of Mind )è responsabile di molteplici incapacità presenti nel bambino autistico,prima fra tutte quella di attribuire stati mentali a se stesso e agli altri oltre alla mancata abilità di interpretare,comprendere e prevedere il comportamento altrui. Il bambino in questo caso non è in grado di formulare ipotesi sugli stati mentali, attribuendo un significato alla comunicazione verbale e non verbale e di persuadere l'altro,al fine di modificare le proprie opinioni e credenze sulla realtà. La possibilità di distorcere la realtà richiede un processo cognitivo complesso, in quanto da un lato l'influenzamento delle credenze determinerà una falsa convinzione e dall'altro la capacità di comprendere che l'ingannato agirà come se la convinzione falsa fosse vera (Sodian e Frith,1992). L'incapacità di fingere e soprattutto di distinguere la realtà dalla finzione è un aspetto tipico della sindrome autistica,che può essere ricondotta alla mancata acquisizione del concetto di falsa credenza,solitamente appreso intorno al quarto anno d'età. Importante non sarà solo la comprensione degli stati mentali altrui ma anche la capacità del bambino di comprendere i propri stati mentali e comportamenti. Non appena il bambino riesce ad attribuire stati mentali a se stesso può cominciare a riflettere sulla sua stessa mente con la capacità di distinguere l’apparenza dalla realtà e a riconoscere la fallibilità delle 56 sue opinioni,le cause del suo comportamento, la fonte della sua conoscenza e la capacità di esaminare nella sua mente le possibili soluzioni ai suoi problemi prima ancora di agire. Ovviamente questa capacità non sarà acquisita dal bambino autistico in quanto non è in grado di accedere ad una teoria della mente, rimanendo in una situazione di cecità mentale (Baron-Cohen,1995). Quando parliamo di cecità mentale,facciamo riferimento ad una condizione in cui non si è in grado di produrre spiegazioni o ipotizzare motivazioni riguardo al comportamento e alle azioni altrui. Questa diviene una condizione di grande svantaggio nei bambini autistici quando nell'interazione sociale devono prevedere il comportamento delle altre persone e riconoscere le intenzioni comunicative,capacità che in bambini normodotati permettono in modo veloce e accurato di attribuire gli stati mentali all'interlocutore. Infine questa condizione limita nell'autistico, la reciprocità sociale e la capacità empatica. L'empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri interpretando e condividendo le emozioni altrui, capacità alla base della Teoria della Mente. I bambini di tre anni sono in grado di capire lo stato emozionale provocato da situazioni esterne su una persona mentre a cinque anni comprendono le emozioni dell'altro basandosi su ciò che essi pensano stia per accaderle. Naturalmente questo sviluppo non avviene nei bambini autistici che per questo non hanno la possibilità di accedere al significato emotivo condiviso, che in condizioni di normalità fortifica la relazione con l'altro. E' per questa eterogeneità nella sintomatologia che ancora ad oggi non è stato individuato un meccanismo patogenetico alla base di determinato disturbo. Baron-Cohen (2000) pone alla base dell'autismo il deficit della Teoria della Mente ma nonostante ciò un deficit metarappresentativo e metacognitivo non è in grado di dare una spiegazione all'autismo. Innanzitutto la Teoria della Mente è un deficit che si manifesta a partire dal quarto anno di vita mentre la tipica sintomatologia autistica ancor prima di questo periodo,inoltre i deficit sociali non dipendono esclusivamente dal malfunzionamento metacognitivo o 57 dalla sua assenza come nel caso dei comportamenti stereotipati,il deficit linguistico e la difficoltà incontrata nei processi di pianificazione ed organizzazione di un piano d'azione (Williams). Per tale motivo è necessario tenere in considerazione le altre ipotesi interpretative e il differenziamento dei vari livelli meta-cognitivi,per la strutturazione di un appropriato intervento terapeutico e per una maggior comprensione di un disturbo così complesso qual'é lo spettro autistico. BIGLIOGRAFIA - Baron-Cohen S., Leslie A.M., Frith U. (1985) "Does the autism child have a Theory of Mind?". Cognition 21:37-46; - Baron-Cohen S. (1991) "Precursors to a Theory of Mind: understanding attention in others". In whiter A. (ed.) natural theory of mind,233-25.Oxford,basil blakwell; - Baron-Cohen S. (2001) "Theory of Mind in normal development and autism". Prisme 34:174-183; - Baron-Cohen S. (1995)" Mindblindness: an essay on autism and Theory of Mind"; Cambridge: mit press; - Baron-Cohen S., Jolliffe T., Mortimore C., Robertson M. ( 1997) "Another advanced test of Theory of Mind: evidence from very high functioning adults with autism or Asperger syndrome." Journal of child psychology and psychiatry 38:823-822; - Baron-Cohen S., Antony C., Klein K., CharmanT., Baird G., Swettenham J., Drew A., Wheelwright S. (1999) "Autism spectrum disorders at 20 and 42 months of age: stability of clinical and ADI-R diagnosis". Journal child psychology and psychiatry 40:719-732; - Baron-Cohen S., Charman T., Swettenham J., Baird G., Drew A., Cox A. (2003)" Predicting language outcome in infants with autism and pervasive development disorders". Int. J.Lang. comm. dis.38:265285; 58 - Baron-Cohen S. (1988) "Social and pragmatic deficits in autism: cognitive or affective?". Journal of autism and developmental disorders 18:379-402; - Baron-Cohen S., Wheelwright S., Hill J., Raste Y., Plumb I.(2001) "The reading the mind in the eyes: test revised version: a study with normal adults and adults with Asperger syndrome or high functioning autism". Journal child psychology and psychiatry 42:241-251; - Baron-Cohen S., Swettenham J. (1997)" Theory of Mind in autism: its relationship to executive function and central coherence". Handbook of autism and pervasive developmental disorders; John Wiley and Sons; - Baron-Cohen S. (1999) "Evolution of a Theory of Mind: psychological perspectives on hominid evolution". Oxford university press; - Baron-Cohen S., Charman T. (1992)" Understanding drawings and beliefs: a further test of the metarappresentation theory of autism". Journal chil psychology and psychiatry 33:1105-1112; - Baron-Cohen S., Ring H.A., Wheelwright S., Bullmore E.T., Brammer M.J.,Simmons A., Williams C.R. (1999) "Social intelligence in the normal and autism brain: an FMRI study". European journal of neuroscience 11:1891-1898; - Baron-Cohen S., Baird G., Charman T., Swettenham J., Wheelwright S., Drew A. (2001) "Screening and surveillance for autism and pervasive developmental disorders". Archives of disease in childhood 84:468-475; - Baron-Cohen S., Jolliffe J., Mortimore C., Robertson M. (1997) "Another advance test of Theory of Mind: Evidence from sery hogh functioning adults with autism or Asperger syndrome". Journal of child psychology and psychiatry 38:813-822; - Baron-Cohen S., Campbell R., Karmiloff- Smith A., Grant J., Walker (1995)" Are children with autism blind to the mentalistic significance of the eye?". Journal of developmental psychology 13:379-398; 59 - Baron-Cohen S. (1989) "Perceptual role- taking and protodichiarative pointing in autism". British journal of developmental psychology 7: 113-127; - Baron-Cohen S. (1994) "How to build a baby that can read minds: cognitive mechanisms in mindreading". Cahiers de psychology cognitive 13:513-552; - Baron-Cohen S. (1997) L'autismo e la teoria della mente. Casa editrice Astrolabio; - Belmonte M.K., Cook E.H., Anderson G.M., Rubenstein G.M., Greenough W.T., Beckel-Mitchener A., Courchesne E., Boulanger L.M., Powell S.B., Levitt P.R., Perry E.K., Jiang Y.H., De Lorey T.M., Tierney E. (2004) " Autism as a disorder of neural information processing: directions for research and targets for therapy". Molecular Psychiatry 9:646–663. - Bloom P., German T.P. (2000) "Two reasons to abandon the false belief task as a test of Theory of Mind". Cognition; - Bosco F.M., Colle L., Pecorara R.S., Tirassa M. (2006)" Thoms, Theory of Mind assessment scale:strumento di valutazione della teoria della mente". Sistemi intelligenti num.2; - Bowlby J. (1969)" Attachment and loss: I attachment". Hogarthpress, London; - Bowlby J. (2014) Attaccamento e perdita; volume 1 l'attaccamento alla madre. La grande biblioteca della psicologia. Fabbri editrice; - Bowlby J. (2014) Attaccamento e perdita; volume 2 la separazione dalla madre. La grande biblioteca della psicologia. Fabbri editrice; - Brandi L., Bigagli A. (2004) Neuroni specchio,linguaggio e autismo. Università Firenze; - Chakrabarti S., Fombonne E. (2001) "Pervasive dvelopmental disorders in preschool children". American medical association 285:3093-3099; 60 - Chlebowski C., Green J.A. Barton M.L., Fein D. (2010)" Using the childhood autism rating scale to diagnose autism spectrum disorders". Journal autism developmental disorders 40:787-799; - Cottini L. "La didattica metacognitiva". Università di Udine; - Dawson G., Meltzoff A.N., Osterling J., Rinaldi J. (1998) "Neuropsychological correlated of early symptoms of autism". Child development 69:1276-1285; - De Bildt A., Sytema S., Ketelaars C., Kraijer D., Mulder E., Volkman F.,Minderaa R. (2004) "Interrelationship between autism diagnostic observation schedule-generic (ADOS-G),autism diagnostic interviewrevised (ADI-R) and the diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM IV-TR) classification in children and adolescents with mental retardation". Journal of autism and developmental disorders vol.34; - Dennet D.C. (1971)" Intentional systems". Journal of philosophy 68:87-106; - Diagnostic and statistical manual of mental disorders edition IV (1994); - Diagnostic and statistical manual of mental disorders edition V (2013); - Flavell J.H. (1979)" Metacognition and cognitive monitoring a new area of cognitive. Developmental inquiry". American psychologist 34:906-911; - Flavell J.H. (2004) "Theory of Mind development: retrospect and prospect". Merrill-Palmer quarterly vol.50; - Flavell J.H., Flavell E.R., Green F.L. (1983)" Development of appearance- reality distinction". Cognitive psychology 15:95-120; - Fonzi A. (2001) Manuale di psicologia dello sviluppo. Giunzi editore; - Frith U., Morton J., Leslie A.M. (1991)" The cognitive basis a biological disorder: autism". Trends in neurosciences vol.10; 61 - Frith U., Fletcher P.C., Happè F., Baker S.C., Dolan R.J., Frackowiak R.S.J:, Frith C.D. (1995)" Other minds in the brain: a functional imaging study of Theory of Mind in story comprehension". Cognition 57:109-128; - Gallese V., Goldman A. (1998) "Mirror neurons and the simulation Theory of Mind reading". Cognitive sciences vol.2; -Gallese V.,Migone P.,Eagle M.N. (2006)"I neuroni specchio,le basi neurofisiologiche dell'intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi". Psicoterapia e scienze umane 3:543-580; - Gotham K., Risi S., Pinckles A., Lord C. (2007)" The autism diagnostic observation schedule : revised algorithms for improved diagnostic validity". Journal of autism developmental disorders 37:613-627; - Guidetti (2009) Fondamenti di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza. Il mulino; - Hansell J., Damour L. (2007) Psicologia clinica. Zanichelli; - Happè F., Frith U. (1996)" The neuropsycology of autism". Brain 119:1377-1400; - Happè F., Frith U. (2006)" The Weak Coherence Account: Detailfocused Cognitive Style in Autism Spectrum Disorders". Journal of Autism and Developmental Disorders ; - Hobson R.P. (1993)"Autism and development of mind". Hove. Sussex,Erlbaum; - Kanner L. (1943) "Autistic disturbances of affective contact". Nervous child; - Kanner L. (1971) "Follow-up study of eleven autistic children originally reported in 1943". Journal of autism and childhood schizophrenia 1:119-145; - L'approccio comportamentale,ABA e TEACCH nell'autismo; a cura della Commissione Scuola ANGSA Emilia-Romagna (2007); 62 - Leslie A.M. (2000) "Theory of Mind as a mechanism of selective attention". The new cognitive neuroscience; - Leslie A.M. (1987)" Pretense and representation: The origins of Theory of Mind". Psychological review vol.94; 4:412-426; - Levi G., Lavorare con gli autismi,dalla clinica alla terapia. Armando Editore; - Leyfer O., Folstein S.C., Bacalman S., Davis N.O., Dinh E.,Morgan J., Tager- Flusbrg H., Lainhare J.E. (2006) "Comorbid psychiatric disorders in children with autism: interview development and rates of disorders". Journal autism development disorder 36:849-861; - Libero L.E., Maximo J.O., Deshpande H.D., Klinger L.G., Kana R.K; (2014) " The role of mirroring and mentalizing networks in mediating action intentions in autism". Molecular Autism 5:50; - Linee guida Sinpia-raccomandazioni tecniche-operative per i servizi di neuropsichiatria dell'età evolutiva; - Lord C., Risi S., Lambrecht L., Cook C.H., Leventhal B.L., Di Lavore P.C., Pickles A., Rutter M. (2000)" The autism diagnostic observation schedule- generic: a standard measure of social and communication deficits associated with the spectrum of autism". Journal of autism developmental disorders vol.30; - Militerni (2009) Neuropsichiatria infantile. Idelson-Gnocchi; - Ortega J. (2010) "Applied behavior analytic intervention for autism in early childhood: meta-analysis,meta-regression and dose-response meta-analysis of multiple outcome". Clinical psychology review 30:387-399; - Ozonoff S., Goodlin-Jones B.L., Solomon M. (1999)" Evidence-based assessment of autism spectrum". Journal of clinical child and adolescent psychology 34:523-540; - Perner J., Leslie U., Frith U., Leekam S. (1989)" Exploration of the autistic child's Theory of Mind: Knowledge, Belief and communication". Child development 60:689-700; 63 - Perner J., Lang B. (1999)" Development of Theory of Mind and executive control". Cognitive sciences vol.3; - Perner J., Frith U., Leslie A., Leekam S. (1989) "Exploration of the autistic child's Theory of Mind: Knoeledge, belief and communication". Child development 60:689-700; - Premack D., Woodruff G. (1978) " Does the chimpanzee have a theory of mind?".Behavioral and brain sciences 1:515-526 Cambridge university press ; - Probst P., Leppert T. (2008) "Brief report: outcome of a teacher training program for autism spectrum disorders". Journal of autism developmental disorders 38:1791-1796; - Rizzolatti G., Fadiga L. Fogassi L., Gallese V. (1999) "Resonance behaviors and mirror neurons". Archives italiennes de biologie 137:85-100; - Rizzolatti G., Craighero M. (2004)" The mirror neuron system". Review neuroscience; - Rizzolatti G., Fabbri-Destro M. (2010) "Mirror neuron: from discovery to autism". Experimental brain research; - Rogers T., Zwaigenbaum L., Bryson S., Roberts W., Brian J., Szatmari P. (2005) "Behavioral manifestations of autism in the first years of life". International journal of developmental neuroscience 23:143-152; - Rutter R., Le Couteur A. (1994)" Autism diagnostic interview- revised: A revised version of diagnostic interview for caregivers of individuals with possible pervasive developmental disorders". Journal of autism developmental disorders vol.24; - Schopler E., Reichler R.J., De Vellins R.F., Daly K. (1980)" Toward objective classification of childhood autism: childhood autism rating scale (CARS)". Journal of autism and developmentale disorders vol. 10; - Stanley I. Greenspan, M.D.; "Research support for a comprehensive developmental approach to autistic spectrum disorders and other 64 developmental and learinig disorders: The Developmental, Individual Difference, Relationship-Based Model"; - Tadevosyan-Leyfer O., Downd M., Mankoski R., Winklosky B., Putnam S., Mc Grath L.,Tager- Flusberg H., Folstein S.E. (2003) " A principal components analysis of the autism diagnostic interviwrevised". Journal american academy of child and adolescent psychiatry 42:864-872; - Trevarthen C., Aitken K., Robarts J., Papoudi D. (1998) Children with autism second edition diagnosis and interventions to meet their needs. Net library; - Venuti P., Esposito G. (2011) Indicatori precoci dei disturbi pervasivi dello sviluppo: alcuni contributi di ricerca. Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza 78:23-35; - Volkmar F.R., Lord C., Bailey A., Schultz R.T., Klin A. (2004)" Autism and pervasive developmental disorders". Journal ok child psychology and psychiatry 45:135-170; 65