1 Product placement Bozza dell`intervento dell

annuncio pubblicitario
Product placement
Bozza dell’intervento dell’Avv. Sergio Giorcelli
STUDIO DELLA RAGIONE - GAROFALO & PARTNERS
ARGOMENTI:
1)
Sponsorship / Product Placement e Strumenti Contrattuali con gli attori e con gli
autori (sceneggiatore e regista)
2)
Il contratto con lo Spendor é un contratto di coproduzione? una pre-vendita? una
mera copertura finanziaria a fronte di una percentuale di profitti?
3)
Per la legge italiana sul cinema, che ha introdotto la possibilità di product placement,
gli introiti derivanti da tali rapporti sono da considerare voci a copertura del piano
finanziario o sono proventi derivanti dalla commercializzazione del film? a beneficio di chi?
Ovvero non sono in alcun modo assimilabili al regime economico-finanziario del film stesso?
4)
Spunti di analisi sulle difficoltà di affermazione del Product Placement.
1) La differenza principale tra la sponsorship ed il product placement, tralasciando l’ovvio, consiste
nelle diverse modalità di stipulare i contratti con gli attori e con gli autori (sceneggiatore e regista).
Difatti, nel caso della sponsorship, l’oggetto della stessa é il film nella sua interezza e, quindi, non
coinvolge direttamente l’immagine ed il nome degli attori ovvero i diritti tutelati a beneficio degli
autori.
Nel caso del product placement, invece, vi é un legame diretto fra il prodotto/marchio inserito e
l’attore all’interno della sceneggiatura e del film.
Su tali presupposti dobbiamo considerare che in particolare il contratto con l’attore deve tenere
conto del doppio ruolo dell’artista: attore da un lato, testimonial dall’altro con tutte le implicazioni
nel caso di eventuale contratto di esclusiva che leghi l’artista interprete ad un brand.
Da questo aspetto deriva, infatti, un eventuale compenso supplementare per i servizi inerenti il
ruolo di testimonial, ma sopra ogni cosa nelle attività di “casting” dovrà essere considerato quale
marchio dovrà “collocare” i propri prodotti al fine di evitare situazioni conflittuali con marchi e
per i prodotti per i quali, come sopra detto, il nostro attore possa essere testimonial su base
esclusiva.
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Nel trattare con gli attori principali, probabilmente la cosa migliore sarebbe quella di sottoporre alla
sottoscrizione la sceneggiatura (che evidenzi tutte le scene di “product placement” ed il nome del
marchio/prodotto piazzato).
Da tener conto anche del diritto degli autori (sceneggiatori e registi) all’integrità dell’opera e ai
riflessi economici che gli inserimenti di prodotti commerciali comportano.
Sarebbe dunque buona regola che gli autori o prendono atto di tale attività che rappresenta un
diritto del produttore e concedono comunque opportune liberatorie
Successivamente, é necessario prevedere la possibilità per il produttore e/o per l’utilizzatore finale
del film (distributori, broadcasters, etc.) di utilizzare, e per quali scopi, il metraggio e le scene del
film.
E’ stato difficile, fino ad oggi, prevedere tutte le possibilità contrattuali in relazione al miglior uso
del rapporto attore/marchio che la nuova legge italiana consente, perché il mercato italiano non è
solito a questi meccanismi.
2) Una tematica interessante é costituita dalla natura del ruolo che il “product placer” dovrà coprire
nella struttura di produzione.
In Italia potremmo considerare il P.P. quale nuova forma di sfruttamento del diritto di vendere/prevendere/concedere in licenza il film, o parti di esso.
Nell’utilizzate questo tipo di interpretazione possiamo raggiungere due risultati:
a) il “product placer” non sarà co-proprietario del film. Questo non rappresenta l’interesse del
produttore e , probabilmente
b) il “placer” non ha interesse nel copyright del film, perché il suo beneficio é rappresentato dalla
pubblicità attiva del suo marchio.
Per quanto riguarda quest’ultimo concetto, va considerato che lo spot con gli usuali 30 secondi é
considerato, dal mondo dei pubblicitari, una “pubblicità passiva” perché gli spettatori non hanno
scelto di vedere lo spot e quindi le difese mentali sono molto alte e forti.
Nel caso di un film con “Product Placement”, gli spettatori dello spettacolo cinematografico
vogliono realmente vedere il film (ed hanno pagato per questo) e quindi l’effetto pubblicitario é
molto più incisivo.
3)
Da quanto sopra, quale necessario corollario e conseguente ipotesi alternativa, deriva come i
ricavi di spettanza del produttore, derivanti dal P.P. siano ancora da inquadrare compiutamente
nell’ambito della “ingegneria finanziaria” del film.
Ed infatti essi:
- non rappresentano il corrispettivo economico derivante dallo sfruttamento di un vero e
proprio “diritto” sul film (le differenze tra P.P. e merchandising sono piuttosto evidenti);
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- non rappresentano né un apporto coproduttivo/associativo, né, probabilmente, il risultato
di una pre-vendita.
Al riguardo é interessante notare come la disciplina normativa attualmente vigente, introduttiva
della possibilità di P.P., non abbia in alcun modo qualificato i risultati economici del P.P., non
prevedendo la partecipazione di essi, ad esempio, al recupero del MiBAC dell’eventuale
finanziamento riconosciuto ad un film di interesse culturale.
Da quanto sopra sembra, allo stato, del tutto lecito ritenere che i risultati economici del P.P. non
trovino una allocazione, per così dire, “naturale” all’interno dell’economia del film e che, pertanto,
restino una esclusiva spettanza del produttore che, a propria discrezione, li utilizzerà per la
produzione del film stesso, o li farà propri quale utile d’impresa.
4)
Volendo provare ad ipotizzare alcune cause dello start up “pigro e faticoso” del P.P. in Italia
si possono svolgere alcune considerazioni.
Il mercato cinematografico che nel P.P. é vero maestro, gli U.S.A., al di là delle profonde ed
evidenti differenze con il mercato italiano dimensione, volumi di investimento, internazionalità
connaturata) si caratterizza per una tipologia sistemica che viene usualmente definita come “star
system”.
E’ storia del cinema statunitense il passaggio, ormai operato da molti decenni, dallo “Studios
system”, in cui i grandi Studios avevano contratti di esclusiva di lunghissima durata con gli attori
con compensi forfettari e predefiniti, potendo così comporre cast di tale ricchezza di nomi che oggi
sarebbero impensabili (si pensi all’operazione produttiva, più unica che rara, rappresentata da
“OCEAN ELEVEN /TWELVE”), all’attuale Star System ove molto spesso il film nasce attorno ad
una star di grande richiamo, su cui poi si “cuce addosso” una storia, un’ambientazione, un cast,
tutto finalizzato a valorizzare al massimo l’immagine e la performance della star.
Tale approccio produttivo/creativo, se valutato in coniugazione con la sviluppo del P.P. appare di
certo una carta vincente.
Lo Spendor pubblicitario, che cerca, naturalmente, un film su cui investire che gli garantisca un
ritorno di immagine di alto livello, sarà certamente più attratto dalla prospettiva di vedere il proprio
“brand” legato al nome di una Star di grande successo.
E questo, in certa, misura, svincola l’investimento dello Spendor dal rischio dell’esito commerciale
(box-office) del film, in quanto, comunque, poter far precedere o seguire l’uscita del film da una
campagna pubblicitaria “convenzionale” in cui le star di turno indossino quell’orologio, o guidino
quell’automobile, garantisce l’esito dell’investimento pubblicitario.
In Italia la situazione e ben più complessa.
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Infatti, il cinema Italiano si caratterizza storicamente per porre in posizione di assoluta centralità,
nella progettazione di un film, la “storia” l’intreccio narrativo, lasciando l’individuazione del cast a
valutazioni di aderenza fisiognomica e interpretativa dell’attore al personaggio descritto in
sceneggiatura, in luogo di “ritagliare” la sceneggiatura addosso all’attore prescelto.
Questo, che da un punto di vista cinematografico di certo porta ad una maggiore attenzione
qualitativa da un punto di vista artistico, rende il film molto più articolato nelle sue componenti
simboliche ed evocative, rendendo complicato individuare l’elemento cui abbinare l’oggetto di
P.P., affinché il ritorno di immagine pubblicitaria/commerciale sia, se non certo, almeno univoco
nella percezione.
Questo, unitamente al fatto che molti sceneggiatori e registi italiani, percependo ancora il P.P. come
una sorta di “agente inquinante” all’interno dell’“opera” ben difficilmente si rendono disponibili ad
inserire, nella fase editoriale dello sviluppo di un film, situazioni, ambientazioni e circostanze ad
hoc per accogliere collocazioni di P.P. porta ad una oggettiva difficoltà di individuare soluzioni di
P.P. di un certo livello e, soprattutto, diviene molto difficoltoso presentare al potenziale Spendor un
progetto che abbia caratteristiche di appeal, glamour e ‘immagine’ tali (e soprattutto di messaggio
chiaro ed univoco, in termini promo/pubblicitari) da rendere l’ipotetico investimento
ragionevolmente attraente.
Il “product placement” peraltro ha come vincolo pubblicitario ideale il film contemporaneo, e
quindi si restringe il mercato e il genere.
Da ultimo, ma non per importanza, ulteriore aspetto di criticità é rappresentato da risultati di boxoffice medi dei film italiani.
Dal punto di vista dello Spendor pubblicitario i due criteri di valutazione di un investimento
pubblicitario sono essenzialmente: ritorno e qualità di immagine del brand, numero di “contatti”,
vale a dire, quante persone ragionevolmente saranno raggiunte dal messaggio nei vari media.
E’ intuitivo che un’operazione di P.P. in cinema, sia per le argomentazioni svolte, sia per i dati
medi di box-office, porta lo Spendor ad una grande prudenza che, spesso, lo fa desistere
dall’operazione.
Si potrebbe immagine una inversione di tendenza laddove il mercato, sia cinematografico che
pubblicitario, aprisse ad ipotesi più “allargate” quali, ad esempio, rendere il film l’evento di apice
di una campagna pubblicitaria che preceda, conviva con, e segua l’uscita del film, così da innescare
un legame biunivoco in cui la campagna pubblicitaria lanciata sui media convenzionali sia anche
promozione del film ed il film, unitamente alla campagna convenzionale possano essere,
sinergicamente, strumenti di lancio del brand.
Quanto sopra porta a considerare il mondo della pubblicità (investitore pubblicitario, centri media,
agenzie, ecc.ecc.) indispensabili coprotagonisti della fase dello sviluppo dell’opera cinematografica
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a seguito delle necessarie “scansioni” narrative funzionali all’accoglimento del prodotto,
connaturato e coerente con il tessuto più propriamente editoriale dell’opera: in questo senso anche
la più recente novella del c.d. “Decreto Urbani” sulla cinematografia nazionale.
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