Teorie sul funzionamento della pubblicità Prima fase In un primo periodo la pubblicità è concepita come Réclame, ovvero come annunci elementari e informativi per promuovere le vendite attraverso argomentazioni razionali che puntavano sulle evidenziazioni dei plus funzionali e del contenuto tecnico dei prodotti. Il consumatore era considerato un essere ragionevole e cosciente, da “condurre per mano”, mostrandogli come il prodotto non soltanto fosse in grado di soddisfarlo, ma che potesse farlo anche meglio degli altri. Il modello tecnico che si è sviluppato in questa prima fase porta il nome di AIDA: Attenzione, Interesse, Desiderio, Acquisto. La pubblicità è in grado di trasportare il consumatore attraverso varie posizioni mentali che si susseguono logicamente (dalla percezione del messaggio pubblicitario fino alla convinzione e all’atto d’acquisto). In questa fase ha cominciato a svilupparsi la filosofia della copy strategy, per cui il messaggio pubblicitario deve promuovere (rispondendo alle attese o facendo sorgere motivazioni) le condotte d’acquisto del consumatore. Questo modello è stato messo a punto da un’agenzia americana e si è presto diffusa in tutto il mondo. Esso si basa sulle seguenti domande: 1) Qual è il destinatario della campagna? Si fa cioè un’indagine sociodemografica (età, ecc.) e psicografica (interessi, ecc.) 2) Qual è l’obiettivo della campagna? Ovvero che cosa ci si attende da essa. 3) Qual è la promessa fatta al destinatario? Ovvero quale vantaggio si promette 4) Su che cosa si basano queste promesse per apparire concrete? Ovvero quale caratteristica del prodotto avvalla la credibilità del messaggio. 5) Qual è l’ambiente e il tono della campagna? Ovvero lo spirito della campagna. Questo periodo è stato definito come la fase della pubblicità persuasiva ed ha subito critiche per il suo ignorare che le decisioni d’acquisto non costituiscono quasi mai il risultato di un processo logico di convinzione, ma sono il frutto di un più o meno lungo periodo di maturazione dell’individuo nel quale si mescolano pulsioni affettive, reazioni emozionali e pressioni sociali. Le argomentazioni razionali sono utilizzate dal consumatore soprattutto come giustificazioni a posteriori dell’acquisto compiuto. Seconda fase Muovendo da queste critiche (e dalla crescente concorrenza e conseguente necessità di differenziarsi) i pubblicitari sono passati alla fase della concezione meccanicistica della pubblicità. Questa fase è fortemente influenzata dalla teoria del riflesso condizionato di Pavlov e dalla scuola psicologica del comportamentismo (Watson e Skinner). Il consumatore veniva considerato come un soggetto passivo, vulnerabile e facilmente condizionabile, sul quale è possibile agire per produrre un effetto choc, principalmente investendo grandi risorse nei passaggi sui mezzi (pubblicità della ripetizione). Si ricercava un impulso anziché una convinzione razionale, cercando di instaurare attraverso la ripetizione ossessiva dei messaggi un rapporto diretto di causa-effetto tra lo stimolo pubblicitario e l’azione d’acquisto del consumatore. Il messaggio doveva essere semplice e di facile comprensione e doveva mantenere intatta la sua identità nei differenti passaggi. Venivano sfruttate le componenti più semplici del linguaggio pubblicitario: logotipi, grafismi di marca, slogan. 1 Questo modello ha funzionato bene per prodotti completamente nuovi e poco coinvolgenti emotivamente (per es. un prodotto nuovo a basso costo), ma perde efficacia quando la pubblicità si trova a dover interagire con modelli d’acquisto già definiti nella mente del consumatore. Inoltre, la considerazione del consumatore come soggetto facilmente malleabile non è realistica. Il consumatore è invece un soggetto estremamente attivo, all’interno del quale le passate esperienze e i precedenti modelli d’acquisto, oltre che le pulsioni affettive individuali, interagiscono sempre con le proposte ricevute dai messaggi pubblicitari. Una diretta conseguenza di questa teoria è l’elaborazione negli anni 40 della filosofia del “realismo pubblicitario”, all’interno del quale ha un posto di rilievo il concetto di USP (Unique Selling Proposition) o argomentazione esclusiva di vendita, per il quale è lo specifico beneficio (o promessa) presente in un prodotto o servizio che spinge il consumatore all’acquisto e che deve quindi essere evidenziato nel messaggio. Di ogni messaggio, secondo questa teoria, viene ricordata al massimo una cosa, pertanto dovrà essere quella che maggiormente spinge all’acquisto, ovvero il beneficio specifico. Terza fase Negli anni 50 e 60 si apre la fase della pubblicità suggestiva, la quale ha applicato il concetto di motivazione individuato dalle “ricerche motivazionali”. Questo approccio sfrutta la capacità della pubblicità di produrre sogni e simboli d’evasione, rispondendo ai desideri più profondi e irrazionali del soggetto. La motivazione inconscia rappresenta uno stato di dissociazione e tensione conflittuale che mette in movimento il soggetto sino a che non sia riuscito a raggiungere un suo equilibrio. Questa è anche la fase del ricorso al contributo della teoria della Gestalt (Lewin). La pubblicità è lo strumento che consente di creare uno stato di tensione nel consumatore, mostrandogli la presenza di un disequilibrio sgradevole nel suo campo percettivo e quindi dandogli la possibilità di correggerlo attraverso l’acquisto del bene di consumo pubblicizzato. In questo periodo si sono messi in mostra i cosiddetti teorici della persuasione (il testo di riferimento è “I persuasori occulti” di Vance Packard). Da questa concezione è nata negli anni 60 la cosiddetta “rivoluzione creativa” che ha avuto come protagonisti Bernbach (l’ideatore del negative approach, che consiste nel valorizzare un prodotto attraverso la sua apparente denigrazione), Rubicam, Burnett, Ogilvy. L’approccio adottato in questa fase funzionava però soprattutto per i prodotti particolarmente coinvolgenti, tendeva a eliminare le differenze specifiche tra i prodotti in favore di motivazioni che sono comuni all’intera categoria merceologica e aveva la tendenza a considerare il consumatore soltanto come individuo singolo e non in quanto soggetto sociale inserito in un ambiente di tipo culturale e dotato di un certo status. Quarta fase L’atto d’acquisto è invece un atto sociale complesso. Per questo si è arrivati alla concezione proiettiva o sociologica, la quale considera la pubblicità come un valore aggiunto di tipo sociale al prodotto (di moda, di elitismo, di tradizione, di modernità, ecc.). Questa concezione ha fatto ricorso al contributo degli antropologi e degli etologi (la scuola culturalista statunitense formata da Margareth Mead, Bronislaw Malinowski, Ruth Benedict). Questa interpretazione della pubblicità ha valorizzato l’influenza dell’ambiente sociale e delle relazioni interpersonali sugli schemi di pensiero e di reazione degli individui, e ha portato ad attribuire un potente ruolo alle norme di comportamento e alle regole d’integrazione. Recenti sviluppi Attualmente, gli studiosi tendono a considerare la pubblicità come uno strumento che funziona non determinando direttamente l’azione dell’individuo, ma stimolando il crearsi di un ambiente mentale, un contesto culturale e una disposizione d’animo favorevoli che potranno successivamente tramutarsi nell’azione desiderata. La pubblicità 2 contribuisce a creare quella “tappezzeria mentale” ripiena di associazioni, conoscenze, opinioni che generalmente rimane sullo sfondo e agisce come un modello allo stato latente di cui l’individuo non è consapevole. (si pensi alle varie pubblicità della Barilla: “dove c’è barilla c’è casa”) Non è detto che i messaggi maggiormente ricordati siano quelli più graditi, ciò che è importante è la capacità dell’individuo di fare interagire la sua cultura con quello che ha appreso dalla pubblicità. Ciò che è importante non è quello che il consumatore è in grado di dire su una determinata campagna, ma in che misura i suoi atteggiamenti sono stati modificati. Krugman ha evidenziato come il medium televisivo sia efficace proprio perché va considerato uno strumento di comunicazione “a debole definizione” che determina una situazione di relax e di ridotto coinvolgimento per lo spettatore. La pubblicità è potente quando è in una situazione di coinvolgimento minimale (soft), che non implica un processo valutativo attivo, non lascia tracce apparenti, non suscita reazioni né atteggiamenti negativi e viene pertanto registrata negli strati più profondi della memoria. Durante la fruizione l’individuo è attivo e ogni volta che riceve qualcosa dall’esterno vede crearsi una perturbazione cui cerca di reagire tentando di ristabilire l’equilibrio iniziale, perché il suo obiettivo primario è di conservare l’identità. Egli cerca di prendere una decisione che è quella più rassicurante e non quella più razionale. Più l’individuo è attivo e coinvolto più dà vita a risposte cognitive che si trasformano in ricordo cosciente. Al contrario, meno è attivo meno produrrà risposte cognitive. Se non c’è la necessità di ristabilire un equilibrio, non c’è neanche la produzione di un ricordo cosciente, perché il soggetto non deve impegnarsi nel produrre reazioni cognitive, ovvero contro-argomentazioni, e dunque il messaggio penetra più facilmente. Nel caso di una comunicazione che viene fruita per la prima volta, se tale comunicazione è coerente rispetto alla visione della realtà posseduta dal soggetto, essa viene accettata e va a rafforzare ciò che è già presente. Se invece è dissonante o contraddittoria c’è bisogno di un processo di “digestione” nel corso del quale l’individuo tenterà di modificare congiuntamente il messaggio e la sua stessa visione della realtà allo scopo di renderli compatibili. Alla fine ci può essere un’assimilazione e la conseguente memorizzazione, ma anche un fenomeno di rigetto. I fattori emozionali rivestono un ruolo sempre più importante nei comportamenti di consumo. Le situazioni intensamente emotive sono presenti perciò in misura sempre maggiore in pubblicità. Zeitlin e Westwood hanno mostrato che la maggior parte degli spot televisivi si concentra su tre sole emozioni primarie: gioia (36%), accettazione (32%), aspettativa (31%). Vengono tralasciate abitualmente le emozioni negative. Emozioni e stati d’animo negativi producono negli individui atteggiamenti sfavorevoli e di conseguenza una minor capacità di persuasione da parte del messaggio pubblicitario. La pubblicità non suscita una risposta emotiva specifica, ma uno stato d’animo, che influenza il funzionamento della memoria. La collocazione di un messaggio pubblicitario all’interno di un programma televisivo gradito dallo spettatore migliora l’immagine del prodotto e della marca. È importante lo stato d’animo indotto dal programma. 3