L’Imperativo Bioetico L’introduzione del termine “bioetica” viene solitamente riferita all’oncologo Van Ressenlaer Potter che per primo lo avrebbe coniato in un articolo comparso nel 1970 sulla rivista scientifica Perspectives in Biology and Medicine e dove introduceva il concetto della bioetica come scienza della sopravvivenza, riflettendo sul fatto che la specie umana non sarebbe sopravvissuta a lungo se la cultura tecnologica e materialista fosse rimasta separata dal sistema dei valori umani. Benché nei primi anni dello sviluppo della disciplina non siano mancati i tentativi da parte della scuola della Georgetown University, culturalmente predominante, di svalutare il ruolo pionieristico rappresentato dall’idea di Potter (in quegli stessi anni – 1971 – nasceva l’Istituto Kennedy per lo “studio della riproduzione umana e la bioetica”, sotto la direzione dell’ostetrico André Hellegers, e nella prefazione alla famosa prima edizione dell’Encyclopedia of Bioethics, del 1978, Warren Reich non fa alcuna menzione di Potter), ritenendo l’introduzione del termine da parte di Potter un ovvio accostamento dei termini bios ed ethike di cui da tempo si parlava già nei salotti buoni della Washington, D.C. del dopoguerra, si addivenne successivamente alla conclusione di una “genesi bilocata” del termine, riconoscendo in Potter e Hellegers i “padri” della disciplina. Le analisi storiche più recenti non hanno mancato di evidenziare che il diverso background di questi due pionieri, la biologia applicata nel caso di Potter e la medicina accademica per Hellegers, orientò la disciplina in due direzioni diverse, ma in generale questa genesi legata a due esponenti del mondo scientifico – e non filosofico o teologico – ci ha finora portati a dare una grande rilevanza al fatto che la bioetica sarebbe stata una esigenza degli stessi ricercatori e professionisti sanitari, che hanno sentito il bisogno di identificarla come area di ricerca, dandole la dignità accademica di campo di insegnamento e di movimento di politica pubblica nelle scienze della vita. D’altra parte, è ampiamente riconosciuto che la genesi del movimento della bioetica ante litteram debba essere collocato molti anni prima dell’introduzione del termine, facendo riferimento a quel cro- Medicina e Morale 2010/1: 9-14 9 EDITORIALE cevia storico rappresentato dalla fine del secondo conflitto mondiale, quando negli atti del Processo di Norimberga (1947) si documentano in tutta la loro tragicità i crimini contro l’umanità compiuti da medici e scienziati, mostrando le conseguenze dell’asservimento della biomedicina al potere politico. Più recentemente, tuttavia, la riscoperta di un Editoriale1 del pastore protestante, filosofo ed educatore tedesco Fritz Jahr, comparso nel 1927 sulla rivista scientifica Kosmos, molto diffusa a quel tempo, dove viene definito il concetto di “bio-ethik”, ci deve far ripensare alle origini del termine bioetica e al significato che gli è stato dato, molti anni prima, dunque, di Potter e Hellegers. Abbiamo notizia di questa riscoperta in un lavoro di Hans-Martin Sass del 2007 sulla rivista del Centro “Bochum” di Etica medica,2 dove si fa un’ampia rassegna degli 80 anni della bioetica in Germania (dal 1927 al 2007), partendo proprio dall’editoriale di Jahr – che viene riportato integralmente in appendice – e dai suoi scritti successivi. Lo stesso Sass diffonde poi il pensiero di Jahr nella rivista del Kennedy Institute of Ethics nel 2008,3 richiamando l’attenzione di quel mondo accademico statunitense che fino a quel momento aveva rivendicato la paternità del termine. Su PubMed compaiono poi, fino al momento in cui scriviamo, solo due altri articoli che parlano di Jahr e della sua interpretazione della bioetica: quello di Fernando Lolas, del Centro interdisciplinare di Bioetica dell’Università del Cile4 ed esponente della Organizzazione Sanitaria Pan Americana, che parla dell’importanza di questo “pioniere dimenticato”, e quello di José Roberto Goldim, un ricercatore del Laboratorio di Ricerca in Bioetica e di etica della scienza nell’Ospedale di Porto Alegre, che scrive proprio sulla 1 JAHR F. Bio-Ethik. Eine Umschau über die ethischen Beziehungen des Menschen zu Tier und Pflanze. Kosmos. Handweiser für Naturfreunde 1927; 24 (1): 2-4. 2 SASS H-M. Fritz Jahr’s bioethischer Imperativ. 80 Jahre Bioethick in Deutschland von 1927 bis 2007. Bochum: Zentrum für medizinische Ethik, Medizinethische Materialien Heft 175; 2007. 3 ID. Fritz Jahr’s concept of bioethics. Kennedy Institute of Ethics Journal 2008, 17 (4): 279-295. 4 LOLAS F. Bioethics and animal research: a personal perspective and a note on the contribution of Fritz Jahr. Biol Res. 2008; 41 (1): 119-123. 10 Medicina e Morale 2010/1 EDITORIALE stessa rivista che nel 1970 aveva ospitato l’articolo di Potter,5 e dove sottolinea la necessità di rivedere la storia della fondazione della bioetica e la doverosità di riconoscere l’importanza del ruolo svolto da Jahr in questa fondazione. Nessun altro autore sembra aver raccolto lo spunto di riflessione offerto dalla riscoperta dell’Editoriale di Jahr. Eppure ci sembra che l’interpretazione di Jahr debba essere esaminata più approfonditamente, almeno da parte dei cultori della disciplina, non solo perché la sua visione è molto simile a quella di Potter (non sappiamo se questi abbia mai letto quell’Editoriale: nel 1938 effettivamente Potter si imbarcò per l’Europa e lavorò per un anno circa presso l’Istituto di Biochimica di Stoccolma insieme con il professor von Euler e un altro anno in Inghilterra con il professor Krebs), ma soprattutto perché la sua idea dell’Imperativo Bioetico e della identità professionale della bioetica risultano oggi molto attuali. Dunque, nel suo Editoriale intitolato: “Bioetica: una riflessione sulla relazione etica degli esseri umani con le piante e gli animali”, Jahr introduce alcune considerazioni e arriva ad alcune conclusioni. Innanzitutto, egli conclude così il suo editoriale con l’esortazione di sapore kantiano: “rispetta per principio ogni essere vivente come fine in se stesso e trattalo, se possibile, come tale!” (p. 4). Successivamente, in più saggi, dal 1927 fino al 1934, Jahr approfondisce l’idea di una identità professionale della bioetica, fornendo quattro linee di argomentazioni in supporto, considerando che: 1. la bioetica è una nuova e necessaria disciplina accademica; 2. la bioetica è una necessaria attitudine morale, una convinzione e una condotta; 3. la bioetica riconosce e rispetta tutte le vite e le relazioni tra i viventi, in natura e cultura; 4. la bioetica ha legittime obbligazioni nei vari contesti professionali, nella sfera pubblica, e nella educazione, consulenza, moralità pubblica e cultura. Egli sviluppa quindi la sua visione di bioetica come disciplina, con riferimento a principi e virtù, parafrasando Kant ed estendendo il suo 5 GOLDIM JR. Revisiting the beginning of bioethics: the contribution of Fritz Jahr (1927). Perspect Biol Med. 2009; 52 (3): 377-380. Medicina e Morale 2010/1 11 EDITORIALE Imperativo Categorico formale verso un più specifico Imperativo Bioetico articolato in vari contenuti che qui di seguito riportiamo richiamando la sintesi che dei vari saggi di Jahr ne fa Hans Martin Sass. 1. L’Imperativo Bioetico guida le attitudini etiche e culturali come pure le responsabilità nelle scienze della vita, verso tutte le forme di vita. Si tratta della necessaria conclusione a cui arriva il ragionamento morale basato sull’approccio empirico della fisiologia e della psicologia degli esseri umani, degli animali e delle piante. E come tale è necessario educare a, e custodire, una attitudine culturale e morale personale e collettiva che richiami ad un nuovo forte rispetto e responsabilità verso tutte le forme di vita. La “inviolabilità della vita” diventa pertanto la fondazione dell’imperativo bioetico di Jahr, laddove l’imperativo categorico di Kant richiamava la “inviolabilità della legge morale”, basata sull’autonomia della volontà della persona che non è inviolabile in sé ma deve essere riconosciuta come tale dall’umanità. 2. L’Imperativo Bioetico è basato su evidenze storiche, e di altra natura, che la compassione è un fenomeno empirico dell’animo umano. Non vi è un conflitto fra la compassione verso tutte le forme di vita e la compassione verso la comunità umana. Se uno ha a cuore gli animali non priverà della sua compassione gli esseri umani sofferenti. E chi ha tanto amore da trascendere i limiti dell’umano, riconoscendo l’inviolabilità della vita anche nelle creature più infime, non potrà, dice Jahr, non riconoscere e aver cura della inviolabilità della vita dei più poveri e dei più miseri dei fratelli umani e non li ridurrà a classi sociali, gruppi di interesse, partiti e così via. D’altra parte l’insensibile crudeltà verso gli animali e le piante evidenzia un carattere crudele che può diventare pericoloso nell’ambiente umano. Esplicitamente usa a questo proposito la parola “bioetica”. 3. L’Imperativo Bioetico rinforza e complementa il riconoscimento del dovere morale verso tutti gli esseri umani in senso kantiano e deve essere seguito dal rispetto per la cultura umana e per le mutue relazioni morali tra gli esseri umani. E anche se qualcuno non volesse accettare la validità assoluta di una tale regola riguardo agli animali e alle piante, dice Jahr, dovrebbe comunque 12 Medicina e Morale 2010/1 EDITORIALE seguirlo considerando le obbligazioni morali verso la società in generale. 4. L’Imperativo Bioetico, deve riconoscere, custodire e coltivare un grande sforzo per la vita, fra tutte le forme di vita e tutti gli ambienti di vita naturali e culturali. Tutta la nostra vita e tutte le nostre attività in campo politico, sociale, lavorativo, di ricerca ecc., non sono basate innanzitutto sull’amore tra le persone ma piuttosto sulla competizione. Molto spesso non siamo consapevoli, dice Jahr, che la competizione può essere realizzata anche senza odio, in modo corretto, legale e condiviso. Pur tuttavia non dobbiamo abbandonare l’ideale di responsabilità come principio guida: in tutti i campi, quelli della bioetica dell’etica dell’ambiente, dell’etica istituzionale, dell’etica sessuale, bisognerebbe, cioè, seguire lo stesso principio e virtù della responsabilità, e questo vale per le singole persone ma anche per le istituzioni e organizzazioni come soggetti morali. 5. L’Imperativo Bioetico implementa la compassione, l’amore e la solidarietà con tutte le forme di vita come principio base e virtù. In ciò superando la “regola d’oro” del “trattare gli altri come si vorrebbe essere trattati” come pure dell’imperativo categorico di agire nei confronti di qualcuno come se quell’azione potesse diventare una legge universale. Entrambe le regole precedenti, dice Jahr, danno soltanto delle indicazioni formali di una “buona” azione e, in ultima analisi, sono espressione di un mero egoismo (“non fare a me ciò che io non faccio a te”) o di un mutuo contratto. L’imperativo Bioetico basato sulla compassione e sull’amore non ha il carattere formale e di reciprocità kantiano, ma richiede di fare delle scelte morali prudenti nelle diverse situazioni concrete, rispettando la vita. 6. L’Imperativo Bioetico include obbligazioni verso il proprio corpo e anima in quanto essere vivente. Ogni vita umana, dice Jahr, è eticamente “sacra” in quanto tale e dunque anche la propria. Proteggere la vita – inclusa la propria – è un dovere. Emerge indubbiamente in questa visione l’interesse primario del pastore educatore a riconoscere e insegnare i principi e le virtù bioetiche come pure i doveri morali verso il proprio corpo e la propria anima ma così facendo egli getta un ponte verso quell’etica biomedica e di sanità Medicina e Morale 2010/1 13 EDITORIALE pubblica contemporanea che ci impegna profondamente nella valutazione della interrelazione tra sanità pubblica e salute personale, tra moralità pubblica e moralità personale. Gli anni ’20 e ’30 furono senz’altro anni turbolenti anche in relazione ai profondi cambiamenti nella morale tradizionale. Jahr si esprime in modo critico e conservativo verso lo spirito del tempo sostenendo che le obbligazioni verso se stessi sono anche doveri verso gli altri, e cioè che la responsabilità personale verso la propria salute o la mancanza di essa hanno profonde implicazioni sulla salute pubblica (si pensi all’alcolismo e alle malattie sessualmente trasmesse che oggi, come ai tempi di Jahr – che esplicitamente li cita come problemi bioetici – continuano a preoccuparci e a costituire un grave problema di etica pubblica). L’approccio di Jahr alla bioetica ci lascia favorevolmente impressionati circa il fondamento che è stato alla base della prima idea di bioetica, un fondamento che ci sembra profondamente attuale e che trova la sua ragione nella inviolabilità e indisponibilità della vita. Jahr richiama, inoltre, la bioetica ad una competenza e ad un impegno nella educazione e nella consultazione, riconoscendo anche una obbligazione morale e professionale del bioeticista a essere coinvolto nel dibattito pubblico e nella educazione alla pubblica moralità, utilizzando tutti i media disponibili, nella consapevolezza di sviluppare nell’opinione pubblica attitudini e convinzioni sulla base delle proprie conoscenze e coscienza. Ma è soprattutto dal punto di vista metodologico che il pensiero di Jahr ci sembra oggi estremamente moderno: nel rimpiazzare il vecchio stile moralizzatore con il discorso bioetico del rispetto delle virtù e dei valori individuali, con una pedagogia di interazione e di non direttività morale, necessaria nell’ambiente pluralistico che si andava delineando, Jahr contribuisce a porre le basi di quello che soprattutto Hellegers svilupperà nel suo dialogo “maieutico” della bioetica e in tutta la metodologia della consultazione bioetica. Antonio G. Spagnolo 14 Medicina e Morale 2010/1