Appunti per la conferenza di Giovanni Zenone1

I miei studi si sono concentrati sulla filosofia del senso comune, cioè sulle basi
gnoseologiche che fondono la possibilità del dialogo, quindi del consenso e della
pace.
Tali basi sono rilevate nelle opere del filosofo Antonio Livi che ne dimostra
l'esistenza conscia, o inconscia e surrettizia, in qualunque discorso dotato di
senso compiuto, specialmente nei discorsi filosofici. Queste nozioni sono cinque e
cioè che:
1)
2)
3)
4)
5)
esiste un mondo di cose
esisto io
esistono gli altri
i rapporti fra le cose e gli io sono ordinati
quest'ordine fa capo alla loro causa prima, detto altrimenti Dio.
L'esistenza di questa piattaforma comune a tutti gli esseri umani e che rende
possibile la comunicazione, le traduzioni ed il consenso, tuttavia, pur se è
dimostrata in modo cogente, succede che venga negata ad onta di ogni evidenza.
La più stringente razionalità, cioè, non è mai sufficiente
per essere accettata.
Si tratta del fenomeno dell'akrasìa di cui parla l'etica classica. Quando cioè un
uomo pur riconoscendo determinati valori ed aspirandovi (in questo caso la
coerenza logica con i propri fondamenti epistemici), e pur sapendo che per
realizzarli si dovrebbe comportare in un determinato modo (nel nostro caso
rispettando il valore di verità delle nozioni di cui non può fare a meno), si
comporta in realtà in modo differente.
L'impossibilità di comporre le divergenze che nascono non tanto da
interpretazioni diverse del medesimo dato, ma dall'affermazione o dalla negazione
di un dato evidente, ha portato ad un trionfo sociologico (beninteso, solo
sociologico, mai razionale) dello scetticismo, del relativismo, del pensiero
debole, cioè del non pensiero. La conflittualità che ne consegue appare pertanto
irresolubile e la pace un'utopia.
La scienza davanti a questa conflittualità è inerme, incapace di dare la pace a cui
le persone di buona volontà aspirano. Rischia pertanto di piegarsi al servizio di
una tecnologia funzionale solamente all'estensione del potere di chi è al potere,
cioè al perdurare dell'ingiustizia e della sopraffazione di cui il pensiero unico
relativistico, democratico e politicamente corretto di matrice televisiva (la vera
scuola, purtroppo ed il vero strumento di dominio dei nostri tempi) è un fulgido e
sciagurato esempio.
Il discorso cambia se per scienza si intende quell'apertura alla totalità che si
riscontra nella philosophia perennis, la quale non può che, partendo
dall’esperienza sensibile, giungere alle più alte verità metafisiche. Tale scienza
sapienza mai prescinde dall'uomo e dalla sua centralità finalistica.
L'incoerenza filosofica, radice di tanti mali che affliggono il mondo, non ha cause
di stampo razionale, ma è frutto di uno squilibrio fisico, psicologico e quindi
anche sociale, una sorta di peccato originale che ha conseguenze anche a livello
della ragione, la quale assume l’assurda ed oscura pretesa illuministica di
sostituirsi a Dio. In una parola: l’opzione antimetafisica e immanentistica non
discende da un corretto argomentare, ma da una patologia che precede la parte
razionale dell’uomo. La conseguenza è che si viene così a creare una frattura tra
esperienza e ragione. La perdita dell'equilibrio modulare, che è fonte dell'armonia,
si riflette nello smarrimento dei valori etici ed estetici.
L'io unitario è soppiantato da un io fragile frantumato in una molteplicità di
sotto io scatenati a briglia sciolta. Si vanno affermando così pseudo valori frutto
di un io contraffatto e falsificato che rende impossibile il dialogo e perciò la pace.
UN corretto uso della ragione riconosce i propri limiti e implica quindi il
superamento della stessa ragione quando essa ha la tenebrosa pretesa
illuministica di essere divina, in favore della relazione fiduciaria. La quale a sua
volta apre al trascendimento di sé e dei propri limiti.
Il naturale sviluppo della persona vedrebbe un passaggio dall'olismo infantile
all'immanentismo adolescenziale, per arrivare, con la maturazione da conoscenza,
alla terza fase della coscienza umana, quella dell'espansione verso l'altro e la
trascendenza.
Il che comporta di necessità la coscienza del limite, tanto auspicabile quando si
fa vera scienza, ma che nulla ha a che fare con lo scetticismo. Per dirla con
Proust: " è la vita che, a poco poco, caso per caso, ci permette di notare come
quel che è maggiormente importante per il nostro cuore, o per il nostro spirito,
non ci sia insegnato dal ragionamento ma da altri poteri. E allora l'intelligenza
stessa, rendendosi conto della superiorità di questi, abdica ragionatamente di
fronte a loro e accetta di diventarne collaboratrice e serva " (“La fuggitiva” p. 7-8).
Non può quindi esistere autentica filosofia se non c’è, come dice Lodetti: "un
equilibrio psichico realistico che fa propria e si mette in sintonia con la realtà
esterna nei soggetti normali che non hanno subito introiezioni o regressioni e non
sono bloccati da condizionamenti culturali, o prevenzioni di ogni genere" (IV p.
112-113).
Il realismo si configura così come l'espressione della salute psichica, che è
imprescindibile per un autentico costruttivo discorso filosofico che abbia di mira
la verità, cioè la conoscenza e la retta ermeneutica della realtà.
Le opinioni filosofiche che sorgano invece da menti squilibrate (e qui si potrebbe
fare una lunga lista di correnti passate o tuttora in voga), e che pertanto escono
dall'ambito realistico, non sono, a rigor di termini, filosofia e cioè conoscenza. Si
tratta piuttosto, come dice Livi, di filosofia che è essenzialmente letteratura,
espressione dell'impensabile. Che ha certamente una sua grandezza (si pensi
all'immensa incisività culturale che obbliga, nel dialogo filosofico, a fare il conti
con Cartesio, con Kant, con Hegel), e anche un suo valore logico, non però il
valore ascrivibile alla logica della verità.
Di fronte a opzioni filosofiche volontaristiche irrazionali la cogente razionalità
realistica non è sufficiente a sanare l'incoerenza logica delle stesse. Essendo
tali scelte frutto di squilibri e disarmonie profonde, non basta una confutazione
sul piano razionale ma è necessaria una terapia che vada più in profondità.
È importante comunque non confondere questa analisi con altre simili ma
dall’esito catastrofico. Non sono state infatti poche le dittature che pretendendo di
essere espressione della verità, hanno trattato i dissidenti alla stregua di pazzi,
rinchiudendoli in manicomi e gulag.
Non c'è bisogno di spiegazioni per capire che tale atteggiamento e comportamento
antietico alla pace non è condivisibile nemmeno se fosse paladino delle verità più
elevate. Figuriamoci poi quando la violenza è lo strumento di ideologie
radicalmente false. La mancanza infatti del rispetto per la dignità dell'errante è
frutto di un blocco dello sviluppo della persona nella sua totalità.
L'eccessiva attenzione unilaterale per l'origine, per l'imprinting genetico, anche
in campo culturale, dimenticando l'identità attuale e l'esistenza concreta; il
conservatorismo bieco che assolutizza la stabilità e l'identità senza aprirsi a
possibili modificazioni; l'ossessiva illusione progressista, per la quale alle spalle
abbiamo sempre qualcosa di minor pregio di quanto ci sta davanti, che vede nella
novità e nella varianza l'unico valore, sono solo tre esempi di un blocco nello
sviluppo integrale della persona o della società che hanno come conseguenza
conflittualità e prevaricazioni.
È evidente infatti che non è sufficiente avere ragione perché gli altri ci diano
ragione, e soprattutto perché si comportino secondo ragione. Non basta
dimostrare una verità o far conoscere un bene, perché essi siano accolti da
chicchessia. Il contributo della filosofia del senso comune è volto a far sì che lo
scoramento determinato da questa certezza non conduca a intraprendere la
strada del plagio di massa per rendere efficaci le proprie supposte ragioni.
C'è infatti un'alternativa efficace ma costosissima in termini di impegno. La
modulazione, l'accostamento di colui che deve crescere, o dell'errante, a tu per
tu, con animo accogliente e non frettoloso, facendo emergere, con arte maieutica,
quel nocciolo di nozioni comuni che sono state ricoperte da fitte sedimentazioni
culturali contrarie alla verità.
Con una terminologia oggi purtroppo dimenticata dalla filosofia, si potrebbe dire
che per aiutare crescere un individuo è necessario amarlo. Ma l'amore è sempre
un dialogo tra due persone, nel quale chi ama non ha altro interesse che la
crescita e la realizzazione dell'altro. Socrate e Platone sono buoni esempi di
questa strada filosofica, Aristotele è il campione dell’amore per la verità e
dell’onestà intellettuale frutto di un rigore impareggiabile, San Tommaso il più
fulgido esempio di questi pregi uniti insieme .nell’unico inizio e nell’unico fine che
è l’amore per Dio, nel quale è contenuta ogni verità, ogni amore, ogni possibile
conquista dell’umanità.
Le ideologie erronee sono sempre frutto di uno squilibrio che non può essere
sanato che con l'amore, con la modulazione. Se è vero dunque che veritas parit
odium, che cioè la verità genera odio, e che ha amore chiama amore, per far
accogliere la verità è necessario non partire da essa ma dall'amore. Una banalità
forse. Ma una banalità troppo poco messa in pratica.
Se il senso comune dunque è lo strumento del dialogo, del consenso e perciò della
pace l’amore ne è la maggior conferma ed il miglior mezzo di diffusione ed
accoglienza.
1. L’argomento di questo incontro è stato la nozione filosofica di senso comune
compresa e messa in luce mediante gli strumenti filosofici che mi sono stati
dati dal mio Maestro Antonio Livi.
2. La nozione filosofica di senso comune vanta una storia millenaria, nelle sue
diverse accezioni: quella psicologica, quella sociologica e quella epistemica;
l’accezione propriamente epistemica - che è quella che qui ci interessa - risulta,
alla luce delle numerose indagini storico-filosofiche condotte negli ultimi
decenni, tanto importante quanto passata a lungo sotto silenzio.
3. In effetti, la nozione epistemica di “senso comune” è spesso ritenuta irrilevante
ai fini dell'indagine scientifica sulla conoscenza in rapporto alla verità del
mondo, dell’uomo e di Dio, quando invece essa è alla base - come vedremo della possibilità stessa di dirimere questioni fondamentali, quali quella del
realismo metafisico e della confutazione dello scetticismo, da una parte, e del
razionalismo dall’altra.
4. Il senso comune è il sottofondo che alimenta il progresso dell'indagine e la
trama su cui si ordisce il pensiero filosofico, ma che appare nei vari autori in
forma esplicita solo sporadicamente e senza alcun a trattazione sistematica,
financo in san Tommaso.
5. Onde si è configurata la necessità di esplicitare e far emergere tale
fondamento operante in tutta la sua importanza soprattutto gnoseologica, in
quanto si può facilmente rilevare che il “senso comune” nell’accezione
epistemica è il presupposto di base di ogni filosofia, ed in particolare del
realismo.
6. La scoperta sensazionale di queste nozioni spesso inconsce, ma operanti in
ogni discorso, ed in modo eminente in ogni doscorso filosofico e quindi
scientifico, ha un potente valore polemico con altri autori, anche tomisti, in
quali tentano un accordo tra realismo e metodo cartesiano o kantiano, finendo
per compromettere la possibilità di un’autentica metafisica dell'essere.
7. POSIZIONE DEL PROBLEMA: Nel clima attuale di perdita delle certezze in
tutti i campi del sapere umano, certamente si avverte la necessità di riscoprire
un solido fondamento su cui basare ogni conquista scientifica1.
8. Il relativismo imperante di matrice idealistica rivela, ad un’attenta analisi, non
solo la propria intrinseca debolezza, ma la propria contraddittorietà suicida.
1
Beninteso che laddove parlo di scienza intendo la conoscenza, nei suoi vari gradi di certezza, di rigore, sistematicità e
metodo. Faccio esclusione di ogni contaminazione scientista, come anche scettica e relativista. Evidente che una tale
idea di scienza include la possibilità, anzi la necessità di una base comune fonte della comunicabilità, non basata su una
convenzione modificabile, ma sul rapporto - immodificabile in quanto tale - fra dato e conoscenza di esso.
9. Ciononostante la storia della filosofia ha per lo più preso altre vie dal realismo
aristotelico tomista, e non è più capace di uscire dai vicoli ciechi nei quali si è
posta volontariamente. La filosofia si è ridotta a dire e non dire, affermare
negando, a falsificare popperianamente, a costruire mondi logici
autoreferenziali senza la benché minima relazione col mondo e con la vita,
trasformandosi così da sapere sapienziale a creazione misterica della religione
dell’individuo elevato al rango di divinità.
10.L’unica relazione che ormai resta col mondo, con la vita e colla realtà è la
ferma volontà di trasformarli nella propria immagine somigliante laddove
ne differiscano.
11.L’albero su cui è cresciuto tale frutto è quello della “conoscenza del bene e del
male”: conoscenza tuttavia che non vuole più dire nulla sulla realtà, ma che
vuole produrla, crearla ex nihilo. La conseguenza è palese: Babele,
l’incomunicabilità, il nominalismo.
12.Si rende necessaria una forte virata, una metanoia, un ritorno alle fonti,
posto che l’archè non è davanti, ma in principio. Il vero progresso si trova in
un ritorno, nella riscoperta delle radici, del Fondamento sul quale si basa tutto
e perciò la conoscenza di tutto.
13.E tale conversione porta di necessità a volgersi di nuovo non tanto all’albero
della conoscenza, ma all’albero della vita, posto al centro del giardino
dell’Eden. Non si può trovare la verità se non nella vita, nella realtà, cioè nella
dimensione esistenziale che ha la conoscenza.
14.Conoscenza che è - come dice Paolo Carlani - presenza di qualcosa a
qualcuno, cioè relazione.
15.Nel caso della conoscenza i poli necessari sono due, il conoscente, o
soggetto del conoscere, e il conosciuto, o oggetto del conoscere.
16.Ed ecco così delineata la struttura di base minima necessaria affinché si dia il
conoscere e, dunque, caratterizzante ogni forma di conoscenza, reale o solo
possibile: la struttura è triadica e comprende un soggetto, una cosa, e la
relazione tra i due2.
17.In tale prospettiva si potrà fare una filosofia e di conseguenza una gnoseologia
che sappiano “ridare al reale la sua voce”3, e che pertanto siano davvero a
favore dell’uomo. “Se la metafisica non aiuta a conoscere meglio l’universo di
ciò che esiste; se non serve a gettare le basi che indirizzano il cammino di tutta
una cultura; se non coopera alla risoluzione dei problemi quotidiani e
normali di ogni individuo umano e a dirigerne la vita, sarà difficile che possa
essere qualificata come sapienza ... La metafisica si deve presentare
decisamente come un fecondo itinerario verso l’essere.
18.Al centro dell’attenzione siano i rapporti tra la filosofia e la vita. La morte
della metafisica, e perciò dell’essere, decretata “come un fatto indiscutibile4
per il pensiero moderno”, oltre a non avere alcun fondamento razionale, e a
precludere la possibilità della comprensione razionale del reale, “porta
inevitabilmente all’ateismo, prima, e alla morte della filosofia stessa,
dopo”5.
2
Paolo Carlani, Trattato di Filosofia della conoscenza vol. I Il conoscere in generale, Edizioni Romane di Cultura,
Roma 1998, p. 71
3
Tomás Melendo, Metafisica del concreto, Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2000, p. 16
4
Proprio il carattere di indiscutibilità dato a questo decreto, è la dimostrazione del fondamento postulatorio e perciò
volontaristico, cioè non razionale, della filosofia che ne consegue.
5
Antonio Livi, Il mistero dell’essere nella filosofia di Gilson, in Étienne Gilson, L’essere e l’essenza, Editrice
Massimo, Milano 1988, p. XX
19.Lascio ad altri l’arduo compito di scoprire qual senso e valore possa avere una
filosofia che miri alla morte della filosofia. Non è strano che un pensiero che
neghi valore ontologico all’essere non riesca a raggiungerlo.
20.La questione fondamentale è dunque quella di scoprire se c’è una base
indubitabile che fondi senza possibilità di dubbio e con certezza innegabile la
conoscenza, in primis quella filosofica, quindi quella delle scienze particolari.
21.Se così non fosse, qualunque conoscenza non meriterebbe l’appellativo di
conoscenza, essendo dubitabile e perciò falsificabile. Se un’affermazione è
falsificabile, cioè falsa, non è vera, cioè non è conoscenza ma inganno. Se lo
stesso fondamento è ingannevole, ancor più falsa sarà tutta la costruzione
“scientifica” che vi si edifica sopra.
22.Questo fondamento sono i dati del senso comune.
23.Che proprio per il fatto di essere dati non possono essere negati, dubitati,
messi tra parentesi col procedimento dell’epochè husserliana, pena la caduta
nell’assurdo di voler studiare ed indagare qualcosa dall’esistenza del quale si
prescinde, o che addirittura si nega.
24.È evidente che la scoperta di questi dati e del senso che ce li offre, ha una
forte portata polemica nei confronti di chi li nega.
25.Il problema è quindi rigorosamente filosofico: esiste una base indubitabile di
conoscenza sulla quale fondare la possibilità di ogni ulteriore conoscenza
dimostrabile e perciò scientifica? La dimostrabilità ha un fondamento
dimostrabile? Se sì, su qual altro fondamento basare tale dimostrabilità? Se
no, quale valore ha una scienza dimostrativa al cui principio c’è un dato
indimostrabile? Che valore gnoseologico ha un tale principio? Come è possibile
conoscere tale principio? La conoscenza che ne abbiamo è frutto della ragione o
dei sensi? Qual è il valore aletico di quanto ci offrono i sensi? Esiste la
possibilità di comunicare, ovvero esiste una piattaforma comune ad ogni
uomo in quanto uomo, sulla quale fondare la possibilità concreta di una
intersoggettività della conoscenza basata oltretutto su un reale rapporto con
la realtà, e che pertanto sia realmente oggettiva?
26.Come si vede, le questioni suddette sono davvero fondamentali, e dalle
risposte che troveremo dipenderà ogni ulteriore sviluppo.
27.La critica serrata e risolutiva del razionalismo moderno (Descartes) e delle
contemporanee filosofie dell'immanenza (neoidealismo, fenomenologia)
trovano il loro fondamento nella nozione di "senso comune".
28.Esso ci offre quelle certezze prime sulle quali è possibile ogni costruzione
scientifica e religiosa, ed è il fondamento della possibilità dell’intersoggettività
del sapere.
29.Il senso comune coglie la prima certezza assoluta, quella dell’esistenza
degli enti, donde parte per arrivare ad altre certezze mediate. Nel genuino
filosofare tomista non si deve dimostrare l’esistenza dell’ente, percepito a
partire esclusivamente dal pensiero, ma, ‘presupponendone’ l’esistenza, perché
esso attraverso i sensi ha già fecondato ed illuminato di sé il pensiero, che
accerta e consolida, progressivamente e criticamente, una conoscenza più
puntuale e fondata di quell’ente.
30.Se di ‘criticità’ della conoscenza bisogna parlare, cioè di una giustificazione
della conoscenza e del suo valore cognitivo, questa dev’essere intesa come un
movimento di ripiegamento del pensiero sull’esperienza cognitiva
originaria, senza la quale non è possibile alcuna riflessione o ripiegamento.
31.Non è possibile quindi optare per metodi filosofici che partono dal
dubbio, né dall’esclusione sistematica, sia pur a scopo di ricostruirle, delle
certezze di senso comune.
32.Infatti nell’ottica realista bisogna “presupporre”:
33.- la presenza delle cose come condizione dell’oggettività della conoscenza
trascendentale;
34.- che l’esistenza del mondo (la pluralità degli enti nell’analogia dell’essere) è
un’evidenza, ma evidenza concreta e diretta in rapporto all’intuizione
sensibile;
35.- che l’intuizione sensibile garantisce solo la presenza del suo oggetto e non
l’apprensione della sua essenza, che è opera dell’intelletto;
36.- che l’esistenza come atto d’esistere è colta dall’intelligenza assieme
all’essenza;
37.- che l’esistenza, sempre come atto d’esistere, è colta non dall’intelletto
astrattivo ma dall’intelletto giudicante, da un giudizio.
38.La necessità di tale presupposizione risulta dall’analisi dei presupposti
inconsci e surrettizi che permangono, resistenti ad ogni tentativo di
eliminarli, in quelle filosofie che partono dalla negazione totale o parziale delle
certezze di senso comune.
39.La pretesa di fare una filosofia senza presupposti è quindi assurda, perché
“la presupposizione è un’operazione logica (di logica aletica, non formale), e
quindi appartiene all’essenza della filosofia;
40.Riconoscimento (filosofico) e la dimostrazione (filosofica) che la filosofia
presuppone l’esperienza”6.
41.Gli elementi che sono logicamente anteriori al discorso filosofico, ne
costituiscono le condizioni di possibilità.
42.Il rilevamento di tale fondamento di ogni discorso scientifico, che ne causa la
possibilità, comporta la fondazione logica di tutti i discorsi ossia il
delineamento di una logica epistemica necessaria.
43.Non può essere vero un asserto che contraddica direttamente un altro
asserto che ne funge da presupposto necessario. Le filosofie pertanto che
negano tutti o alcuni dei giudizi di senso comune, sia pure nella pallida forma
della loro temporanea messa fra parentesi, sono intrinsecamente sbagliate e
perciò non possono essere considerate propriamente filosofiche né nei loro
presupposti, che sono erronei, né nelle loro conseguenze, che sono
necessariamente erronee partendo da presupposti falsi.
44.Il che non significa che esse non possano contenere barlumi di verità che
hanno resistito alla negazione o alla messa fra parentesi, ma questo non sarà
un merito attribuibile a tali filosofie quanto piuttosto un esito positivo
conseguente ad una loro incoerenza. Tale incoerenza, cioè l’emersione
necessaria dei dati di senso comune senza i quali nessun discorso potrebbe
essere fatto, è proprio la dimostrazione dell’impossibilità di un qualunque
discorso che neghi i contenuti epistemici del senso comune.
45.Indagando sulle condizioni di possibilità della conoscenza noi capiamo che la
nascita di un concetto presuppone la fecondazione dell’intelletto da parte
del reale. Prima della verità c’è il vero, prima dell’adeguazione del giudizio e del
reale c’è l’adeguazione vissuta dell’intelletto stesso col reale7.
6
Antonio Livi, La ricerca della verità Dal senso comune alla dialettica, Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2001,
p. 217
7
Cfr. Mario Toso, Fede, ragione e civiltà, op. cit., p. 64
46.Il primo momento non è che l’esercizio spontaneo e naturale dell’intelligenza
che riceve i dati per mezzo della sensibilità, l’intelligenza sensibile o
sensibilità intelligente. Essa si rapporta poi con l’elaborazione metodica e
riflessa: tale rapporto è quello che c’è fra senso comune e scienza.
47.Il senso comune quindi non si configura tanto come una filosofia fra le altre,
quanto piuttosto come il presupposto di ogni possibile indagine filosofica.
Esso non è tanto un limite, quanto la possibilità del filosofare e del vivere
stesso in quanto pieno di azioni significative.
48.Non si tratta quindi di un limite alla libertà d’indagine del filosofo, che va
rispettata e mantenuta con somma cura, quanto piuttosto la condizione stessa
di possibilità dell’indagine filosofica che è ricerca della verità mediante
l’interpretazione dei dati della realtà.
49.Se di limite si deve parlare si tratta del limite della realtà: al di fuori della
realtà si esce già dall’ambito filosofico per entrare in quello più
propriamente letterario, artistico, creativo.
50.Si configura quindi la necessità di un “olismo della certezza” in base al quale
ogni certezza particolare sia collegata con l’intero attraverso il
fondamento.
51.Il tema della verità del discorso riporta così, per necessità logica, al tema del
senso comune, che rappresenta la fondazione ultima di ogni verità di
pensiero”8.
52.Il senso comune così diventa garanzia di quel minimo di verità
assolutamente necessario per l’intelletto al fine di evitare le secche dello
scetticismo da un lato, e le paludi del razionalismo gnostico con pretesa di
conoscenza esaustiva ed assoluta di tutto dall’altro, ed al fine di poter
comunicare una qualunque conoscenza.
53.Il senso comune consente di edificare sulle sue poche ma salde certezze la
scienza della natura, l’autocoscienza, l’esperienza morale e quella religiosa, le
quali, pur essendo fallibili hanno per lo meno il pregio di essere fondate e di
essere perciò certe di poter conseguire potenzialmente dei risultati di
conoscenza.
54.Le certezze del senso comune sono inoltre criterio fondamentale per la
ricerca della verità nell’ambito epistemologico perché, una volta
constatatene l’universalità e necessità, ogni interpretazione dell’esperienza e
ogni ipotesi scientifica che risulti in contraddizione con esse o che ne
disconosca il valore di verità risulta perciò stesso falsificata.
55.I dati di senso comune sono perciò interpretabili a piacimento ma mai
negabili o misconoscibili.
56.Per concludere si può dunque affermare che la nozione epistemica di senso
comune è alla base della possibilità stessa di dirimere questioni fondamentali,
quali quella del realismo metafisico, della confutazione dello scetticismo, da
una parte, e del razionalismo dall’altra. Questioni sulle quali si gioca
fondamentalmente tutto il dialogo filosofico da venticinque secoli a questa
parte.
8
Antonio Livi, La ricerca della verità ..., op. cit., p. 223