1 - Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio

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5. UNITÀ DIDATTICA “DAL SISTEMA TOLEMAICO
SILVANI.
ALLE LEGGI DI
KEPLERO”. LAURA
CLASSE: Terza classe del Liceo Scientifico
LIVELLO DEL MODULO : sviluppo.
TEMPO: 15 h ( 10+5 )
INTRODUZIONE
Obiettivo principale è quello di aiutare il discente a collocare correttamente la sua persona verso il
mondo esterno. Ci si propone di evidenziare la capacità di darsi una corretta collocazione spaziotemporale; di distinguere tra le conoscenze “oggettive”, quelle soggettive e l’apparato matematico
che le sostiene .
Rientrano inoltre in un discorso formativo gli aspetti culturali, legati anche a campi notevolmente
distanti, che formano le basi di una teoria fisica: pregiudizi, correnti di pensiero, rivoluzione
culturale.
L’unità è strutturata in quattro segmenti sequenziali.
PREREQUISITI

Numeri reali.

Piano Cartesiano

Cambiamento di riferimento

Equazioni

Luoghi geometrici

Vettori.

L’errore di misura
CONTENUTI E TEMPI DELL’UNITA’ DIDATTICA
Segmenti
a
b
c
CONTENUTI

Scienza e dogma
Lezione frontale

Lezione dialogata

Lavagna

Libri di testo

Riviste
Dinamica

Lavori di gruppo
Carattere puramente cinematico degli

Personal computer

Programma Isacco
(realizzato da

A. Carusi )
Concetto di punto materiale

Verso nuova concezioni della
antichi sistemi astronomici

2h
Strumenti e mezzi



ORE
Copernico riscopre il sistema di
Aristarco
2h
2h
d

L’opera di Keplero

Prima legge di Keplero

Seconda legge di Keplero
di esperienza in

Terza legge di Keplero
Laboratorio.
4h
Si effettueranno 5 ore
METODOLOGIA E STRUMENTI
Si tenterà di mettere in atto un apprendimento significativo per scoperta, dove il docente,
stimolando e indirizzando la discussione cercherà di attivare negli allievi l'assimilazione dei
concetti, evitando il più possibile memorizzazioni sterili ed applicazioni meccaniche. La teoria sarà
esposta in modo schematico ed essenziale, con un linguaggio semplice , corredata di brevi esempi
che chiariscano i passi della spiegazione e di immagini che forniscano una sintesi visiva dei
concetti; questo per aiutare gli studenti a raggiungere gli obiettivi minimi di apprendimento.
Verranno proposti problemi con difficoltà progressiva da risolvere con lavoro individuale e di
gruppo. Verrà utilizzato il mezzo informatico per permettere agli allievi un riscontro immediato e
talvolta fornire motivo di riflessione sugli argomenti trattati. Si forniranno così allo studente più
mezzi, possibilità ed occasioni per capire e verificare il grado di comprensione raggiunto.
DAL SISTEMA TOLEMAICO ALLE LEGGI DI KEPLERO
Scienza e dogma
Il primo a guardare i cieli con uno strumento più potente dell’occhio umano fu Galileo Galilei con
il telescopio da lui stesso costruito.
A quell’epoca molti si rifiutarono di guardare: quanto asseriva Galileo non poteva essere vero
perché contrario agli insegnamenti di Aristotele, quindi perché occuparsene?
Meditiamo insieme
Coloro che si comportavano in quel modo erano uomini di vasta cultura e non certo privi di
intelletto;sarà necessario un secolo prima di mettere in discussione le vecchie teorie e cominciare ad
accettare le nuove.
D’altronde perché ci stupiamo? Come ci comportiamo oggi con gli inventori di congegni che
notoriamente non possono funzionare perché contraddicenti i principi elementari di Fisica?
La storia del pensiero scientifico da Aristotele a Newton è uno dei capitoli più affascinanti
dell’intera storia dell’uomo.
Vedremo come il progresso quantitativo della conoscenza trasforma anche la qualità del nostro
modo di pensare; così che, pure a parità di intelligenza, i nostri schemi mentali nell’affrontare i
problemi della scienza e della vita stessa sono diversi da quelli dei nostri predecessori.
E’ una epopea che ha proseguito con ritmo sempre più incalzante da Newton ai nostri giorni, ed è
tuttora in atto; che ha investito il progresso scientifico e la vita di tutti gli uomini, i quali anche se
non ne sono protagonisti, non possono più restare solo disinteressati spettatori, perché
rischierebbero di non comprendere il mondo in cui vivono ed essere travolti da esso.
Concetto di punto materiale
La Meccanica studia il moto dei corpi.
Consideriamo i solidi; questi venivano idealizzati come corpi rigidi e considerati come solidi nella
geometria Euclidea ( in essi due punti si trovano sempre alla stessa distanza l’uno dall’altro).
Introducendo il concetto di punto materiale si possono ottenere notevoli semplificazioni
concettuali e di calcolo.
Si passa dallo studio di un corpo reale ( che ha quindi, una certa estensione spaziale, cioè un certo
volume) e quello di un punto materiale ( che per definizione è privo di estensione).
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Un punto materiale può essere inteso come un punto geometrico cui vengono attribuite certe
proprietà fisiche, da definirsi opportunamente, in modo tale che lo studio del suo comportamento
possa sostituire quello del corpo reale in una conveniente approssimazione.
Scopo di qualsiasi scienza naturale esatta è studiare con una approssimazione nota i fenomeni di cui
si occupa. La prima approssimazione viene compiuta nell’atto stesso in cui si sceglie un
determinato modello per lo studio di un particolare fenomeno.
Consideriamo un corpo esteso, sia che lo si pensi come rigido, sia come un solido reale; lo studio
del suo moto equivale a determinare in qual modo si muove ciascuna delle “ particelle che lo
costituiscono “ .Ciò si può fare solo dividendo idealmente il corpo in porzioni sufficientemente
piccole perché ciascuna di esse si possa assimilare ad un punto materiale; questa decomposizione
può farsi ad << infinitum >> introducendo tecniche matematiche appropriate ( la cosiddetta Analisi
Infinitesimale inventata da Newton e Leibnitz per trattare, appunto, problemi di questo tipo).
In questo caso lo studio di tutte le proprietà fisiche della materia, e non solo quindi del moto,
avviene in ultima analisi mediante la sua riduzione a punti materiali come costituenti ultimi.
E’ inoltre interessante osservare che il concetto di punto materiale è una necessaria base di partenza
per le moderne teorie quantistiche e relativistiche.
Verso nuove concezioni della Dinamica
Consideriamo quei corpi con i quali la nostra quotidiana esperienza ci pone in contatto.
Qualsiasi uomo ha sempre saputo distinguere un corpo “pesante“ da uno “leggero”: il concetto di
peso di un corpo come attributo fisico è antico quanto l’uomo. Lo stesso vale per il concetto di
forza: l’atleta più forte è quello che riesce a sollevare un peso più grande.
La connessione tra peso, forza e movimento c’è sempre stata nella mente umana, anche le misure
quantitative sono state eseguite fin dall’antichità: il lancio del disco misurava la forza del discobolo;
le monete più antiche avevano il valore determinato dal loro peso. Vi è, tuttavia, una radicale
differenza tra le misurazioni antiche dei pesi e le odierne: il peso veniva concepito come una qualità
dei corpi ( come odore, colore, fragilità); così come ciascuno dei frammenti di un blocco di marmo
bianco ha lo stesso colore bianco del blocco, secondo Aristotele esso aveva anche lo stesso “peso“
di cui faceva parte. Non vi era contraddizione interna nella dottrina Aristotelica secondo la quale la
velocità di caduta dei gravi è proporzionale al loro peso (Galileo dimostrò che ciò era in
contraddizione con l’esperienza): due corpi uguali, che separatamente hanno uguale velocità di
caduta perché di peso uguale, se riuniti dovevano cadere con velocità doppia, essendo ora il loro
peso quello dell’intero blocco ( come il colore bianco nel caso del marmo) .
Questo è un esempio didatticamente utile in quanto mostra un modello dell’Universo interamente
coerente, ma da rigettare perché in disaccordo con l’esperienza.
Il peso veniva quindi considerato dagli Aristotelici come una grandezza ( quantità intensiva ) non
proporzionale al volume del corpo ( quantità estensiva ); questo era naturale in una filosofia che
assieme ai gravi “che tendono a cadere” si consideravano elementi, come il fuoco, che “tendono ad
ascendere”. Non era possibile il collegamento tra il peso e quantità di materia posseduta da un
corpo, che è una grandezza di tipo estensivo ( mentalità post-Newtoniana ).
Quest’ultimo concetto, che noi chiamiamo massa, è emerso solo dopo un secolare travaglio.
Esso è l’unico concetto che bisogna aggiungere ai concetti di spazio e tempo perché si possa intuire
una completa scienza della Dinamica, ossia del moto dei corpi in quanto determinato dalle cause
che lo producono le “forze “.
Carattere puramente cinematico degli antichi sistemi astronomici
Nella scienza moderna l’estrema attenzione a descrivere l’opera dello scienziato come l’invenzione
e lo studio di modelli che descrivano l’Universo, è indice di una rivoluzione concettuale avenuta
solo in epoca relativamente recente. Per gli antichi Greci, come per Galileo, la scienza descriveva
“la Natura in sé“, non un certo modello di essa.
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I modelli a cui si è accennato devono potersi controllare attraverso sperimentazioni ed essere
sostituiti, all’occorrenza, con altri più ampi e profondi che contengano quelli precedenti entro i
riconosciuti limiti di precisione, ma predicano anche un più grande numero di fenomeni
conmaggiore esattezza.
L’Astronomia che sin dai tempi più remoti studiava i moti degli astri nella volta celeste, offriva una
evidente constatazione: le costellazioni mantengono costante la propria forma e, più in generale,
tutte le “ stelle fisse “ mantengono invariate le loro posizioni relative; esse ruotano “in blocco“,
come rigidamente connesse ad una grande sfera, la volta del cielo, che compie una rivoluzione
completa intorno alla Terra nell’arco di un giorno.
Sette corpi celesti soltanto, visibili ad occhio nudo, apparivano in moto rispetto alla volta celeste: il
Sole, la Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno: i pianeti ( “viandanti “ in greco ).
Cose come le comete erano considerate “prodigi“, forieri di speciali avvenimenti riguardanti
l’umanità.
Si trattava di descrivere il moto osservato di questi astri e di calcolarlo con metodi adeguati ai
bisogni concreti.
Varie concezioni furono enunciate.
Platone ben conosceva l’osservazione di Pitagora, che il moto del Sole rispetto alla Terra può
interpretarsi come dovuto alla composizione del moto circolare lungo l’eclittica ( nome del
cammino apparente descritto dal Sole durante l’anno, riportato sulla sfera celeste); questo moto
veniva allora ritenuto erroneamente uniforme a causa dell’imprecisione delle misure.
Platone propose agli astronomi di analizzare tutti i moti dei pianeti come dovuti alla composizione
di moti circolari; questa sua proposta, che determinò il futuro dell’Astronomia per duemila anni, ha
un sorprendente aspetto di modernità matematica, salvo il fatto che ciò che per noi è mera finzione
di calcolo era per i Platonici realtà incontestabile.
Diverse soluzioni furono trovate al problema di Platone.
Eudosso ideò uno schema, ingegnoso e abbastanza soddisfacente, secondo il quale ogni pianeta era
rigidamente connesso ad un involucro sferico ruotante attorno ad un asse, infisso nell’involucro
immediatamente esterno; questo schema fu accolto da Aristotele: è quello che si ritrova
magistralmente rappresentato nel Paradiso di Dante.
Apollonio, Ipparco e soprattutto Tolomeo risolsero il problema immaginando che i pianeti
descrivessero piccole orbite circolari intorno a centri descriventi a loro volta circonferenze attorno
alla Terra. Questo è il famoso sistema Tolemaico che rendeva conto, in modo eccellente, di tutti i
dati disponibili nel II secolo dopo Cristo.
Una dottrina di diretta ispirazione pitagorica affermava che anziché la volta celeste, fosse la Terra a
ruotare intorno ad un suo asse.
Questo insegnamento spinse Eraclide, contemporaneo di Aristotele, ad anticipare parzialmente, e
quindi Aristarco di Sano ad enunciare in modo completo ed esauriente la teoria che la Terra gira
intorno a se stessa, la Luna gira intorno alla Terra e questa e gli altri pianeti ruotano intorno al Sole,
il quale è fisso come le stelle: era la nascita del sistema “ eliocentrico “ ( Teoria che fu poi ritrovata
da Copernico ) che risultava però troppo diverso da tutte le concezioni allora prevalenti perché
potesse venire ragionevolmente accettato dalla scienza antica. La conoscenza di quanto Eraclito e
Aristarco avevano ordinatamente asserito incoraggiò Copernico a compiere la sua opera.
Ciò che è essenziale osservare è che dal nostro punto di vista i modelli (puramente cinematici) di
Eudosso, Tolomeo e Aristotele sono interamente equivalenti l’uno all’altro; è solo questione di
preferenza adottarne uno piuttosto che l’altro.
Una differenziazione nasce solo dopo l’opera di Keplero che, pur dando anch’ essa una descrizione
di tipo solo lineare, va ben oltre quelle offerte da questi modelli in modo per noi equivalente.
Per gli antichi, come anche per Galileo, la situazione era diversa; non si trattava di modelli, ma della
Natura stessa:la validità di un sistema escludeva necessariamente quella degli altri.
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Copernico riscopre il sistema di Aristarco
Possiamo riassumere la situazione, al principio della rivoluzione legata soprattutto ai nomi di
Copernico, Galileo, Keplero e Newton.
Il sistema geocentrico era “evidentemente“ vero, che si parlasse di sfere celesti o di circonferenze
varie; l’astronomia trattava dei corpi celesti, dunque di natura perfetta e incorruttibile, trascendendo
la vile sostanza delle cose terrene fatiscenti e più o meno corrotte; essa era concepita solo in termini
cinematici.
Mantenere i corpi celesti in moti così armoniosamente ed eternamente equilibrati poteva essere un
compito per angeli, che l’uomo poteva al più ammirare.
La Fisica Aristotelica (cui ci si riferiva quale sommo espositore di ogni conoscenza scientifica,
come a San Tommaso per la dottrina cristiana) trattava i gravi ed il peso alla maniera che abbiamo
descritto all’inizio: era ovvio che i corpi cadessero al centro della Terra, se questo era anche il
centro dell’Universo.
Per ciò che riguarda la relazione tra forza e movimento, il principio sostenuto dai peripatetici era
che per spingere o tirare un carico su una strada a velocità costante, occorre applicargli
costantemente una forza che cresce con la velocità voluta:
“ La velocità acquistata da un corpo sotto l’azione di una forza è proporzionale alla forza stessa”.
Moto dei corpi, caduta dei gravi, rivoluzione degli astri appartengono dunque a ordini concettuali
non estranei l’uno all’altro.
A questo punto ha inizio il romanzo forse più affascinante che sia stato mai vissuto dall’ “ homo
sapiens “. Esso si innesta in uno sfondo di credenze millenarie, di dogmi assoluti e di superstizioni
ciecamente accettate; ne sono prova il rogo di Giordano Bruno ( osservatore del sistema
Copernicano e dichiarato eretico ) ed il processo di Galileo.
L’iniziatore fu un ecclesiastico polacco, Nicola Copernico, che dedicò la sua vita ad una paziente
ricerca di una rappresentazione cinematica del moto degli astri e dei pianeti, sempre basata sul
principio di orbite circolari percorse con velocità uniforme, che riuscisse più semplice e di più
agevole uso di quelle offerte dal sistema Tolemaico.
La scoperta di Copernico fu la risposta al sistema eliocentrico di Aristarco, dimenticato dalla
scienza ufficiale; essa veniva ora, in ben altri tempi; il generale fervore intellettuale del
Rinascimento italiano aveva nuovamente aperto la mente all’uomo, alla curiosità e all’indagine.
Più tardi Copernico si trovò in difficoltà nel far quadrare la sua teoria con i dati astronomici, solo
con Keplero si apprese che le orbite dei pianeti non sono circolari né vengono percorse con
velocità uniformi.
La nostra attenzione deve volgersi ora a Galileo e keplero; Galileo iniziatore della moderna scienza
del moto e del metodo sperimentale ( cui l’Umanità deve tanto ) sostenitore delle idee di Copernico
e della ragione umana contro il cieco dogma. ( A quell’epoca se Copernico aveva ragione,
Tolomeo doveva aver torto).
Keplero, spirito teorico per eccellenza, trovò infine le “vere“ leggi del moto dei pianeti.
Il genio di Newton poté così rifulgere; dopo di lui il moto degli astri, la caduta dei gravi e qualsiasi
altro moto apparvero essere cose della stessa natura, in una formulazione così semplice e perfetta
della Meccanica, che fino ad Einstein nulla sembrava potersi ad essa aggiungere.
Newton disse: <<Se ho potuto vedere più lontano di altri, è perché mi sono poggiato “sulle spalle di
Giganti”>>.
L’opera di Keplero
Le leggi di Keplero (salvo modifiche di lieve entità, introdotte dalla relatività Generale) sono
tuttora la base indiscussa della nostra conoscenza del moto dei pianeti.
Giovanni Keplero è tra i primi scienziati che, anziché limitarsi all’esposizione dei risultati definitivi,
hanno nei loro scritti raccontato, passo per passo, anche i numerosissimi tentativi fatti (e dimostrati
spesso erronei), mostrando in tal modo come dalla ricerca delle cause degli errori emergessero
nuove vie, che gradualmente modificavano le opinioni iniziali, fino al raggiungimento della meta
cercata.
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Animato da profondo spirito mistico pitagorico e platonico, certissimo però della necessità di un
metodo razionale e del potere della matematica, Keplero si guadagnò dapprima risonanza con una
teoria pubblicata nel 1596, che rendeva conto in modo soddisfacente dei valori dei raggi delle varie
orbite dei pianeti. Questi valori, che potevano essere calcolati agevolmente con il sistema
copernicano, dovevano pur corrispondere a qualche perfetta armonia della Natura!
Gli venne l’ispirazione di ricollegare il fatto che esistevano solo sei pianeti ( Mercurio, Venere,
Terra, Marte, Giove e Saturno – Urano, Nettuno e Plutone erano a quel tempo ignoti per mancanza
di adeguati strumenti ottici –) all’altro fatto che esistono solo cinque poliedri regolari.
Per tentativi trovò che, se si inscrive un esaedro nella sfera di Saturno ( quella con centro il Sole, in
cui giace l’orbita di Saturno), nell’esaedro si inscrive poi un’altra sfera, in questa un tetraedro, nel
tetraedro ancora una sfera e così via, i raggi di tutte le sfere così ottenute sono nello stesso rapporto
dei raggi delle orbite di Saturno, Giove, Marte, Terra, Venere e Mercurio.
Keplero si sentì in obbligo di verificare con ogni possibile accuratezza la sua scoperta.
Mancandogli dati sufficientemente esatti si recò, come allievo da Tycho Brahe, massimo astronomo
del tempo. Tycho aveva raggiunto, in un osservatorio costruitogli dal governo danese su di una
isola, tale precisione nelle sue osservazioni che esse sono utilizzate ancora oggi.
Tycho aveva un sistema celeste personale: tutti i pianeti, salvo la Terra, giravano intorno al Sole,
questo girava con il suo corteo di pianeti intorno alla Terra.
Keplero aspirava a trovare una causa del moto dei pianeti, che per motivi soprattutto mistici,
credeva essere il Sole; cercava quella dinamica del sistema solare che solo Newton, cinquant’anni
dopo, poté edificare traendola dalle sue leggi.
Nel corso dei suoi studi passò poco a poco dal concetto di “anima “ di un pianeta a quello di << vis
>> cioè “forza “: anche se non era chiaro cosa dovesse essere questa forza; è importante però il
passaggio da una concezione mistica ad una concezione meccanica della Natura.
L’orbita di Marte era la più interessante da studiare: i risultati che Keplero ottenne, dopo anni di
lavoro con i dati di Tycho, diedero una differenza tra la sua teoria e le osservazioni sperimentali di
8/60 di grado ( angolo descritto dalla lancetta dei secondi in 0,02 sec.); i dati di Tycho erano precisi
entro 1/60 di grado: Keplero a differenza di molti antichi rigettò tutta intera la sua teoria e
ricominciò da capo.
Per tentativi arrivò alla conclusione che non è vero che il moto dei pianeti nelle loro orbite è
uniforme, poi alla esatta formulazione quantitativa di questa affermazione che oggi è nota come
seconda legge di Keplero:
“Il raggio vettore che congiunge il Sole al pianeta descrive aree uguali in tempi
uguali”.
Poiché le aree tratteggiate sono uguali, esse vengono descritte dal
pianeta durante il suo moto in tempi eguali.
E’ chiaro che la velocità del pianeta non è in modulo costante durante il
moto: essa è massima nell’orbita più vicina al Sole (perielio), minima in corrispondenza del punto
più lontano (afelio).
Bisogna sottolineare che, secondo Copernico e Tolomeo, i moti effettivi erano composizione di un
numero finito e molto piccolo di moti circolari uniformi, tale composizione non poteva andare
d’accordo con la seconda legge di Keplero.
Questa legge sancisce dunque l’abbandono definitivo dei concetti mistico-filosofici riguardanti la
perfezione del cerchio, la perfezione non va quindi ricercata nella forma geometrica delle orbite.
La legge impone la ricerca di altre forme di orbite che siano con essa compatibili.
Dopo un penosissimo lungo lavoro, provando ovali di varia forma, Keplero giunse finalmente,
anche aiutato un po’ dalla fortuna ( due errori di calcolo si compensarono l’un l’altro ) a quella che
oggi si chiama: la prima legge di Keplero:
“Un pianeta descrive un’ellisse di cui il Sole occupa uno dei due fuochi”.
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L’orbita descritta dal pianeta P intorno al Sole è un'ellisse, ossia
una curva piana individuata come luogo geometrico dei punti
aventi costante la somma delle distanze da due punti fissi detti
fuochi (F1 e F2).
Con queste due leggi la cinematica del moto planetario è
definitivamente formulata: con esse si calcola oggi l’orbita di un
pianeta o di una navicella spaziale.
Dopo dieci anni di lavoro Keplero trovò finalmente la risposta
alla domanda che si era posto inizialmente: quale fosse il principio che determina la distribuzione
osservata dei raggi delle orbite planetarie.
La terza legge di Keplero afferma che: Il rapporto tra il cubo del raggio dell’orbita e il quadrato del
periodo è lo stesso per tutti i pianeti cioè R3  T2 costante.
E’ chiamato raggio R dell’orbita la semisomma della minima e della massima distanza del pianeta
dal Sole, periodo T di rivoluzione il tempo impiegato dal pianeta per percorrere l’intera orbita.
Questa legge, in particolare, doveva servire a Newton per trovare la forma esatta della legge
dinamica che regola tutti i fenomeni di gravitazione.
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