Omelia per la dell’Epifania solennità DOV’È COLUI CHE È NATO? Omelia per la solennità dell’Epifania 6 gennaio 2016 La celebrazione dell’Epifania chiede a tutti di spalancare la porta dell’accoglienza, perché la rivelazione universale della misericordia divina giunga a tutti gli uomini del nostro tempo mendicanti di luce, cercatori di pace e facitori di giustizia. Celebrare l’Epifania è aderire alla gioia con cui Dio abbraccia l’umiltà della condizione umana per affiancare quanti camminano nel desiderio della verità, con lo sguardo rivolto al cielo, per scrutare i segni e i messaggi della Luce eterna preannunciata dalla presenza della stella. Celebrare l’Epifania è accogliere la luce che viene da Dio, per non inseguire luci artificiali che non rischiarano le profondità delle nostre attese e invocazioni più radicali e inascoltate. Dai Pastori ai Magi I destinatari privilegiati della rivelazione di Dio sono rappresentati da due categorie distintamente pastori, persone escluse dai rapporti sociali testimoni dei primissimi vagiti del Salvatore; sapienti dell’oriente, due polarità umane così del Mistero è davvero Signore, tutti i popoli a Betlemme opposte: i ordinari, e i Magi, interpreti dei segni celesti. Queste diverse dimostrano che la rivelazione per tutti i popoli: “Ti adoreranno, della terra”. Scrive sant’Agostino: “I pastori accorrendo da vicino lo stesso giorno della nascita, i magi arrivando oggi da lontano hanno consegnato ai posteri due giorni diversi da celebrare, pur avendo ambedue contemplato la medesima luce del mondo” (Discorso 199). L’intera umanità, rappresentata dalle categorie più povere a quelle più agiate, si mette alla ricerca dell’evento che rigenera in modo inatteso la nostra condizione umana. Pastori e Magi sono guidati da segni del cielo ed entrambi condividono gli stessi verbi: andare, vedere, adorare, ritornare (e testimoniare). E’ il percorso della fede che immette l’uomo nel cuore della grotta dove riconoscere il Dio fatto carne deposto in una greppia; è la gioia di quell’incontro che lo invia sulle strade del mondo per raccontare quanto ha udito e visto in prima persona. “Dov’è colui che è nato?” Quando i Magi arrivano a Gerusalemme la stella che li aveva guidati fino a quel momento sembra scomparire, come se si rifiutasse di sostare sopra Gerusalemme, come per far capire a quei sapienti che proprio a Gerusalemme non sarebbero mai dovuti entrare, per non rischiare vicende e incontri distorti con personaggi ambigui e ambiziosi (Erode e “i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo”). I Magi entrano in Città con ingenuità: non sono arroganti né presuntuosi. Si fanno strada con le domande della fede: “Dov’è colui che è nato?”. E’ una ricerca onesta, corretta, “pulita”, perché è senza malizia e senza doppi fini, a differenza delle parole di Erode, ed esprime il desiderio di portare a compimento il loro lungo e difficile viaggio. I Magi, nonostante la loro provata sapienza, non pretendono di possedere già risposte; si lasciano invece istruire dal dubbio, dagli interrogativi, dall’insicurezza. Mettono in discussione il loro sapere ritenendolo inadeguato rispetto al Mistero da cui sono attratti. Tutta la loro sapienza non vale quanto la gioia di portare a termine la loro ricerca: “Annunziano e chiedono, credono e cercano, come per simboleggiare coloro che camminano nella fede e desiderano la visione” (S. Agostino, Discorso 199). Quelle dei Magi sono le domande di tanta gente che si chiede, a volte con rabbia: Dov’è Dio? Come posso conoscerlo? Dove posso incontrarlo? Se davvero esiste, perché non mi si rivela?….Non dobbiamo né rimproverare né reprimere queste parole, perché esprimono un desiderio autentico capace di metterci in un movimento interiore di apertura e di docilità. Chi non si pone più queste domande soffre di rassegnata rinunzia. Capi dei sacerdoti e scribi Alla domanda dei Magi, Erode interpella sacerdoti e scribi. Brutta razza! Queste categorie di persone che vivono a Gerusalemme non hanno bisogno di porre domande, perché possiedono soltanto risposte, ogni risposta possibile a qualunque genere di questione religiosa. Sanno rispondere perfettamente bene, e con esatta precisione, alla domanda dei Magi: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta”. Che strano: conoscono bene al risposta, ma non sanno prendere la decisione di andare a Betlemme; non sentono il bisogno di recarsi a Betlemme, per mettersi in ricerca di Colui che è nato. Perché? Perché è gente mestierante della Torah, uomini religiosi esperti di facciata, che studiano con la mente la Legge di Dio da saperla ripetere a cantilena, ma sono lontani con il cuore dalla Parola che scrutano. E’ gente che ha molta familiarità con il sacro, fino all’assuefazione e all’abitudine che paralizza il movimento di una fede sincera. E’ gente che non si concede dubbi, ma solo certezze; è la categoria più pericolosa di falsi credenti: “Quanto sarebbe stato meglio infatti se si fossero uniti a quelli che cercavano il Cristo, dopo aver sentito dire da essi che, veduta la sua stella, erano venuti desiderosi di adorarlo? se li avessero accompagnati essi stessi a Betlemme di Giuda, la città che avevano ad essi indicato seguendo le indicazioni dei Libri divini? se insieme ad essi avessero veduto, avessero compreso, avessero adorato? Invece, mentre hanno indicato ad altri la fonte della vita, essi ora sono morti di sete” (S. Agostino, Discorso 199).Anche tanti dei nostri cristiani sono assuefatti alle tradizioni religiose, tanto da non viverle più con una fede vivace, ma per inerzia. Diversi dei nostri “praticoni” fanno le cose per abitudini, mentre sanno custodire bene tutti i particolari di secolari feste religiose che devono restare immutabili e “intoccabili”. Per molti tutto questo non ha nulla a che vedere con l’incontro tra la propria vita e le esigenze del Vangelo che devono invece scardinare le nostre credenze esteriori e banali. Entrati nella casa I Magi invece varcano la soglia della grotta, si piegano per guardare all’interno di questo angusto e inospitale ambiente, cercano di abituare i loro occhi alla semioscurità che pervade l’intero abitacolo, finche non arrivano a fissare lo sguardo sul “bambino con Maria sua madre”. La stella ormai scompare perché i Magi hanno riconosciuto la Luce vera: “Entrati nella casa videro…si prostrarono e lo adorarono”. I Magi “entrano” per contemplare il bambino Gesù: non si scandalizzano per la povertà del segno umano di un bambino indifeso; cercano in profondità il senso degli eventi, dei segni e dei personaggi che incontrano in quella grotta. Con umiltà riconoscono proprio nella debolezza della scena umana la rivelazione della potenza di Dio. Il ritorno dei Magi in Oriente “per un’altra strada” segue un’indicazione speciale (Mt2,12): con il suo intervento Dio non permette ad Erode di distruggere la gioia spirituale dei Magi. Erode non potrà strappare dal cuore dei Magi la gioia di aver incontrato il vero Dio; niente e nessuno potrà mai derubarli di quella gioia che intendono custodire e della vera Luce di cui il loro “oriente” può brillare per sempre. + Gerardo Antonazzo