Documento Informativo nr.121

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Documento Informativo nr. 121
Data di emissione: 07/06/2005
Revisione n. 0
ATS NO FOOD
NUOVE DISPOSIZIONI
IN MATERIA DI
MESSAGGI PUBBLICITARI INGANNEVOLI
Riferimento interno:
dr.ssa Chiaratti, dr. Lorenzetto - Funzione ATS NO FOOD Cosmesi, CHELAB s.r.l.
(tel. 0423 - 7177; e-mail: [email protected] - [email protected])
Mod. 174/SQ rev. 2
1 - ABSTRACT
Il recente inasprimento delle sanzioni pecuniarie per i reati di pubblicità ingannevole diffusa
attraverso i mezzi di comunicazione, rinnova l’attenzione sulle proprietà vantate nei prodotti
cosmetici e non supportati da adeguata documentazione.
Chelab dispone di un’offerta analitica adeguata per valutare da un punto di vista tecnico-scientifico
i più comuni claims mediante:
o Test in vivo su un panel selezionato di volontari
o Test in vitro
o Analisi chimiche supportate da una strumentazione tecnica all’avanguardia
o Analisi microbiologiche
Chelab inoltre può fornire un valido supporto legislativo in virtù di un personale con provata
esperienza nel settore.
2 – INTRODUZIONE
Lo scorso 14 aprile è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge 6 aprile 2005 n. 49, recante
disposizioni in materia di messaggi pubblicitari ingannevoli diffusi attraverso i mezzi di
comunicazione, modificando in particolare all’articolo 7 del decreto legislativo 25 gennaio 1992 n.
74. Con la nuova legge vengono fornite le necessarie definizioni delle nozioni di “pubblicità
ingannevole” e “pubblicità comparativa”, introducendo nuovi strumenti di tutela giuridica e
amministrativa. L’elemento centrale consiste nell’aver rimesso la competenza per la tutela
amministrativa contro la pubblicità ingannevole all’Autorità garante della concorrenza e del
mercato. Ad essa viene attribuito il potere di richiedere al proprietario del mezzo di comunicazione
che ha diffuso il messaggio pubblicitario ogni informazione idonea ad identificare il committente del
messaggio, ma anche quello di richiedere all’operatore pubblicitario (ovvero al proprietario del
mezzo che ha diffuso il messaggio pubblicitario) copia del messaggio pubblicitario ritenuto
ingannevole o illecito.
Vengono altresì inasprite le sanzioni pecuniari: con la nuova legge si parte da 1.000 euro per
arrivare a un massimo di 100.000 euro. Con un’ulteriore modifica viene eliminata la possibilità di
irrogare sanzioni penali nel caso di inottemperanza ai provvedimenti di urgenza oppure a quelli
inibitori o di rimozione degli effetti, prevedendo invece in tali casi che l’Autorità irroghi sanzioni
amministrative pecuniarie e possa in caso di reiterata inottemperanza disporre la sospensione
dell’attività di impresa per un periodo non superiore ai 30 giorni.
3 –MESSAGGI PUBBLICITARI E CORRETTA INFORMAZIONE
Per quanto riguarda i prodotti cosmetici la situazione è ben
regolamentata dalla direttiva 76/768: “gli Stati membri devono adottare
tutte le disposizioni adeguate affinché in sede di etichettatura, di
presentazione alla vendita e di pubblicità dei cosmetici non vengano
impiegati diciture, denominazioni, marchi, immagini o altri segni,
figurativi o meno, che attribuiscano ai prodotti stessi caratteristiche che
non possiedono”.
Se, dunque, un messaggio pubblicitario o un claim riportato in etichetta
sono tali da indurre in errore le persone alle quali sono rivolti, in modo
da pregiudicare il loro comportamento e le loro scelte oltre che apportare
un danno per le aziende concorrenti, tali tipi di messaggi ricadranno nel
reato di “pubblicità ingannevole”, con le conseguenti provvedimenti
economici previsti dalla legislazione oltre ad un non quantificabile danno
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di immagine per l’azienda produttrice.
In realtà quanto rivendicato in etichetta non deve rappresentare soltanto un mezzo per invogliare i
consumatori all’acquisto del cosmetico, ma ha il compito di informare, in modo chiaro e facilmente
comprensibile al pubblico non specialista sulle reali caratteristiche del prodotto, e deve essere
adeguatamente supportato. La documentazione richiesta deve dimostrare rigore scientifico,
oggettività, imparzialità e, quando necessario, deve essere supportata mediante dati analitici
ottenuti con metodologie verificabili. Il supporto ad un claim è, dunque, un processo che deve
fornire informazioni scientifiche utili a documentare la legittimità delle informazioni legate alla
commercializzazione del prodotto mediante ricerche bibliografiche e mediante l’esecuzione di studi
mirati. Ad esempio, la presenza di sostanze che possono avere una teorica azione specifica (come
quella di idratare la cute) non dimostra necessariamente che tali azioni vengano realmente
conseguite mediante l’impiego del prodotto, in quanto la sua efficacia dipende dalla
concentrazione effettiva del principio attivo nonché dalla formulazione complessiva del prodotto
cosmetico e dalla effettiva affinità del prodotto con la cute. La valutazione globale del prodotto
finito e delle sue effettive potenzialità è quindi indispensabile.
Per la valutazione a sostegno dei claims di efficacia, che indubbiamente sono i più comunemente
utilizzati per pubblicizzare i prodotti cosmetici, possono essere utilizzati sia test in vivo su volontari
umani sia test in vitro. In generale è preferibile, quando possibile, utilizzare test in vivo poiché
rispecchiano di più le reali condizioni di utilizzo di un prodotto cosmetico. I test in vitro sono più utili
in fase di produzione o di formulazione del prodotto ma non sempre sono utili a sostegno di claims.
Ad esempio, il test per la determinazione del fattore di
protezione solare (SPF) può essere effettuato sia in vitro sia in
vivo, ma tali test hanno attendibilità e affidabilità diversa. Infatti
in vitro il substrato che simula le caratteristiche della cute e
quindi i filtri UV su di esso applicati sono investiti da un singolo
flash di luce di durata infinitesima, mentre in vivo gli stessi filtri
vengono sottoposti ad irraggiamento luminoso continuo per
dose e tempi di vari ordini di grandezza superiore a quello
ricevuto in vitro. In vitro, inoltre, lo scattering della luce
attribuibile a filtri fisici (zinco ossido o titanio biossido) produce
variazioni dell’SPF non direttamente correlabili con la
protezione registrata in vivo.
Infine, in vivo il cosmetico può venire parzialmente o totalmente adsorbito dall’epidermide mentre
in vitro questo fenomeno non accade, ed eventuali eccipienti presenti nelle formulazioni che in vivo
possono avere azione limitante lo sviluppo dell’eritema non agiscono in vitro.
4 – ESEMPI DI CLAIMS NEI PRODOTTI COSMETICI:
•
“Dermatologicamente testato”: devono essere supportati da adeguata documentazione.
Secondo la sentenza della corte del 24/10/2002 (causa C99/01), “l’immissione sul mercato
di un prodotto riportante la dicitura “ dermatologicamente testato ” implica che tale prodotto
è stato sottoposto ad una prova tesa a controllare i suoi effetti sulla pelle, che il risultato di
tale prova è stato positivo e che sono stati accertati la buona tollerabilità del prodotto per
l’epidermide o, quanto meno, il carattere inoffensivo per la pelle.” Il test fondamentale da
eseguire per poter riportare questa dicitura è il “patch test epicutaneo”.
•
“Ipo-allergenico”. Come può una sostanza essere definita ipo-allergizzante? Un soggetto
è definito allergico o non allergico ad una determinata sostanza. Lo scatenarsi di un’allergia
ha infatti un meccanismo on / off.
La dermatite allergica da contatto (DAC) si scatena per contatto di una precisa sostanza
alla quale il soggetto è già stato precedentemente sensibilizzato. Solo a seguito di un
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•
stimolo successivo, che può avvenire anche a distanza di tempo, si può scatenare la
classica reazione immunitaria in cui l’incontro fra l’anticorpo e la stessa sostanza
(l’antigene) determina la reazione allergica.
E’ facilmente comprensibile, pertanto, come non abbia alcun senso definire un prodotto ipoallergenico bisognerebbe semmai definirlo “anallergico” vale a dire del tutto scevro dal
rischio di indurre allergie; in realtà non esiste alcun cosmetico privo di tale rischio anche se
contiene un numero limitato di ingredienti.
Al massimo sarebbe più corretto etichettarlo come “studiato e/o testato per diminuire al
massimo il rischio di allergia” dopo aver esattamente determinato la quantità delle possibili
sostanze allergizzanti in esso contenute.
A nostro avviso, è consigliabile scrivere in etichetta “dermatologicamente testato” o che il
prodotto ha superato “test di tollerabilità cutanea” qualora tali test siano stati correttamente
effettuati. Ovviamente si potrà procedere a tali test solo su un prodotto nel quale non sia
rilevabile la presenza degli allergizzanti più comuni, come nichel, cromo e cobalto e le
sostanze aromatizzanti allergizzanti indicate nel VII emendamento.
“Nichel tested”: la diffusione delle dermatiti da contatto causate da cosmetici sta
suscitando un interesse sempre maggiore, se si considera la presenza ubiquitaria di questi
contaminanti in diversi ambienti. Poter dichiarare la non rilevabilità di sostanze
notoriamente allergizzanti in un prodotto costituisce sicuramente un plus in particolare per il
make up e per le creme che restano a contatto con la pelle per molte ore nel corso della
giornata. Tra le sostanze allergizzanti il nichel figura sicuramente tra quelle più comuni. Su
142 prodotti testati dall’ARPA del Piemonte nel corso di un’indagine i cui risultati sono stati
pubblicati nel 2003, 68 (il 48%) sono risultati positivi alla determinazione del nichel, e di
questi 33 (il 23% del totale) avevano un quantitativo di nichel inferiore alla soglia
allergizzante di 1 ppm, mentre 35 (il 25% del totale) la superavano. Il valore massimo
(27,38 ppm) è stato rilevato in un mascara. Chelab srl ha analizzato, da gennaio a
settembre 2004, 142 campioni di cosmetici di diverse tipologie sui quali era stata richiesta
la determinazione del nichel. Su 142 prodotti testati, 120 (il 67%) sono risultati positivi alla
determinazione del nichel, e di questi 73 (il 52% del totale) avevano un quantitativo di
nichel inferiore alla soglia allergizzante di 1 ppm, mentre 47 (il 33% del totale) la
superavano. Il valore massimo (56 ppm) è stato rilevato in un ombretto. I prodotti per il
make up sono risultati i più contaminati, in particolare ombretti, ciprie e mascara. In
mancanza di limiti di legge, il limite di tolleranza raccomandato, sulla base di alcuni
importanti studi, è 1 ppm (1 mg/kg): sotto questo limite soggetti considerati allergici a
queste sostanze non dovrebbero in genere dimostrare reattività al prodotto. Sono
sconsigliabili claims tipo “nichel free” in quanto il limite di rilevabilità dell’analisi è in funzione
della strumentazione utilizzata; questo potrebbe trarre in inganno il consumatore
inducendolo a ritenere il prodotto completamente privo del metallo.
•
“Rossetto lunga durata”: si tratta di rossetti composti da ingredienti quali resine
siliconiche perfettamente tollerabili dalla cute. Con una frase
simile si lascia intendere al consumatore che dopo aver
steso un film omogeneo di rossetto questo resiste allo
sfaldamento causato dal movimento delle labbra durante la
normale attività, che non trasferisce il colore quando viene a
contatto con altre superfici quali vestiti, fazzoletti, tovaglioli,
tazze, bicchieri etc, o con sostanze oleose quali grasso
cutaneo o cibi contenenti olio. Tutto ciò deve essere
supportato da documentazione che verifichi l’effettiva rispondenza a tali requisiti.
•
“Idratante”: l’effetto idratante di un prodotto cosmetico dovrebbe essere specificatamente
testato in vivo con appositi dispositivi basati su metodi elettrici che determinano il grado di
idratazione dello strato corneo delle cute. Tale test e’ fondamentale, infatti, per verificare
che il cosmetico agisca effettivamente nel preservare il contenuto d’acqua nell’epidermide.
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Ad esempio, l’applicazione di prodotti idratanti con azione occlusiva, come il petrolato puro
anidro, si traduce in un più lento incremento del contenuto d’acqua, a causa dell’interazione
occlusiva tra i lipidi e lo strato corneo (linee guida EEMCO guidance for the assessment of
stratum corneum hydration: electrical methods.” Skin Research and Technology 1997; 3:
126-132).
•
“Microbiologicamente controllato”: la presenza di microrganismi in elevata quantità può
provocare non solo alterazioni di tipo organolettico (sviluppo di cattivi odori e gas) ma può
determinare infezioni della pelle e delle mucose. I batteri aerobi (Carica batterica aerobica)
rappresentano un primo campanello d’allarme perché potrebbero essere associati alla
presenza di microrganismi patogeni. Se presenti in grande quantità possono essere
un’indice di scorretta manipolazione o conservazione del prodotto. I valori limite riportati
nelle Linee Guida dell’SCCNFP sono pari a 103 UFC/g o /ml per tutti i prodotti, ad
esclusione di quelli destinati all’infanzia e al contorno occhi, per i quali il limite è pari a 100
UFC/g o /ml. Batteri patogeni quali Pseudomonas aeruginosa, Stafilococcus aureo,
Escherichia coli e miceti patogeni quali Candida albicans e Aspergillus niger, costituiscono
un serio rischio per la salute e non devono essere presenti nei prodotti cosmetici, come
indicato dalle stesse linee guida dell’ SCCNFP. Ottenere un prodotto “microbiologicamente
controllato” implica il controllo di tutte le operazioni di produzione e stoccaggio nonché la
verifica del sistema conservante, oltre, ovviamente, tutte le necessarie verifiche sul
prodotto finito.
•
“Protegge dalle radiazioni UVA” oppure “ampio spettro”: sarebbe opportuno che il
produttore fosse in possesso degli esiti di test eseguiti in vitro nei quali si dimostri che il
prodotto ha capacità schermanti verso la radiazione ultravioletta nelle lunghezze d’onda
comprese tra i 320 e i 400 nm (zona di assorbimento della radiazione UVA). Ancora più
appropriato sarebbe riportare un indice numerico di protezione UVA ottenuto da test
eseguiti in vivo mediante PPD (Persistent Pigment Darkening). Un produttore di solari
deve, infatti, tenere ben presente che il
consumatore che impiega filtri solari tende ad
esporsi al sole più a lungo poiché è convinto di
essere protetto pertanto se il cosmetico
protegge solo per gli UVB (280-320 nm) come
avveniva in passato l’individuo è sovraesposto agli UVA (320-400 nm) che sono
maggiormente
coinvolti
nel
fotoinvecchiamento cutaneo, reazione fotoallergiche e foto-tossiche e nell’insorgenza del melanoma cutaneo.
•
“Resistente all’acqua – Water resistant” secondo i protocolli previsti dagli standard
internazionali FDA dove il cosmetico è considerato un OTC (over-the-counter) il fattore di
protezione che deve essere indicato in etichetta quando viene associato alla dicitura “water
resistant” deve essere quello ottenuto dopo test effettuati in vivo su volontari umani
preceduto da immersione di 20+20 minti in acqua su vasca idromassaggio Jacuzzi o
piscina.I prodotti destinati alla protezione solare e reclamizzati come “resistenti all’acqua”
devono, infatti, garantire tale protezione anche dopo l’immersione in acqua.
Fin tanto che non si sperimenta in vivo che il cosmetico permane e continua conferire
protezione agli UV non si può avere la certezza di fornire un’indicazione sicura e non
ingannevole al consumatore, che leggendo in etichetta resistente all’acqua crede di essere
protetto dalle radiazioni solari anche dopo la permanenza in acqua.
A seguito di una sperimentazione interna eseguita presso il nostro laboratorio con campioni
di solari già presenti sul mercato, acquistati sia presso la grande distribuzione sia in
profumeria, si è riscontrato come tali prodotti solari, nonostante contengano sostanze
idrorepellenti, perdano la propria efficacia nel schermare la radiazione UVA e UVB
(derivante da un simulatore solare che emette radiazioni da 290 a 400 nm) a seguito di
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immersione ripetuta di 20+20 minuti in acqua con
idromassaggio.
Le formulazioni in spray probabilmente per la loro maggior
componente acquosa sono quelle che in misura maggiore
rispetto ai latti o alle creme perdono la loro capacità
schermante a seguito di immersione ripetuta in acqua. Si è
visto che alcune formulazioni spray che avevano ottenuto un
SPF pari a 10 con metodo Colipa, dopo l’immersione in
acqua conferivano alla cute un protezione al massimo pari a
SPF = 3.
Si è riscontrato, inoltre, che la percentuale di permanenza
dei filtri UV e quindi l’efficacia del cosmetico dopo
immersione in acqua aumenta sicuramente per le
formulazioni costituite da emulsioni acqua/olio o olio/acqua,
tuttavia non si è mai ottenuto un valore di SPF pari a quello ottenuto in partenza. In genere
ottiene valore di SPF medio compreso tra il 40 e il 60% del fattore di protezione ottenuto
prima dell’immersione in acqua. Alla luce di tali risultati ottenuti non possiamo che avallare
il consiglio dato dai dermatologi ai consumatori, ossia ''dopo il bagno, o dopo aver sudato
molto bisogna rimettere la crema anche se sulla confezione e' riportata l'indicazione 'water
proof' o 'water resistant'. “
5 – PERIOD AFTER OPENING (PAO):
Viste le novità introdotte dal settimo emendamento alla direttiva cosmetici
sembra opportuno riportare alcune precisazioni in merito al Period after
Opening (PaO). Anche questa dicitura, infatti, potrebbe rientrare nel campo
della pubblicità ingannevole qualora la durata post apertura indicata in
etichetta fosse inferiore a quella reale.
Il PAO si riporta in etichetta con lo specifico simbolo del vasetto aperto con
indicazione del numero di mesi; è obbligatorio per i prodotti con durata
superiore ai 30 mesi (l’80-90 % secondo le stime delle industrie) ed indica il
periodo di tempo in cui il prodotto, una volta aperto, può essere utilizzato
senza effetti nocivi per il consumatore.
Al momento attuale non è disponibile alcun metodo scientifico specifico per determinare il PaO per
i prodotti cosmetici, e ciò complica indubbiamente il compito di chi deve eseguire questa
valutazione, che deve tenere in considerazione la complessità dell’insieme dei cosmetici e le
normali o ragionevolmente prevedibili modalità di utilizzo da parte dei consumatori. Si ricorda che
la decisione finale riguardo al periodo da indicare spetta sempre al responsabile dell’immissione
del prodotto sul mercato europeo, il quale deve poter dimostrare, anche in assenza di una
metodica ufficiale, che il prodotto, al termine del PAO indicato, sia sicuro per il consumatore. Si
evidenzia che il termine “sicurezza” deve essere inteso in senso lato: ad esempio, un prodotto
solare che non mantenga il fattore di protezione indicato in etichetta non può essere considerato
sicuro.
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7 – CHELAB PROPONE
Chelab si propone come valido ausilio a sostegno delle aziende che intendono supportare i claims
riportati in etichetta mediante prove analitiche sia in vivo testando i prodotti su un pool selezionato
di volontari, sia in vitro avvalendosi di una strumentazione all’avanguardia.
Test in vivo
• Patch-test (occlusive e open), eseguiti con la supervisione della clinica dermatologica
dell’Università di Padova.
• Determinazione del fattore di protezione in vivo con metodo COLIPA/JCIA/CTFA-SA e
FDA.
• Determinazione della “water resistant” di prodotti solari con metodica FDA utilizzando
minipiscina Kios Jacuzzi.
• Valutazione dell’efficacia idratante (short – term fino a 24 h).
Test in vitro
• Determinazione in vitro del fattore di protezione solare e dello spettro di assorbimento in
assorbanza e in trasmittanza (290-400 nm ) secondo metodo Diffey-Robson utilizzando
come substrato TRANSPORE e VITROSKIN
• Determinazione in vitro della protezione del solare alle radiazione UVA: UVA index e UVA
balance: utilizzando come substrato il PMMA plates con metodo tratto da IFSCC Magazine
2002, 5(3)
• Rossetti, lipgloss, e matite per labbra: TRANSFER RESISTANT COSMETIC
COMPOSITION flexibility , dry and oil blot test per la verifica se il cosmetico rientra nel
brevetto US 6,340,466.
• Test di pro-sensibilizzazione cutanea in vitro
• Test di irritazione oculare in vitro
• Test di irritazione cutanea in vitro
Analisi chimiche
• Determinazione dell’ identità e quantità di filtri solari chimici mediante HPLC-DAD.
• Determinazione dell’ identità e quantità di filtri fisici mediante ICP-AES secondo EPA
3051/94 e EPA 6010/C2000.
• Determinazione gas-cromatografica delle sostanze aromatizzanti-allergizzanti
• Determinazione dei metalli pesanti (nichel, cromo, cobalto, cadmio, piombo, mercurio e
arsenico).
Chelab dispone, inoltre, di personale esperto in grado di mettere a punto, in collaborazione con le
aziende produttrici, i protocolli più adeguati per la valutazione del PAO, e di eseguire i test prescelti
dopo invecchiamento accelerato nelle apposite camere termostatate a temperatura e umidità
controllate.
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7 - BIBLIOGRAFIA
1. Legge 6 aprile 2005, n. 49: modifiche all'articolo 7 del decreto legislativo 25 gennaio 1992,
n. 74, in materia di messaggi pubblicitari ingannevoli diffusi attraverso mezzi di
comunicazione
2. D Lgs n° 74 (25/01/1992) Attuazione della direttiva 84/450/CEE, come modificata dalla
direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, e successive
modifiche e integrazioni
3. Legge n. 713 (11-10-1986) Norme per l’attuazione delle direttive della Comunità
Economica Europea sulla produzione e la vendita di cosmetici; e successive modifiche e
integrazioni
4. Decreto legislativo recante attuazione delle direttive 2003/15/CE e 2003/80/CE, in materia
di prodotti cosmetici
5. D.P.R 627/96 Regolamento recante norme sulle procedure istruttorie dell'Autorita' garante
della concorrenza e del mercato in materia di pubblicita' ingannevole.
6. Primo: non ingannare - T. Rea, A. Boscolo - Imballaggio n. 566
7. Conferenza stampa Nickel e allergie, Milano 7 luglio 2004
8. Quale percentuale per il nichel? – Arancio, Pigatto – Clinica Dermatologica dell’Università
di Milano 9-9-2003
9. International sun protection factor test method (pubblicato a febbraio 2003)
10. The SCCNFP’S notes of guidance for testing of cosmetic ingredients and their safety
evaluation
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