IL CONVEGNO Come parlare ai malati I dubbi dei medici e le storie della gente Come trovare le parole giuste per parlare con un malato? I medici lo hanno chiesto ieri alla gente comune in un convegno al quale tanti hanno portato le loro storie. Secondo molti saper parlare con i malati è un dono. Ma bisogna anche saper ascoltare. a pagina 10 La cura del bon ton Perché i medici non sanno parlare ai malati e sono meno gentili di un salumiere? S ono un paziente oncologico», «sono la parente di una malata», «sono un volontario dell'Hospice»: se i medici del «Papa Giovanni» volevano sapere cosa pensa chi si trova all'altra parte della scrivania quando spiegano diagnosi e azzardano prognosi, lo hanno appreso dai tanti che ieri si sono alzati in piedi nella platea del Centro congressi e hanno risposto agli stimoli del convegno «Parlare con gli ammalati è una dote di natura o si impara?» Perché questo è il problema: troppi medici danno con brutalità le brutte notizie o parlano con i pazienti guardando l'orologio, e — dice una delle provocazioni dell'incontro — sono «meno gentili di un salumiere con i clienti». Per fortuna non è sempre così. Anche chi porta il camice è terrorizzato di fronte al baratro che può spalancare di fronte a una persona con le SEGRETERIA GEN & PERSONALE sue parole. «n medico ha paura, io ho paura tutti i giorni», confessa Giuseppe Remuzzi, organizzatore del convegno. «Quando ci sono buone notizie siamo tutti buoni comunicatori, ma quando le notizie sono brutte è diverso», aggiunge Ezio Bonanomi. L'idea di Remuzzi è che parlare bene con i pazienti sia un dono e l'università non lo insegni. Ma ognuno ha la sua idea: «Mai avere fretta — spiega Tiziano Barbui — bisogna saper parlare e sapere ascoltare». «La comunicazione della diagnosi è il cuore del problema, servono ascolto e tempo — aggiunge Privato Fenaroli —. Io ho la teoria dello specchio: chiediti cosa vorresti sentirti dire e come vorresti sentirtelo dire». «Vorremmo poter dire le cose come stanno — spiega Cristina Endrizzi —. Ma non sempre c'è una realtà oggettiva». «Dare una diagnosi brutale e senza speranza e anticipare una sentenza inappellabile — per Francesco Biroli —: si distrugge un patrimonio di forza». «Dal punto di vista teorico siamo preparati, ma poi le cose sono diverse — chiosa Remuzzi —. Poi cosa succede davvero?». E ha la risposta dal pubblico: «Sono tutte parole», grida infatti una signora. Così come quando chiede: «Quante volte il medico vi ha detto: "Scusi se l'ho fatta aspettare"?», la platea risponde: «Mai». E la gente si alza portando il proprio carico di storie: «In ospedale avevano usato mille cautele ma poi il medico di base mi ha detto: ma lo sa che ha un tumore? L'avrei attaccato al muro»; «Mi avevano anticipato che gli esami erano buoni invece il medico ha detto: deve fare la mastectomia. Sono quasi svenuta. Non vado più in ospedale da sola». E ancora: «A mia madre non abbiamo mai detto la gravità della sua malattia, ma ora sta per morire. Cosa devo fare?» «Sono una paziente oncologica: il mio medico controlla l'orologio, non mi guarda negli occhi e non mi ascolta: quello che dico io è ininfluente rispetto a quello che lui pensa già». Un medico internista suggerisce: «Il paziente non ha paura della verità, ma dell'abbandono, quindi non deve percepire un senso di fine, ma di percorso insieme». «Non è facile tradurre in un protocollo la grande variabilità degli esseri umani», commenta Fabio Mussi, ex ministro e paziente dell'ospedale «Papa Giovanni». Relazioni «Il farmaco è solo parte di un percorso che medico e paziente devono fare insieme» «Il nostro dovere di medici — ha spiegato Roberto Labianca — è dire quello che facciamo e fare quello che diciamo, anche se a volte è difficile». «La medicina riguarda le persone che si ammalano e le persone che curano — riassume il direttore generale dell'ospedale Carlo Nicora —. Il farmaco è solo parte di un percorso che si fa insieme per parlare davvero con qualcuno, ogni tanto bisogna tacere e ascoltare. Si cammina su un filo, rischiando di cedere a due tentazioni: quella di abituarsi e di convincersi di sapere del corpo del paziente più del malato stesso. Dobbiamo condividere le conquiste e ammettere i limiti, o almeno metterci in discussione». Fabio Paravisi © RIPRODUZIONE RISERVATA 9f Dal punto divista teorico siamo preparati, ma saper parlare ai pazienti è un dono Giuseppe Remuzzi w Non bisogna mai avere fretta, bisogna Io ho la teoria-specchio: chiediti cosa vorresti sentirti dire e come vorresti sentirtelo dire Privato Fenaroli SEGRETERIA GEN & PERSONALE saper parlare e saper ascoltare Tiziano Barbui Non è facile tradurre in un protocollo la grande variabilità degli esseri umani Fabio Mussi Comunicazione Medici sul palco e pazienti protagonisti del convegno «Parlare con gli ammalati è una dote di natura o si impara?» SEGRETERIA GEN & PERSONALE