teatro futurista - Dipartimento di Arti e Scienze dello Spettacolo

annuncio pubblicitario
FACOLTÀ DI SCIENZE UMANISTICHE
Corso di Laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo
Tesi di Laurea
TEATRO FUTURISTA:
SINTETICITA’, FISICOFOLLIA E GUSTO PER IL
PITTORESCO SFUGGENTE
Relatore:
Prof.ssa Aleksandra Jovicevic
Anno Accademico 2010-2011
Candidata:
Laura Vaddinelli
Matr. 1208766
INDICE
Indice……………………………………………………………………. 1
Introduzione……………………………………………………………....2
PRIMO CAPITOLO: DALLA TEORESI ALLA PRATICA
La rivoluzione delle sintesi futuriste………………………………….5
Le sintesi in scena……………………………………………………13
I topoi della drammaturgia futurista…………………………………17
SECONDO CAPITOLO: DALLA SCENA ALLA PLATEA
Fisicofollia: un nuovo rapporto tra scena e pubblico……………… 27
La scena: il nuovo personaggio futurista……………………………34
TERZO CAPITOLO: UN TEATRO PER GLI OCCHI
La “scenotecnica” futurista………………………………………….41
La “meccanizzazione” dell‟uomo…………………………………. 61
QUARTO CAPITOLO: L‟EREDITA‟ FUTURISTA
L‟influenza del Futurismo nel teatro del „900…………………….. 72
Conclusioni…………………………………………………………… 87
Immagini………………………………………………………………. 89
Bibliografia……………………………………………………………105
1
1
INTRODUZIONE
Indagare gli apporti forniti dal primo e più importante movimento d’avanguardia
italiano al settore teatrale significa dare un contributo alla storia del Futurismo che
non sia una mera cronologia dei fatti estrinseci, ma storia delle idee, delle teorie
letterarie, delle dichiarazioni di poetica, attraverso l’approfondita analisi dei testi che
Marinetti e seguaci hanno prodotto durante gli anni di vita del gruppo, che, nato nel
1909, concluse la sua parabola evolutiva solo nel 1944 con la morte del suo
fondatore. Un corretto studio critico della riforma della disciplina non può
prescindere dai fondamentali rivolgimenti storico-sociali, che il movimento ha
attraversato durante la sua parabola esistenziale e che ne hanno mutato
profondamente non solo e non tanto l’ideologia generale, quanto soprattutto le
tematiche affrontate e le modalità espressive scelte per veicolarle. Basti pensare alle
posizioni assunte da Marinetti e compagni nei confronti della guerra, prima e dopo
l’esperienza del conflitto mondiale: se dapprima viene considerato necessario per la
funzione igienizzante e rigeneratrice sul mondo, in seguito tale polemologia si
stempera e trasferisce le sue istanze propulsive e positive in ambito puramente
estetico. E il teatro non rimane immune da un tale cambiamento di sensibilità e
prospettive, dal momento che i membri del gruppo lo giudicano come il settore
artistico dotato di una più diretta capacità di presa sul pubblico. Bruciate le
accademie, le biblioteche, i musei, chiuse le scuole e demistificato l’oggetto-libro,
l’arte scenica diventa il genere comunicativo per eccellenza: ad essa si consegnano
espliciti messaggi politici di interventismo e di esaltazione della lotta, almeno in un
primo periodo, salvo poi, dagli anni Venti, mutarli in ideali di esclusivo valore
estetico.
Gli studi critici sul teatro futurista, che ad oggi possediamo, hanno impostato la
loro ricerca su linee generali. In tal senso esistono diversi repertori, che pur facendo
2
riferimento ai manifesti generali che hanno definito la riforma in questo settore, la
inseriscono nel più ampio quadro della rivoluzione estetica avanguardistica. Un altro
aspetto di molti studi della drammatica futurista è di averne considerato
esclusivamente la matrice esterna, spettacolare, che nonostante sia il fiore
all’occhiello della teatralità futurista,resta un punto di osservazione parziale e
limitato, se non viene corredato da un preventivo studio dei presupposti teorici
dell’effettiva messa in scena.
Perciò quello che ho cercato di compiere in questa sede è un esame dettagliato dei
proclami, manifesti e dei principali scritti di natura programmatica, per cogliere quelli
che sono i reali e più importanti elementi di rivoluzione nel teatro futurista, che hanno
avuto una piena attuazione sul palcoscenico. I futuristi intervengono, innanzitutto,
sull’elemento drammaturgico: le lunghe e complesse storie del dramma ottocentesco
vengono abbandonate per lasciar posto alla sintesi. Brevi sketches, di forte impatto
sul pubblico, si susseguono sul palcoscenico, abbandonando qualsiasi logica e
coerenza spazio-temporale. La vita, così come accade, viene catapultata in scena, e lo
spettatore perde ogni possibilità di resistenza fisica e morale. Si crea, così, in teatro
una nuova dimensione: la quarta parete viene definitivamente abbattuta, gli attori e
gli spettatori sono tutti agenti di una nuova realtà, che è la realtà vera. La corrente
della fisicofollia investe tutto lo spazio, esce dal teatro e inonda le strade della città:
ogni uomo diventa attore di una “nuova” vita.
L’esigenza di rinnovamento, di partecipazione è legata allo spirito modernista
dell’avanguardia futurista, che trova piena realizzazione nella scenografia e nei
costumi. Il rifiuto della tradizione e l’amore per la tecnologia portano
all’eliminazione del fondale dipinto, a favore di scene costruite con luci, colori,
suoni, o meglio rumori. Anche l’elemento umano viene coinvolto in questo processo
di modernizzazione: l’attore diventa una macchina, attraverso abiti che diventano
congegni complicatissimi, o attraverso movimenti meccanizzati, o addirittura
sostituendolo con semplici fantocci, che hanno il vantaggio di poter essere costruiti
con lo stesso materiale della scena, raggiungendo così la tanto agognata “opera
3
totale” . Questo obiettivo sembra realmente raggiunto dai futuristi: riescono a
sommare in teatro tutti i generi artistici, dalla letteratura alla pittura, dall’architettura
alla musica.
Il teatro futurista dà avvio ad una nuova epoca in campo scenico. I grandi
rivoluzionari del Novecento partiranno dalle grandi innovazioni futuriste per
condurre le loro ricerche in campi mai esplorati e per questo estremi.
Voglio concludere,questa mia presentazione, quindi, sostenendo che la grande
eredità che Marinetti e i suoi compagni ci hanno tramandato è proprio l’idea di un
nuovo teatro: teatro=vita – vita=teatro.
4
PRIMO CAPITOLO
SINTESI : DALLA TEORESI ALLA PRATICA
LA RIVOLUZIONE DELLE SINTESI FUTURISTE
La questione della sintesi, del sintetismo, interessa i futuristi nel corso di tutta la
loro ricerca nel campo teatrale. Già, infatti nel Manifesto, scritto e pubblicato da
Marinetti, La voluttà di essere fischiati1, che riprende alla lettera il più antico
documento futurista dedicato al teatro, il Manifesto dei drammaturghi futuristi, la
questione della sintesi viene già posta dai futuristi. Forzando i termini di lettura del
Manifesto si potrebbe sentire in quel procedere per “orchestrazione di immagini”
come “sintesi”, un anticipo del teatro sintetico.
La sintesi viene accostata alla visione strumentale e finalizzata dell’arte: l’attività
estetica viene usufruita dai futuristi per intensificare il reale attraverso l’arte, in nome
dell’arte; quindi la sintesi rappresenta la meta prima di questa strumentalità:
condensare in zone privilegiate di tensione e d’azione la realtà il cui sviluppo
coinvolge lo spettatore e lo trasforma in attore non più nel luogo e nel tempo in cui è
inscenata la sintesi, ma nella vita, nella realtà più ampia. L’evento che la sintesi
determina spezza la logica propria al linguaggio teatrale letterario musicale o
pittorico, spezza cioè la contrapposizione fra realtà, genericamente intesa, e
definizione poetica, specificatamente connotata in termini di linguaggio. Superando
la contrapposizione, la sintesi spezza entro il linguaggio letterario, artistico, teatrale,
l’alienazione, l’alterità di se stessa dall’ambito circostante, e quindi la propria qualità
critica.
Ricordiamo il passo del testo del 1912, Prefazione al catalogo delle esposizioni di
Parigi Londra Berlino Bruxelles Monaco…, che si riferisce alla musica:
1
F.T.MARINETTI, La voluttà di essere fischiati, in “Il nuovo teatro”, 5-6, dicembre 1910-gennaio1911. Il
manifesto compare in L.SCRIVO, Sintesi del futurismo, Roma, 1968. Col titolo La voluttà di essere fischiati compare in
F.T.MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, Milano, 1968, pp. 266 sgg. Sul manifesto A.ANTONUCCI, in
“Studium”, 11-12, 1968; M.W.MARTIN, Futurist Art and Theory, Oxford, 1969, pp. 47 sgg
5
“Non solo noi
abbiamo abbandonato in modo radicale il motivo interamente
sviluppato secondo il suo movimento fisso e quindi artificiale, ma tagliamo
bruscamente e a piacere nostro ogni motivo con uno o più altri motivi di cui non
offriamo mai lo sviluppo intero, ma semplicemente le note iniziali, centrali o finali.”2
A questa frantumazione dell’oggetto specifico, dell’oggetto letterario e della
struttura solo letteraria dell’oggetto e alla sua ricostruzione in termini di sintetismo,
conduce, secondo Marinetti, il verso libero. Che il teatro, che la letteratura debbano
essere poesia non v’è dubbio per Marinetti: la poesia è vita (ed è sintesi di vita),
secondo uno scritto del maggio 1913:
“La poesia non essendo in realtà che una vita superiore più raccolta e più intensa di
quella che viviamo ogni giorno,è , come questa, composta di elementi ultravivi ed
elementi agonizzanti”3
A ciò il verso libero consente mobilità di azione e orchestrazione di suono e
immagine, cioè una realtà dinamica non mimetica, di appoggio e di intervento.
E’con la fondazione di una forma drammatica sintetica4 che la questione della
sintesi diventa prioritaria nelle riflessioni degli uomini futuristi. Assistiamo a quello
che Claudia Solaris definisce “il vero momento di rottura con la tradizione e che
resterà il punto di riferimento indiscutibile per le teorizzazioni successive”5, in
quanto rappresenta il traguardo di tutte le ricerche avanguardiste, non solo in contesto
scenico. In questa nuova forma si fondono, infatti, le esigenze di rinnovamento
letterario , figurativo, scenico dell’intero movimento. L’intento di questi uomini di
teatro è sostituire all’insieme delle categorie drammaturgiche correnti, una
drammaturgia d’autore tesa a qualificarsi come futurista soprattutto in virtù delle sue
specificità formali.
2
U.BOCCIONI, C.CARRA’, G.BALLA, L.RUSSOLO, G.SEVERINI, Prefazione al catalogo delle esposizioni di
Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, Monaco, Amburgo, Vienna, ecc, febbraio 1912
3
F.T.MARINETTI, Distruzione della sintassi. Immaginazione senza fili. Parole in libertà, maggio 1913. Cfr
F.T.MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, Milano 1968, p. CIX
4
F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro futurista sintetico, Milano 1915
5
C.SALARIS, Dizionario del futurismo. Idee, provocazioni e parole d’ordine di una grande avanguardia, Ed.
Riuniti, 1996, p. 31
6
La sintesi, in questo caso, si carica di tutta la portata rivoluzionaria dell’intero
movimento: il rifiuto del passato, della tradizione, delle forme canoniche, si esprime
attraverso la creazione di un nuovo testo-spettacolo, caratterizzato soprattutto dalla
brevità drammatica, a cui, di conseguenza, seguono la simultaneità e l’irrealtà. Ciò
che viene negato non è soltanto il teatro del passato, “forma nauseante e già scartata
dai pubblici passatisti”6, ma anche “tutto il teatro contemporaneo, poiché è troppo
prolisso, analitico, pedantescamente psicologico, esplicativo, diluito, meticoloso,
statico, pieno di divieti come una questura, diviso a celle come un monastero,
ammuffito come una vecchia casa disabitata”7.
Sinteticità, innanzitutto, come brevità drammatica: condensare i fatti più disparati,
le idee e le sensazioni più diverse in frazioni di minuti, nel minor numero possibile di
battute, facendo durare gli atti anche solo pochi secondi. Rifiutano un teatro che,
trovata una concezione teatrale esprimibile in poche parole la diluisce in un numero
vario di atti e mette intorno al personaggio, che identifica in sé la ragione del dramma
e della commedia, molta gente che non c’entra affatto; e costruisce gli atti in guisa
tale che durino regolarmente da mezz’ora ai tre quarti d’ora e di conseguenza li
rimpinzi di roba inutile distribuendo la sostanza della concezione drammatica a
decimi nei diversi atti, perché costruisce gli atti in modo che il primo non conti, il
secondo diverta e il terzo afferri e concluda. Nella sua furia demolitrice del
tecnicismo, il teatro sintetico non ammette che l’inutile del teatro passatista
rappresenti l’inframezzamento di fatti gli uni negli altri, cui assistiamo nella vita.
Quindi rifiuto della “tecnica” compositiva passatista dei “tempi lunghi”, in cui si
articolano gli sviluppi della trama: occorre al contrario sintetizzare fatti e idee nel
minor numero possibile di parole e gesti. La forma drammatica adeguata ai tempi
moderni deve rispondere ai ritmi di produzione e di ricezione che distinguono i
prodotti tecnologici e i processi estetici dell’era industriale: “Siamo convinti che a
forza di brevità si possa giungere a un teatro assolutamente nuovo, in perfetta
armonia colla velocissima e laconica nostra sensibilità futurista. I nostri atti
6
7
F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro sintetico futurista, cit.
Ibidem
7
potranno essere attimi, e cioè durare pochi secondi. Con questa brevità essenziale e
sintetica, il teatro potrà sostenere e anche vincere la concorrenza col
Cinematografo”8. La teoresi futurista delle sintesi trova il proprio punto di
riferimento non più nel dispositivo provocatorio scenico del varietà, ma nei ritmi
narrativi e nella dinamicità visionaria del nuovo cinema.
La sintesi porta, quindi al dinamismo. Teatro dinamico proprio perché nasce
dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall’attualità suggestionante e
rivelatrice. Marinetti e i suoi compagni affermeranno : “Noi abbiamo una invincibile
ripugnanza per il lavoro fatto a tavolino, a priori, senza tener conto dell’ambiente in
cui dovrà essere rappresentato”9. Si giunge alla fusione dei momenti, fino ad allora
consequenziali, della scrittura e dello spettacolo : il teatro nasce direttamente sulle
assi del palcoscenico; il contesto, l’ambiente in cui lo spettacolo viene inserito,
influenzano notevolmente la composizione, la recitazione. Marinetti stesso definirà
l’ambiente teatrale “ un serbatoio inesauribile di ispirazione”.10
La “scrittura a teatro” delle pieces futuriste conferma il rifiuto delle norme noiose del
teatro del passato: si rinuncia alla tecnica per mostrare esclusivamente la genialità
creativa dell’autore, concepita come una dote personale a cui non è possibile ambire e
che quindi non va appesantita e imbrigliata da sistemi normativi. Ciò apre la strada
alla sperimentazione assoluta, emancipata dai rigidi schemi e dalle leggi imposte
dalla tradizione. Dal momento che la maggior parte degli spettacoli sono scritti a
teatro, si rinuncia al valore poetico e referenziale della parola a favore di una scena
concepita come casualità, realtà consistente, “presentificata”, materializzata, vero e
proprio “spazio della fisicità, incontro-scontro di oggetti e di corpi, luci e di suoni”11.
Per i futuristi la scena “non è un libro, e cioè uno schermo dove della vita esce
un’immagine rifratta e mediata”12. Essi sono i primi a comprendere che anche le
parole del teatro si riferiscono ad una realtà sensibilmente consistente: una realtà
8
Ibidem
Ibidem
10
Ibidem
11
Ibidem
12
U.ARTIOLI, La scena e la dynamis, Padova, Patron, 1975, p. 88
9
8
“presentificata” nell’istante in cui si produce il dinamismo scenico tramite una serie
di eventi materiali. Dal momento che la parola diventa artefice della creazione di una
realtà concreta, perde la sua funzione poetica, lasciandosi andare ad un “suo
contemporaneo rifluire su brandelli di dimessa colloquialità”13.
Il teatro, infatti, non fa che ricreare una realtà che già esiste a brandelli e si fa
sentire con tutta la sua potenza . Esso, però, non è l’esplorazione euristica di tali
brandelli, bensì la loro sintesi, la fattiva e attuale creazione sulla scena di un mondo
dinamico, simultaneo e sintetico. Possiamo parlare, perciò, non più di teatro, ma di
scena; non più avvenimento ma “mondo teatrale”. Il teatro è mondo in quanto è
sintesi di elementi,non è l’esplorazione di frammenti dati ma la loro coesione al di là
dell’essere frammenti secondo un progetto che il teatro determina.
“La sintesi teatrale futurista non conterrà nulla di fotografico, sarà autonoma, non
somiglierà che a se stessa, pur traendo dalla realtà elementi da combinarsi a
capriccio. Anzitutto come per il pittore e per il musicista esiste, sparpagliata nel
mondo esteriore, una via più ristretta ma più intensa, costituita da colori, forme,
suoni, rumori, così per l’uomo dotato di sensibilità teatrale esiste una realtà
specializzata”14
Teatro come autonomia, autonomia come realtà specializzata. L’autonomia va
intesa rispetto alla convenzione tecnica, ma anche rispetto a una nozione incondita di
vita, a una vita che non sia” realtà specializzata”. Assistiamo, quindi, ad un connubio
arte-vita: ciò è dovuto al fatto che nella concezione avanguardista l’esistenza viene
vista come contenente innumerevoli possibilità sceniche, tanto che la nuova estetica
del Movimento consente di definire “teatrale” tutto ciò che ha in sé un valore, anche
se non rientra nella precettistica classica o non risulta immediatamente comprensibile.
Così gli aspetti del reale che imprigionano ed esprimono valori sono teatralizzabili.
Il connubio arte-vita porta al rifiuto della logica: “è stupido voler spiegare con una
logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, quando anche nella vita non ci accade
mai di afferrare un avvenimento interamente, con tutte le sue cause e conseguenze,
13
14
Ibidem, p. 89
F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro futurista sintetico, cit.
9
perché la realtà ci vibra attorno assalendoci con raffiche di frammenti di fatti
combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri, confusi, aggrovigliati, caotizzati.”15
Viene criticato il canone passatista della credibilità e della plausibilità degli intrecci,
dal momento che il valore e la genialità dei singoli autori non solo non coincidono
con l’assoluta aderenza al vero, ma anzi ne sono assolutamente autonomi. Infatti la
ragione non è in grado di capire per intero tutti i fenomeni e gli avvenimenti che
costellano la vita umana, così è assurdo pensare di poter cercare un rigoroso ordine
logico che stia alla base degli spettacoli e li spieghi.
L’alogicità del discorso, che nasce proprio da una concezione sintetica del teatro,
porta ad un tipo di drammaturgia irreale. Si rappresentano situazioni astratte e
inverosimili, i personaggi attuano comportamenti incomprensibili, che sconcertano lo
spettatore . Spesso i personaggi sono oggetti e non persone. Ciò che sconcerta è
trovarsi di fronte a comportamenti apparentemente assurdi, agiti però come se
avessero senso, mentre reazioni e frasi che appartengono al senso comune risultano
nella situazione teatrale, improvvisamente stereotipe e insensate. I personaggi non
hanno contenuto psicologico, ma si risolvono totalmente nelle loro azioni, che
possono anche esaurirsi in gesti molto semplici, di assoluto valore, o non esserci
affatto, lasciando l’azione affidata agli oggetti. Basta pensare allo spettacolo che F.
Cangiullo scrive e realizza nel 1920, Non c’è un cane16: semplicemente all’alzarsi del
sipario un cane attraversa il palcoscenico.
La teoresi sintetica futurista riguarda soprattutto la metodologia scenica, o come si
dice oggi, la “scrittura scenica”. La sintesi applica un principio simbolista: abolire
spazio e tempo reali e sostituirli con una nuova convenzione, o specializzazione,
spazio-temporale, una diversa artificialità. L’impegno è sui testi, o meglio sui
contenuti. Si parla di brevità d’azione, del rifiuto della verosomiglianza. Si fa un
rapido consuntivo tematico: “nel teatro sintetico han dominio le battute in libertà, la
15
Ibidem
F.CANGIULLO, Non c’è un cane, in Il teatro futurista sintetico,F.T.Marinetti, B.Corra, E.Settimelli, vol I,
Milano, Ist. Teatr. Ital., Bibl. Teatr., 1915. Nel 1915 furono pubblicati, insieme al Manifesto, due volumetti firmati dai
tre sopra ricordati, dell’Istituto Editoriale Italiano di Milano, Il Teatro sintetico futurista, contenenti settantanove sintesi
( trentasei nel primo e quarantatre nel secondo volume)
16
10
simultaneità, la compenetrazione, il poemetto animato, l’ilarità dialogata, la
deformazione sintetica”17. Quando Marinetti, Corra e Settimelli parlano di
simultaneità e compenetrazione rimandano al loro desiderio di riprodurre le più
svariate sensazioni visive, uditive, olfattive, cinetiche e gestuali attraverso “un
continuum ininterrotto di tensione espressiva tra la scena e la pagina”18.
Simultaneità, quindi, come compenetrazione di azione, tempo e spazio. Marinetti ci
spiega il significato della simultaneità, analizzando i materiali della sua sintesi,
Simultaneità : “Ho messo in scena la compenetrazione simultanea di una famiglia
borghese, con quella di una cocotte. La cocotte non è qui un simbolo, ma la sintesi
di sensazioni di lusso, di disordine, di avventura, di sperpero… Simultaneità è una
sintesi teatrale assolutamente autonoma poiché non assomiglia né alla vita borghese
né alla vita della cocotte ma a se stessa. E’ inoltre una sintesi assolutamente
dinamica…”19 . Marinetti, cioè, compenetra due ambienti in opposizione perché se ne
ravvivi l’estraneità e la complementarietà al tempo stesso. Lo spettatore, se è in grado
di apprezzare l’autonomia drammaturgica di tale sperimentazione, resta interdetto di
fronte allo svolgimento effettivo degli strumenti utilizzati, di un’indifferenza
insostenibile dato il tipo di provocazione che esso vuole ottenere, e di una dinamicità
abbastanza ferma in quanto affidata soltanto alla natura descrittiva della
compenetrazione e non alla sua forza di eversione in quanto produttrice di azione
nuova.
Il
testo
diventa
un
luogo
aperto
alle
più
svariate
interferenze
e
contemporaneamente mette in crisi l’accezione canonica di dialogo, “mediante un
parlato scenico ridotto o impoverito o designificato della sua tradizionale portata di
medium teatrale privilegiato”, e concepito come privo di una propria referenzialità, o
utile come commento didascalico alla gestualità.
Possiamo notare che le teorie della simultaneità e della compenetrazione agiscono
in egual misura sul paroliberismo letterario e sul teatro sintetico, portando a quello
17
F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro futurista sintetico, manifesto, cit.
Ibidem
19
Cfr G.BARTOLUCCI, Il gesto futurista, Roma, Bulzoni, 1969, pp. 30-31
18
11
che Luciano De Maria definisce “una nuova poetica degli stati d’animo”20 , e che per
entrambi i generi artistici si configura in termini di quel lirismo che è “facoltà
rarissima di inebriarsi della vita e di inebriarla di noi stessi” 21. A tal proposito Anna
Barsotti conclude che ideologicamente e strutturalmente il lirismo alla base delle
tavole parolibere è lo stesso che si ritrova alla radice delle sintesi sceniche
avanguardiste, perché entrambe fondate su una nuova visione del mondo, a sua volta
incentrata sullo svecchiamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle
scoperte scientifiche, e che ambedue esprimono a livello estetico. E se differenti sono
i mezzi comunicativi, sono invece identici tanto la neonata prospettiva spaziotemporale, quanto la concezione della riproducibilità della vita in un attimo,
linguistico o drammatico che sia, quanto infine la fondazione di un contatto
immediato, intuitivo e simpatetico con i fruitori.22
20
La citazione deriva dalla prefazione del testo Teoria e invenzione futurista di F.T.Marinetti, curata da Luciano De
Maria, in cui ci mostra gli effetti delle teorie della simultaneità e della compenetrazione nei diversi generi letterari.
21
F.T.MARINETTI, Distruzione della sintassi. Immaginazione senza fili. Parole in libertà, cit.
22
A.BARSOTTI, Futurismo e avanguardie nel teatro italiano tra le due guerre, Roma, Bulzoni, 1990, p. 234
12
LE SINTESI IN SCENA
La messa a punto del teatro sintetico fu prima di tutto giocata sul campo, solo in
un secondo momento si passò alla teoresi. Possediamo, infatti, un campionario di una
microdrammaturgia che, portando alle estreme conseguenze una tendenza alla
essenzializzazione e alla concentrazione del nucleo drammatico, espressa da tutta una
parte della nuova drammaturgia europea di inizio secolo strutturalmente orientata
verso l’atto unico, trovava le basi teoriche per spingersi fino alla brevità di sketches
fulminei. In questi tutta l’azione teatrale può ridursi a una semplice gag o trovata al
suo grado minimo, sia sulla base dei capisaldi teorici del Teatro di Varietà
marinettiano, sia trovando credenziali estetiche nelle teorie cerebraliste di Settemelli
e Corra.
Diversi antecedenti di questi mini-testi sintetici potrebbero essere rintracciati
(oltre alle scenette di varietà): già nel 1919 Papini ricorda in area simbolista il
“dramma rapido” di Paul Verlaine, Troppa fretta, e va addirittura a ritrovare nelle
pagine del Fanfulla di Roma della metà dell’Ottocento alcune tragedie in cinque
versi, di cui ricordiamo Caino e Rosmunda.
Ma in tempi e ambienti più vicini al futurismo, nel 1911, Piermaria Rosso di San
Secondo scrive alcuni brevi bozzetti drammatici di stampo naturalistico che definisce
facilmente “sintesi”.
Mentre critici come Verdone menzionano sintesi poetiche di pochi versi
appartenenti al poeta Lucini; ma opportunamente sposta l’attenzione anche sulle
brevi pellicole cinematografiche d’inizio secolo, che attorno agli anni Dieci si
avventurano persino nel presentare veloci sunti filmici di grandi capolavori letterari
(Otello, I promessi sposi, Spettri). In più, nota sempre Verdone, il rinnovamento del
teatro indicato dai futuristi con l’idea di sintesi, tipica essa stessa del cinema, si
rivolge proprio al linguaggio filmico e alla tecnica del montaggio, quando si fa
13
appello al dinamismo, alla compenetrazione di ambienti e alla simultaneità
auspicando frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri23.
Tra le possibili micce di innesco del teatro sintetico non si possono non
menzionare gli esperimenti del regista russo Mejerchol’d, che nel suo Teatro Studio
di Pietroburgo fa esercitare gli allievi con l’improvvisazione di poemetti gestuali o
pantomime, che abbreviano fiabe, racconti, e anche tragedie di Shakespeare.
Ma ciò che differenzia la minidrammaturgia sintetica futurista è proprio la precisa
volontà di proporre un’alternativa strutturalmente e sostanzialmente radicale alla
statica drammaturgia passatista.
Il concetto di sintesi, già avanzato nei Manifesti del 1911 e del 1913, diventa così
lo strumento espressivo teatrale omologo al meccanismo del paroliberismo in
letteratura, e alla simultaneità e compenetrazione di piani in pittura, rispondendo ai
nuovi codici spazio-temporali, contrapposti dai futuristi al logico ordinamento
tradizionale di stampo naturalista, che si traduce in teatro nella tecnica drammatica
mimetica della realtà.
I primi minidrammi sono editi nel 1915-191624: si tratta di un repertorio di
brevissime azioni drammatiche, ridotte talora a pura trovata o spinte fino allo
scherzo, dove all’impegno ideologico o ironicamente polemico di pezzi di pura
propaganda (Antineutralità25, L’arresto26, Il Soldato lontano27 di Marinetti, oppure,
Passatismo di Corra e Settimelli), si alternano sintesi parodiche di modelli letterari e
teatrali, o contestative di modelli di comportamento passatisti. Tutto un filone
definito da Verdone del “grottesco e dell’eccentrico”28, che facendo ricorso a precise
tecniche di smascheramento parodico-dissacrante delle convenzioni culturali e sociali
dominanti, utilizza procedimenti di rovesciamento delle apparenze o di irruzione
straniante di elementi imprevisti, fino ad esiti di vero e proprio teatro dell’assurdo.
23
Cfr M.VERDONE, Teatro del tempo futurista, Roma, Lerici, 1969, p. 138
Vedi nota n. 16
25
F.T.MARINETTI, Antineutralità, in F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro sintetico
futurista,Vol. I, Milano, Ed. Teatr. Ital., Bibl. Teatr., 1915, pp 27-29
26
F.T.MARINETTI, L’arresto, in F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro sintetico futurista, vol
II, Milano, Ed. Teatr. Ital., Bibl. Teatr., 1916, pp.11-13
27
Ibidem, pp. 16-18
28
Cfr M.VERDONE, Teatro del tempo futurista, cit., pp. 84-89
24
14
Le più interessanti e originali sono le pieces di carattere fantastico anche in senso
predadaista o presurrealista, come Pazzi girovaghi29 di Chiti e Settimelli o Il regalo30
di Cinti. Fra queste Verdone ritiene di poter ritagliare, anzi, il settore specifico del
teatro futurista “occultista e magico”31 (Uno sguardo dentro di noi32 e Dalla finestra33
di Ginna e Settimelli, Il pesce d’aprile34 e Parallelepipedo35 di Buzzi, Parola36 di
Chiti).
Mentre un filone tutto individuabile per caratteristiche di sperimentazione
formale-strutturale è costituito dagli originali “drammi d’oggetti” di Marinetti. Nel Il
teatrino dell’amore37, ad esempio, Marinetti dà parola e quindi autonomia di vita e
responsabilità ad un buffet, ad una credenza e a un teatrino di legno; i primi due
reagiscono sensitivamente al tempo, al peso, alla conformazione, e ne danno una
spiegazione al pubblico, il teatrino di legno, portato come regalo ad una bambina,
improvvisamente comincia a dispiegarsi e a vivere in silenzio. In Musica da toiletta38
un pianoforte verticale nero ha i piedi infilati in un elegante paio di scarpine da
signora; un attore, cameriera del pianoforte, toglie la polvere dalla tastiera
suonandovi sopra direttamente con lo spolveratore, contemporaneamente un secondo
attore frega con lo spazzolino i denti del pianoforte ed un terzo lucida le scarpine
dorate.
In questo filone rientrano anche altre sue pieces come Le mani39 e Le basi40, in
cui il sipario calato a metà concentra tutta l’azione sui soli piedi degli attori, un
espediente scenico succedaneo del procedimento cinematografico dell’inquadratura
del particolare.
29
R.CHITI, E.SETTIMELLI, Pazzi girovaghi, in F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro
sintetico futurista,Vol I, cit., pp. 50-51
30
CINTI, Il regalo, in Ibidem, pp. 95-98
31
Cfr M.VERDONE, Teatro del tempo futurista, cit., pp. 92-95
32
GINNA, SETTIMELLI, Uno sguardo dentro di noi, in Il teatro sintetico futurista, vol. I, cit., pp. 47-48
33
GINNA, SETTIMELLI, Dalla finestra, in Il teatro futurista sintetico, vol. II, cit., pp. 48-50
34
BUZZI, Il pesce d’aprile, in Ibidem, pp. 69-72
35
BUZZI, Parallelepipedo, in Ibidem, pp. 41-43
36
R.CHITI, Parola, in Teatro sintetico futurista,vol. I,cit. pp. 52-53
37
F.T.MARINETTI, Il teatrino dell’amore, in Ibidem, pp. 24-27
38
F.T.MARINETTI, Musica da toiletta, in Teatro sintetico futurista, vol II, cit., p. 467
39
B.CORRA, F.T.MARINETTI, Le mani, in Teatro sintetico futuirsta,vol I, cit., pp. 35-37
40
CANGIULLO, Le basi, in Ibidem, pp. 33-34
15
In quest’area di ricerca acquistano grande interesse alcune creazioni di vero e
proprio teatro astratto, caratterizzate in certi casi da un dialogo che viene portato
all’illogicità, fino all’estremo frantumarsi del discorso in una sequela illogica di
suoni, in collegamento evidente con l’esperienza poetico-letteraria futurista.
Esemplari sono in tal caso Per comprendere il pianto41 di Balla, Stati d’animo42 e
Violenza43 di Carli, ma anche Dramma di luci44 di Buzzi, e la sintesi teatrale astratta
per eccellenza, Colori45 di Depero, in cui centrale è quella componente di ricerca
scenoplastica e luministica-cromatica tale da condurre all’astrazione assoluta di un
teatro del movimento, della luce, del suono, cioè della macchine teatrale nella sua
essenza performativa.
Agli autori della drammaturgia sintetica che compaiono nei due volumetti
capostipiti del 1915-1916, molti altri se ne aggiungeranno. Infatti la traccia più
importante dell’adesione del giovane pittore Filippo De Pisis al futurismo resta
proprio una ventina di sintesi composte tra il 1916 e il 1922, mentre tra i
fiancheggiatori del movimento scrivono libri assimilabili alle sintesi, Anton Giulio e
Carlo Ludovico Bragaglia; né si può dimenticare Achille Campanile con i suoi atti
unici e le sue famose “tragedie in due battute” degli anni Venti.
41
G.BALLA, Per comprendere il pianto, in Ibidem, p. 72
CARLI, Stati d’animo, in Teatro sintetico futurista,vol II, cit., pp. 70-71
43
CARLI, Violenza, in Ibidem, pp. 88-70
44
BUZZI, Dramma di luci, in Ibidem, pp. 37-39
45
DEPERO, Colori, in Ibidem, pp. 65-67
42
16
I TOPOI DELLA DRAMMATURGIA FUTURISTA
La STANZA è il topos fondamentale delle sintesi futuriste, l’emblema dello
spazio cintato, della chiusura individualistica, della prigionia del punto di vista,
dell’ossessione di tutto ciò che si oppone alla totalità aperta e onnicomprensiva della
simultaneità. Possiamo vederlo come la versione topologica del niciano “spirito di
gravità”46: è la costrizione e il bisogno , l’antitesi del volo, del divenire come “danza
divina e divino capriccio”47. Tutto il bisogno niciano dell’aria libera , e l’ apologia del
vento dissolutore di “tutti i valori delle cose, di tutto il male e tutto il bene, di tutto
ciò che è stabile”48, si riflette nelle sintesi futuriste in una sorta di ossessione
claustrofobica di cui si può saggiare la potenza nell’icastica battuta di un personaggio
in una sintesi di Chiti: “ … Annetta; scoperchiate la casa, mi fa caldo…!49
La Stanza è futuristicamente il concentrato dell’antivitalità, il luogo per eccellenza
da esorcizzare, è nelle varie sintesi futuriste spazio della rarefazione e della caduta,
dell’inazione e della nostalgia, della ripetitività e della morte. . Il rituale di tale
esorcismo è la Compenetrazione, figura coniata dalla drammaturgia futurista per
contestare quanto del Contenitore è l’attributo più tipico e cioè l’idea di un tempo e di
una spazio uniformi, omogenei, unidirezionali.
Questo contenitore, nelle sue modalità di interno piccolo borghese , è innanzitutto
luogo del risparmio vitale, dell’energia racchiusa in gesti calibrati, in traiettorie lente
inframezzate da lunghi silenzi. Si veda a questo proposito in Simultaneità di Marinetti
la stretta omologia che lega il parlato con le didascalie: al parlato con i suoi richiami
al controllo, alla moderazione, corrisponde la devitalizzazione del gesto: personaggi
46
F. NIETTZSCHE, “Così parlò Zarathustra”,Milano, Bocca, 1951, p. 168
Ibidem, p.167
48
Ibidem, p.171
49
R.CHITI, “Parossismo”, in “Teatro futurista sintetico”, F.T.MARINETTI,B.CORRA, E.SETTIMELLI, vol.I,
cit., pp. 53-56
47
17
seduti intorno alla tavola
intenti in occupazioni che richiedono pazienza e
concentrazione con un’evidente apparizione del sonno.50
Solo la Finestra verso cui il Padre si muove rappresenta lo spazio “altro”, ideale
linea di fuga dell’ossessione della Stanza .
Il sostanziale isomorfismo che lega la funzione compressiva del Contenitore e la
stazione orizzontale del personaggio è tematizzato invece attraverso il ricorso
dell’espediente della malattia in La Cometa di Buzzi, dove si insiste sui valori
dell’inazione:
“GIORGIO (alla madre tornata presso di lui)- Mamma, mamma ti adoro! Siesi
qui accanto a me. Non muoverti più. Così mi sembra di star bene…!” 51
Nel caso, dunque, dei personaggi centripeti , tenaci fautori del risparmio vitale, è
l’immobilità ad essere difesa, quell’immobilità che l’ermetica chiusura della Stanza
protegge da ogni intrusione sovvertitrice, come in questo spezzone tratto dalla sintesi
di Folgore Impossibile, in cui il Vitale è significativamente vento e turbine, che
rischia di far cadere il castello di carte che Senza Braccia sta da tempo sorvegliando:
“ SENZA BRACCIA – (preoccupato dall’aria che circola rapida nell’ambiente, si
protende a riparare il suo castello, mentre con voce angosciosa- La porta! La porta!
E’ penetrato un turbine! Eccolo! Gira! Mi assedia! Vacilla! Vacilla! (Con ira). Ma
chiudete quella porta!...”52
Qui Folgore con la sua abilità drammaturgica utilizza i materiali teatrali, dilatando a
oltranza il gioco delle metafore: il castello di carte, infatti, è a sua volta un
Contenitore . La sua estrema friabilità, l’assedio che su di lui esercitano le forze,
eversione del Fuori, sono indici estensibili alla Stanza stessa. Quando, infatti, tramite
la tipica irruzione futurista,( in questo caso esemplificato dallo squillo del
campanello), si assisterà al consueto artificio del Ribaltamento, non solo il castello di
carte sarà distrutto , ma lo stesso statuto globale della Stanza, col suo sistema di
50
F.T. MARINETTI, Simultaneità, in Teatro, F.T. Marinetti, a cura di Giovanni Calendoli, vol II, Roma, Vito
Bianco, 1960, p. 309
51
P. BUZZI, La Cometa, in Teatro futurista sintetico, F.T. Marinetti, B.Corra, E. Settimelli, vol. I, cit., p.73
52
L. FOLGORE, Impossibile, in Ibidem, p. 20
18
fragili
equilibri
costruito su
coppie di contrari, conoscerà un generale
scompaginamento.
Nell’universo futurista la Stanza è dunque il regno dell’Antivalore: della simmetria
come della prevedibilità, della compressione come dell’inghiottimento. Volta a volta
luogo del pianto e del lutto, della “sonnolenza”, della “noia” e della “quasi
immobilità”, ovvero spazio senza sbocchi dove si è per forza precipitati con la sola
alternativa di poter scegliere di persona lo strumento della propria morte .
In Runio Clacla è lo spazio dell’ufficialità consacratoria, incombente sulla stessa
progettazione futurista; luogo dove del gesto creatore e della sua vitalità ( la
didascalia ci presenta la “sala di una grande esposizione del PITTORE FUTURISTA
BALLA, fra cinque anni”53) non resta che una serie di pallidi simulacri, di forme
congelate da contemplare, di stereotipi da assumere come modelli.
Nulla infatti è più estraneo alla concezione futurista del gesto della
contemplazione: lo sguardo è tra le modalità del sensorio la più distante dall’atto
creativo, dall’identificazione piena e incontrastata col ritmo vitale. In quanto specchio
che doppia le cose, introduzione del simulacro e della ripetizione in luogo della
pienezza del vivente, è l’avarizia contro la sovrabbondanza, lo sradicamento del
desiderio dal suo destino creatore. Per questo, contro la supposta purezza dell’occhio
e dell’estasi contemplativa, che in realtà è impotenza, i Futuristi riattivano l’anatema
niciano: “Io chiamo immacolata questa percezione che non vuole sapere delle cose,
ma soltanto ama giacere dinanzi ad esse come uno specchio dai cento occhi. O voi,
ipocriti sentimentali, o lascivi! Alle vostre brame manca l’innocenza: voi calunniate
ogni desiderio per se stesso! In verità voi non amate la terra quali esseri creatori,
generatori, desiosi del divenire! Dov’è l’innocenza? La dov’è la volontà di
procreare”54.
Così in Runio Clacla l’effrazione del Contenitore è aggressione di uno spazio
che la società ha elevato a sacro perimetro della contemplatività.
53
54
F.T. MARINETTI, Teatro, a cura di Giovanni Calendoli, cit., p.405
F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, cit p.101
19
Se codificando i flussi del vitale, trasformando l’energia in calma rasserenante,
l’azione della Stanza-Museo è tesa infatti a neutralizzare l’intensità del gesto
originario, ecco che la contro-azione futurista ( i Futuristi sono qui personaggi
dell’azione), manifestata in quanto scardinamento della Stanza e autodistruzione della
propria opera, è riattivazione di quel gesto, apoteosi della vita come “apertura”.
In Il soldato lontano la Stanza è invece lo spazio del ricordo, spazio intimo e
protettivo dove la vita scorre come rievocazione dell’Oggetto Assente, ma anche
spazio dell’insidia, focalizzato sui continui tentativi di seduzione che il GIOVANE,
seduto intorno alla tavola, compie nei confronti della RAGAZZA. Dentro questa
spazialità tentatrice il personaggio del SOLDATO che, invisibile agli altri
personaggi, è non solo aggressiva materializzazione del Fuori, incombente presenza
che esorcizza l’Assenza e, con essa, le lusinghe del Tentatore, ma anche tentativo di
introdurre in teatro il tema boccioniano del rendere “plastico, concreto, attraverso un
raffinamento della sensibilità, quello che finora era stato considerato incorporeo,
implasmabile, invisibile”.55
Ma interessanti modalità di utilizzazione del Contenitore le possiamo trovare
anche in Boccioni. A proposito della Garconniere è opportuno rilevare come la
Stanza sia ostentatamente offerta come luogo del prevedibile e dello stereotipato,
sicchè il “ribaltamento” che l’azione ci offre, lo scatto per cui la Bella Ritrosa,
presentatasi come degustatrice di quadri, rivela alla fine le sue reali intenzioni, risulta
tutto anticipato nella didascalia d’apertura: “Interno imbecille d’una garconniere di
giovane elegante. Stampe alle pareti, divano bassissimo, qualche fiore nei vasi, come
in tutte le garconniere”56
Al contrario in Il corpo che sale la Stanza acquisisce il rango di luogo
dell’impossibilità, cella di cui ciascuno degli Inquilini, prigioniero della limitatezza
del proprio punto di vista, patisce la costrizione. Limitati nel loro sguardo da quella
sezione di campo visivo corrispondente, alle finestre dei vari piani del caseggiato in
cui la vicenda si svolge, gli Inquilini soffrono l’incubo della non-denominazione.
55
56
U. BOCCIONI, Scritti editi ed inediti, a cura di Zeno Birolli, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 158
Cfr: F.T. MARINETTI, B. CORRA, E.SETTIMELLI, Teatro futurista sintetico, cit., p. 18
20
Dell’oggetto che si palesa di fronte ai loro occhi sanno solo proferire con certezza
l’esistenza e il moto ascensionale, ma la possibilità di definirlo con precisione è loro
preclusa, dal momento che il singolo sguardo non può che investire l’oggetto
percepito in un particolare momento della sua traiettoria, rendendone impossibile una
ricostruzione esaustiva.
Resta da dire che l’aggressione futurista nei confronti della Stanza non è solo
aggressione di uno stereotipo mentale, ma anche di una precisa modalità istituzionale,
quell’ottocentesca concezione del teatro contro cui prende posizione il Teatro
Futurista Sintetico: “Tutto questo teatro passatista e semi futurista, invece di
sintetizzare fatti e idee nel minor numero di parole e di gesti, distrusse bestialmente
la varietà dei luoghi (fonte di stupore e di dinamismo), insaccando molti paesaggi,
piazze, strade, nell’unico salame di una camera”57.
La Stanza, come attrezzo scenico, è il custode del realismo e della
verosomiglianza, dell’ordine logico con cui i fatti sono presentati, luogo dove la
pressione dell’immaginario è sottoposta a un’incessante opera di decantazione. Ma
definire il teatro “autonomo, alogico, irreale” significava non solo liberare
l’intuizione creatrice da ogni soggezione, ma anche riproporre su nuove basi il
rapporto palcoscenico-platea.
Negando il palcoscenico-scatola, dove tutto scorre sui binari del prevedibile, i
futuristi trasformarono il boccascena in un analogon della Finestra, dunque in uno
spiraglio il cui flusso scompaginante doveva irrorare l’intera platea. Il cubo scenico,
che la quarta parete naturalista aveva consolidato nelle sue modalità di luogo chiuso,
riducendo la funzione dello spettatore al rango di uno sguardo offerto come dal buco
di una serratura, s’apre sul davanti proponendosi come prolungamento della platea
stessa, con inevitabile trasformazione del teatro in luogo d’accensione dello
scatenamento e dell’energia.
57
Cfr: F.T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, a cura di L.De Maria, Milano, Mondadori, 1968, p. 108
21
Altro topos delle sintesi futuriste, diametralmente opposto alla Stanza, è la
FINESTRA, fenditura
da cui il Vitale irrompe gettando scompiglio e
scompaginamento. Emblema dello spazio “altro”, limite presso cui si addensano i
simulacri della Follia e dell’Assurdo, essa rappresenta uno degli attrezzi scenici più
utilizzati dalla drammaturgia futurista per scongiurare l’asfissia del Contenitore.
Nelle sue modalità di Terrazza, Balcone o Finestra-Veranda, la sua chiusura
rappresenta il diaframma che i personaggi notturni cercano di erigere contro l’assedio
del Fuori, così come la sua apertura è per i personaggi vitali ossigenazione e salvezza.
In questo modo il rapporto tra Stanza e Finestra introduce ad un ventaglio
abbastanza ampio di possibilità, la cui interpretazione dipende sia dallo statuto
dell’azione scenica (il movimento può esplicitarsi dal Dentro al Fuori oppure
inversamente dal Fuori al Dentro), sia dalla morfologia diurna o notturna del
personaggio agente. Esempi del primo caso, che potremmo definire come eruzione o
come espulsione, li abbiamo in Parossismo di Chiti e in La cometa di Buzzi, dove i
protagonisti sono emblemi vitali. La Finestra diventa qui l’apertura provvidenziale
verso cui prorompe l’ossessione centrifuga del personaggio.
In Vengono58 di Marinetti abbiamo un caso particolare: diaframma e apertura a un
tempo, la Finestra-Veranda è qui l’autentico perno dell’azione. Diaframma per i Servi
Demonici tesi a concepire la spazialità interna che essa delimita come luogo della
rigorosa obbedienza all’Ordine, è viceversa fenditura liberante per gli Oggetti di cui il
“riflettore invisibile” simula il movimento d’uscita proiettandone “spiccatissima”
l’ombra. E’ così il Contenitore stesso, del quale sedie e poltrone, per il loro valore
centripeto, sono gli usuali supporti, a dar vita a un macroscopico processo di autocontestazione. Nella misura in cui l’azione centrifuga investe gli stessi emblemi che
del radicamento e della fissità sono la manifestazione più tangibile, è il Contenitore a
deflagrare, scoprendo nella sua stessa struttura un magnetismo di segno contrario, che
lo stimola all’eversione e allo scardinamento.
58
F.T. MARINETTI, Vengono, in “Teatro”, vol II,cit., p.285
22
Abbiamo fin qui esaminato i reperti in cui la Finestra compare come perno di
un movimento dal Dentro al Fuori. La dinamica di segno contrario (dal Fuori al
Dentro) appartiene viceversa alla figura dell’irruzione , di cui tuttavia il topos trattato
costituisce una variante marginale, dal momento che lo strumento scenico di gran
lunga prevaricante è costituito dalla Porta. Quando comunque esso viene utilizzato in
questo senso, è per lasciar filtrare emblemi vitali incorporei e lievitanti, come i
personaggi-rumore di Balla, o i personaggi-luce di Marinetti (La camera
dell’ufficiale)o di Oscar Mara (Chiaro di luna Tricolore). Come in Impossibile di
Folgore,
nella sintesi di Mara assistiamo all’artificio dell’inscatolamento dei
Contenitori. La scena si svolge infatti a Venezia, fu turisticamente la città-scatola, la
città-museo gelosa custode dei tesori del proprio passato. Il salotto d’albergo dove
l’azione ha luogo è dunque un contenitore alla seconda potenza, contenuto cioè nel
contenitore maggiore. Il risultato è un’intensificazione dell’atmosfera asfittica che
regna nella Stanza, di cui è riprova l’immobilità dei Servi Demonici e il loro
impaurito scostarsi agli angoli bui della camera di fronte al raggio-lama che fora il
chiarore lunare.
Scopriamo così che la Finestra, questo topos che in linea di massima assume nel
Futurismo una funzione eversiva e scardinatrice, può in qualche caso presentarsi
come modalità del nictomorfo, come avviene anche in Notturno di Balilla Pratella.
Ma qui più che di irruzione,parola che designa in qualche modo la violazione di uno
spazio e che connota violenza e disturbo, si dovrebbe parlare di avvolgimento, ovvero
di prolungamento e continuità, dal momento che la Finestra aperta di Notturno, da
cui il Marito, immobile e trasognato, contempla le stelle, altro non è che la
continuazione della Stanza, il prolungamento del Dentro nel Fuori, lo spazio che
riproietta l’immagine odiata del Contenitore. E non è un caso che l’irruzione vera e
propria, si configuri qui attraverso l’invasione- il cui tramite è la Porta- dell’elemento
mobile dei Ladri, dai quali la Moglie, già presenza attiva e centrifuga, si lascia
entusiasticamente rapire.
23
Nel teatro futurista la Finestra è dunque in linea di massima il topos del non
quotidiano, lo spazio “altro” del Sogno e del Desiderio, portavoce di quel Fuori che,
metaforicamente, può ben rappresentare il fuori della coscienza, la terra di nessuno
dove staziona il “rimosso”. Qui regna l’Espulso, ciò che, riuscendo insopportabile al
Contenitore –dunque alla sovranità della coscienza- è dirottato “altrove”: spazio
assediante, denso di presenze aggressive, la cui strategia è quella dell’irruzione
improvvisa e scompaginante.
Un ulteriore topos delle sintesi futuriste non riguarda più lo spazio, ma il mondo
dei personaggi: si tratta del SERVO DEMONICO. Accampato dentro lo spazio
asfittico del Contenitore, che egli vive come metafora del ventre materno, lascia
trasparire ad ogni istante la vocazione che lo domina e che è vocazione
all’inghiottimento. Il servo demonico è il personaggio nato- morto, colui per cui il
vivere è sopravvivere: un riattivare di fronte alle ostilità del mondo esterno la
spazialità
protettiva
dell’involucro
pre-natale.
Costitutivamente
inadatto
all’imprevisto, vi oppone un reticolo di abitudini, funzionanti da schermo rispetto al
divenire. Per questo il suo sguardo è rivolto verso il passato, là dove il vivente della
presenza è divenuto inerzia, dove della ricchezza del sensibile restano morte e
reliquie. Sentimentalismo e buon senso sono le sue connotazioni, elementi entrambi
del metter radici, dell’opporre a invenzione e sperimentalismo le coordinate
dell’ovvio e dello stereotipato. Per questo una parola come compenetrazione, e che
nell’universo futurista designa immediatamente simultaneismo e intensificazione
vitale, diviene parodistica sulle labbra del Professore che nella sintesi di Jannelli
funge da protagonista, appoggiata com’è da un’intonazione “dolcissima e lenta” e da
una serie di presenze lessicali che rinviano alla rarefazione.
A questa costellazione appartengono molti dei personaggi delle sintesi
futuriste. Interessante è , però, soffermarsi su una figura che, appartenendo a tale tipo
di raggruppamento, ha ruolo e funzioni minori, ma sia per la frequenza con cui è
utilizzata, sia perché spesso deputata al compito dell’agnizione finale, assume uno
24
statuto inconfondibile nella drammaturgia futurista: alludiamo al Servo nelle varie
modalità di Maggiordomo, Cameriere, Portinaio, Controllore, etc. Al contrario dello
zanni nella Commedia dell’Arte, che è presenza centrifuga e scombinatoria,
alimentatrice dell’azione, il servo futurista è la fissazione e la morte, la rinuncia
definitiva a ogni caratteristica del vivente. La “sterilità” è la caratteristica più saliente
del servo futurista: la sua totale assenza d’emotività. Proprio perché ha reciso ogni
forma di contatto vitale con la realtà, mettendosi al riparo dal desiderio e dalla
passione, la sua gestualità tende ad assumere forme rigide e contratte, la sua vocalità
un tono incolore e asettico.
E’ questa la ragione per cui il suo intervento è spesso utilizzato nelle sintesi in
chiave di scioglimento finale, in modo che effetti di comicità possano nascere
dall’impatto tra l’indifferenza emotiva di cui si fa latore il personaggio servile e
l’enormità di significati che la sua battuta veicola.
Proprio perché la sua apparizione connota “normalità” e rispetto dell’ordine
costituito,
l’assumerlo
contemporaneamente
a
portavoce
dell’allucinante
e
dell’assurdo risulta artificio talmente paradossale, da portare l’azione a esiti
grotteschi, come avviene ad esempio ne Il corpo che sale, dove la soluzione
dell’enigma che angoscia gli Inquilini è affidata al personaggio della Portinaia, con la
conseguenza di uno stratagemma linguistico volto a risucchiare dentro la quotidianità
più triviale, l’apertura e il sommovimento di cui è portatore l’intero climax surreale
della vicenda:
“LA PORTINAIA- Calmatevi! Niente di straordinario!E’ la signorina del quinto
piano, che ogni giorno si succhia su l’amante con lo sguardo… Già dalla scala non
passa quel porcaccione….Ci tengo all’onore del casamento!59.
Il fatto che il personaggio servile sia nello stesso tempo custode del previsto e
dell’imprevedibile, del culto della rispettabilità borghese come delle potenze infere
dell’immaginario, rilancia lo scioglimento della piece verso una sorta di comicità
“nera”.
59
U.BOCCIONI, Il corpo che sale, in “Teatro futurista sintetico”, F.T.Marinetti, B.Corra, E.Settimelli, vol I, cit.,
p. 16
25
L’emblema del servo si associa all’immagine niciana del guardiano notturno,
colui che sorveglia sulle cose sepolte ed è nemico della verità e della luce, è il cane
da guardia, il tutelatore dell’identità e della persistenza. La figura del servo è dunque
perseguita nelle sintesi futuriste entro una doppia polarità: attiva e passiva. In quanto
personaggio agente, il Servo è il Sorvegliante Sinistro; in quanto personaggio agito, è
il simbolo della morte vivente.
Il servo è la contro-forza latente in ciascuno di noi, ciò che si oppone alle
metamorfosi, al movimento della creatività. Se servire è insomma morire, rifiutarsi
alla condizione servile è futuristicamente una delle modalità di verifica dell’istinto
vitale.
26
SECONDO CAPITOLO
DALLA SCENA ALLA PLATEA
FISICOFOLLIA: UN NUOVO RAPPORTO TRA SCENA E
PUBBLICO
Il problema della partecipazione all’opera d’arte da parte del pubblico nasce
nell’antichità,
con il concetto di contemplazione, con la separazione tra azione
ispirata, sacra e irrazionale, e fruizione.
Anche nelle arti figurative dell’antica Grecia viene preso in considerazione l’aspetto
della fruizione: Fidia realizzò una statua di Atea che doveva essere posta in cima ad
una colonna, con la testa sproporzionatamente grossa, tenendo conto del punto di
vista dell’osservatore.
Il problema della partecipazione del fruitore all’oggetto d’arte verrà affrontato solo
dopo il Rinascimento: si giunge alla consapevolezza che qualsiasi manifestazione
artistica si compie solo nel contatto con il pubblico che la contempla e la “esegue”,
infatti l’atto del percepire è necessariamente interpretativo e creativo al tempo stesso.
Potremmo osservare che qualsiasi forma di “comunicazione” ha un interprete che ne
codifica il senso in base a codici generali , e insieme ne ricrea il significato secondo
una determinata prospettiva individuale; da ciò ne discende che qualsiasi opera è
“aperta”.
La questione del rapporto tra pubblico e platea in teatro verrà ampiamente
affrontata dai drammaturghi futuristi. Infatti se di un teatro, di una messa in scena
futurista si deve parlare, il pubblico ne sarà la componente fondamentale. Può darsi
che un esame ravvicinato dei singoli testi scritti per il teatro dai futuristi riveli
secondaria questa componente e consenta di leggere quegli scritti autonomamente
dalla diretta provocazione dello spettatore: ma se si considera lo stesso testo come
momento del montaggio che la serata o l’azione teatrale richiede, è subito evidente
27
che il pubblico è il deuteragonista ben previsto. O l’antagonista. La creatività che il
teatro fisicamente promuove non si ferma, per i futuristi, al momento in cui lo
spettatore percepisce, fruisce e introietta, partecipandovi, lo spettacolo. Questa
creatività resta, o deve restare, una realtà permanente che consente, anche fuori del
teatro, anche dopo l’evento, una diversa percezione, sensibilità e gusto dell’azione.
Considerare esaurito nell’inscenamento il teatro è un limite: il limite
rimproverato dai futuristi a simbolisti, decadenti e alla cultura borghese. Andare oltre,
costringere gli spettatori a trovare collettivamente un grado di partecipazione in
sintonia con le leggi del mondo moderno e quindi rendere irreversibile il processo di
acquisizione del teatro futurista vorrà dire passare da una singola, individuata
esperienza a un orizzonte che è oggettivo prima di essere collettivo. Per passare ad
un orizzonte che prima di tutto è oggettivo, occorre rimuovere per prima cosa quella
cultura dell’io che è stata la spina dorsale della letteratura e del teatro. Questa
distruzione è possibile proprio perché in teatro, così come nella letteratura, c’è
un’altra dimensione oggettiva, la materia, a cui fare riferimento.
La materia è la matrice del movimento, dell’azione, del divenire, come verità
altra. Perché si giunga a questa verità alternativa, il teatro, come la letteratura, deve
abbattere ogni ritardo di partecipazione. Nel 1915 Marinetti è puntuale: “Noi
osteggiamo ferocemente i critici, inutili e pericolosi sfruttatori, non il pubblico che
vogliamo elevare ad una più alta comprensione di vita. Il pubblico ci ha spesso
fraintesi … Il pubblico però ci comprenderà: è questione di energia: questa la
possediamo”1
Parlando in generale la ricerca teatrale futurista ha due momenti: dalle serate
futuriste all’esperienza sintetica è lo scontro fisico, la rissa, la violenza fomentata e
vissuta a consentire quel processo di liberazione e partecipazione con cui ci si stacca
da una realtà e si penetra in un’altra. L’ipotesi che materia e vita devono coincidere
porta a una nozione di scontro, che per prima cosa testimonia l’abbandono di ogni
1
F.T.MARINETTI, 1915-in quest’anno futurista, in Teoria e invenzione futurista, Milano, 1968, p. 285 (il testo è
in Guerra sola igiene del mondo, Milano 1915, e reca in realtà la data 29 novembre 1914)
28
posizione intellettualistica e culturalistica, testimoniando la realtà dell’azione e
sottolineandone la creatività. Il teatro inscena la vita, e determina l’azione.
Ma già a partire dalle indagine sintetiche, cioè dopo il 1915, l’opposizione non
vita-vita, cultura-azione, assenza-presenza, determina in teatro un’indagine sul reale
negativo che non si risolve solo in urto, antagonismo fisico, in violenza, ma in
denuncia esasperata, in grottesco drammatico e, nella virulenza espressionistica della
denuncia, trova la via ad esaltare una diversa realtà ormai acquisita.
La violenza resta ma è assunta in proprio su se stesso dal personaggio, diventa
una follia teatrale, e una mostruosità scenica. Tema notevole perché il singolo,
impegnato nella partecipazione collettiva, interiorizzando il grottesco, finisce col
creare una precisa incrinatura del progetto ottimistico futurista. Era importante che i
futuristi si misurassero con questa dimensione autocritica per toccare il problema più
generale della credibilità degli stessi protagonisti dell’avventura futurista: fossero
quelli gli oggetti in scena o il pubblico cui ci si rivolgeva. Prampolini qualche anno
più tardi sosterrà che “il teatro dovrà abbandonare quel carattere di eccezione
sperimentale, di estemporaneità episodica per la vita del singolo per assumere la
funzione di un organismo trascendente di educazione spirituale alla vita collettiva”2.
Ma il teatro futurista, malgrado le sue dichiarazioni e un certo suo aspetto
stilistico, non si costituirà mai tensione profetica, rivelatrice di ciò che non c’è, di
utopia di realtà ora assente. Il futurismo vive nello scontro tra due realtà, tutte due ora
egualmente presenti, ironizzata una esaltata l’altra, ma identicamente in funzione. Si
tratta di promuovere l’una denunciando la falsa vita dell’altra: ma intanto la vita vera
che si va proclamando già esiste, già è in atto. Il richiamo sarà ad una fatalità
inarrestabile, dinamicamente futuribile, del nuovo che c’è già: e il richiamo consiste
non tanto nell’esaltare la macchina, la produzione industriale, quanto nel
comprendere l’estensione che esse comportano per un’esigenza di creatività
individuale. O meglio di una creatività che soddisfa l’individualità portandola ad un
più vasto grado oggettivo e totalitario.
2
E. PRAMPOLINI, L’atmosfera scenica futurista, in “Noi”, seconda serie, I, 1924, 6-9
29
Si è detto che il punto di arrivo dell’esperienza futurista è la sensibilità come
fusione di sensibile fisico e non, e quindi la liberazione di esigenze profonde alienate
e conculcate nella realtà attuale. Stando al teatro questa preoccupazione va colta in
stretta fusione con la creazione di una macchina scenica capace di una
razionalizzazione dei piani che l’esperienza mette in gioco e tale da rimuovere ogni
ostacolo, ogni soluzione di continuità tra io e mondo, tra pubblico e mondo, ambedue
completamente ricondotti entro la realtà che è la scena.
Ed è proprio in questa realtà che il pubblico deve essere completamente calato: la
scena diventa un campo d’indagine della vita, il quale offre allo spettatore le verità di
una realtà che il presente, con le sue rivoluzioni, ha modificato, e le menzogne che
questa cela. E così che lo spettatore diventa il traguardo più ambito da Marinetti e i
suoi compagni: coinvolgere completamente il pubblico nello spettacolo.
Il ruolo attivo del pubblico è evocato e richiesto già nelle prime esperienze
futuriste: durante le serate il dicitore, al centro della scena, mira a dare alle sue parole
un’ intonazione che colpisca , ecciti, persuada, e che determina la rappresentazione,
l’inscenamento di un gesto, di un’azione, di una volontà contro la quale il pubblico
deve urtare e con la quale fare i conti. L’obiettivo di queste “performance” è rendere
palese il programma, il senso, l’intenzione, esasperati in formula, in tensione, della
presenza e della “rivoluzione” futurista, attraverso il mezzo più efficace e diretto,
ovvero lo scontro con il pubblico avente valenza liberatoria, che si esprime con
invettive, lanci di ortaggi, insulti, cazzotti da parte degli spettatori.
E’ con il Manifesto Il teatro di varietà (1913), scritto da Filippo Tommaso
Marinetti, che la piena partecipazione del pubblico allo spettacolo viene teorizzata.
Possiamo infatti leggere: “Il teatro di varietà è il solo che utilizzi la collaborazione
del pubblico. Questo non vi rimane statico come uno stupido voyeur ma partecipa
rumorosamente all’azione, cantando anch’esso, accompagnando l’orchestra,
comunicando con motti imprevisti e dialoghi bizzarri cogli attori … Il teatro di
Varietà utilizza il fumo dei sigari e delle sigarette per fondere l’atmosfera del
pubblico con quella del palcoscenico. E poiché il pubblico collabora così colla
30
fantasia degli attori, l’azione si svolge ad un tempo sul palcoscenico, nei palchi e
nella platea.”3
Il pubblico diventa l’oggetto artistico, anzi deve divenire il marchio
dell’operazione artistica: nel senso che nel pubblico si identificano e si condensano i
termini stessi della poetica futurista, quindi la conflittualità, la provocazione, il
dinamismo, il vitalismo, l’intuizionismo.
Gli spettacoli devono riuscire a creare una corrente di confidenza senza rispetto
che secondo Marinetti doveva “trasfondere nel pubblico la vivacità dinamica di una
nuova teatralità futurista”4. Solo in questo modo si può giungere a quella condizione
che Marinetti definisce fisicofollia: una partecipazione prima di tutto fisica e poi
mentale dello spettatore, che lo porti all’azione in quello stesso momento, e ad una
reazione intellettiva nell’attimo in cui il luogo deputato del teatro viene abbandonato,
perché si possa creare un filo continuo tra il “mondo” del teatro e il mondo reale, che
porti ad una nuova concezione dello stesso.
Dal punto di vista drammaturgico i futuristi trovano uno strumento per poter far
raggiungere alla platea questa condizione: si tratta della “sorpresa”. Questa, come
coefficiente decisivo di ogni atto teatrale, come coinvolgimento e straniamento
insieme, può unire gli spettatori in uno spazio che va molto oltre lo spazio
convenzionale entro il quale il teatro può e sa agire. Quindi la sorpresa diventa il
motore dello spettacolo futurista, non tanto per ciò che rappresenta per se stessa,
quanto perché è il mezzo più efficace per raggiungere il completo coinvolgimento del
pubblico.
Nel Manifesto Il teatro della Sorpresa5, Marinetti e Cangiullo ci spiegano gli
obiettivi di questo nuovo espediente:
“Nel teatro della Sorpresa la pietra della trovata che l’autore lancia dev’essere tale
da:
3
F.T.MARINETTI, Il teatro di varietà, in “Lacerba”, 1 ottobre 1913. Il manifesto verrà pubblicato poi sul “Daily
Mail” il 21 novembre 1913
4
F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro futurista sintetico, Milano, 1915
5
F.T.MARINETTI,F.CANGIULLO, Il teatro della sorpresa, in “Il futurismo”, Milano 1921. Se ne ha una
ristampa in F.CANGIULLO, Teatro della sorpresa, Livorno 1968, in cui sono raccolti ricordi e rievocazioni dello
stesso Cangiullo
31
-colpire di sorpresa gioconda la sensibilità del pubblico;
-suggerire una continuità di altre idee comicissime a guisa di acqua schizzata
lontano, di cerchi concentrici di acqua, o di echi ripercossi;
-provocare nel pubblico parole e atti assolutamente impreveduti, perché ogni
sorpresa partorisca nuove sorprese in platea, nei palchi e nelle città la sera stessa, il
giorno dopo, all’infinito.”
Il risultato decisivo della sorpresa, quindi, è l’esito sul pubblico. A questo
proposito possiamo ricordare il debutto della compagnia del Teatro della Sorpresa a
Roma6, che segnò una delle più dure e esaltanti battaglie della pur incandescente
storia del futurismo teatrale. Quella sera ci fu tutto esaurito. Il pubblico era uno di
quei pubblici tanto vario nella sua composizione e tanto tipico delle manifestazioni
futuriste, che costituiva la premessa per una battaglia senza esclusioni di colpi, e per
la piena realizzazione di quell’operazione di coinvolgimento, che, come abbiamo
visto, costituiva il principale obiettivo di Marinetti e dei suoi collaboratori. Marinetti
si presentò per primo sul palcoscenico, elegantissimo nel suo frac, con l’intenzione di
dare il segnale di inizio al complesso cerimoniale che apriva lo spettacolo, ma subito
fu beccato da alcuni spettatori per il suo abbigliamento “passatista”. Prontissimo, egli
ribattè
con una significativa dichiarazione di ossequio al caffè-concerto: “Mi
presento in frac non per rispetto al pubblico, ma per rispetto al caffè concerto, che è
l’unica cosa rispettabile della vita”. Poi annunciò Cangiullo, che s’affacciò da un
palco di proscenio, bacchetta in mano e aria fintamente ispirata da direttore
d’orchestra. Un attimo di concentrazione e di silenzio sembrava richiedere Cangiullo,
ma i fischi lacerarono l’aria. Imperterrito, egli alzò la bacchetta e diede il segnale
d’inizio alla mini-orchestra (due violinisti e un trombettiere) che era sistemata in un
palco dirimpetto. Le note musicali si unirono agli esercizi vocali del pubblico più
polemico, ma, ormai, stava per scattare la prima sorpresa. Cielo e Ciglia, sintesi di De
Angelis e di Cangiullo, scatenò immediatamente gli spettatori, che iniziarono un
fittissimo e micidiale lancio di ortaggi di ogni genere. Da quel momento in poi, con la
6
Cfr G.ANTONUCCI, Lo spettacolo futurista in Italia, Roma, Studium, 1974, pp. 68-70
32
sola pausa imprevista di un numero parodistico di ballo, si restrinse sempre più lo
spazio tra interpreti e spettatori: tutti i presenti, in diversa misura e sostenendo i più
vari ruoli, collaborarono, consapevolmente, e non, agli esperimenti ideati da
Marinetti, Cangiullo e De Angelis.
E’ innegabile che le reazioni del pubblico sono l’indizio che il teatro futurista, in
quegli anni, è in grado di sprigionare tutta la carica provocatoria e , soprattutto,
conseguire in misura rilevante il fine ambizioso di infrangere lo spazio chiuso
destinato alla rappresentazione.
Infatti l’obiettivo del teatro futurista non è soltanto provocare lo spettatore, ma
fare in modo che questa provocazione si dilati nello spazio e nel tempo: l’effetto
scenico deve svilupparsi in uno spazio che dal punto di evento immediato si allontana
fino ad uscire dallo stesso teatro e in un tempo che va dall’immediato, ancora, al
domani, al tutto temporale, all’infinito.
Se la sorpresa implica la sensazione-emozione dello spettatore, la sua risposta,
questa avviene anche lontano dal soggetto che provoca la sorpresa, sul filo di una
solidarietà spaziale e temporale che continua anche a distanza e si propaga. Dunque
dilatazione spazio-temporale. Il che significa, da un lato fiducia nella coscienza
generale di quel piano collettivo, coscienza comune di una realtà accertata, e,
dall’altro, apertura del teatro ad un livello partecipativo ormai largamente ideale,
fisico-spirituale. Che Marinetti insista sul valore antipsicologico di un simile teatro,
vuol dire che la partecipazione del pubblico avviene ormai in condizioni tali che il
ristagno individuale e l’evocazione del singolo sono superati. E’ non psicologico un
teatro in cui anche la partecipazione non è più psicologica o fisica, con un tipo di
empiria-sensualità che porta in primo piano l’io, ma è psichica, ideale, transmentale.
Del resto l’oggettività di questa comunicazione, che coincide con l’oggettività del
messaggio comunicato, implica un meccanismo teatrale, una macchina che è valida
anche altrove rispetto al luogo in cui di fatto è messa in moto.
33
LA SCENA: IL NUOVO PERSONAGGIO FUTURISTA
“Mentre il teatro attuale esalta la vita interna, la meditazione professorale, la
biblioteca, il museo, le lotte monotone della coscienza, le analisi stupide dei
sentimenti, insomma la psicologia, il Teatro di Varietà esalta l’azione, l’eroismo; la
vita all’aria aperta, la destrezza, l’autorità dell’istinto e dell’intuizione. Alla
psicologia oppone ciò che io chiamo la fisicofollia”7. Con queste parole Marinetti
presenta la sua nuova idea di drammaturgia, nel 1913; nuovi drammi in cui il
personaggio futurista presenta una morfologia antiletteraria e antipsicologica.
Là dove Pirandello, utilizzando la psicologia come luogo dell’impossibilità
(impossibilità a codificare il flusso della coscienza) farà deflagrare il mito
drammaturgico del “carattere”, mediante cui la teatralità sette-ottocentesca
pretendeva di convogliare i vari reperti analitici entro la sovranità di un Io
unificatore, i futuristi invertiranno l’asse di marcia.
La morfologia del personaggio futurista ricorda infatti il tipo della Commedia
dell’Arte, la sua struttura eminentemente gestuale e visiva, antipsicologica e
antiletteraria. Si tratta di un personaggio tutto in luce, offerto come indice la cui
riconoscibilità è tanto più immediata quanto più costruita
su cifre iperboliche.
L’iperbole è infatti la caratteristica dominante della didascalia futurista, la cui stessa
proliferazione (molte sintesi futuriste sono proposte come pura didascalia) è indizio
di una volontà di sostituzione del verbale col visuale, del rallentamento dialogico con
la fulmineità dell’azione.
Così se da un lato è la caricatura che definisce il personaggio, riportandone il
valore emblematico a indici di immediata decifrazione, altrove è alla sequenza dei
superlativi assoluti che il procedimento d’intensificazione si affida, come è il caso di
questa didascalia marinettiana in cui al mondo della Cocotte è deputato il compito di
7
F.T.MARINETTI, Il teatro di varietà, cit.
34
contraltare della mediocrità borghese: “Davanti alla libreria, a breve distanza da
questa, una toletta ricchissima, illuminatissima, con specchi e candelabri, carica di
tutte le boccette, di tutti i vasetti e di tutti gli arnesi di cui si serve una donna
elegantissima. Una proiezione intensissima di luce elettrica avvolge questa tolett,
alla quale sta seduta una giovane Cocotte molto bella ...”8.
D’altra parte raramente i personaggi hanno un’identità anagrafica, segnalatrice
d’individualità. Essi sono piuttosto Il poeta, Il critico, Il portinaio, Il giovane,ecc,
dunque dei prototipi, oppure quando l’indice denominativo sembra apparentemente
convergere verso cadenze individualizzanti, esso si scopre alla fine ulteriore
consolidamento dello stereotipo da veicolare.
Quel che contraddistingue il personaggio futurista ad un primo sguardo è in
definitiva il suo offrirsi attraverso modalità squisitamente percettive. Egli è
esattamente quel che appare, quel che si palesa all’occhio. Dietro l’evidenza dei suoi
indici fisico-corporei, nessun spazio si apre che rinvii ad una realtà occultata
spirituale, spazio della sovranità del Discorso la cui stessa immaterialità sia garanzia
di penetrazione psicologica.
Dietro il personaggio non sta un mondo a cui la corporeità fa velo, mondo del
Dentro e della privacy, per la cui comprensione è necessario un duro lavoro
d’ermeneutica. L’ermeneutica rimanda alla parola, all’ambiguità di un significante
che nell’atto stesso di tradurre un’emozione, anziché spiegarne il senso, rinvia a una
parola aggiuntiva, al rallentamento della sequenza logica. Per questo alla
degradazione della parola è demandato lo forzo più evidente della scrittura
drammaturgica futurista.
Innanzitutto come degradazione della parola letteraria, della sua pretesa di gestire
le coordinate dello spazio teatrale, trasformando la scena nel duplicato della pagina.
La scena non è un libro dove della vita esce un’immagine rifratta e mediata. La scena
è lo spazio della physis, incontro-scontro di oggetti e di corpi, di luci e di suoni,
quindi il Manifesto del Teatro Sintetico può con ragione ribadire “l’invincibile
8
F.T.MARINETTI, Simultaneità, in F.T.Marinetti, Teatro, cit.
35
ripugnanza per il lavoro fatto a tavolino, a priori, senza tener conto dell’ambiente in
cui dovrà essere rappresentato”, sottolineando come la maggior parte delle pieces
futuriste “sia scritta in teatro”.
La parola letteraria è viceversa la scrittura, l’antitesi del gesto vivente. Cancellarne
il primato, vuole dire rifiutarsi dell’assunzione della parola, come segno-guida del
progetto teatrale, la parola come significante privilegiato intorno a cui gli elementi
visivi e spaziali si distendono in qualità di presenze dotate di un mero potere
aggiuntivo.
Ridurre l’importanza della parola, far sì, come giustamente ha rilevato il
Calendoli, che essa non assurgesse “quasi mai a un’autonomia espressiva”9, voleva
dire rovesciare l’impianto drammaturgico tradizionale, fare della scena non la cassa
di risonanza della parola, ma il luogo dove il segno verbale è esso stesso assorbito in
una globale strategia del gesto, divenendo ora un segno vitalizzato al pari
dell’immagine, del corpo, del rumore, ora un semplice sussidio della trama cineticavisiva.
Tale strategia conosce un massimo e un minimo di consapevolezza ed intensità.
Ma a parte certe cadute su cascami linguistici di ascendenza tardo-simbolista- spesso
si tratta di citazioni parodistiche a intendimento demistificante- quel che a prima vista
contraddistingue la scrittura drammaturgica futurista è la straordinaria povertà
espressiva del linguaggio, la sua ostentata rinuncia alla funzione poetica e il suo
contemporaneo rifluire su brandelli di dimessa colloquialità.
E’ come se lo scarto tra langue e parole tendesse ad essere abolito a favore della
prima, col risultato di una partitura dialogica bassamente referenziale dove il segno
verbale, in forza del suo costituirsi come semplice ribadimento di indici già esplicitati
in sede gestuale e visiva, viene spesso ad assumere un singolare carattere di
ridondanza. Se in questo caso la parola, anziché supporto dell’azione, tende a
divenire il commento, limitandosi a tallonare una significazione già acquisita in altra
sede, altrove essa diviene il luogo della “chiacchiera”, dell’estenuarsi della
9
G.CALENDOLI, Introduzione a Teatro” di F.T.Marinetti, cit., p. XXXV
36
comunicazione in formule convenzionali il cui oggetto, in mancanza di ulteriori
indici vitali, è il mantenimento della comunicazione stessa, con una iperfetazione
della funzione fatica10:
“VECCHIO- Come state? VECCHIA-Mi contento. E voi come state? VECCHIOMi contento! (pausa). Che bella giornata sarà domani! Avete digerito bene?
VECCHIA- Mi contento…”11.
Altrove, come in Vengono di Marinetti, è viceversa la funzione conativa a coprire
pressoché l’intero campo della strumentazione linguistica, con una incentivazione
massima del ritmo della piece, dovuta alla fulmineità con cui i rapidissimi inserti
verbali scandiscono l’apertura-chiusura del reticolo gestuale e visivo.
Ma è proprio questa povertà della parola, questo suo appiattimento e questa sua
degradazione, ad assicurare una straordinaria flessibilità al personaggio, la stessa che,
facendolo divenire utensile nel senso pieno del termine, gli consente di esprimersi in
termini immediatamente spaziali, di sottoporsi, oggetto tra gli oggetti, o corporeità tra
altre corporeità, al gioco avvolgente dei suoni, delle immagini, delle luci, dei colori.
Non inceppato dal potere centripeto della profondità psicologica, che
pretenderebbe di gestire in proprio l’azione, promuovendola ad epifania del Dentro,
egli è libero di esternare la propria fisicofollia, “di abbracciare la vita stessa della
materia”.
Se la psicologia rinvia al “piombo della logica”, la fisicità è il leggero, l’aereo, il
danzante: e non a caso nella drammaturgia futurista alla materializzazione del
personaggio antropomorfo corrisponde l’animazione dell’oggetto, in un interscambio
dove a funzionare da guida è ancora una volta la volontà di aggiramento delle vecchie
categorie oppositive di corpo e di spirito, per la distillazione di una comune,
totalizzante, nozione di energia.
Nella misura in cui a promuoverlo è un gesto d’accensione vitale- il gesto che crea
la sorpresa, la trovata, l’apparizione dell’incongruo e dell’imprevisto- quanto di
10
11
Cfr R.JACKOBSON, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 188
B.CORRA, E.SETTIMELLI, Passatismo, in “Il teatro futurista sintetico”,vol.I, cit., p. 41
37
marionettistico e di burattinesco contraddistingue il personaggio futurista resta
l’antipodo della rigidità.
Smontabile e rimontabile, estremamente fungibile, il personaggio nasconde dietro
alla sua povertà, la sua straordinaria ricchezza, che è poi la sua duttilità a inseguire gli
slanci dell’intuizione creatrice, a offrirsi come materiale di gioco, senza pudori,
resistenze, inutili nostalgie.
Se il personaggio a tutto tondo, il carattere del teatro tradizionale, resta figlio della
diacronia che presiede al suo sviluppo, e dunque del procedimento sequenzialeaccrescitivo, del nesso causa-effetto, qui nessun passato preme alle spalle col suo
retaggio di prevedibilità; lo spazio di gioco è pienamente offerto alla discontinuità,
alla frammentazione, alla frantumazione, alla casualità, alla caoticità.
E’ esattamente questo che Chiti vuole evidenziare, quando, commentando le
caratteristiche del nuovo teatro scrive “…La violenza del futurismo porterà alla
ribalta la sintesi, l’accozzo impensabile, la pazzia geniale. La satira sarà
rappresentata sfacciatamente, senza corruzioni letterarie; sarà data libertà ai
pensieri prepotenti che s’impadroniscono a tradimento anche delle menti più
categoriche. Il pubblico può divertirsi più che pensare davanti a questo grottesco;
potrà sghignazzare; sarà la bestialità dei nostri nervi violenti toccata da questa
rappresentazione pseudo-leggera e aberrata, crudelmente disarmonica con le
vecchie consuetudini; ma dovrà ricordarsi in fondo della verità filosofica di ciò che
vede. Sono certo che il pubblico folle riderà inconsciamente e sgangherato sulla
tragedia della propria vita messa a nudo… Del resto la frenesia futurista è la miglior
beffa alla noia, alla malinconia. Io voglio vedere il destino avvilito, la vita spezzata
col suo mistero e ricomposta a capriccio del futurista”12.
Farsi portatore sulla scena dell’accozzo impensabile, della pazzia geniale, con una
radicalità d’intervento polarizzata più sul sistema nervoso che sulle regioni del
pensiero; alimentare con iniezioni di vitalità un riso corrosivo volto a stimolare una
comportamentistica del tutto incompatibile con le vecchie consuetudini: questa la
12
R.CHITI, I creatori del teatro futurista, in M.VERDONE, Teatro italiano d’avanguardia, Roma, Ed.Officina,
1970, p. 39
38
globale strategia del personaggio, la cui stessa flessibilità e disponibilità all’apertura
ha consentito alla teatralità futurista, come giustamente ha sottolineato Kirby, di
“anticipare quasi tutte le tendenze che caratterizzeranno la drammaturgia
successiva”13.
Un personaggio, dunque, quello futurista, teso a costituirsi intorno a una modalità
cinetico-visiva, con un livore anti-intellettualistico e anti-letterario, di cui la
degradazione della parola è solo una delle spie più evidenti.
Ma degradare la parola è non solo cancellarne l’egemonia sottraendosi al
meccanismo costrittore della sequenzialità logica: è anche rilanciare il segno verbale
come gesto fonetico, come grido, come onomatopea, anticipando la lezione di
Artaud. Che cosa sono infatti il “runio clacla rimirirì” di Marinetti 14, il “brututum
zum pum”15 di Carli, se non tentativi di rendere la cifra pura dell’emozione, inserti
glosso poietici in cui “l’articolazione non è più il grido ma non è ancora il discorso, la
ripetizione è quasi impossibile, e con essa la lingua in generale”16.
Arriviamo così a uno degli esiti più interessanti della sperimentazione teatrale
futurista, a testi come Sconcertazione di stati d’animo di Balla o a Colori di Depero,
dove la partitura vocale diviene intonazione e grido, proiettile fonetico lanciato nello
spazio, gesto che ingloba o interseca altre gestualità, entro un maximum di
fisicizzazione per cui, come risulta dalla proposta balliana, l’atto di scandire fonemi
acquista la stessa consistenza oggettuale del “levarsi il cappello, guardare l’orologio,
aprire l’ombrello, leggere il giornale”17, e cioè del materiale gestico utilizzato dalle
quattro presenze simultaneamente agenti sulla scena.
In questo modo le coordinate che abbiamo visto presiedere alla conformazione
dell’immaginario futurista tendono a riverberarsi sulla morfologia e funzione del
personaggio teatrale. L’opposizione manichea tra emblemi notturni e emblemi vitali;
la funzione conservatrice e inghiottito ria degli uni contro cui si esercita l’aggressività
13
M.KIRBY, Futurist performance, New York-Toronto-Vancouver, Dutton, 1971, p. 44
F.T.MARINETTI, Runio Clacla, in F.T.Marinetti, Teatro, cit., pp. 405-406
15
M.CARLI, Stati d’animo,, in F.T.Marinetti, Teatro Futurista Sintetico, vol. II, p.32
16
J.DERRIDA, L’ecriture et la difference, Paris, Seuil, 1967, p. 352
17
G.BALLA, Sconcertazione di stati d’animo, cfr M.VERDONE, Teatro italiano d’avanguardia, cit., p. 47
14
39
e la tensione centrifuga degli altri;infine la stessa modalità antipsicologistica,
antiletteraria e sostanzialmente cinetico-visiva con cui è tratteggiato il personaggio,
segno della preponderanza del gesto, della sintesi e del ritmo frantumato dell’azione
sugli indugi analitici della partitura dialogica tradizionale, ne sono gli indici più
clamorosi.
Al
miope
ossequio
ai
criteri
dell’ordine,
della
sequenzialità,
della
verosomiglianza, di cui la tecnica compositiva, la logica, il principio di realtà sono gli
apriori insidiosi, subentra l’apologia dell’originalità inventiva, del procedimento
innovatore, dell’artificio formale.
E poiché la forma, una volta assunta a modello,una volta inghiottita dal
meccanismo della ripetizione , diviene una modalità del centripeto, quell’autonomia
dell’opera d’arte di cui si fa latore il Teatro Sintetico, quel principio secondo cui la
sintesi teatrale “non somiglierà che a se stessa”, si rivolge innanzi tutto contro
l’opera stessa , imponendone il superamento.
Salvaguardare quella particolare forma di gesto vitale che è il gesto artistico,
affermarne l’unicità, vuol dire infatti concedersi all’imperativo della negazione.
La forza e la forma; l’ascesa e il moto discendente: dicotomie che nell’atto stesso
di determinare il ritmo del gesto futurista, ne denunciano il tema di fondo, e cioè la
volontà di tramutare la negazione, l’infinita negatività del negativo, in potenza
d’affermazione.
40
TERZO CAPITOLO
UN TEATRO PER GLI OCCHI
LA “SCENOTECNICA” FUTURISTA
Se tentiamo di comprendere la nascita e lo sviluppo della scenografia futurista
incontreremo molte difficoltà. Le fonti da cui possiamo attingere per tentare di fare
una ricostruzione storica sono fotografie; naturalmente esse sono in bianco e nero. A
complicare il nostro percorso di studi è la quantità di documenti che abbiamo a
disposizione: pochi sono i ricordi delle prime e anche più importanti performance; e
questi possono solo suggerirci il sequenziale sviluppo, discesa e movimento delle
scoperte scenografiche futuriste. Naturalmente da questi reperti è difficile stabilire le
scelte tecniche di questi pittori-architetti: spesso non riusciamo a distinguere se lo
scenografo voglia realizzare uno spazio tridimensionale o semplicemente uno sfondo
dipinto che suggerisse la profondità.
Se utilizziamo un approccio storico, possiamo partire dal fatto che molte
performance futuriste sono state rappresentate da compagnie di giro. Nel 1915 e nel
1916 le compagnie di Ettore Pratolini, Annibale Ninchi, Gualtiero Tumiati ed Ettore
Berti rappresentano programmi di sintesi nelle principali città italiane. Le compagnie
di giro con i loro budget molto ridotti, probabilmente, trasportano con loro scenari
molto semplici. Le sintesi di questi anni sembrano essere state rappresentate su
palcoscenici neutri con pochi pezzi di arredo, usando raramente un fondale e
combinando tra loro i pochi pezzi a disposizione. Quando la scena prevede anche un
fondale, questo viene dipinto in uno stile cubista in qualche modo mutato. Sebbene,
infatti, i pittori futuristi sono influenzati dal Cubismo, c’è una chiara differenza:
mentre infatti il Cubismo mira a presentare punti di vista o aspetti simultanei di un
41
dato soggetto, la pittura futurista, utilizzando mezzi stilistici simili, tenta di mostrare
il movimento che implica un’estensione nel tempo.
Quindi possiamo dedurre che le prime messe in scena delle sintesi futuriste non
hanno dato un significativo contributo alla scenotecnica.
Il forte interesse per il dinamismo e per la velocità è già completamente espresso
nell’iniziale manifesto del Futurismo. In un passaggio spesso citato si legge:
“Una macchina che corre è più bella della Vittoria di Samotracia”1
In queste parole è evidente il richiamo alle teorie di uno degli uomini più
importanti del teatro del Novecento, Gordon Craig. Questi ha già dato primaria
importanza al movimento nell’ articolo, il cui titolo probabilmente è sembrato
straordinario a Marinetti e forse ne è stato influenzato, Gli Artisti del Teatro del
Futuro, pubblicato in due parti sulla sua rivista “The Mask” nel 1908 e ripubblicato
nel 1911 sul suo libro, Sull’arte del teatro.
“Mi piace ricordare- scrive Craig- che ogni cosa nasce dal movimento, persino la
musica; e mi piace pensare che è nostro onore assoluto essere ministri di questa
forza suprema … il Movimento”2
“Mi piace supporre- dice nello stesso articolo del 1908- che quest’arte che
nascerà dal movimento, sarà la prima e ultima fede del mondo”3
Se possiamo mettere in dubbio l’influenza di Craig sul primo manifesto futurista,
invece siamo certi del grande effetto che le sue parole ebbero sulla scenografia
futurista, soprattutto sulle teorie di Prampolini.
Prampolini è la figura più importante nella scenografia futurista. Oltre ad essere
un drammaturgo, un regista e un pittore molto stimato, ha progettato più di
centotrenta realizzazioni sceniche .
Sebbene il linguaggio di Prampolini appare più energico e decisivo, Craig ha già
prefigurato il concetto base della scenografia cinetica. Nel gennaio del 1908 mostra
una serie di incisioni a Firenze che mostrano i notissimi “screen”, che danno vita ad
1
F.T.MARINETTI, Manifesto iniziale del futurismo,in “Le Figaro”, 20 febbraio 1909, Parigi
G.CRAIG, The artists of the Theatre of the future, in “The Mask”, maggio-giugno 1908, cit. p.68
3
Ibidem, cit. p.70
2
42
una scena trasformabile senza fine nella quale il movimento degli elementi fisici è
una parte importante della performance.4 Naturalmente le incisioni non possono
mostrarci il movimento, rappresentando solo i singoli momenti nella progressione del
cambiamento degli spazi, delle forme e delle luci. Se si legge attentamente la
prefazione al catalogo (contenente le incisioni), si ricava l’immagine di una scena
cinetica, dove il movimento impersonale è l’essenza della performance. La
prefazione (e le incisioni) ci descrive una scena vuota, senza pareti. Il movimento
inizia al centro dello spazio: “Proprio mentre aspettiamo di vedere qualcosa, al
centro del vuoto un singolo atomo sembra muoversi … si estende”.5 Le figure
cominciano a sollevarsi: “Una semplice e austera forma si innalza con molta
pazienza
come il risveglio del pensiero nel sogno. Una seconda e una terza
sembrano seguirla”6. Poi colonne quadrate presenti nei disegni di Craig cominciano
ad estendersi come schermi: “Guarda lì ad est! Qualcosa sembra aprirsi, qualcosa
piegarsi. Lentamente, senza fretta, piega dopo piega si scioglie e si aggancia ad un
altro ancora”7. Il movimento delle forme e il cambiamento degli spazi e dei volumi
danno inizio alla performance senza attori. “ Le forme continuano ad apparire in una
progressione senza fine mentre le pieghe ancora si spiegano e ripiegano … qualcuna
levandosi, altre ricadendo … un’altra passando e ripassando”8.
Prampolini è una figura decisiva nella storia del Futurismo soprattutto per aver
redatto il primo manifesto della scenografia futurista.
Il manifesto Scenografia e coreografia futurista9 compare nel 1915. I problemi
attraverso i quali il pittore giunge al teatro sono legati al movimento e al colore.
Movimento che non nasce “da un’esigenza ludica o spettacolare, … quanto
dall’esigenza di natura euristica di cogliere nei modi più diretti possibili il
4
Cfr D. BABLET, Edward Gordon Craig, in Il libro dell’arte del teatro, New York, 1966, pp.117-122
G.CRAIG, Motion: Being the preface to the Portfolio of Etchings by Gordon Craig, in “The Mask”, dicembre
1908, cit.p.185
6
Ibidem
7
Ibidem
8
Ibidem
9
E.PRAMPOLINI, Scenografia e coreografia futurista, in “La Balza”, marzo 1915
5
43
dinamismo segreto della realtà10” e colore, come ha scritto in un manifesto anteriore,
La cromofonia11, del 1913, come “percezione della sensibilità ottica”.
Parallelo a queste ricerche è un altro manifesto, Un’arte nuova? Costruzione
assoluta di moto-rumore12, datato marzo 1915, in cui è posto il problema di esprimere
globalmente le sensazioni derivate dal mondo moderno attraverso costruzioni che
attingono alle varie arti, così da comprendere ed esprimere “con equivalenti astratti
la sensazione, l’emozione, suscitate da un qualunque elemento realistico”
Si tratta di “complessi plastici, o costruzioni assolute di moto-rumore”,esse stesse
“attrici del dramma”. Prampolini mette così realmente in moto le “armature
plastiche e cromatiche di queste costruzioni assolute
che appunto muovendosi
determinano il dramma plastico di un rumore”13.
I punti che, al momento del manifesto teatrale, Prampolini ha ben precisati sono il
rifiuto della psicologia individuale nell’elaborare l’opera e l’oggettività di
quest’ultima. Il teatro è, a quel punto un buon termine di riferimento, in quanto
consente di inscenare una realtà autonoma , e con mezzi estetici propri. Il
palcoscenico, inoltre, ha una sua verità emozionale, un proprio spazio capace di
reggere l’attività teatrale come fabbrica di emozioni, che diventa quasi area
metafisica in cui ogni distacco realistico è ingigantito ed esaltato. Non si tratta di
seguire un testo e prolungarne determinate valenze fino a fare del teatro una
rivelazione interna al testo stesso approfondito e dilatato: qui si tratta di determinare
un evento che vada oltre ai vari linguaggi e alle varie forme di visualizzazione del
testo, inglobandoli tutti, e vada oltre essendo solo azione teatrale.
I punti decisivi del manifesto Scenografia e coreografia futurista si richiamano ai
due presupposti comuni a Prampolini: astrazione oggettiva del colore e della scena
che si costituiscono come realtà intrinseca alla parola e al gesto, ma che “né la parola
del poeta né il gesto dell’attore possono esaltare”, e una dinamica che è
10
F.MENNA, Prampolini, Roma, 1967, cit. pp86 sg . In questa monografia si veda il capitolo La visualizzazione
del movimento e problemi del teatro, pp. 85 sgg.
11
E.PRAMPOLINI, La cromofonia e il valore degli spostamenti atmosferici, in “L’artista moderno”, Roma, 1913
12
Il manifesto compare in “L’artista moderno”, XIV, marzo 1915, pp. 149 sgg.
13
Ibidem
44
strutturazione, architettura, “sintesi assoluta dell’espressione materiale della scena,
cioè non sintesi pittorica di ogni elemento, ma sintesi ed esclusione di quegli elementi
che compongono l’architettura scenica quando essi siano incapaci di produrre nuove
sensazioni”14.
Stando così le cose si tratta di “innovare” e “creare” la scena su principi tecnici
completamente nuovi. I quali trasformano l’inscenamento dalla messa in opera della
rappresentazione di un qualche testo in creazione della scena come organismo
autonomo e vitale.
Bisogna intento innovare la scena:
“Il carattere assolutamente nuovo che assumerà la scena con questa mia
innovazione è dato dall’abolizione della scena dipinta. La scena non sarà più uno
sfondo colorato, ma un’architettura elettromeccanica incolore, vivificata da
emanazioni cromatiche di fonte luminosa generate da riflettori elettrici dai vetri
multicolori disposti, coordinati analogamente alla psiche che ogni azione scenica
richiede15.
Conseguenza necessaria il creare una scena nuova:
“Se nel paragrafo precedente ho manifestato, propugnato il concetto di una scena
dinamica in contrapposizione alla scena statica di una volta, nei principi
fondamentali che adesso esporrò, non solo intendo portare la scena all’espressione
più avanzata, ma attribuirle quei valori vitali suoi propri che finora le mancavano,
che nessuno prima di oggi aveva potuto darle. Invertiamo le parti della scena
illuminante: espressione luminosa che irradierà con tutta la sua potenza emotiva i
colori richiesti dall’azione teatrale16.”
L’attenzione dei futuristi, quindi, non si concentra solo su una scena dinamica data
da elementi fisici in movimento, ma anche sui giochi di luci. Quando Prampolini
parla di “palcoscenico illuminante” intende uno scenario che non semplicemente si
muove ma che è fatto di materiali come tubi al neon che si illuminano con la loro
14
E.PRAMPOLINI, Scenografia e coreografia futurista, cit.
Ibidem
16
Ibidem
15
45
luce. Le luci quindi diventano un elemento fondamentale nella scenografia, che
“daranno risultati meravigliosi di mutuale permeazione, di intersezioni di luci e
ombre”. Piuttosto che stabilire un modo, un significato simbolico, o delle specificità
visuali di uno spazio particolare, le luci acquisiscono con i futuristi un loro carattere
autonomo come elementi attivi nella performance.
Lo studio e le ricerche di nuove soluzioni scenografiche accomunano Prampolini
con altri artisti futuristi, come Giacomo Balla e Fortunato Depero.
Il momento decisivo dei rapporti di Balla con la scenografia sarà l’allestimento del
balletto Feu D’artefice17 di Stravinskij per i Balletti Russi di Djaghilev al Teatro
Costanzi di Roma il 12 aprile 1917. Non si tratta né di un dramma, né di un’opera
lirica o di un balletto, è semplicemente una composizione musicale, senza trama né
caratteri. Balla dà vita ad una performance priva di ballerini, interamente affidata alla
luce, al suono, e all’evocazione plastica.
Possiamo ricostruire l’evento attraverso la testimonianza di Margherita Sarfatti,
che dà con estrema precisione il senso della serata:
“Dramma cromatico = traduzione in colori di un sistema di passioni, concentrati
in un sistema di immagini, in un’azione. Esempio: sul palcoscenico si svolge
un’azione ( pura azione, senza parole, mimica). Al posto occupato dall’orchestra nel
dramma musicale, stanno degli strumenti (a riflettore) atti a produrre tutti i colori
semplici. Durante lo svolgimento dell’azione sul palcoscenico, questa orchestra
cromatica inonda il teatro di luci diverse, che si svolgono in motivi: questi motivi
cromatici devono esprimere le situazioni e i caratteri del dramma mimico”18
Balla costruisce nella buca del suggeritore una “tastiera” con la quale governa le
luci, così che può vedere e ascoltare la performance mentre si occupa dei giochi di
luce. Le sue note per il funzionamento dell’illuminazione ci propongono
quarantanove ambientazioni diverse con un numero maggiore di cambiamenti delle
luci. Dato che la performance dura circa cinque minuti, c’è un cambiamento
17
Vedi figure n. 2, 3, 4, pp. 90-91
M.SARFATTI, Nuove correnti d’arte italiana, Milano s.d. . Il testo è stato riletto da E.CRISPOLTI, Il mito della
macchina e altri temi del futurismo, Trapani 1969, pp. 220 sgg
18
46
dell’illuminazione
ogni
cinque
secondi.
Le
possibilità
dell’illuminazione
comprendono varie combinazioni di illuminazione esterna delle forme solide, di
illuminazione interna di sfondi traslucenti, e illuminazione del fondale nero.
Lo spettacolo vive, quindi, dell’assenza di personaggi, del vuoto che si viene a
creare in scena e del dinamismo luce – colore - plasticità che la scena compone e
anima. L’assenza, svuotando di un polo di riferimento troppo intenso il palcoscenico,
rivela dentro la scena stessa gli elementi dinamico – strutturali della realtà, o almeno
dell’evento che si pone come realtà
L’origine, in Balla, di un interesse coloristico – luminoso è di ordine simbolista –
secessionista ( il dramma come tensione emotiva, espressa nell’oggettività dei colori)
e la sua matrice sta in un trascrizione psicologica estranea da intenti narrativi –
biografici.
Possiamo intravedere in queste idee di Balla l’influenza di Corra e Ginna, autori di
un opuscolo elaborato tra il 1910 e il 1911, Paradosso dell’ arte dell’avvenire in cui
leggiamo:
“Appariranno sul palcoscenico non scenari dipinti, né persone, ma nient’altro che
delle forme. Costruzioni in legno e di stoffa, a punta, a cono rovesciato, mostruosità
geometriche, mezzo sferiche e mezzo cilindriche, come le creature mitiche della
favola, metà umani e metà bestiali; organate secondo un’architettura alogica , e nel
senso proprio della parola, eccentrica, proietteranno sulla scena ombre e luci
asimmetriche. Continui giochi di luce e sbattimenti d’ombra variate, raggi colorati di
riflettori elettrici potentissimi, imprimeranno espressione di mutevole dinamica alla
statica dell’apparecchi scenico. Il singolare spettacolo dura non più di cinque minuti
ed è composto esclusivamente da dalle due vibrazioni dell’etere, onde luminose e
onde acustiche, concorrenti attraverso l’occhio e l’orecchio a determinare nel
riguardante la suggestione magnetica di stati di sensibilità ora lieti, ora tristi, ora di
agitazione, ora di riposo19.”
19
Il testo è edito nel 1910 e poi riedito nell’11. Cfr M.VERDONE, Cinema e letteratura del futurismo, Ed. Bianco
e Nero, Roma, 1968, cit. pp174 sgg
47
E’ un passo importante per Balla, perché questi non rinuncia ad un’obiettività
psicologica della luce e del colore come “caratteri” del dramma: la suggestione che
coinvolge lo spettatore in un valore autonomo, emozionante allo stesso modo, ma
astratto rispetto alla realtà fisica delle passioni, rimane il suo scopo finale. Quindi
abbiamo di nuovo una sostituzione e la costruzione di luce – colore. E colore e luce
vivono sulla scena, sono cioè dramma, in relazione sistematica e coordinata.
Luce e colore funzionano a un doppio livello : esaltati nella presa ottica per
ciascuno dei momenti in cui si manifestano , e fusi in una banda di cromaticità
costante come compresenza di tutti i colori e di tutte le intensità.
Su questa linea va valutata, nel balletto di Balla, la presenza di organismi plastici
entro la dinamica luce – colore. La funzione è quella di dar sostanza e tensione, e
spessore di forma, a una presenza indefinita ma continua. Il continuo, che si compone
sotto e durante l’esplosione momentanea delle accensioni e della pirotecnica
luminosa, sostituisce assai bene la presenza del ballerino, e ne elimina il significato
portante. Con un dato in più: che impone alla scena una sorta di respiro profondo, che
dalla profondità reale ed emotiva dello spazio vuoto che viene suggerita consente di
trarre le persuasione di un volume, della certezza che non si esaurisce nell’esplosione
gioiosa e ottimistica, anzi, la rinforza. Non solo ma meraviglioso ed evidente, magico
e certo si incrociano a dare forza all’azione: la scena, come dimensione di vuoto
umano, ritrova, teatralmente, una verità insieme magico – fantastica e fisico –
percettiva che rischiava di andar perduta nelle altre esperienze dei balletti russi, in cui
unica preoccupazione resta il quadro in movimento, l’intuizione tutta bidimensionale.
Mai andata in scena, ma di cui abbiamo notizie grazie al critico Virgilio Marchi, è
Macchina Tipografica , azione scenica del 191420. L’apparato si riduce a un’enorme
scritta TIPOGRAFICA sul fondale e sulle quinte: dodici personaggi – macchina
compiono gesti meccanici, a scatto e declamano “rumori” in una sorta di onomatopea
rumoristica. Il tutto, a badare ai disegni, appare una tavola parolibera
spettacolarizzata e resa nel suo dinamismo tridimensionale.
20
V.MARCHI, in “La Stirpe”, marzo 1928. Cfr FAGIOLO DELL’ARCO , Ricostruzione futurista dell’universo,
Ed. Bulzoni, Roma, 1968, pp. 82 sg. Vedi figure n. 5,6, p.92
48
Altra sensazione si ha rileggendo la piccola cronaca di Virgilio Marchi che si
riferisce ad un’improvvisazione più tarda dell’azione di Macchina Tipografica, nel
1916. Qui ciò che conta è l’inserimento nella situazione scenica, come appare nei
disegni, di un’improvvisazione di suoni, voci, rumori che dà vitalità alla situazione
del meccanismo tipografico. Il quale fa, quindi, da premessa all’esplosione
creazionistica dell’improvvisazione. Scrive Marchi:
“Una sera ci recammo tutti nel salotto di Djaghilev e di Semenoff per decidere le
sorti della scelta del Feu d’artifice o del Balletto tipografico invenzione meccanica di
Giacomo Balla. Per quest’ultimo l’autore ci dispose in ordine geometrico e con
l’immancabile bastone grigio-quadro dirigeva i movimenti macchinistici e i gesti che
ognuno di noi doveva compiere per rappresentare l’anima dei singoli pezzi d’una
rotativa da giornale. Io fui adibito ad uno “STA” reiterato e violento da compiere
con un braccio, ginnasticamente, che mi pareva essere nel cortile di caserma
all’istruzione. Balla, inutile dirlo, s’era riservato i sibili, l’onomatopeie, le
verbalizzazioni più delicate che uscivano dalle sue labbra inframezzate a quel
memorabile “ neh” piemontese ed allo sturacciolare di bottiglie di Frascati che
faceva l’impenitente e barbuto Semenoff, che mandavano tutto in un grottesco
intelligentissimo e molto divertente”
Anche Depero, come Balla, è coinvolto nella tournèe italiana di Djaghilev. Ma già
prima del 1916, quando riceve la commissione di scene, costumi, e accessori di
un’altra partitura di Stravinskij, Le chant du rossignol, ha composto una sintesi,
Colori, che costituisce la proposta di “un ordine teatrale del tutto nuovo impostato
sull’astrazione totale21”.
Colori inscena quattro entità cromatiche e plastiche, che agiscono in uno spazio
prospettico puramente coloristico e pronunciano solo suoni, intonati per natura e
timbro alle rispettive essenze di cromia.
Quest’indagine sul cromatismo ha il suo punto forte in Corra e Ginna. Proprio nel
1915 Ginna parla di “una potenza della linea colore e forma che è nella loro natura
21
B.PASSAMANI, Depero e la scena: da “Colori” alla scena mobile. 1916-1930, Torino, 1970, p. 32
49
occulta” e ne deduce che “la linea, il colore, la forma hanno una potenza in loro
stessi, al di fuori di qualsiasi esperienza acquisita”22. E’ un’indagine, cioè, che mira a
sottolineare da un lato il valore che è proprio al cromatismo in se stesso, come alla
linea e alla forma; dall’altro lato sottolinea la potenza esercitata da linea, forma,
colore, una volta realizzati, montati, costruiti come drammaticità dinamica, come
scena. La scena ha, quindi, la capacità di mettere in moto questa potenza e il fatto di
“agirla” rivela le connessioni di valore che sono implicite ai colori come un mondo
altrimenti inattingibile e inattuabile.
Il legame con Balla si fa sentire anche nella preparazione dei costumi per
Djaghilev: vi è un forte parallelismo per ciò che concerne la cancellazione della scena
e del personaggio, dell’attore, o nella fattispecie, del ballerino. Per quanto riguarda la
scena (del balletto Le chant du rossignol23), Depero la rievoca così:
“Feci anche per quello stesso ballo uno scenario costruito, che consiste in una
gigantesca flora tropicale meccanica : foglie – cristalli di sette metri; corone di
sonore campanule geometriche, merlettate, dentate, con steli gialli e tronchi rossi
spinosissimi; intricato giardino meccanico florescente; sonorità plastiche; autentica
cristallizzazione di un’orchestra festante”24.
Ancora una citazione dai ricordi di Depero, che rievoca la visita di Djaghilev e
Massine al proprio studio in occasione della preparazione dei bozzetti del balletto:
“L’architettura floreale mi ha sempre interessato. Non i fiori visti come macchine
cromatiche, come masse e particolari vellutati e profumati, quali elementi di grazia
morbida e tattile, di sapore femminile e mistico; il fiore, cioè, considerato nei suoi
aspetti pittorici e plastici già noti, svelati e risolti in ogni lingua e da pennelli e
penne, di ogni tempo, ma il fiore studiato e penetrato nella sua struttura: canali, aste,
corolle, sezioni, pistilli, punte, addentellati, spirali e ingranaggi multiformi. Per
esprimere questi aspetti costruttivi interni ed esterni, più del colore o di atre materie
22
Lo si legge riprodotto in M.VERDONE, Cinema e letteratura…, cit, p.196. Per i rapporti di Corra e Ginna col
futurismo cfr. nello stesso Verdone la pagina di Ginna, Memorie sul futurismo, 1956, pp289 sgg
23
Vedi figure n.7, 8, pp.93-94.
24
F.DEPERO, Il teatro plastico di Depero. Principi e applicazioni, in “Il Mondo”, 27 aprile 1919. Cfr
PASSAMANI, Depero e la scena…, cit, pp37 sgg
50
plastiche, il cartone di ogni spessore e flessibilità mi dà modo di comporre
indubbiamente fiori schematici inventati. Cartoni, piegati, ritagliati, incastrati a
forma di cono, di cilindro, a spicchi. Balzano garofani pungenti, campanule dai
bordi seghettati, foglie aguzze a ciuffi ed appaiate, florescenze di dischi e di
triangoli, cespugli spinosi di rami forcuti, insomma una flora da fiaba cristallina e
metallica.25”
Le chant du rossignol non andrà mai in scena. Feu d’artifice di Balla si fermerà
alla sola messa in scena romana. Il rigetto di Djaghilev delle proposte futuriste ha
varie spiegazioni: prima di tutto Djaghilev esige che la scena sia
fondale,
suggestione, bidimensionalità pittorica; e il ballerino deve muoversi dentro la scena
esaltando la propria presenza mimica, acrobatica, fisica. Balla elimina il ballerino,
Depero lo caccia sotto schermature e costumi che lo cancellano come autonomia.
Ambedue intendono la scena plasticamente e il ballerino o è assente o è momento di
integrazione plastica – formale: con un’ inversione di valori fra scena e attore che per
Djaghilev è ripudio incredibile.
L’indagine cromatica, di cui s’è discorso, è fortemente deduttiva, invita a dedurre
la realtà che è inscenata da un qualcosa che è oltre la stessa presenza di linee, colori, e
forme e che queste non solo svelano, ma propongono in concatenazione logica. Per
Depero, il processo è analogico: data l’autonomia del colore, della linea, della forma,
da un’ esperienza umana, colore linee e forme si combinano effettivamente secondo
quegli equivalenti astratti, cioè secondo le risorse di un’invenzione legata al mondo
dell’infanzia o della follia.
Il rifiuto dei russi mette in moto in Depero la ricerca di nuove soluzioni per quei
Balli Plastici che andranno in scena il 14 aprile 1918: si tratta di cinque rapide azioni
– mimico – musicali completate da una finale rivista delle marionette. Gilbert Clavel,
che collabora allo spettacolo, ne dà la relativa interpretazione :
“La distinzione tra proscenio e sfondo viene abolita, e lo scenario non è più
interpretato come semplice mezzo decorativo, è unificato alla tesi dell’azione e si
25
Depero nella vita e nelle opere, Trento, 1942, p. 197
51
rivela quale continuazione dinamica delle emozioni figurate. La scena che in codesta
nuova accezione di valori dovrebbe veramente trovarsi in mezzo al pubblico, è tutta
pervasa dai motivi principali dell’azione: ne riflette e trasforma gli agenti più
importanti e si conforma all’atmosfera di quello stato d’animo che va formandosi
alla ribalta: sicchè la scena è la definizione delle idee create dall’artista, e non può
per nulla essere staccata dall’insieme e considerata a parte. In stretta relazione con
la rappresentazione attiva, essa trasmette continua ed estende, il gesto mimico delle
linee e nei colori, accentua il ritmo, permuta le illusioni spaziali, e trascendendo
dall’immota statica, si congloba ad organismo vivo ed autonomo nell’azione
svolgentesi. E similmente ad una compiuta fabbrica edilizia in cui l’architettura e la
scultura si danno riscontro e confluiscono ad armonica continuità, così è necessario
creare sulla scena un contatto ininterrotto di mezzi scenici e figurativi”26.
Le scene tendono a dare architettonicamente la molteplicità e la varietà degli
spazi. Piani verticali o tagliati diagonalmente spezzano per opposizione di volumi il
tradizionale riquadro del palcoscenico. Novità notevole in direzione scenotecnica, che
s’accompagna con una nuova valutazione dell’uso e della costruzione delle
marionette.
In Prampolini con più lucidità che in altri, il problema di fondare una ricerca
sistematica della scena si fa sentire. Si fa sentire nel senso di proporre una profonda
riflessione culturale sul teatro non disgiunta da una concreta attività di scena. Da
questo punto di vista Prampolini si mostra molto più attento a rigettare una
separazione fra teoria e pratica di quanto non lo fossero i suoi compagni. Già nel
1914-15 con la Scenografia e coreografia futurista avverte che la questione non è di
far qualcosa di nuovo o diverso, ma di riconoscere alla scena “quei valori suoi propri
che finora le mancavano”. Si tratterà da un lato di riconoscere alla scena una sua
autonomia di esperienza e di evento, dall’altro di determinare un sistema tecnicoconcettuale del teatro che quell’autonomia effettivamente realizza.
26
Il Teatro Plastico era diretto, per la coreografia, da Depero e da Gilbert Clavel, e per la musica da Alfredo
Casella, l’animazione era procurata dalla Compagnia Marionettistica Gorno Dall’Acqua. Nel volume del 1942 Depero
nella vita e nelle opere si ha un preciso ricordo dello spettacolo del maggio 1918 a palazzo Odescalchi con il Teatro dei
Piccoli.
52
Così la scena è un ordine, insieme logico e rigoroso, che sistematicamente
definisce e crea quell’organismo che entro la scena stessa è l’avvenimento teatrale.
L’indagine che conduce a un tale ordine non deriva dal puro rapporto emozionerealtà con cui i futuristi determinano l’esperienza teatrale, ma passa il rapporto
emozione-realtà al vaglio di “ricerche ed esperienze, principi e teorie dovute al
contributo dato dai maestri delle scene”27. In altri termini lo conduce entro una
tradizione di “nuova estetica del teatro”. Progetto di teatro e idea del teatro diventano
un’unica esperienza.
Ma la costituzione di quest’esperienza astratta e autonoma si ha in rapporto ,
ideale, con altre forme estetiche, la pittura in un primo momento, l’architettura con
gli anni Venti, con un’arte fondamentalmente bidimensionale prima, tridimensionale
poi. Nel primo caso la suggestione è data dalla resa, dalla capacità di resa
“dell’esteriorizzazione della psiche umana”, ora la suggestione viene dalla possibilità
di definire le dimensioni vitali, il sistema spaziale di quelle esteriorizzazioni, la loro
possibilità di fissare il campo dell’evento.
Nel 1924 Prampolini pubblica nel fascicolo di “Noi” un ulteriore manifesto,
L’atmosfera scenica futurista28 .
Più che una messa a punto degli esiti fin lì conseguiti, il manifesto ha l’intenzione
di dedurre dai vari rapporti e dalle varie esperienze un codice di contegni e di
comportamenti e di funzioni logiche. Basta leggere queste righe:
“Noi futuristi abbiamo raggiunto e proclamato questa unità scenica,
compenetrando l’elemento uomo con l’elemento ambiente, in una sintesi scenica
vivente dell’azione teatrale. Il teatro e l’arte futurista sono, quindi, la proiezione
conseguente del mondo dello spirito, rimasto al movimento nello spazio scenico. La
sfera d’azione della tecnica scenica futurista vuole:
1. Riassumere l’essenziale attraverso la purezza della sintesi
2. Rendere l’evidenza dimensionale , mediante la potenza plastica
27
E.PRAMPOLINI, L’atmosfera scenica del teatro del colore rivive nel tempo e nello spazio, in “L’Impero”, 11
luglio 1923. Cfr SINISI, Varietè- Prampolini e la scena,Ed. Martano, Torino 1974, pp. 70 sgg
28
E.PRAMPOLINI, L’atmosfera scenica futurista,in “Noi”, cit.
53
3. Esprimere l’azione delle forza in gioco con la dinamica
Sintesi-Plastica-Dinamica= Triangolo magico che individua e riassume ad un tempo
le tre differenti fisionomie dell’evoluzione tecnica della scena futurista. Dalla
scenografia, empirica descrizione pittorica degli elementi veristi, alla scenosintesi,
riassunto architettonico di superfici cromatiche. Dalla scenoplastica, costruzione
volumetrica degli elementi plastici dell’ambiente scenico, alla scenodinamica,
architettura spaziale-cromatica degli elementi dinamici dell’atmosfera scenica
luminosa."29
Nel manifesto è sottolineata la possibilità di andare oltre le misure architettoniche
del palcoscenico, verso uno spazio integralmente fatto teatro:
“Architettura elettro-dinamica polidimensionale di elementi plastici luminosi in
movimento nel centro del cavo teatrale. Questa nuova costruzione teatrale per la sua
ubicazione permette di fare sconfinare l’angolo visuale prospettico oltre la linea
d’orizzonte, spostando questo al vertice e viceversa in simultanea compenetrazione,
verso un’irradiazione centrifuga di infiniti angoli visuali ed emotivi dell’azione
scenica. Lo spazio scenico polidimensionale, nuova creazione futurista per il teatro
dell’avvenire, dischiude nuovi mondi alla tecnica e alla magia teatrale”30
In questo evento assoluto per l’attore non c’è più posto, per l’attore interprete
almeno, perché diversa è la situazione di un attore che determina una condizione di
spazio, e cioè un ordine logico che funziona entro la macchina scenica:
“Il teatro, inteso nella sua più pura espressione, è infatti un centro di rivelazione del
mistero, tragico, drammatico, comico al di là dell’apparenza umana. Ne abbiamo
abbastanza di vedere tutt’ora questo pezzo di umanità grottesca agitarsi sotto la
volta del palcoscenico in attesa di commuovere se stessa. L’apparizione
dell’elemento umano sulla scena, il mistero dell’al di là che deve regnare nel teatro,
tempi di attrazione spirituale. Lo spazio è l’aureola metafisica dell’ambiente.
L’ambiente la proiezione spirituale delle azioni umane. Chi dunque più dello spazio,
ritmato nell’ambiente scenico può esaltare e proiettare il contenuto dell’azione
29
30
Ibidem
Ibidem
54
teatrale? La personificazione dello spazio nella funzione di attore quale elemento
dinamico interferenziale d’espressione tra l’ambiente scenico e il pubblico
spettatore, costituisce una delle più importanti conquiste per la evoluzione dell’arte
tecnica teatrale poiché viene definitivamente risolto il problema dell’unità scenica.
Considerando lo spazio come una individualità scenica dominante l’azione teatrale e
gli elementi che in esso si agitano come accessori, è evidente che questa unità
scenica sia raggiunta dal sincronismo fra la dinamica dell’ambiente scenico e la
dinamica dell’attore-spazio in giuoco nella vicenda ritmica dell’atmosfera
scenica”31.
L’estremo antinaturalismo e l’antintellettualità più puntuale sono raggiunti: la
macchina teatrale è un sistema organico coerente e unitario in cui tutte le funzioni si
coordinano unitariamente.
Tra le esperienze degli anni Dieci e queste conclusioni c’è, da parte di Prampolini,
una lunga riflessione sui problemi del colore e un’effettiva collaborazione con
Ricciardi32 intorno alle idee che son proprie al teatro del colore di quest’ultimo. E a
Ricciardi è dedicato per intero il testo del 1923 L’atmosfera scenica del teatro del
colore rivive nel tempo e nello spazio, in cui è sottolineato a più riprese il significato
di autonoma valorizzazione drammatica del colore-luce e il senso di definizione
spaziale e temporale che ne consegue.
Tra il 1921 e, appunto, il 1924, Prampolini allestisce un certo numero di spettacoli
per il Teatro Sintetico Futurista: è in questa serie di occasioni che le sue ricerche si
precisano procedendo verso quei traguardi che sono descritti nel manifesto del 1924.
In queste messe in scena Prampolini abbandona la stereometria precedente: nel 1921,
a Praga, allestendo sedici sentesi, fa uso di un palcoscenico girevole che gli permette
di far girare simultaneamente situazioni diverse; l’anno seguente con Il tamburo di
fuoco di Marinetti , sempre a Praga, riesce a dare un’integrazione di suoni colori e
31
Ibidem
Scrittore e teorico del teatro italiano, legato ai movimenti d’avanguardia sviluppò fin dal 1906 una sua
concezione del “teatro del colore” che tentò di realizzare nel 1920 al Teatro Argentina, con la collaborazione dello
stesso Prampolini. Per Ricciardi il colore non deve essere un semplice accessorio, ma agire nel dramma come
espressione psicologica degli attori e dell’ambiente. Cerca l’intimo significato che si produce entro il palcoscenico
come immagine dell’emozione.
32
55
dinamica visuale fra le più complete e complesse fin lì realizzate33. Il manifesto del
1924 è anche determinato da alcuni allestimenti per il Teatro degli Indipendenti di
Roma, e ancora per Praga, che determinano se non una svolta, un’accentuazione di
elementi che caratterizzano le ricerche spiritualistiche di Prampolini in un senso più
marcatamente “metafisico”, cioè affine alla poetica dechirichiana. In questi
allestimenti luci e colori sono ormai interamente fusi in un definizione di spazio
architettonicamente strutturato. La struttura tende ad essere di maglia assai larga, con
un’ampiezza e un senso di vuoto aperto che fornisce suggestioni sempre più tese che
richiamano subito le evocazioni metafisiche delle scenografie pittoriche dechirichiane
del primo dopoguerra. E c’è da chiedersi quanto dechirichismo ci sia anche nella
deduzione dell’esigenza di eliminare l’interprete quando questo non sia fatto spaziale
integrato nella più generale totalità di strutturazione dell’azione.
Non si tratta naturalmente dell’abbandono pittorico o pittoricistico: la stessa
pittura dechirichiana non riempie i vuoti scenografici dei propri soggetti con
soluzioni di pittura, o di tono o di suggestione, ma tende a cogliere l’estraneità dello
spazio che le architetture svuotano rispetto alle soluzioni architettoniche, in modo da
integrare l’uno all’altro. La luce e il colore di Prampolini toccano effettivamente la
possibilità di “sostituire il proprio potere indagatore ed evocatore ad ogni pretesa
preziosità pittorica”34. Lo sviluppo, quindi, è del tutto coerente.
Ma è la tensione e il tipo di suggestione ad aver ormai imboccato la via indicata
nella conclusione del manifesto del 1924. Il quale, per la sua parte di sviluppo e
aggregazione meccanico-spirituali, trova una successiva evoluzione nel Teatro
Magnetico35 , il cui modellino, esposto nel 1925 a Parigi, fa conferire a Prampolini il
Gran Prix mondiale.
La relazione della giuria dice:
33
Il Tamburo di fuoco fu scritto nel 1921 e rappresenta un ritorno a modi prefuturisti. Cfr G.ANTONUCCI, Lo
spettacolo futurista in Italia,Ed. Studium, Roma 1974. Ebbe insuccesso in Italia e fu poi ripreso con grande esito a
Praga.
34
E.PRAMPOLINI, Discorso sulla scenografia, in “Il Sipario”, 1-5, 1946
35
Vedi figure n. 9, 10, pp. 94-95
56
“mediante un insieme di costruzioni plastiche mobili , di superfici diversamente
colorate secondo le necessità dell’azione; mediante un’ architettura luminosa di
spazi cromatici, dove la voce umana interverrebbe semplicemente come uno degli
elementi molteplici dell’azione, Prampolini ed i futuristi desiderano creare un’arte
che basterà a se stessa senza che si debba ricorrere ai mezzi drammatici, quali li
abbiamo conosciuti fino ad oggi, al dialogo, alla psicologia, la pittura delle passioni
umane. Questa forma estrema di suono-arte è chiamata dal Prampolini il teatro
antipsicologico astratto, cioè di suggestione, magnetico”36.
I tre grandi modelli di teatro magnetico, esposti a Parigi, rappresentano una
colossale costruzione di luce, alta più di sei metri, ottenuta con la sovrapposizione di
motivi architettonici modellati sulle iniziali del teatro T e M e sormontata da un globo
dorato. Alla visuale prospettica fissa regolata dall’arcoscenico sostituisce la nuova
realtà-mobile dello spazio scenico polidimensionale che si innalza al centro del cavo
teatrale. Attori e decor sono sostituiti da equivalenti astratti che misurano il tempo e
lo spazio: suoni e voci provenienti da giganteschi megafoni da una parte, luci e
proiezioni dall’altra.
Ne scrive lo stesso Prampolini: “il teatro magnetico avvolge l’umanità spettatrice
con una nuova atmosfera e corrente di spiritualità, contro l’imperante materialismo
estetico, dal lato interpretazione scenica, e psicologismo cerebrale, dal lato
produzione letteraria teatrale, interpretando i moti dello spirito attraverso il fluido
suggestivo degli elementi tecnici d’astrazione scenica”37.
Gori, che nel suo libro riporta il passo, commenta:
“Questo teatro vuole decisamente andare oltre i limiti della rappresentazione visiva
tradizionale estetizzante, verso i nuovi orizzonti di interpretazione introspettiva
dell’apparizione scenica, sconvolgendo il campo speculativo del teatro teatrale, per
ridare una nuova potenza spirituale alla materia scenica. Cioè creare un nuovo
spettacolo visivo, trasponendo gli elementi della realtà quotidiana con elementi
36
Il testo francese è in GORI, Scenografia. Tradizione e rivoluzione contemporanea, Casa Editrice Stock, 1926,
pp.217 sgg
37
Citato da GORI, Scenografia…, cit, p.219. Cfr E.PRAMPOLINI, The Magnetic Theatre and the Futuristic
Scenic Atmosphere, in “Little Review”, maggio 1929.
57
astratti della eterna finzione, integrando la stasi del pensiero con la dinamica
dell’azione scenica. Il funzionamento di questo teatro magnetico è affidato allo
spazio scenico polidimensionale che risponde alle necessità della suggestione
teatrale voluta, inquantochè, innalzandosi nel centro del cavo teatrale, invece che
alla periferia dell’arco scenico prospettico, permette di creare infinite possibilità
d’imprevisto scenico, amalgamando e travolgendo in un’unica commozione
spirituale e visiva spettatori e azione scenica.”
Forse non è proprio questo, però, il senso del teatro di Prampolini, che chiede alla
scena “collaborazione di forze collettive di certezze prestabilite, di vita meccanica
dello spirito”38.
Che cosa sia ormai il teatro , quale meccanismo comporti, Prampolini lo spiega
nell’articolo appena citato:
“Il teatro è una fabbrica di emozioni ove tutto deve funzionare alla perfezione come
una macchina, con sincronismo assoluto di forze parallele attente a misurare
l’azione teatrale al ritmo magnetico dello scenotecnico che distribuirà tutti gli
elementi in gioco, dagli attori-macchina alle macchine-attori, cioè, ad esempio, dalla
prima attrice (che non sarà più tale) al riflettore A, dalla rampa mobile 32 al
portaceste, ecc. Questa nuova disciplina e questo equilibrio degli elementi che
costituiscono la vita meccanica del teatro, s’impongono come legge supremamente
essenziale”
Mentre esce l’articolo in Italia, sta per approdare sui palcoscenici il più complesso
tentativo teatrale di Prampolini, La pantomima teatrale39. Con la pantomima
Prampolini vuole mettere in scena:
“ una ricreazione aggiornata della pantomima italiana classica che sfrutta,
perfettamente fuse in un sincronismo assoluto, tutte le nuove ricerche di psicologia
plastica, di architettura luminosa e di macchinismo figurativo e musicale”
come scrive nel relativo programma40 .
38
E.PRAMPOLINI, Il teatro è una fabbrica di emozioni, in “Comoedia”, aprile 1928.
Vedi figura n. 11, p.96
40
Theatre de la Pantomime Futuriste, Parigi, 1927
39
58
E’ la realizzazione dei principi del manifesto del 1924: si realizza quella globalità
di musica, suono, gesto, architettura, azione, luce, colore capace di dar luogo ad un “
esaltante quasi mistico rito meccanico”41.
Il momento saliente dello spettacolo è Cocktail di Marinetti per la musica di
Silvio Mix, esplosione delle idee futuriste che mette insieme i vari simboli e oggetti
dell’epoca in un’esaltazione continua del dinamismo. La grande novità sta nella
miscelatura di ogni risorsa tecnica, nella contaminazione caricaturale, nella dinamica
degli effetti e delle analogie. E’ interessante notare l’uso del film nel contesto
scenico, proprio per accentuare la resa dinamica. Grazie al cinema “si corre, si
naviga, si viaggia, si vive intensamente restando comodamente seduti su un poltrona”
42
dice Depero.
Santa velocità, accanto al citato Cocktail43, è forse la punta dell’esperienza
parigina. Pantomima di Prampolini, commento musicale di Russolo44, essa non solo
non ha azione teatrale vera e propria, e neppure personaggi, ma supera in qualche
modo la stessa scena: le architetture sceniche risultano dall’uso di riflettori che
proiettano luci colorate su un fondale neutro. E’ la realizzazione di quella scena
illuminante teorizzata fin dal 1915 e portata alle estreme conseguenze. Scena
illuminante cioè “espressione luminosa che irradierà di tutta la sua forza emotiva:
colori necessari all’azione teatrale”
I risultati ottenuti dal teatro prampoliniano della pantomima sono i più maturi e
pieni dell’esperienza intera futurista: ma ne segnano anche il limite e il tramonto.
Possiamo infatti notare come qui, dove più adulta, rigorosa e definita è la misura
scenica del futurismo ne esploda, sul piano linguistico e sperimentale, l’intima
contraddizione. Si vuol dire che questa scena se si presenta come largo ventaglio di
ipotesi e di tensioni sperimentali, si inquadra poi in un teatro antisperimentale, o, in
modo più semplice, privo di sperimentazione. Non solo, ma si fa evento di un mondo
completamente codificato prima che la ricerca scenica si ponga euristicamente in
41
G. ANTONUCCI, Lo spettacolo futurista…, cit, p. 119
F.DEPERO, Scenografia, in Depero futurista, ed.Dinamo-Azari, Milano, 1927, pp.non numerate
43
Vedi figura n. 12, p. 97
44
Il quale fa uso del rumorarmonio, congegno armonico intonarumorista
42
59
movimento. Di modo che la scena non fa che fissare , dichiarare, magari ampliare una
realtà di fatto determinata in tutta la sua portata. Il che non ne cancella , anzi ne
esalta, invece, l’importanza, ma da un opposto punto di vista: che è quello didattico, e
della didattica persuasione.
Proprio perché questo teatro pone il problema , o meglio l’allegoria
di un
inserimento e di una integrazione in un mondo che è moderno, e in quanto moderno
definito in ogni sua parte, questo teatro finisce con l’essere l’inscenamento della
“moralità” di questa integrazione e la necessità dell’integralismo conseguente. E’ un
teatro che, in qualche modo, non parla la modernità, ma è parlato da un
programmazione di modernità che non si fa con gli sviluppi successivi del teatro
stesso: si fa altrove ed è fatta da altri.
60
LA “MECCANIZZAZIONE” DELL’UOMO
Paladini, Pannaggi e Prampolini firmano nel maggio del 1923 il Manifesto
dell’arte meccanica: ma il testo non è che la rielaborazione di uno scritto di un anno
anteriore firmato dai soli Pannaggi e Paladini, edito su Lacerba.
La formula centrale è “Sentiamo meccanicamente. Ci sentiamo costruiti in
acciaio. Anche noi macchine, anche noi meccanizzati”. Il che vorrà poi dire che
“dalla macchina e nella macchina si svolge oggi tutto il dramma umano”. L’ artista
costruirà tenendo fede solo “alla propria vita e all’atmosfera in cui respira”.Non si
tratta però di mimare la macchina in quanto idolo esteriore, bisogna cogliere della
macchina lo spirito, cioè le forze, i ritmi, e le infinite analogie che la macchina
suggerisce. Codesto “spirito” impone “valori eterni e … equilibri indistruttibili”45
La macchina è la ricerca di uno stile, di una durata e costanza non solo formale, di
elementi capaci di essere tipici e caratteristici, non ciascuno di per sé, come elementi
raffigurativi o rappresentativi, ma come insieme della costruzione e nel suo
funzionamento. Il quale agisce alla luce di un’oggettività di ricerca che ricava la
propria certezza nella idealità, nella partecipazione psicologica a un’immaginazione
che è figura e attesa del proprio tempo.
In realtà il manifesto va posto in collegamento con un rifiuto della realtà concreta
e quindi con un rifiuto di quanto di sperimentale, di pragmatico era stato tentato dai
gruppi d’avanguardia. Sono anni in cui, in genere, è in atto una crisi dell’impegno
dell’arte sulla realtà più diretta, un rifiuto di un’autentica prassi a favore di un
ripiegamento sul mistero, l’inconosciuto e l’atmosferico.
La macchina, d’altro canto, sarà artisticamente coordinata da “una legge lirica
originale e non da una legge scientifica appresa”: in tal modo la macchina diverrà
45
I.PANNAGGI,V.PALLADINI,E.PRAMPOLINI, Manifesto dell’arte meccanica, in “Noi”, seconda serie, I,
1923, 2.
61
“ispiratrice per l’evoluzione e lo sviluppo delle arti plastiche”, secondo Pannaggi,
Paladini e Prampolini. Né poteva mancare il teatro: la macchina esibisce e formula
una legge in atto e così facendo si fa ispiratrice di una evoluzione. La scena
meccanica sarà così concentrazione di una legge non più individuale, ma collettiva, in
quanto spirito e idea comune.
Paladini e Pannaggi, per tornare ai firmatari del manifesto, mettono in scena il 2
giugno del 1922 un Ballo meccanico futurista46 con loro coreografia e regia. Ne
scrive lo stesso Pannaggi:
“Il Ballo meccanico futurista, eseguito dai danzatori russi Ikar e Ivanoff, ebbe luogo
al Circolo delle Cronache d’Attualità della Casa d’Arte Bragaglia di via degli
Avignonesi, la sera del 2 giugno 1922.
Il Ballo meccanico futurista fu ideato da Ivo Pannaggi in collaborazione con Vinicio
Paladini il quale contrappose al costume meccanico di Pannaggi un costume di
fantoccio umano”…
Accoppiati in dialoghi plastici i due danzatori improvvisavano sorprese spaziali
spostandosi in lungo e in largo, in alto e in basso. Accompagnati da proiettori che li
seguivano illuminandoli di luce bianca, essi si portavano dalla sala alla galleria e
comparivano dietro la balaustra dove, con gesti e movimenti della persona,
accennavano il preludio. Discesi in sala, eseguivano azioni mimiche cadenzate al
ritmo dei motori, ma poi sparivano dalla parte opposta, salendo su per la gradinata
che portava al foyer. Tornavano di nuovo in sala, riprendevano l’azione, e infine si
dileguavano a precipizio, giù per la scaletta che scendeva al bar” 47.
Pannaggi preparerà anche scene e costumi per L’angoscia delle macchine48 di
Vasari. E’un testo che andrà in scena a Parigi nell’aprile del 1927, con tutt’altri
costumi che quelli di Pannaggi. L’interesse della proposta di quest’ultimo sta nel fatto
che nel lavoro di Vasari l’ideologia della macchina è rovesciata, ne è colta la
46
Vedi figura n.13, p. 98
I.PANNAGGI, Costume per il ballo meccanico futurista, in “Maske und Kothurn”, 1966, 4
48
Marinetti dirà in una conferenza che si tratta “di una delle opere più importanti che il futurismo abbia mai dato”.
Il lavoro è al centro delle pagine di M.VERDONE, Teatro del tempo futurista cit, pp.209 sgg. Vedi figure
n.14,15,16,17, pp. 99-101
47
62
conflittualità con l’uomo e la sconfitta di questi. Il fulcro è tragico, è il “conflitto
tragico tra l’umanità e la macchina che tenta di aggiogarla e soffocarla” . Ne ha
lasciato scritto Bragaglia49. Lo stesso Bragaglia aggiunge che si tratta “di un lavoro
teatrale pensato con gli occhi della mente avanti tutto come spettacolo e quindi
concepito particolarmente come poema drammatico … La precedenza del ritmo
visivo sul ritmo interiore, nella rappresentazione teatrale – oltre che nello spettacolo
ov’essa è pacifica- è il concetto dei moderni”
I costumi di Pannaggi esasperano la meccanicità come un ordine totale e rigoroso
che rende armonico e necessario lo scontro uomo macchina e pare cancellarne la
liricità da incubo del contesto vasariano in un procedimento da balletto, da struttura
ritmica e regolare. Il lavoro di Pannaggi è coerente con le premesse “meccaniche” da
lui stesso, del resto, evidenziate e fissate nei manifesti. L’opera d’arte è forma non
solo visiva ma è costruzione dinamica che nel tempo e nello spazio orchestra un
complesso organismo fisicamente e plasticamente definito.
Né le cose vanno diversamente in teatro dove la forte definizione figurativa dei
protagonisti, la loro meccanica e macchinosa plasticità va poi vista nel gioco serrato
della scena come parti di un ingranaggio da valutare nella sua totalità di sviluppo
temporale e spaziale.
Il mito della macchina trova, quindi, una sua effettiva concretizzazione, come
abbiamo visto, nella recitazione e nei costumi. Infatti i concetti intorno a cui girano
tutte le ricerche nel campo del design dei costumi e nel campo della recitazione sono
proprio l’integrazione del performer con lo scenario e quello che possiamo definire
meccanizzazione del performer. L’esigenza di “meccanizzare” l’attore, naturalmente,
è legata al bisogno futurista di creare dinamicità, sinestesia, sintesi sul palcoscenico.
Nel programma per il suo Teatro della pantomima futurista a Parigi, Prampolini
scrive:
49
I bozzetti furono pubblicati in “L’Impero”, 14 agosto 1927,e a più riprese su “Der Sturm” fra il 1923 ed il 1926.
Una rappresentazione si ha da Bragaglia a Roma il 28 aprile 1927, a cura di Mihailoff, musica di Stravinskij, con
presentazione di Marinetti.
63
“La mimica decorativa, che è superficiale, deve essere abbandonata per entrare nel
dominio dell’architettura, che è profonda. Tutti gli elementi della musica, della
pittura e dei gesti devono essere armonizzati gli uni con gli altri senza perdere la
loro indipendenza. Il ritmo della musica e quello della scena e dei gesti devono
creare un sincronismo psicologico nello spirito dello spettatore. Questo sincronismo,
che non ha niente a che fare con l’armonia esteriore e meccanica delle tre arti,
risponde alla legge di simultaneità che regola tutta la sensibilità futurista”50
Questa richiesta di uno spettacolo unico che si appella “all’istinto e all’intuizione”
ed è “sopra tutta l’antilogica” deriva proprio dalla ricerca della sinestesia. Questa
allude al concetto ipotetico che la stimolazione di un senso può provocare la risposta
soggettiva di altri sensi.
I primi anni del Novecento sono caratterizzati dalla ricerca di questi contatti ed
esplosioni di sensi: Sriabin costruisce un organo del colore nel tentativo di
trasformare la musica in un’immagine visiva; Kandisky si interessa della relazione tra
musica e colore; Kupka scrive della relazione del movimento con i centri sensoriali;
lo stesso Prampolini pubblica la “Cromofonia”, sottotitolandola “Il colore del suono”,
nel 1913.
Questo interesse per i rapporti tra i sensi e per il “sincronismo psicologico” può
essere fatto risalire alle teorie di Wagner, all’opera d’arte totale wagneriana. Mentre
Wagner, però, quando parla di opera d’arte totale si riferisce al dramma in musica
come sintesi di tutte le arti, Prampolini quando parla di “una costruzione assoluta di
movimento-rumore” si riferisce all’architettura, alla scena, al movimento futurista.
Quindi un modo per unificare la performance, ottenendo quel perfetto sincronismo
psicologico, è quello di eliminare i dettagli individuali e realistici del movimento e
del costume e di sostituirli con un vocabolario di gesti e di abiti che corrispondano
molto più da vicino alle caratteristiche della messa in scena.
Possiamo vedere, grazie a dei documenti fotografici, le soluzioni che Prampolini
trova per raggiungere quest’armonia e unità sensoria: nel suo Teatro della Pantomima
50
E.PRAMPOLINI, Theatre de la Pantomime…, cit
64
futurista utilizza uno spazio poco profondo; i performer si affollano sul proscenio.
Come in Cocktail, dove lo scenario solido è presentato come un muro dietro le spalle
degli attori; l ’azione non si sviluppa in profondità, ma in altezza, infatti la
performance si svolge su due livelli; i corpi dei performer, come figure di un
bassorilievo o di un quadro, sono mostrati nella loro bidimensionalità, offrendoli
esclusivamente allo sguardo del pubblico;
anche i costumi , quindi, sembrano
enfatizzare l’aspetto lineare della figura umana, piuttosto che il suo volume.
Queste testimonianze ci sono molto utili per osservare come il corpo dell’attore
stava subendo un processo di meccanizzazione. In un primo momento si tratta di una
meccanizzazione attraverso un movimento ritmico e geometrico che rimane sempre
di base umano: i costumi segnano i contorni del corpo dell’attore, mentre le braccia,
le gambe, il volto sono lasciati scoperti.
Marinetti, invece, prende le distanze dal movimento geometrico: nel manifesto che
pubblica l’8 luglio del 1917, Manifesto della danza futurista, nonostante loda
qualcosa della danza contemporanea, definendo il lavoro di Dalcroze
“una
ginnastica ritmica molto interessante”, o i Balletti russi di Diaghilev “molto
interessanti artisticamente”, si sente costretto a reagire contro la pura geometria.
Chiedeva che il danzatore superasse le sue possibilità muscolari, in modo da
diventare una macchina. Ma le tre danze descritte nel manifesto non sono altre che
rappresentazioni mimiche della realtà: in La danza di un aviatore, la ballerina deve
imitare un aeroplano, prima, restando sdraiata su una grande carta geografica, deve
“simulare, facendo tremare e oscillare il suo corpo, i vari tentativi che un aereo fa per
sollevarsi”, dopo deve saltare su una montagna fatta di abiti verdi, e inseguire un sole
di cartone colorato d’oro.
Questa meccanizzazione dell’attore ancora umana e reale subisce una battuta
d’arresto con le ricerche futuriste degli anni Venti. Prampolini, infatti, nel manifesto
L’atmosfera scenica futurista, del 1924, scrive della necessità di abolire l’attore:
l’attore viene sostituito con lo spazio personificato che si fa elemento dinamico
interferenziale d’espressione tra l’ambiente scenico e il pubblico spettatore.
65
Prampolini sembra così superare , definitivamente, le teorie di Gordon Craig, che
nel 1908 propone di sostituire l’attore con una ubermarionette. Ma, in realtà, i suoi
“attori-gas” altro non sono che lo sviluppo e il miglioramento della teoria di Craig.
Con il suo legame con i prodotti della tecnologia moderna, il futurismo ha tentato
di adeguare la supermarionetta al mondo moderno. Nel 1918, come abbiamo già
visto, Gilbert Clavel, conosciuto come critico d’arte svizzero, poeta, professore di
storia egiziana, presenta, nel Teatro dei Piccoli al Palazzo Odescalchi a Roma, un
programma di cinque brevi performance coreografate da lui stesso e da Fortunato
Depero.
Depero, riflettendo sulla nascita dei suoi Balli Plastici51, afferma:
“Avevo appena finito i costumi e lo scenario per i Balli russi così miseramente
distrutti, allorchè mi venne in mente questa idea: per ottenere un maggior senso
geometrico e di libertà proporzionale nei costumi, nei personaggi e nei rapporti fra
scene e figure, bisognerebbe dimenticare addirittura l’elemento uomo e sostituirlo
con l’automa vivente; cioè con la nuova marionetta libera nelle proporzioni, di uno
stile inventivo e fantasioso, atta ad offrire un godimento mimico paradossale ed a
sorpresa”
Il Teatro dei Piccoli era un teatro di marionette: i Balli Plastici sono concepiti per
le marionette. Quindi l’attore si muta in marionetta, in entità meccanica che non
interpreta in senso proprio l’azione ma si identifica con essa e la incarna. Il risultato è
l’assenza di ogni espediente e processo di natura psicologica, un estremo sintetismo,
movimenti veloci, meccanici nel ritmo, assurdi, estremamente colorati.
Sebbene lo spettacolo è caratterizzato da una leggerezza dei toni, questo non è
stato concepito per un pubblico di bambini. I Balli Plastici sono stati rappresentati
diciotto volte e hanno incontrato un grande successo tra il pubblico futurista. Anche
se il palcoscenico e la maggior parte delle marionette sono più piccoli di una
grandezza naturale, alla fine una delle figure di legno di Depero, il “Grande
Selvaggio”, è più alto di un uomo.
51
Vedi figure n.18,19, p. 102
66
L’anno seguente, nel 1919, Prampolini mette in scena un dramma simbolico,
Matoum e Tevibar di Albert-Birot, con le marionette nello stesso Teatro dei Piccoli a
Roma. Anche per questo spettacolo vengono utilizzate marionette di varia altezza.
Filippo Menna scrive che alla fine del dramma le porte furono aperte, mostrando
Matoum, con la testa illuminata, mentre portava sulle sue braccia tutte le altre
marionette.52
I motivi che hanno spinto i futuristi ad utilizzare le marionette sono
completamente diversi dalla ragione per cui Craig sostituisce l’attore con la
supermarionetta. Craig ritiene che l’attore umano è imperfetto perché non può essere
completamente controllato dal regista, e poi l’attore potrebbe mostrare la sua
personalità piuttosto che fondersi con il suo personaggio,inoltre non è capace di
mettere in scena ogni volta la stessa performance53. I motivi che spinsero i futuristi
sono, invece, perlopiù formali: il più importante è l’integrazione dell’attore con
l’ambiente. Usando le marionette, Depero può costruire i suoi attori e il suo scenario
con lo stesso materiale, usare le stesse forme geometriche stilizzate, dipingerli dello
stesso colore.
I cambiamenti in scala, impossibili con attori umani, l’uso di figure inusuali, sono
altre, altrettanto importanti, ragioni per cui i Futuristi fanno uso delle marionette; ma
la giustificazione più importante è il raggiungimento dell’integrazione stilistica dello
spettacolo.
L’attore, però, può anche essere semplicemente abolito dalla scena senza essere
sostituito da fantocci. Prampolini nel suo Teatro magnetico propone un’enorme
macchina che riempie lo spazio del palcoscenico con il movimento, le luci, il suono.
L’elemento umano viene eliminato perché non riesce a raggiungere una “sintesi”
perfetta con l’ambiente circostante, essendo l’uomo l’elemento dinamico e l’ambiente
l’elemento statico. Quindi performance non oggettive, come Feu d’artifice di Balla,
Santa velocità di Prampolini, il quarto dei Balletti Plastici di Depero, chiamato
52
F.MENNA, Enrico Prampolini, De Luca Editore, Roma, 1967, p.107
Cfr C.R.LYONS, Gordon Craig’s Concept of the Actor”, in “Educational Theatre Journal”, ottobre 1964, pp.
258-269
53
67
Ombre, che Depero descrisse semplicemente come “ombre dinamiche – piani grigi e
neri – che giocano con le luci”, possono essere visti come tentativi per raggiungere la
definitiva sintesi e unità.54
La meccanizzazione non prevede solo questi due approcci (cioè la
meccanizzazione ancora umana e l’abolizione dell’attore). C’è una terza linea di
questa stessa tendenza alla meccanizzazione che non rifiuta l’attore. Questa tendenza
prevede la deformazione del corpo dell’attore attraverso i costumi. Uno dei primi e
più interessanti esempi di questi costumi futuristi appare in un manoscritto mai
pubblicato ma scritto da Depero probabilmente nel 1915: i vestiti “ devono apparire
come un normale costume futurista”, ma, “la struttura di filo metallico sarà fatta in
modo che si apra e si chiuda” e “vari movimenti con le braccia, le gambe, apriranno
certi congegni come pinze”; allo stesso tempo si assiste a “esplosioni e ritmi di
strumenti rumorosi” che sono costruiti sui costumi.
Come possiamo vedere assistiamo a un’inversione di tendenza in Depero nel
rapporto con la macchina. Infatti nei suoi lavori precedenti, come nel Ballo delle
macchine o meglio Anihccam del 300055, che va in scena nel gennaio del 1924, la
macchina è umanizzata, la figura resta il corpo umano, come sintesi tubolare di
locomotive, il cartone con snodi in tela, e cifre in bianco e nero; tutto è rigido e
lucido, tranne gli snodi ai gomiti, ginocchia, collo e spalle.
Questa inversione di tendenza permette a Depero di creare una situazione scenica
paradossale, in cui il rapporto uomo-macchina funziona piuttosto come metamorfosi
che come sostituzione o ricreazione, con un esito e un gusto chiaramente ironici. Con
una venatura ambigua, è stato notato, fra accettazione e riserva del nuovo mondo
meccanico: “Depero è portato al confronto uomo-macchina e a sottolineare
l’irriducibilità, o, se si vuole, l’inadeguatezza del primo rispetto alla seconda,
facendo ricorso alla deformazione in chiave grottesca”56. Di fatto la metamorfosi è
54
F.DEPERO, So I Think/So I Paint, New York, 1947, p.75. Tradotto da Raffaella Lotteri per l’editore Mutilati e
Invalidi, Trento, nel 1947
55
Vedi figura n.20, p. 103
56
F.MENNA, Il futurismo e le arti applicate. La Casa d’Arte Bragaglia, in Studi in onore di V.Viale, Torino, 1967,
p.83
68
possibile tra uomo e macchina in quanto identiche nei due mondi sono le leggi
compositive, gli armonici costitutivi. Ambedue rispondono a ragioni di fondo, che
restano fin lì occulte, a funzioni per dirla in termini meccanici, che la coerente
spettacolarizzazione del teatro svela tra stupore e fantastico.
Comunque la tendenza a distorcere e nascondere la figura umana non può essere
sempre equiparata alla meccanizzazione. Infatti Psicologia di macchine57 di Silvio
Mix, che Prampolini inscena a Milano nel 1923, anche se il titolo potrebbe suggerire
la meccanizzazione, in realtà prevede attori che indossano semplicemente delle
maschere primitive di legno. Anche se il riferimento alla macchina sembra chiaro in
altre parti dell’opera, l’uso delle maschere sembra giustificare il riferimento ad una
società completamente non tecnologica.
Tale considerazione, però, non nega che la meccanizzazione e la deformazione
sono state idee centrali per i costumi futuristi. Le qualità geometriche impersonali del
Cubismo sono state concretizzate in molti costumi che non distorcevano o rivestivano
rigidamente le figure. Essi rappresentavano, anche, la tendenza verso il non umano e
l’astratto.
Anche dopo gli anni Venti, i Futuristi continuano le loro sperimentazione nel
campo del design del costume teatrale. Assistiamo, però, ad un vero punto di svolta
nel 1944, quando Prampolini, riflettendo sui costumi degli attori nelle varie messe in
scena, pubblica uno scritto programmatico intitolato Del costume teatrale58.
Prampolini prende le distanze dalle sue teorie precedenti: l’attore viene reinserito sul
palcoscenico, diventando addirittura l’elemento portante della mise en scene.
La prospettiva peculiare di questo testo consiste nei presupposti teorici che ne
sono alla base: poiché il teatro è in sostanza spettacolo e quindi una rappresentazione
che si svolge nel tempo e nello spazio, esso si presenta essenzialmente come genere
visivo, da calare in un clima scenico specifico, il quale a sua volta prevede una netta
separazione tra l’attore e il pubblico; la vera e sola unità di misura drammatica è
costituita “dalla figura umana nella sua funzionalità scenica”, che in quanto tale
57
58
Vedi figure n.21-22, p. 104
E.PRAMPOLINI, Del costume teatrale, 1944. Cfr SINISI, Varietè, Prampolini e la scena…, cit, p91
69
determina la fondamentale importanza che per Prampolini assume nell’allestimento
dell’opera la problematica del costume teatrale, che ha la funzione di misurare e
rivestire l’interprete.
La funzione attribuita al costume è determinata dalla sua capacità a conferire al
simbolo umano un’espressione evocatrice in grado di dare vita e significato tanto a
ogni figura, quanto allo svolgimento complessivo dello spettacolo. Ecco perché, a
parere dell’autore, bisogna saper interpretare “le caratteristiche del singolo
personaggio, onde individuare chiaramente la dinamica esteriorizzante dell’attore e
della sua specifica funzione rappresentativa”
59
, per poi procedere alla creazione
artistica del suo abito. Il costumista dovrà possedere alcuni specifici requisiti, sia di
carattere introspettivo ed emozionale, quali una fantasia fertile e una capacità di una
sottile intuizione psicologica, sia di tipo tecnico-specifico, ossia la cultura storica e la
conoscenza dell’arte dell’abbigliamento. Ma allo stesso tempo non dovrà dimenticare
che le esigenze stilistiche sono tenute ad armonizzarsi con quelle legate alla
realizzazione dei prodotti e ad essere comunque subordinate ad alcuni principi di
riferimento: la consonanza con il soggetto della rappresentazione; la distinzione tra
opere musicali e in prosa; un rapporto di equilibrio tra costume e scena, tra
personaggio e ambiente; la consapevolezza di tutta una serie di condizionamenti
imposti dall’azione stessa e dai suoi interpreti, in modo tale da risolvere “il fatale
contrasto tra la visione artistica del figurino e l’esecuzione pratica del costume”60.
Prampolini consegna alle ultime battute del suo scritto i suoi criteri tecnicostilistici seguiti nella creazione dei modelli per le opere da lui rappresentate. Si tratta,
in prima istanza, di fare in modo che il taglio dell’abito riveli l’espressione del
personaggio, reso “tipo” proprio in virtù dei suoi caratteri esteriori. Secondariamente
è necessario conciliare ,nell’elaborazione di disegni e schizzi, in una sintesi
simultanea l’elemento geometrico con quello coloristico, l’uno concepito come
misura della proporzione umana e l’altro in qualità di espressione lirica della forma.
Inoltre tutti i particolari ornamentali dei costumi, gli accessori e i dettagli andranno
59
60
Ibidem
Ibidem
70
corredati da “un’equivalenza astratta, sia formale che coloristica”61, pur nel generale
rispetto delle loro caratteristiche specifiche spaziali e temporali. In ultima analisi
bisognerà trovare, attraverso l’accentuazione stilistica dei figurini, “la sintesi
nell’analisi e l’analisi nella sintesi”62, evidente ossimoro a cui l’autore consegna il
messaggio complessivo del suo testo programmatico.
Quest’ultimo, infatti, non mira tanto ad una riforma della vita quotidiana e delle
arti applicate, si configura come momento specifico di una più vasta e approfondita
indagine sul teatro, che da decenni occupava gli interessi dell’autore.
Essa si viene sempre più e sempre meglio delineando come un continuum
argomentativo, uno sviluppo critico, che nei suoi approfondimenti, e soprattutto nei
suoi momenti di stasi o di allontanamento dalle posizioni originarie esprime la
profonda vocazione ideologica-teorica della riflessione prampoliniana.
61
62
Ibidem, p.92
Ibidem
71
QUARTO CAPITOLO
L’EREDITA’ FUTURISTA
L’INFLUENZA DEL FUTURISMO NEL TEATRO DEL ‘900
Un bilancio del ruolo svolto dal teatro futurista nel rinnovamento scenico e
drammaturgico del nostro teatro e un’analisi della sua influenza, diretta e indiretta,
sull’avanguardia storica e sulla neo-avanguardia, possono essere solamente sommari
e provvisori in questa sede, dal momento che si tratta di una ricerca di una tale
importanza da meritare di essere trattata in un saggio a parte, e non certo di agile
formato. Qui mi limiterò ad accennare ai fili sottili e spesso nascosti che collegano la
rivoluzione teatrale futurista ad alcuni dei momenti principali del teatro del
Novecento; questo anche per la reale difficoltà di documentare legami tutt’altro che
definiti, o addirittura, volutamente negati.
Uno dei rischi maggiori, in questa circostanza, è quello di far risalire soluzioni e
invenzioni sceniche da altri adottati all’influenza del teatro futurista, senza essere in
grado di documentarla in maniera sicura. Ma ancor più grave è la tendenza a negare
o, addirittura, a ignorare il ruolo del teatro futurista nell’ambito della generale
rivoluzione drammatica del primo quarto del secolo.
Il dato più sconcertante, per ciò che riguarda il nostro teatro, è la pressoché totale
indifferenza degli studiosi, che si sono occupati di Pirandello, dei “grotteschi”, di
Bontempelli e di Rosso, nei confronti dell’esperienza teatrale dei futuristi, quasi che
questa non avesse mai avuto luogo e, soprattutto, non avesse preceduto o
accompagnato l’attività degli autori da essi presi in considerazione. Neppure il
drastico giudizio di Silvio D’Amico1 che dei futuristi ci si potesse dimenticare a
livello teatrale, può giustificare in alcun modo un silenzio, che può essere spiegato
solo con i pregiudizi ideologici che hanno pesato per molti anni su tutto il futurismo,
1
Cfr S.D’AMICO, Il teatro italiano (del Novecento), Milano-Roma, Treves, 1932
72
o con una certa difficoltà della nostra cultura ad assorbire la riscoperta del teatro
futurista operata da un gruppetto di studiosi di varia estrazione. Ancora oggi, dopo
anni dall’edizione del teatro di Marinetti, curata da Giovanni Calendoli 2, è assai facile
imbattersi in saggi di studiosi che ignorano totalmente il teatro futurista, pur
concentrando la loro analisi sul “nuovo” teatro dei primi anni del Novecento; e rari
sono coloro che hanno operato la necessaria operazione di aggiornamento3.
Così, nonostante gli sforzi di questi ultimi anni, il teatro futurista non ha ancora
conquistato da noi pieno diritto di cittadinanza e, di conseguenza, non gli sono stati
riconosciuti i meriti storici che gli sono propri; diversamente da ciò che è accaduto in
altri paesi come la Francia e gli Stati Uniti, grazie ai riconoscimenti critici di PaulLouis Mignon4, e di Michael Kirby5.
Il problema delle influenze del teatro futurista deve essere esaminato, per
chiarezza, sotto due punti di vista: in rapporto alla drammaturgia italiana dell’epoca,
e nei confronti delle altre avanguardie europee, dall’Espressionismo a Dada al teatro
russo post-rivoluzionario, e di riflesso alle ricerche più avanzate della neoavanguardia, soprattutto americana.
Il rapporto del teatro futurista con il “nuovo” teatro italiano è rivendicato dagli
stessi futuristi. Già nel Manifesto del Teatro della Sorpresa (1921), Marinetti e
Cangiullo dichiarano: “Se oggi esiste un giovane teatro italiano con miscele seriocomico-grottesche,
personaggi
irreali
in
ambienti
reali,
simultaneità
e
compenetrazioni di tempo e spazio, lo si deve al nostro Teatro Sintetico” 6. Il
riferimento, nella sua apparente genericità, è in realtà chiaro, e permette
l’individuazione di Pirandello, di Chiarelli, Cavacchioli (che è stato un poeta
futurista), Antonelli, Bontempelli, che si sono valsi di procedimenti teatrali del
genere. Tuttavia a Marinetti e ai suoi compagni preme soprattutto puntualizzare il
2
F.T.MARINETTI, Teatro, a cura di G.CALENDOLI,I, cit.
Giorgio Pullini è stato forse l’unico storico e critico di primo piano che ha intelligentemente recepito la riscoperta
specialistica del futurismo teatrale. Cfr la seconda edizione del suo fortunato Cinquant’anni di teatro in Italia con il
nuovo titolo Teatro italiano del Novecento,Bologna, Cappelli, 1971, pp.71-73
4
Cfr P.L.MIGNON, Le theatre contemporain, Paris, Hachette, 1969, pp. 246-247
5
Cfr M.KIRBY, Futurist performance, cit.
6
F.T.MARINETTI- CANGIULLO, Manifesto del Teatro della Sorpresa, cit
3
73
debito di Pirandello nei loro confronti: lo dimostra inequivocabilmente il Manifesto
del 1924, “Dopo il teatro sintetico e il teatro a sorpresa, noi inventiamo il teatro
antipsicologico astratto, di puri elementi e il teatro tattile”. In esso è dichiarato: “Il
pubblico che ora applaude il nuovo dramma di Pirandello, applaude anche la sua
trovata futurista che consiste nel far partecipare il pubblico all’azione del dramma. Il
pubblico si ricordi che questa trovata è dovuta ai futuristi. Il successo dei Sei
personaggi in cerca d’autore dimostra come il pubblico accetti con entusiasmo il
Futurismo nelle sue forme moderate”7.
Pirandello non ha confermato mai in nessun luogo l’influenza futurista sul suo
teatro, anche se, secondo alcuni futuristi, l’avrebbe più volte dichiarata a voce. Ad
ogni modo, ciò che più conta è che Pirandello ha effettivamente usato, inserendole in
un discorso scenico e poetico di ben altro rilievo, alcune delle intuizioni più
significative del teatro futurista quali la definitiva rottura del diaframma
palcoscenico-platea con l’azione scenica tra gli spettatori ( che Pirandello ha usato
con risultati straordinari nella trilogia del “teatro nel teatro”), la “simultaneità”, anche
se essa ha nel suo teatro aspetti diversi da quella futurista, la funzione magica,
irresistibilmente evocativa degli oggetti attraverso la luce, che è propria di alcune
delle migliori sintesi (Luci e soprattutto Vengono). Secondo lo stesso Marinetti8 , da
quest’ultima sintesi Pirandello avrebbe tratto lo spunto per la evocazione in scena del
personaggio di Madama Pace, la cui entrata sarebbe stata “imposta dalla presenza
stessa degli attaccapanni carichi di cappelli”.
In realtà, al di là degli altri possibili punti di contatto tra futurismo e teatro
pirandelliano, il dato più rilevante è più determinante del rapporto tra queste due
esperienze teatrali è costituito proprio dall’uso radicalmente nuovo dello spazio
teatrale, che i futuristi non solo avevano teorizzato fin dal Manifesto del Teatro di
Varietà, ma anche sperimentato concretamente nelle varie realizzazioni delle serate
alle Gallerie Sprovieri di Roma, di Napoli, e soprattutto nel Teatro Sintetico.
7
F.T.MARINETTI, Dopo il teatro sintetico e il teatro a sorpresa, noi inventiamo il teatro antipsicologico astratto
di puri elementi e il teatro tattile, in “Noi”,1924
8
Cfr F.T.MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, cit., p.CXX
74
Pirandello ha recepito completamente la rivoluzione dello spazio scenico tentata
dai futuristi, intuendo che essa avrebbe potuto essere determinante per il suo lavoro
drammaturgico che non si poneva, certamente, solo obiettivi di rinnovamento scenico
in senso programmatico. Il coinvolgimento fisico dello spettatore nell’azione teatrale
è, forse, la più decisiva scoperta in Italia del teatro futurista, e Pirandello ne ha colto
le grandi possibilità sceniche. L’abbandono del palcoscenico come luogo
predeterminato dell’azione teatrale e l’allargamento dello spettacolo a tutto lo spazio
dell’edificio teatrale diventano per Pirandello elementi espressivi dello scontro tra
realtà e finzione, tra verità e illusione. I rapporti regista-testo, parola-gesto, attorespettatore, che sono i grandi temi dibattuti dal Pirandello riformatore del linguaggio
scenico, acquistano, grazie alla nuova concezione dello spazio formulata dai futuristi,
aspetti del tutto inediti e non puramente e semplicemente spettacolari.
Restando ancora al discorso dello spazio scenico, è molto importante sottolineare
come Pirandello, nella premessa di Ciascuno a suo modo (1924), sembri riprendere il
concetto espresso dai futuristi nel Manifesto del Teatro della Sorpresa che lo spazio
della rappresentazione può uscire dai confini dello stesso edificio teatrale. Alcune
serate del Teatro della Sorpresa, d’altra parte, hanno realizzato di fatto l’intuizione
della sorpresa, che finiva per coinvolgere gli spettatori anche al di fuori del teatro,
come è accaduto in occasione dello spettacolo del 1921 al Salone Margherita di
Roma. Pirandello scrive: “La rappresentazione di questa commedia dovrebbe
cominciare sulla strada, o più propriamente, sullo spiazzo davanti al teatro, con
l’annunzio e la vendita di un Giornale della sera composto su un foglio volante sul
quale a grossi caratteri e bene in vista, nel mezzo, fosse inserita questa indiscrezione
nell’esemplare stile giornalistico: IL SUICIDIO DELLO SCULTORE LA VELA E LO
SPETTACOLO DI QUESTA SERA AL TEATRO . . . (nome del teatro)”. Ma egli va
ancora più avanti su questa strada, quando aggiunge che oltre agli attori-strilloni,
anche l’attrice Amelia Moreno si troverà presso il botteghino, alla ricerca di un
biglietto per assistere al suo dramma, invano sconsigliata da tre attori-signori in
smoking. Un altro espediente del genere sarà l’entrata in teatro dell’attore-barone
75
Nuti in mezzo agli altri veri spettatori col viso stravolto e il corpo tutto un fremito.
Qui siamo indiscutibilmente in presenza di una diretta influenza futurista a meno che
non si ritenga casuale non solo quest’uso dello spazio teatrale, ma anche l’effetto di
sorpresa sugli spettatori che stanno entrando, su cui insiste particolarmente
Pirandello, sottolineando due volte, appunto, il concetto di sorpresa.
Per concludere questi accenni al rapporto teatro futurista-Pirandello, il fatto più
sorprendente è che gli studi più esaurienti e più acuti sul teatro pirandelliano ignorano
completamente il problema. Così la più intelligente indicazione degli elementi
futuristi presenti in Pirandello la dobbiamo ad un regista, Luigi Squarzina che, nella
scenografia della sua realizzazione di Questa sera si recita a soggetto, ha suggerito
allo scenografo Gianfranco Padovani un’ambientazione dichiaratamente ispirata alla
lezione figurativa di Balla, di Prampolini e del secondo futurismo.
Il rapporto futurismo-Pirandello implica necessariamente una breve analisi degli
eventuali legami del teatro futurista con gli autori più significativi del cosiddetto
teatro “grottesco” e con una personalità ben più definita come Massimo Bontempelli.
Qui il discorso diventa più complesso, da una parte, e più semplice, dall’altra; perché
quelle che sono le caratteristiche più vistose della drammaturgia “grottesca” sono
presenti in tutto un filone del Teatro Sintetico, ma è anche vero che si tratta di due
esperienze teatrali molto diverse, soprattutto nei risultati che si propongono. Oggi, in
una prospettiva critica mutata, il successo raggiunto dai “grotteschi” negli anni in cui
i futuristi si trovano a combattere le loro più difficili battaglie teatrali si spiega molto
facilmente proprio con la diversità degli obiettivi che essi vogliono conseguire: un
moderato, ma scaltro riformismo i “grotteschi”; una rivoluzione totale, definitiva i
futuristi. Quella che sembra la novità di contenuto, se non di forma, in quegli anni,
del “grottesco” è, in realtà, frutto di un equivoco critico, nato dall’incapacità di
intuire i veri valori teatrali e poetici e dalla ingiustificata fiducia in una drammaturgia
che aspira solo a sfruttare artigianalmente la carica espressiva di temi che sono
nell’aria, e che trovano in essi una trascrizione ben più rassicurante che in Pirandello
e nei futuristi.
76
Più complessa è la situazione del teatro di Bontempelli nei confronti
dell’esperienza scenica futurista, che l’attento studioso di Bontempelli, il Baldacci 9,
ha solo sfiorato nelle pur acute pagine del suo teatro. E’ indiscutibile che forse mai,
come sul palcoscenico, Bontempelli assimilò tante suggestioni del futurismo, ed è
sorprendente che il Baldacci si sia limitato ad affermare: “Se Bontempelli traeva un
vitale incitamento dall’esempio di Pirandello, tentava d’altra parte di sottrarsi a
qualsiasi precisa sudditanza: a costo di rientrare nel clima arido e “sintetista” del
vecchi futurismo perché il futurismo oltre ad essere un movimento storicamente
datato, riuscì ad istituire quel gusto dell’astratto e del geometrico, del meccanico e
del disumano, di cui “Nostra Dea” risente nelle intime fibre”10.
L’individuazione del futurismo di Nostra Dea, colto dal Baldacci molto bene nelle
sue suggestive componenti, non ha, infatti, alcun riscontro nella sua analisi dei testi
teatrali bontempelliani precedenti, che pure possono offrirgli altri utili elementi di
paragone. Soprattutto La guardia alla luna è un’opera in cui l’influenza futurista è
particolarmente visibile nell’ardita struttura scenica, nel rilievo dato alla scenografia,
nella concisione di taluni dialoghi. Il suo linguaggio scenico rimanda al Teatro
Sintetico, al di là della stessa citazione, sottolineata dal Calendoli, di battute
inequivocabilmente futuriste come: “Vedo avanzarsi dal fondo di quell’intestino
un’interrogazione- maschio che forse combacerà con te, vuoi con un coltello, vuoi
con qualche altro argomento meno sanguinario”11.
Se è possibile una conclusione, necessariamente provvisoria, il teatro futurista,
pur con tutti i limiti delle sue rappresentazioni, ha giocato un ruolo di primo piano
nello scardinare le vecchie ma ancora salde strutture del teatro italiano ottocentesco e
nell’aprire la strada soprattutto alla decisiva rivoluzione di Luigi Pirandello, al quale i
futuristi hanno lasciato in eredità un patrimonio prezioso, formato non solo di
fondamentali intuizioni sceniche, espresse nei loro manifesti, e spesso anche
realizzate, ma di un nuovo modo di concepire il rapporto tra il testo teatrale e lo
9
Cfr L.BALDACCI, Massimo Bontempelli, Torino, Borla, 1967
Ibidem, p.118
11
M.BONTEMPELLI, Teatro, Milano, Mondadori, 1947, I, p.30
10
77
spettacolo. Pirandello è il primo autore che ha intuito l’importanza dell’esperienza
teatrale dei futuristi; esperienza che, grazie all’apporto dei Balla, dei Prampolini, dei
Depero per la scenografia, dei Russolo, dei Mix per il suono, degli stessi Marinetti,
Corra , Settimelli, Cangiullo, animatori preziosi degli spettacoli, crea una nuova
concezione dello spettacolo come rapporto tra parola, luce, immagine e suono che, in
Italia, era pressoché sconosciuta.
Per quanto riguarda i rapporti del teatro futurista con le altre avanguardie europee
è difficile farsene un’idea. Questo è dovuto al fatto che gli specialisti del teatro
francese e tedesco completamente immersi negli intenti celebrativi non hanno mai
menzionato l’influenza del teatro futurista. Infatti lo sciovinismo tipico della cultura
francese ha fatto tabula rasa del nostro futurismo scenico, cancellandolo addirittura
dal panorama del teatro d’avanguardia.
L’unico terreno in cui l’influenza del teatro futurista è stata accertata chiaramente
è quello russo, in cui dopo un lungo periodo la versione ufficiale, accreditata dagli
stessi futuristi russi12, si afferma che si è trattato di due movimenti completamente
diversi, anche se avevano avuto necessariamente qualche punto in comune.
Il primo studioso ad aprire la breccia in questa versione improbabile è, fin dal
1959, Angelo Maria Ripellino, che nel suo saggio dedicato a Majakovskij e al teatro
russo d’avanguardia, riserva varie pagine alla derivazione futurista di certe soluzioni
sperimentate da uomini di spettacolo di talento come Jurij Annenkov, di Sergej
Radlov, della celebre coppia della “Fabbrica dell’attore eccentrico”, Kozincov e
Trauberg, di Sergej Jutkevic, di Igor Terent’ev, di Foregger e Ferdinandov e del
grande Sergej Ejzenstejn. “Non è difficile accorgersi che gli esperimenti
dell’avanguardia russa dopo la rivoluzione misero in atto- scriveva Ripellino13- le
teorie enunciate da Marinetti nel manifesto del 21 novembre 1913 sul teatro da caffèconcerto e in quello dell’11 gennaio 1915 sul Teatro Sintetico. Nelle formule
marinettiane trovarono soprattutto appiglio i registi più giovani, desiderosi di dar
12
Cfr il volume autobiografico, pubblicato a Leningrado nel 1933, di B.LIVSIC, L’arciere dall’occhio e mezzo,
trad.it., Bari, Laterza, 1968, che esclude qualsiasi influenza a qualsiasi livello (anche teatrale, quindi) dei futurisi italiani
sui russi.
13
A.M.RIPELLINO, Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, Torino, Einaudi, 1959, p.147
78
vita a spettacoli non oggettivi, fondati sull’eccentrismo e sul puro movimento”. I
palcoscenici russi d’avanguardia diventano così il più straordinario luogo di
sperimentazione delle idee teatrali di Marinetti. Il Ripellino sottolinea specialmente la
spregiudicata realizzazione del “Matrimonio” di Gogol ad opera di Kozincov e
Trauberg come un collage di numeri di varietà: “Nel loro spartito- egli scrive14- le
bizzarrie s’incollavano l’una all’altra a casaccio,come i frammenti di materiali
diversi nella Merz Malerei di Kurt Schwitters. Trappole da Grand-Guignol, entrees
di clown, enigmi da romanzo poliziesco, esercizi di giocolerie, canzonette da caffè
concerto, “gags” della farsa “slap-stick”, burle di trasformisti, esibizioni di
charleston conferirono al Felix Music Hall l’apparenza di un vertiginoso
caleidoscopio”.
Ma ancora più avanti nella realizzazione di certe intuizioni teatrali di Marinetti va
Ejzenstejn, il quale nel suo rifacimento della commedia di Ostrovskij, “Anche il più
saggio ci casca”, rappresentata nel 1923, mise in atto quella “distruzione futurista dei
capolavori immortali, plagiandoli, parodiandoli, presentandoli alla buona, senza
apparato e senza compunzione, come un qualsiasi numero d’attrazione”, affermata
da Marinetti nel Manifesto del Teatro di Varietà, scomponendo il testo in una serie di
funamboliche attrazione, che si svolsero ( per eliminare la frattura palcoscenicoplatea) in una specie di pista da circo, dove gli interpreti erano a contatto stretto con il
pubblico. Lo spettacolo si conclude con un ulteriore richiamo a “Il teatro di Varietà”
( Marinetti aveva proposto di mettere della colla su alcune poltrone o di cospargere le
poltrone di una polvere che desse prurito o facesse starnutire), con l’esplosione sotto
le sedie degli spettatori di alcuni petardi.
Il ruolo giocato dalle idee del nostro teatro futurista in alcuni degli spettacoli più
interessanti dell’avanguardia russa, non esaurisce il problema dei rapporti futurismo
italiano-teatro russo, dal momento che lo stesso Ripellino, in un suo saggio15
successivo, suggerisce l’ipotesi che Marinetti si sia ispirato per il Manifesto del
Teatro Sintetico ad alcuni esperimenti del maggior uomo di teatro russo del tempo,
14
15
Ibidem, p.152
A.M.RIPELLINO, Il trucco e l’anima, Torino, Einaudi, 1965, pp.167-168
79
Mejerchol’d, esperimenti ai quali ha assistito in occasione del suo viaggio in Russia
del gennaio-febbraio 1914. Però la concezione della sintesi è già presente nel
Manifesto del Teatro di Varietà, pubblicato per la prima volta su “Lacerba”(1 ottobre
1913), ma anche perché la sua formulazione è già in “nuce” nel Manifesto dei
Drammaturghi Futuristi.
L’ipotesi più verosimile è che Marinetti e Mejerchol’d hanno elaborato il concetto
di “sintesi” teatrale in maniera del tutto personale, senza essere a conoscenza l’uno
dell’altro delle comuni ricerche. Anche perché tra Marinetti e Mejerchol’d esiste un
altro obiettivo importante ricercato autonomamente: il coinvolgimento del pubblico
nello spettacolo.
Mejerchol’d già nel 1910, quindi prima di Marinetti, in uno
spettacolo realizzato al cabaret “La Casa degli Intermezzi” di Pietroburgo, volle
“coinvolgere il pubblico nella vicenda, cancellando il confine tra platea e
palcoscenico. In un episodio l’intero episodio rappresentava una bettola, e una
ballerina, esibendosi sul tavolo della platea, gareggiava con una mima danzante sul
palcoscenico. In un altro un acceso fondale oro-sangue e un crescendo di schianti
suggerivano l’avvicinarsi di una tempesta di fuoco. Trafelato appariva un guerriero
a narrare le sorti della battaglia. Ma, infittendo le denotazioni, spaurito, ruzzolava in
platea, per nascondersi tra le gambe di un tavolino. Ripreso fiato sporgeva la testa,
ma nuovi rimbombi lo snidavano anche da questo riparo, e se la svignava nel ridotto,
gridando “Si salvi chi può”16.
Tutto da scrivere è, invece, il capitolo futurismo-espressionismo nei suoi rapporti
teatrali, anche se non sono mancati gli studiosi che vi hanno fatto riferimento.
Possiamo in questa sede riferire che un debito dell’Espressionismo nei confronti del
futurismo è molto controverso. All’affermazione del critico Alberto Spaini, che
ricollega il teatro di Walden al Teatro Sintetico e la drammaturgia di Sternheim alle
teorie di Marinetti , si contrappone la negazione di Lavinia Mazzucchetti e di Paolo
Chiarini. Lo Spaini scrive addirittura: “Il capolavoro del Teatro Sintetico è nato
senza dubbio sotto la Watermann di Walden. Ma diciamo anche che Sternheim deve
16
Ibidem, pp.148-149
80
molto del suo successo all’avere saputo applicare in un campo infinitamente più
vasto, e con abilità sorprendente, con una certa profondità filosofica, le teorie del
nostro Marinetti. Il bravo tedesco ha meditato a lungo gli insegnamenti dell’italiano,
se li è appropriati, li ha sviluppati ed estesi”17. La Mazzucchetti, invece, esaminando
il problema in un ambito più generale, afferma: “Prescindendo anche da altre
dissomiglianze profonde, non si dimentichi che il movimento italiano ha avuto eco
quasi soltanto nei riguardi delle arti plastiche e che comunque lo sviluppo letterario
tedesco nella sua essenza non ne dipende affatto”18. Ben più equilibrata è la
posizione
del
Chiarini,
che
pur
nella
sottolineature
dell’autonomia
dell’Espressionismo tedesco, non manca di rilevare le affinità di alcuni espressionisti
con il nostro futurismo. Egli ricorda, in particolare, il gruppo raccolto intorno a
Walden e alla sua celebre rivista “Der Sturm”, l’esperienza teatrale di August
Stramm, che paragona al Teatro Sintetico, e più in generale l’uso da parte degli
espressionisti della “simultaneità”19. Ma non dimentica neppure Christian
Morgenstern, autore e poeta tra i più interessanti in quegli anni, di cui cita il bozzetto
drammatico “Das Neue Preislied” come esemplare della sua capacità in chiave
parodistica di “stringere in pochi minuti, in poche parole, in pochi gesti,
innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli in un teatro nato
dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione come chiedono i futuristi nel loro
manifesto del 1915”20.
Il rapporto teatro futurista-teatro espressionista deve essere misurato non certo sul
piano dei contenuti, ma su quello della novità del linguaggio teatrale e della messa in
scena. Qui certe singolari concordanze saltano agli occhi; ma è necessaria
un’accurata analisi degli spettacoli espressionisti e di quelli futuristi per dimostrare se
alcune soluzioni comuni sono frutto di influenze dirette. Una strada da seguire
potrebbe essere quella indicata dallo Szondi a proposito di Brecht: “E per lo
straniamento degli spettatori, Brecht ( seguendo in ciò i futuristi) propone che essi
17
A.SPAINI, Il teatro Tedesco, nuova ed., Milano, Garzanti, 1943, pp.164 e 170
L.MAZZUCCHETTI, Il nuovo secolo della poesia tedesca, Bologna, Zanichelli, 1926, p.40
19
P.CHIARINI, Il teatro Tedesco espressionista, Bologna, Cappelli, 1959, pp.25-27
20
Ibidem, pp.46-47
18
81
assistano allo spettacolo fumando”21, solo se si consideri la posizione di Brecht nei
confronti dell’espressionismo, di cui egli è stato indubbiamente partecipe, prima di
contestarlo e di superarlo.
Ma incontriamo molte più difficoltà nell’analizzare i rapporti tra il futurismo e il
dadaismo. Le particolari caratteristiche di Dada, le sue diverse fasi, da quella
zurighese che ne segna l’inizio a quella parigina che ne rappresenta l’esaurimento, la
convivenza nel movimento delle personalità e degli indirizzi più diversi, rendono
difficile la sottolineatura degli elementi futuristi esistenti in Dada.
Maurizio Fagiolo Dell’arco è lo studioso italiano che più di tutti ha puntualizzato
la questione, risolvendola a favore della precisa influenza del nostro futurismo. Si è
fermato, in particolare, sulle serate delle Gallerie Sprovieri, che rappresentano
un’anticipazione degli spettacoli del Cabaret Voltaire. Si può dire che le serate del
Cabaret Voltaire hanno assimilato dalle serate futuriste la loro caratteristica più
significativa: la provocazione, espressa attraverso un gesto che si fa spettacolo totale.
“Il Futurismo- ha osservato lo stesso Fagiolo Dell’Arco22- è il primo movimento che
va a cercare uno sfocio non sulla tela ma sulla scena e nella vita ( la serata futurista
precorre in questo senso il cabaret Dada)”. Ma al di là di questo modo comune di
concepire l’arte, ciò che più colpisce in Ball, e soprattutto in Tzara, è il loro uso di
tecniche di provocazione già sperimentate con successo da Marinetti e dai suoi
compagni, la scaltra utilizzazione scenica della “simultaneità”, del nonsense, del
linguaggio inventato, del rumore, della “mascherata”. A rileggere la “Cronique
zurichoise” di Tzara, si ha, infatti, la sensazione di assistere ad una serata futurista
con la sua atmosfera da baraccone e da circo, in cui scoppiano impazziti i suoni
onomatopeici, la “simultaneità” in tutte le applicazioni possibili conosce i suoi
maggiori trionfi, il gesto corrosivo e dissacrante ha l’occasione di esprimersi in tutta
la sua significatività. “Danza cubista costumi di Janco- ricorda Tzara23- ognuno con
21
P.SZONDI, Teoria del dramma moderno, trad.it., Torino, Einaudi, 1972, seconda ed., p.101
M.FAGIOLO DELL’ARCO, Futur-Balla, in “Metro”, n.13, p.54, ora in G.BARTOLUCCI, Il gesto futurista,
cit., p.135
23
Cfr G.HUGNET, L’avventura Dada, tra.it., Milano, Mondadori, 1972, p.373. La cronaca di Tzara è tratta
dall’ampia antologia di documenti dada che formano la seconda parte del volume di Hugnet.
22
82
la sua grancassa sulla testa, rumori, musica negra / trabatgea bonooooo oooooo / 5
esperienze letterarie: Tzara in frac spiega davanti al sipario, secco sobrio per gli
animali, la nuova estetica: poema ginnastico, concerto di vocali, poema rumorista,
poema statico, arrangiamento chimico delle nozioni, Biribum biribum saust del Ochs
im Kreis herum, poema di vocali aao, ieo, aii, nuova interpretazione la follia
soggettiva delle arterie la danza del cuore sugli incendi e l’acrobazia degli
spettatori. Nuove grida, la grancassa, piano e cannoni impotenti, ci si lacera i
costumi di cartone il pubblico si getta nella febbre puerperale interromperrre. I
giornali scontenti poema simulataneo a quattro voci più simultaneo a 300 idiotizzati
definiti”.
Possiamo quindi concludere la trattazione dei rapporti tra Dada e futurismo
sottolineando che alcune delle principali caratteristiche del dadaismo teatrale, quali la
sorpresa, la rottura del diaframma attore-spettatore e palcoscenico-platea, la
frantumazione del linguaggio in una serie di puri suoni, la particolare condizione
dell’attore-autore-animatore sono tutti problemi che il nostro futurismo ha affrontato
non solo a livello teorico, ma anche realizzativo.
Questo rapido panorama dei rapporti del teatro futurista con le avanguardie teatrali
non ha alcuna pretesa di completezza, ma mira soltanto a sottolineare le più
significative e documentabili influenze futuriste o a suggerire le ipotesi più attendibili
sulla sorprendente affinità di talune ricerche e soluzioni sceniche. Altrettanto utile,
per esempio, potrebbe essere l’analisi dell’influsso di Balla e Depero sul
rinnovamento scenografico promosso dai Balletti Russi di Diaghilev, e non minore
interesse avrebbe uno studio di ciò che ha rappresentato la rivoluzione futurista sulle
scene cecoslovacche degli anni Venti, quando è stato rappresentato uno spettacolo di
sintesi, Il tamburo di fuoco di Marinetti e La rinascita dello spirito di Prampolini. La
riscoperta teatrale più interessante dell’avanguardia storica, maturata in questi ultimi
anni, la drammaturgia del polacco Stanislaw Ignacy Witkiewicz risente in qualche
83
modo dell’influenza futurista. E il discorso potrebbe continuare a lungo 24 perché si
tratta di capitoli che sono tutti da scrivere e che potrebbero, forse, modificare
sostanzialmente quella che è l’attuale mappa del teatro delle avanguardie storiche e
dei loro reciproci rapporti.
Qui, invece, per concludere, può essere più stimolante accennare al recupero,
tentato da alcuni dei teorici più spregiudicati delle scene americane avanguardiste
quali Michael Kirby e Richard Schechner, del discorso sullo spazio scenico di
Marinetti, e soprattutto, ad uno spettacolo ormai consacrato come una delle punte
delle ricerche teatrali del secondo Novecento quale L’Orlando Furioso di Sanguineti
e Ronconi, i cui debiti nei confronti del teatro futurista sono ben superiori allo stesso
determinante uso della “simultaneità”.
E’ noto quale ruolo giochi nell’happening e nell’environment lo spazio in cui si
svolge l’evento teatrale: “tutto lo spazio è dedicato alla rappresentazione; tutto lo
spazio è dedicato al pubblico”, afferma Schechner25. Da questo concetto discende
una serie di importanti modifiche : “Una volta eliminati i posti a sedere fissi e la
divisione dello spazio, diventano possibili rapporti completamente nuovi. Possono
verificarsi contatti corporali tra attori e spettatori; possono variare il livello delle
voci e l’intensità della recitazione; può prodursi la sensazione di partecipare ad
un’esperienza comune; e, cosa più importante, ogni scena può creare uno spazio
proprio, sia contraendosi in un’area limitata, sia espandendosi fino a riempire tutto
l’ambiente disponibile. L’azione in questo caso “respira” e il pubblico diventa uno
degli elementi scenici più importanti”26.
La scarsa conoscenza negli anni Sessanta del futurismo teatrale negli Stati Uniti è
stata all’origine della sottovalutazione del ruolo di Marinetti come fonte importante di
queste ricerche, tanto che un peso ben maggiore è stato accordato a Dada, a Frederick
24
A titolo solo informative, si può ricordare ancora la rivendicazione da parte di Marinetti delle più suggestive
invenzioni sceniche del teatro di Thornton Wilder.
25
R. SCHECHNER, La cavità teatrale, trad.it., Bari , De Donato, 1968, p.39
26
Ibidem, p. 42
84
Kiesler e alla Bauhaus, anche se né Kirby né Schechner hanno completamento
ignorato i futuristi27.
Infatti, successivamente, proprio il maggiore studioso degli happenings, Michael
Kirby, finisce per stabilire la realtà storica, dichiarando che gli happenings hanno in
gran parte la loro origine nello spettacolo futurista28, e tutto il suo saggio, Futurist
Performance , è un autorevole riconoscimento, a tutti i livelli, della centralità delle
esperienze sceniche dei futuristi, particolarmente nella definizione di uno spazio
teatrale completamente diverso da quello tradizionale.
L’Orlando Furioso di Edoardo Sanguineti e Luca Ronconi è lo spettacolo più
significante per concludere il discorso; infatti è, forse, l’unico spettacolo in cui si
possono rintracciare l’influenza diretta del futurismo e quella indiretta, attraverso le
esperienze, appena citate, dell’environmental theatre e dell’happening. Se, tuttavia, la
nostra critica non ha mancato di rilevare i riferimenti dell’Orlando al teatro
americano, essa ha dimenticato, sia per ignoranza del futurismo teatrale che per il
proposito di non essere sgradita agli autori (i quali, dal canto loro, hanno negato
qualsiasi debito nei confronti di chiunque29, avallando l’idea di uno spettacolo nato
miracolosamente, per germinazione spontanea),
di sottolineare la derivazione
futurista del centro motore dell’intero spettacolo, la “simultaneità”, vero e proprio
deus ex machina dell’azione scenica.
Quest’evasività assoluta dei critici italiani è dovuta anche al fatto che per lungo
tempo non hanno saputo di un documento, che forse li avrebbe costretti ad un
atteggiamento meno apologetico e più costruttivo: la lettura di Marinetti dell’Orlando
furioso in chiave futurista. E’ un documento di grande interesse perché anticipa
sorprendentemente alcuni degli aspetti più caratterizzanti dell’Orlando furioso di
Sanguineti-Ronconi. In esso (una vera e propria “lettura” futurista del poema
27
Kirby aveva accennato alla “simultaneità” come a un concetto futurista e aveva ricordato L’arte dei rumori di
Russolo (cfr M.KIRBY, Happening, trad.it., Bari, De Donato, 1968, pp. 42 e 52); Schechner indicava come fonte della
storia dell’environment anche i futuristi italiani, accanto ai costruttivisti russi.
28
M.KIRBY, Futurist Performance, cit., pp.7-8
29
Cfr Un teatro dell’ironia (a colloquio con Luca Ronconi e Edoardo Sanguineti) in SANGUINETI-RONCONI,
Orlando furioso, a cura di G.Bartolucci, Roma, Bulzoni, 1970, pp. 13-23: è un’intervista già pubblicata in “Sipario”,
XXIV (1969) , 278-279.
85
dell’Ariosto, tenuta da Marinetti sulle mura degli Angeli di Ferrara il 7 luglio 1942)30
tutti i principali temi che sono al centro dello spettacolo, la “simultaneità”,
l’aggressione, il dinamismo, trovano un’elaborazione particolarmente felice da parte
di Marinetti, anche se la sua interpretazione non è in funzione di un evento teatrale..
Al di là della stessa “simultaneità” ciò che più colpisce nella lettura di Marinetti è
l’insistenza sui concetti di “velocità”, “aggressività”, “instancabilità”, tanto ben
realizzati da Ronconi nel dinamismo e nella spregiudicatezza del gioco degli
interpreti e, la particolare sottolineatura di ciò che Marinetti stesso chiama “il senso
aviatorio”, il movimento aereo dei destrieri alati, dell’ippogrifo, risolto da Ronconi e
dallo scenografo Bertacca con il ricorso a macchine “magiche” nella loro semplicità,
librate in uno spazio scenico del tutto inusitato: una singolare realizzazione
dell’aspirazione futurista alla sorpresa e allo stupore.
L’Orlando furioso di Sanguineti-Ronconi, confrontato con quello di Marinetti,
appare come il miglior frutto prodotto, a distanza di mezzo secolo, dalle intuizioni
dell’unica avanguardia italiana. Ciò che conta non è rilevare se Sanguineti, da quel
fine lettore del futurismo qual è, conosca o meno le pagine di Marinetti e da esse
prenda l’idea dello spettacolo, quanto sottolineare il significato storico dell’intera
operazione scenica dell’Orlando furioso come espressione della vitalità e della
“contemporaneità” del futurismo teatrale.
30
Cfr F.T.MARINETTI, Una lezione di futurismo tratta dall’Orlando furioso, in AA.VV., L’ottava d’oro, Milano,
Mondadori, 1933, pp. 617-624
86
CONCLUSIONI
Dopo l’exursus compiuto, nei limiti indicati, attraverso la scena italiana del tempo
futurista, possiamo trarre qualche conclusione sulla contestazione teatrale operata dai
futuristi.
Si comincia contro il verso, la ricostruzione storica, la cornice scenica passatista, il
luogo comune, il teatro d’attore, il successo, per sostenere il verso libero, l’autore,
l’originalità assoluta, l’insuccesso, il rispecchiamento della vita contemporanea nel
dinamismo e nel macchinismo.
Si distrugge il sacro, il solenne, il sublime, l’accademico per privilegiare l’ingenuo, il
primitivo, il dissacrante, l’imprevisto.
Sono combattute la prolissità, l’analisi e la lungaggine preparatoria in favore della
sintesi, la tecnica in favore dell’inverosimile, dell’assurdo, dell’irrazionale, del “salto
nel vuoto”. I drammaturghi futuristi non mirano, d’altronde, al capolavoro
premeditato e costruito a forza di applicazione: improvvisano, obbediscono
all’istinto. Simultaneità, fulmineità, compenetrazione, dinamismo, diventano i veri
obiettivi del teatro, come di tutta l’arte futurista: autonomia, illogicità, irrealtà,
subcosciente, astrazione, cerebralismo e fantasia pura.
La barriera palcoscenico-platea viene spezzata e gli spettatori partecipano alle
rappresentazioni; gli attori scendono tra il pubblico. Ogni atteggiamento formale
viene abolito: ceste di ortaggi e frutta vengono lanciate dagli spettatori agli attori per
mostrare il loro dissenso nei confronti delle parole rivoluzionarie futuriste. Colpire il
pubblico diventa l’unico vero obiettivo, ed è per questo che i “generi” tradizionali si
spregiano e si creano nuove forme teatrali, che spiazzano gli uomini del primo
Novecento (sensazioni sceneggiate, vetrine, drammi d’oggetti,ecc.).
Cinematografo e teatro si influenzano reciprocamente, e il teatro, come sostiene
Bragaglia, fa teatralmente del cinematografo. Il Teatro della Sorpresa valorizza la
trovata, fino a farla diventare teatro assoluto, atto-attimo.
87
Per quanto riguarda la rivoluzione scenografica, assistiamo ad uno sviluppo
progressivo delle idee rivoluzionarie: prima la scenosintesi, poi la scenoplastica, per
arrivare, quindi, alla scenodinamica. Si può obiettare, qui, che la rivoluzione è già
stata iniziata da Gordon Craig e da Adolphe Appia: partendo da premesse diverse,
nondimeno, Craig arriva, fin dal 1896, ad una stilizzazione, secondo il motivo
interiore animante il dramma da rappresentare, facendo appello alla grandiosità, alla
semplicità, alla stilizzazione, non attingendo alla lontana esperienza ellenica e preellenica. Appia cerca la stilizzazione secondo una realtà di piani, angoli, linee, la
direzione ascensionale, e parte dal concetto di musicalità. Non è dunque, la loro, una
rivoluzione completa, per la quale operano interamente, invece, i futuristi.
Come Craig, anche Prampolini e Depero si oppongono all’attore uomo, ma questi
viene trasformato in automa meccanico, un robot, che si fa portavoce del presente
dinamico e tecnologico.
La sinteticità, la fisicofollia e il gusto per una scena sfuggente sembrano essere le
perfette premesse per una nuova forma di teatro, che passando attraverso Pirandello,
i “grotteschi”, le avanguardie europee, giunge alla sua piena realizzazione negli anni
Sessanta, acquisendo una nuova definizione: la performance.
Possiamo, quindi, concludere sottolineando il merito che bisogna riconoscere al
teatro futurista di aver soddisfatto la sete rivoluzionaria degli uomini del Novecento,
che non riconoscono più l’arte come realtà altra e metafisica, ma le danno il valore di
vita, vita presente inscatolata nello spazio chiuso di un teatro. Quindi, di nuovo,
teatro=vita, vita=teatro.
88
89
Scarica