FACOLTÀ DI SCIENZE UMANISTICHE Corso di Laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo Tesi di Laurea TEATRO FUTURISTA: SINTETICITA’, FISICOFOLLIA E GUSTO PER IL PITTORESCO SFUGGENTE Relatore: Prof.ssa Aleksandra Jovicevic Anno Accademico 2010-2011 Candidata: Laura Vaddinelli Matr. 1208766 INDICE Indice……………………………………………………………………. 1 Introduzione……………………………………………………………....2 PRIMO CAPITOLO: DALLA TEORESI ALLA PRATICA La rivoluzione delle sintesi futuriste………………………………….5 Le sintesi in scena……………………………………………………13 I topoi della drammaturgia futurista…………………………………17 SECONDO CAPITOLO: DALLA SCENA ALLA PLATEA Fisicofollia: un nuovo rapporto tra scena e pubblico……………… 27 La scena: il nuovo personaggio futurista……………………………34 TERZO CAPITOLO: UN TEATRO PER GLI OCCHI La “scenotecnica” futurista………………………………………….41 La “meccanizzazione” dell‟uomo…………………………………. 61 QUARTO CAPITOLO: L‟EREDITA‟ FUTURISTA L‟influenza del Futurismo nel teatro del „900…………………….. 72 Conclusioni…………………………………………………………… 87 Immagini………………………………………………………………. 89 Bibliografia……………………………………………………………105 1 1 INTRODUZIONE Indagare gli apporti forniti dal primo e più importante movimento d’avanguardia italiano al settore teatrale significa dare un contributo alla storia del Futurismo che non sia una mera cronologia dei fatti estrinseci, ma storia delle idee, delle teorie letterarie, delle dichiarazioni di poetica, attraverso l’approfondita analisi dei testi che Marinetti e seguaci hanno prodotto durante gli anni di vita del gruppo, che, nato nel 1909, concluse la sua parabola evolutiva solo nel 1944 con la morte del suo fondatore. Un corretto studio critico della riforma della disciplina non può prescindere dai fondamentali rivolgimenti storico-sociali, che il movimento ha attraversato durante la sua parabola esistenziale e che ne hanno mutato profondamente non solo e non tanto l’ideologia generale, quanto soprattutto le tematiche affrontate e le modalità espressive scelte per veicolarle. Basti pensare alle posizioni assunte da Marinetti e compagni nei confronti della guerra, prima e dopo l’esperienza del conflitto mondiale: se dapprima viene considerato necessario per la funzione igienizzante e rigeneratrice sul mondo, in seguito tale polemologia si stempera e trasferisce le sue istanze propulsive e positive in ambito puramente estetico. E il teatro non rimane immune da un tale cambiamento di sensibilità e prospettive, dal momento che i membri del gruppo lo giudicano come il settore artistico dotato di una più diretta capacità di presa sul pubblico. Bruciate le accademie, le biblioteche, i musei, chiuse le scuole e demistificato l’oggetto-libro, l’arte scenica diventa il genere comunicativo per eccellenza: ad essa si consegnano espliciti messaggi politici di interventismo e di esaltazione della lotta, almeno in un primo periodo, salvo poi, dagli anni Venti, mutarli in ideali di esclusivo valore estetico. Gli studi critici sul teatro futurista, che ad oggi possediamo, hanno impostato la loro ricerca su linee generali. In tal senso esistono diversi repertori, che pur facendo 2 riferimento ai manifesti generali che hanno definito la riforma in questo settore, la inseriscono nel più ampio quadro della rivoluzione estetica avanguardistica. Un altro aspetto di molti studi della drammatica futurista è di averne considerato esclusivamente la matrice esterna, spettacolare, che nonostante sia il fiore all’occhiello della teatralità futurista,resta un punto di osservazione parziale e limitato, se non viene corredato da un preventivo studio dei presupposti teorici dell’effettiva messa in scena. Perciò quello che ho cercato di compiere in questa sede è un esame dettagliato dei proclami, manifesti e dei principali scritti di natura programmatica, per cogliere quelli che sono i reali e più importanti elementi di rivoluzione nel teatro futurista, che hanno avuto una piena attuazione sul palcoscenico. I futuristi intervengono, innanzitutto, sull’elemento drammaturgico: le lunghe e complesse storie del dramma ottocentesco vengono abbandonate per lasciar posto alla sintesi. Brevi sketches, di forte impatto sul pubblico, si susseguono sul palcoscenico, abbandonando qualsiasi logica e coerenza spazio-temporale. La vita, così come accade, viene catapultata in scena, e lo spettatore perde ogni possibilità di resistenza fisica e morale. Si crea, così, in teatro una nuova dimensione: la quarta parete viene definitivamente abbattuta, gli attori e gli spettatori sono tutti agenti di una nuova realtà, che è la realtà vera. La corrente della fisicofollia investe tutto lo spazio, esce dal teatro e inonda le strade della città: ogni uomo diventa attore di una “nuova” vita. L’esigenza di rinnovamento, di partecipazione è legata allo spirito modernista dell’avanguardia futurista, che trova piena realizzazione nella scenografia e nei costumi. Il rifiuto della tradizione e l’amore per la tecnologia portano all’eliminazione del fondale dipinto, a favore di scene costruite con luci, colori, suoni, o meglio rumori. Anche l’elemento umano viene coinvolto in questo processo di modernizzazione: l’attore diventa una macchina, attraverso abiti che diventano congegni complicatissimi, o attraverso movimenti meccanizzati, o addirittura sostituendolo con semplici fantocci, che hanno il vantaggio di poter essere costruiti con lo stesso materiale della scena, raggiungendo così la tanto agognata “opera 3 totale” . Questo obiettivo sembra realmente raggiunto dai futuristi: riescono a sommare in teatro tutti i generi artistici, dalla letteratura alla pittura, dall’architettura alla musica. Il teatro futurista dà avvio ad una nuova epoca in campo scenico. I grandi rivoluzionari del Novecento partiranno dalle grandi innovazioni futuriste per condurre le loro ricerche in campi mai esplorati e per questo estremi. Voglio concludere,questa mia presentazione, quindi, sostenendo che la grande eredità che Marinetti e i suoi compagni ci hanno tramandato è proprio l’idea di un nuovo teatro: teatro=vita – vita=teatro. 4 PRIMO CAPITOLO SINTESI : DALLA TEORESI ALLA PRATICA LA RIVOLUZIONE DELLE SINTESI FUTURISTE La questione della sintesi, del sintetismo, interessa i futuristi nel corso di tutta la loro ricerca nel campo teatrale. Già, infatti nel Manifesto, scritto e pubblicato da Marinetti, La voluttà di essere fischiati1, che riprende alla lettera il più antico documento futurista dedicato al teatro, il Manifesto dei drammaturghi futuristi, la questione della sintesi viene già posta dai futuristi. Forzando i termini di lettura del Manifesto si potrebbe sentire in quel procedere per “orchestrazione di immagini” come “sintesi”, un anticipo del teatro sintetico. La sintesi viene accostata alla visione strumentale e finalizzata dell’arte: l’attività estetica viene usufruita dai futuristi per intensificare il reale attraverso l’arte, in nome dell’arte; quindi la sintesi rappresenta la meta prima di questa strumentalità: condensare in zone privilegiate di tensione e d’azione la realtà il cui sviluppo coinvolge lo spettatore e lo trasforma in attore non più nel luogo e nel tempo in cui è inscenata la sintesi, ma nella vita, nella realtà più ampia. L’evento che la sintesi determina spezza la logica propria al linguaggio teatrale letterario musicale o pittorico, spezza cioè la contrapposizione fra realtà, genericamente intesa, e definizione poetica, specificatamente connotata in termini di linguaggio. Superando la contrapposizione, la sintesi spezza entro il linguaggio letterario, artistico, teatrale, l’alienazione, l’alterità di se stessa dall’ambito circostante, e quindi la propria qualità critica. Ricordiamo il passo del testo del 1912, Prefazione al catalogo delle esposizioni di Parigi Londra Berlino Bruxelles Monaco…, che si riferisce alla musica: 1 F.T.MARINETTI, La voluttà di essere fischiati, in “Il nuovo teatro”, 5-6, dicembre 1910-gennaio1911. Il manifesto compare in L.SCRIVO, Sintesi del futurismo, Roma, 1968. Col titolo La voluttà di essere fischiati compare in F.T.MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, Milano, 1968, pp. 266 sgg. Sul manifesto A.ANTONUCCI, in “Studium”, 11-12, 1968; M.W.MARTIN, Futurist Art and Theory, Oxford, 1969, pp. 47 sgg 5 “Non solo noi abbiamo abbandonato in modo radicale il motivo interamente sviluppato secondo il suo movimento fisso e quindi artificiale, ma tagliamo bruscamente e a piacere nostro ogni motivo con uno o più altri motivi di cui non offriamo mai lo sviluppo intero, ma semplicemente le note iniziali, centrali o finali.”2 A questa frantumazione dell’oggetto specifico, dell’oggetto letterario e della struttura solo letteraria dell’oggetto e alla sua ricostruzione in termini di sintetismo, conduce, secondo Marinetti, il verso libero. Che il teatro, che la letteratura debbano essere poesia non v’è dubbio per Marinetti: la poesia è vita (ed è sintesi di vita), secondo uno scritto del maggio 1913: “La poesia non essendo in realtà che una vita superiore più raccolta e più intensa di quella che viviamo ogni giorno,è , come questa, composta di elementi ultravivi ed elementi agonizzanti”3 A ciò il verso libero consente mobilità di azione e orchestrazione di suono e immagine, cioè una realtà dinamica non mimetica, di appoggio e di intervento. E’con la fondazione di una forma drammatica sintetica4 che la questione della sintesi diventa prioritaria nelle riflessioni degli uomini futuristi. Assistiamo a quello che Claudia Solaris definisce “il vero momento di rottura con la tradizione e che resterà il punto di riferimento indiscutibile per le teorizzazioni successive”5, in quanto rappresenta il traguardo di tutte le ricerche avanguardiste, non solo in contesto scenico. In questa nuova forma si fondono, infatti, le esigenze di rinnovamento letterario , figurativo, scenico dell’intero movimento. L’intento di questi uomini di teatro è sostituire all’insieme delle categorie drammaturgiche correnti, una drammaturgia d’autore tesa a qualificarsi come futurista soprattutto in virtù delle sue specificità formali. 2 U.BOCCIONI, C.CARRA’, G.BALLA, L.RUSSOLO, G.SEVERINI, Prefazione al catalogo delle esposizioni di Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, Monaco, Amburgo, Vienna, ecc, febbraio 1912 3 F.T.MARINETTI, Distruzione della sintassi. Immaginazione senza fili. Parole in libertà, maggio 1913. Cfr F.T.MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, Milano 1968, p. CIX 4 F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro futurista sintetico, Milano 1915 5 C.SALARIS, Dizionario del futurismo. Idee, provocazioni e parole d’ordine di una grande avanguardia, Ed. Riuniti, 1996, p. 31 6 La sintesi, in questo caso, si carica di tutta la portata rivoluzionaria dell’intero movimento: il rifiuto del passato, della tradizione, delle forme canoniche, si esprime attraverso la creazione di un nuovo testo-spettacolo, caratterizzato soprattutto dalla brevità drammatica, a cui, di conseguenza, seguono la simultaneità e l’irrealtà. Ciò che viene negato non è soltanto il teatro del passato, “forma nauseante e già scartata dai pubblici passatisti”6, ma anche “tutto il teatro contemporaneo, poiché è troppo prolisso, analitico, pedantescamente psicologico, esplicativo, diluito, meticoloso, statico, pieno di divieti come una questura, diviso a celle come un monastero, ammuffito come una vecchia casa disabitata”7. Sinteticità, innanzitutto, come brevità drammatica: condensare i fatti più disparati, le idee e le sensazioni più diverse in frazioni di minuti, nel minor numero possibile di battute, facendo durare gli atti anche solo pochi secondi. Rifiutano un teatro che, trovata una concezione teatrale esprimibile in poche parole la diluisce in un numero vario di atti e mette intorno al personaggio, che identifica in sé la ragione del dramma e della commedia, molta gente che non c’entra affatto; e costruisce gli atti in guisa tale che durino regolarmente da mezz’ora ai tre quarti d’ora e di conseguenza li rimpinzi di roba inutile distribuendo la sostanza della concezione drammatica a decimi nei diversi atti, perché costruisce gli atti in modo che il primo non conti, il secondo diverta e il terzo afferri e concluda. Nella sua furia demolitrice del tecnicismo, il teatro sintetico non ammette che l’inutile del teatro passatista rappresenti l’inframezzamento di fatti gli uni negli altri, cui assistiamo nella vita. Quindi rifiuto della “tecnica” compositiva passatista dei “tempi lunghi”, in cui si articolano gli sviluppi della trama: occorre al contrario sintetizzare fatti e idee nel minor numero possibile di parole e gesti. La forma drammatica adeguata ai tempi moderni deve rispondere ai ritmi di produzione e di ricezione che distinguono i prodotti tecnologici e i processi estetici dell’era industriale: “Siamo convinti che a forza di brevità si possa giungere a un teatro assolutamente nuovo, in perfetta armonia colla velocissima e laconica nostra sensibilità futurista. I nostri atti 6 7 F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro sintetico futurista, cit. Ibidem 7 potranno essere attimi, e cioè durare pochi secondi. Con questa brevità essenziale e sintetica, il teatro potrà sostenere e anche vincere la concorrenza col Cinematografo”8. La teoresi futurista delle sintesi trova il proprio punto di riferimento non più nel dispositivo provocatorio scenico del varietà, ma nei ritmi narrativi e nella dinamicità visionaria del nuovo cinema. La sintesi porta, quindi al dinamismo. Teatro dinamico proprio perché nasce dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall’attualità suggestionante e rivelatrice. Marinetti e i suoi compagni affermeranno : “Noi abbiamo una invincibile ripugnanza per il lavoro fatto a tavolino, a priori, senza tener conto dell’ambiente in cui dovrà essere rappresentato”9. Si giunge alla fusione dei momenti, fino ad allora consequenziali, della scrittura e dello spettacolo : il teatro nasce direttamente sulle assi del palcoscenico; il contesto, l’ambiente in cui lo spettacolo viene inserito, influenzano notevolmente la composizione, la recitazione. Marinetti stesso definirà l’ambiente teatrale “ un serbatoio inesauribile di ispirazione”.10 La “scrittura a teatro” delle pieces futuriste conferma il rifiuto delle norme noiose del teatro del passato: si rinuncia alla tecnica per mostrare esclusivamente la genialità creativa dell’autore, concepita come una dote personale a cui non è possibile ambire e che quindi non va appesantita e imbrigliata da sistemi normativi. Ciò apre la strada alla sperimentazione assoluta, emancipata dai rigidi schemi e dalle leggi imposte dalla tradizione. Dal momento che la maggior parte degli spettacoli sono scritti a teatro, si rinuncia al valore poetico e referenziale della parola a favore di una scena concepita come casualità, realtà consistente, “presentificata”, materializzata, vero e proprio “spazio della fisicità, incontro-scontro di oggetti e di corpi, luci e di suoni”11. Per i futuristi la scena “non è un libro, e cioè uno schermo dove della vita esce un’immagine rifratta e mediata”12. Essi sono i primi a comprendere che anche le parole del teatro si riferiscono ad una realtà sensibilmente consistente: una realtà 8 Ibidem Ibidem 10 Ibidem 11 Ibidem 12 U.ARTIOLI, La scena e la dynamis, Padova, Patron, 1975, p. 88 9 8 “presentificata” nell’istante in cui si produce il dinamismo scenico tramite una serie di eventi materiali. Dal momento che la parola diventa artefice della creazione di una realtà concreta, perde la sua funzione poetica, lasciandosi andare ad un “suo contemporaneo rifluire su brandelli di dimessa colloquialità”13. Il teatro, infatti, non fa che ricreare una realtà che già esiste a brandelli e si fa sentire con tutta la sua potenza . Esso, però, non è l’esplorazione euristica di tali brandelli, bensì la loro sintesi, la fattiva e attuale creazione sulla scena di un mondo dinamico, simultaneo e sintetico. Possiamo parlare, perciò, non più di teatro, ma di scena; non più avvenimento ma “mondo teatrale”. Il teatro è mondo in quanto è sintesi di elementi,non è l’esplorazione di frammenti dati ma la loro coesione al di là dell’essere frammenti secondo un progetto che il teatro determina. “La sintesi teatrale futurista non conterrà nulla di fotografico, sarà autonoma, non somiglierà che a se stessa, pur traendo dalla realtà elementi da combinarsi a capriccio. Anzitutto come per il pittore e per il musicista esiste, sparpagliata nel mondo esteriore, una via più ristretta ma più intensa, costituita da colori, forme, suoni, rumori, così per l’uomo dotato di sensibilità teatrale esiste una realtà specializzata”14 Teatro come autonomia, autonomia come realtà specializzata. L’autonomia va intesa rispetto alla convenzione tecnica, ma anche rispetto a una nozione incondita di vita, a una vita che non sia” realtà specializzata”. Assistiamo, quindi, ad un connubio arte-vita: ciò è dovuto al fatto che nella concezione avanguardista l’esistenza viene vista come contenente innumerevoli possibilità sceniche, tanto che la nuova estetica del Movimento consente di definire “teatrale” tutto ciò che ha in sé un valore, anche se non rientra nella precettistica classica o non risulta immediatamente comprensibile. Così gli aspetti del reale che imprigionano ed esprimono valori sono teatralizzabili. Il connubio arte-vita porta al rifiuto della logica: “è stupido voler spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, quando anche nella vita non ci accade mai di afferrare un avvenimento interamente, con tutte le sue cause e conseguenze, 13 14 Ibidem, p. 89 F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro futurista sintetico, cit. 9 perché la realtà ci vibra attorno assalendoci con raffiche di frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri, confusi, aggrovigliati, caotizzati.”15 Viene criticato il canone passatista della credibilità e della plausibilità degli intrecci, dal momento che il valore e la genialità dei singoli autori non solo non coincidono con l’assoluta aderenza al vero, ma anzi ne sono assolutamente autonomi. Infatti la ragione non è in grado di capire per intero tutti i fenomeni e gli avvenimenti che costellano la vita umana, così è assurdo pensare di poter cercare un rigoroso ordine logico che stia alla base degli spettacoli e li spieghi. L’alogicità del discorso, che nasce proprio da una concezione sintetica del teatro, porta ad un tipo di drammaturgia irreale. Si rappresentano situazioni astratte e inverosimili, i personaggi attuano comportamenti incomprensibili, che sconcertano lo spettatore . Spesso i personaggi sono oggetti e non persone. Ciò che sconcerta è trovarsi di fronte a comportamenti apparentemente assurdi, agiti però come se avessero senso, mentre reazioni e frasi che appartengono al senso comune risultano nella situazione teatrale, improvvisamente stereotipe e insensate. I personaggi non hanno contenuto psicologico, ma si risolvono totalmente nelle loro azioni, che possono anche esaurirsi in gesti molto semplici, di assoluto valore, o non esserci affatto, lasciando l’azione affidata agli oggetti. Basta pensare allo spettacolo che F. Cangiullo scrive e realizza nel 1920, Non c’è un cane16: semplicemente all’alzarsi del sipario un cane attraversa il palcoscenico. La teoresi sintetica futurista riguarda soprattutto la metodologia scenica, o come si dice oggi, la “scrittura scenica”. La sintesi applica un principio simbolista: abolire spazio e tempo reali e sostituirli con una nuova convenzione, o specializzazione, spazio-temporale, una diversa artificialità. L’impegno è sui testi, o meglio sui contenuti. Si parla di brevità d’azione, del rifiuto della verosomiglianza. Si fa un rapido consuntivo tematico: “nel teatro sintetico han dominio le battute in libertà, la 15 Ibidem F.CANGIULLO, Non c’è un cane, in Il teatro futurista sintetico,F.T.Marinetti, B.Corra, E.Settimelli, vol I, Milano, Ist. Teatr. Ital., Bibl. Teatr., 1915. Nel 1915 furono pubblicati, insieme al Manifesto, due volumetti firmati dai tre sopra ricordati, dell’Istituto Editoriale Italiano di Milano, Il Teatro sintetico futurista, contenenti settantanove sintesi ( trentasei nel primo e quarantatre nel secondo volume) 16 10 simultaneità, la compenetrazione, il poemetto animato, l’ilarità dialogata, la deformazione sintetica”17. Quando Marinetti, Corra e Settimelli parlano di simultaneità e compenetrazione rimandano al loro desiderio di riprodurre le più svariate sensazioni visive, uditive, olfattive, cinetiche e gestuali attraverso “un continuum ininterrotto di tensione espressiva tra la scena e la pagina”18. Simultaneità, quindi, come compenetrazione di azione, tempo e spazio. Marinetti ci spiega il significato della simultaneità, analizzando i materiali della sua sintesi, Simultaneità : “Ho messo in scena la compenetrazione simultanea di una famiglia borghese, con quella di una cocotte. La cocotte non è qui un simbolo, ma la sintesi di sensazioni di lusso, di disordine, di avventura, di sperpero… Simultaneità è una sintesi teatrale assolutamente autonoma poiché non assomiglia né alla vita borghese né alla vita della cocotte ma a se stessa. E’ inoltre una sintesi assolutamente dinamica…”19 . Marinetti, cioè, compenetra due ambienti in opposizione perché se ne ravvivi l’estraneità e la complementarietà al tempo stesso. Lo spettatore, se è in grado di apprezzare l’autonomia drammaturgica di tale sperimentazione, resta interdetto di fronte allo svolgimento effettivo degli strumenti utilizzati, di un’indifferenza insostenibile dato il tipo di provocazione che esso vuole ottenere, e di una dinamicità abbastanza ferma in quanto affidata soltanto alla natura descrittiva della compenetrazione e non alla sua forza di eversione in quanto produttrice di azione nuova. Il testo diventa un luogo aperto alle più svariate interferenze e contemporaneamente mette in crisi l’accezione canonica di dialogo, “mediante un parlato scenico ridotto o impoverito o designificato della sua tradizionale portata di medium teatrale privilegiato”, e concepito come privo di una propria referenzialità, o utile come commento didascalico alla gestualità. Possiamo notare che le teorie della simultaneità e della compenetrazione agiscono in egual misura sul paroliberismo letterario e sul teatro sintetico, portando a quello 17 F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro futurista sintetico, manifesto, cit. Ibidem 19 Cfr G.BARTOLUCCI, Il gesto futurista, Roma, Bulzoni, 1969, pp. 30-31 18 11 che Luciano De Maria definisce “una nuova poetica degli stati d’animo”20 , e che per entrambi i generi artistici si configura in termini di quel lirismo che è “facoltà rarissima di inebriarsi della vita e di inebriarla di noi stessi” 21. A tal proposito Anna Barsotti conclude che ideologicamente e strutturalmente il lirismo alla base delle tavole parolibere è lo stesso che si ritrova alla radice delle sintesi sceniche avanguardiste, perché entrambe fondate su una nuova visione del mondo, a sua volta incentrata sullo svecchiamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle scoperte scientifiche, e che ambedue esprimono a livello estetico. E se differenti sono i mezzi comunicativi, sono invece identici tanto la neonata prospettiva spaziotemporale, quanto la concezione della riproducibilità della vita in un attimo, linguistico o drammatico che sia, quanto infine la fondazione di un contatto immediato, intuitivo e simpatetico con i fruitori.22 20 La citazione deriva dalla prefazione del testo Teoria e invenzione futurista di F.T.Marinetti, curata da Luciano De Maria, in cui ci mostra gli effetti delle teorie della simultaneità e della compenetrazione nei diversi generi letterari. 21 F.T.MARINETTI, Distruzione della sintassi. Immaginazione senza fili. Parole in libertà, cit. 22 A.BARSOTTI, Futurismo e avanguardie nel teatro italiano tra le due guerre, Roma, Bulzoni, 1990, p. 234 12 LE SINTESI IN SCENA La messa a punto del teatro sintetico fu prima di tutto giocata sul campo, solo in un secondo momento si passò alla teoresi. Possediamo, infatti, un campionario di una microdrammaturgia che, portando alle estreme conseguenze una tendenza alla essenzializzazione e alla concentrazione del nucleo drammatico, espressa da tutta una parte della nuova drammaturgia europea di inizio secolo strutturalmente orientata verso l’atto unico, trovava le basi teoriche per spingersi fino alla brevità di sketches fulminei. In questi tutta l’azione teatrale può ridursi a una semplice gag o trovata al suo grado minimo, sia sulla base dei capisaldi teorici del Teatro di Varietà marinettiano, sia trovando credenziali estetiche nelle teorie cerebraliste di Settemelli e Corra. Diversi antecedenti di questi mini-testi sintetici potrebbero essere rintracciati (oltre alle scenette di varietà): già nel 1919 Papini ricorda in area simbolista il “dramma rapido” di Paul Verlaine, Troppa fretta, e va addirittura a ritrovare nelle pagine del Fanfulla di Roma della metà dell’Ottocento alcune tragedie in cinque versi, di cui ricordiamo Caino e Rosmunda. Ma in tempi e ambienti più vicini al futurismo, nel 1911, Piermaria Rosso di San Secondo scrive alcuni brevi bozzetti drammatici di stampo naturalistico che definisce facilmente “sintesi”. Mentre critici come Verdone menzionano sintesi poetiche di pochi versi appartenenti al poeta Lucini; ma opportunamente sposta l’attenzione anche sulle brevi pellicole cinematografiche d’inizio secolo, che attorno agli anni Dieci si avventurano persino nel presentare veloci sunti filmici di grandi capolavori letterari (Otello, I promessi sposi, Spettri). In più, nota sempre Verdone, il rinnovamento del teatro indicato dai futuristi con l’idea di sintesi, tipica essa stessa del cinema, si rivolge proprio al linguaggio filmico e alla tecnica del montaggio, quando si fa 13 appello al dinamismo, alla compenetrazione di ambienti e alla simultaneità auspicando frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri23. Tra le possibili micce di innesco del teatro sintetico non si possono non menzionare gli esperimenti del regista russo Mejerchol’d, che nel suo Teatro Studio di Pietroburgo fa esercitare gli allievi con l’improvvisazione di poemetti gestuali o pantomime, che abbreviano fiabe, racconti, e anche tragedie di Shakespeare. Ma ciò che differenzia la minidrammaturgia sintetica futurista è proprio la precisa volontà di proporre un’alternativa strutturalmente e sostanzialmente radicale alla statica drammaturgia passatista. Il concetto di sintesi, già avanzato nei Manifesti del 1911 e del 1913, diventa così lo strumento espressivo teatrale omologo al meccanismo del paroliberismo in letteratura, e alla simultaneità e compenetrazione di piani in pittura, rispondendo ai nuovi codici spazio-temporali, contrapposti dai futuristi al logico ordinamento tradizionale di stampo naturalista, che si traduce in teatro nella tecnica drammatica mimetica della realtà. I primi minidrammi sono editi nel 1915-191624: si tratta di un repertorio di brevissime azioni drammatiche, ridotte talora a pura trovata o spinte fino allo scherzo, dove all’impegno ideologico o ironicamente polemico di pezzi di pura propaganda (Antineutralità25, L’arresto26, Il Soldato lontano27 di Marinetti, oppure, Passatismo di Corra e Settimelli), si alternano sintesi parodiche di modelli letterari e teatrali, o contestative di modelli di comportamento passatisti. Tutto un filone definito da Verdone del “grottesco e dell’eccentrico”28, che facendo ricorso a precise tecniche di smascheramento parodico-dissacrante delle convenzioni culturali e sociali dominanti, utilizza procedimenti di rovesciamento delle apparenze o di irruzione straniante di elementi imprevisti, fino ad esiti di vero e proprio teatro dell’assurdo. 23 Cfr M.VERDONE, Teatro del tempo futurista, Roma, Lerici, 1969, p. 138 Vedi nota n. 16 25 F.T.MARINETTI, Antineutralità, in F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro sintetico futurista,Vol. I, Milano, Ed. Teatr. Ital., Bibl. Teatr., 1915, pp 27-29 26 F.T.MARINETTI, L’arresto, in F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro sintetico futurista, vol II, Milano, Ed. Teatr. Ital., Bibl. Teatr., 1916, pp.11-13 27 Ibidem, pp. 16-18 28 Cfr M.VERDONE, Teatro del tempo futurista, cit., pp. 84-89 24 14 Le più interessanti e originali sono le pieces di carattere fantastico anche in senso predadaista o presurrealista, come Pazzi girovaghi29 di Chiti e Settimelli o Il regalo30 di Cinti. Fra queste Verdone ritiene di poter ritagliare, anzi, il settore specifico del teatro futurista “occultista e magico”31 (Uno sguardo dentro di noi32 e Dalla finestra33 di Ginna e Settimelli, Il pesce d’aprile34 e Parallelepipedo35 di Buzzi, Parola36 di Chiti). Mentre un filone tutto individuabile per caratteristiche di sperimentazione formale-strutturale è costituito dagli originali “drammi d’oggetti” di Marinetti. Nel Il teatrino dell’amore37, ad esempio, Marinetti dà parola e quindi autonomia di vita e responsabilità ad un buffet, ad una credenza e a un teatrino di legno; i primi due reagiscono sensitivamente al tempo, al peso, alla conformazione, e ne danno una spiegazione al pubblico, il teatrino di legno, portato come regalo ad una bambina, improvvisamente comincia a dispiegarsi e a vivere in silenzio. In Musica da toiletta38 un pianoforte verticale nero ha i piedi infilati in un elegante paio di scarpine da signora; un attore, cameriera del pianoforte, toglie la polvere dalla tastiera suonandovi sopra direttamente con lo spolveratore, contemporaneamente un secondo attore frega con lo spazzolino i denti del pianoforte ed un terzo lucida le scarpine dorate. In questo filone rientrano anche altre sue pieces come Le mani39 e Le basi40, in cui il sipario calato a metà concentra tutta l’azione sui soli piedi degli attori, un espediente scenico succedaneo del procedimento cinematografico dell’inquadratura del particolare. 29 R.CHITI, E.SETTIMELLI, Pazzi girovaghi, in F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro sintetico futurista,Vol I, cit., pp. 50-51 30 CINTI, Il regalo, in Ibidem, pp. 95-98 31 Cfr M.VERDONE, Teatro del tempo futurista, cit., pp. 92-95 32 GINNA, SETTIMELLI, Uno sguardo dentro di noi, in Il teatro sintetico futurista, vol. I, cit., pp. 47-48 33 GINNA, SETTIMELLI, Dalla finestra, in Il teatro futurista sintetico, vol. II, cit., pp. 48-50 34 BUZZI, Il pesce d’aprile, in Ibidem, pp. 69-72 35 BUZZI, Parallelepipedo, in Ibidem, pp. 41-43 36 R.CHITI, Parola, in Teatro sintetico futurista,vol. I,cit. pp. 52-53 37 F.T.MARINETTI, Il teatrino dell’amore, in Ibidem, pp. 24-27 38 F.T.MARINETTI, Musica da toiletta, in Teatro sintetico futurista, vol II, cit., p. 467 39 B.CORRA, F.T.MARINETTI, Le mani, in Teatro sintetico futuirsta,vol I, cit., pp. 35-37 40 CANGIULLO, Le basi, in Ibidem, pp. 33-34 15 In quest’area di ricerca acquistano grande interesse alcune creazioni di vero e proprio teatro astratto, caratterizzate in certi casi da un dialogo che viene portato all’illogicità, fino all’estremo frantumarsi del discorso in una sequela illogica di suoni, in collegamento evidente con l’esperienza poetico-letteraria futurista. Esemplari sono in tal caso Per comprendere il pianto41 di Balla, Stati d’animo42 e Violenza43 di Carli, ma anche Dramma di luci44 di Buzzi, e la sintesi teatrale astratta per eccellenza, Colori45 di Depero, in cui centrale è quella componente di ricerca scenoplastica e luministica-cromatica tale da condurre all’astrazione assoluta di un teatro del movimento, della luce, del suono, cioè della macchine teatrale nella sua essenza performativa. Agli autori della drammaturgia sintetica che compaiono nei due volumetti capostipiti del 1915-1916, molti altri se ne aggiungeranno. Infatti la traccia più importante dell’adesione del giovane pittore Filippo De Pisis al futurismo resta proprio una ventina di sintesi composte tra il 1916 e il 1922, mentre tra i fiancheggiatori del movimento scrivono libri assimilabili alle sintesi, Anton Giulio e Carlo Ludovico Bragaglia; né si può dimenticare Achille Campanile con i suoi atti unici e le sue famose “tragedie in due battute” degli anni Venti. 41 G.BALLA, Per comprendere il pianto, in Ibidem, p. 72 CARLI, Stati d’animo, in Teatro sintetico futurista,vol II, cit., pp. 70-71 43 CARLI, Violenza, in Ibidem, pp. 88-70 44 BUZZI, Dramma di luci, in Ibidem, pp. 37-39 45 DEPERO, Colori, in Ibidem, pp. 65-67 42 16 I TOPOI DELLA DRAMMATURGIA FUTURISTA La STANZA è il topos fondamentale delle sintesi futuriste, l’emblema dello spazio cintato, della chiusura individualistica, della prigionia del punto di vista, dell’ossessione di tutto ciò che si oppone alla totalità aperta e onnicomprensiva della simultaneità. Possiamo vederlo come la versione topologica del niciano “spirito di gravità”46: è la costrizione e il bisogno , l’antitesi del volo, del divenire come “danza divina e divino capriccio”47. Tutto il bisogno niciano dell’aria libera , e l’ apologia del vento dissolutore di “tutti i valori delle cose, di tutto il male e tutto il bene, di tutto ciò che è stabile”48, si riflette nelle sintesi futuriste in una sorta di ossessione claustrofobica di cui si può saggiare la potenza nell’icastica battuta di un personaggio in una sintesi di Chiti: “ … Annetta; scoperchiate la casa, mi fa caldo…!49 La Stanza è futuristicamente il concentrato dell’antivitalità, il luogo per eccellenza da esorcizzare, è nelle varie sintesi futuriste spazio della rarefazione e della caduta, dell’inazione e della nostalgia, della ripetitività e della morte. . Il rituale di tale esorcismo è la Compenetrazione, figura coniata dalla drammaturgia futurista per contestare quanto del Contenitore è l’attributo più tipico e cioè l’idea di un tempo e di una spazio uniformi, omogenei, unidirezionali. Questo contenitore, nelle sue modalità di interno piccolo borghese , è innanzitutto luogo del risparmio vitale, dell’energia racchiusa in gesti calibrati, in traiettorie lente inframezzate da lunghi silenzi. Si veda a questo proposito in Simultaneità di Marinetti la stretta omologia che lega il parlato con le didascalie: al parlato con i suoi richiami al controllo, alla moderazione, corrisponde la devitalizzazione del gesto: personaggi 46 F. NIETTZSCHE, “Così parlò Zarathustra”,Milano, Bocca, 1951, p. 168 Ibidem, p.167 48 Ibidem, p.171 49 R.CHITI, “Parossismo”, in “Teatro futurista sintetico”, F.T.MARINETTI,B.CORRA, E.SETTIMELLI, vol.I, cit., pp. 53-56 47 17 seduti intorno alla tavola intenti in occupazioni che richiedono pazienza e concentrazione con un’evidente apparizione del sonno.50 Solo la Finestra verso cui il Padre si muove rappresenta lo spazio “altro”, ideale linea di fuga dell’ossessione della Stanza . Il sostanziale isomorfismo che lega la funzione compressiva del Contenitore e la stazione orizzontale del personaggio è tematizzato invece attraverso il ricorso dell’espediente della malattia in La Cometa di Buzzi, dove si insiste sui valori dell’inazione: “GIORGIO (alla madre tornata presso di lui)- Mamma, mamma ti adoro! Siesi qui accanto a me. Non muoverti più. Così mi sembra di star bene…!” 51 Nel caso, dunque, dei personaggi centripeti , tenaci fautori del risparmio vitale, è l’immobilità ad essere difesa, quell’immobilità che l’ermetica chiusura della Stanza protegge da ogni intrusione sovvertitrice, come in questo spezzone tratto dalla sintesi di Folgore Impossibile, in cui il Vitale è significativamente vento e turbine, che rischia di far cadere il castello di carte che Senza Braccia sta da tempo sorvegliando: “ SENZA BRACCIA – (preoccupato dall’aria che circola rapida nell’ambiente, si protende a riparare il suo castello, mentre con voce angosciosa- La porta! La porta! E’ penetrato un turbine! Eccolo! Gira! Mi assedia! Vacilla! Vacilla! (Con ira). Ma chiudete quella porta!...”52 Qui Folgore con la sua abilità drammaturgica utilizza i materiali teatrali, dilatando a oltranza il gioco delle metafore: il castello di carte, infatti, è a sua volta un Contenitore . La sua estrema friabilità, l’assedio che su di lui esercitano le forze, eversione del Fuori, sono indici estensibili alla Stanza stessa. Quando, infatti, tramite la tipica irruzione futurista,( in questo caso esemplificato dallo squillo del campanello), si assisterà al consueto artificio del Ribaltamento, non solo il castello di carte sarà distrutto , ma lo stesso statuto globale della Stanza, col suo sistema di 50 F.T. MARINETTI, Simultaneità, in Teatro, F.T. Marinetti, a cura di Giovanni Calendoli, vol II, Roma, Vito Bianco, 1960, p. 309 51 P. BUZZI, La Cometa, in Teatro futurista sintetico, F.T. Marinetti, B.Corra, E. Settimelli, vol. I, cit., p.73 52 L. FOLGORE, Impossibile, in Ibidem, p. 20 18 fragili equilibri costruito su coppie di contrari, conoscerà un generale scompaginamento. Nell’universo futurista la Stanza è dunque il regno dell’Antivalore: della simmetria come della prevedibilità, della compressione come dell’inghiottimento. Volta a volta luogo del pianto e del lutto, della “sonnolenza”, della “noia” e della “quasi immobilità”, ovvero spazio senza sbocchi dove si è per forza precipitati con la sola alternativa di poter scegliere di persona lo strumento della propria morte . In Runio Clacla è lo spazio dell’ufficialità consacratoria, incombente sulla stessa progettazione futurista; luogo dove del gesto creatore e della sua vitalità ( la didascalia ci presenta la “sala di una grande esposizione del PITTORE FUTURISTA BALLA, fra cinque anni”53) non resta che una serie di pallidi simulacri, di forme congelate da contemplare, di stereotipi da assumere come modelli. Nulla infatti è più estraneo alla concezione futurista del gesto della contemplazione: lo sguardo è tra le modalità del sensorio la più distante dall’atto creativo, dall’identificazione piena e incontrastata col ritmo vitale. In quanto specchio che doppia le cose, introduzione del simulacro e della ripetizione in luogo della pienezza del vivente, è l’avarizia contro la sovrabbondanza, lo sradicamento del desiderio dal suo destino creatore. Per questo, contro la supposta purezza dell’occhio e dell’estasi contemplativa, che in realtà è impotenza, i Futuristi riattivano l’anatema niciano: “Io chiamo immacolata questa percezione che non vuole sapere delle cose, ma soltanto ama giacere dinanzi ad esse come uno specchio dai cento occhi. O voi, ipocriti sentimentali, o lascivi! Alle vostre brame manca l’innocenza: voi calunniate ogni desiderio per se stesso! In verità voi non amate la terra quali esseri creatori, generatori, desiosi del divenire! Dov’è l’innocenza? La dov’è la volontà di procreare”54. Così in Runio Clacla l’effrazione del Contenitore è aggressione di uno spazio che la società ha elevato a sacro perimetro della contemplatività. 53 54 F.T. MARINETTI, Teatro, a cura di Giovanni Calendoli, cit., p.405 F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, cit p.101 19 Se codificando i flussi del vitale, trasformando l’energia in calma rasserenante, l’azione della Stanza-Museo è tesa infatti a neutralizzare l’intensità del gesto originario, ecco che la contro-azione futurista ( i Futuristi sono qui personaggi dell’azione), manifestata in quanto scardinamento della Stanza e autodistruzione della propria opera, è riattivazione di quel gesto, apoteosi della vita come “apertura”. In Il soldato lontano la Stanza è invece lo spazio del ricordo, spazio intimo e protettivo dove la vita scorre come rievocazione dell’Oggetto Assente, ma anche spazio dell’insidia, focalizzato sui continui tentativi di seduzione che il GIOVANE, seduto intorno alla tavola, compie nei confronti della RAGAZZA. Dentro questa spazialità tentatrice il personaggio del SOLDATO che, invisibile agli altri personaggi, è non solo aggressiva materializzazione del Fuori, incombente presenza che esorcizza l’Assenza e, con essa, le lusinghe del Tentatore, ma anche tentativo di introdurre in teatro il tema boccioniano del rendere “plastico, concreto, attraverso un raffinamento della sensibilità, quello che finora era stato considerato incorporeo, implasmabile, invisibile”.55 Ma interessanti modalità di utilizzazione del Contenitore le possiamo trovare anche in Boccioni. A proposito della Garconniere è opportuno rilevare come la Stanza sia ostentatamente offerta come luogo del prevedibile e dello stereotipato, sicchè il “ribaltamento” che l’azione ci offre, lo scatto per cui la Bella Ritrosa, presentatasi come degustatrice di quadri, rivela alla fine le sue reali intenzioni, risulta tutto anticipato nella didascalia d’apertura: “Interno imbecille d’una garconniere di giovane elegante. Stampe alle pareti, divano bassissimo, qualche fiore nei vasi, come in tutte le garconniere”56 Al contrario in Il corpo che sale la Stanza acquisisce il rango di luogo dell’impossibilità, cella di cui ciascuno degli Inquilini, prigioniero della limitatezza del proprio punto di vista, patisce la costrizione. Limitati nel loro sguardo da quella sezione di campo visivo corrispondente, alle finestre dei vari piani del caseggiato in cui la vicenda si svolge, gli Inquilini soffrono l’incubo della non-denominazione. 55 56 U. BOCCIONI, Scritti editi ed inediti, a cura di Zeno Birolli, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 158 Cfr: F.T. MARINETTI, B. CORRA, E.SETTIMELLI, Teatro futurista sintetico, cit., p. 18 20 Dell’oggetto che si palesa di fronte ai loro occhi sanno solo proferire con certezza l’esistenza e il moto ascensionale, ma la possibilità di definirlo con precisione è loro preclusa, dal momento che il singolo sguardo non può che investire l’oggetto percepito in un particolare momento della sua traiettoria, rendendone impossibile una ricostruzione esaustiva. Resta da dire che l’aggressione futurista nei confronti della Stanza non è solo aggressione di uno stereotipo mentale, ma anche di una precisa modalità istituzionale, quell’ottocentesca concezione del teatro contro cui prende posizione il Teatro Futurista Sintetico: “Tutto questo teatro passatista e semi futurista, invece di sintetizzare fatti e idee nel minor numero di parole e di gesti, distrusse bestialmente la varietà dei luoghi (fonte di stupore e di dinamismo), insaccando molti paesaggi, piazze, strade, nell’unico salame di una camera”57. La Stanza, come attrezzo scenico, è il custode del realismo e della verosomiglianza, dell’ordine logico con cui i fatti sono presentati, luogo dove la pressione dell’immaginario è sottoposta a un’incessante opera di decantazione. Ma definire il teatro “autonomo, alogico, irreale” significava non solo liberare l’intuizione creatrice da ogni soggezione, ma anche riproporre su nuove basi il rapporto palcoscenico-platea. Negando il palcoscenico-scatola, dove tutto scorre sui binari del prevedibile, i futuristi trasformarono il boccascena in un analogon della Finestra, dunque in uno spiraglio il cui flusso scompaginante doveva irrorare l’intera platea. Il cubo scenico, che la quarta parete naturalista aveva consolidato nelle sue modalità di luogo chiuso, riducendo la funzione dello spettatore al rango di uno sguardo offerto come dal buco di una serratura, s’apre sul davanti proponendosi come prolungamento della platea stessa, con inevitabile trasformazione del teatro in luogo d’accensione dello scatenamento e dell’energia. 57 Cfr: F.T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, a cura di L.De Maria, Milano, Mondadori, 1968, p. 108 21 Altro topos delle sintesi futuriste, diametralmente opposto alla Stanza, è la FINESTRA, fenditura da cui il Vitale irrompe gettando scompiglio e scompaginamento. Emblema dello spazio “altro”, limite presso cui si addensano i simulacri della Follia e dell’Assurdo, essa rappresenta uno degli attrezzi scenici più utilizzati dalla drammaturgia futurista per scongiurare l’asfissia del Contenitore. Nelle sue modalità di Terrazza, Balcone o Finestra-Veranda, la sua chiusura rappresenta il diaframma che i personaggi notturni cercano di erigere contro l’assedio del Fuori, così come la sua apertura è per i personaggi vitali ossigenazione e salvezza. In questo modo il rapporto tra Stanza e Finestra introduce ad un ventaglio abbastanza ampio di possibilità, la cui interpretazione dipende sia dallo statuto dell’azione scenica (il movimento può esplicitarsi dal Dentro al Fuori oppure inversamente dal Fuori al Dentro), sia dalla morfologia diurna o notturna del personaggio agente. Esempi del primo caso, che potremmo definire come eruzione o come espulsione, li abbiamo in Parossismo di Chiti e in La cometa di Buzzi, dove i protagonisti sono emblemi vitali. La Finestra diventa qui l’apertura provvidenziale verso cui prorompe l’ossessione centrifuga del personaggio. In Vengono58 di Marinetti abbiamo un caso particolare: diaframma e apertura a un tempo, la Finestra-Veranda è qui l’autentico perno dell’azione. Diaframma per i Servi Demonici tesi a concepire la spazialità interna che essa delimita come luogo della rigorosa obbedienza all’Ordine, è viceversa fenditura liberante per gli Oggetti di cui il “riflettore invisibile” simula il movimento d’uscita proiettandone “spiccatissima” l’ombra. E’ così il Contenitore stesso, del quale sedie e poltrone, per il loro valore centripeto, sono gli usuali supporti, a dar vita a un macroscopico processo di autocontestazione. Nella misura in cui l’azione centrifuga investe gli stessi emblemi che del radicamento e della fissità sono la manifestazione più tangibile, è il Contenitore a deflagrare, scoprendo nella sua stessa struttura un magnetismo di segno contrario, che lo stimola all’eversione e allo scardinamento. 58 F.T. MARINETTI, Vengono, in “Teatro”, vol II,cit., p.285 22 Abbiamo fin qui esaminato i reperti in cui la Finestra compare come perno di un movimento dal Dentro al Fuori. La dinamica di segno contrario (dal Fuori al Dentro) appartiene viceversa alla figura dell’irruzione , di cui tuttavia il topos trattato costituisce una variante marginale, dal momento che lo strumento scenico di gran lunga prevaricante è costituito dalla Porta. Quando comunque esso viene utilizzato in questo senso, è per lasciar filtrare emblemi vitali incorporei e lievitanti, come i personaggi-rumore di Balla, o i personaggi-luce di Marinetti (La camera dell’ufficiale)o di Oscar Mara (Chiaro di luna Tricolore). Come in Impossibile di Folgore, nella sintesi di Mara assistiamo all’artificio dell’inscatolamento dei Contenitori. La scena si svolge infatti a Venezia, fu turisticamente la città-scatola, la città-museo gelosa custode dei tesori del proprio passato. Il salotto d’albergo dove l’azione ha luogo è dunque un contenitore alla seconda potenza, contenuto cioè nel contenitore maggiore. Il risultato è un’intensificazione dell’atmosfera asfittica che regna nella Stanza, di cui è riprova l’immobilità dei Servi Demonici e il loro impaurito scostarsi agli angoli bui della camera di fronte al raggio-lama che fora il chiarore lunare. Scopriamo così che la Finestra, questo topos che in linea di massima assume nel Futurismo una funzione eversiva e scardinatrice, può in qualche caso presentarsi come modalità del nictomorfo, come avviene anche in Notturno di Balilla Pratella. Ma qui più che di irruzione,parola che designa in qualche modo la violazione di uno spazio e che connota violenza e disturbo, si dovrebbe parlare di avvolgimento, ovvero di prolungamento e continuità, dal momento che la Finestra aperta di Notturno, da cui il Marito, immobile e trasognato, contempla le stelle, altro non è che la continuazione della Stanza, il prolungamento del Dentro nel Fuori, lo spazio che riproietta l’immagine odiata del Contenitore. E non è un caso che l’irruzione vera e propria, si configuri qui attraverso l’invasione- il cui tramite è la Porta- dell’elemento mobile dei Ladri, dai quali la Moglie, già presenza attiva e centrifuga, si lascia entusiasticamente rapire. 23 Nel teatro futurista la Finestra è dunque in linea di massima il topos del non quotidiano, lo spazio “altro” del Sogno e del Desiderio, portavoce di quel Fuori che, metaforicamente, può ben rappresentare il fuori della coscienza, la terra di nessuno dove staziona il “rimosso”. Qui regna l’Espulso, ciò che, riuscendo insopportabile al Contenitore –dunque alla sovranità della coscienza- è dirottato “altrove”: spazio assediante, denso di presenze aggressive, la cui strategia è quella dell’irruzione improvvisa e scompaginante. Un ulteriore topos delle sintesi futuriste non riguarda più lo spazio, ma il mondo dei personaggi: si tratta del SERVO DEMONICO. Accampato dentro lo spazio asfittico del Contenitore, che egli vive come metafora del ventre materno, lascia trasparire ad ogni istante la vocazione che lo domina e che è vocazione all’inghiottimento. Il servo demonico è il personaggio nato- morto, colui per cui il vivere è sopravvivere: un riattivare di fronte alle ostilità del mondo esterno la spazialità protettiva dell’involucro pre-natale. Costitutivamente inadatto all’imprevisto, vi oppone un reticolo di abitudini, funzionanti da schermo rispetto al divenire. Per questo il suo sguardo è rivolto verso il passato, là dove il vivente della presenza è divenuto inerzia, dove della ricchezza del sensibile restano morte e reliquie. Sentimentalismo e buon senso sono le sue connotazioni, elementi entrambi del metter radici, dell’opporre a invenzione e sperimentalismo le coordinate dell’ovvio e dello stereotipato. Per questo una parola come compenetrazione, e che nell’universo futurista designa immediatamente simultaneismo e intensificazione vitale, diviene parodistica sulle labbra del Professore che nella sintesi di Jannelli funge da protagonista, appoggiata com’è da un’intonazione “dolcissima e lenta” e da una serie di presenze lessicali che rinviano alla rarefazione. A questa costellazione appartengono molti dei personaggi delle sintesi futuriste. Interessante è , però, soffermarsi su una figura che, appartenendo a tale tipo di raggruppamento, ha ruolo e funzioni minori, ma sia per la frequenza con cui è utilizzata, sia perché spesso deputata al compito dell’agnizione finale, assume uno 24 statuto inconfondibile nella drammaturgia futurista: alludiamo al Servo nelle varie modalità di Maggiordomo, Cameriere, Portinaio, Controllore, etc. Al contrario dello zanni nella Commedia dell’Arte, che è presenza centrifuga e scombinatoria, alimentatrice dell’azione, il servo futurista è la fissazione e la morte, la rinuncia definitiva a ogni caratteristica del vivente. La “sterilità” è la caratteristica più saliente del servo futurista: la sua totale assenza d’emotività. Proprio perché ha reciso ogni forma di contatto vitale con la realtà, mettendosi al riparo dal desiderio e dalla passione, la sua gestualità tende ad assumere forme rigide e contratte, la sua vocalità un tono incolore e asettico. E’ questa la ragione per cui il suo intervento è spesso utilizzato nelle sintesi in chiave di scioglimento finale, in modo che effetti di comicità possano nascere dall’impatto tra l’indifferenza emotiva di cui si fa latore il personaggio servile e l’enormità di significati che la sua battuta veicola. Proprio perché la sua apparizione connota “normalità” e rispetto dell’ordine costituito, l’assumerlo contemporaneamente a portavoce dell’allucinante e dell’assurdo risulta artificio talmente paradossale, da portare l’azione a esiti grotteschi, come avviene ad esempio ne Il corpo che sale, dove la soluzione dell’enigma che angoscia gli Inquilini è affidata al personaggio della Portinaia, con la conseguenza di uno stratagemma linguistico volto a risucchiare dentro la quotidianità più triviale, l’apertura e il sommovimento di cui è portatore l’intero climax surreale della vicenda: “LA PORTINAIA- Calmatevi! Niente di straordinario!E’ la signorina del quinto piano, che ogni giorno si succhia su l’amante con lo sguardo… Già dalla scala non passa quel porcaccione….Ci tengo all’onore del casamento!59. Il fatto che il personaggio servile sia nello stesso tempo custode del previsto e dell’imprevedibile, del culto della rispettabilità borghese come delle potenze infere dell’immaginario, rilancia lo scioglimento della piece verso una sorta di comicità “nera”. 59 U.BOCCIONI, Il corpo che sale, in “Teatro futurista sintetico”, F.T.Marinetti, B.Corra, E.Settimelli, vol I, cit., p. 16 25 L’emblema del servo si associa all’immagine niciana del guardiano notturno, colui che sorveglia sulle cose sepolte ed è nemico della verità e della luce, è il cane da guardia, il tutelatore dell’identità e della persistenza. La figura del servo è dunque perseguita nelle sintesi futuriste entro una doppia polarità: attiva e passiva. In quanto personaggio agente, il Servo è il Sorvegliante Sinistro; in quanto personaggio agito, è il simbolo della morte vivente. Il servo è la contro-forza latente in ciascuno di noi, ciò che si oppone alle metamorfosi, al movimento della creatività. Se servire è insomma morire, rifiutarsi alla condizione servile è futuristicamente una delle modalità di verifica dell’istinto vitale. 26 SECONDO CAPITOLO DALLA SCENA ALLA PLATEA FISICOFOLLIA: UN NUOVO RAPPORTO TRA SCENA E PUBBLICO Il problema della partecipazione all’opera d’arte da parte del pubblico nasce nell’antichità, con il concetto di contemplazione, con la separazione tra azione ispirata, sacra e irrazionale, e fruizione. Anche nelle arti figurative dell’antica Grecia viene preso in considerazione l’aspetto della fruizione: Fidia realizzò una statua di Atea che doveva essere posta in cima ad una colonna, con la testa sproporzionatamente grossa, tenendo conto del punto di vista dell’osservatore. Il problema della partecipazione del fruitore all’oggetto d’arte verrà affrontato solo dopo il Rinascimento: si giunge alla consapevolezza che qualsiasi manifestazione artistica si compie solo nel contatto con il pubblico che la contempla e la “esegue”, infatti l’atto del percepire è necessariamente interpretativo e creativo al tempo stesso. Potremmo osservare che qualsiasi forma di “comunicazione” ha un interprete che ne codifica il senso in base a codici generali , e insieme ne ricrea il significato secondo una determinata prospettiva individuale; da ciò ne discende che qualsiasi opera è “aperta”. La questione del rapporto tra pubblico e platea in teatro verrà ampiamente affrontata dai drammaturghi futuristi. Infatti se di un teatro, di una messa in scena futurista si deve parlare, il pubblico ne sarà la componente fondamentale. Può darsi che un esame ravvicinato dei singoli testi scritti per il teatro dai futuristi riveli secondaria questa componente e consenta di leggere quegli scritti autonomamente dalla diretta provocazione dello spettatore: ma se si considera lo stesso testo come momento del montaggio che la serata o l’azione teatrale richiede, è subito evidente 27 che il pubblico è il deuteragonista ben previsto. O l’antagonista. La creatività che il teatro fisicamente promuove non si ferma, per i futuristi, al momento in cui lo spettatore percepisce, fruisce e introietta, partecipandovi, lo spettacolo. Questa creatività resta, o deve restare, una realtà permanente che consente, anche fuori del teatro, anche dopo l’evento, una diversa percezione, sensibilità e gusto dell’azione. Considerare esaurito nell’inscenamento il teatro è un limite: il limite rimproverato dai futuristi a simbolisti, decadenti e alla cultura borghese. Andare oltre, costringere gli spettatori a trovare collettivamente un grado di partecipazione in sintonia con le leggi del mondo moderno e quindi rendere irreversibile il processo di acquisizione del teatro futurista vorrà dire passare da una singola, individuata esperienza a un orizzonte che è oggettivo prima di essere collettivo. Per passare ad un orizzonte che prima di tutto è oggettivo, occorre rimuovere per prima cosa quella cultura dell’io che è stata la spina dorsale della letteratura e del teatro. Questa distruzione è possibile proprio perché in teatro, così come nella letteratura, c’è un’altra dimensione oggettiva, la materia, a cui fare riferimento. La materia è la matrice del movimento, dell’azione, del divenire, come verità altra. Perché si giunga a questa verità alternativa, il teatro, come la letteratura, deve abbattere ogni ritardo di partecipazione. Nel 1915 Marinetti è puntuale: “Noi osteggiamo ferocemente i critici, inutili e pericolosi sfruttatori, non il pubblico che vogliamo elevare ad una più alta comprensione di vita. Il pubblico ci ha spesso fraintesi … Il pubblico però ci comprenderà: è questione di energia: questa la possediamo”1 Parlando in generale la ricerca teatrale futurista ha due momenti: dalle serate futuriste all’esperienza sintetica è lo scontro fisico, la rissa, la violenza fomentata e vissuta a consentire quel processo di liberazione e partecipazione con cui ci si stacca da una realtà e si penetra in un’altra. L’ipotesi che materia e vita devono coincidere porta a una nozione di scontro, che per prima cosa testimonia l’abbandono di ogni 1 F.T.MARINETTI, 1915-in quest’anno futurista, in Teoria e invenzione futurista, Milano, 1968, p. 285 (il testo è in Guerra sola igiene del mondo, Milano 1915, e reca in realtà la data 29 novembre 1914) 28 posizione intellettualistica e culturalistica, testimoniando la realtà dell’azione e sottolineandone la creatività. Il teatro inscena la vita, e determina l’azione. Ma già a partire dalle indagine sintetiche, cioè dopo il 1915, l’opposizione non vita-vita, cultura-azione, assenza-presenza, determina in teatro un’indagine sul reale negativo che non si risolve solo in urto, antagonismo fisico, in violenza, ma in denuncia esasperata, in grottesco drammatico e, nella virulenza espressionistica della denuncia, trova la via ad esaltare una diversa realtà ormai acquisita. La violenza resta ma è assunta in proprio su se stesso dal personaggio, diventa una follia teatrale, e una mostruosità scenica. Tema notevole perché il singolo, impegnato nella partecipazione collettiva, interiorizzando il grottesco, finisce col creare una precisa incrinatura del progetto ottimistico futurista. Era importante che i futuristi si misurassero con questa dimensione autocritica per toccare il problema più generale della credibilità degli stessi protagonisti dell’avventura futurista: fossero quelli gli oggetti in scena o il pubblico cui ci si rivolgeva. Prampolini qualche anno più tardi sosterrà che “il teatro dovrà abbandonare quel carattere di eccezione sperimentale, di estemporaneità episodica per la vita del singolo per assumere la funzione di un organismo trascendente di educazione spirituale alla vita collettiva”2. Ma il teatro futurista, malgrado le sue dichiarazioni e un certo suo aspetto stilistico, non si costituirà mai tensione profetica, rivelatrice di ciò che non c’è, di utopia di realtà ora assente. Il futurismo vive nello scontro tra due realtà, tutte due ora egualmente presenti, ironizzata una esaltata l’altra, ma identicamente in funzione. Si tratta di promuovere l’una denunciando la falsa vita dell’altra: ma intanto la vita vera che si va proclamando già esiste, già è in atto. Il richiamo sarà ad una fatalità inarrestabile, dinamicamente futuribile, del nuovo che c’è già: e il richiamo consiste non tanto nell’esaltare la macchina, la produzione industriale, quanto nel comprendere l’estensione che esse comportano per un’esigenza di creatività individuale. O meglio di una creatività che soddisfa l’individualità portandola ad un più vasto grado oggettivo e totalitario. 2 E. PRAMPOLINI, L’atmosfera scenica futurista, in “Noi”, seconda serie, I, 1924, 6-9 29 Si è detto che il punto di arrivo dell’esperienza futurista è la sensibilità come fusione di sensibile fisico e non, e quindi la liberazione di esigenze profonde alienate e conculcate nella realtà attuale. Stando al teatro questa preoccupazione va colta in stretta fusione con la creazione di una macchina scenica capace di una razionalizzazione dei piani che l’esperienza mette in gioco e tale da rimuovere ogni ostacolo, ogni soluzione di continuità tra io e mondo, tra pubblico e mondo, ambedue completamente ricondotti entro la realtà che è la scena. Ed è proprio in questa realtà che il pubblico deve essere completamente calato: la scena diventa un campo d’indagine della vita, il quale offre allo spettatore le verità di una realtà che il presente, con le sue rivoluzioni, ha modificato, e le menzogne che questa cela. E così che lo spettatore diventa il traguardo più ambito da Marinetti e i suoi compagni: coinvolgere completamente il pubblico nello spettacolo. Il ruolo attivo del pubblico è evocato e richiesto già nelle prime esperienze futuriste: durante le serate il dicitore, al centro della scena, mira a dare alle sue parole un’ intonazione che colpisca , ecciti, persuada, e che determina la rappresentazione, l’inscenamento di un gesto, di un’azione, di una volontà contro la quale il pubblico deve urtare e con la quale fare i conti. L’obiettivo di queste “performance” è rendere palese il programma, il senso, l’intenzione, esasperati in formula, in tensione, della presenza e della “rivoluzione” futurista, attraverso il mezzo più efficace e diretto, ovvero lo scontro con il pubblico avente valenza liberatoria, che si esprime con invettive, lanci di ortaggi, insulti, cazzotti da parte degli spettatori. E’ con il Manifesto Il teatro di varietà (1913), scritto da Filippo Tommaso Marinetti, che la piena partecipazione del pubblico allo spettacolo viene teorizzata. Possiamo infatti leggere: “Il teatro di varietà è il solo che utilizzi la collaborazione del pubblico. Questo non vi rimane statico come uno stupido voyeur ma partecipa rumorosamente all’azione, cantando anch’esso, accompagnando l’orchestra, comunicando con motti imprevisti e dialoghi bizzarri cogli attori … Il teatro di Varietà utilizza il fumo dei sigari e delle sigarette per fondere l’atmosfera del pubblico con quella del palcoscenico. E poiché il pubblico collabora così colla 30 fantasia degli attori, l’azione si svolge ad un tempo sul palcoscenico, nei palchi e nella platea.”3 Il pubblico diventa l’oggetto artistico, anzi deve divenire il marchio dell’operazione artistica: nel senso che nel pubblico si identificano e si condensano i termini stessi della poetica futurista, quindi la conflittualità, la provocazione, il dinamismo, il vitalismo, l’intuizionismo. Gli spettacoli devono riuscire a creare una corrente di confidenza senza rispetto che secondo Marinetti doveva “trasfondere nel pubblico la vivacità dinamica di una nuova teatralità futurista”4. Solo in questo modo si può giungere a quella condizione che Marinetti definisce fisicofollia: una partecipazione prima di tutto fisica e poi mentale dello spettatore, che lo porti all’azione in quello stesso momento, e ad una reazione intellettiva nell’attimo in cui il luogo deputato del teatro viene abbandonato, perché si possa creare un filo continuo tra il “mondo” del teatro e il mondo reale, che porti ad una nuova concezione dello stesso. Dal punto di vista drammaturgico i futuristi trovano uno strumento per poter far raggiungere alla platea questa condizione: si tratta della “sorpresa”. Questa, come coefficiente decisivo di ogni atto teatrale, come coinvolgimento e straniamento insieme, può unire gli spettatori in uno spazio che va molto oltre lo spazio convenzionale entro il quale il teatro può e sa agire. Quindi la sorpresa diventa il motore dello spettacolo futurista, non tanto per ciò che rappresenta per se stessa, quanto perché è il mezzo più efficace per raggiungere il completo coinvolgimento del pubblico. Nel Manifesto Il teatro della Sorpresa5, Marinetti e Cangiullo ci spiegano gli obiettivi di questo nuovo espediente: “Nel teatro della Sorpresa la pietra della trovata che l’autore lancia dev’essere tale da: 3 F.T.MARINETTI, Il teatro di varietà, in “Lacerba”, 1 ottobre 1913. Il manifesto verrà pubblicato poi sul “Daily Mail” il 21 novembre 1913 4 F.T.MARINETTI, B.CORRA, E.SETTIMELLI, Il teatro futurista sintetico, Milano, 1915 5 F.T.MARINETTI,F.CANGIULLO, Il teatro della sorpresa, in “Il futurismo”, Milano 1921. Se ne ha una ristampa in F.CANGIULLO, Teatro della sorpresa, Livorno 1968, in cui sono raccolti ricordi e rievocazioni dello stesso Cangiullo 31 -colpire di sorpresa gioconda la sensibilità del pubblico; -suggerire una continuità di altre idee comicissime a guisa di acqua schizzata lontano, di cerchi concentrici di acqua, o di echi ripercossi; -provocare nel pubblico parole e atti assolutamente impreveduti, perché ogni sorpresa partorisca nuove sorprese in platea, nei palchi e nelle città la sera stessa, il giorno dopo, all’infinito.” Il risultato decisivo della sorpresa, quindi, è l’esito sul pubblico. A questo proposito possiamo ricordare il debutto della compagnia del Teatro della Sorpresa a Roma6, che segnò una delle più dure e esaltanti battaglie della pur incandescente storia del futurismo teatrale. Quella sera ci fu tutto esaurito. Il pubblico era uno di quei pubblici tanto vario nella sua composizione e tanto tipico delle manifestazioni futuriste, che costituiva la premessa per una battaglia senza esclusioni di colpi, e per la piena realizzazione di quell’operazione di coinvolgimento, che, come abbiamo visto, costituiva il principale obiettivo di Marinetti e dei suoi collaboratori. Marinetti si presentò per primo sul palcoscenico, elegantissimo nel suo frac, con l’intenzione di dare il segnale di inizio al complesso cerimoniale che apriva lo spettacolo, ma subito fu beccato da alcuni spettatori per il suo abbigliamento “passatista”. Prontissimo, egli ribattè con una significativa dichiarazione di ossequio al caffè-concerto: “Mi presento in frac non per rispetto al pubblico, ma per rispetto al caffè concerto, che è l’unica cosa rispettabile della vita”. Poi annunciò Cangiullo, che s’affacciò da un palco di proscenio, bacchetta in mano e aria fintamente ispirata da direttore d’orchestra. Un attimo di concentrazione e di silenzio sembrava richiedere Cangiullo, ma i fischi lacerarono l’aria. Imperterrito, egli alzò la bacchetta e diede il segnale d’inizio alla mini-orchestra (due violinisti e un trombettiere) che era sistemata in un palco dirimpetto. Le note musicali si unirono agli esercizi vocali del pubblico più polemico, ma, ormai, stava per scattare la prima sorpresa. Cielo e Ciglia, sintesi di De Angelis e di Cangiullo, scatenò immediatamente gli spettatori, che iniziarono un fittissimo e micidiale lancio di ortaggi di ogni genere. Da quel momento in poi, con la 6 Cfr G.ANTONUCCI, Lo spettacolo futurista in Italia, Roma, Studium, 1974, pp. 68-70 32 sola pausa imprevista di un numero parodistico di ballo, si restrinse sempre più lo spazio tra interpreti e spettatori: tutti i presenti, in diversa misura e sostenendo i più vari ruoli, collaborarono, consapevolmente, e non, agli esperimenti ideati da Marinetti, Cangiullo e De Angelis. E’ innegabile che le reazioni del pubblico sono l’indizio che il teatro futurista, in quegli anni, è in grado di sprigionare tutta la carica provocatoria e , soprattutto, conseguire in misura rilevante il fine ambizioso di infrangere lo spazio chiuso destinato alla rappresentazione. Infatti l’obiettivo del teatro futurista non è soltanto provocare lo spettatore, ma fare in modo che questa provocazione si dilati nello spazio e nel tempo: l’effetto scenico deve svilupparsi in uno spazio che dal punto di evento immediato si allontana fino ad uscire dallo stesso teatro e in un tempo che va dall’immediato, ancora, al domani, al tutto temporale, all’infinito. Se la sorpresa implica la sensazione-emozione dello spettatore, la sua risposta, questa avviene anche lontano dal soggetto che provoca la sorpresa, sul filo di una solidarietà spaziale e temporale che continua anche a distanza e si propaga. Dunque dilatazione spazio-temporale. Il che significa, da un lato fiducia nella coscienza generale di quel piano collettivo, coscienza comune di una realtà accertata, e, dall’altro, apertura del teatro ad un livello partecipativo ormai largamente ideale, fisico-spirituale. Che Marinetti insista sul valore antipsicologico di un simile teatro, vuol dire che la partecipazione del pubblico avviene ormai in condizioni tali che il ristagno individuale e l’evocazione del singolo sono superati. E’ non psicologico un teatro in cui anche la partecipazione non è più psicologica o fisica, con un tipo di empiria-sensualità che porta in primo piano l’io, ma è psichica, ideale, transmentale. Del resto l’oggettività di questa comunicazione, che coincide con l’oggettività del messaggio comunicato, implica un meccanismo teatrale, una macchina che è valida anche altrove rispetto al luogo in cui di fatto è messa in moto. 33 LA SCENA: IL NUOVO PERSONAGGIO FUTURISTA “Mentre il teatro attuale esalta la vita interna, la meditazione professorale, la biblioteca, il museo, le lotte monotone della coscienza, le analisi stupide dei sentimenti, insomma la psicologia, il Teatro di Varietà esalta l’azione, l’eroismo; la vita all’aria aperta, la destrezza, l’autorità dell’istinto e dell’intuizione. Alla psicologia oppone ciò che io chiamo la fisicofollia”7. Con queste parole Marinetti presenta la sua nuova idea di drammaturgia, nel 1913; nuovi drammi in cui il personaggio futurista presenta una morfologia antiletteraria e antipsicologica. Là dove Pirandello, utilizzando la psicologia come luogo dell’impossibilità (impossibilità a codificare il flusso della coscienza) farà deflagrare il mito drammaturgico del “carattere”, mediante cui la teatralità sette-ottocentesca pretendeva di convogliare i vari reperti analitici entro la sovranità di un Io unificatore, i futuristi invertiranno l’asse di marcia. La morfologia del personaggio futurista ricorda infatti il tipo della Commedia dell’Arte, la sua struttura eminentemente gestuale e visiva, antipsicologica e antiletteraria. Si tratta di un personaggio tutto in luce, offerto come indice la cui riconoscibilità è tanto più immediata quanto più costruita su cifre iperboliche. L’iperbole è infatti la caratteristica dominante della didascalia futurista, la cui stessa proliferazione (molte sintesi futuriste sono proposte come pura didascalia) è indizio di una volontà di sostituzione del verbale col visuale, del rallentamento dialogico con la fulmineità dell’azione. Così se da un lato è la caricatura che definisce il personaggio, riportandone il valore emblematico a indici di immediata decifrazione, altrove è alla sequenza dei superlativi assoluti che il procedimento d’intensificazione si affida, come è il caso di questa didascalia marinettiana in cui al mondo della Cocotte è deputato il compito di 7 F.T.MARINETTI, Il teatro di varietà, cit. 34 contraltare della mediocrità borghese: “Davanti alla libreria, a breve distanza da questa, una toletta ricchissima, illuminatissima, con specchi e candelabri, carica di tutte le boccette, di tutti i vasetti e di tutti gli arnesi di cui si serve una donna elegantissima. Una proiezione intensissima di luce elettrica avvolge questa tolett, alla quale sta seduta una giovane Cocotte molto bella ...”8. D’altra parte raramente i personaggi hanno un’identità anagrafica, segnalatrice d’individualità. Essi sono piuttosto Il poeta, Il critico, Il portinaio, Il giovane,ecc, dunque dei prototipi, oppure quando l’indice denominativo sembra apparentemente convergere verso cadenze individualizzanti, esso si scopre alla fine ulteriore consolidamento dello stereotipo da veicolare. Quel che contraddistingue il personaggio futurista ad un primo sguardo è in definitiva il suo offrirsi attraverso modalità squisitamente percettive. Egli è esattamente quel che appare, quel che si palesa all’occhio. Dietro l’evidenza dei suoi indici fisico-corporei, nessun spazio si apre che rinvii ad una realtà occultata spirituale, spazio della sovranità del Discorso la cui stessa immaterialità sia garanzia di penetrazione psicologica. Dietro il personaggio non sta un mondo a cui la corporeità fa velo, mondo del Dentro e della privacy, per la cui comprensione è necessario un duro lavoro d’ermeneutica. L’ermeneutica rimanda alla parola, all’ambiguità di un significante che nell’atto stesso di tradurre un’emozione, anziché spiegarne il senso, rinvia a una parola aggiuntiva, al rallentamento della sequenza logica. Per questo alla degradazione della parola è demandato lo forzo più evidente della scrittura drammaturgica futurista. Innanzitutto come degradazione della parola letteraria, della sua pretesa di gestire le coordinate dello spazio teatrale, trasformando la scena nel duplicato della pagina. La scena non è un libro dove della vita esce un’immagine rifratta e mediata. La scena è lo spazio della physis, incontro-scontro di oggetti e di corpi, di luci e di suoni, quindi il Manifesto del Teatro Sintetico può con ragione ribadire “l’invincibile 8 F.T.MARINETTI, Simultaneità, in F.T.Marinetti, Teatro, cit. 35 ripugnanza per il lavoro fatto a tavolino, a priori, senza tener conto dell’ambiente in cui dovrà essere rappresentato”, sottolineando come la maggior parte delle pieces futuriste “sia scritta in teatro”. La parola letteraria è viceversa la scrittura, l’antitesi del gesto vivente. Cancellarne il primato, vuole dire rifiutarsi dell’assunzione della parola, come segno-guida del progetto teatrale, la parola come significante privilegiato intorno a cui gli elementi visivi e spaziali si distendono in qualità di presenze dotate di un mero potere aggiuntivo. Ridurre l’importanza della parola, far sì, come giustamente ha rilevato il Calendoli, che essa non assurgesse “quasi mai a un’autonomia espressiva”9, voleva dire rovesciare l’impianto drammaturgico tradizionale, fare della scena non la cassa di risonanza della parola, ma il luogo dove il segno verbale è esso stesso assorbito in una globale strategia del gesto, divenendo ora un segno vitalizzato al pari dell’immagine, del corpo, del rumore, ora un semplice sussidio della trama cineticavisiva. Tale strategia conosce un massimo e un minimo di consapevolezza ed intensità. Ma a parte certe cadute su cascami linguistici di ascendenza tardo-simbolista- spesso si tratta di citazioni parodistiche a intendimento demistificante- quel che a prima vista contraddistingue la scrittura drammaturgica futurista è la straordinaria povertà espressiva del linguaggio, la sua ostentata rinuncia alla funzione poetica e il suo contemporaneo rifluire su brandelli di dimessa colloquialità. E’ come se lo scarto tra langue e parole tendesse ad essere abolito a favore della prima, col risultato di una partitura dialogica bassamente referenziale dove il segno verbale, in forza del suo costituirsi come semplice ribadimento di indici già esplicitati in sede gestuale e visiva, viene spesso ad assumere un singolare carattere di ridondanza. Se in questo caso la parola, anziché supporto dell’azione, tende a divenire il commento, limitandosi a tallonare una significazione già acquisita in altra sede, altrove essa diviene il luogo della “chiacchiera”, dell’estenuarsi della 9 G.CALENDOLI, Introduzione a Teatro” di F.T.Marinetti, cit., p. XXXV 36 comunicazione in formule convenzionali il cui oggetto, in mancanza di ulteriori indici vitali, è il mantenimento della comunicazione stessa, con una iperfetazione della funzione fatica10: “VECCHIO- Come state? VECCHIA-Mi contento. E voi come state? VECCHIOMi contento! (pausa). Che bella giornata sarà domani! Avete digerito bene? VECCHIA- Mi contento…”11. Altrove, come in Vengono di Marinetti, è viceversa la funzione conativa a coprire pressoché l’intero campo della strumentazione linguistica, con una incentivazione massima del ritmo della piece, dovuta alla fulmineità con cui i rapidissimi inserti verbali scandiscono l’apertura-chiusura del reticolo gestuale e visivo. Ma è proprio questa povertà della parola, questo suo appiattimento e questa sua degradazione, ad assicurare una straordinaria flessibilità al personaggio, la stessa che, facendolo divenire utensile nel senso pieno del termine, gli consente di esprimersi in termini immediatamente spaziali, di sottoporsi, oggetto tra gli oggetti, o corporeità tra altre corporeità, al gioco avvolgente dei suoni, delle immagini, delle luci, dei colori. Non inceppato dal potere centripeto della profondità psicologica, che pretenderebbe di gestire in proprio l’azione, promuovendola ad epifania del Dentro, egli è libero di esternare la propria fisicofollia, “di abbracciare la vita stessa della materia”. Se la psicologia rinvia al “piombo della logica”, la fisicità è il leggero, l’aereo, il danzante: e non a caso nella drammaturgia futurista alla materializzazione del personaggio antropomorfo corrisponde l’animazione dell’oggetto, in un interscambio dove a funzionare da guida è ancora una volta la volontà di aggiramento delle vecchie categorie oppositive di corpo e di spirito, per la distillazione di una comune, totalizzante, nozione di energia. Nella misura in cui a promuoverlo è un gesto d’accensione vitale- il gesto che crea la sorpresa, la trovata, l’apparizione dell’incongruo e dell’imprevisto- quanto di 10 11 Cfr R.JACKOBSON, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 188 B.CORRA, E.SETTIMELLI, Passatismo, in “Il teatro futurista sintetico”,vol.I, cit., p. 41 37 marionettistico e di burattinesco contraddistingue il personaggio futurista resta l’antipodo della rigidità. Smontabile e rimontabile, estremamente fungibile, il personaggio nasconde dietro alla sua povertà, la sua straordinaria ricchezza, che è poi la sua duttilità a inseguire gli slanci dell’intuizione creatrice, a offrirsi come materiale di gioco, senza pudori, resistenze, inutili nostalgie. Se il personaggio a tutto tondo, il carattere del teatro tradizionale, resta figlio della diacronia che presiede al suo sviluppo, e dunque del procedimento sequenzialeaccrescitivo, del nesso causa-effetto, qui nessun passato preme alle spalle col suo retaggio di prevedibilità; lo spazio di gioco è pienamente offerto alla discontinuità, alla frammentazione, alla frantumazione, alla casualità, alla caoticità. E’ esattamente questo che Chiti vuole evidenziare, quando, commentando le caratteristiche del nuovo teatro scrive “…La violenza del futurismo porterà alla ribalta la sintesi, l’accozzo impensabile, la pazzia geniale. La satira sarà rappresentata sfacciatamente, senza corruzioni letterarie; sarà data libertà ai pensieri prepotenti che s’impadroniscono a tradimento anche delle menti più categoriche. Il pubblico può divertirsi più che pensare davanti a questo grottesco; potrà sghignazzare; sarà la bestialità dei nostri nervi violenti toccata da questa rappresentazione pseudo-leggera e aberrata, crudelmente disarmonica con le vecchie consuetudini; ma dovrà ricordarsi in fondo della verità filosofica di ciò che vede. Sono certo che il pubblico folle riderà inconsciamente e sgangherato sulla tragedia della propria vita messa a nudo… Del resto la frenesia futurista è la miglior beffa alla noia, alla malinconia. Io voglio vedere il destino avvilito, la vita spezzata col suo mistero e ricomposta a capriccio del futurista”12. Farsi portatore sulla scena dell’accozzo impensabile, della pazzia geniale, con una radicalità d’intervento polarizzata più sul sistema nervoso che sulle regioni del pensiero; alimentare con iniezioni di vitalità un riso corrosivo volto a stimolare una comportamentistica del tutto incompatibile con le vecchie consuetudini: questa la 12 R.CHITI, I creatori del teatro futurista, in M.VERDONE, Teatro italiano d’avanguardia, Roma, Ed.Officina, 1970, p. 39 38 globale strategia del personaggio, la cui stessa flessibilità e disponibilità all’apertura ha consentito alla teatralità futurista, come giustamente ha sottolineato Kirby, di “anticipare quasi tutte le tendenze che caratterizzeranno la drammaturgia successiva”13. Un personaggio, dunque, quello futurista, teso a costituirsi intorno a una modalità cinetico-visiva, con un livore anti-intellettualistico e anti-letterario, di cui la degradazione della parola è solo una delle spie più evidenti. Ma degradare la parola è non solo cancellarne l’egemonia sottraendosi al meccanismo costrittore della sequenzialità logica: è anche rilanciare il segno verbale come gesto fonetico, come grido, come onomatopea, anticipando la lezione di Artaud. Che cosa sono infatti il “runio clacla rimirirì” di Marinetti 14, il “brututum zum pum”15 di Carli, se non tentativi di rendere la cifra pura dell’emozione, inserti glosso poietici in cui “l’articolazione non è più il grido ma non è ancora il discorso, la ripetizione è quasi impossibile, e con essa la lingua in generale”16. Arriviamo così a uno degli esiti più interessanti della sperimentazione teatrale futurista, a testi come Sconcertazione di stati d’animo di Balla o a Colori di Depero, dove la partitura vocale diviene intonazione e grido, proiettile fonetico lanciato nello spazio, gesto che ingloba o interseca altre gestualità, entro un maximum di fisicizzazione per cui, come risulta dalla proposta balliana, l’atto di scandire fonemi acquista la stessa consistenza oggettuale del “levarsi il cappello, guardare l’orologio, aprire l’ombrello, leggere il giornale”17, e cioè del materiale gestico utilizzato dalle quattro presenze simultaneamente agenti sulla scena. In questo modo le coordinate che abbiamo visto presiedere alla conformazione dell’immaginario futurista tendono a riverberarsi sulla morfologia e funzione del personaggio teatrale. L’opposizione manichea tra emblemi notturni e emblemi vitali; la funzione conservatrice e inghiottito ria degli uni contro cui si esercita l’aggressività 13 M.KIRBY, Futurist performance, New York-Toronto-Vancouver, Dutton, 1971, p. 44 F.T.MARINETTI, Runio Clacla, in F.T.Marinetti, Teatro, cit., pp. 405-406 15 M.CARLI, Stati d’animo,, in F.T.Marinetti, Teatro Futurista Sintetico, vol. II, p.32 16 J.DERRIDA, L’ecriture et la difference, Paris, Seuil, 1967, p. 352 17 G.BALLA, Sconcertazione di stati d’animo, cfr M.VERDONE, Teatro italiano d’avanguardia, cit., p. 47 14 39 e la tensione centrifuga degli altri;infine la stessa modalità antipsicologistica, antiletteraria e sostanzialmente cinetico-visiva con cui è tratteggiato il personaggio, segno della preponderanza del gesto, della sintesi e del ritmo frantumato dell’azione sugli indugi analitici della partitura dialogica tradizionale, ne sono gli indici più clamorosi. Al miope ossequio ai criteri dell’ordine, della sequenzialità, della verosomiglianza, di cui la tecnica compositiva, la logica, il principio di realtà sono gli apriori insidiosi, subentra l’apologia dell’originalità inventiva, del procedimento innovatore, dell’artificio formale. E poiché la forma, una volta assunta a modello,una volta inghiottita dal meccanismo della ripetizione , diviene una modalità del centripeto, quell’autonomia dell’opera d’arte di cui si fa latore il Teatro Sintetico, quel principio secondo cui la sintesi teatrale “non somiglierà che a se stessa”, si rivolge innanzi tutto contro l’opera stessa , imponendone il superamento. Salvaguardare quella particolare forma di gesto vitale che è il gesto artistico, affermarne l’unicità, vuol dire infatti concedersi all’imperativo della negazione. La forza e la forma; l’ascesa e il moto discendente: dicotomie che nell’atto stesso di determinare il ritmo del gesto futurista, ne denunciano il tema di fondo, e cioè la volontà di tramutare la negazione, l’infinita negatività del negativo, in potenza d’affermazione. 40 TERZO CAPITOLO UN TEATRO PER GLI OCCHI LA “SCENOTECNICA” FUTURISTA Se tentiamo di comprendere la nascita e lo sviluppo della scenografia futurista incontreremo molte difficoltà. Le fonti da cui possiamo attingere per tentare di fare una ricostruzione storica sono fotografie; naturalmente esse sono in bianco e nero. A complicare il nostro percorso di studi è la quantità di documenti che abbiamo a disposizione: pochi sono i ricordi delle prime e anche più importanti performance; e questi possono solo suggerirci il sequenziale sviluppo, discesa e movimento delle scoperte scenografiche futuriste. Naturalmente da questi reperti è difficile stabilire le scelte tecniche di questi pittori-architetti: spesso non riusciamo a distinguere se lo scenografo voglia realizzare uno spazio tridimensionale o semplicemente uno sfondo dipinto che suggerisse la profondità. Se utilizziamo un approccio storico, possiamo partire dal fatto che molte performance futuriste sono state rappresentate da compagnie di giro. Nel 1915 e nel 1916 le compagnie di Ettore Pratolini, Annibale Ninchi, Gualtiero Tumiati ed Ettore Berti rappresentano programmi di sintesi nelle principali città italiane. Le compagnie di giro con i loro budget molto ridotti, probabilmente, trasportano con loro scenari molto semplici. Le sintesi di questi anni sembrano essere state rappresentate su palcoscenici neutri con pochi pezzi di arredo, usando raramente un fondale e combinando tra loro i pochi pezzi a disposizione. Quando la scena prevede anche un fondale, questo viene dipinto in uno stile cubista in qualche modo mutato. Sebbene, infatti, i pittori futuristi sono influenzati dal Cubismo, c’è una chiara differenza: mentre infatti il Cubismo mira a presentare punti di vista o aspetti simultanei di un 41 dato soggetto, la pittura futurista, utilizzando mezzi stilistici simili, tenta di mostrare il movimento che implica un’estensione nel tempo. Quindi possiamo dedurre che le prime messe in scena delle sintesi futuriste non hanno dato un significativo contributo alla scenotecnica. Il forte interesse per il dinamismo e per la velocità è già completamente espresso nell’iniziale manifesto del Futurismo. In un passaggio spesso citato si legge: “Una macchina che corre è più bella della Vittoria di Samotracia”1 In queste parole è evidente il richiamo alle teorie di uno degli uomini più importanti del teatro del Novecento, Gordon Craig. Questi ha già dato primaria importanza al movimento nell’ articolo, il cui titolo probabilmente è sembrato straordinario a Marinetti e forse ne è stato influenzato, Gli Artisti del Teatro del Futuro, pubblicato in due parti sulla sua rivista “The Mask” nel 1908 e ripubblicato nel 1911 sul suo libro, Sull’arte del teatro. “Mi piace ricordare- scrive Craig- che ogni cosa nasce dal movimento, persino la musica; e mi piace pensare che è nostro onore assoluto essere ministri di questa forza suprema … il Movimento”2 “Mi piace supporre- dice nello stesso articolo del 1908- che quest’arte che nascerà dal movimento, sarà la prima e ultima fede del mondo”3 Se possiamo mettere in dubbio l’influenza di Craig sul primo manifesto futurista, invece siamo certi del grande effetto che le sue parole ebbero sulla scenografia futurista, soprattutto sulle teorie di Prampolini. Prampolini è la figura più importante nella scenografia futurista. Oltre ad essere un drammaturgo, un regista e un pittore molto stimato, ha progettato più di centotrenta realizzazioni sceniche . Sebbene il linguaggio di Prampolini appare più energico e decisivo, Craig ha già prefigurato il concetto base della scenografia cinetica. Nel gennaio del 1908 mostra una serie di incisioni a Firenze che mostrano i notissimi “screen”, che danno vita ad 1 F.T.MARINETTI, Manifesto iniziale del futurismo,in “Le Figaro”, 20 febbraio 1909, Parigi G.CRAIG, The artists of the Theatre of the future, in “The Mask”, maggio-giugno 1908, cit. p.68 3 Ibidem, cit. p.70 2 42 una scena trasformabile senza fine nella quale il movimento degli elementi fisici è una parte importante della performance.4 Naturalmente le incisioni non possono mostrarci il movimento, rappresentando solo i singoli momenti nella progressione del cambiamento degli spazi, delle forme e delle luci. Se si legge attentamente la prefazione al catalogo (contenente le incisioni), si ricava l’immagine di una scena cinetica, dove il movimento impersonale è l’essenza della performance. La prefazione (e le incisioni) ci descrive una scena vuota, senza pareti. Il movimento inizia al centro dello spazio: “Proprio mentre aspettiamo di vedere qualcosa, al centro del vuoto un singolo atomo sembra muoversi … si estende”.5 Le figure cominciano a sollevarsi: “Una semplice e austera forma si innalza con molta pazienza come il risveglio del pensiero nel sogno. Una seconda e una terza sembrano seguirla”6. Poi colonne quadrate presenti nei disegni di Craig cominciano ad estendersi come schermi: “Guarda lì ad est! Qualcosa sembra aprirsi, qualcosa piegarsi. Lentamente, senza fretta, piega dopo piega si scioglie e si aggancia ad un altro ancora”7. Il movimento delle forme e il cambiamento degli spazi e dei volumi danno inizio alla performance senza attori. “ Le forme continuano ad apparire in una progressione senza fine mentre le pieghe ancora si spiegano e ripiegano … qualcuna levandosi, altre ricadendo … un’altra passando e ripassando”8. Prampolini è una figura decisiva nella storia del Futurismo soprattutto per aver redatto il primo manifesto della scenografia futurista. Il manifesto Scenografia e coreografia futurista9 compare nel 1915. I problemi attraverso i quali il pittore giunge al teatro sono legati al movimento e al colore. Movimento che non nasce “da un’esigenza ludica o spettacolare, … quanto dall’esigenza di natura euristica di cogliere nei modi più diretti possibili il 4 Cfr D. BABLET, Edward Gordon Craig, in Il libro dell’arte del teatro, New York, 1966, pp.117-122 G.CRAIG, Motion: Being the preface to the Portfolio of Etchings by Gordon Craig, in “The Mask”, dicembre 1908, cit.p.185 6 Ibidem 7 Ibidem 8 Ibidem 9 E.PRAMPOLINI, Scenografia e coreografia futurista, in “La Balza”, marzo 1915 5 43 dinamismo segreto della realtà10” e colore, come ha scritto in un manifesto anteriore, La cromofonia11, del 1913, come “percezione della sensibilità ottica”. Parallelo a queste ricerche è un altro manifesto, Un’arte nuova? Costruzione assoluta di moto-rumore12, datato marzo 1915, in cui è posto il problema di esprimere globalmente le sensazioni derivate dal mondo moderno attraverso costruzioni che attingono alle varie arti, così da comprendere ed esprimere “con equivalenti astratti la sensazione, l’emozione, suscitate da un qualunque elemento realistico” Si tratta di “complessi plastici, o costruzioni assolute di moto-rumore”,esse stesse “attrici del dramma”. Prampolini mette così realmente in moto le “armature plastiche e cromatiche di queste costruzioni assolute che appunto muovendosi determinano il dramma plastico di un rumore”13. I punti che, al momento del manifesto teatrale, Prampolini ha ben precisati sono il rifiuto della psicologia individuale nell’elaborare l’opera e l’oggettività di quest’ultima. Il teatro è, a quel punto un buon termine di riferimento, in quanto consente di inscenare una realtà autonoma , e con mezzi estetici propri. Il palcoscenico, inoltre, ha una sua verità emozionale, un proprio spazio capace di reggere l’attività teatrale come fabbrica di emozioni, che diventa quasi area metafisica in cui ogni distacco realistico è ingigantito ed esaltato. Non si tratta di seguire un testo e prolungarne determinate valenze fino a fare del teatro una rivelazione interna al testo stesso approfondito e dilatato: qui si tratta di determinare un evento che vada oltre ai vari linguaggi e alle varie forme di visualizzazione del testo, inglobandoli tutti, e vada oltre essendo solo azione teatrale. I punti decisivi del manifesto Scenografia e coreografia futurista si richiamano ai due presupposti comuni a Prampolini: astrazione oggettiva del colore e della scena che si costituiscono come realtà intrinseca alla parola e al gesto, ma che “né la parola del poeta né il gesto dell’attore possono esaltare”, e una dinamica che è 10 F.MENNA, Prampolini, Roma, 1967, cit. pp86 sg . In questa monografia si veda il capitolo La visualizzazione del movimento e problemi del teatro, pp. 85 sgg. 11 E.PRAMPOLINI, La cromofonia e il valore degli spostamenti atmosferici, in “L’artista moderno”, Roma, 1913 12 Il manifesto compare in “L’artista moderno”, XIV, marzo 1915, pp. 149 sgg. 13 Ibidem 44 strutturazione, architettura, “sintesi assoluta dell’espressione materiale della scena, cioè non sintesi pittorica di ogni elemento, ma sintesi ed esclusione di quegli elementi che compongono l’architettura scenica quando essi siano incapaci di produrre nuove sensazioni”14. Stando così le cose si tratta di “innovare” e “creare” la scena su principi tecnici completamente nuovi. I quali trasformano l’inscenamento dalla messa in opera della rappresentazione di un qualche testo in creazione della scena come organismo autonomo e vitale. Bisogna intento innovare la scena: “Il carattere assolutamente nuovo che assumerà la scena con questa mia innovazione è dato dall’abolizione della scena dipinta. La scena non sarà più uno sfondo colorato, ma un’architettura elettromeccanica incolore, vivificata da emanazioni cromatiche di fonte luminosa generate da riflettori elettrici dai vetri multicolori disposti, coordinati analogamente alla psiche che ogni azione scenica richiede15. Conseguenza necessaria il creare una scena nuova: “Se nel paragrafo precedente ho manifestato, propugnato il concetto di una scena dinamica in contrapposizione alla scena statica di una volta, nei principi fondamentali che adesso esporrò, non solo intendo portare la scena all’espressione più avanzata, ma attribuirle quei valori vitali suoi propri che finora le mancavano, che nessuno prima di oggi aveva potuto darle. Invertiamo le parti della scena illuminante: espressione luminosa che irradierà con tutta la sua potenza emotiva i colori richiesti dall’azione teatrale16.” L’attenzione dei futuristi, quindi, non si concentra solo su una scena dinamica data da elementi fisici in movimento, ma anche sui giochi di luci. Quando Prampolini parla di “palcoscenico illuminante” intende uno scenario che non semplicemente si muove ma che è fatto di materiali come tubi al neon che si illuminano con la loro 14 E.PRAMPOLINI, Scenografia e coreografia futurista, cit. Ibidem 16 Ibidem 15 45 luce. Le luci quindi diventano un elemento fondamentale nella scenografia, che “daranno risultati meravigliosi di mutuale permeazione, di intersezioni di luci e ombre”. Piuttosto che stabilire un modo, un significato simbolico, o delle specificità visuali di uno spazio particolare, le luci acquisiscono con i futuristi un loro carattere autonomo come elementi attivi nella performance. Lo studio e le ricerche di nuove soluzioni scenografiche accomunano Prampolini con altri artisti futuristi, come Giacomo Balla e Fortunato Depero. Il momento decisivo dei rapporti di Balla con la scenografia sarà l’allestimento del balletto Feu D’artefice17 di Stravinskij per i Balletti Russi di Djaghilev al Teatro Costanzi di Roma il 12 aprile 1917. Non si tratta né di un dramma, né di un’opera lirica o di un balletto, è semplicemente una composizione musicale, senza trama né caratteri. Balla dà vita ad una performance priva di ballerini, interamente affidata alla luce, al suono, e all’evocazione plastica. Possiamo ricostruire l’evento attraverso la testimonianza di Margherita Sarfatti, che dà con estrema precisione il senso della serata: “Dramma cromatico = traduzione in colori di un sistema di passioni, concentrati in un sistema di immagini, in un’azione. Esempio: sul palcoscenico si svolge un’azione ( pura azione, senza parole, mimica). Al posto occupato dall’orchestra nel dramma musicale, stanno degli strumenti (a riflettore) atti a produrre tutti i colori semplici. Durante lo svolgimento dell’azione sul palcoscenico, questa orchestra cromatica inonda il teatro di luci diverse, che si svolgono in motivi: questi motivi cromatici devono esprimere le situazioni e i caratteri del dramma mimico”18 Balla costruisce nella buca del suggeritore una “tastiera” con la quale governa le luci, così che può vedere e ascoltare la performance mentre si occupa dei giochi di luce. Le sue note per il funzionamento dell’illuminazione ci propongono quarantanove ambientazioni diverse con un numero maggiore di cambiamenti delle luci. Dato che la performance dura circa cinque minuti, c’è un cambiamento 17 Vedi figure n. 2, 3, 4, pp. 90-91 M.SARFATTI, Nuove correnti d’arte italiana, Milano s.d. . Il testo è stato riletto da E.CRISPOLTI, Il mito della macchina e altri temi del futurismo, Trapani 1969, pp. 220 sgg 18 46 dell’illuminazione ogni cinque secondi. Le possibilità dell’illuminazione comprendono varie combinazioni di illuminazione esterna delle forme solide, di illuminazione interna di sfondi traslucenti, e illuminazione del fondale nero. Lo spettacolo vive, quindi, dell’assenza di personaggi, del vuoto che si viene a creare in scena e del dinamismo luce – colore - plasticità che la scena compone e anima. L’assenza, svuotando di un polo di riferimento troppo intenso il palcoscenico, rivela dentro la scena stessa gli elementi dinamico – strutturali della realtà, o almeno dell’evento che si pone come realtà L’origine, in Balla, di un interesse coloristico – luminoso è di ordine simbolista – secessionista ( il dramma come tensione emotiva, espressa nell’oggettività dei colori) e la sua matrice sta in un trascrizione psicologica estranea da intenti narrativi – biografici. Possiamo intravedere in queste idee di Balla l’influenza di Corra e Ginna, autori di un opuscolo elaborato tra il 1910 e il 1911, Paradosso dell’ arte dell’avvenire in cui leggiamo: “Appariranno sul palcoscenico non scenari dipinti, né persone, ma nient’altro che delle forme. Costruzioni in legno e di stoffa, a punta, a cono rovesciato, mostruosità geometriche, mezzo sferiche e mezzo cilindriche, come le creature mitiche della favola, metà umani e metà bestiali; organate secondo un’architettura alogica , e nel senso proprio della parola, eccentrica, proietteranno sulla scena ombre e luci asimmetriche. Continui giochi di luce e sbattimenti d’ombra variate, raggi colorati di riflettori elettrici potentissimi, imprimeranno espressione di mutevole dinamica alla statica dell’apparecchi scenico. Il singolare spettacolo dura non più di cinque minuti ed è composto esclusivamente da dalle due vibrazioni dell’etere, onde luminose e onde acustiche, concorrenti attraverso l’occhio e l’orecchio a determinare nel riguardante la suggestione magnetica di stati di sensibilità ora lieti, ora tristi, ora di agitazione, ora di riposo19.” 19 Il testo è edito nel 1910 e poi riedito nell’11. Cfr M.VERDONE, Cinema e letteratura del futurismo, Ed. Bianco e Nero, Roma, 1968, cit. pp174 sgg 47 E’ un passo importante per Balla, perché questi non rinuncia ad un’obiettività psicologica della luce e del colore come “caratteri” del dramma: la suggestione che coinvolge lo spettatore in un valore autonomo, emozionante allo stesso modo, ma astratto rispetto alla realtà fisica delle passioni, rimane il suo scopo finale. Quindi abbiamo di nuovo una sostituzione e la costruzione di luce – colore. E colore e luce vivono sulla scena, sono cioè dramma, in relazione sistematica e coordinata. Luce e colore funzionano a un doppio livello : esaltati nella presa ottica per ciascuno dei momenti in cui si manifestano , e fusi in una banda di cromaticità costante come compresenza di tutti i colori e di tutte le intensità. Su questa linea va valutata, nel balletto di Balla, la presenza di organismi plastici entro la dinamica luce – colore. La funzione è quella di dar sostanza e tensione, e spessore di forma, a una presenza indefinita ma continua. Il continuo, che si compone sotto e durante l’esplosione momentanea delle accensioni e della pirotecnica luminosa, sostituisce assai bene la presenza del ballerino, e ne elimina il significato portante. Con un dato in più: che impone alla scena una sorta di respiro profondo, che dalla profondità reale ed emotiva dello spazio vuoto che viene suggerita consente di trarre le persuasione di un volume, della certezza che non si esaurisce nell’esplosione gioiosa e ottimistica, anzi, la rinforza. Non solo ma meraviglioso ed evidente, magico e certo si incrociano a dare forza all’azione: la scena, come dimensione di vuoto umano, ritrova, teatralmente, una verità insieme magico – fantastica e fisico – percettiva che rischiava di andar perduta nelle altre esperienze dei balletti russi, in cui unica preoccupazione resta il quadro in movimento, l’intuizione tutta bidimensionale. Mai andata in scena, ma di cui abbiamo notizie grazie al critico Virgilio Marchi, è Macchina Tipografica , azione scenica del 191420. L’apparato si riduce a un’enorme scritta TIPOGRAFICA sul fondale e sulle quinte: dodici personaggi – macchina compiono gesti meccanici, a scatto e declamano “rumori” in una sorta di onomatopea rumoristica. Il tutto, a badare ai disegni, appare una tavola parolibera spettacolarizzata e resa nel suo dinamismo tridimensionale. 20 V.MARCHI, in “La Stirpe”, marzo 1928. Cfr FAGIOLO DELL’ARCO , Ricostruzione futurista dell’universo, Ed. Bulzoni, Roma, 1968, pp. 82 sg. Vedi figure n. 5,6, p.92 48 Altra sensazione si ha rileggendo la piccola cronaca di Virgilio Marchi che si riferisce ad un’improvvisazione più tarda dell’azione di Macchina Tipografica, nel 1916. Qui ciò che conta è l’inserimento nella situazione scenica, come appare nei disegni, di un’improvvisazione di suoni, voci, rumori che dà vitalità alla situazione del meccanismo tipografico. Il quale fa, quindi, da premessa all’esplosione creazionistica dell’improvvisazione. Scrive Marchi: “Una sera ci recammo tutti nel salotto di Djaghilev e di Semenoff per decidere le sorti della scelta del Feu d’artifice o del Balletto tipografico invenzione meccanica di Giacomo Balla. Per quest’ultimo l’autore ci dispose in ordine geometrico e con l’immancabile bastone grigio-quadro dirigeva i movimenti macchinistici e i gesti che ognuno di noi doveva compiere per rappresentare l’anima dei singoli pezzi d’una rotativa da giornale. Io fui adibito ad uno “STA” reiterato e violento da compiere con un braccio, ginnasticamente, che mi pareva essere nel cortile di caserma all’istruzione. Balla, inutile dirlo, s’era riservato i sibili, l’onomatopeie, le verbalizzazioni più delicate che uscivano dalle sue labbra inframezzate a quel memorabile “ neh” piemontese ed allo sturacciolare di bottiglie di Frascati che faceva l’impenitente e barbuto Semenoff, che mandavano tutto in un grottesco intelligentissimo e molto divertente” Anche Depero, come Balla, è coinvolto nella tournèe italiana di Djaghilev. Ma già prima del 1916, quando riceve la commissione di scene, costumi, e accessori di un’altra partitura di Stravinskij, Le chant du rossignol, ha composto una sintesi, Colori, che costituisce la proposta di “un ordine teatrale del tutto nuovo impostato sull’astrazione totale21”. Colori inscena quattro entità cromatiche e plastiche, che agiscono in uno spazio prospettico puramente coloristico e pronunciano solo suoni, intonati per natura e timbro alle rispettive essenze di cromia. Quest’indagine sul cromatismo ha il suo punto forte in Corra e Ginna. Proprio nel 1915 Ginna parla di “una potenza della linea colore e forma che è nella loro natura 21 B.PASSAMANI, Depero e la scena: da “Colori” alla scena mobile. 1916-1930, Torino, 1970, p. 32 49 occulta” e ne deduce che “la linea, il colore, la forma hanno una potenza in loro stessi, al di fuori di qualsiasi esperienza acquisita”22. E’ un’indagine, cioè, che mira a sottolineare da un lato il valore che è proprio al cromatismo in se stesso, come alla linea e alla forma; dall’altro lato sottolinea la potenza esercitata da linea, forma, colore, una volta realizzati, montati, costruiti come drammaticità dinamica, come scena. La scena ha, quindi, la capacità di mettere in moto questa potenza e il fatto di “agirla” rivela le connessioni di valore che sono implicite ai colori come un mondo altrimenti inattingibile e inattuabile. Il legame con Balla si fa sentire anche nella preparazione dei costumi per Djaghilev: vi è un forte parallelismo per ciò che concerne la cancellazione della scena e del personaggio, dell’attore, o nella fattispecie, del ballerino. Per quanto riguarda la scena (del balletto Le chant du rossignol23), Depero la rievoca così: “Feci anche per quello stesso ballo uno scenario costruito, che consiste in una gigantesca flora tropicale meccanica : foglie – cristalli di sette metri; corone di sonore campanule geometriche, merlettate, dentate, con steli gialli e tronchi rossi spinosissimi; intricato giardino meccanico florescente; sonorità plastiche; autentica cristallizzazione di un’orchestra festante”24. Ancora una citazione dai ricordi di Depero, che rievoca la visita di Djaghilev e Massine al proprio studio in occasione della preparazione dei bozzetti del balletto: “L’architettura floreale mi ha sempre interessato. Non i fiori visti come macchine cromatiche, come masse e particolari vellutati e profumati, quali elementi di grazia morbida e tattile, di sapore femminile e mistico; il fiore, cioè, considerato nei suoi aspetti pittorici e plastici già noti, svelati e risolti in ogni lingua e da pennelli e penne, di ogni tempo, ma il fiore studiato e penetrato nella sua struttura: canali, aste, corolle, sezioni, pistilli, punte, addentellati, spirali e ingranaggi multiformi. Per esprimere questi aspetti costruttivi interni ed esterni, più del colore o di atre materie 22 Lo si legge riprodotto in M.VERDONE, Cinema e letteratura…, cit, p.196. Per i rapporti di Corra e Ginna col futurismo cfr. nello stesso Verdone la pagina di Ginna, Memorie sul futurismo, 1956, pp289 sgg 23 Vedi figure n.7, 8, pp.93-94. 24 F.DEPERO, Il teatro plastico di Depero. Principi e applicazioni, in “Il Mondo”, 27 aprile 1919. Cfr PASSAMANI, Depero e la scena…, cit, pp37 sgg 50 plastiche, il cartone di ogni spessore e flessibilità mi dà modo di comporre indubbiamente fiori schematici inventati. Cartoni, piegati, ritagliati, incastrati a forma di cono, di cilindro, a spicchi. Balzano garofani pungenti, campanule dai bordi seghettati, foglie aguzze a ciuffi ed appaiate, florescenze di dischi e di triangoli, cespugli spinosi di rami forcuti, insomma una flora da fiaba cristallina e metallica.25” Le chant du rossignol non andrà mai in scena. Feu d’artifice di Balla si fermerà alla sola messa in scena romana. Il rigetto di Djaghilev delle proposte futuriste ha varie spiegazioni: prima di tutto Djaghilev esige che la scena sia fondale, suggestione, bidimensionalità pittorica; e il ballerino deve muoversi dentro la scena esaltando la propria presenza mimica, acrobatica, fisica. Balla elimina il ballerino, Depero lo caccia sotto schermature e costumi che lo cancellano come autonomia. Ambedue intendono la scena plasticamente e il ballerino o è assente o è momento di integrazione plastica – formale: con un’ inversione di valori fra scena e attore che per Djaghilev è ripudio incredibile. L’indagine cromatica, di cui s’è discorso, è fortemente deduttiva, invita a dedurre la realtà che è inscenata da un qualcosa che è oltre la stessa presenza di linee, colori, e forme e che queste non solo svelano, ma propongono in concatenazione logica. Per Depero, il processo è analogico: data l’autonomia del colore, della linea, della forma, da un’ esperienza umana, colore linee e forme si combinano effettivamente secondo quegli equivalenti astratti, cioè secondo le risorse di un’invenzione legata al mondo dell’infanzia o della follia. Il rifiuto dei russi mette in moto in Depero la ricerca di nuove soluzioni per quei Balli Plastici che andranno in scena il 14 aprile 1918: si tratta di cinque rapide azioni – mimico – musicali completate da una finale rivista delle marionette. Gilbert Clavel, che collabora allo spettacolo, ne dà la relativa interpretazione : “La distinzione tra proscenio e sfondo viene abolita, e lo scenario non è più interpretato come semplice mezzo decorativo, è unificato alla tesi dell’azione e si 25 Depero nella vita e nelle opere, Trento, 1942, p. 197 51 rivela quale continuazione dinamica delle emozioni figurate. La scena che in codesta nuova accezione di valori dovrebbe veramente trovarsi in mezzo al pubblico, è tutta pervasa dai motivi principali dell’azione: ne riflette e trasforma gli agenti più importanti e si conforma all’atmosfera di quello stato d’animo che va formandosi alla ribalta: sicchè la scena è la definizione delle idee create dall’artista, e non può per nulla essere staccata dall’insieme e considerata a parte. In stretta relazione con la rappresentazione attiva, essa trasmette continua ed estende, il gesto mimico delle linee e nei colori, accentua il ritmo, permuta le illusioni spaziali, e trascendendo dall’immota statica, si congloba ad organismo vivo ed autonomo nell’azione svolgentesi. E similmente ad una compiuta fabbrica edilizia in cui l’architettura e la scultura si danno riscontro e confluiscono ad armonica continuità, così è necessario creare sulla scena un contatto ininterrotto di mezzi scenici e figurativi”26. Le scene tendono a dare architettonicamente la molteplicità e la varietà degli spazi. Piani verticali o tagliati diagonalmente spezzano per opposizione di volumi il tradizionale riquadro del palcoscenico. Novità notevole in direzione scenotecnica, che s’accompagna con una nuova valutazione dell’uso e della costruzione delle marionette. In Prampolini con più lucidità che in altri, il problema di fondare una ricerca sistematica della scena si fa sentire. Si fa sentire nel senso di proporre una profonda riflessione culturale sul teatro non disgiunta da una concreta attività di scena. Da questo punto di vista Prampolini si mostra molto più attento a rigettare una separazione fra teoria e pratica di quanto non lo fossero i suoi compagni. Già nel 1914-15 con la Scenografia e coreografia futurista avverte che la questione non è di far qualcosa di nuovo o diverso, ma di riconoscere alla scena “quei valori suoi propri che finora le mancavano”. Si tratterà da un lato di riconoscere alla scena una sua autonomia di esperienza e di evento, dall’altro di determinare un sistema tecnicoconcettuale del teatro che quell’autonomia effettivamente realizza. 26 Il Teatro Plastico era diretto, per la coreografia, da Depero e da Gilbert Clavel, e per la musica da Alfredo Casella, l’animazione era procurata dalla Compagnia Marionettistica Gorno Dall’Acqua. Nel volume del 1942 Depero nella vita e nelle opere si ha un preciso ricordo dello spettacolo del maggio 1918 a palazzo Odescalchi con il Teatro dei Piccoli. 52 Così la scena è un ordine, insieme logico e rigoroso, che sistematicamente definisce e crea quell’organismo che entro la scena stessa è l’avvenimento teatrale. L’indagine che conduce a un tale ordine non deriva dal puro rapporto emozionerealtà con cui i futuristi determinano l’esperienza teatrale, ma passa il rapporto emozione-realtà al vaglio di “ricerche ed esperienze, principi e teorie dovute al contributo dato dai maestri delle scene”27. In altri termini lo conduce entro una tradizione di “nuova estetica del teatro”. Progetto di teatro e idea del teatro diventano un’unica esperienza. Ma la costituzione di quest’esperienza astratta e autonoma si ha in rapporto , ideale, con altre forme estetiche, la pittura in un primo momento, l’architettura con gli anni Venti, con un’arte fondamentalmente bidimensionale prima, tridimensionale poi. Nel primo caso la suggestione è data dalla resa, dalla capacità di resa “dell’esteriorizzazione della psiche umana”, ora la suggestione viene dalla possibilità di definire le dimensioni vitali, il sistema spaziale di quelle esteriorizzazioni, la loro possibilità di fissare il campo dell’evento. Nel 1924 Prampolini pubblica nel fascicolo di “Noi” un ulteriore manifesto, L’atmosfera scenica futurista28 . Più che una messa a punto degli esiti fin lì conseguiti, il manifesto ha l’intenzione di dedurre dai vari rapporti e dalle varie esperienze un codice di contegni e di comportamenti e di funzioni logiche. Basta leggere queste righe: “Noi futuristi abbiamo raggiunto e proclamato questa unità scenica, compenetrando l’elemento uomo con l’elemento ambiente, in una sintesi scenica vivente dell’azione teatrale. Il teatro e l’arte futurista sono, quindi, la proiezione conseguente del mondo dello spirito, rimasto al movimento nello spazio scenico. La sfera d’azione della tecnica scenica futurista vuole: 1. Riassumere l’essenziale attraverso la purezza della sintesi 2. Rendere l’evidenza dimensionale , mediante la potenza plastica 27 E.PRAMPOLINI, L’atmosfera scenica del teatro del colore rivive nel tempo e nello spazio, in “L’Impero”, 11 luglio 1923. Cfr SINISI, Varietè- Prampolini e la scena,Ed. Martano, Torino 1974, pp. 70 sgg 28 E.PRAMPOLINI, L’atmosfera scenica futurista,in “Noi”, cit. 53 3. Esprimere l’azione delle forza in gioco con la dinamica Sintesi-Plastica-Dinamica= Triangolo magico che individua e riassume ad un tempo le tre differenti fisionomie dell’evoluzione tecnica della scena futurista. Dalla scenografia, empirica descrizione pittorica degli elementi veristi, alla scenosintesi, riassunto architettonico di superfici cromatiche. Dalla scenoplastica, costruzione volumetrica degli elementi plastici dell’ambiente scenico, alla scenodinamica, architettura spaziale-cromatica degli elementi dinamici dell’atmosfera scenica luminosa."29 Nel manifesto è sottolineata la possibilità di andare oltre le misure architettoniche del palcoscenico, verso uno spazio integralmente fatto teatro: “Architettura elettro-dinamica polidimensionale di elementi plastici luminosi in movimento nel centro del cavo teatrale. Questa nuova costruzione teatrale per la sua ubicazione permette di fare sconfinare l’angolo visuale prospettico oltre la linea d’orizzonte, spostando questo al vertice e viceversa in simultanea compenetrazione, verso un’irradiazione centrifuga di infiniti angoli visuali ed emotivi dell’azione scenica. Lo spazio scenico polidimensionale, nuova creazione futurista per il teatro dell’avvenire, dischiude nuovi mondi alla tecnica e alla magia teatrale”30 In questo evento assoluto per l’attore non c’è più posto, per l’attore interprete almeno, perché diversa è la situazione di un attore che determina una condizione di spazio, e cioè un ordine logico che funziona entro la macchina scenica: “Il teatro, inteso nella sua più pura espressione, è infatti un centro di rivelazione del mistero, tragico, drammatico, comico al di là dell’apparenza umana. Ne abbiamo abbastanza di vedere tutt’ora questo pezzo di umanità grottesca agitarsi sotto la volta del palcoscenico in attesa di commuovere se stessa. L’apparizione dell’elemento umano sulla scena, il mistero dell’al di là che deve regnare nel teatro, tempi di attrazione spirituale. Lo spazio è l’aureola metafisica dell’ambiente. L’ambiente la proiezione spirituale delle azioni umane. Chi dunque più dello spazio, ritmato nell’ambiente scenico può esaltare e proiettare il contenuto dell’azione 29 30 Ibidem Ibidem 54 teatrale? La personificazione dello spazio nella funzione di attore quale elemento dinamico interferenziale d’espressione tra l’ambiente scenico e il pubblico spettatore, costituisce una delle più importanti conquiste per la evoluzione dell’arte tecnica teatrale poiché viene definitivamente risolto il problema dell’unità scenica. Considerando lo spazio come una individualità scenica dominante l’azione teatrale e gli elementi che in esso si agitano come accessori, è evidente che questa unità scenica sia raggiunta dal sincronismo fra la dinamica dell’ambiente scenico e la dinamica dell’attore-spazio in giuoco nella vicenda ritmica dell’atmosfera scenica”31. L’estremo antinaturalismo e l’antintellettualità più puntuale sono raggiunti: la macchina teatrale è un sistema organico coerente e unitario in cui tutte le funzioni si coordinano unitariamente. Tra le esperienze degli anni Dieci e queste conclusioni c’è, da parte di Prampolini, una lunga riflessione sui problemi del colore e un’effettiva collaborazione con Ricciardi32 intorno alle idee che son proprie al teatro del colore di quest’ultimo. E a Ricciardi è dedicato per intero il testo del 1923 L’atmosfera scenica del teatro del colore rivive nel tempo e nello spazio, in cui è sottolineato a più riprese il significato di autonoma valorizzazione drammatica del colore-luce e il senso di definizione spaziale e temporale che ne consegue. Tra il 1921 e, appunto, il 1924, Prampolini allestisce un certo numero di spettacoli per il Teatro Sintetico Futurista: è in questa serie di occasioni che le sue ricerche si precisano procedendo verso quei traguardi che sono descritti nel manifesto del 1924. In queste messe in scena Prampolini abbandona la stereometria precedente: nel 1921, a Praga, allestendo sedici sentesi, fa uso di un palcoscenico girevole che gli permette di far girare simultaneamente situazioni diverse; l’anno seguente con Il tamburo di fuoco di Marinetti , sempre a Praga, riesce a dare un’integrazione di suoni colori e 31 Ibidem Scrittore e teorico del teatro italiano, legato ai movimenti d’avanguardia sviluppò fin dal 1906 una sua concezione del “teatro del colore” che tentò di realizzare nel 1920 al Teatro Argentina, con la collaborazione dello stesso Prampolini. Per Ricciardi il colore non deve essere un semplice accessorio, ma agire nel dramma come espressione psicologica degli attori e dell’ambiente. Cerca l’intimo significato che si produce entro il palcoscenico come immagine dell’emozione. 32 55 dinamica visuale fra le più complete e complesse fin lì realizzate33. Il manifesto del 1924 è anche determinato da alcuni allestimenti per il Teatro degli Indipendenti di Roma, e ancora per Praga, che determinano se non una svolta, un’accentuazione di elementi che caratterizzano le ricerche spiritualistiche di Prampolini in un senso più marcatamente “metafisico”, cioè affine alla poetica dechirichiana. In questi allestimenti luci e colori sono ormai interamente fusi in un definizione di spazio architettonicamente strutturato. La struttura tende ad essere di maglia assai larga, con un’ampiezza e un senso di vuoto aperto che fornisce suggestioni sempre più tese che richiamano subito le evocazioni metafisiche delle scenografie pittoriche dechirichiane del primo dopoguerra. E c’è da chiedersi quanto dechirichismo ci sia anche nella deduzione dell’esigenza di eliminare l’interprete quando questo non sia fatto spaziale integrato nella più generale totalità di strutturazione dell’azione. Non si tratta naturalmente dell’abbandono pittorico o pittoricistico: la stessa pittura dechirichiana non riempie i vuoti scenografici dei propri soggetti con soluzioni di pittura, o di tono o di suggestione, ma tende a cogliere l’estraneità dello spazio che le architetture svuotano rispetto alle soluzioni architettoniche, in modo da integrare l’uno all’altro. La luce e il colore di Prampolini toccano effettivamente la possibilità di “sostituire il proprio potere indagatore ed evocatore ad ogni pretesa preziosità pittorica”34. Lo sviluppo, quindi, è del tutto coerente. Ma è la tensione e il tipo di suggestione ad aver ormai imboccato la via indicata nella conclusione del manifesto del 1924. Il quale, per la sua parte di sviluppo e aggregazione meccanico-spirituali, trova una successiva evoluzione nel Teatro Magnetico35 , il cui modellino, esposto nel 1925 a Parigi, fa conferire a Prampolini il Gran Prix mondiale. La relazione della giuria dice: 33 Il Tamburo di fuoco fu scritto nel 1921 e rappresenta un ritorno a modi prefuturisti. Cfr G.ANTONUCCI, Lo spettacolo futurista in Italia,Ed. Studium, Roma 1974. Ebbe insuccesso in Italia e fu poi ripreso con grande esito a Praga. 34 E.PRAMPOLINI, Discorso sulla scenografia, in “Il Sipario”, 1-5, 1946 35 Vedi figure n. 9, 10, pp. 94-95 56 “mediante un insieme di costruzioni plastiche mobili , di superfici diversamente colorate secondo le necessità dell’azione; mediante un’ architettura luminosa di spazi cromatici, dove la voce umana interverrebbe semplicemente come uno degli elementi molteplici dell’azione, Prampolini ed i futuristi desiderano creare un’arte che basterà a se stessa senza che si debba ricorrere ai mezzi drammatici, quali li abbiamo conosciuti fino ad oggi, al dialogo, alla psicologia, la pittura delle passioni umane. Questa forma estrema di suono-arte è chiamata dal Prampolini il teatro antipsicologico astratto, cioè di suggestione, magnetico”36. I tre grandi modelli di teatro magnetico, esposti a Parigi, rappresentano una colossale costruzione di luce, alta più di sei metri, ottenuta con la sovrapposizione di motivi architettonici modellati sulle iniziali del teatro T e M e sormontata da un globo dorato. Alla visuale prospettica fissa regolata dall’arcoscenico sostituisce la nuova realtà-mobile dello spazio scenico polidimensionale che si innalza al centro del cavo teatrale. Attori e decor sono sostituiti da equivalenti astratti che misurano il tempo e lo spazio: suoni e voci provenienti da giganteschi megafoni da una parte, luci e proiezioni dall’altra. Ne scrive lo stesso Prampolini: “il teatro magnetico avvolge l’umanità spettatrice con una nuova atmosfera e corrente di spiritualità, contro l’imperante materialismo estetico, dal lato interpretazione scenica, e psicologismo cerebrale, dal lato produzione letteraria teatrale, interpretando i moti dello spirito attraverso il fluido suggestivo degli elementi tecnici d’astrazione scenica”37. Gori, che nel suo libro riporta il passo, commenta: “Questo teatro vuole decisamente andare oltre i limiti della rappresentazione visiva tradizionale estetizzante, verso i nuovi orizzonti di interpretazione introspettiva dell’apparizione scenica, sconvolgendo il campo speculativo del teatro teatrale, per ridare una nuova potenza spirituale alla materia scenica. Cioè creare un nuovo spettacolo visivo, trasponendo gli elementi della realtà quotidiana con elementi 36 Il testo francese è in GORI, Scenografia. Tradizione e rivoluzione contemporanea, Casa Editrice Stock, 1926, pp.217 sgg 37 Citato da GORI, Scenografia…, cit, p.219. Cfr E.PRAMPOLINI, The Magnetic Theatre and the Futuristic Scenic Atmosphere, in “Little Review”, maggio 1929. 57 astratti della eterna finzione, integrando la stasi del pensiero con la dinamica dell’azione scenica. Il funzionamento di questo teatro magnetico è affidato allo spazio scenico polidimensionale che risponde alle necessità della suggestione teatrale voluta, inquantochè, innalzandosi nel centro del cavo teatrale, invece che alla periferia dell’arco scenico prospettico, permette di creare infinite possibilità d’imprevisto scenico, amalgamando e travolgendo in un’unica commozione spirituale e visiva spettatori e azione scenica.” Forse non è proprio questo, però, il senso del teatro di Prampolini, che chiede alla scena “collaborazione di forze collettive di certezze prestabilite, di vita meccanica dello spirito”38. Che cosa sia ormai il teatro , quale meccanismo comporti, Prampolini lo spiega nell’articolo appena citato: “Il teatro è una fabbrica di emozioni ove tutto deve funzionare alla perfezione come una macchina, con sincronismo assoluto di forze parallele attente a misurare l’azione teatrale al ritmo magnetico dello scenotecnico che distribuirà tutti gli elementi in gioco, dagli attori-macchina alle macchine-attori, cioè, ad esempio, dalla prima attrice (che non sarà più tale) al riflettore A, dalla rampa mobile 32 al portaceste, ecc. Questa nuova disciplina e questo equilibrio degli elementi che costituiscono la vita meccanica del teatro, s’impongono come legge supremamente essenziale” Mentre esce l’articolo in Italia, sta per approdare sui palcoscenici il più complesso tentativo teatrale di Prampolini, La pantomima teatrale39. Con la pantomima Prampolini vuole mettere in scena: “ una ricreazione aggiornata della pantomima italiana classica che sfrutta, perfettamente fuse in un sincronismo assoluto, tutte le nuove ricerche di psicologia plastica, di architettura luminosa e di macchinismo figurativo e musicale” come scrive nel relativo programma40 . 38 E.PRAMPOLINI, Il teatro è una fabbrica di emozioni, in “Comoedia”, aprile 1928. Vedi figura n. 11, p.96 40 Theatre de la Pantomime Futuriste, Parigi, 1927 39 58 E’ la realizzazione dei principi del manifesto del 1924: si realizza quella globalità di musica, suono, gesto, architettura, azione, luce, colore capace di dar luogo ad un “ esaltante quasi mistico rito meccanico”41. Il momento saliente dello spettacolo è Cocktail di Marinetti per la musica di Silvio Mix, esplosione delle idee futuriste che mette insieme i vari simboli e oggetti dell’epoca in un’esaltazione continua del dinamismo. La grande novità sta nella miscelatura di ogni risorsa tecnica, nella contaminazione caricaturale, nella dinamica degli effetti e delle analogie. E’ interessante notare l’uso del film nel contesto scenico, proprio per accentuare la resa dinamica. Grazie al cinema “si corre, si naviga, si viaggia, si vive intensamente restando comodamente seduti su un poltrona” 42 dice Depero. Santa velocità, accanto al citato Cocktail43, è forse la punta dell’esperienza parigina. Pantomima di Prampolini, commento musicale di Russolo44, essa non solo non ha azione teatrale vera e propria, e neppure personaggi, ma supera in qualche modo la stessa scena: le architetture sceniche risultano dall’uso di riflettori che proiettano luci colorate su un fondale neutro. E’ la realizzazione di quella scena illuminante teorizzata fin dal 1915 e portata alle estreme conseguenze. Scena illuminante cioè “espressione luminosa che irradierà di tutta la sua forza emotiva: colori necessari all’azione teatrale” I risultati ottenuti dal teatro prampoliniano della pantomima sono i più maturi e pieni dell’esperienza intera futurista: ma ne segnano anche il limite e il tramonto. Possiamo infatti notare come qui, dove più adulta, rigorosa e definita è la misura scenica del futurismo ne esploda, sul piano linguistico e sperimentale, l’intima contraddizione. Si vuol dire che questa scena se si presenta come largo ventaglio di ipotesi e di tensioni sperimentali, si inquadra poi in un teatro antisperimentale, o, in modo più semplice, privo di sperimentazione. Non solo, ma si fa evento di un mondo completamente codificato prima che la ricerca scenica si ponga euristicamente in 41 G. ANTONUCCI, Lo spettacolo futurista…, cit, p. 119 F.DEPERO, Scenografia, in Depero futurista, ed.Dinamo-Azari, Milano, 1927, pp.non numerate 43 Vedi figura n. 12, p. 97 44 Il quale fa uso del rumorarmonio, congegno armonico intonarumorista 42 59 movimento. Di modo che la scena non fa che fissare , dichiarare, magari ampliare una realtà di fatto determinata in tutta la sua portata. Il che non ne cancella , anzi ne esalta, invece, l’importanza, ma da un opposto punto di vista: che è quello didattico, e della didattica persuasione. Proprio perché questo teatro pone il problema , o meglio l’allegoria di un inserimento e di una integrazione in un mondo che è moderno, e in quanto moderno definito in ogni sua parte, questo teatro finisce con l’essere l’inscenamento della “moralità” di questa integrazione e la necessità dell’integralismo conseguente. E’ un teatro che, in qualche modo, non parla la modernità, ma è parlato da un programmazione di modernità che non si fa con gli sviluppi successivi del teatro stesso: si fa altrove ed è fatta da altri. 60 LA “MECCANIZZAZIONE” DELL’UOMO Paladini, Pannaggi e Prampolini firmano nel maggio del 1923 il Manifesto dell’arte meccanica: ma il testo non è che la rielaborazione di uno scritto di un anno anteriore firmato dai soli Pannaggi e Paladini, edito su Lacerba. La formula centrale è “Sentiamo meccanicamente. Ci sentiamo costruiti in acciaio. Anche noi macchine, anche noi meccanizzati”. Il che vorrà poi dire che “dalla macchina e nella macchina si svolge oggi tutto il dramma umano”. L’ artista costruirà tenendo fede solo “alla propria vita e all’atmosfera in cui respira”.Non si tratta però di mimare la macchina in quanto idolo esteriore, bisogna cogliere della macchina lo spirito, cioè le forze, i ritmi, e le infinite analogie che la macchina suggerisce. Codesto “spirito” impone “valori eterni e … equilibri indistruttibili”45 La macchina è la ricerca di uno stile, di una durata e costanza non solo formale, di elementi capaci di essere tipici e caratteristici, non ciascuno di per sé, come elementi raffigurativi o rappresentativi, ma come insieme della costruzione e nel suo funzionamento. Il quale agisce alla luce di un’oggettività di ricerca che ricava la propria certezza nella idealità, nella partecipazione psicologica a un’immaginazione che è figura e attesa del proprio tempo. In realtà il manifesto va posto in collegamento con un rifiuto della realtà concreta e quindi con un rifiuto di quanto di sperimentale, di pragmatico era stato tentato dai gruppi d’avanguardia. Sono anni in cui, in genere, è in atto una crisi dell’impegno dell’arte sulla realtà più diretta, un rifiuto di un’autentica prassi a favore di un ripiegamento sul mistero, l’inconosciuto e l’atmosferico. La macchina, d’altro canto, sarà artisticamente coordinata da “una legge lirica originale e non da una legge scientifica appresa”: in tal modo la macchina diverrà 45 I.PANNAGGI,V.PALLADINI,E.PRAMPOLINI, Manifesto dell’arte meccanica, in “Noi”, seconda serie, I, 1923, 2. 61 “ispiratrice per l’evoluzione e lo sviluppo delle arti plastiche”, secondo Pannaggi, Paladini e Prampolini. Né poteva mancare il teatro: la macchina esibisce e formula una legge in atto e così facendo si fa ispiratrice di una evoluzione. La scena meccanica sarà così concentrazione di una legge non più individuale, ma collettiva, in quanto spirito e idea comune. Paladini e Pannaggi, per tornare ai firmatari del manifesto, mettono in scena il 2 giugno del 1922 un Ballo meccanico futurista46 con loro coreografia e regia. Ne scrive lo stesso Pannaggi: “Il Ballo meccanico futurista, eseguito dai danzatori russi Ikar e Ivanoff, ebbe luogo al Circolo delle Cronache d’Attualità della Casa d’Arte Bragaglia di via degli Avignonesi, la sera del 2 giugno 1922. Il Ballo meccanico futurista fu ideato da Ivo Pannaggi in collaborazione con Vinicio Paladini il quale contrappose al costume meccanico di Pannaggi un costume di fantoccio umano”… Accoppiati in dialoghi plastici i due danzatori improvvisavano sorprese spaziali spostandosi in lungo e in largo, in alto e in basso. Accompagnati da proiettori che li seguivano illuminandoli di luce bianca, essi si portavano dalla sala alla galleria e comparivano dietro la balaustra dove, con gesti e movimenti della persona, accennavano il preludio. Discesi in sala, eseguivano azioni mimiche cadenzate al ritmo dei motori, ma poi sparivano dalla parte opposta, salendo su per la gradinata che portava al foyer. Tornavano di nuovo in sala, riprendevano l’azione, e infine si dileguavano a precipizio, giù per la scaletta che scendeva al bar” 47. Pannaggi preparerà anche scene e costumi per L’angoscia delle macchine48 di Vasari. E’un testo che andrà in scena a Parigi nell’aprile del 1927, con tutt’altri costumi che quelli di Pannaggi. L’interesse della proposta di quest’ultimo sta nel fatto che nel lavoro di Vasari l’ideologia della macchina è rovesciata, ne è colta la 46 Vedi figura n.13, p. 98 I.PANNAGGI, Costume per il ballo meccanico futurista, in “Maske und Kothurn”, 1966, 4 48 Marinetti dirà in una conferenza che si tratta “di una delle opere più importanti che il futurismo abbia mai dato”. Il lavoro è al centro delle pagine di M.VERDONE, Teatro del tempo futurista cit, pp.209 sgg. Vedi figure n.14,15,16,17, pp. 99-101 47 62 conflittualità con l’uomo e la sconfitta di questi. Il fulcro è tragico, è il “conflitto tragico tra l’umanità e la macchina che tenta di aggiogarla e soffocarla” . Ne ha lasciato scritto Bragaglia49. Lo stesso Bragaglia aggiunge che si tratta “di un lavoro teatrale pensato con gli occhi della mente avanti tutto come spettacolo e quindi concepito particolarmente come poema drammatico … La precedenza del ritmo visivo sul ritmo interiore, nella rappresentazione teatrale – oltre che nello spettacolo ov’essa è pacifica- è il concetto dei moderni” I costumi di Pannaggi esasperano la meccanicità come un ordine totale e rigoroso che rende armonico e necessario lo scontro uomo macchina e pare cancellarne la liricità da incubo del contesto vasariano in un procedimento da balletto, da struttura ritmica e regolare. Il lavoro di Pannaggi è coerente con le premesse “meccaniche” da lui stesso, del resto, evidenziate e fissate nei manifesti. L’opera d’arte è forma non solo visiva ma è costruzione dinamica che nel tempo e nello spazio orchestra un complesso organismo fisicamente e plasticamente definito. Né le cose vanno diversamente in teatro dove la forte definizione figurativa dei protagonisti, la loro meccanica e macchinosa plasticità va poi vista nel gioco serrato della scena come parti di un ingranaggio da valutare nella sua totalità di sviluppo temporale e spaziale. Il mito della macchina trova, quindi, una sua effettiva concretizzazione, come abbiamo visto, nella recitazione e nei costumi. Infatti i concetti intorno a cui girano tutte le ricerche nel campo del design dei costumi e nel campo della recitazione sono proprio l’integrazione del performer con lo scenario e quello che possiamo definire meccanizzazione del performer. L’esigenza di “meccanizzare” l’attore, naturalmente, è legata al bisogno futurista di creare dinamicità, sinestesia, sintesi sul palcoscenico. Nel programma per il suo Teatro della pantomima futurista a Parigi, Prampolini scrive: 49 I bozzetti furono pubblicati in “L’Impero”, 14 agosto 1927,e a più riprese su “Der Sturm” fra il 1923 ed il 1926. Una rappresentazione si ha da Bragaglia a Roma il 28 aprile 1927, a cura di Mihailoff, musica di Stravinskij, con presentazione di Marinetti. 63 “La mimica decorativa, che è superficiale, deve essere abbandonata per entrare nel dominio dell’architettura, che è profonda. Tutti gli elementi della musica, della pittura e dei gesti devono essere armonizzati gli uni con gli altri senza perdere la loro indipendenza. Il ritmo della musica e quello della scena e dei gesti devono creare un sincronismo psicologico nello spirito dello spettatore. Questo sincronismo, che non ha niente a che fare con l’armonia esteriore e meccanica delle tre arti, risponde alla legge di simultaneità che regola tutta la sensibilità futurista”50 Questa richiesta di uno spettacolo unico che si appella “all’istinto e all’intuizione” ed è “sopra tutta l’antilogica” deriva proprio dalla ricerca della sinestesia. Questa allude al concetto ipotetico che la stimolazione di un senso può provocare la risposta soggettiva di altri sensi. I primi anni del Novecento sono caratterizzati dalla ricerca di questi contatti ed esplosioni di sensi: Sriabin costruisce un organo del colore nel tentativo di trasformare la musica in un’immagine visiva; Kandisky si interessa della relazione tra musica e colore; Kupka scrive della relazione del movimento con i centri sensoriali; lo stesso Prampolini pubblica la “Cromofonia”, sottotitolandola “Il colore del suono”, nel 1913. Questo interesse per i rapporti tra i sensi e per il “sincronismo psicologico” può essere fatto risalire alle teorie di Wagner, all’opera d’arte totale wagneriana. Mentre Wagner, però, quando parla di opera d’arte totale si riferisce al dramma in musica come sintesi di tutte le arti, Prampolini quando parla di “una costruzione assoluta di movimento-rumore” si riferisce all’architettura, alla scena, al movimento futurista. Quindi un modo per unificare la performance, ottenendo quel perfetto sincronismo psicologico, è quello di eliminare i dettagli individuali e realistici del movimento e del costume e di sostituirli con un vocabolario di gesti e di abiti che corrispondano molto più da vicino alle caratteristiche della messa in scena. Possiamo vedere, grazie a dei documenti fotografici, le soluzioni che Prampolini trova per raggiungere quest’armonia e unità sensoria: nel suo Teatro della Pantomima 50 E.PRAMPOLINI, Theatre de la Pantomime…, cit 64 futurista utilizza uno spazio poco profondo; i performer si affollano sul proscenio. Come in Cocktail, dove lo scenario solido è presentato come un muro dietro le spalle degli attori; l ’azione non si sviluppa in profondità, ma in altezza, infatti la performance si svolge su due livelli; i corpi dei performer, come figure di un bassorilievo o di un quadro, sono mostrati nella loro bidimensionalità, offrendoli esclusivamente allo sguardo del pubblico; anche i costumi , quindi, sembrano enfatizzare l’aspetto lineare della figura umana, piuttosto che il suo volume. Queste testimonianze ci sono molto utili per osservare come il corpo dell’attore stava subendo un processo di meccanizzazione. In un primo momento si tratta di una meccanizzazione attraverso un movimento ritmico e geometrico che rimane sempre di base umano: i costumi segnano i contorni del corpo dell’attore, mentre le braccia, le gambe, il volto sono lasciati scoperti. Marinetti, invece, prende le distanze dal movimento geometrico: nel manifesto che pubblica l’8 luglio del 1917, Manifesto della danza futurista, nonostante loda qualcosa della danza contemporanea, definendo il lavoro di Dalcroze “una ginnastica ritmica molto interessante”, o i Balletti russi di Diaghilev “molto interessanti artisticamente”, si sente costretto a reagire contro la pura geometria. Chiedeva che il danzatore superasse le sue possibilità muscolari, in modo da diventare una macchina. Ma le tre danze descritte nel manifesto non sono altre che rappresentazioni mimiche della realtà: in La danza di un aviatore, la ballerina deve imitare un aeroplano, prima, restando sdraiata su una grande carta geografica, deve “simulare, facendo tremare e oscillare il suo corpo, i vari tentativi che un aereo fa per sollevarsi”, dopo deve saltare su una montagna fatta di abiti verdi, e inseguire un sole di cartone colorato d’oro. Questa meccanizzazione dell’attore ancora umana e reale subisce una battuta d’arresto con le ricerche futuriste degli anni Venti. Prampolini, infatti, nel manifesto L’atmosfera scenica futurista, del 1924, scrive della necessità di abolire l’attore: l’attore viene sostituito con lo spazio personificato che si fa elemento dinamico interferenziale d’espressione tra l’ambiente scenico e il pubblico spettatore. 65 Prampolini sembra così superare , definitivamente, le teorie di Gordon Craig, che nel 1908 propone di sostituire l’attore con una ubermarionette. Ma, in realtà, i suoi “attori-gas” altro non sono che lo sviluppo e il miglioramento della teoria di Craig. Con il suo legame con i prodotti della tecnologia moderna, il futurismo ha tentato di adeguare la supermarionetta al mondo moderno. Nel 1918, come abbiamo già visto, Gilbert Clavel, conosciuto come critico d’arte svizzero, poeta, professore di storia egiziana, presenta, nel Teatro dei Piccoli al Palazzo Odescalchi a Roma, un programma di cinque brevi performance coreografate da lui stesso e da Fortunato Depero. Depero, riflettendo sulla nascita dei suoi Balli Plastici51, afferma: “Avevo appena finito i costumi e lo scenario per i Balli russi così miseramente distrutti, allorchè mi venne in mente questa idea: per ottenere un maggior senso geometrico e di libertà proporzionale nei costumi, nei personaggi e nei rapporti fra scene e figure, bisognerebbe dimenticare addirittura l’elemento uomo e sostituirlo con l’automa vivente; cioè con la nuova marionetta libera nelle proporzioni, di uno stile inventivo e fantasioso, atta ad offrire un godimento mimico paradossale ed a sorpresa” Il Teatro dei Piccoli era un teatro di marionette: i Balli Plastici sono concepiti per le marionette. Quindi l’attore si muta in marionetta, in entità meccanica che non interpreta in senso proprio l’azione ma si identifica con essa e la incarna. Il risultato è l’assenza di ogni espediente e processo di natura psicologica, un estremo sintetismo, movimenti veloci, meccanici nel ritmo, assurdi, estremamente colorati. Sebbene lo spettacolo è caratterizzato da una leggerezza dei toni, questo non è stato concepito per un pubblico di bambini. I Balli Plastici sono stati rappresentati diciotto volte e hanno incontrato un grande successo tra il pubblico futurista. Anche se il palcoscenico e la maggior parte delle marionette sono più piccoli di una grandezza naturale, alla fine una delle figure di legno di Depero, il “Grande Selvaggio”, è più alto di un uomo. 51 Vedi figure n.18,19, p. 102 66 L’anno seguente, nel 1919, Prampolini mette in scena un dramma simbolico, Matoum e Tevibar di Albert-Birot, con le marionette nello stesso Teatro dei Piccoli a Roma. Anche per questo spettacolo vengono utilizzate marionette di varia altezza. Filippo Menna scrive che alla fine del dramma le porte furono aperte, mostrando Matoum, con la testa illuminata, mentre portava sulle sue braccia tutte le altre marionette.52 I motivi che hanno spinto i futuristi ad utilizzare le marionette sono completamente diversi dalla ragione per cui Craig sostituisce l’attore con la supermarionetta. Craig ritiene che l’attore umano è imperfetto perché non può essere completamente controllato dal regista, e poi l’attore potrebbe mostrare la sua personalità piuttosto che fondersi con il suo personaggio,inoltre non è capace di mettere in scena ogni volta la stessa performance53. I motivi che spinsero i futuristi sono, invece, perlopiù formali: il più importante è l’integrazione dell’attore con l’ambiente. Usando le marionette, Depero può costruire i suoi attori e il suo scenario con lo stesso materiale, usare le stesse forme geometriche stilizzate, dipingerli dello stesso colore. I cambiamenti in scala, impossibili con attori umani, l’uso di figure inusuali, sono altre, altrettanto importanti, ragioni per cui i Futuristi fanno uso delle marionette; ma la giustificazione più importante è il raggiungimento dell’integrazione stilistica dello spettacolo. L’attore, però, può anche essere semplicemente abolito dalla scena senza essere sostituito da fantocci. Prampolini nel suo Teatro magnetico propone un’enorme macchina che riempie lo spazio del palcoscenico con il movimento, le luci, il suono. L’elemento umano viene eliminato perché non riesce a raggiungere una “sintesi” perfetta con l’ambiente circostante, essendo l’uomo l’elemento dinamico e l’ambiente l’elemento statico. Quindi performance non oggettive, come Feu d’artifice di Balla, Santa velocità di Prampolini, il quarto dei Balletti Plastici di Depero, chiamato 52 F.MENNA, Enrico Prampolini, De Luca Editore, Roma, 1967, p.107 Cfr C.R.LYONS, Gordon Craig’s Concept of the Actor”, in “Educational Theatre Journal”, ottobre 1964, pp. 258-269 53 67 Ombre, che Depero descrisse semplicemente come “ombre dinamiche – piani grigi e neri – che giocano con le luci”, possono essere visti come tentativi per raggiungere la definitiva sintesi e unità.54 La meccanizzazione non prevede solo questi due approcci (cioè la meccanizzazione ancora umana e l’abolizione dell’attore). C’è una terza linea di questa stessa tendenza alla meccanizzazione che non rifiuta l’attore. Questa tendenza prevede la deformazione del corpo dell’attore attraverso i costumi. Uno dei primi e più interessanti esempi di questi costumi futuristi appare in un manoscritto mai pubblicato ma scritto da Depero probabilmente nel 1915: i vestiti “ devono apparire come un normale costume futurista”, ma, “la struttura di filo metallico sarà fatta in modo che si apra e si chiuda” e “vari movimenti con le braccia, le gambe, apriranno certi congegni come pinze”; allo stesso tempo si assiste a “esplosioni e ritmi di strumenti rumorosi” che sono costruiti sui costumi. Come possiamo vedere assistiamo a un’inversione di tendenza in Depero nel rapporto con la macchina. Infatti nei suoi lavori precedenti, come nel Ballo delle macchine o meglio Anihccam del 300055, che va in scena nel gennaio del 1924, la macchina è umanizzata, la figura resta il corpo umano, come sintesi tubolare di locomotive, il cartone con snodi in tela, e cifre in bianco e nero; tutto è rigido e lucido, tranne gli snodi ai gomiti, ginocchia, collo e spalle. Questa inversione di tendenza permette a Depero di creare una situazione scenica paradossale, in cui il rapporto uomo-macchina funziona piuttosto come metamorfosi che come sostituzione o ricreazione, con un esito e un gusto chiaramente ironici. Con una venatura ambigua, è stato notato, fra accettazione e riserva del nuovo mondo meccanico: “Depero è portato al confronto uomo-macchina e a sottolineare l’irriducibilità, o, se si vuole, l’inadeguatezza del primo rispetto alla seconda, facendo ricorso alla deformazione in chiave grottesca”56. Di fatto la metamorfosi è 54 F.DEPERO, So I Think/So I Paint, New York, 1947, p.75. Tradotto da Raffaella Lotteri per l’editore Mutilati e Invalidi, Trento, nel 1947 55 Vedi figura n.20, p. 103 56 F.MENNA, Il futurismo e le arti applicate. La Casa d’Arte Bragaglia, in Studi in onore di V.Viale, Torino, 1967, p.83 68 possibile tra uomo e macchina in quanto identiche nei due mondi sono le leggi compositive, gli armonici costitutivi. Ambedue rispondono a ragioni di fondo, che restano fin lì occulte, a funzioni per dirla in termini meccanici, che la coerente spettacolarizzazione del teatro svela tra stupore e fantastico. Comunque la tendenza a distorcere e nascondere la figura umana non può essere sempre equiparata alla meccanizzazione. Infatti Psicologia di macchine57 di Silvio Mix, che Prampolini inscena a Milano nel 1923, anche se il titolo potrebbe suggerire la meccanizzazione, in realtà prevede attori che indossano semplicemente delle maschere primitive di legno. Anche se il riferimento alla macchina sembra chiaro in altre parti dell’opera, l’uso delle maschere sembra giustificare il riferimento ad una società completamente non tecnologica. Tale considerazione, però, non nega che la meccanizzazione e la deformazione sono state idee centrali per i costumi futuristi. Le qualità geometriche impersonali del Cubismo sono state concretizzate in molti costumi che non distorcevano o rivestivano rigidamente le figure. Essi rappresentavano, anche, la tendenza verso il non umano e l’astratto. Anche dopo gli anni Venti, i Futuristi continuano le loro sperimentazione nel campo del design del costume teatrale. Assistiamo, però, ad un vero punto di svolta nel 1944, quando Prampolini, riflettendo sui costumi degli attori nelle varie messe in scena, pubblica uno scritto programmatico intitolato Del costume teatrale58. Prampolini prende le distanze dalle sue teorie precedenti: l’attore viene reinserito sul palcoscenico, diventando addirittura l’elemento portante della mise en scene. La prospettiva peculiare di questo testo consiste nei presupposti teorici che ne sono alla base: poiché il teatro è in sostanza spettacolo e quindi una rappresentazione che si svolge nel tempo e nello spazio, esso si presenta essenzialmente come genere visivo, da calare in un clima scenico specifico, il quale a sua volta prevede una netta separazione tra l’attore e il pubblico; la vera e sola unità di misura drammatica è costituita “dalla figura umana nella sua funzionalità scenica”, che in quanto tale 57 58 Vedi figure n.21-22, p. 104 E.PRAMPOLINI, Del costume teatrale, 1944. Cfr SINISI, Varietè, Prampolini e la scena…, cit, p91 69 determina la fondamentale importanza che per Prampolini assume nell’allestimento dell’opera la problematica del costume teatrale, che ha la funzione di misurare e rivestire l’interprete. La funzione attribuita al costume è determinata dalla sua capacità a conferire al simbolo umano un’espressione evocatrice in grado di dare vita e significato tanto a ogni figura, quanto allo svolgimento complessivo dello spettacolo. Ecco perché, a parere dell’autore, bisogna saper interpretare “le caratteristiche del singolo personaggio, onde individuare chiaramente la dinamica esteriorizzante dell’attore e della sua specifica funzione rappresentativa” 59 , per poi procedere alla creazione artistica del suo abito. Il costumista dovrà possedere alcuni specifici requisiti, sia di carattere introspettivo ed emozionale, quali una fantasia fertile e una capacità di una sottile intuizione psicologica, sia di tipo tecnico-specifico, ossia la cultura storica e la conoscenza dell’arte dell’abbigliamento. Ma allo stesso tempo non dovrà dimenticare che le esigenze stilistiche sono tenute ad armonizzarsi con quelle legate alla realizzazione dei prodotti e ad essere comunque subordinate ad alcuni principi di riferimento: la consonanza con il soggetto della rappresentazione; la distinzione tra opere musicali e in prosa; un rapporto di equilibrio tra costume e scena, tra personaggio e ambiente; la consapevolezza di tutta una serie di condizionamenti imposti dall’azione stessa e dai suoi interpreti, in modo tale da risolvere “il fatale contrasto tra la visione artistica del figurino e l’esecuzione pratica del costume”60. Prampolini consegna alle ultime battute del suo scritto i suoi criteri tecnicostilistici seguiti nella creazione dei modelli per le opere da lui rappresentate. Si tratta, in prima istanza, di fare in modo che il taglio dell’abito riveli l’espressione del personaggio, reso “tipo” proprio in virtù dei suoi caratteri esteriori. Secondariamente è necessario conciliare ,nell’elaborazione di disegni e schizzi, in una sintesi simultanea l’elemento geometrico con quello coloristico, l’uno concepito come misura della proporzione umana e l’altro in qualità di espressione lirica della forma. Inoltre tutti i particolari ornamentali dei costumi, gli accessori e i dettagli andranno 59 60 Ibidem Ibidem 70 corredati da “un’equivalenza astratta, sia formale che coloristica”61, pur nel generale rispetto delle loro caratteristiche specifiche spaziali e temporali. In ultima analisi bisognerà trovare, attraverso l’accentuazione stilistica dei figurini, “la sintesi nell’analisi e l’analisi nella sintesi”62, evidente ossimoro a cui l’autore consegna il messaggio complessivo del suo testo programmatico. Quest’ultimo, infatti, non mira tanto ad una riforma della vita quotidiana e delle arti applicate, si configura come momento specifico di una più vasta e approfondita indagine sul teatro, che da decenni occupava gli interessi dell’autore. Essa si viene sempre più e sempre meglio delineando come un continuum argomentativo, uno sviluppo critico, che nei suoi approfondimenti, e soprattutto nei suoi momenti di stasi o di allontanamento dalle posizioni originarie esprime la profonda vocazione ideologica-teorica della riflessione prampoliniana. 61 62 Ibidem, p.92 Ibidem 71 QUARTO CAPITOLO L’EREDITA’ FUTURISTA L’INFLUENZA DEL FUTURISMO NEL TEATRO DEL ‘900 Un bilancio del ruolo svolto dal teatro futurista nel rinnovamento scenico e drammaturgico del nostro teatro e un’analisi della sua influenza, diretta e indiretta, sull’avanguardia storica e sulla neo-avanguardia, possono essere solamente sommari e provvisori in questa sede, dal momento che si tratta di una ricerca di una tale importanza da meritare di essere trattata in un saggio a parte, e non certo di agile formato. Qui mi limiterò ad accennare ai fili sottili e spesso nascosti che collegano la rivoluzione teatrale futurista ad alcuni dei momenti principali del teatro del Novecento; questo anche per la reale difficoltà di documentare legami tutt’altro che definiti, o addirittura, volutamente negati. Uno dei rischi maggiori, in questa circostanza, è quello di far risalire soluzioni e invenzioni sceniche da altri adottati all’influenza del teatro futurista, senza essere in grado di documentarla in maniera sicura. Ma ancor più grave è la tendenza a negare o, addirittura, a ignorare il ruolo del teatro futurista nell’ambito della generale rivoluzione drammatica del primo quarto del secolo. Il dato più sconcertante, per ciò che riguarda il nostro teatro, è la pressoché totale indifferenza degli studiosi, che si sono occupati di Pirandello, dei “grotteschi”, di Bontempelli e di Rosso, nei confronti dell’esperienza teatrale dei futuristi, quasi che questa non avesse mai avuto luogo e, soprattutto, non avesse preceduto o accompagnato l’attività degli autori da essi presi in considerazione. Neppure il drastico giudizio di Silvio D’Amico1 che dei futuristi ci si potesse dimenticare a livello teatrale, può giustificare in alcun modo un silenzio, che può essere spiegato solo con i pregiudizi ideologici che hanno pesato per molti anni su tutto il futurismo, 1 Cfr S.D’AMICO, Il teatro italiano (del Novecento), Milano-Roma, Treves, 1932 72 o con una certa difficoltà della nostra cultura ad assorbire la riscoperta del teatro futurista operata da un gruppetto di studiosi di varia estrazione. Ancora oggi, dopo anni dall’edizione del teatro di Marinetti, curata da Giovanni Calendoli 2, è assai facile imbattersi in saggi di studiosi che ignorano totalmente il teatro futurista, pur concentrando la loro analisi sul “nuovo” teatro dei primi anni del Novecento; e rari sono coloro che hanno operato la necessaria operazione di aggiornamento3. Così, nonostante gli sforzi di questi ultimi anni, il teatro futurista non ha ancora conquistato da noi pieno diritto di cittadinanza e, di conseguenza, non gli sono stati riconosciuti i meriti storici che gli sono propri; diversamente da ciò che è accaduto in altri paesi come la Francia e gli Stati Uniti, grazie ai riconoscimenti critici di PaulLouis Mignon4, e di Michael Kirby5. Il problema delle influenze del teatro futurista deve essere esaminato, per chiarezza, sotto due punti di vista: in rapporto alla drammaturgia italiana dell’epoca, e nei confronti delle altre avanguardie europee, dall’Espressionismo a Dada al teatro russo post-rivoluzionario, e di riflesso alle ricerche più avanzate della neoavanguardia, soprattutto americana. Il rapporto del teatro futurista con il “nuovo” teatro italiano è rivendicato dagli stessi futuristi. Già nel Manifesto del Teatro della Sorpresa (1921), Marinetti e Cangiullo dichiarano: “Se oggi esiste un giovane teatro italiano con miscele seriocomico-grottesche, personaggi irreali in ambienti reali, simultaneità e compenetrazioni di tempo e spazio, lo si deve al nostro Teatro Sintetico” 6. Il riferimento, nella sua apparente genericità, è in realtà chiaro, e permette l’individuazione di Pirandello, di Chiarelli, Cavacchioli (che è stato un poeta futurista), Antonelli, Bontempelli, che si sono valsi di procedimenti teatrali del genere. Tuttavia a Marinetti e ai suoi compagni preme soprattutto puntualizzare il 2 F.T.MARINETTI, Teatro, a cura di G.CALENDOLI,I, cit. Giorgio Pullini è stato forse l’unico storico e critico di primo piano che ha intelligentemente recepito la riscoperta specialistica del futurismo teatrale. Cfr la seconda edizione del suo fortunato Cinquant’anni di teatro in Italia con il nuovo titolo Teatro italiano del Novecento,Bologna, Cappelli, 1971, pp.71-73 4 Cfr P.L.MIGNON, Le theatre contemporain, Paris, Hachette, 1969, pp. 246-247 5 Cfr M.KIRBY, Futurist performance, cit. 6 F.T.MARINETTI- CANGIULLO, Manifesto del Teatro della Sorpresa, cit 3 73 debito di Pirandello nei loro confronti: lo dimostra inequivocabilmente il Manifesto del 1924, “Dopo il teatro sintetico e il teatro a sorpresa, noi inventiamo il teatro antipsicologico astratto, di puri elementi e il teatro tattile”. In esso è dichiarato: “Il pubblico che ora applaude il nuovo dramma di Pirandello, applaude anche la sua trovata futurista che consiste nel far partecipare il pubblico all’azione del dramma. Il pubblico si ricordi che questa trovata è dovuta ai futuristi. Il successo dei Sei personaggi in cerca d’autore dimostra come il pubblico accetti con entusiasmo il Futurismo nelle sue forme moderate”7. Pirandello non ha confermato mai in nessun luogo l’influenza futurista sul suo teatro, anche se, secondo alcuni futuristi, l’avrebbe più volte dichiarata a voce. Ad ogni modo, ciò che più conta è che Pirandello ha effettivamente usato, inserendole in un discorso scenico e poetico di ben altro rilievo, alcune delle intuizioni più significative del teatro futurista quali la definitiva rottura del diaframma palcoscenico-platea con l’azione scenica tra gli spettatori ( che Pirandello ha usato con risultati straordinari nella trilogia del “teatro nel teatro”), la “simultaneità”, anche se essa ha nel suo teatro aspetti diversi da quella futurista, la funzione magica, irresistibilmente evocativa degli oggetti attraverso la luce, che è propria di alcune delle migliori sintesi (Luci e soprattutto Vengono). Secondo lo stesso Marinetti8 , da quest’ultima sintesi Pirandello avrebbe tratto lo spunto per la evocazione in scena del personaggio di Madama Pace, la cui entrata sarebbe stata “imposta dalla presenza stessa degli attaccapanni carichi di cappelli”. In realtà, al di là degli altri possibili punti di contatto tra futurismo e teatro pirandelliano, il dato più rilevante è più determinante del rapporto tra queste due esperienze teatrali è costituito proprio dall’uso radicalmente nuovo dello spazio teatrale, che i futuristi non solo avevano teorizzato fin dal Manifesto del Teatro di Varietà, ma anche sperimentato concretamente nelle varie realizzazioni delle serate alle Gallerie Sprovieri di Roma, di Napoli, e soprattutto nel Teatro Sintetico. 7 F.T.MARINETTI, Dopo il teatro sintetico e il teatro a sorpresa, noi inventiamo il teatro antipsicologico astratto di puri elementi e il teatro tattile, in “Noi”,1924 8 Cfr F.T.MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, cit., p.CXX 74 Pirandello ha recepito completamente la rivoluzione dello spazio scenico tentata dai futuristi, intuendo che essa avrebbe potuto essere determinante per il suo lavoro drammaturgico che non si poneva, certamente, solo obiettivi di rinnovamento scenico in senso programmatico. Il coinvolgimento fisico dello spettatore nell’azione teatrale è, forse, la più decisiva scoperta in Italia del teatro futurista, e Pirandello ne ha colto le grandi possibilità sceniche. L’abbandono del palcoscenico come luogo predeterminato dell’azione teatrale e l’allargamento dello spettacolo a tutto lo spazio dell’edificio teatrale diventano per Pirandello elementi espressivi dello scontro tra realtà e finzione, tra verità e illusione. I rapporti regista-testo, parola-gesto, attorespettatore, che sono i grandi temi dibattuti dal Pirandello riformatore del linguaggio scenico, acquistano, grazie alla nuova concezione dello spazio formulata dai futuristi, aspetti del tutto inediti e non puramente e semplicemente spettacolari. Restando ancora al discorso dello spazio scenico, è molto importante sottolineare come Pirandello, nella premessa di Ciascuno a suo modo (1924), sembri riprendere il concetto espresso dai futuristi nel Manifesto del Teatro della Sorpresa che lo spazio della rappresentazione può uscire dai confini dello stesso edificio teatrale. Alcune serate del Teatro della Sorpresa, d’altra parte, hanno realizzato di fatto l’intuizione della sorpresa, che finiva per coinvolgere gli spettatori anche al di fuori del teatro, come è accaduto in occasione dello spettacolo del 1921 al Salone Margherita di Roma. Pirandello scrive: “La rappresentazione di questa commedia dovrebbe cominciare sulla strada, o più propriamente, sullo spiazzo davanti al teatro, con l’annunzio e la vendita di un Giornale della sera composto su un foglio volante sul quale a grossi caratteri e bene in vista, nel mezzo, fosse inserita questa indiscrezione nell’esemplare stile giornalistico: IL SUICIDIO DELLO SCULTORE LA VELA E LO SPETTACOLO DI QUESTA SERA AL TEATRO . . . (nome del teatro)”. Ma egli va ancora più avanti su questa strada, quando aggiunge che oltre agli attori-strilloni, anche l’attrice Amelia Moreno si troverà presso il botteghino, alla ricerca di un biglietto per assistere al suo dramma, invano sconsigliata da tre attori-signori in smoking. Un altro espediente del genere sarà l’entrata in teatro dell’attore-barone 75 Nuti in mezzo agli altri veri spettatori col viso stravolto e il corpo tutto un fremito. Qui siamo indiscutibilmente in presenza di una diretta influenza futurista a meno che non si ritenga casuale non solo quest’uso dello spazio teatrale, ma anche l’effetto di sorpresa sugli spettatori che stanno entrando, su cui insiste particolarmente Pirandello, sottolineando due volte, appunto, il concetto di sorpresa. Per concludere questi accenni al rapporto teatro futurista-Pirandello, il fatto più sorprendente è che gli studi più esaurienti e più acuti sul teatro pirandelliano ignorano completamente il problema. Così la più intelligente indicazione degli elementi futuristi presenti in Pirandello la dobbiamo ad un regista, Luigi Squarzina che, nella scenografia della sua realizzazione di Questa sera si recita a soggetto, ha suggerito allo scenografo Gianfranco Padovani un’ambientazione dichiaratamente ispirata alla lezione figurativa di Balla, di Prampolini e del secondo futurismo. Il rapporto futurismo-Pirandello implica necessariamente una breve analisi degli eventuali legami del teatro futurista con gli autori più significativi del cosiddetto teatro “grottesco” e con una personalità ben più definita come Massimo Bontempelli. Qui il discorso diventa più complesso, da una parte, e più semplice, dall’altra; perché quelle che sono le caratteristiche più vistose della drammaturgia “grottesca” sono presenti in tutto un filone del Teatro Sintetico, ma è anche vero che si tratta di due esperienze teatrali molto diverse, soprattutto nei risultati che si propongono. Oggi, in una prospettiva critica mutata, il successo raggiunto dai “grotteschi” negli anni in cui i futuristi si trovano a combattere le loro più difficili battaglie teatrali si spiega molto facilmente proprio con la diversità degli obiettivi che essi vogliono conseguire: un moderato, ma scaltro riformismo i “grotteschi”; una rivoluzione totale, definitiva i futuristi. Quella che sembra la novità di contenuto, se non di forma, in quegli anni, del “grottesco” è, in realtà, frutto di un equivoco critico, nato dall’incapacità di intuire i veri valori teatrali e poetici e dalla ingiustificata fiducia in una drammaturgia che aspira solo a sfruttare artigianalmente la carica espressiva di temi che sono nell’aria, e che trovano in essi una trascrizione ben più rassicurante che in Pirandello e nei futuristi. 76 Più complessa è la situazione del teatro di Bontempelli nei confronti dell’esperienza scenica futurista, che l’attento studioso di Bontempelli, il Baldacci 9, ha solo sfiorato nelle pur acute pagine del suo teatro. E’ indiscutibile che forse mai, come sul palcoscenico, Bontempelli assimilò tante suggestioni del futurismo, ed è sorprendente che il Baldacci si sia limitato ad affermare: “Se Bontempelli traeva un vitale incitamento dall’esempio di Pirandello, tentava d’altra parte di sottrarsi a qualsiasi precisa sudditanza: a costo di rientrare nel clima arido e “sintetista” del vecchi futurismo perché il futurismo oltre ad essere un movimento storicamente datato, riuscì ad istituire quel gusto dell’astratto e del geometrico, del meccanico e del disumano, di cui “Nostra Dea” risente nelle intime fibre”10. L’individuazione del futurismo di Nostra Dea, colto dal Baldacci molto bene nelle sue suggestive componenti, non ha, infatti, alcun riscontro nella sua analisi dei testi teatrali bontempelliani precedenti, che pure possono offrirgli altri utili elementi di paragone. Soprattutto La guardia alla luna è un’opera in cui l’influenza futurista è particolarmente visibile nell’ardita struttura scenica, nel rilievo dato alla scenografia, nella concisione di taluni dialoghi. Il suo linguaggio scenico rimanda al Teatro Sintetico, al di là della stessa citazione, sottolineata dal Calendoli, di battute inequivocabilmente futuriste come: “Vedo avanzarsi dal fondo di quell’intestino un’interrogazione- maschio che forse combacerà con te, vuoi con un coltello, vuoi con qualche altro argomento meno sanguinario”11. Se è possibile una conclusione, necessariamente provvisoria, il teatro futurista, pur con tutti i limiti delle sue rappresentazioni, ha giocato un ruolo di primo piano nello scardinare le vecchie ma ancora salde strutture del teatro italiano ottocentesco e nell’aprire la strada soprattutto alla decisiva rivoluzione di Luigi Pirandello, al quale i futuristi hanno lasciato in eredità un patrimonio prezioso, formato non solo di fondamentali intuizioni sceniche, espresse nei loro manifesti, e spesso anche realizzate, ma di un nuovo modo di concepire il rapporto tra il testo teatrale e lo 9 Cfr L.BALDACCI, Massimo Bontempelli, Torino, Borla, 1967 Ibidem, p.118 11 M.BONTEMPELLI, Teatro, Milano, Mondadori, 1947, I, p.30 10 77 spettacolo. Pirandello è il primo autore che ha intuito l’importanza dell’esperienza teatrale dei futuristi; esperienza che, grazie all’apporto dei Balla, dei Prampolini, dei Depero per la scenografia, dei Russolo, dei Mix per il suono, degli stessi Marinetti, Corra , Settimelli, Cangiullo, animatori preziosi degli spettacoli, crea una nuova concezione dello spettacolo come rapporto tra parola, luce, immagine e suono che, in Italia, era pressoché sconosciuta. Per quanto riguarda i rapporti del teatro futurista con le altre avanguardie europee è difficile farsene un’idea. Questo è dovuto al fatto che gli specialisti del teatro francese e tedesco completamente immersi negli intenti celebrativi non hanno mai menzionato l’influenza del teatro futurista. Infatti lo sciovinismo tipico della cultura francese ha fatto tabula rasa del nostro futurismo scenico, cancellandolo addirittura dal panorama del teatro d’avanguardia. L’unico terreno in cui l’influenza del teatro futurista è stata accertata chiaramente è quello russo, in cui dopo un lungo periodo la versione ufficiale, accreditata dagli stessi futuristi russi12, si afferma che si è trattato di due movimenti completamente diversi, anche se avevano avuto necessariamente qualche punto in comune. Il primo studioso ad aprire la breccia in questa versione improbabile è, fin dal 1959, Angelo Maria Ripellino, che nel suo saggio dedicato a Majakovskij e al teatro russo d’avanguardia, riserva varie pagine alla derivazione futurista di certe soluzioni sperimentate da uomini di spettacolo di talento come Jurij Annenkov, di Sergej Radlov, della celebre coppia della “Fabbrica dell’attore eccentrico”, Kozincov e Trauberg, di Sergej Jutkevic, di Igor Terent’ev, di Foregger e Ferdinandov e del grande Sergej Ejzenstejn. “Non è difficile accorgersi che gli esperimenti dell’avanguardia russa dopo la rivoluzione misero in atto- scriveva Ripellino13- le teorie enunciate da Marinetti nel manifesto del 21 novembre 1913 sul teatro da caffèconcerto e in quello dell’11 gennaio 1915 sul Teatro Sintetico. Nelle formule marinettiane trovarono soprattutto appiglio i registi più giovani, desiderosi di dar 12 Cfr il volume autobiografico, pubblicato a Leningrado nel 1933, di B.LIVSIC, L’arciere dall’occhio e mezzo, trad.it., Bari, Laterza, 1968, che esclude qualsiasi influenza a qualsiasi livello (anche teatrale, quindi) dei futurisi italiani sui russi. 13 A.M.RIPELLINO, Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia, Torino, Einaudi, 1959, p.147 78 vita a spettacoli non oggettivi, fondati sull’eccentrismo e sul puro movimento”. I palcoscenici russi d’avanguardia diventano così il più straordinario luogo di sperimentazione delle idee teatrali di Marinetti. Il Ripellino sottolinea specialmente la spregiudicata realizzazione del “Matrimonio” di Gogol ad opera di Kozincov e Trauberg come un collage di numeri di varietà: “Nel loro spartito- egli scrive14- le bizzarrie s’incollavano l’una all’altra a casaccio,come i frammenti di materiali diversi nella Merz Malerei di Kurt Schwitters. Trappole da Grand-Guignol, entrees di clown, enigmi da romanzo poliziesco, esercizi di giocolerie, canzonette da caffè concerto, “gags” della farsa “slap-stick”, burle di trasformisti, esibizioni di charleston conferirono al Felix Music Hall l’apparenza di un vertiginoso caleidoscopio”. Ma ancora più avanti nella realizzazione di certe intuizioni teatrali di Marinetti va Ejzenstejn, il quale nel suo rifacimento della commedia di Ostrovskij, “Anche il più saggio ci casca”, rappresentata nel 1923, mise in atto quella “distruzione futurista dei capolavori immortali, plagiandoli, parodiandoli, presentandoli alla buona, senza apparato e senza compunzione, come un qualsiasi numero d’attrazione”, affermata da Marinetti nel Manifesto del Teatro di Varietà, scomponendo il testo in una serie di funamboliche attrazione, che si svolsero ( per eliminare la frattura palcoscenicoplatea) in una specie di pista da circo, dove gli interpreti erano a contatto stretto con il pubblico. Lo spettacolo si conclude con un ulteriore richiamo a “Il teatro di Varietà” ( Marinetti aveva proposto di mettere della colla su alcune poltrone o di cospargere le poltrone di una polvere che desse prurito o facesse starnutire), con l’esplosione sotto le sedie degli spettatori di alcuni petardi. Il ruolo giocato dalle idee del nostro teatro futurista in alcuni degli spettacoli più interessanti dell’avanguardia russa, non esaurisce il problema dei rapporti futurismo italiano-teatro russo, dal momento che lo stesso Ripellino, in un suo saggio15 successivo, suggerisce l’ipotesi che Marinetti si sia ispirato per il Manifesto del Teatro Sintetico ad alcuni esperimenti del maggior uomo di teatro russo del tempo, 14 15 Ibidem, p.152 A.M.RIPELLINO, Il trucco e l’anima, Torino, Einaudi, 1965, pp.167-168 79 Mejerchol’d, esperimenti ai quali ha assistito in occasione del suo viaggio in Russia del gennaio-febbraio 1914. Però la concezione della sintesi è già presente nel Manifesto del Teatro di Varietà, pubblicato per la prima volta su “Lacerba”(1 ottobre 1913), ma anche perché la sua formulazione è già in “nuce” nel Manifesto dei Drammaturghi Futuristi. L’ipotesi più verosimile è che Marinetti e Mejerchol’d hanno elaborato il concetto di “sintesi” teatrale in maniera del tutto personale, senza essere a conoscenza l’uno dell’altro delle comuni ricerche. Anche perché tra Marinetti e Mejerchol’d esiste un altro obiettivo importante ricercato autonomamente: il coinvolgimento del pubblico nello spettacolo. Mejerchol’d già nel 1910, quindi prima di Marinetti, in uno spettacolo realizzato al cabaret “La Casa degli Intermezzi” di Pietroburgo, volle “coinvolgere il pubblico nella vicenda, cancellando il confine tra platea e palcoscenico. In un episodio l’intero episodio rappresentava una bettola, e una ballerina, esibendosi sul tavolo della platea, gareggiava con una mima danzante sul palcoscenico. In un altro un acceso fondale oro-sangue e un crescendo di schianti suggerivano l’avvicinarsi di una tempesta di fuoco. Trafelato appariva un guerriero a narrare le sorti della battaglia. Ma, infittendo le denotazioni, spaurito, ruzzolava in platea, per nascondersi tra le gambe di un tavolino. Ripreso fiato sporgeva la testa, ma nuovi rimbombi lo snidavano anche da questo riparo, e se la svignava nel ridotto, gridando “Si salvi chi può”16. Tutto da scrivere è, invece, il capitolo futurismo-espressionismo nei suoi rapporti teatrali, anche se non sono mancati gli studiosi che vi hanno fatto riferimento. Possiamo in questa sede riferire che un debito dell’Espressionismo nei confronti del futurismo è molto controverso. All’affermazione del critico Alberto Spaini, che ricollega il teatro di Walden al Teatro Sintetico e la drammaturgia di Sternheim alle teorie di Marinetti , si contrappone la negazione di Lavinia Mazzucchetti e di Paolo Chiarini. Lo Spaini scrive addirittura: “Il capolavoro del Teatro Sintetico è nato senza dubbio sotto la Watermann di Walden. Ma diciamo anche che Sternheim deve 16 Ibidem, pp.148-149 80 molto del suo successo all’avere saputo applicare in un campo infinitamente più vasto, e con abilità sorprendente, con una certa profondità filosofica, le teorie del nostro Marinetti. Il bravo tedesco ha meditato a lungo gli insegnamenti dell’italiano, se li è appropriati, li ha sviluppati ed estesi”17. La Mazzucchetti, invece, esaminando il problema in un ambito più generale, afferma: “Prescindendo anche da altre dissomiglianze profonde, non si dimentichi che il movimento italiano ha avuto eco quasi soltanto nei riguardi delle arti plastiche e che comunque lo sviluppo letterario tedesco nella sua essenza non ne dipende affatto”18. Ben più equilibrata è la posizione del Chiarini, che pur nella sottolineature dell’autonomia dell’Espressionismo tedesco, non manca di rilevare le affinità di alcuni espressionisti con il nostro futurismo. Egli ricorda, in particolare, il gruppo raccolto intorno a Walden e alla sua celebre rivista “Der Sturm”, l’esperienza teatrale di August Stramm, che paragona al Teatro Sintetico, e più in generale l’uso da parte degli espressionisti della “simultaneità”19. Ma non dimentica neppure Christian Morgenstern, autore e poeta tra i più interessanti in quegli anni, di cui cita il bozzetto drammatico “Das Neue Preislied” come esemplare della sua capacità in chiave parodistica di “stringere in pochi minuti, in poche parole, in pochi gesti, innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli in un teatro nato dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione come chiedono i futuristi nel loro manifesto del 1915”20. Il rapporto teatro futurista-teatro espressionista deve essere misurato non certo sul piano dei contenuti, ma su quello della novità del linguaggio teatrale e della messa in scena. Qui certe singolari concordanze saltano agli occhi; ma è necessaria un’accurata analisi degli spettacoli espressionisti e di quelli futuristi per dimostrare se alcune soluzioni comuni sono frutto di influenze dirette. Una strada da seguire potrebbe essere quella indicata dallo Szondi a proposito di Brecht: “E per lo straniamento degli spettatori, Brecht ( seguendo in ciò i futuristi) propone che essi 17 A.SPAINI, Il teatro Tedesco, nuova ed., Milano, Garzanti, 1943, pp.164 e 170 L.MAZZUCCHETTI, Il nuovo secolo della poesia tedesca, Bologna, Zanichelli, 1926, p.40 19 P.CHIARINI, Il teatro Tedesco espressionista, Bologna, Cappelli, 1959, pp.25-27 20 Ibidem, pp.46-47 18 81 assistano allo spettacolo fumando”21, solo se si consideri la posizione di Brecht nei confronti dell’espressionismo, di cui egli è stato indubbiamente partecipe, prima di contestarlo e di superarlo. Ma incontriamo molte più difficoltà nell’analizzare i rapporti tra il futurismo e il dadaismo. Le particolari caratteristiche di Dada, le sue diverse fasi, da quella zurighese che ne segna l’inizio a quella parigina che ne rappresenta l’esaurimento, la convivenza nel movimento delle personalità e degli indirizzi più diversi, rendono difficile la sottolineatura degli elementi futuristi esistenti in Dada. Maurizio Fagiolo Dell’arco è lo studioso italiano che più di tutti ha puntualizzato la questione, risolvendola a favore della precisa influenza del nostro futurismo. Si è fermato, in particolare, sulle serate delle Gallerie Sprovieri, che rappresentano un’anticipazione degli spettacoli del Cabaret Voltaire. Si può dire che le serate del Cabaret Voltaire hanno assimilato dalle serate futuriste la loro caratteristica più significativa: la provocazione, espressa attraverso un gesto che si fa spettacolo totale. “Il Futurismo- ha osservato lo stesso Fagiolo Dell’Arco22- è il primo movimento che va a cercare uno sfocio non sulla tela ma sulla scena e nella vita ( la serata futurista precorre in questo senso il cabaret Dada)”. Ma al di là di questo modo comune di concepire l’arte, ciò che più colpisce in Ball, e soprattutto in Tzara, è il loro uso di tecniche di provocazione già sperimentate con successo da Marinetti e dai suoi compagni, la scaltra utilizzazione scenica della “simultaneità”, del nonsense, del linguaggio inventato, del rumore, della “mascherata”. A rileggere la “Cronique zurichoise” di Tzara, si ha, infatti, la sensazione di assistere ad una serata futurista con la sua atmosfera da baraccone e da circo, in cui scoppiano impazziti i suoni onomatopeici, la “simultaneità” in tutte le applicazioni possibili conosce i suoi maggiori trionfi, il gesto corrosivo e dissacrante ha l’occasione di esprimersi in tutta la sua significatività. “Danza cubista costumi di Janco- ricorda Tzara23- ognuno con 21 P.SZONDI, Teoria del dramma moderno, trad.it., Torino, Einaudi, 1972, seconda ed., p.101 M.FAGIOLO DELL’ARCO, Futur-Balla, in “Metro”, n.13, p.54, ora in G.BARTOLUCCI, Il gesto futurista, cit., p.135 23 Cfr G.HUGNET, L’avventura Dada, tra.it., Milano, Mondadori, 1972, p.373. La cronaca di Tzara è tratta dall’ampia antologia di documenti dada che formano la seconda parte del volume di Hugnet. 22 82 la sua grancassa sulla testa, rumori, musica negra / trabatgea bonooooo oooooo / 5 esperienze letterarie: Tzara in frac spiega davanti al sipario, secco sobrio per gli animali, la nuova estetica: poema ginnastico, concerto di vocali, poema rumorista, poema statico, arrangiamento chimico delle nozioni, Biribum biribum saust del Ochs im Kreis herum, poema di vocali aao, ieo, aii, nuova interpretazione la follia soggettiva delle arterie la danza del cuore sugli incendi e l’acrobazia degli spettatori. Nuove grida, la grancassa, piano e cannoni impotenti, ci si lacera i costumi di cartone il pubblico si getta nella febbre puerperale interromperrre. I giornali scontenti poema simulataneo a quattro voci più simultaneo a 300 idiotizzati definiti”. Possiamo quindi concludere la trattazione dei rapporti tra Dada e futurismo sottolineando che alcune delle principali caratteristiche del dadaismo teatrale, quali la sorpresa, la rottura del diaframma attore-spettatore e palcoscenico-platea, la frantumazione del linguaggio in una serie di puri suoni, la particolare condizione dell’attore-autore-animatore sono tutti problemi che il nostro futurismo ha affrontato non solo a livello teorico, ma anche realizzativo. Questo rapido panorama dei rapporti del teatro futurista con le avanguardie teatrali non ha alcuna pretesa di completezza, ma mira soltanto a sottolineare le più significative e documentabili influenze futuriste o a suggerire le ipotesi più attendibili sulla sorprendente affinità di talune ricerche e soluzioni sceniche. Altrettanto utile, per esempio, potrebbe essere l’analisi dell’influsso di Balla e Depero sul rinnovamento scenografico promosso dai Balletti Russi di Diaghilev, e non minore interesse avrebbe uno studio di ciò che ha rappresentato la rivoluzione futurista sulle scene cecoslovacche degli anni Venti, quando è stato rappresentato uno spettacolo di sintesi, Il tamburo di fuoco di Marinetti e La rinascita dello spirito di Prampolini. La riscoperta teatrale più interessante dell’avanguardia storica, maturata in questi ultimi anni, la drammaturgia del polacco Stanislaw Ignacy Witkiewicz risente in qualche 83 modo dell’influenza futurista. E il discorso potrebbe continuare a lungo 24 perché si tratta di capitoli che sono tutti da scrivere e che potrebbero, forse, modificare sostanzialmente quella che è l’attuale mappa del teatro delle avanguardie storiche e dei loro reciproci rapporti. Qui, invece, per concludere, può essere più stimolante accennare al recupero, tentato da alcuni dei teorici più spregiudicati delle scene americane avanguardiste quali Michael Kirby e Richard Schechner, del discorso sullo spazio scenico di Marinetti, e soprattutto, ad uno spettacolo ormai consacrato come una delle punte delle ricerche teatrali del secondo Novecento quale L’Orlando Furioso di Sanguineti e Ronconi, i cui debiti nei confronti del teatro futurista sono ben superiori allo stesso determinante uso della “simultaneità”. E’ noto quale ruolo giochi nell’happening e nell’environment lo spazio in cui si svolge l’evento teatrale: “tutto lo spazio è dedicato alla rappresentazione; tutto lo spazio è dedicato al pubblico”, afferma Schechner25. Da questo concetto discende una serie di importanti modifiche : “Una volta eliminati i posti a sedere fissi e la divisione dello spazio, diventano possibili rapporti completamente nuovi. Possono verificarsi contatti corporali tra attori e spettatori; possono variare il livello delle voci e l’intensità della recitazione; può prodursi la sensazione di partecipare ad un’esperienza comune; e, cosa più importante, ogni scena può creare uno spazio proprio, sia contraendosi in un’area limitata, sia espandendosi fino a riempire tutto l’ambiente disponibile. L’azione in questo caso “respira” e il pubblico diventa uno degli elementi scenici più importanti”26. La scarsa conoscenza negli anni Sessanta del futurismo teatrale negli Stati Uniti è stata all’origine della sottovalutazione del ruolo di Marinetti come fonte importante di queste ricerche, tanto che un peso ben maggiore è stato accordato a Dada, a Frederick 24 A titolo solo informative, si può ricordare ancora la rivendicazione da parte di Marinetti delle più suggestive invenzioni sceniche del teatro di Thornton Wilder. 25 R. SCHECHNER, La cavità teatrale, trad.it., Bari , De Donato, 1968, p.39 26 Ibidem, p. 42 84 Kiesler e alla Bauhaus, anche se né Kirby né Schechner hanno completamento ignorato i futuristi27. Infatti, successivamente, proprio il maggiore studioso degli happenings, Michael Kirby, finisce per stabilire la realtà storica, dichiarando che gli happenings hanno in gran parte la loro origine nello spettacolo futurista28, e tutto il suo saggio, Futurist Performance , è un autorevole riconoscimento, a tutti i livelli, della centralità delle esperienze sceniche dei futuristi, particolarmente nella definizione di uno spazio teatrale completamente diverso da quello tradizionale. L’Orlando Furioso di Edoardo Sanguineti e Luca Ronconi è lo spettacolo più significante per concludere il discorso; infatti è, forse, l’unico spettacolo in cui si possono rintracciare l’influenza diretta del futurismo e quella indiretta, attraverso le esperienze, appena citate, dell’environmental theatre e dell’happening. Se, tuttavia, la nostra critica non ha mancato di rilevare i riferimenti dell’Orlando al teatro americano, essa ha dimenticato, sia per ignoranza del futurismo teatrale che per il proposito di non essere sgradita agli autori (i quali, dal canto loro, hanno negato qualsiasi debito nei confronti di chiunque29, avallando l’idea di uno spettacolo nato miracolosamente, per germinazione spontanea), di sottolineare la derivazione futurista del centro motore dell’intero spettacolo, la “simultaneità”, vero e proprio deus ex machina dell’azione scenica. Quest’evasività assoluta dei critici italiani è dovuta anche al fatto che per lungo tempo non hanno saputo di un documento, che forse li avrebbe costretti ad un atteggiamento meno apologetico e più costruttivo: la lettura di Marinetti dell’Orlando furioso in chiave futurista. E’ un documento di grande interesse perché anticipa sorprendentemente alcuni degli aspetti più caratterizzanti dell’Orlando furioso di Sanguineti-Ronconi. In esso (una vera e propria “lettura” futurista del poema 27 Kirby aveva accennato alla “simultaneità” come a un concetto futurista e aveva ricordato L’arte dei rumori di Russolo (cfr M.KIRBY, Happening, trad.it., Bari, De Donato, 1968, pp. 42 e 52); Schechner indicava come fonte della storia dell’environment anche i futuristi italiani, accanto ai costruttivisti russi. 28 M.KIRBY, Futurist Performance, cit., pp.7-8 29 Cfr Un teatro dell’ironia (a colloquio con Luca Ronconi e Edoardo Sanguineti) in SANGUINETI-RONCONI, Orlando furioso, a cura di G.Bartolucci, Roma, Bulzoni, 1970, pp. 13-23: è un’intervista già pubblicata in “Sipario”, XXIV (1969) , 278-279. 85 dell’Ariosto, tenuta da Marinetti sulle mura degli Angeli di Ferrara il 7 luglio 1942)30 tutti i principali temi che sono al centro dello spettacolo, la “simultaneità”, l’aggressione, il dinamismo, trovano un’elaborazione particolarmente felice da parte di Marinetti, anche se la sua interpretazione non è in funzione di un evento teatrale.. Al di là della stessa “simultaneità” ciò che più colpisce nella lettura di Marinetti è l’insistenza sui concetti di “velocità”, “aggressività”, “instancabilità”, tanto ben realizzati da Ronconi nel dinamismo e nella spregiudicatezza del gioco degli interpreti e, la particolare sottolineatura di ciò che Marinetti stesso chiama “il senso aviatorio”, il movimento aereo dei destrieri alati, dell’ippogrifo, risolto da Ronconi e dallo scenografo Bertacca con il ricorso a macchine “magiche” nella loro semplicità, librate in uno spazio scenico del tutto inusitato: una singolare realizzazione dell’aspirazione futurista alla sorpresa e allo stupore. L’Orlando furioso di Sanguineti-Ronconi, confrontato con quello di Marinetti, appare come il miglior frutto prodotto, a distanza di mezzo secolo, dalle intuizioni dell’unica avanguardia italiana. Ciò che conta non è rilevare se Sanguineti, da quel fine lettore del futurismo qual è, conosca o meno le pagine di Marinetti e da esse prenda l’idea dello spettacolo, quanto sottolineare il significato storico dell’intera operazione scenica dell’Orlando furioso come espressione della vitalità e della “contemporaneità” del futurismo teatrale. 30 Cfr F.T.MARINETTI, Una lezione di futurismo tratta dall’Orlando furioso, in AA.VV., L’ottava d’oro, Milano, Mondadori, 1933, pp. 617-624 86 CONCLUSIONI Dopo l’exursus compiuto, nei limiti indicati, attraverso la scena italiana del tempo futurista, possiamo trarre qualche conclusione sulla contestazione teatrale operata dai futuristi. Si comincia contro il verso, la ricostruzione storica, la cornice scenica passatista, il luogo comune, il teatro d’attore, il successo, per sostenere il verso libero, l’autore, l’originalità assoluta, l’insuccesso, il rispecchiamento della vita contemporanea nel dinamismo e nel macchinismo. Si distrugge il sacro, il solenne, il sublime, l’accademico per privilegiare l’ingenuo, il primitivo, il dissacrante, l’imprevisto. Sono combattute la prolissità, l’analisi e la lungaggine preparatoria in favore della sintesi, la tecnica in favore dell’inverosimile, dell’assurdo, dell’irrazionale, del “salto nel vuoto”. I drammaturghi futuristi non mirano, d’altronde, al capolavoro premeditato e costruito a forza di applicazione: improvvisano, obbediscono all’istinto. Simultaneità, fulmineità, compenetrazione, dinamismo, diventano i veri obiettivi del teatro, come di tutta l’arte futurista: autonomia, illogicità, irrealtà, subcosciente, astrazione, cerebralismo e fantasia pura. La barriera palcoscenico-platea viene spezzata e gli spettatori partecipano alle rappresentazioni; gli attori scendono tra il pubblico. Ogni atteggiamento formale viene abolito: ceste di ortaggi e frutta vengono lanciate dagli spettatori agli attori per mostrare il loro dissenso nei confronti delle parole rivoluzionarie futuriste. Colpire il pubblico diventa l’unico vero obiettivo, ed è per questo che i “generi” tradizionali si spregiano e si creano nuove forme teatrali, che spiazzano gli uomini del primo Novecento (sensazioni sceneggiate, vetrine, drammi d’oggetti,ecc.). Cinematografo e teatro si influenzano reciprocamente, e il teatro, come sostiene Bragaglia, fa teatralmente del cinematografo. Il Teatro della Sorpresa valorizza la trovata, fino a farla diventare teatro assoluto, atto-attimo. 87 Per quanto riguarda la rivoluzione scenografica, assistiamo ad uno sviluppo progressivo delle idee rivoluzionarie: prima la scenosintesi, poi la scenoplastica, per arrivare, quindi, alla scenodinamica. Si può obiettare, qui, che la rivoluzione è già stata iniziata da Gordon Craig e da Adolphe Appia: partendo da premesse diverse, nondimeno, Craig arriva, fin dal 1896, ad una stilizzazione, secondo il motivo interiore animante il dramma da rappresentare, facendo appello alla grandiosità, alla semplicità, alla stilizzazione, non attingendo alla lontana esperienza ellenica e preellenica. Appia cerca la stilizzazione secondo una realtà di piani, angoli, linee, la direzione ascensionale, e parte dal concetto di musicalità. Non è dunque, la loro, una rivoluzione completa, per la quale operano interamente, invece, i futuristi. Come Craig, anche Prampolini e Depero si oppongono all’attore uomo, ma questi viene trasformato in automa meccanico, un robot, che si fa portavoce del presente dinamico e tecnologico. La sinteticità, la fisicofollia e il gusto per una scena sfuggente sembrano essere le perfette premesse per una nuova forma di teatro, che passando attraverso Pirandello, i “grotteschi”, le avanguardie europee, giunge alla sua piena realizzazione negli anni Sessanta, acquisendo una nuova definizione: la performance. Possiamo, quindi, concludere sottolineando il merito che bisogna riconoscere al teatro futurista di aver soddisfatto la sete rivoluzionaria degli uomini del Novecento, che non riconoscono più l’arte come realtà altra e metafisica, ma le danno il valore di vita, vita presente inscatolata nello spazio chiuso di un teatro. Quindi, di nuovo, teatro=vita, vita=teatro. 88 89