Mercato globale, risorse immateriali e spazio competitivo d

SYMPHONYA Emerging Issues in Management, n. 1, 2002
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Mercato globale, risorse immateriali
e spazio competitivo d’impresa
*
Silvio M. Brondoni
Abstract
La globalizzazione impone un’evoluzione dei rapporti spaziali di concorrenza, e segnatamente
l’abbandono del riferimento competitivo a dominii chiusi, coincidenti con particolari contesti fisici o amministrativi (un paese, una regione, un’area geografica, ecc.). La competizione nei mercati globali configura
uno spazio multi-dimensionale, per cui un determinato ambito geografico può comportare la concomitante
presenza di ‘competitors’ molto diversi. Le condotte di concorrenza sono ulteriormente rivoluzionate in
quanto devono prevedere mercati saturi e condizioni di ‘time-based competition’.
I mercati globali e in eccesso di offerta determinano un nuovo approccio competitivo, con un sovvertimento dell’ordine gerarchico tra ‘customer satisfaction’ e produzione, per cui i beni si realizzano solo quando
sono noti il livello e l’intensità di soddisfazione richiesta dagli acquirenti.
Keywords: Market-Space Management; Mercati globali; Eccesso di offerta; Patrimonio di marca; Brand
Extension; Brand Portfolio; Franchising; Licensing; Cornering; Sistema informativo aziendale; Cultura
d’impresa; Sistema delle risorse immateriali d’impresa.
1. Mercati globali e nuovi confini di concorrenza
La globalizzazione dei mercati evidenzia un profondo ripensamento della filosofia di sviluppo di lungo periodo delle grandi imprese-leader, che
tendono a contemperare un orientamento quantitativo alla crescita
(supply-driven management) con finalità di soddisfacimento della domanda (market-driven management).
Un debole orientamento alla domanda può infatti minare la forza competitiva d’impresa, per il manifestarsi di: eccessi di centralizzazione decisionale; una progressiva insensibilità alle opportunità dei mercati locali;
un’attuazione ‘burocratica’ delle strategie corporate a livello locale; il dan1
neggiamento dell’immagine di marca ; il deterioramento del patrimonio di
2
marca (Brand Equity) .
La globalizzazione, in particolare, impone un’evoluzione dei rapporti
spaziali di concorrenza, e segnatamente l’abbandono della monodimensionalità, cioè il riferimento competitivo ad un dominio chiuso, coincidente con particolari contesti fisici o amministrativi (una categoria di prodotto, un paese, una regione, un’area geografica, ecc.).
Nei mercati globali si abbandonano così i tradizionali schemi di concorrenza, focalizzati sulla semplice espansione dei volumi delle vendite di
certi prodotti in date aree geografiche, e le politiche di sviluppo quantitativo sono sostituite da una ‘customer satisfaction’ a forte sensibilità competitiva, che impedisce la fossilizzazione all’interno di date classi di prodotto
e per contro stimola una ricerca ossessiva di incroci innovativi tra vuoti di
offerta e bisogni non soddisfatti della clientela.
□ Cosi, ad esempio, Ferrero è un’azienda sempre più
globale in
strategie e modalità di presenza. La R&D è da
sempre globale e nel decennio passato gli acquisti si erano
già organizzati con un modello di tipo centralizzato. Ora, nel
*
Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Università degli Studi di
Milano-Bicocca
Edited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca
ISSN: 1593-0300
Brondoni Silvio M., Mercato globale, risorse immateriali e spazio competitivo d’impresa, Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/ symphonya), n. 1, 2002, pp. 37-51
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più recente assetto organizzativo, si identificano nuove forme di coordinamento delle business unit commerciali con una responsabilità
europea e una per il resto del mondo. La riconfigurazione potrà così
meglio cogliere: maggiori vantaggi in costi, investimenti industriali e
informatici; innovazione e integrazione nello sviluppo dei processi;
diminuzione degli stock; migliore capacità di servizio alle business
unit commerciali (Mark Up, lug/ago 2003).
In realtà, la competizione nei mercati globali configura uno spazio multidimensionale, per cui un determinato ambito geografico può comportare la
concomitante presenza di ‘competitors’ molto diversi.
Inoltre, le condotte di concorrenza sono ulteriormente rivoluzionate in
quanto devono prevedere: mercati saturi; condizioni di ‘time-based competition’; ed infine processi di comunicazione che condizionano vendite e
produzione. In questo ambito la logica di concorrenza diviene “First
Community, Second Business”, ovvero ‘prima si vende e poi si produce’,
con lo stravolgimento delle tradizionali condotte competitive (tipiche di
mercati non saturi, con lenti processi imitativi e dove la comunicazione segue produzione e vendita) sintetizzate nel modello “First Business, Second Community”, in pratica ‘prima si produce e poi si vende’. In altri termini, i mercati globali e in eccesso di offerta determinano un nuovo approccio competitivo, con un sovvertimento di ordine gerarchico tra ‘customer satisfaction’ e produzione: i beni si realizzano infatti solo quando sono
noti il livello e l’intensità di soddisfazione richiesta dagli acquirenti.
□ Il comparto allargato dell’editoria (libri, newspapers & magazines,
edizioni d’arte, cd, film, ecc.) mostra numerosi esempi di nuove condotte competitive –soprattutto nel ciclo di progettazione/vendita- causate dalla globalizzazione e dall'e-commerce. Un prodotto, ad esempio un libro, è infatti presentato in ‘web windows’, ma stampato solo
dopo che un cliente lo ha acquistato. Ciò elimina le copie invendute,
le rese e le copie giacenti in “pipeline”. Inoltre, il volume è realizzabile
su misura (con flessibilità e varietà mai viste prima in termini di edizione, formato, colore, traduzioni, ecc.). Il volume è poi disponibile
subito (superando i vincoli di titoli in ristampa o esauriti) e può essere
prodotto, anche in un solo esemplare, dove si vuole.
Una concezione prettamente fisica dello spazio di competizione risulta
pertanto primitiva e limitativa rispetto a piani di concorrenzialità in cui specifici contesti geografici sono demandati ad esprimere peculiari vantaggi
competitivi parziali (cioè riguardanti la produzione, il marketing, la R&D,
ecc.), da coordinare in un più vasto sistema di operatività e di redditività.
L’evoluzione della struttura dello spazio competitivo trova ulteriore riscontro nella drastica riduzione dei tempi di azione e reazione concorrenziale.
L’estensione dei fronti di concorrenza e la necessità di disporre di un sistema di informazioni coerente con la riduzione degli intervalli decisionali
determina infatti orizzonti competitivi di brevissimo periodo. Tale condizione, in particolare, è enfatizzata dalla presenza diffusa di flussi informativi
telematici, che consentono di colloquiare (su prodotti, prezzi, azioni promozionali, ecc.), anche in simultanea ed in tempo reale, con una molteplicità di
3
soggetti .
Lo sviluppo d’impresa presuppone pertanto innovativi rapporti spaziotemporali di concorrenza, che più precisamente riguardano:
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tempi decisionali brevissimi, sulla base di un concorrenza ‘timebased’, con l’eliminazione dei tempi burocratici di non-azione;
spazi di concorrenza legati all’attrattività ed alla capacità di soddisfazione del ‘business’ e quindi del tutto svincolati dai confini geografici ‘fisici’ e dai vincoli di giurisdizione del management locale.
I mercati globali e in eccesso di offerta, in sintesi, impongono alle imprese di confrontarsi con confini di concorrenza in cui:
1. lo spazio diviene per l’impresa un fattore di competizione (marketspace competition), che si qualifica con caratteri molto dinamici e
instabili, per la variabilità indotta dalla continua innovazione
dell’offerta e per la selettività crescente della domanda;
2. i caratteri tangibili dell’offerta e i confini amministrativi e geografici
dello spazio di azione non limitano e non perimetrano la concorrenza tra imprese. Al contrario, le condotte competitive aziendali sono
dominate da caratteri immateriali di offerta e da coordinate spaziali
virtuali che integrano e qualificano la dimensione fisica (marketspace management).
2. Eccesso di offerta e sistema delle risorse immateriali d’impresa
Nei mercati segnati da eccesso di offerta, i caratteri ‘tangibili’ delle produzioni sono sempre più standardizzati e non consentono di differenziare i
prodotti. In tali contesti di saturazione della domanda finale, le imprese
sono pertanto indotte ad avvalorare dimensioni non elementari di fruizione
dei beni, affermando così un predominio delle componenti immateriali di
prodotto e nuovi modelli di concorrenza.
Nei mercati globali, in realtà, le imprese operano in diverse aree geografiche con prodotti molto differenziati e perciò possono comporre offerte
con dissimili rapporti di immaterialità/materialità. Tali rapporti derivano in
concreto da particolari situazioni di competitività, definibili in prima approssimazione come: economie di scarsità; economie con domanda e offerta
in equilibrio dinamico; ed infine, economie in eccesso di offerta.
Le economie di scarsità (D>O) evidenziano importanti mercati potenziali, con una domanda globale insoddisfatta, in quanto la capacità produttiva
allestita è insufficiente a evadere i volumi richiesti. Inoltre, i caratteri tangibili di prodotto sono predominanti e la loro quantità e qualità è accertabile
mediante parametri oggettivi. Le esigenze della clientela sono elementari,
ben conosciute ed assolutamente stabili; le innovazioni tecnologiche sono
rare ed in ogni caso presentano tempi e modalità di diffusione indipendenti
da tensioni competitive.
Per contro, le economie con domanda e offerta in equilibrio dinamico
(D≈O) palesano efficienti capacità produttive di massa e strutture commerciali organizzate ed aggressive. L’articolazione dell’offerta risulta ampia,
molto segmentata e attenta a soddisfare una gamma di attese della clientela potenziale; i ‘competitor’ sono numerosi e si confrontano con prodotti
simili nelle funzioni d’uso elementari ed invece differenziati nei caratteri
‘accessori’. La domanda è molto disomogenea, con attese dissimili e con
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una ‘custumer satisfaction’ connessa ad un concetto multidimensionale ed
instabile di ‘valore complessivo’ di offerta. Tale valore combina una sintesi
di fattori materiali e immateriali, ed esprime un equilibrio tra domanda e
offerta che è ‘naturalmente’ instabile, potendo essere destabilizzato dalle
azioni e dalle reazioni attuate dai diversi concorrenti per modificare le conoscenze e le percezioni – e quindi le scelte – di particolari segmenti di
domanda.
I mercati in eccesso di offerta (D<O), infine, presentano un’eccedenza
strutturale della capacità produttiva, ossia produzioni con costi diretti decrescenti e volumi nettamente superiori alla capacità di assorbimento della
domanda. In tali contesti, la concorrenza assume ritmi incalzanti, favoriti
da un ‘effetto spirale’ causato da una rapida imitazione competitiva,
un’accelerazione dei processi di innovazione tecnologica e da prezzi di
4
vendita cedenti .
Nei mercati ad elevata tensione competitiva, pertanto, lo sviluppo duraturo d’impresa non dipende primariamente dai volumi o dalle connotazioni
di singoli prodotti (facilmente imitabili nelle caratteristiche tangibili e con
fattori intangibili di offerta -product intangible assets- contraddistinti da
un’altissima volatilità delle spese di marketing). Nei mercati globali e in eccesso di offerta, infatti, il successo di impresa è piuttosto condizionato dalla intensità di presenza a dal livello di sofisticazione delle risorse immateriali d’impresa (corporate intangible assets), cioè di quelle particolari capacità gestionali che riguardano l’insieme delle conoscenze accumulate ed il
complesso dei canali che permettono l’acquisizione delle informazioni vitali per l’azienda.
2.1 Gestione d’impresa e sistema delle risorse immateriali
Le risorse immateriali governabili dall’impresa si ricollegano a:
l’affermazione e il consolidamento di una specifica cultura
5
dell’organizzazione ; la progettazione e la gestione del sistema informativo
aziendale; ed infine la creazione e lo sviluppo di un definito patrimonio di
marca (Brand Equity).
Le singole risorse immateriali (patrimonio di marca, sistema informativo
e cultura d’impresa) in realtà costituiscono un ‘sistema’ strettamente integrato, dove cioè ciascuna componente intangibile trae valore dalle altre e
ad esse si connette in vario modo. Inoltre, la valutazione in sistema delle
risorse immateriali di impresa implica che l'insieme individuato non sia circoscritto alla semplice somma degli elementi che lo costituiscono, ma si
componga anche delle interazioni che tra di essi si sviluppano. In tal modo, cultura d’impresa, sistema informativo e patrimonio di marca, se considerati come elementi costitutivi di un sistema, attribuiscono valore
all’impresa cui appartengono non solo in via autonoma, ma soprattutto in
quanto sono in relazione tra loro. La struttura descritta è rappresentata in
Figura1, dove si evidenzia il cosiddetto sistema delle risorse immateriali
d’impresa.
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Figura 1: Sistema delle risorse immateriali d’impresa
Cultura
d’impresa
Sistema informativo
Comunicazione
aziendale
Brand
Equity
Performance
aziendale
Fonte: S.M. Brondoni, M. Gatti, M. Corniani, Cultura d’impresa, ‘intangible assets’ e modelli
di concorrenza, ISTEI, Progetto Comunicazione Aziendale, cit.
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Il sistema degli ‘intangible assets’ costituito da cultura d’impresa, sistema informativo e patrimonio di marca propone alcuni aspetti-chiave:
le risorse immateriali indicate devono essere sviluppate, mantenute ed
eventualmente modificate, mediante investimenti precisamente destinati
allo scopo;
l’immaterialità che le contraddistingue ne complica certamente la rappresentabilità, ma non esclude in alcun modo l’esigenza di valutare
l’efficacia degli investimenti ad esse dedicati;
le risorse immateriali necessitano di tempo per costituirsi, quindi anche
per apprezzare l’economicità delle scelte di gestione indirizzate al loro
sviluppo;
in quanto parti di un sistema, non è possibile prospettare il mantenimento dello stato di queste risorse, una volta che esse siano state estratte
dal contesto in cui e per cui sono state sviluppate, per essere inserite in
sistemi di risorse diversi.
Quest’ultima considerazione attribuisce rilievo centrale alle interrelazioni
che si sviluppano tra le risorse immateriali e spiega i fondamenti dei processi di governo di un sistema aziendale di risorse immateriali finalizzato a
gestire l’impresa in un’ottica di mercati globali e senza condizionamenti fisici di competitività (market-space management).
In effetti, gli ‘intangible assets’ sopra indicati possono essere gestiti senza alcun vincolo geografico di operatività (e quindi, ad esempio, un’impresa
può sviluppare un’identica cultura aziendale in differenti paesi), mentre non
sono trasferibili da un’impresa all’altra poiché, in realtà, sono cedibili solo
gli elementi ‘tangibili’ delle risorse indicate. Si può infatti osservare che:
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1) per il patrimonio di marca, il solo elemento separabile da un contesto
aziendale è il marchio (Trade Mark). Elemento distintivo di una offerta
aziendale, il marchio è l’aspetto tangibile ed identificativo di una data
offerta, ma prescinde dal valore della relazione (Brand) stabilita con
un certo mercato. Una volta ceduto, un marchio contraddistingue
un’offerta gestita da una impresa diversa: la nuova proprietà non potrà
che adeguare alle proprie specificità la relazione con il mercato (marca), sviluppando di conseguenza un patrimonio di marca diverso da
quello originario;
2) per il sistema informativo aziendale, l’elemento ‘tangibile’ è costituito
dal sistema informatico. Questo si compone della strumentazione
(hardware e software) e della architettura che la governa e può essere
replicato a piacere, senza però alcuna possibilità di ricostituire la medesima risorsa immateriale originaria. Il solo fatto di servire alle esigenze informative di una nuova impresa determina un diverso uso delle medesime attrezzature e coinvolge persone differenti, dando vita ad
un nuovo sistema informativo;
3) anche la cultura aziendale non può essere ‘separata’ da un’impresa,
neppure mediante il trasferimento di immobili, persone-chiave, ecc.
che pure sono importanti veicoli delle principali istanze culturali caratteristiche. L’acquisizione della sede di una impresa o l’assunzione delle sue risorse umane non consentono di riprodurne la cultura. In contatto con nuove realtà interne ed esterne, le stesse persone sviluppano infatti differenti forme e livelli di sintonia.
3. Cultura d’impresa e ‘Market-Space Management’
La criticità della cultura d’impresa è particolarmente evidente nelle grandi corporation, che da tempo affrontano la globalizzazione e l’eccesso di
offerta, con politiche aziendali realizzate in un’ottica di time-based competition e di spazio di concorrenza valorizzato da potenzialità non materiali
(market-space competition). In questo contesto di ‘spazio competitivo allargato’, la cultura d’impresa si sviluppa nell’organizzazione aziendale con
una operatività pervasiva, enfatizzata ed accelerata dalle potenzialità delle
nuove reti di comunicazione, quali: Internet (cioè, una rete pubblica, mondiale, con libero accesso); Intranet (ovvero reti private aziendali, utilizzabili
solo dai dipendenti); Extranet (ossia l’estensione di date reti Intranet al di
fuori dell’azienda, per il coinvolgimento di specifiche imprese co-makers).
Nelle organizzazioni complesse orientate a superare gli ambiti fisici di
concorrenza (market-space management) appare quindi evidente la centralità della cultura d’impresa nel governo del sistema delle relazioni interne, esterne e di co-makership, dal momento che queste relazioni si basano su una stretta e diffusa interattività, da esercitare in tempo reale e senza condizionamenti di spazio fisico.
In effetti, la cultura aziendale esprime la personalità d’impresa e tende
pertanto a permeare ogni espressione e manifestazione della vita
dell’organizzazione, sia con l’ambiente esterno sia nei confronti delle molteplici unità operative che costituiscono l’organizzazione.
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Nei rapporti esterni, la personalità condiziona l’immagine dell’impresa,
ossia la percezione che di essa hanno i suoi diversi interlocutori. Clienti,
azionisti, finanziatori, fornitori, autorità pubbliche, distributori, concorrenti,
ecc., sulla base dei rapporti instaurati ed in funzione dei propri schemi
percettivi e cognitivi, possono formarsi un’immagine dell’impresa.
L’immagine è la risultante della rielaborazione, da parte di ciascuno specifico interlocutore, di un complesso di segnali che, emessi direttamente o
provenienti da altre fonti (media, concorrenti, consumatori, finanziatori,
ecc.), consentono di attribuire specifiche valenze all’operato dell’impresa.
Al livello interno della struttura aziendale, l’affermazione di una personalità d’impresa è finalizzata ad affermare un’elevata identificazione ed a
realizzare un forte allineamento di obiettivi, interessi, valori e comportamenti. Un simile allineamento focalizza i valori-guida dell’organizzazione,
porta ad accettare definite regole di comportamento e consente di agire
unitariamente per il raggiungimento di obiettivi comuni; ad evidenza senza
i vincoli e i connotati tipici (sociali, formativi, etnici, religiosi, ecc.) che di
norma caratterizzano le specificità delle unità locali.
3.1 Cultura d’impresa, eccesso di offerta e localizzazione delle produzioni
Nei mercati globali e in eccesso di offerta, la criticità della cultura di impresa risulta particolarmente evidente con riguardo alle decisioni di localizzazione delle produzioni.
Nelle scelte di localizzazione delle produzioni, infatti, la condizione di
crescente sovracapacità produttiva a livello internazionale spinge le imprese ad adottare linee di condotta ad alta caratterizzazione competitiva,
che specificamente si incentrano su:
- politiche di sviluppo del ‘profilo culturale’ d’azienda, inteso come fattore di concorrenza. La politica di affermazione di una personalità
d’impresa, con la sua valorizzazione all’interno ed all’esterno
dell’organizzazione, punta infatti a costituire uno specifico ‘intangible
asset’. La cultura aziendale viene così a costituire una determinante
finalizzata ad ampliare lo spazio competitivo, consentendo di trasferire
all’esterno dell’impresa i confini fisici delle produzioni (ad esempio, affiancando i processi produttivi tradizionali con politiche di outsourcing,
oppure di networking), mantenendo tuttavia uno stretto controllo dei
caratteri identificativi del patrimonio di marca (decentramento delle
produzioni e valorizzazione della ‘ Corporate Brand Equity’);
□ Nelle imprese orientate al ‘market-space management’, la forza di
attrazione della ‘corporate brand’ diviene così predominante rispetto
alle opportunità locali dei ‘sentieri di carriera’; allo stesso modo, la rotazione pianificata e incentivante (per tempi e modalità di entrata/uscita) del personale sostituisce i tradizionali programmi di formazione continua (vincolati alla staticità delle unità produttive); ed infine,
la progressione della remunerazione (una volta basata sull’anzianità)
è sostituita dai piani di incentivazione all’ingresso e dai piani di sviluppo selettivo, in cui il compenso è commisurato al raggiungimento
di ‘task’ economici e metaeconomici.
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politiche di valorizzazione del patrimonio di marca (‘Brand Equity’), dirette a privilegiare la ‘corporate brand’ ed al contempo a contenere il numero delle marche di prodotto, conservando nel ‘brand portfolio’ aziendale solo le marche con una notorietà superiore al ‘livello di sopravvivenza’ e comunque facilmente pilotabili da un sistema informativo strutturato per fronteggiare la concorrenza internazionale;
politiche di ‘up sizing’ (da attuare con acquisizioni, fusioni, joint ventures
e alleanze), volte a presidiare le intese produttive con taluni fornitori
(co-makers) e soprattutto con il sistema dei concorrenti. L’affermarsi di
prodotti e servizi sempre più complessi (e dei connessi processi a valore aggiunto), sposta infatti la concorrenza a livello di catene a valore
aggiunto e a livello di reti concorrenti, dal momento che i vantaggi competitivi conseguono dall’integrazione di funzioni di gestione che tra6
scendono i confini aziendali dei clienti, dei produttori e dei fornitori .
In condizioni di eccesso di offerta, quindi, le scelte di localizzazione produttiva abbandonano l’ambito della valutazione statica e di lungo periodo,
tipica delle relazioni di prossimità tra produzione e consumo di prodotto; e
parimenti non sono condizionate a lungo termine da misure pubbliche di
incentivazione all’insediamento, privilegiando piuttosto la criticità di particolari costi di concorrenza (R&D, Local Antitrusting, marketing, ecc.), molto sensibili per la gestione e lo sviluppo d’impresa, che introducono una
nuova dimensione dello spazio di localizzazione produttiva, legato a valutazioni ad elevata dinamicità.
4. Sistema informativo aziendale e ‘Market-Space Management’
Nelle imprese che assumono lo spazio di operatività come un fattore
competitivo (market-space competition), anche il sistema informativo individua una risorsa immateriale critica, le cui connotazioni discendono dalla
7
cultura dominante nell’organizzazione .
Uno spazio di operatività vasto e mutevole presuppone lo sviluppo di
continue interrelazioni propositive e a tale scopo il sistema informativo costituisce il tramite necessario per la valutazione critica delle potenzialità e
dei limiti che si manifestano all’esterno ed all’interno di un’organizzazione.
Il processo di gestione dei flussi di comunicazione sulla base di sistemi
informativi evoluti permette di conseguenza di acquisire e di diffondere in
continuo, all’interno di strutture di impresa complesse ed articolate, notizie
che interagiscono con il complesso delle conoscenze esistenti.
In un’ottica di gestione competitiva dello spazio (market-space
management), la cultura d’impresa diviene in realtà centrale nel
configurare il sistema informativo come strumento di governo dei
flussi di comunicazione interni ed esterni e ,di conseguenza, stabilisce
– al di là di confini geografici ed amministrativi - le linee di integrazione e di adattamento che (in rapporto ad una specifica –
comunque unica e non replicabile- identità aziendale) consentono
ad un’organizzazione di porsi in sintonia con i molteplici ambienti in cui
8
opera . In questo contesto, in particolare, il sistema informativo assume
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notevole rilevanza nella gestione delle cosiddette bolle di domanda e nella
determinazione dei prezzi orientati alla concorrenza (competitive pricing).
4.1 Bolle di domanda e creazione di valore
La globalizzazione dei mercati e i fenomeni di eccesso di offerta (che
esprimono una crescente volatilità delle preferenze di prodotto) modificano
profondamente le regole del gioco competitivo: i prodotti ad elevata differenziazione di marketing risultano infatti ad alta redditività solo per le organizzazioni che dispongono di conoscenze e di capacità per intercettare
la variabilità della domanda e quindi per creare continue nicchie di consumo (“bubble demand”), arrivando per prime a soddisfarle (time to market)
e ottenendo un consistente reddito con l’abbandono tempestivo della bolla
di domanda (time competition), all’arrivo dei concorrenti-imitatori.
Nei mercati globali, l’eccesso di offerta può pertanto costituire
un’opportunità di sviluppo per le imprese che, con una continua innovazione di prodotto, sanno creare e soddisfare bolle di domanda, cioè fasce
di clientela potenziale le cui preferenze convergono, per un tempo limitato,
su una determinata offerta aziendale; preferenze che comunque prescindono da specifici confini geografici, tendendo piuttosto a sommare contingenti disponibilità di acquisto (che pertanto costituiscono la base per individuare e valutare la consistenza della bolla in un dato tempo e in nspazi), in un’ottica proprio di ‘market-space management’.
Il superamento dei confini fisici di concorrenza è ,d’altro canto, imposto
dalla stessa condizione competitiva di innovazione continua di offerta, che
tende a schiacciare l’impresa tra le forze contrastanti della ‘customer satisfaction’ (orientata ad una crescita del valore dei beni a costi decrescenti) e
della concorrenza su vasta scala, per cui l’aumento delle dimensioni aziendali diviene una sorta di prerequisito per poter continuare a competere.
Le performance delle imprese globali si fondano quindi sulle abilità di
frammentazione pilotata della domanda e sulle capacità di innovazione
guidata dalla ‘customer satisfaction’, mediante una gestione delle aspettative dei potenziali clienti che oltrepassa la tradizionale logica della seg9
mentazione della domanda .
In effetti, il processo di segmentazione della domanda (per soddisfare le
note condizioni di individuabilità, raggiungibilità e misurabilità) presuppone
la stabilità del segmento nel tempo e nello spazio competitivo di riferimento. Di conseguenza, la produzione può decidere di specializzare una data
offerta –e così soddisfare le attese di un particolare segmento- solo se la
domanda è stabile, cioè se esprime comportamenti di consumo costanti e
pertanto trasferibili in programmi di vendita poco soggetti al cambiamento.
Ad evidenza, la stabilità di comportamento presuppone a sua volta
un’elevata fedeltà di acquisto, che quindi diviene il vero fattore critico di
successo.
Nei mercati in eccesso di offerta, peraltro, la stabilità ripetitiva
degli acquisti viene a mancare e si accentua la presenza di
una non-fedeltà di comportamento. In altri termini, uno stato di
discontinuità da governare mediante l’obsolescenza di offerta
e l’innovazione continua di prodotto, pianificata sulla base delle
disponibilità della clientela (monitorata con tecniche e strumenti
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nuovi, come competitive intelligence, data mining, fidelity card, ecc.),
frammentando domande preesistenti e ricomponendole in gruppi instabili
di acquirenti, variamente sensibili al prezzo ma comunque molto aperti
all’informazione e alla comunicazione.
4.2 Fedeltà e non-fedeltà di acquisto
Nei mercati in eccesso di offerta, una strutturale sovracapacità produttiva genera volumi di beni di gran lunga superiori alle capacità di assorbimento della domanda; tuttavia, la dimensione qualitativa dell’eccesso di
offerta è ancora più drammatica per le imprese, perché la domanda - ormai abituata a disporre di un’ampia gamma di alternative- esige un continuo ampliamento della varietà di prodotti.
Gli acquirenti finali, inoltre, non paiono per nulla disorientati da questa
innovazione accelerata dei produttori (che competono con beni sempre
più sofisticati ed a prezzi cedenti) ed anzi essi stessi intervengono nella
modificazione del processo di acquisto, con scelte informate ed opportunistiche per tempi e modi di spesa.
Un nuovo comportamento di acquisto, dunque, in cui l’acquirente finale
tende a non collocarsi più alla fine della catena delle transazioni, con una
posizione marginale, passiva e condizionabile nelle scelte con limitati investimenti di marketing. Al contrario, l’acquirente si pone in una ‘relazione
di circolarità’ con il trade ed i produttori, esprimendo nuovi modelli di acquisto, basati su comportamenti non-fedeli, che si affiancano ai noti meccanismi di fedeltà.
In concreto, la non-fedeltà si esprime con una valutazione critica del valore (e quindi, innanzi tutto, della promessa e della credibilità di brand) di
specifici prodotti, in relazione al sistema di offerta di particolari punti di
vendita in dati momenti: la decisione di acquisto può pertanto modificarsi
radicalmente nel tempo e/o nello spazio –oppure tardare a manifestarsi,
con il rinvio dell’acquisto- dal momento che tende ad ottimizzare informazioni mutevoli sul valore differenziale del bene (brand benefit) e, congiuntamente, sulla specificità di vantaggio del luogo di acquisto (outlet benefit).
La non-fedeltà pone in discussione i meccanismi di inerzia tipici della fedeltà (brand con valori stabili, vendute in un controllato numero di punti di
vendita) e induce i produttori e il trade ad attivare programmi di fidelizzazione, che inseguono proprio la domanda non-fedele con proposte allettanti, per costruire una relazione dinamica di acquisto (‘stop & go’) da canalizzare in un sistema di punti di vendita reali e virtuali, comunque integrati in una logica di ‘market-space competition’.
La fidelizzazione sfrutta quindi i vantaggi –redditizi, ma volatili- tipici
delle relazioni di non-fedeltà e, per questo, scopo richiede massicci
investimenti. Investimenti che l’industria di marca deve finalizzare
al sistema informativo e allo sviluppo dei fattori immateriali di
prodotto (brand responsability, product design, merchandising). Il
trade è chiamato invece a ristrutturare gli immobili, per esaltare il
valore di offerte basate su schemi relazionali di non-fedeltà (come
la proposta, ad esempio, di auto sportive in corner di fast food), ma soprattutto deve investire negli immateriali di ‘personality store’ (localizzazioEdited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca
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ne fisica e virtuale, orari e giorni di apertura, servizi pre/post vendita, formazione del personale).
5. Patrimonio di marca e ‘Market-Space Management’
Da ultimo, la gestione d’impresa può superare gli ambiti e i limiti geografici ed amministrativi di competizione (market-space management), facendo leva su un solido patrimonio di marca (Brand Equity)..
Il patrimonio di marca sintetizza gli effetti delle azioni di comunicazione
condotte da un’impresa per lo sviluppo della relazione di mercato di una
marca (Brand) e di conseguenza definisce anche lo stato del vantaggio
competitivo di cui l’impresa dispone con dati mercati per specifiche offerte.
In un’ottica di ‘market-space competition’, il patrimonio di marca può essere sfruttato per il superamento degli ambiti fisici di competitività sotto differenti angolazioni, che in alcuni casi privilegiano il valore potenziale di
specifiche marche (ad esempio, con politiche di Brand Extension e di
Brand Portfolio), mentre in altre fattispecie focalizzano la forza di una marca per lo sviluppo dell’azienda nel suo complesso (tipicamente mediante
politiche di franchising, licensing e cornering).
5.1 ‘Brand Extension’ e ‘Brand Portfolio’
La forma più elementare di estensione dei confini di concorrenza
(market-space competition), sulla base di singole offerte aziendali e con
specifico riferimento al patrimonio di marca, è rappresentata dalla ‘Brand
Extension’, cioè dalla estensione di una marca, affermata in una data categoria di offerta, a differenti classi di prodotto.
La politica di estensione della marca rappresenta una strategia ‘naturale’ di espansione dello spazio competitivo per le imprese che perseguono
uno sviluppo aziendale mediante la valorizzazione di determinate risorse
immateriali d’impresa, da destinare alla penetrazione in nuove aree di attività (categorie di prodotto).
□ All’inizio degli anni ’80, Levi Strauss (un’azienda con circa 2 miliardi di dollari di fatturato e con elevate quote di mercato in diverse
classi di prodotto) iniziò un processo di ampliamento dello spazio
competitivo nei suoi mercati, per continuare lo sviluppo aziendale.
A tal fine fu realizzata una politica di brand extension, estesa nel
tempo a livello mondiale, guidata da uno studio approfondito sulle
10
esigenze dei consumatori .
Una forma più sofisticata e costosa di allargamento dei confini di concorrenza (market-space competition), sempre sulla base del patrimonio di
marca di specifiche offerte aziendali, può essere sviluppata mediante il ricorso al ‘Brand Portfolio’ (portafoglio di marca).
Nei sistemi economici più evoluti, e in condizioni di eccesso
di offerta, in effetti, la domanda si sfaccetta in una molteplicità
di esigenze (funzionali e simboliche) che non possono essere soddisfatte da un’unica ‘promessa’, cioè dal sistema di responsabilità
rappresentato da un’unica marca. Tale contesto di relazioni
domanda - offerta, appunto molto differenziato nello spazio compeEdited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca
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titivo d’impresa, determina la possibilità di operare con un ‘brand portfolio’,
articolato con una specifica marca per ogni domanda di riferimento.
La caratterizzazione del portafoglio di marca nell’ampliamento dello
spazio di concorrenza può essere ricondotta a numerose opportunità. Innanzi tutto, una molteplicità di marche può essere necessaria per concorrere a ‘creare un mercato’; una singola offerta, infatti, in genere non è assolutamente in grado di soddisfare una domanda evoluta di vaste dimensioni. Inoltre, una politica di portafoglio multi-brand, in grado di competere
con più marche su uno stesso mercato, permette di commercializzare le
marche di più basso profilo a fini tattici (ad esempio, per limitare le possibilità di brand extension dei concorrenti), per difendere la marca principale
da politiche di prezzi al ribasso, che potrebbero pregiudicare l’immagine
della marca leader. Infine, una politica di ‘multi-brand portfolio’ può rendersi necessaria nell’ottica di soddisfare esigenze specifiche di mercati regionali, ovvero di contesti geografico-amministrativi spazialmente definiti
11
(come nel caso dei grandi produttori internazionali di birra) .
5.2 Franchising, Licensing e Cornering
L’ampliamento degli spazi fisici di competizione può essere conseguito
da un’impresa anche come organizzazione nel suo complesso, cioè indipendentemente da specifiche offerte e piuttosto correlatamente ad un patrimonio di marca riferito ad una determinata ‘corporate brand’. In proposito, tipici strumenti possono essere individuati in: franchising, licensing e
cornering.
I sistemi di franchising, come è noto, riguardano network di imprese in
cui una struttura centrale (franchisor) è collegata a organizzazioni-satellite
(franchisee) con rapporti economico-contrattuali di co-makership, ovvero
dotati di autonomia gestionale all’interno di uno specifico progetto imprenditoriale di gruppo.
Anche nelle manifestazioni più semplici, l’affiliazione tramite franchising
consente di partecipare (di norma in esclusiva, per una determinata offerta) ad una formula produttiva e distributiva che comunque per sua natura
già supera i tradizionali vincoli fisici di concorrenza.
In condizioni di eccesso di offerta, inoltre, i caratteri di flessibilità spaziale tipici del franchising risultano ulteriormente avvalorati e quindi preziosi
per lo sviluppo.
Nei mercati segnati da esubero di offerta, infatti, i benefici connessi alla
localizzazione e all’esclusività geografica perdono drasticamente di importanza, mentre divengono critici peculiari fattori immateriali di competizione,
quali: la notorietà di insegna (e quindi l’entità e la continuità delle spese
promozionali); l’articolazione e la diversificazione per tipologia di offerta
degli affiliati (per gestire l’ottimizzazione di quantità vendute, invendute e
invendibili); la coerenza tra immagine di insegna e politica di comunicazione integrata degli affiliati; ed infine la sofisticazione degli strumenti informativi e di coordinamento organizzativi, soprattutto per lo sviluppo di comportamenti, valori e cultura d’impresa.
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Una gestione di impresa orientata al superamento dei vincoli fisici di
concorrenza può essere perseguita anche con il licensing, cioè con la
12
cessione temporanea dei diritti di uso di un marchio (Trade Mark) .
In un recente passato, in effetti, il licensing si limitava allo sfruttamento
commerciale dei marchi con vasta notorietà, per integrare l’attività caratteristica d’impresa con ricavi addizionali di varia entità. In quest’ottica, il diritto
d’uso di un marchio è ceduto al maggior numero di utilizzatori, anche di settori molto eterogenei e in genere slegati da valenze di sviluppo della marca.
In realtà, più appropriatamente, il licensing può oggi essere considerato
come un’attività di valorizzazione del patrimonio di marca e soprattutto
come uno strumento per estendere le valenze competitive di notorietà e di
immagine di una marca in settori diversi dal core business d’impresa. Di
conseguenza, in contesti molto competitivi, la possibilità di ottenere royalties dallo sfruttamento di un marchio noto risulta assolutamente subordinata ed accessoria rispetto alle opportunità di sviluppo del patrimonio di
13
marca . Secondo questa logica di ampliamento dello spazio immateriale
di concorrenza, ad esempio, la cessione d’uso di un marchio automobilistico a società che producono telefoni cellulari, telefoni, ecc. potrebbe avvenire solo in ipotesi di ‘up grading’ –quantificabili con idonei parametri di
valore- delle valenze positive della marca-base.
Da ultimo, lo spazio competitivo d’impresa può essere accresciuto anche con il ricorso al cornering.; cioè con la cessione, da parte di un retailer, di spazi (o più propriamente, di condizioni) di vendita a favore di un
produttore, sviluppando un’azione sinergica tra insegna e marca.
Il cornering, nella sua forma più tradizionale e diffusa, consente infatti ai
distributori ed ai produttori di ampliare i rispettivi confini di concorrenza. I
produttori, in particolare, possono essere presenti in aeroporti, fiere, stazioni, autogrill, ecc., cioè in spazi frequentati da target allargati di acquirenti finali, per i quali il cornering consente di utilizzare i vantaggi di immagine del punto di vendita monomarca, riducendo al contempo investimenti
e rischi del negozio di proprietà, soprattutto nel lancio di nuovi prodotti.
□ Barilla ha siglato una partnership strategica con Tank&Rast
(gruppo tedesco attivo nella ristorazione autostradale) per
l’apertura di ‘Barilla –pasta corner’ in 110 punti di ristoro sulle autostrade tedesche. Tank&Rast fornirà un adeguato supporto logistico, mentre Barilla produrrà una gamma ad hoc di pasta e sughi
(Corriere della Sera, 22 marzo 2003).
□ Il Gruppo Faber-Castell. primo produttore mondiale di matite (1,8
miliardi di pezzi all’anno, 5 mila dipendenti, 305 milioni di euro di
fatturato) ha intrapreso una politica di cornering nei più importanti
negozi di cartoleria, anche con una diversificazione negli oggetti in
pelle (Il Mondo, 27 settembre 02).
□ La Sagit, società del Gruppo Unilever, per il lancio del ‘gelato
soft’ in Italia, ha investito massicciamente nel canale ‘bar e pubblici
esercizi’, dove controlla la metà del mercato. Per il nuovo prodotto
soft (che richiede una temperatura di conservazione di –10 gradi,
anziché dei 18 gradi sottozero, come per tutti i gelati) Sagit ha diffuso 24 mila dispenser e altrettanti frigoriferi speciali, costituendo
uno specifico corner per la nuova linea (Il Mondo, 1 agosto 2003).
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In condizioni di eccesso di offerta, il cornering può peraltro definire nuovi
confini di concorrenza (market-space competition) tra retailer e produttori
anche con forme più innovative, cosiddette di virtual cornering. Queste
(pur prevedendo sempre un contratto e la negoziazione di condizioni di
‘presenza’, un minimo garantito, provvigioni pro-quota sul fatturato e tempi
contrattuali con scadenze fisse e rinnovabili) si estendono in effetti decisamente nelle configurazioni immateriali di competizione -ad esempio con
l’ausilio interattivo di chioschi multimediali, web windows, data base
mailing, ecc.- contribuendo a delineare nuovi rapporti industriadistribuzione, soprattutto con inediti rapporti tra vendita di beni e offerta di
servizi presale e aftersale, come pare delinearsi in Europa per le vendite
multimarche nel settore automobilistico.
Note
1
‘La marca (Brand), rappresentando la relazione che si sviluppa tra offerta e domanda, si
trova in una posizione centrale rispetto ad un complesso sistema di flussi informativi, alcuni
dei quali provengono all’impresa dalla domanda - e più in generale dall’ambiente esterno mentre altri muovono dall’impresa in direzione della domanda e dell’ambiente in generale
(comunicazione aziendale). La marca trova posto al centro di questo sistema di flussi e si
sviluppa grazie ad essi, costituendo il frutto di un processo continuo di azione-reazione che
congiunge la realtà aziendale (risorse, obiettivi, valori, ecc.) al contesto esterno di mercato e
di ambiente in generale’. v. Silvio M. Brondoni, Mauro Gatti, Margherita Corniani, Competizione globale, risorse immateriali e responsabilità sociale d’impresa, AIDEA-Accademia Italiana di Economia Aziendale, Novara, 2002.
2
Il patrimonio di marca (Brand Equity), ossia lo stato in un definito momento della relazione di marca è l’asset che origina dal sistema dei flussi informativi interni ed esterni, e in
un’ottica competitiva si connette alle performance aziendali. Nel confronto concorrenziale,
infatti, l’impresa con un definito patrimonio di marca emerge in quanto portatrice di connotazioni specifiche (immagine di marca) e note (notorietà di marca) che le consentono di occupare una posizione privilegiata rispetto alle altre imprese. Cfr. Silvio M. Brondoni, 2000-2001,
Patrimonio di marca e gestione d’impresa, Symphonya.Emerging Issues in Management,
www.unimib.it/symphonya, n. 1.
3
Cfr. Silvio M. Brondoni, 2002, Comunicazione, performance e sistema delle risorse immateriali d’impresa, Sinergie, n. 59.
4
La condizione di eccesso di offerta delinea dunque nuove logiche di concorrenza, con un
profondo ripensamento delle teorie di management e di economia d’impresa. Queste ultime,
d’altro canto, si sono sviluppate in ben differenti contesti di domanda e di offerta. I principibase della ‘gestione razionale’ d’azienda sono stati infatti elaborati per ‘pilotare’ una domanda che era superiore all’offerta (fase dell’economia di scarsità, che ha caratterizzato gli USA
fino agli anni ‘40 e l’Italia fino alla fine degli anni ’50). In seguito, l’evoluzione degli scenari
internazionali ha introdotto nuovi paradigmi di gestione d’impresa, orientandola a stimolare
una domanda che era in continuo equilibrio dinamico con l’offerta (fase dell’economia del
benessere, perdurata a livello internazionale fino alla fine degli anni ‘80).
5
Cfr. Silvio M Brondoni, Mauro Gatti, Margherita Corniani, 2001, Cultura
d’impresa,’intangible assets’ e modelli di concorrenza, in Progetto Comunicazione Aziendale,
ISTEI-Istituto di Economia d’Impresa, Università degli Studi di Milano-Bicocca, gennaio.
6
‘La cooperazione interaziendale sta assumendo un significato sempre più importante
nell’industria grafica…Aziende che sviluppano strutture aziendali di ‘ordine superiore’, attraverso strutture molto flessibili che dipendono dal progetto in questione, possono raggiungere
un livello operativo ad alto valore aggiunto…Le responsabilità di ricerca e sviluppo, di
produzione e in special modo la gestione dei progetti sono definiti fra le diverse aziende caso per caso e limitate temporalmente alla così detta ‘azienda virtuale’’. v. Mara
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Cappelletti, 2003, Alleanze strategiche: la cooperazione interaziendale come alternativa alla
fusione, Graphicus, aprile, p.10.
7
‘Individuare il sistema informativo alla stregua di una risorsa significa riconoscere il suo
contributo alla produzione del risultato aziendale, ossia il suo ruolo nel governare i flussi di
informazioni che di tale gestione sono la linfa. Con riferimento alla relazione con il patrimonio
di marca, ad esempio, il sistema informativo si esprime nella attivazione e nel governo dei
flussi di informazioni provenienti dall’esterno (ad esempio domanda, concorrenti, sistema
legislativo) ed, allo stesso tempo, è lo strumento che ne consente la diffusione all’interno
dell’azienda, così da rendere possibile lo sviluppo di decisioni a loro volta destinate ad orientare i flussi informativi in uscita (comunicazione aziendale) ed ulteriori flussi in entrata (raccolta di informazioni specifiche, competitive intelligence e ricerche di mercato e di marketing).
In questo senso, il sistema informativo costituisce per l’impresa la capacità di acquisire elaborare e diffondere una molteplicità di flussi di informazione finalizzati a mantenere e/o sviluppare una definita relazione tra offerta e domanda (marca) e quindi uno specifico patrimonio di marca.’ .v. Silvio M. Brondoni, Mauro Gatti, Margherita Corniani, Competizione globale, risorse immateriali e responsabilità sociale d’impresa, cit.
8
La cultura d’impresa impronta così ad unitarietà il sistema informativo, caratterizzandolo
rispetto ad una precisa identità aziendale. In tal senso, ad esempio, a seconda del modello di
gestione del consenso di una definita impresa, il sistema informativo potrà essere contraddistinto da una accessibilità più diffusa e libera, oppure da percorsi di fruizione rigidamente
prestabiliti. Anche la propensione al rischio o l’orientamento temporale prevalente in una impresa (che contraddistinguono alcune tipiche manifestazioni della cultura) contribuiscono ad
influenzare la struttura del sistema informativo aziendale, ad esempio, nello stabilire i fenomeni da mantenere sotto costante monitoraggio, o nel definire i tempi dei processi di ritorno
informativo.
9
La segmentazione della domanda ha segnato il passaggio dalla protoeconomia di scarsità (D>O, caratterizzata da una domanda largamente superiore all’offerta, per cui tutto ciò che
si produce è sicuramente venduto) a condizioni competitive più complesse, contraddistinte
da un equilibrio instabile tra domanda e offerta (D≈O, cd. welfare state). Queste condizioni di
instabilità dinamica determinano la presenza, in determinati spazi geografici, di varie domande specialistiche e perduranti nel tempo (segmenti), ognuna delle quali tende a soddisfare
specifiche esigenze della clientela (così, ad esempio, nelle auto il bisogno primario di trasporto privato –caratteristico delle economie di scarsità- si amplia –nei mercati diwelfare state- in una gamma di ‘funzioni secondarie’ di utilizzo del bene, che riguardano berline, station
wagon, coupé, spider, ecc.).
10
Cfr. D.A. Aaker, 1991, Managing Brand Equity, The Free Press, New York, pp.206.
11
Sui sistemi di marca (internazionali, nazionali e locali) del Gruppo Heineken e del Gruppo Carlsberg, si veda: Silvio M. Brondoni, Patrimonio di marca e gestione d’impresa, cit.; I.
Schuiling, Think Local-Act Local: tendenze Customer-Driven e patrimonio di marca,
Symphonya.Emerging Issues in Management, www.unimib.it/symphonya, n. 1, 2000-2001.
12
Il licensing (cessione dei diritti di uso del marchio) è una tecnica gestionale nata e consolidatasi negli USA, che si basa sulla forza di mercato di una marca (Brand), cioè sul più
elementare fattore intangibile di prodotto. Il licensing costituisce una politica competitiva internazionale più sofisticata del licencing (vendita di prodotti su licenza), che in tempi precedenti era stata sviluppata –soprattutto da imprese britanniche con vaste ramificazioni commerciali nell’impero UK- con riguardo a prodotti tangibili, con l’obiettivo di ampliare la produzione in parnership/co-makership, in geografiche controllate e in via di sviluppo. Cfr. Silvio M.
Brondoni (ed.), Marketing Lexicon, CLUEB, Bologna, 1999, pp.187 e 372.
13
Cfr. F. Albanese, Merchandising e Licensing per lo sviluppo della Brand Equity. Il caso
Coca-Cola,, Symphonya. Emerging Issues in Management, www.unimib.it/symphonya, n. 1,
2000-2001.
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ISSN: 1593-0300
Brondoni Silvio M., Mercato globale, risorse immateriali e spazio competitivo d’impresa, Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/ symphonya), n. 1, 2002, pp. 37-51
(English Version: http://dx.doi.org/10.4468/2002.1.03brondoni)