Adolescenti nell`ambito della classe Nel momento in cui il ragazzo fa

Adolescenti nell’ambito della classe
Nel momento in cui il ragazzo fa il suo ingresso in una comunità educante presenta spesso
comportamenti problematici che, in numerosi casi, trovano le loro radici in situazioni di grave
disagio: disagio individuale, familiare, socioculturale, fortemente intrecciati ed interdipendenti.
Spesso, troviamo adolescenti che sono rifiutati dai pari perché sono prepotenti e non riescono a farsi
accettare.
Il rifiuto dei pari è un indicatore considerevole, in quanto può condurre il soggetto ad aggregarsi
selettivamente con altri compagni disadattati.
Gli adolescenti che esibiscono un mancato inserimento nella scuola, eclissano vissuti emozionali,
affettivi e relazionali che producono, col tempo, una condizione di svantaggio.
Per siffatta causa, tali allievi sono designati, talora, quali ragazzi inferiori, anche dal punto di vista
cognitivo.
Da qui, in un processo non meccanico e lineare ma sicuramente dinamico, il passo verso
l’insuccesso scolastico, l’antisocialità, il bullismo o la violenza è spesso breve.
La condizione sociale di svantaggio, cui essi rinvengono, non sempre è legata ad un disturbo fisico
e/o psichico, validamente diagnosticato dagli operatori sanitari, essa potrebbe trarre origine, altresì,
da occasioni di mancanza economica, affettiva, culturale e sociale.
Il disadattamento, altro non è, che l’esito di uno svantaggio latente, o manifesto, di ordine affettivo,
cognitivo e relazionale. Il disagio scolastico, rappresenta uno dei casi più difficili che la scuola e la
famiglia si trovano a dover affrontare. Quest’ultimo, infatti, può provocare limitazioni o blocchi
cognitivi, ma anche rinunce che possono influenzare considerevolmente la vita adolescenziale.
La difficoltà di collocarsi nel gruppo-classe è spesso, per alcuni adolescenti, estremamente difficile;
tale vincolo si manifesta spesso sotto forma di rifiuto per la scuola anche dopo un primo periodo di
normale inserimento.
Talvolta, però, il rifiuto scolastico è un lessico non verbale usato dai ragazzi per comunicare ed
informare le persone, accanto a lui, spesso carenti dal punto di vista empatico, di uno stato di
malessere. E’ necessario, per tale motivo, non sottovalutare alcuni segnali inviati dai ragazzi, tra
cui:
Sintomi psicosomatici (mal di pancia, colite)
I disturbi borderline
I disturbi di partecipazione
I disturbi del linguaggio. I disturbi psicomotori.
La domanda di un adolescente non è quasi mai esplicita. Quando lo studente chiede aiuto, nasconde
spesso la richiesta dietro lo sguardo sfuggente, la noncuranza della postura e del linguaggio. Ma
indipendentemente dalle pose adolescenziali, che sembrano e non lo sono, è difficile leggere
dell’altro in quello sguardo, in quel silenzio, in quella battuta superficiale o provocatoria. Lo è in
particolar modo per l’insegnante e per il genitore, i quali, osservandolo, stentano a credere quanto il
ragazzo sia davvero impegnato (a tempo pieno!) nel suo processo di crescita, nei suoi, tutti suoi,
compiti evolutivi. Eppure, per quanto difficile, è doveroso farlo. Winnicot sosteneva che è una gioia
nascondersi, ma un disastro non essere scoperti”: questa è una verità che appartiene a tutti, ma
molto di più all’adolescente. L’errore relazionale più grave infatti nei suoi confronti è quello di
accettare la sua volontà inconsapevole di negarsi e, per paura di non rispettare confini e riservatezza
– di cui il nostro ragazzo è gelosissimo – quello di lasciarlo solo mentre sta confusamente
imparando i primi elementi di una grande lezione: che forse la vita può essere vissuta, anziché
essere tenuta faticosamente a bada.
A volte lo studente non presenta grandi trasformazioni, né nell’aspetto né nei comportamenti:
continua ad essere gentile, educato, apparentemente collaborativo ma la voglia di studiare si è
semplicemente volatilizzata, persa per la via, la non voglia è diventata qualcosa di incidentale, sulla
quale non sono previste possibilità di intervento. Sembra quasi che l’adolescente demotivato stia
coltivando credenze magiche, fatalistiche.
E’ per lo più un ragazzo che per un tratto della sua vita si identifica nel solo ruolo adolescenziale,
rifiutando lo stato di studente, e che con maggiori difficoltà sa accettare le frustrazioni, elaborare le
perdite, gestire gli insuccessi.
Sono quei ragazzi che preferiscono il rimprovero o la punizione al biasimo, reale o anche solo
temuto, immaginato.
Si dice che spesso provengono da famiglie che investono molto sui loro risultati scolastici, dando
ragione a Jung, il quale sosteneva che niente fa più male dei sogni irrealizzati dei propri genitori.
L’insuccesso scolastico è sempre fonte di autentico dispiacere, perché è naturale augurare ai propri
figli una realizzazione professionale pari o superiore alla propria. Il problema se mai è l’espressione
eccessiva di questo desiderio o il rispecchiamento dell’ansia tra genitori e figli, che nella
quotidianità si amplifica. Ecco che la non voglia di studiare diventa un ottimo meccanismo di
difesa, che in parte tutela e ripara, nell’immaginario adolescenziale, dalla delusione dei genitori: le
liti familiari , le sgridate e le ossessive sollecitazioni allo studio sono riconosciuti come poco capaci,
come inadeguati, insomma non del tutto all’altezza della situazione. L’adulto consapevole deve
sapere smontare questo meccanismo di difesa con estrema cautela. Deve sapere sgretolare
sapientemente quello che per noi è considerato un nemico e per il ragazzo è un alleato, ricordando
che spesso ciò che è un problema per l’adulto per l’adolescente è invece l’unica soluzione.
Ai docenti è affidato il compito, delicatissimo, di rapportarsi all’adolescente in maniera non
invasiva, né rinunciataria, di trovare la terza via tra il controllo e il disimpegno e di invitare i
genitori, durante i colloqui, a fare altrettanto. Anche di convincersi che, paradossalmente, in alcuni
casi una ripetenza scolastica è un pegno meno pericoloso di altri nel superamento di una crescita
davvero difficile.
Come reagisce la scuola di fronte a queste situazioni che definiamo genericamente di disagio,
sempre più diffuse data la complessità del vivere di questi nostri convulsi anni?
Spesso, purtroppo, vengono assunti atteggiamenti di tipo negativo, che non tendono, cioè, ad un
equilibrato sviluppo del percorso formativo dello studente ma, anzi, contribuiscono alla sua
involuzione/negazione.
Essi appartengono a due categorie, apparentemente contrastanti, in effetti complementari e
convergenti: quella definiamola militaresca e quella paternalistico-lassista.
La prima, attualmente meno diffusa, può esprimersi in punizioni disconfermanti, in provvedimenti
anacronisticamente rigorosi o, forse peggio, in forme di isolamento e di ghettizzazione frustranti.
Tali comportamenti non rispondono ad una logica educativa, ma ad una di tipo punitivo. Ma ben più
gravi, normativamente parlando, sono i microatteggiamenti permeati di sottovalutazione, di
sarcasmo, di negazione dell’altro come persona, di incomprensione, che caratterizzano talvolta gli
operatori scolastici.
Nella seconda modalità, (quella paternalistico-lassista) più subdola e demagogica, ma popolare, il
contributo all’inasprimento delle difficoltà dell’individuo e della sua futura vita, personale e
professionale, si concretizza attraverso un implicito patto scellerato: al dare poco o nulla, in termini
formativi, ad un impegno saltuario e poco responsabile delle istituzioni, facilitazione del curricolo,
finte promozioni, vere solo burocraticamente, una rimozione delle regole, del principio del limite,
del senso di responsabilità. La scuola, insomma come parcheggio, intrattenimento “affettuosamente
incosciente”.
Come dovrebbe reagire, come talvolta reagisce la buona scuola?
Attraverso strategie di intervento educativo-formative e didattiche
Con le prime è importante favorire l’affermazione della pro socialità nella scuola, cioè di quei
comportamenti che favoriscono la socialità, l’accettazione delle regole, la coscienza sociale, lo
spirito di condivisione, di collaborazione e di solidarietà.
Una efficace strategia didattica deve poi basarsi sul valore formativo delle discipline per
raggiungere lo scopo di far acquisire validi strumenti di conoscenza critica: solo attraverso questo
processo formativo è possibile che lo studente, forte del proprio senso di competenza, sviluppi un
adeguato senso di autoefficacia ed autostima con una benefica ricaduta sulla sua relazionalità.
Possibili interventi
Negli anni delle scuole superiori, i ragazzi notano l’emergere della fatica, dello sforzo,
dell’impegno; avvertono il contrasto tra il piacere di imparare e il dovere di studiare. Per superare
questa difficoltà, l’insegnante può aiutare gli studenti a scavare nella propria interiorità per far
emergere i bisogni di conoscenza, a valorizzare il sapere come esperienza, armonizzando i conflitti.
Altri esercizi consistono nel far riassumere un punto di vista positivo ai soggetti per incrementare la
sensazione di fiducia. Può essere utile chiedere agli allievi di raccontare le esperienze passate che
costituiscono motivo di orgoglio e soddisfazione personale o di scrivere una storia inn cui si
descrivono come persone “perfette” evidenziando le caratteristiche positive le doti personali, oppure
comporre un itinerario di crescita in cui fare l’inventario di tutti i successi passati legati alle varie
età.
Per rinforzare l’autostima è poi, opportuno valorizzare i lavori eseguiti dagli studenti, esponendo i
risultati delle loro attività e lasciando tracce visibili delle abilità e competenze acquisite. Un ciclo di
lezioni, un anno scolastico può così essre concluso con la realizzazione di un fatto concreto, di un
saggio finale, in modo che l’allievo possa dire “Io ho fatto questo” e possa farlo vedere agli altri. Si
può utilizzare un cartellone, un racconto, un oggetto, un film, una canzone, la classica recita
teatrale. Questo approccio può essere utilizzato anche con i ragazzi più grandi, infatti il bisogno di
autostima non è legato ad un’età. Un adolescente è fiero quando conquista un risultato e riceve
l’ammirazione dei coetanei.
L’insegnante può predisporre situazioni differenti, come mostre, spettacoli, pubblicazioni di
giornali per permettere agli studenti più “difficili” di manifestare ed esprimere tutto quello che
sanno creare. Infatti l’aspettativa del successo stimola lo studente ad organizzare il proprio
comportamento per conseguire più facilmente buoni risultati.